La vita
quotidiana a San Marino durante l'Ottocento
La vita a cui siamo abituati
oggi è estremamente diversa da quella che si viveva appena un secolo fa, perché
nel mondo sono avvenuti mutamenti tali da modificare in profondità il
significato stesso dell'esistenza, il modo in cui l'affrontiamo, in cui
misuriamo il nostro tempo o ci nutriamo, la maniera in cui ci vestiamo ed il
senso per cui ci si veste, i divertimenti, ecc. Se rinascesse oggi un
sammarinese qualunque vissuto solo 150 anni fa, non potrebbe capire tanti
aspetti di questa nostra frenetica esistenza, né gli riuscirebbe
facile riconoscere quello che era il suo paese, perché tantissimi sono
stati al suo interno i mutamenti radicali.
La Repubblica di San Marino era una realtà politica assai
povera, soprattutto nei primi sessanta-settant'anni dell'Ottocento, dove la
maggior parte della popolazione era dedita all'agricoltura e viveva alla
giornata, curando soprattutto di procacciarsi i mezzi con cui sopravvivere sia
nella bella che nella cattiva stagione. La terra era il bene più prezioso che si
poteva all'epoca possedere. Moltissimi residenti erano proprietari di terra,
anche se in genere gli appezzamenti erano talmente piccoli da non riuscire a
garantire quasi mai una certa tranquillità economica ed alimentare. Pochi erano
i proprietari di porzioni territoriali di una certa ampiezza, capaci di
garantire ricchezza ed abbondanza. Costoro erano gli uomini più influenti del
territorio, coloro che spesso lo gestivano anche politicamente. La loro terra
veniva lavorata da mezzadri, fittavoli e casanolanti, cioè i
proletari dell'epoca che non possedevano nulla se non la loro capacità di
lavorare, e che stavano a nolo nelle case poste sulle terre che dovevano
coltivare. Anche molti dei piccoli proprietari terrieri per arrotondare le loro
scarse entrate lavoravano i terreni dei grandi proprietari, così come in tanti
nei mesi invernali, quando non si poteva lavorare la terra, erano soggetti
alla cosiddetta emigrazione temporanea perchè
emigrare per qualche mese in Toscana o nel Lazio a fare i braccianti, i muratori o quello che gli
capitava.
Le famiglie erano molto più numerose di oggi; ogni coppia di
sposi in genere aveva parecchi figli che, soprattutto in campagna,
rappresentavano fin da piccoli un importante aiuto per sbrigare le faccende più
facili, ma anche per lavorare nei campi. All'interno di un bilancio famigliare, i
figli costavano sicuramente molto meno di quanto non costino oggi, perché le
esigenze erano assai scarse, i vestiti, molto semplici e grossolani, di
tessuto robusto, venivano riciclati in continuazione, così come le scarpe; tutti
mangiavano quel poco che si riusciva a rimediare ogni giorno.
I ragazzi solo raramente venivano mandati a scuola, per cui non vi erano spese
per libri o altro. Lo Stato sammarinese, d'altronde, fino all'ultimo trentennio
del secolo non ebbe la possibilità economica di spendere grosse cifre per lo
sviluppo delle sue scuole. Esisteva solo in Città una scuola elementare con un
corso scolastico quinquennale completo. La scuola di Borgo ebbe fino alla fine
del secolo solo le prime due classi. A Serravalle una scuola elementare gestita
da un maestro professionista venne attivata solo a partire dal 1866. Negli altri
Castelli fino agli anni '90vi furono solo scuole parrocchiali gestite da
sacerdoti o da volontari che il più delle volte sapevano a mala pena leggere e
scrivere. Anche le scuole superiori non versavano in condizioni migliori,
tuttavia a queste lo Stato sammarinese per tutto l'Ottocento dedicò le
maggiori risorse, soprattutto per dar la possibilità a chi se lo poteva
permettere, ovvero ai rampolli delle famiglie più abbienti, di crearsi una
cultura con cui andare all'università, o inserirsi gradualmente nella gestione
della Repubblica. Una simile situazione scolastica fece sì che per tutto il
secolo scorso l'analfabetismo fosse una caratteristica della maggior parte dei
sammarinesi. La vita comunque era molto più semplice ed elementare della nostra,
per cui l'esigenza di essere alfabetizzati, o di avere una cultura scolastica,
era estremamente circoscritta. Anzi, dai più il tempo che si spendeva per
recarsi a scuola o per leggere e studiare era considerato sprecato.
