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 Il Cinquecento  

Fino all'occupazione del Borgia, San Marino si trovava ancora in una fase di discreta espansione economica e demografica, tanto che nel 1476 venne finanziato un lavoro per l’epoca ciclopico: la costruzione delle grandi cisterne sotto il Pianello, capaci di rifornire sufficiente acqua potabile a tutto il centro abitato, ormai popolato da circa 380 residenti, numero che comunque in seguito rimarrà pressoché invariato per tre secoli.

Tuttavia già nell'ultima decade del Quattrocento era iniziato un forte periodo di crisi economica lungo tutta la penisola italiana, dovuto alle invasioni cui era sottoposta da parte di francesi e spagnoli. A Rimini scoppiò perfino la peste nel 1485, fenomeno che comunque non pare coinvolgesse San Marino.

Il periodo di crisi si fece ovviamente avvertire anche in Repubblica, che ebbe bisogno di acquistare cereali in Romagna, non bastandogli più quelli prodotti all'interno, e di nominare funzionari per fare opera di sorveglianza più attenta sull'igiene e la disponibilità di grano. Inoltre agli inizi del Cinquecento si dovettero investire denari anche nel rinforzo delle mura, vista la brutta esperienza passata per colpa delle armate di Cesare Borgia.

Intorno al 1535 la situazione parve tranquillizzarsi e migliorare; il periodo favorevole tuttavia durò poco. Infatti nel 1538 vi fu un inverno rigido e nevoso, l'anno dopo invece una gran secca. In questi secoli la comunità sammarinese sopravviveva quasi esclusivamente con l'agricoltura, per cui le bizze climatiche avevano sempre forti ripercussioni negative sul benessere generale. Anche gli anni '40 e '50 furono di grande penuria e videro l'aumento dei poveri. E' il periodo passato alla storia col nome di "piccola glaciazione", periodo che a San Marino provocò l'apertura, nel 1577, del monte di pietà, e la totale assenza di grano nel 1589. Una delle poche fonti di rendita dell'epoca rimase la vendita di legname.

Con la caduta di Cesare Borgia si affacciarono all’orizzonte anche altri possibili problemi di indole politica. Infatti Venezia s’impossessò per qualche anno di Rimini, e San Marino temette di poter subire guai da un vicino tanto potente. Per questo chiese e ottenne rassicurazioni dallo Stato Pontificio, che il 31 marzo del 1509, tramite lettera di papa Giulio II, garantì la sua protezione e che Venezia non avrebbe fatto nulla contro la Repubblica.

Il 3 giugno 1516 fu Lorenzo de Medici che, sempre tramite lettera, professò amicizia per i sammarinesi, che temevano per le loro sorti perché egli aveva occupato militarmente Urbino. Alla sua morte però, nel 1519, tutto tornò come prima, anche se Firenze rimase ancora padrona di Maiolo e San Leo fino al 1527.

Politicamente i tempi restarono assai pericolosi ed in costante evoluzione, perché tutti i signorotti italiani, cercando di approfittare della situazione di forte instabilità esistente nella penisola a causa delle ripetute invasioni che stavano avvenendo, tentavano di ampliare i propri domini. Il 4 giugno 1543, senza che  la cosa fosse stata preannunciata da nulla, Fabiano da Monte, nipote del cardinale Giovanni Maria Ciocchi da Monte, allora governatore di Romagna e futuro papa Giulio III, in combutta col castellano di Rimini e con l'aiuto di 500 fanti e di un contingente di uomini a cavallo, tentò d'invadere la Repubblica. Le due parti dell'esercito che aveva organizzato non riuscirono però a ricongiungersi  nel tentativo di accerchiamento, pare per una provvidenziale nebbia che aveva reso problematica la visuale, e l'avventura fallì.

In seguito il duca di Urbino e Cosimo de Medici indagarono  per capire da chi fosse scaturita l'iniziativa. Lo stesso imperatore Carlo V inviò a San Marino un suo funzionario, Bustamonte de Herreras, per assicurare il suo appoggio, ma alla fine non si scoprì nulla di concreto. Un forte sospetto cadde su Pietro Strozzi, agente della corte di Francia. Ovviamente vi furono sospetti anche sul papa, comunque non si accertarono, o forse non si vollero individuare i possibili mandanti del tentativo di occupazione.

