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Serravalle entra nella Contemporaneità

 “Vicino alla frontiera Sammarinese […] è situato il castello di Serravalle patria di Fra Giovanni Bertoldi, grande anzi che no, proporzionatamente popolato, annunziante l’agiatezza di una parte de’ suoi abitanti colla politezza della casa, e avente una bella ed ampia Chiesa nuova, una rocca mal concia, ed altre fortificazioni mezzo-diroccate. Ma il suo stato presente, per quanto non deplorabile, è molto diverso dal passato, giacché nel XV secolo Serravalle era assai forte, contava molta popolazione e delle ricche famiglie, possedeva uno statuto proprio, e aveva il Consiglio di Credenza de’ dodici, e il Consiglio de’ sessanta; tutte cose atte a dimostrare la sua cessata potenza. Adesso non vi si fermano i forestieri e i carrettieri che per prendere dei rinforzi di bovi o cavalli, onde continuare l’erta strada fino a San Marino”.

Così nel 1842 scriveva un visitatore, fornendoci l’immagine di un paese ancora molto “ancien regime”. (O. Brizi, Quadro storico-statistico della serenissima Repubblica di San Marino).

D’altronde la Contemporaneità a San Marino arriva pienamente solo nel Novecento inoltrato, anche se l’aspirazione a modelli sociali diversi e più moderni di quelli dei secoli anteriori matura nel corso dell’Ottocento, specie nei Castelli più popolosi e aperti agli influssi provenienti dall’esterno dei suoi confini. Serravalle era tra questi: nel 1865 era il secondo Castello più abitato dopo quello della Pieve, con 1504 residenti, di cui 490 nel suo centro.

A Serravalle, come in tutta la Repubblica, i primi segni di voglia di progresso si legano alle richieste di riattamento o costruzione di strade, istanze che si accrescono man mano che il XIX secolo si evolve.

Finché i Sammarinesi avevano temuto di essere ghermiti da qualche potente, era stata predominante la logica del “noti a noi e ignoti agli altri”; strade disastrate e mal percorribili garantivano perciò maggiore isolamento.

Nell’Ottocento questa mentalità piano piano mutò, per lasciar spazio alla consapevolezza che il futuro dipendeva dai contatti e dai commerci con gli altri, non dall’autoemarginazione.

Al Consiglio dei LX, i cui verbali sono una fonte inesauribile di notizie di ogni genere sulla metamorfosi di cui si sta parlando, e da cui sono ricavate la maggior parte delle informazioni qui contenute, iniziarono a pervenire in maniera crescente istanze per sviluppare le vie di comunicazione.

Questo avvenne prevalentemente nella seconda metà del secolo, ma già il 7 gennaio 1804 il governo esaminò una petizione tesa a ripristinare la strada sotto Serravalle, definita impraticabile e troppo soggetta a guastarsi durante il periodo invernale.

Il Consiglio incaricò i Reggenti a fare un sopralluogo per fissare i lavori più opportuni. I soldi necessari si sarebbero rimediati con una tassa straordinaria di sei paoli per ognuno o, in alternativa, con tre giornate gratuite di lavoro, com’era prassi in quei tempi.

Nei mesi seguenti s’intrapresero i lavori, pur tra molteplici complicazioni legate alla perenne carenza di soldi in cui versava la pubblica finanza, alla reticenza che molti avevano a lavorare gratis o pagare tasse nuove, alle richieste di rimborso e risarcimento avanzate da chi veniva in qualche modo leso nelle sue proprietà dalle operazioni stabilite. Questi inciampi fermavano i lavori, per cui il governo più volte dovette riparlare della questione per vedere come portare a termine un’infrastruttura ritenuta essenziale.

Lo sviluppo della “Strada Maestra” per il confine proseguì lentamente tra mille intoppi, ma proseguì. Siccome sono occorsi anni per concluderla, ogni tanto emergeva l’esigenza di restaurarla perché si deteriorava per colpa degli agenti atmosferici, e perché non era infrequente che ignoti rubassero la “breccia” di cui era composta. Il compito di mantenerla integra era in genere imposto agli “Adiacenti”, ovvero a chi vi abitava vicino. Dagli inizi dell’Ottocento in poi il mantenimento in efficienza di questa strada divenne una priorità per il governo sammarinese, così come il suo costante miglioramento per ottimizzarne la percorribilità.

Serravalle comprese che un buon collegamento con la strada maestra era fondamentale per il suo sviluppo interno: nel 1829 i suoi abitanti ottennero dal Consiglio “il permesso di costruire una Strada dove non è ora che un semplice sentiero che conduce al detto Castello, esibendosi di pagare al Comune il terreno che converrà impiegare”.

