Primi sviluppi della
scolarizzazione di base a San Marino
Nel
1864 nella Repubblica di San Marino esistevano ancora solo due
scuole elementari ufficialmente riconosciute: quella di Città, che
disponeva di tutto il corso completo fino alla quinta classe, e
quella di Borgo, che aveva solo le prime due classi.
Questa situazione, insieme alla mancanza di una legge sull’obbligo
scolastico, ad una diffusa cultura popolare che vedeva nella
didattica una inutile perdita di tempo, ad un’ampia miseria che
induceva le famiglie a utilizzare i figli fin da piccoli come
aiutanti nei campi, determinava un tasso di analfabetismo
estremamente elevato tra i sammarinesi, come documentato dal primo
censimento locale del 1865.
Tuttavia proprio a partire da questi anni, e per tutto l’ultimo
trentennio dell’Ottocento, San Marino riuscì ad incrementare le sue
scarse entrate usuali grazie soprattutto alla nuova pratica della
vendita dei titoli onorifici, che iniziò a fruttare molto denaro a
partire dalla seconda metà degli anni ’60, nonché alla riscossione
di un rilevante canone doganale, che incominciò a percepire a
partire dal 1862 grazie alla prima convenzione stipulata con il neo
Regno Italiano.
La
maggiore quantità di denaro di cui ora il governo sammarinese poteva
disporre, insieme agli stimoli provenienti dalla politica culturale
e scolastica italiana del periodo (sono gli anni della legge Casati
del 1859, e soprattutto della legge Coppino del 1877), e a una nuova
mentalità che vedeva nella cultura la base su cui poter costruire un
futuro migliore, determinarono in molti più sammarinesi una
sensibilità maggiore rispetto al passato nei confronti del problema
della scuola in generale e della scolarizzazione di base in
particolare, e la convinzione che ora lo Stato avesse finalmente i
mezzi per finanziare simili processi.
Nel
1865 furono gli abitanti di Serravalle ad iniziare una pratica in
tal senso, poi seguita da vari altri Castelli, presentando
un’istanza al Consiglio Principe e Sovrano per poter dar vita ad una
scuola elementare regolare non legata al solo impegno spontaneo e
personale del parroco, che l’aveva fin lì gestita autonomamente con
il misero contributo di 64 lire annue.
La
popolazione del Castello era aumentata e i tempi erano mutati,
evidenziarono nella petizione: senza una scuola in cui apprendere e
crescere, erano troppi i fanciulli che rimanevano abbandonati a se
stessi.
Il
Consiglio rispose che il desiderio era lodevole e degno di essere
sostenuto, ma non vi erano soldi per finanziarlo, per cui i
serravallesi dovevano autotassarsi, se desideravano davvero aprire
una scuola elementare.
Così
in effetti accadde: in dicembre comunicarono di aver stabilito una
tassa sull’estimo censuario dei fondi rustici con cui dar vita
all’iniziativa. Il 27 ottobre dell’anno successivo il Consiglio
approvò i due insegnanti che l’avrebbero gestita, e diede il
permesso di renderla operativa, purché si conformasse ai programmi
didattici approvati nel ’64 per le scuole di Città e Borgo.
Dagli atti del Consiglio si evince che negli anni successivi altri
Castelli avanzarono richieste alle autorità per attivare nuove
scuole elementari. Nel novembre del ’73 fu Acquaviva a farlo; nel
1878 si fece avanti anche Faetano.
Il
governo per tutti aveva sempre la stessa risposta: le suppliche
erano legittime, ma non vi era il denaro necessario per allestire e
mantenere un piano globale che permettesse a tutti i Castelli di
avere scuole di base.
Dagli anni ’80 le richieste si fecero più pressanti, per cui in
Consiglio s’ipotizzò di istituire lo stesso tipo d’imposta con cui
Serravalle aveva potuto autonomamente realizzare la sua scuola,
ovvero una tassa supplementare dello 0,50% sull’estimo rustico. La
proposta fu rigettata in fretta per l’ostilità nei suoi confronti da
parte dei consiglieri proprietari terrieri, che erano sempre la
maggioranza o comunque molto influenti, e si guardavano bene
dall’autotassarsi maggiormente.
