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Ama lo studio che è pane della mente

Il difficile avvio della scolarizzazione di base sammarinese

di Verter Casali

 

 

Una politica scolastica tesa a migliorare l’istruzione di base a San Marino, come anche in Italia d’altronde, prese vita poco più di un secolo fa.

Nell’ultimo trentennio dell’Ottocento la Repubblica poté procacciarsi introiti straordinari, riuscendo così a garantire, fino al 1895 circa, discrete possibilità di lavoro.[1] Il maggior benessere che ne derivò, nonché gli stimoli provenienti dalla politica scolastica della Sinistra storica italiana, determinarono nella cittadinanza e nel governo di San Marino una sensibilità maggiore nei confronti del problema della scuola in generale e della scolarizzazione di base in particolare rispetto al passato.

In precedenza, infatti, ci si preoccupava soprattutto d’investire qualche soldo, i pochi di cui poteva disporre il modestissimo bilancio dello Stato, nel liceo classico per formare i nuovi quadri dirigenti. Il popolino nei confronti dell’alfabetizzazione aveva poi diffidenze notevoli, considerando di regola la scuola una inutile perdita di tempo.

Anche antecedentemente, per la verità, con il varo della legge Casati in Italia nel 1859, che costituì l’atto di nascita della scuola italiana e ne definì l’ossatura fino alla riforma Gentile del 1923, nei confronti della scuola vi era stata qualche titubante effervescenza pure a San Marino, legata soprattutto a rari e velleitari spiriti più illuminati della media. D’altra parte in quegli anni uno dei suoi principali consulenti era Luigi Cibrario, già ministro della cultura presso i Savoia dal 1852 al 1855, ed autore, nel 1854, di un progetto scolastico per il riordinamento della pubblica istruzione italiana, considerato il fondamento della legge Casati stessa, fatto che può aver stimolato qualche governante, come Palamede Malpeli, per esempio, che attribuirà sempre all’evoluzione scolastica grossa importanza.

Grazie a questo nuovo interesse al problema delle scuole di base, il sistema didattico più moderno, che stava diffondendosi nel Regno italiano, nel 1864 venne adottato nelle due scuole elementari ufficiali della Repubblica, quella di Città e quella del Borgo.[2] La prima, dove l’anziano maestro Nicola Giannini venne sostituito dal giovane Federico Gozi, aveva fino alla quinta classe, ovvero tutto il corso completo; la seconda, in cui da non molto tempo insegnava Federico Martelli, avvocato e introduttore del nuovo sistema didattico, poi allargato anche a Città, disponeva solo delle prime due classi.

Nel 1865 i comunisti di Serravalle presentarono un’istanza al Consiglio per poter impiantare una scuola elementare che funzionasse regolarmente senza essere legata solo alla buona volontà del parroco, il quale l’aveva gestita da solo, fino a quel momento, con la misera cifra di 64 lire annue. Affermavano infatti che la popolazione del Castello era aumentata notevolmente, e troppi fanciulli rimanevano abbandonati a se stessi. Il Consiglio rispose che il desiderio era lodevole e degno di essere sostenuto, solo che in quel momento non vi erano denari, per cui non poteva fornire contributi. Se volevano una scuola, dovevano autotassarsi. Così in effetti fu, perché in dicembre i Serravallesi comunicarono di aver stabilito una tassa sull’estimo censuario dei fondi rustici con cui dar vita all’iniziativa. L’anno dopo, in data 27 ottobre, il Consiglio approvò i suoi insegnanti (Belluzzo Belluzzi e Maddalena Angeli) e diede il permesso di avviarle, purché seguissero i programmi scolastici di Città e Borgo.[3]

Nel 1867 fu pensato e parzialmente avviato un progetto di ristrutturazione del sistema scolastico locale che prevedeva la riapertura del Collegio Belluzzi, chiuso dagli anni ’50, l’avvio di un biennio di scuola femminile e uno di scuola tecnica, l’apertura di un asilo infantile e altro ancora.[4]