La cultura dominante, ovvero diffusa fra tutti, era quella
legata alla religione cattolica. San Marino fu per secoli circondato dallo Stato
Pontificio che ne condizionava la politica interna ed estera, ed ovviamente
anche la mentalità. Tutti i sammarinesi si recavano puntualmente a messa, ed i
sacerdoti avevano così la possibilità di diventare per tutti un preciso punto di
riferimento a cui chiedere consigli, informazioni, modi di procedere. Inoltre il
diffuso analfabetismo obbligava tutti a rivolgersi a chi sapeva leggere o
scrivere quando vi era il bisogno di interpretare o di produrre uno scritto, ed
in genere il prete svolgeva gratuitamente questo compito, attirando a sé tutti
coloro che non potevano permettersi i servizi di un amanuense. E' chiaro che
questo gli consentiva di avere una forte autorità, ed un incidente carisma
all'interno delle minuscole comunità in cui operava, quindi di essere anche
una figura culturalmente molto influente a cui ci si rivolgeva con frequenza. La
messa poi era uno dei rari momenti in cui le comunità si raggruppavano con
scadenze regolari, svolgendo così una importante funzione di coesione sociale.
In un mondo in cui le distrazioni ed i divertimenti erano minimi, andare a messa
era anche un felice diversivo, soprattutto per le donne che ne potevano
approfittare per fare chiacchiere e scambiarsi opinioni. Gli uomini avevano le
bettole e le osterie in cui incontrarsi, luoghi invece sconvenienti per le
donne. Qui giocavano a carte, a biliardo (nei pochi locali dove c'era), a
scacchi, alla morra, a piripicchio, a biribisso, un gioco
d'azzardo che lo Stato dava in appalto a privati dietro compenso, e bevevano in
abbondanza il fresco e pregiato vino locale. L'alcolismo era un grosso problema dei
sammarinesi del passato: puntualmente scoppiavano risse e ferimenti provocati da
chi si sbronzava, e scattavano arresti per ubriachezza molesta. Una notte o due
all'interno della gelida Rocca, la prigione dell'epoca, in genere bastava come
punizione, a meno che l'arrestato non avesse provocato guai troppo consistenti,
facili d'altra parte a verificarsi, perché tutti gli uomini giravano armati di
coltello, a volte anche con armi da fuoco, per cui le risse non sempre si
fermavano alle scazzottate. Inoltre c'era un alto senso dell'onore che per noi è
difficile da comprendere, per cui le liti potevano scoppiare anche per motivi
estremamente futili. Il paese era pettegolo: tutti sapevano di tutti, e spesso
circolavano gratuitamente chiacchiere e diffamazioni sull'uno o
sull'altro. Se si sapeva da dove era partita la diffamazione, o si presumeva di
saperlo, puntualmente il diffamato, a volte accompagnato da parenti ed amici,
affrontava direttamente il presunto colpevole, e scatenava un putiferio per
eliminare l'offesa subita. Gli atti processuali sono colmi di denunce per
offese ricevute o date, e per le immancabili selvagge polemiche che ne
derivavano; se calcoliamo poi che molto probabilmente non tutti si rivolgevano
alle autorità per denunciare i misfatti subiti, possiamo senz'altro considerare
ancora più ampio il fenomeno. Ogni tanto, per fortuna raramente, ci scappava
anche il morto, ma d'altra parte la società era assai più violenta di quanto non
lo sia oggi, ed i morti ammazzati ne erano un'inevitabile conseguenza.
I divertimenti a cui ogni tanto ci si poteva dedicare
erano pochi: soprattutto i balli privati o pubblici organizzati sia in campagna,
sia nel teatro di Città erano i momenti di svago più apprezzati da tutti. Alcuni
musicisti del paese, generalmente dilettanti della locale banda, si offrivano di
suonare, e la festa, specie nel periodo di carnevale, si organizzava in fretta.
In certi periodi dell'anno, invece, ovvero quelli in cui la religione invitava
alla moderazione ed all'autocontrollo, i balli erano categoricamente vietati, ed
il comportamento di tutti doveva essere più misurato del solito, se non si
voleva apparire indecorosi e dar addito agli immancabili maligni pettegolezzi.