Si
continuò a discutere intorno al problema anche negli anni
successivi, ma senza approdare mai a nulla per i problemi finanziari
di cui si è detto, ma anche perché diversi consiglieri consideravano
più importante investire risorse nel perfezionamento delle scuole
superiori piuttosto che nell’alfabetizzazione della popolazione.
Inoltre i soldi che stavano giungendo dai cespiti di cui si è detto
venivano utilizzati per creare nuove strade o migliorare le
esistenti, e per sistemare le infrastrutture pubbliche, o per altri
motivi ancora, visto che il paese era in uno stato di forte degrado
urbanistico e sociale, per cui di denaro per le scuole non rimaneva
praticamente nulla.
Nel
marzo del 1884, comunque, il Consiglio elargì un modesto
stanziamento di 100 lire a titolo di incoraggiamento all’erigenda
scuola elementare che gli abitanti di Faetano stavano creando. Tale
cifra era stata fornita in precedenza anche ai residenti di
Serravalle e Acquaviva, così come venne data a Montegiardino nel
1885, sempre a favore della nuova scuola elementare locale ancora in
fase di predisposizione.
Per
quanto modesta, la somma di 100 lire, insieme a qualche forma di
collaborazione economica da parte dei residenti, permise ai Castelli
in questione di attivare sul loro territorio scuole elementari
composte da pluriclassi. Nel 1889, però, il maestro di Serravalle,
che si faceva aiutare gratuitamente dalla figlia nel disbrigo della
sua docenza, fece istanza al Consiglio per chiedere un accrescimento
di 300 lire alle 100 lire che costituivano il suo salario, perché
era aumentato di molto l’impegno che doveva profondere, essendo i
suoi alunni arrivati ormai al numero di 109.
Il
dibattito di questa richiesta indusse il Consiglio a deliberare
seduta stante, pur tra le proteste di diversi consiglieri
possidenti, l’applicazione della famosa tassa sui fondi rustici del
territorio per finanziare tutte le scuole rurali.
Qualche mese dopo, inoltre, fu stabilito di aumentare le paghe di
tutti i maestri rurali da 100 a 350 lire,
deliberazione che indusse il Consiglio a domandarsi se i maestri
impiegati nelle scuole rurali, liberamente nominati nel corso del
tempo dalla popolazione residente, fossero tutti idonei al delicato
mestiere che svolgevano.
Si
stabilì che solo al governo sammarinese spettasse l’assegnazione di
tale incarico, e che quelli operativi dovessero essere sottoposti a
verifica per accertarne la preparazione. La commissione che attuò
l’esame in questione trasmise una relazione al Consiglio che fu
letta al suo interno il 31 luglio 1890 in cui, oltre a rilevare il
cattivo stato dei locali in cui si tenevano le lezioni e la carenza
di «suppellettile
scolastica»,
riscontrava che gl’insegnanti delle scuole rurali di Monte Giardino,
Fiorentino, Domagnano, Faetano, sottoposti a prova orale e scritta,
non erano da reputarsi idonei, mentre quelli di Acquaviva e
Chiesanuova sì.
A
proposito del maestro di Faetano scrisse:«Nella scuola rurale unica
mista di Faetano insegna il Sig. Secondo Mularoni, nativo di quel
Comune. Non conosce punto il metodo di lettura e scrittura
contemporanea; legge discretamente, ma è incapace a dare una
sufficiente spiegazione delle cose lette; conosce abbastanza
l’aritmetica, ma ha poca attitudine a comunicarla, perché gli alunni
errano facilmente nella numerazione scritta. Ha dimostrato assoluta
incapacità nella correzione dei compiti. Non lo riteniamo idoneo a
sostenere l’insegnamento in quella Scuola rurale».
Mularoni era stato assunto come maestro dall’Arengo di Faetano
il 3 febbraio 1884 «come
persona meglio di altri adatta»,
ovvero ritenuto dotato delle competenze di base sufficienti, in
quanto i residenti del Castello desideravano creare una classe
elementare maschile da gestirsi in un locale della casa comunale.
