Pagina Iniziale

 

Vita quotidiana nel comune

 

I primi statuti sammarinesi risalgono alla fine del Duecento o agli inizi del secolo successivo. Da questa data in poi la legislazione sammarinese venne via via arricchendosi con l'aggiunta di norme sempre più complesse ed adatte all'evoluzione dei tempi e alla crescita della società sammarinese, o addirittura con la ristesura degli statuti quando le aggiunte o le riforme da apportare erano molte. Per questo motivo vennero rifatti a metà '300, poi di nuovo tra la fine del '400 e gli inizi del '500, infine nel 1600. Questi ultimi statuti rimasero in vigore per i secoli successivi, ed ancora oggi alcune loro norme di natura costituzionale hanno qualche importanza giuridica.
Al di là della loro importanza come leggi da rispettare, gli statuti sono anche una documentazione precisa da cui poter ricavare infinite informazioni sulla vita quotidiana di San Marino in questi secoli. Grazie a loro scopriamo, per esempio, che una delle prime preoccupazioni dei Sammarinesi del periodo comunale fu la difesa del centro abitato che si era sviluppato sul monte tramite la manutenzione costante delle mura e delle rocche, e l'organizzazione rigorosa di una milizia cittadina in grado di combattere e di difendere il paese.
A questa difesa dovevano partecipare obbligatoriamente tutti i cittadini maschi, anche se, volendo, ci si poteva far sostituire pagando la cifra di due soldi. Il servizio di guardia, in tempi di pace solo notturno, iniziava alla sera dopo un particolare suono della campana, e proseguiva poi fino all'alba. Chi, durante eventuali ispezioni, fosse stato trovato a dormire, doveva pagare una multa di quattro denari. Ad un ulteriore suono della campana era fatto divieto a tutti, senza alcuna eccezione, di girare per le vie del paese senza lume. Chi l'avesse fatto non solo era costretto a pagare una multa, ma anche i danni di eventuali furti commessi in quella notte. Il servizio di guardia notturno doveva provvedere anche agli incendi (siamo in un periodo in cui ancora la maggior parte delle abitazioni era di legno). Per gli incendiari era prevista la decapitazione o il rogo.  
Si entrava nel paese attraverso le porte che erano collocate nelle mura e che venivano puntualmente chiuse di notte e riaperte con la luce del mattino. Le vie della comunità erano strette, tortuose e d'andamento irregolare, probabilmente piene di fango e sporcizia perchè nel paese circolavano gli animali dei residenti, che disponevano anche di orti da cui ricavare qualche cosa da mangiare, soprattutto in caso di assedio prolungato. Gli animali dovevano creare anche qualche problema in un paese così stretto ed arrampicato sopra un monte: infatti nelle disposizioni statutarie del 1338 si fa divieto ad ogni famiglia di tenere più di tre capre. Solo le famiglie residenti a Casole e a San Giovanni ne potevano tenere sei perché avevano pascoli adeguati. 
Vi erano rigorose norme statutarie che cercavano di tutelare con meticolosità l'igiene pubblica, che in questi anni era frequentemente messa in pericolo da malattie epidemiche come colera e tifo, arrivando anche a costringere i proprietari delle case a pulire almeno una volta alla settimana la strada davanti alla loro abitazione. Ovviamente non vi erano spazzini pubblici, e nemmeno operai pagati dallo Stato che sistemassero strade o altre infrastrutture in caso di guasto. Tutto doveva essere fatto gratuitamente dai cittadini o dai residenti. Tuttavia non doveva essere per nulla facile mantenere pulito il paese, soprattutto finché vi hanno liberamente scorazzato animali domestici di tutte le specie. Inoltre vi era scarsità di acqua potabile sul monte 
l’acqua potabile; infatti fino agli ultimi anni del Quattrocento, quando vennero costruite le grandiose cisterne sotto il Pianello, in grado di contenere 2.000 metri cubi d’acqua, funzionò solo la piccola cisterna pubblica di appena 270 metri cubi detta “dei fossi” ai piedi della Guaita e qualche pozzo privato, per cui la carenza d'acqua era piuttosto costante, soprattutto in estate quando pozzi e cisterne si prosciugavano e si doveva ricorrere al trasporto a pagamento da zone anche lontane. Problemi igienici, soprattutto per Città, saranno ricorrenti fino a tempi molto vicini a noi.