Tra l'altro i sacerdoti esercitavano anche un rigoroso controllo sui
comportamenti dei loro parrocchiani, ed erano sempre pronti a riprendere con
vigore chi non avesse seguito al dettaglio i precetti della Chiesa, arrivando a
denunciarli anche al vescovo, il quale poi faceva pressioni sulle autorità
laiche affinché i colpevoli venissero sgridati. Tanta era la forza dello Stato
della Chiesa e della cultura cattolica sulla società sammarinese che un
ragazzino di sei anni d'età dovette subire un mese di prigione perché scoperto
a mangiarsi di nascosto un'ostia consacrata. Il teatro di città, fabbricato agli
inizi del secolo e capace di ospitare circa 600 persone, oltre alle saltuarie
feste da ballo, accoglieva ogni tanto recite e spettacoli imbastiti dai
dilettanti locali, oppure da compagnie di attori girovaghi che capitavano
episodicamente (non certo con frequenza) sul Titano. Un teatro molto più misero,
che non a caso verrà ricostruito negli anni '70, esisteva anche in Borgo. Gli
altri Castelli erano molto più meschini perché composti prevalentemente da
povere e squallide abitazioni rurali.
Le case più belle e signorili di San Marino si trovavano in
Città, nei pressi del palazzo pubblico. Erano le dimore dei Signori, come
venivano chiamati dai popolani, cioè di coloro che possedevano molta terra sia
all'interno dei confini, sia all'esterno, e che quindi potevano vivere di
rendita. Costoro per lunghi secoli furono i principali governanti del piccolo
Stato; erano anche coloro che in una maniera o in un'altra vincolavano a sé la
popolazione. Infatti come proprietari terrieri davano lavoro ad una moltitudine
di contadini, ma anche a muratori, braccianti, falegnami, commercianti, creando
clientele tali da lasciare la società sempre strutturata nella stessa maniera,
cioè con pochi che comandavano e vivevano bene, e molti che campavano alla
meglio con rendite piuttosto misere. Se poi questa situazione entrava per
qualche motivo in crisi, per una pestilenza, un anno di cattivo raccolto, uno
sconvolgimento bellico o altro ancora, molti del popolo cadevano in repentina
miseria perché era assai difficile negli anni buoni risparmiare o accumulare
tanto da poter superare senza grossi problemi anche i periodi più infausti.
Questo stesso problema lo avevano sia le persone anziane, che spesso
erano costrette a campare in miseria perché non avevano più la forza di
lavorare, e non erano riuscite a risparmiare tanto da vivere comunque
agiatamente, sia le donne sole, che stentavano a trovare lavoro, e, quando lo
trovavano, erano sottopagate. Lo Stato, quando poteva, provvedeva a distribuire
qualche modesta cifra, o del cibo ai più indigenti, ma non sempre era nelle
condizioni economiche necessarie per farlo. Per buona parte del secolo scorso
operò anche una Congregazione di carità che aveva il
compito di aiutare i più bisognosi, ma anche questa organizzazione poteva
fornire aiuti solo limitati per gli scarsi fondi che aveva a disposizione.
Nel
corso dell'Ottocento vi sono state alcune carestie, ed alcune epidemie di colera
a San Marino, con forti ripercussioni negative sull'intera società. Fino al
1865, inoltre, non venne istituito un ospedale, e la Repubblica poté far fronte
ai disagi sanitari della cittadinanza solo tramite il lavoro di tre medici, e di
alcuni volontari che portavano aiuto agli ammalati per puro spirito
caritatevole. La medicina e la farmacologia erano tra l'altro estremamente più
arcaiche della nostre, e spesso riuscivano ad ottenere solo risultati molto
parziali rispetto ai gravi problemi sanitari che erano costrette ad affrontare.
Da qui un'elevata mortalità infantile che manteneva il numero della popolazione
piuttosto basso, anche se l'Ottocento rispetto ai secoli precedenti vide una
rapida crescita demografica in quanto la popolazione da 3.000 individui, com'era
composta sul finir del '700, passò a 9.000 residenti alla fine dell'Ottocento.
Evidentemente la situazione igienica ed alimentare, pur essendo in generale
peggiore della nostra, era di gran lunga migliore di quella del passato.