Nella seconda metà del secolo il perfezionamento della strada in questione continuò con la creazione di un nuovo tratto in grado di eliminare il ripido passaggio attraverso Cailungo. Nel 1860 fu assunto anche un cantoniere per accudirla costantemente, insieme a un perito di Serravalle per il suo regolare controllo.

Nei primi anni ’80, dopo che lo Stato v’investì altri soldi, la strada fu migliorata ulteriormente. Nell’agosto del 1883 s’incaricò un ingegnere italiano per il suo collaudo.

Questi nuovi lavori alla “Strada maestra” erano stati indotti anche dalla volontà d’istituire un regolare servizio di diligenza, attivato nel 1879, al posto del postiglione che da secoli garantiva a piedi il servizio di staffetta tra Città e Rimini.

Serravalle divenne una tappa obbligatoria di tale servizio, che avveniva quotidianamente e che qui doveva fermarsi per almeno cinque minuti. Partiva al mattino molto presto da Città rientrando da Rimini nel tardo pomeriggio. Questo servizio costante permise al Castello di diventare sempre meno marginale e chiuso in sé.  

In merito alle attività commerciali e lavorative qui presenti nei secoli passati, possediamo limitate notizie perché tali attività sono rimaste scarsissime fino a anni piuttosto vicini a noi. Si sa che agli inizi dell’Ottocento vi era in loco un fornaio che aveva intrapreso la produzione di pane grazie a un prestito ricevuto dal comune. Infatti nel marzo del 1801, siccome non stava panificando, il Consiglio incaricò “i Sig. Abbondanzieri, accio obblighino il Fornaro a panizare, altrimenti procurino la ricupera del denaro, e ritrovino altra Persona acciò faccia il Pane per detta Popolazione”.

Vi era sicuramente anche un maniscalco dal 1850 circa, forse anche in precedenza, perché il 12 febbraio del 1878  Benedetto Piva fece richiesta al Consiglio di una pensione annua, avendo svolto tale mestiere a Serravalle per 28 anni. La “strana domanda”, come fu definita, venne  respinta.

Nel 1861 esisteva in loco pure una caffetteria gestita da un certo Levrini. Egli chiese il permesso, ottenendolo, di poter vendere i sigari, così come facevano i caffettieri di Città e Borgo.

Era presente nell’area di Serravalle una fornace, di cui vi sono tracce fin dal 1723. Il proprietario Biagio Sorianini, infatti, il 1° agosto di quell’anno supplicò “l’Ill.mo Conseglio a proibire che niuno possa macerare li lini vicino alla sua Fornace in danno della medesima, mentre l’Oratore non puole servirsi dell’acqua putrida per fare li lavori”.

Altre tracce di una fornace a Serravalle, probabilmente la stessa, vi sono nel 1816, all’epoca posseduta da un Montanari, e anche nel 1888 e 1893.

Vi è pure qualche documento che indica l’esistenza nel Castello di una saponeria, di proprietà di Marino Bonelli, il quale nel 1888 avrebbe voluto venderla, insieme ai terreni annessi, a una società riminese.

Il governo sammarinese prese tempo, ma nel Consiglio del 6 settembre seguente decise di non fornire il permesso alla vendita perché l’intenzione degli acquirenti era di fare al suo posto una distilleria, produzione che avrebbe creato problemi col regno italiano.

Bonelli aveva però alcuni guai finanziari da risolvere con urgenza, per cui offrì lo stabile allo Stato, “il quale potrà destinarlo a magazzeno, come un posto assai comodo, avendo molti beni in quella vicinanza gl’Istituti di Beneficenza”. Il Consiglio non ritenne conveniente l’acquisto. 

Essendo Serravalle terra di confine, ogni tanto qualcuno della zona chiedeva di poter produrre e vendere generi di monopolio, come gli alcolici e il tabacco, così da attirare acquirenti italiani, essendo i prezzi sammarinesi su tali merci, come sul sale, di solito leggermente inferiori.

La coltivazione del tabacco fu permessa fino ai primi anni del XIX secolo, poi, dopo aver sottoscritto nel 1802 con l’allora Repubblica Italiana un trattato commerciale, che prevedeva la cessione a San Marino a prezzo di favore di una quantità di foglie di tabacco, si temevano ripercussioni qualora fosse stata permessa in territorio la libera coltivazione del tabacco. Nel 1813 si stabilirono perciò vincoli precisi a tale coltivazione, limitandola a un massimo di 25 piante per famiglia,  e vietandola lungo le strade di passaggio e nei pressi dei confini.

