Il Seicento
Il XVII secolo si aprì con l’edizione dei nuovi
statuti sammarinesi proprio nell'anno 1600. Nei secoli precedenti,
come si è già visto, diverse furono le edizioni degli statuti ed
innumerevoli le aggiunte ed integrazioni che periodicamente si
rendevano necessarie per aggiornare i bisogni continuamente
emergenti della comunità e della sua legislazione. Anche il ‘500 fu
secolo di continue revisioni degli statuti allora in vigore,
promulgati nel 1491 con aggiunte nel 1505, tant’è che verso la sua
metà venne istituita l’ennesima commissione per rivederli e
correggerli. Nella seconda metà del secolo furono elaborate e messe
in vigore parecchie integrazioni e riforme, finché si decise di dar
vita finalmente ad un nuovo corpo unitario di leggi, codice che ebbe
grande fortuna nei secoli successivi, e che assunse quasi una
fisionomia sacra ed intoccabile nella coscienza collettiva dei
sammarinesi, anche se, ovviamente, fu via via
integrato e aggiornato da norme nuove.
I primi decenni del secolo videro poi l’ultimazione
del convento di Santa Chiara iniziato nel 1569, in pieno fervore
controriformista, ed inaugurato quarant'anni dopo, il 27 aprile
1609. Per la mentalità dell’epoca il convento doveva servire a vari
scopi: quelli liturgici, come luogo di preghiera prettamente
femminile, di cui il paese fin lì era rimasto privo, dove poter
chiedere la benevolenza del Cielo; quelli più pratici, perché era un
posto dove accasare le ragazze prive o carenti di dote, quindi
impossibilitate a maritarsi (perchè senza una dote in questi secoli
una donna difficilmente trovava marito), o quelle emarginate dalla
società, o quelle appartenenti a ricche famiglie che, sposandosi,
avrebbero provocato la frammentazione del loro patrimonio, sempre
per la dote che avrebbero dovuto portare al marito. Entrare in
convento per le fanciulle più ricche aveva comunque dei costi, ma in
genere inferiori a quelli che la famiglia avrebbe dovuto affrontare
per farle maritare.
Il Seicento per la penisola italiana fu un altro
periodo di guerra e di costanti movimenti di truppe, per cui anche
San Marino ogni tanto temette di dover far fronte a qualche problema
di natura bellica. All’interno del Consiglio in più occasioni si
deliberò di rafforzare ulteriormente le mura e le porte d’ingresso
al paese, che venivano regolarmente chiuse al calar del sole, e di
prestare particolare attenzione, tramite le milizie cittadine di cui
si disponeva e di cui dovevano far obbligatoriamente parte tutti i
maschi dai 16 ai 55 anni, ad eventuali movimenti sospetti e
soprattutto nottetempo, quando il paese poteva essere più
vulnerabile.
Vi sono tracce documentali che testimoniano come vari
sammarinesi abbiano fatto parte in qualità di soldati delle truppe
pontificie o di altri eserciti. Pare anche che qualcuno abbia
combattuto contro i turchi, che in questo periodo premevano per
invadere l’Europa occidentale.
A parte questi episodi, comunque, la guerra non
coinvolse la piccola Repubblica, la quale, tuttavia, ebbe altri
gravi problemi da affrontare nei primi decenni del secolo: primo fra
tutti l’estinzione della dinastia dei duchi d’Urbino, che tanto peso
avevano avuto nella sua sopravvivenza e nella formazione della sua
dimensione di Stato indipendente.
Già nel 1603 il duca, non avendo eredi, aveva scritto
ai sammarinesi per comunicare che egli stava facendo passi per
raccomandare la Repubblica al papa affinché la prendesse sotto la
sua protezione, senza alterarne però l’indipendenza. Infatti, in
caso d’estinzione del suo casato, il ducato di Urbino sarebbe
passato sotto il controllo della Santa Sede, e San Marino non
avrebbe più potuto godere della protezione da parte di Urbino che
fin lì lo aveva preservato. Nell’aprile del 1603 papa Clemente VIII
accettava la proposta di divenire protettore della Repubblica anche
a nome dei successori, gratificandola inoltre di alcuni benefici di
natura economica.
Questo atto, che verrà poi riconfermato da papa
Urbano VIII nel 1627, si dimostrerà fondamentale per garantire i
futuri rapporti tra San Marino e Santa Sede, ma darà adito anche a
pericolose ambiguità interpretative legate al concetto di
protezione, perché Roma non considererà mai la Repubblica
completamente indipendente, come lei invece si reputava, ma solo
autonoma per concessione e privilegio dei papi.
Nel 1605 il problema della devoluzione del ducato
parve risolversi grazie alla nascita, inaspettata ormai, di Federico
Ubaldo, il tanto bramato erede del duca. Costui, tuttavia, morì
presto, nel 1623; nel 1631 si spense anche suo padre, per cui San
Marino dovette effettivamente abbandonare la secolare protezione
degli amici urbinati, che così bene li
aveva garantiti, per affidarsi a Roma. Come si vedrà, non sarà un
rapporto sempre facile e reciprocamente rispettoso.