Fino alla seconda metà del secolo vi fu un'unica strada
carrozzabile che portava direttamente da Rimini al Borgo. Da qui per andare in
Città vi era un'altra strada estremamente ripida, tanto che per trainare in cima
al monte carri di un certo peso non bastavano nemmeno i cavalli, ma occorrevano
i buoi. Le altre strade erano poco più di sentieri che si deterioravano
con facilità. In genere chi abitava ai loro bordi era tenuto a ripristinarle. La
Città era molto più circoscritta di oggi: praticamente corrispondeva all'abitato
antico, quello racchiuso entro le mura. All'esterno vi erano case, soprattutto
nelle cosiddette Spiagge o Piagge, ma in queste zone il monte conservava ancora
una forte parvenza rurale. Le porte della Città venivano chiuse tutte le sere,
per evitare che durante la notte vi si introducessero malintenzionati, e
venivano riaperte tutte le mattine dai portinai, addetti a queste mansioni che
in genere abitavano sopra o nei pressi della porta, e che per questo lavoro
percepivano un modesto compenso. Anche la Città antica, comunque, aveva un
aspetto senz'altro molto più squallido e dimesso (pur se più genuino)
dell'odierno. A parte quelle poche case signorili di cui si è detto, le altre
case erano meschine e spesso anche malmesse; in diverse zone però non erano così
ammucchiate come appaiono oggi. Nella prima metà del secolo, precisamente negli
anni '30, venne edificata la nuova Pieve, unico edificio di una certa imponenza
presente. Il palazzo del governo era piccolo e malandato, tanto che per tutto il
secolo si sentì l'esigenza di costruirne un altro, anche se si poté realizzarlo
solo nel decennio 1884-1894, perché fino ad allora non fu possibile rimediare i
soldi necessari. Sia la Pieve, sia il Palazzo Pubblico furono riedificati nel
sito di sempre. Il Pianello, cioè la piazza dove si trova il Palazzo Pubblico,
era un luogo di ritrovo per la gente che vi andava per chiacchierare o per bersi
qualcosa nella bettola che vi era. In mezzo al Pianello sorgeva una grossa
fontana da cui le donne attingevano l'acqua dalle cisterne sottostanti che
fungevano da acquedotto per l'intero centro storico. Nella cisterna venivano
tenuti parecchi pesci rossi perché si credeva che questi purificassero l'acqua
cibandosi dei microrganismi che vi potevano penetrare. Inoltre erano anche una
precisa spia dello stato dell'acqua, perché se morivano era segno che bisognava
svuotare le cisterne e pulirle perché erano inquinate. L'inquinamento era assai
probabile, tra l'altro, perché fino alla fine del secolo le case non vennero
dotate di grondaie, così che l'acqua piovana, non indirizzata lungo percorsi
prestabiliti, regolarmente andava a sporcare il contenuto delle cisterne.
In Città vi erano pochissimi negozi: intorno alla metà del
secolo c'era una spezieria, cioè una farmacia dell'epoca, due caffé con biliardo
e locanda, alcune botteghe dove si vendevano sali, tabacchi, generi alimentari,
articoli di sartoria e calzoleria. La maggior parte di negozi era
concentrata invece in Borgo, vero centro commerciale dello Stato sammarinese.
Qui ogni mercoledì si svolgeva il mercato, e qualche volta all'anno fiere dalle
dimensioni più ingenti. Vi si commerciava soprattutto bestiame, che era la
mercanzia più remunerativa della povera economia sammarinese, generi alimentari,
stoffe ed articoli agricoli. Il mercato era un luogo di ritrovo assai importante
per la comunità, perché vi intervenivano moltissime persone, sia del territorio
che del suo circondario, e permetteva di avere informazioni anche su quello che
stava succedendo nel mondo, e di mantenere contatti con tutti. Non a caso i
giovani che cominceranno a contestare politicamente il governo sammarinese dalla
metà dell'Ottocento in poi saranno quasi tutti del Borgo.