Per parecchi, però, coltivare tabacco era un modo usuale per arrotondare i miseri introiti quotidiani, per cui, dopo ripetute insistenze, un anno dopo il Consiglio tolse il divieto.

Nel 1817 il veto fu ripristinato per un anno, perché nel frattempo era ritornato lo Stato Pontificio ai confini della repubblica, e aveva concesso 11.000 libbre di foglie a prezzo di costo.

Nel dicembre del 1818, alla scadenza del periodo prestabilito, Serravalle, Faetano e Monte Giardino, i Castelli che anche in seguito si dimostreranno i più avversi al divieto, chiesero di potere piantare e coltivare tabacco.

Il governo del Titano avrebbe voluto autorizzarlo, ma nello stesso tempo temeva che Roma ne approfittasse per acuire ancor più le forti tensioni già in atto tra i due Stati.

Dopo lunghe trattative diplomatiche, che non portarono a nulla, il 10 maggio 1820 il Consiglio decretò “che fosse vietato a Chichesia di piantare Tabacco anche nella più piccola quantità entro il Territorio della Repubblica”.

L’ordinanza non impedì nell’immediato il blocco della coltivazione clandestina del tabacco e la sua vendita fuori confine. Infatti nel 1823 giunsero al Consiglio alcune lettere del tesoriere pontificio in cui erano contenute “Lagnanze per li Tabacchi tanto in foglia che in polvere, che s'introducono nello Stato Pontificio proveniente dalla coltivazione che quì vien fatta”, per cui si chiedeva “che questo Governo procuri d'impedire questo mercimonio a scanso di qualunque Disordine che insorgere potesse”.

Una lamentela identica giunse a San Marino il 1° settembre 1825, per cui il Consiglio reiterò di nuovo il divieto e aumentò i controlli per farlo rispettare.

Il 29 gennaio del 1827 Serravalle e Montegiardino tornarono alla carica chiedendo una deroga alla proibizione, ma l’istanza venne respinta perentoriamente, così come avverrà altre volte negli anni seguenti. Da ora in poi aumenteranno invece i processi per contrabbando di tabacco e degli altri generi di monopolio, così come le multe per chi non rispettava le norme emanate.

Anche i Serravallesi, dunque, si dovettero rassegnare all’acquisto di tabacco nelle rivendite autorizzate. Nel Castello il primo spaccio di sali e tabacchi fu permesso dal Consiglio nel giugno del 1850, “con la condizione che le Spese relative agli Spacci suddetti restino a carico di quel Comune, e lasciando all'arbitrio de' rispettivi Ministri l'elezione degli Spacciatori”.

In seguito ottenne il permesso di vendere anche la carta da bollo, e dal ’77 i francobolli, che San Marino aveva iniziato a stampare. Il primo spacciatore fu Marino Giuseppe Montanari.

Un altro tentativo di creare a Serravalle un commercio vi era già stato nel 1840, quando Luigi Ubaldini di Rimini ebbe l’idea di aprirvi una farmacia. Il Consiglio rigettò la richiesta affermando che le due farmacie esistenti sul territorio sammarinese erano “più che bastanti a sovvenire ai bisogni della Popolazione”. Inoltre qui non vi era nessun medico, per cui una farmacia sarebbe risultata inutile.

Nel marzo del 1854 Serravalle tornò a chiedere la creazione di una spezieria, insieme all’istituzione di due fiere annuali da tenersi in loco, ma il Consiglio nuovamente si dimostrò avverso alla richiesta.

Gli anni che si stanno esaminando per Serravalle furono terribili perché, più che in altri Castelli, vi divampò il colera. Tra il ’54 e il ’55 i suoi abitanti esercitarono pressioni sul Consiglio per avere in loco un flebotomo professionista, figura che già tra il ’53 e il ’54 aveva qui esercitato.

Spinsero altresì per ottenere un deposito di medicinali di cui potersi servire in fretta senza doversi recare presso le farmacie di Borgo e Città. Le richieste vennero accettate tra il settembre e il novembre del 1855 perché l’epidemia di colera continuava a imperversare. L’incarico fu affidato a Achille Lugaresi, che dimorò e lavorò per quasi trent’anni nel Castello, divenendo cittadino sammarinese nel 1863.

Quando egli morì, Serravalle fece istanza al governo perché fosse nominato un medico con sede in loco: infatti fin lì il Castello e tutta la sua area erano stati sotto la condotta del medico di Borgo, che aveva la responsabilità di assistere una zona troppo vasta (Faetano, Domagnano, S. Giovanni, Cailungo, Valdragone e Piandavello).