Non sembra che nei primi tempi del comune San Marino disponesse di una piazza, così come fino ai primi anni del Trecento non aveva ancora un palazzo pubblico adibito alle riunioni del Consiglio dei LX, cioè l'organo politico che lo gestiva. Solo in questi anni, infatti, si parla di una casa privata, denominata Domus Comunis, in cui si riunivano i magistrati del comune.  
L'arengo, invece, che era l'assemblea politica principale della comunità, ed anche la più numerosa perché comprendeva tutti i capifamiglia sammarinesi, continuò per il corso del Medioevo a riunirsi  nel chiostro della pieve. D'altra parte questo edificio, insieme alle rocche, era l'unica infrastruttura di un certo valore architettonico del paese, almeno fino al 1361, data in cui venne edificata per opera di maestranze di Como la chiesa di San Francesco, che era
comunque molto più piccola dell’attuale, e i francescani, il cui convento in precedenza sorgeva in località Murata, si trasferirono per motivi di sicurezza a ridosso del secondo girone delle mura del paese, poiché in quegli anni il terzo girone ancora non era stato eretto.
Nel paese, soprattutto in Borgo, c'erano botteghe adatte al commercio dei pochi prodotti dell'epoca, così come taverne in cui bere del buon vino, ed edifici adibiti a ostelli. San Marino nei secoli del periodo comunale non era certo isolato; anzi, grazie alla sua posizione di luogo di mezzo, com'è stato definito, tra la riviera e l'entroterra sembra proprio che fosse una zona frequentata sia dai commercianti che vi venivano attratti dai mercati che vi si tenevano ogni mercoledì, sia da uno stuolo di artigiani, notai, medici, maestri di scuola che qui immigravano temporaneamente, o anche in maniera definitiva. Non a caso
nella prima metà del Trecento il “Mercatale” venne ampliato con l’acquisizione e la sistemazione di nuovi spazi in cui svolgere mercati e fiere. E' questo il periodo in cui anche famiglie locali, come i Belluzzi, riuscirono ad accumulare ricchezze grazie ai traffici commerciali, in particolare di stoffe, cui si dedicavano. .
L'immigrazione di personale qualificato e specializzato in mestieri utili alla comunità era spesso sollecitata o anche finanziata dagli stessi Sammarinesi. E' senz'altro il caso dei maestri di scuola elementare, presenti nel comune con sicurezza dal 1418 (possediamo di quest'anno un documento in cui il maestro chiede un aumento di stipendio), ma probabilmente anche dagli anni precedenti. Vi sono tracce, a partire dal 1350, della presenza pure di medici a San Marino, o almeno di personale che aveva qualche rudimentale conoscenza della medicina dell'epoca, che era un misto di erboristeria, magia e superstizione. Di quest'anno esiste un contratto tra le autorità sammarinesi ed un certo Andrea barberius, il quale s'impegnava a fare da chirurgo per il salario di cinque lire annue. Per il 1415 è ricordato come medico condotto un certo maestro Gasparino da Bologna. 
Questo bisogno di reclutare personale straniero lascia ipotizzare un certo sottopopolamento del comune sammarinese. D'altra parte la stessa ipotesi è avallata anche dal fatto che nei primi statuti non vi sono norme che limitino la cittadinanza del comune. In pratica era cittadino sammarinese chiunque decideva di stabilirsi in questo luogo. Nel 1317 qualche limite lo si incomincia a porre vietando ai nobili ed ai potenti di poter acquistare una casa all'interno del paese ed anche nelle sue immediate vicinanze. Nel 1339 si creano altri vincoli, segno certo che ormai il comune doveva essere una realtà politica già ben articolata. Da quest'anno in poi chi voleva abitare nel territorio sammarinese doveva dare adeguate assicurazioni, attraverso un giuramento prestato davanti alla Reggenza, di volersi attenere alle leggi ed agli statuti del luogo, e di comportarsi sempre bene così come faceva chi già vi abitava.