L'alimentazione dei Sammarinesi risentiva ovviamente degli
scarsi mezzi economici a disposizione: pane e vino erano gli alimenti alla base
della dieta di tutti, a cui si potevano aggiungere erbe di campagna, alla cui
raccolta le donne ed i bambini si dedicavano con costanza, polenta, piada,
fava ed altri prodotti vegetariani. I contadini
producevano latte, formaggio, grano, carne, ed altri alimenti con valori
nutrizionali elevati, ma in genere avevano l'esigenza di vendere questi
prodotti, o di darli ai loro padroni, per cui alla fine si dovevano cibare con
alimenti più poveri. Questo determinerà nel tempo gravi ripercussioni negative
sulla salute fisica e mentale di molti individui della classe rurale. Altri
alimenti abituali erano i prodotti di cacciagione, molto più praticata di oggi
anche per la maggiore disponibilità di selvaggina. Si viaggiava assai meno di
quanto non facciamo noi, e ci si spostava soprattutto a piedi. I cavalli erano
un lusso riservato a pochi, ma anche i muli non erano tanto diffusi. Esisteva un
postiglione che assicurava un contatto giornaliero con Rimini, ma un servizio
regolare di
diligenza venne istituito solo nel 1879, per cui fino a questa data per tutti il
miglior mezzo di locomozione rimasero le gambe. Gli uffici e gli impiegati
statali furono pochissimi per tutto il secolo. In pratica l'unico funzionario a
tempo pieno era il Segretario di Stato che sbrigava la maggior parte delle
incombenze burocratiche dello Stato. Solo nella seconda metà del secolo gli si
affiancherà un segretario per le finanze e per gli affari esteri che lo
solleverà dagli impegni legati all'economia del paese, e ai rapporti con
l'estero. Nel 1833 venne aperto il primo ufficio postale della Repubblica. Non
vi erano postini per consegnare la corrispondenza, e chi aspettava una lettera
doveva recarsi sul Pianello in ore prestabilite per verificare se il direttore
dell'ufficio, ovvero l'unico suo impiegato, aveva niente da consegnargli.
Probabilmente il ritiro della posta doveva essere un simpatico rituale a cui
partecipavano di certo anche sfaccendati e curiosi semplicemente per far
chiacchiere o passare un po' di tempo.
Gli uomini del secolo scorso avevano in genere anche un altro
senso del tempo rispetto a quello che abbiamo noi. I ritmi erano meno frenetici,
e gli orologi sicuramente meno usati di oggi. Le campane erano gli strumenti a
cui ci si riferiva per capire l'ora del giorno. Le ore, poi, per buona parte
dell'Ottocento rimasero esclusivamente legate alla luce solare. Esistevano due
sistemi per misurare il tempo del giorno: il sistema all'italiana, e quello alla
francese. Quest'ultimo sistema è quello che abbiamo ereditato noi, e fa iniziare
il giorno legale dalla mezzanotte. Il sistema all'italiana, invece, faceva
iniziare il giorno all'Ave Maria, cioè mezzora dopo il tramonto. La
ventiquattresima ora, quindi, corrispondeva all'ultima ora di luce solare, e la
prima ora del giorno era in realtà l'ora subito dopo il tramonto. Il detto
portare il cappello sulle ventitré significa proprio inclinarlo molto sul viso
per evitare i raggi del sole al tramonto. E' chiaro che questo sistema di
valutazione delle ore variava in base alle stagioni, ed era molto più impreciso
del nostro. Tuttavia non si sentiva il bisogno della nostra precisione, che è
diventata per molti aspetti anche maniacale, perché il tempo reale, quello
importante cioè, era solo il tempo lavorativo, ovvero il tempo legato alla luce
del giorno, poiché i lavori si svolgevano prevalentemente all'aperto. Ci si
alzava presto al mattino, e si andava a letto presto. Molto tempo in casa veniva
passato davanti al camino, elemento indispensabile per riscaldarsi,
cuocere il cibo, raccontarsi storie, immergersi nei propri pensieri. Ovviamente
dava un calore ed un insieme di odori alle abitazioni diversi di quelli che
abitualmente percepiamo all'interno delle nostre dimore. Il clima era molto
diverso dal nostro, soprattutto perché gli inverni erano assai più nevosi. Varie
volte nel corso del secolo vi sono state nevicate tanto abbondanti da isolare
per parecchi giorni i casolari di campagna più sperduti. In simili situazioni i
giovani si organizzavano per portare soccorso ai più bisognosi. Lo spirito di
collaborazione era assai diverso e molto più disinteressato del nostro; la
necessità spingeva la gente ad aiutarsi di più, anche perché molti potevano
vivere solo grazie a quanto gli altri potevano dare loro in modo gratuito. I
Signori erano coloro da cui la società si attendeva di più; per questo era
tradizione in certi giorni dell'anno, come a Natale per esempio, che essi
distribuissero pasti caldi o un pezzo di pane ai più bisognosi che andavano a
porger loro gli auguri.
I Sammarinesi fino al 1842 non ebbero un sistema organizzato
di gendarmi; esisteva anche negli anni precedenti un bargello addetto alle
mansioni di prevenzione dei delitti, tuttavia erano i cittadini stessi che per
legge dovevano a turno prestare servizio nelle locali milizie, e tutelare
l'ordine pubblico.
|