Il passaggio sotto la protezione pontificia può
essere considerato il fatto più importante della storia sammarinese
del XVII secolo, che sostanzialmente fu epoca di relativa
tranquillità per la Repubblica, anche se caratterizzata dai suoi
soliti problemi sociali, in primis l’insufficienza generale di
denaro e di benessere, con tutte le conseguenze negative che la
povertà provocava. Per far fronte alle carenze endemiche di entrate
fiscali, ma anche per definire finalmente i reali confini
sammarinesi, nel 1611 si fecero nuovi catasti da cui oggi è
possibile comprendere che molti residenti dell’epoca (circa 1 su 4)
erano proprietari di piccoli appezzamenti di terra che coltivavano
direttamente per sfamarsi, quando ci riuscivano, perché usualmente i
poderi erano talmente modesti da non essere sufficienti da soli al
sostentamento di chi li lavorava e della sua famiglia.
La popolazione complessiva sul territorio era circa
di 3.500 unità nel 1627, cifra che sarà soggetta nei secoli
successivi a qualche fluttuazione legata ai tempi più o meno
calamitosi, arrivando al numero di 3.100 unità circa nel 1772, e che
comincerà a ricrescere solo dal XIX secolo.
Gli scambi commerciali nei mercati e nelle fiere del
Borgo furono in questo secolo senz’altro inferiori al passato, segno
di una certa decadenza economica. D’altra parte lo stesso Consiglio
per far quadrare i conti del bilancio dello Stato aveva necessità di
ricorrere ogni tanto a prestiti, forniti quasi sempre dai pochi
ebrei tollerati in territorio, o da qualche personaggio
particolarmente facoltoso, sammarinese o non, o anche dai
francescani.
Un altro problema, di questo ma anche di altri
secoli, fu il banditismo, in quanto ghenghe di malviventi,
scorazzando per attuare le loro malefatte lungo il territorio
pontificio, spesso si nascondevano all’interno dei confini
sammarinesi. Nel corso del ‘600 furono molteplici le delibere per
arginare il fenomeno, a volte favorito o alimentato anche dai locali
per qualche tornaconto, ma il banditismo rimase a lungo una piaga
non da poco per la società sammarinese, ed un puntuale motivo di
polemica e contrasto con Roma. Comunque nel corso del secolo si
restrinse sempre più la possibilità di diventare cittadini della
Repubblica o di risiedervi, così come aumentò la vigilanza su
zingari e stranieri in genere. Nel ’29 si sancì addirittura “che
fosse lecito a ciascuno di poter amazzare
i Zingari senza incorso in pena alcuna”.
La società sammarinese dell’epoca era senza dubbio
assai più turbolenta dell’attuale, se non altro per l’abitudine di
tutti di girare armati, e per l’alto senso dell’onore che si aveva,
che faceva scoppiare scontri sanguinosi per motivi che a noi oggi
parrebbero futili. Per questo sono frequenti bandi e decreti
tendenti a moderare la focosità, a reprimere la violenza e ad
eliminare le possibili situazioni di scontro.
Ovviamente il vero detonatore delle violenze latenti
e della maggior parte dei problemi interni che vi erano era la
povertà endemica del paese, che si accentuava sensibilmente nei
momenti di instabilità climatica e quindi di cattivo raccolto. Negli
anni 1648-1650, per esempio, San Marino fu investito da una grave
carestia che portò il prezzo del grano alle stelle (8/9 lire al
mastello nel ’47, 19/20 nel ’48). E’ chiaro che simili alterazioni
stimolavano la delinquenza nei ceti più poveri, così com’erano causa
prima di malattia, riduzione demografica, emigrazione, scontento
diffuso.
I modi con cui affrontare periodi di grave emergenza
erano assai limitati. Nel 1618 venne ripristinato il monte di pietà,
proprio per cercare di alleviare le penurie dei tanti poveri che vi
erano. Il Consiglio inoltre cercava di prestare grano da seminare ai
più bisognosi, che comunque dovevano prima o poi renderglielo, anche
se non sempre era semplice riprendersi quanto distribuito. A parte
questi palliativi, comunque, i sammarinesi potevano pure avvalersi,
quando possibile, dell’aiuto di congregazioni o enti caritatevoli,
ma dovevano soprattutto arrangiarsi e sopravvivere come riuscivano,
perché lo Stato aveva grandi difficoltà a gestire e mantenere anche
i suoi beni, come i palazzi e quelle poche infrastrutture di cui
poteva disporre, per cui era realmente impossibilitato a sovvenire
con sostegni efficaci chi era in stato di necessità.
Il Seicento fu anche il secolo in cui Matteo Valli
scrisse la prima storia della Repubblica (“Dell’origine
et governo della Repubblica di San
Marino”), pubblicata a Padova nel 1633, ed in cui venne ravvivata la
devozione verso il santo fondatore, le cui ossa, ritrovate sotto
l’altare della Pieve nel 1586, vennero collocate nel reliquiario
d’argento e oro, forgiato nel 1602 e pagato proprio grazie ad un
prestito dei locali ebrei, in cui ancora si trovano. E’ pensabile
che simili opere siano state promosse dalla volontà di esaltare la
sacra ed antica indipendenza sammarinese di fronte alla nuova, ma
ancora troppo inaffidabile “protezione” dello Stato Pontificio.
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