L’Arengo aveva stabilito di assegnagli come retribuzione la modesta
somma di 50 lire annue, invitando però gli abitanti di Faetano a
mandare a scuola i loro figli e a contribuire allo stipendio del
maestro in qualche maniera. Il governo sammarinese, soddisfatto
dell’iniziativa, in seguito fece arrivare ai faetanesi le solite 100
lire che assegnava in questi casi.
L’iniziativa ebbe subito successo: infatti qualche tempo dopo
l’Arengo di Faetano si prefisse di organizzare meglio le lezioni
perché era aumentato di parecchio il numero degli studenti in quanto
la scuola si era aperta anche alle bambine.
Mularoni a causa del maggiore impegno era stato indotto a farsi
aiutare gratuitamente dalla giovane moglie, Chiara Villani, maestra
diplomata nel 1883 presso l'Educandato del Convento delle Suore
Chiuse Agostiniane di Sogliano al Rubicone, che lo aveva sposato da
poco, il 27 luglio 1886.
La
relazione della commissione fu apprezzata dal Consiglio che subito
licenziò i quattro maestri non idonei e aprì un concorso per
sostituirli, ammettendovi solo donne superiori ai diciotto anni di
età, anche non provviste di diploma, purché avessero le competenze
ed i requisiti necessari. Erano infatti classi miste, e all’epoca si
riteneva che fosse meglio affidarle a personale docente femminile.
Stabilì inoltre di stanziare 500 lire per l’acquisto di
suppellettili adeguate.
Secondo Mularoni fu sostituito proprio dalla moglie, che per gli
anni a venire divenne un riferimento preciso per gli alunni di
Faetano, ma anche per gli adulti, in quanto il medico della zona la
utilizzò come infermiera ausiliaria, affidandole istruzioni e
medicinali per curare le malattie più comuni e frequenti.
Nei
mesi successivi il governo sammarinese si adoperò per migliorare le
condizioni delle scuole rurali nominando sei ispettori che dovevano
vigilare sul buon funzionamento delle medesime, coadiuvati in tale
compito dai parroci.
Come
ultima innovazione di questo periodo, nel 1892 le elementari del
Borgo videro il completamento del loro corso fino alla quinta
classe. Con tale riforma, che equiparava il corso scolastico di
Borgo a quello di Città, per vari anni il Consiglio non dovette più
affrontare problemi particolari relativi all’istruzione elementare.
Gli
anni tra Ottocento e Novecento, tuttavia, videro il rapido mutamento
della dimensione patriarcale che aveva caratterizzato fin lì la
società sammarinese, con lo sviluppo delle prime tensioni politiche
tra gruppi ideologici di indole diversa.
Tra
il 1892 e il 1893 nacque a San Marino una piccola ma battagliera
sezione del partito socialista, che tra le sue priorità aveva quella
di creare le infrastrutture necessarie e il personale necessario per
acculturare adeguatamente la popolazione e toglierla dal dominio
culturale del cattolicesimo, verso cui in questo periodo intraprese
una lotta senza tregua con lo scopo di laicizzare la società
sammarinese.
«Da
noi - scrissero sul loro giornale - la scuola non gode le simpatie
come altrove: tutti stimano superflue le spese per l’istruzione
pubblica e trascurano l’igiene e il buon andamento didattico,
contribuendo in tal modo a tenere il nostro popolo nella ignoranza,
nell’inerzia e nel pericolo immanente. (…) La scuola moderna deve
mirare anche da noi all’unico scopo di accrescere le generazioni
indipendenti d’intelletto e di carattere, deve curare razionalmente
lo sviluppo mentale col far apprendere al fanciullo e all’alunno,
tutto ciò che è conquista ed affermazione di scienza positiva, e non
l’empirismo dogmatico e partigiano».
Nel
loro “Programma Minimo” pubblicato nel 1906 i socialisti si
ripromettevano di combattere per l’obbligatorietà scolastica fino
alla terza elementare, il miglioramento delle scuole elementari,
soprattutto di quelle rurali, la gratuità dei libri scolastici e
della refezione per gli alunni più bisognosi, e altro ancora.