Per celebrare lo scampato pericolo, i sammarinesi il 30 maggio del 1547 istituirono la festa di San Quirino, che è stata riconosciuta ufficialmente fino al 1979, poiché il tentativo d'invasione era fallito proprio nel giorno dedicato a questo martire. Nel 1549 fu costruita un’edicola in onore del santo. Tra il 1583 e il 1593 venne poi edificata la chiesa dei cappuccini, anch’essa dedicata a San Quirino.

Grazie alla fine opera diplomatica che i sammarinesi seppero mettere in pratica per sopravvivere lungo tutto questo irrequieto periodo, che si deve soprattutto a figure rilevanti come Antonio Orafo, Giambattista Belluzzi e Giuliano Corbelli, nel 1548 essi riuscirono ad ottenere un'importante lettera da parte del cardinale Guido Ascanio Sforza con cui veniva riconosciuta la libertà di San Marino e l'esenzione da tutti i tributi e pagamenti allo Stato Ecclesiastico. Questi diritti vennero poi confermati l’anno successivo con lettera di papa Paolo III.

Nel 1549 vi fu tuttavia un altro tentativo d'invasione, questa volta da parte di Leonardo (o Lionello)  Pio, signore di Verucchio, contro cui inviarono aiuti il duca Guidobaldo di Urbino e il conte Fabrizio del Bagno, signore di Montebello, timorosi della nascita di una nuova e minacciosa signoria sui loro confini, e desiderosi quindi di mantenere gli equilibri preesistenti.

L’avventura di Leonardo Pio, pur rientrando nella logica tipica di molti signori dell’epoca di volersi creare un principato personale o di voler potenziare quello di cui erano già proprietari, può spiegarsi anche con i lunghi e spesso sanguinosi dissidi che da tempi immemorabili esistevano tra Verucchio e San Marino per motivi di definizione dei confini. E' probabile infatti che in tempi antichi una zona sui confini di Verucchio appartenesse a San Marino, persa poi nel corso del tempo per qualche motivo. Con le guerre vinte contro i Malatesta, i sammarinesi si erano convinti di essersi riappropriati anche dei diritti su queste terre, ma il trattato che li premiava con l’ampliamento del loro territorio in alcune sue parti era ambiguo e la cessione di tali terre di confine non ben specificata, per cui gli abitanti di Verucchio ne contestarono il passaggio di proprietà. Scoppiarono dunque ostilità a volte violente, con morti ed atti di guerra per la definizione dei confini. Diversi sammarinesi, che erano proprietari privati di terre nel territorio di Verucchio, da cui avrebbero voluto estrarre, come avevano sempre fatto, i prodotti coltivati, si videro per diversi anni negati tali diritti proprio da Lionello.

Il 1541 fu l'anno più velenoso della lunga controversia, ed entrambi i contendenti si misero a preparare una vera e propria guerra. Nel 1543 si riuscì a giungere ad una pace ridefinendo i confini secondo le pretese di Verucchio; in compenso San Marino ottenne vantaggi di natura fiscale nell'estrazione dei prodotti agricoli dai terreni collocati sotto il dominio di Verucchio. Le polemiche però non si assopirono e le tensioni rimasero ben vive anche in seguito, fino al tentativo d’invasione di cui si è detto, ed anche oltre, ma per fortuna non feroci come negli anni precedenti.

Come conseguenza di questo ulteriore tentativo fallito, il 20 maggio 1549 vennero stipulati nuovi patti di protezione con Urbino, che s’impegnava ancora una volta a prestare il suo soccorso alla comunità sammarinese in caso di bisogno. Inoltre si stabilì il rinforzo ulteriore del terzo girone delle mura difensive. Alla fine del secolo vennero poi varate limitazioni all'ingresso di stranieri in territorio, e norme più rigorose per ottenere la cittadinanza sammarinese.

Negli anni seguenti non vi furono più tentativi di occupazione, ma San Marino dovette affrontare spinose beghe interne dovute a gravi dissidi in Consiglio tra alcune famiglie patrizie locali, i Brancuti ed i Belluzzi. Non riuscendo a sistemare autonomamente la faccenda, si fece ricorso al duca Guidobaldo d’Urbino, protettore ma anche controllore della comunità sammarinese, che nel 1560 inviò un suo funzionario, Marcantonio Tortora, per sedare la controversia. Costui risolse la diatriba facendo riconvocare l’arengo dei capifamiglia, da anni accantonato, per rinnovare il Consiglio dei LX.