D’altronde tra XII e XIII secolo San Marino fu caratterizzato da un importante incremento demografico e da un forte aumento dei coltivi, e la sua economia silvo-pastorale dei secoli precedenti lasciò sempre più spazio all’agricoltura. Questo ovviamente determinò un aumento del numero dei villaggi rurali e della popolazione in genere, ma anche una trasformazione del paesaggio con la graduale riduzione delle vaste aree boschive di cui disponeva nei secoli precedenti.

Solo dal 1461, comunque, venne introdotta una norma che stabiliva con meticolosità le regole ed il rituale per diventare cittadini sammarinesi.  
Nel periodo di cui stiamo trattando, precisamente nell'anno 1371, il territorio sammarinese, che non era esteso come adesso perché privo ancora dei castelli di Fiorentino, Montegiardino, Faetano e Serravalle (ottenuti dal Papa solo nel 1463 come ricompensa per l'aiuto ricevuto dai Sammarinesi nella guerra contro i Malatesta, signori di Rimini) era abitato da circa 1.000 persone. Sebbene alcuni di costoro fossero sicuramente impegnati in attività artigianali e mercantili, la stragrande maggioranza era dedita esclusivamente al lavoro della terra, e vi ricavava in genere lo stretto necessario per sopravvivere. L'agricoltura sammarinese era prevalentemente a conduzione famigliare, ovvero erano molte le famiglie proprietarie di piccoli appezzamenti di terra da cui ricavavano prodotti sufficienti solo per l'autoconsumo.
Dai documenti rimastici in questo periodo San Marino ci appare comunque ancora come un luogo ricco di selve di faggeti e di tigli da cui poter ricavare legna per i più svariati usi artigianali, ed in cui si era dediti prevalentemente alla coltivazione della vite, del frumento, dell'orzo, della fava, ed in minor misura a quella dell'olivo, del fico, del pero, della quercia e del castagno. Per evitare il rischio delle carestie, ricorrenti in tutti i secoli dell'alto e basso Medioevo, ma ancor più in quelli successivi fino al XIX, e far sì che la popolazione avesse sempre scorte alimentari su cui contare, veniva attuata una precisa politica protezionistica tesa ad evitare in particolare l'esportazione dei cereali e dei legumi, segno evidente che questi prodotti erano quelli principali alla base dell'alimentazione dei Sammarinesi.
Discreto doveva essere anche l'allevamento ovino, così come molte famiglie si dedicavano all'allevamento dei colombi, utili come riserva alimentare, ma importanti anche come fonte di concime naturale per terreni in gran parte calanchivi e poco fertili. Le pene per chi uccideva deliberatamente un colombo non di sua proprietà erano severissime e rimasero tali fino all’Ottocento (si poteva essere espulsi dal territorio per periodi lunghissimi), testimonianza evidente dell'importanza che avevano questi volatili in un'economia sostanzialmente povera. L'allevamento di animali di grossa taglia, invece, doveva essere assai limitato, visto che il possesso di buoi era agli inizi del Trecento un chiaro indizio di appartenenza all'elite economica del comune.
Vi sono testimonianze che ci fanno intuire che una occupazione economica di un certo rilievo per i Sammarinesi  in questi secoli fu sicuramente l'attività militare come soldati mercenari al servizio dei vari signorotti italiani.

Copyright© 2004 Verter Casali