Gli
anni successivi videro la battaglia da parte dei socialisti e di
altri gruppuscoli di indole progressista per ottenere tali
migliorie, ma il clima velenoso ed eccessivamente polemico che si
sviluppò tra laici e cattolici sulla fine del primo decennio del
Novecento rallentò qualunque innovazione in campo scolastico,
sebbene nel 1908 una commissione governativa avesse evidenziato la
necessità d’intervenire, soprattutto presso le scuole rurali, per
apportare sostanziose ristrutturazioni.
Nello stesso anno i riformisti elaborarono un altro progetto
dettagliato che prevedeva l’obbligatorietà scolastica fino alla 3a
elementare, il divieto del lavoro minorile fino ai dodici anni di
età, l’istituzione del patronato scolastico per gli studenti poveri,
la creazione di una biblioteca scolastica circolante e di una
popolare, la nascita di un’università popolare e di scuole serali e
festive per i lavoratori, la fondazione di un giardino d’infanzia
per fanciulli tra i 3 ed i 6 anni, la fabbricazione di nuovi edifici
scolastici, l’elaborazione di uno stato giuridico per gli
insegnanti, il loro miglioramento economico e altro ancora.
Pur
tra le diatribe, i dissidi costanti tra progressisti e conservatori
e i rallentamenti dovuti alla costante scarsità di denaro, alcune di
queste idee riuscirono a concretizzarsi, soprattutto perché risultò
evidente a tutti che i soldi destinati all’educazione primaria erano
ancora troppo pochi e che vi era un’evasione scolastica esagerata.
Nel
1910 il Consiglio riuscì a promulgare una legge meno stringata del
decreto dell’11 agosto 1907, che in modo sbrigativo si limitava ad
affermare che la scuola elementare era obbligatoria,
con cui, in data 28 giugno, veniva sancita l’obbligatorietà
scolastica,
obbligo ribadito tramite una nuova legge del dicembre 1914 con cui
si voleva fornire un’organizzazione più rigorosa a tutto il sistema
scolastico. Infatti la carenza di edifici idonei alle lezioni, e
l’impossibilità economica di molte famiglie di mandare i loro figli
a scuola, avevano mantenuto un’elevata evasione scolastica.
Nell’anno scolastico 1913 – 1914 si riuscì finalmente a nominare,
dopo anni di aspre controversie in merito, Gino Giacomini, l’unico
in possesso del diploma necessario, come nuovo direttore didattico
di tutte le scuole elementari della Repubblica. Egli spinse subito
il Consiglio a creare il patronato scolastico, regolamentato il 6
dicembre 1913,
e a reperire il denaro per costruire o migliorare alcuni edifici
scolastici, innovazioni che eliminavano qualunque pretesto per non
mandare i fanciulli a scuola.
Inoltre lo Stato iniziò una più rigorosa forma di vigilanza su chi
abitualmente disertava le lezioni, o vi andava molto di rado, azione
che portò in fretta ad un repentino abbattimento dell’evasione.
Infatti, se ancora nell’anno scolastico 1912 - 1913 dei 1.400 alunni
soggetti all’obbligo, solo poco più di 800 frequentavano
abitualmente le lezioni, nel 1916/17, gli alunni frequentanti erano
ormai arrivati alla cifra di 1.232.
Ancora 200 ragazzi circa disertavano la scuola, soprattutto figli di
mezzadri, la categoria più restia a privarsi dell’aiuto materiale
dei loro giovani, ma si era giunti ormai alla convinzione che, con
ulteriori adeguate misure di rigore, anche questi studenti
potenziali sarebbero stati indotti a frequentarla con regolarità.
Negli anni dopo la prima guerra mondiale la scuola di base
sammarinese continuò lentamente ad evolversi, sempre per colpa della
scarsità di denaro da investirvi, fino all’abbattimento totale di
quell’elevato tasso di analfabetismo in cui San Marino da sempre si
dibatteva, e al raggiungimento della scolarizzazione di massa
odierna.
Cfr.
G. Ramoino, M. Bonelli, Supplemento alla raccolta delle
leggi e decreti della R.S.M., Città di Castello, 1915,
p. 287.
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