Il Consiglio si rese conto che il lavoro dei tre medici operanti sul territorio era divenuto insostenibile dopo la scomparsa di Lugaresi, per cui il 27 giugno 1883 istituì un quarto posto per l’area di Serravalle. Due mesi dopo fu nominato a tale ruolo il dottor Pietro Buscaroli di Imola.

Negli anni seguenti, tuttavia, i medici resistevano poco nel Castello, andandosene appena era possibile: infatti non avevano una dimora adeguata dove vivere e svolgere il loro mestiere. Solo alla fine del 1888 si riuscì a edificare una casa/ambulatorio.

Altro preciso segno dei nuovi tempi si ha con l’istituzione della scuola elementare locale. Fin dal 1838 i Serravallesi avevano chiesto un contributo al governo per poter creare una “Scuola di leggere e scrivere”. La richiesta era però stata respinta per evitare il rischio che anche altri Castelli pretendessero la stessa innovazione. Il Consiglio era favorevole alla realizzazione di una scuola, purché i costi di gestione fossero a carico del Castello che l’istituiva, ma di più non concedeva.

Il problema fu lasciato decadere, ma nel novembre del ’53 i “Comunisti di Serravalle” ripresentarono un’istanza analoga. Il Consiglio ribadì la stessa posizione di 15 anni prima specificando, inoltre, che un eventuale maestro doveva essere soggetto alla sua approvazione.

I Serravallesi non si scoraggiarono, giungendo alla deliberazione di nominare maestro per i fanciulli don Pasquale Niccolini, cappellano di quella parrocchia: il Consiglio lo approvò nell’ottobre del 1854.

Per una decina d’anni il problema non riapparve, ma nel 1865 al governo giunse una nuova richiesta per avere una scuola che funzionasse con maggiore regolarità, non legata alla pura disponibilità del parroco, che come compenso percepiva una miseria. La popolazione era aumentata di molto, e troppi fanciulli venivano abbandonati a se stessi. Inoltre vi era un tasso di analfabetismo elevatissimo (appena 121 “letterati” su 1504 residenti), come risultava dal censimento svolto nel 1865.

Il Consiglio rispose come in passato: non aveva nulla in contrario, ma si dovevano rimediare autonomamente i denari per aprirla. Così in effetti fu, perché in dicembre il governo fu informato che in loco era stata varata una nuova tassa sull’estimo censuario dei fondi rustici per dar vita all’iniziativa. Il 27 ottobre del 1866 il Consiglio approvò i suoi due insegnanti (Belluzzo Belluzzi e Maddalena Angeli) e accettò che iniziasse a operare, purché adottasse i programmi didattici delle scuole di Città e Borgo.

Nel ’74 si completò l’opera con l’acquisto di una casa privata in pieno centro, definita poi Casa del Governo, per ospitarvi le lezioni, ma anche come quartiere per i gendarmi e eventuale “camera di custodia”.

Altra novità di questi anni fu l’aumento dell’approvvigionamento idrico. Serravalle in passato aveva scarsità d’acqua durante il periodo estivo, per cui nel corso dell’800 più volte si affrontò il problema per aumentarne la disponibilità. Nel 1845 il Consiglio diede il suo permesso per tassare di uno scudo ogni famiglia residente e per vendere un paio di terreni qui locati per scavare una nuova fonte.

Per qualche decennio la situazione migliorò, ma l’aumento della popolazione, che nel corso dell’Ottocento triplicò su tutto il territorio sammarinese, e lo sviluppo di un forte periodo di siccità nel 1878, indussero il Consiglio ad autorizzare la spesa di 387 lire per portare nel centro di Serravalle, tramite un sistema di tubature, l’acqua di una fonte che si trovava nella sua periferia.

Dal marzo del 1867 il comune organizzò meglio anche la distribuzione della posta per i suoi residenti: essa veniva smistata nell’ufficio di Borgo, poi portata il giorno dopo al procaccia locale dal postiglione che si recava a Rimini. 

Politicamente Serravalle, come Castello annesso nel 1463, fu considerato comune in parte autonomo per lunghi secoli. Aveva un proprio statuto e un arengo in cui si prendevano le decisioni d’interesse locale, anche se quelle più importanti dovevano sempre essere avallate dal Consiglio dei LX, organo di cui i Serravallesi, insieme agli abitanti degli altri Castelli annessi (Montegiardino, Faetano, Fiorentino), non potevano far parte. 

L’8 maggio del 1873, però, sorse in Consiglio discussione sulla questione, perché a qualcuno non sembrava giusto che, in una repubblica, i residenti in tali Castelli non fossero considerati uguali a tutti i Sammarinesi, e che “non dovessero essere parificati agli altri nel godimento ed esercizio di tutti i diritti politici, cancellando così ogni traccia dell’annessione dei suddetti Castelli allo Stato della Repubblica”.