Anche negli anni successivi l’arengo tornò a riunirsi per cambiare con regolarità nove consiglieri ogni semestre, ma ben presto questo sistema creò problemi e malcontento negli ottimati del paese, tanto che nel 1571 si decise, col benestare del duca, di abbandonarlo, e si sancì ufficialmente la nomina per cooptazione (ovvero all'interno del Consiglio stesso) dei consiglieri mancanti, instaurando di fatto quel sistema oligarchico, cioè gestito da pochi individui, destinato a durare fino all’arengo del 25 marzo 1906, sistema che poi verrà ufficializzato coi nuovi statuti dati alle stampe nel 1600.

Nel secolo di cui stiamo trattando si svilupparono sempre più le armi a scoppio, e le realtà politiche come San Marino, che in precedenza, quando c’erano solo frecce e spade, potevano sopravvivere bene grazie alle loro difese naturali o architettoniche, si videro costrette a potenziare la fine arte della diplomazia.  C’era però un problema di non poco conto: la piccola comunità del Titano non disponeva dei mezzi economici necessari per finanziare un apparato diplomatico presso le principali corti con cui doveva avere relazioni, né i suoi governanti, tutti non professionisti e non stipendiati, non avevano tempo di viaggiare in largo e in lungo per mantenere rapporti con gli Stati di cui si poteva avere bisogno, o di cui si aveva timore, in un momento storico tanto travagliato. Per questi motivi spesso le autorità sammarinesi si avvalevano di cittadini che lavoravano fuori territorio, o comunque avevano la possibilità, nei loro viaggi personali, di adoperarsi a vantaggio della Repubblica.

Anche prima del Cinquecento troviamo figure, come Marino Calcigni (morto nel 1464), che si prodigarono per San Marino proprio perché lontani dalla loro patria per motivi di lavoro, tuttavia fu il tormentato XVI secolo quello che vide lo sviluppo di questa forma di diplomazia a basso costo.

Un sammarinese che risultò utile alla sua patria come diplomatico occasionale fu Antonio di Paolo de’ Fabri, passato alla storia come mastro Antonio Orafo. Egli nacque nella seconda metà del Quattrocento; da giovane soggiornò ad Urbino, poi nel 1476 emigrò a Roma dove diventò apprendista e aiutante di Andrea Bregno e di altri valenti orafi e gioiellieri. Nel 1492 si mise in proprio acquistando una bottega orafa ben avviata e diventando in breve uno degli artigiani ufficiali di quel papa Alessandro VI Borgia, padre di Cesare, che abbiamo già incontrato, e della famosa Lucrezia Borgia
        Purtroppo non ci sono rimaste particolari tracce della produzione artistica di mastro Antonio, perché gli orafi non erano soliti siglare le loro opere, né renderle in qualche modo attribuibili. Tuttavia documenti dell’epoca ci testimoniano che egli fu a lungo considerato uno dei migliori orefici di Roma, per questo impiegato da tutti i papi succedutisi in quegli anni, nonché da banchieri, ricchi commercianti e altri potenti delle diverse realtà politiche italiane. E’ presumibile, dunque, che la sua produzione fosse abbondante e di elevata qualità. La posizione sociale che egli seppe conquistarsi gli permise di entrare in contatto con il fior fiore degli artisti dell’epoca, tra i quali si fece amici rilevanti e famosi, come Pietro Bembo, Baldassarre Castiglione, Giulio Romano, Benvenuto Cellini e soprattutto Raffaello Sanzio da Urbino, a cui Antonio fu legato da grande confidenza, e anche da qualche rapporto di lavoro.

Altro importante diplomatico sammarinese, sempre occasionale naturalmente, fu Giambattista Belluzzi (1506-1554), famoso architetto militare, genero di Girolamo Genga da cui apprese il mestiere, che lavorò per il duca di Urbino e soprattutto per i Medici di Firenze, per i quali costruì fortificazioni attorno a diverse loro città.

Ultima grande figura di questo secolo cui merita dedicare qualche riga è Giuliano Corbelli (1515-1602), che fu governatore di varie città laziali, marchigiane, romagnole ed umbre. Fu a lungo anche a servizio del duca di Urbino, la cui corte era un preciso punto di riferimento e di apprendistato per quei pochi giovani sammarinesi che per intelletto, maestria o mezzi economici potevano permettersi di essere più di un contadino o di un commerciante, unici mestieri possibili a San Marino in questo periodo. Corbelli fu anche sette volte Reggente. Le tante lettere autografe che ci ha lasciato testimoniano che si occupò di molti problemi a vantaggio di San Marino, in particolare dell’annosa questione della definizione dei confini con i paesi limitrofi, dell’importazione di carne, biade, sale e di altro ancora

 

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