Dopo aver approfondito il problema, il 30 agosto si pattuì che anche i residenti nei Castelli annessi dovessero essere parificati agli altri, e “come questi possono essere nominati ed eletti a Consiglieri del Gran Consiglio dei LX”.

In realtà anche prima di questa data qualcuno residente a Serravalle, ma nato in altro Castello o con abitazione in Città, era stato cooptato all’interno del Consiglio dei LX. E’ il caso, per fare un esempio, di un Serravallese doc, Marino Babboni (1836 - 1897), possidente e padre del più noto Gustavo.

Egli era nativo di Domagnano, peculiarità che gli aveva permesso di essere nominato consigliere di terzo ceto il 30 gennaio 1872, prima quindi del decreto del 30 agosto, a cui forse si giunse anche per merito suo.

La prima commissione consigliare di cui fece parte fu quella preposta alla sistemazione e ampliamento della piazza di Serravalle, lavoro a cui si diede vita fin dagli inizi degli anni ’60, e che durò un paio di decenni.

La sua prima reggenza, delle cinque che sostenne, ebbe luogo tra l’aprile e il settembre del 1874. Fu un assiduo frequentatore delle sedute consiliari, perdendone pochissime nei 25 anni in cui rimase consigliere: dote rara, perché in passato molti suoi membri disertavano abitualmente le riunioni del Consiglio, che non di rado era impossibile adunare per mancanza del numero legale.   

Storicamente più celebre di Marino fu il figlio, Gustavo (1878 - 1948), avvocato, presidente del Comitato pro-Arringo, importante e attivo personaggio politico in un periodo assai travagliato per San Marino.

Insieme a Gustavo, molti furono i Serravallesi che nel corso del Novecento salirono ai vertici delle istituzioni sammarinesi, come Moro Morri (1875 - 1965), segretario del Comitato pro - Arringo, Ezio Balducci (1904- 1957), politico che svolse un ruolo fondamentale per difendere San Marino durante la ritirata delle truppe nazi-fasciste, e altri ancora più recenti.

Se in passato Serravalle a lungo mal tollerò la sottomissione a San Marino, aspirando a tornare sotto il controllo di Rimini e dello Stato Pontificio, dall’unità del regno d’Italia in poi non ebbe più tali velleità, integrandosi pienamente nel sistema socio-politico sammarinese.

Fu grazie a Serravalle che l’arengo del 1906 raggiunse il numero legale e ebbe luogo, perché i suoi capifamiglia vi parteciparono in massa (171 votanti su 217 aventi diritto), anche se giunsero alla Pieve, con la banda in testa, all’ultimo minuto.

Inoltre divenne una località politicamente “calda” sia perché qui i socialisti costruirono la loro prima casa del popolo nel 1921, sia perché l’11 maggio 1922 vi avvenne l’omicidio del dottore Carlo Bosi, simpatizzante fascista di Rimini, fatto che scatenò contro San Marino gli strali del fascismo del circondario.

Nel Novecento Serravalle entrò pienamente nella contemporaneità anche per le industrie che  iniziarono a nascervi. Se nel 1908 i Sammarinesi che sopravvivevano facendo i contadini erano ancora più del 70% della popolazione attiva, negli anni seguenti tale numero calò riducendosi al 41% nel 1947, all’8,5% nel 1974.

Questo avvenne perché lavorare la terra era faticoso e ormai poco redditizio rispetto a altri mestieri, che si svilupparono a San Marino dall’epoca fascista in avanti grazie a leggi e scelte politiche tese a favorire l’impianto di industrie.

Nacquero così piccole fabbriche tessili, edili, calzaturiere, di strumenti musicali, impiantate soprattutto sui confini, a Gualdicciolo e a Dogana. Nel 1937 sorse l’industria più grande di San Marino di quegli anni: la Società Tessile Serravalle in grado di impiegare tra i 100 e i 200 operai.

Nel 1957 vi erano ormai in territorio sammarinese 24 piccole industrie che impiegavano 610 operai. Nel 1963 le industrie erano divenute 61, con 1.958 lavoratori, sparse per tutto il territorio, con una concentrazione maggiore a Serravalle (19), Città (13), Acquaviva (10), Borgo (9).

A questo punto della sua storia, Serravalle e la sua area geografica si ritrovavano pienamente nella Contemporaneità, pronte a svilupparsi ancor più in maniera mirabolante e del tutto impensabile fino a meno di un secolo fa.

   

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