Il 10 novembre dello stesso anno venne divulgato un pubblico bando da cui si capisce quale fosse il reale problema delle locali scuole. Diceva:

 

Concittadini

Il vostro Governo dal canto suo non risparmia cure e spese per migliorare e sviluppare sempre più la pubblica morale e la pubblica istruzione, persuaso che così facendo tutelerà potentemente l’indipendenza, la libertà e la prosperità politica della diletta nostra Repubblica. Ma è indispensabile altresì che Voi pure dal canto vostro secondiate e corroboriate con unico spontaneo concorso gli sforzi del vostro Governo, curano che i vostri figli vadano regolarmente alla scuola, e non perdano poi nel seno della famiglia quello che nella scuola è stato loro insegnato con tanta fatica. Si ricordino i genitori che nell’onestà, nel senno, nella prudenza, nella generosità, nell’amor patrio della crescente generazione sta riposta la salute della Repubblica, e che noi faremo applicare rigorosamente le sanzioni degli Statuti e del Codice Penale a quei Padri che tramandassero l’adempimento del sacro dovere di educare ed istruire la lor prole.

 

Nonostante il tono minaccioso con cui si concludeva il proclama, non esisteva ancora l’obbligo scolastico sancito per legge, per cui la maggioranza delle famiglie continuò tranquillamente a non indirizzare a scuola i figli, determinando un tasso elevatissimo di analfabetismo ancora a fine secolo.

Nel 1871 vi fu anche il tentativo di avviare scuole serali per gli adulti, esperimento che comunque tramontò sul nascere sia per gli scarsissimi denari che lo Stato poteva investirvi, sia verosimilmente per il modesto interesse della popolazione nei confronti dell’iniziativa.

Negli anni successivi continuarono comunque le istanze dei Castelli per allestire nuove scuole elementari. Nel novembre del ’73 iniziò a chiederla Acquaviva; nel 1878 si associò alla richiesta anche Faetano. Il governo rispondeva sempre alla stessa maniera: le petizioni erano legittime, ma occorreva un piano globale che portasse all’istituzione di scuole elementari in tutti i Castelli, piano che però per un motivo o per un altro, in genere per i forti investimenti di denaro di cui abbisognava, veniva sempre rimandato. 

Dagli anni ’80 le richieste si fecero più pressanti: nel 1881 è la popolazione del Borgo che torna ad insistere, avendolo fatto anche qualche anno prima, per avere una scuola femminile come quella che già operava dal 1870 in Città, gestita dalle suore del Monastero Santa Chiara, che istruivano le fanciulle soprattutto nella dottrina cristiana, nella lettura e scrittura, nelle prime operazioni di aritmetica, nel cucito e nei tipici lavori femminili.  In particolare la petizione era sostenuta da una certa signora Carolina Scavolini, la quale era disposta a finanziare la scuola, comperando addirittura una casa come sede, purché a gestirla come insegnanti fossero chiamate le maestre pie. Il Consiglio inizialmente rimandò il problema, perché non era sua intenzione dar vita ad altre congregazioni religiose in territorio, tuttavia la proposta stimolò il governo a provvedere in proprio, tanto che nel giro di un anno tale scuola venne attivata con l’assunzione di una maestra laica (Teodolinda Francesconi) e l’affitto di un locale dove tenere le lezioni. Nel dicembre dell’82 venne sanzionato il regolamento della stessa con l’obbligo di uniformarsi pienamente alle scuole femminili di Città.[5]

Sollecitazioni simili continuarono ad arrivare in Consiglio nello stesso periodo anche per le scuole elementari, ancora fortemente trascurate dalle autorità. Nel Consiglio del 6 novembre 1882 si ribadì per l’ennesima volte la volontà di attivare scuole elementari in tutti i Castelli del territorio, rimediando il denaro necessario tramite la riscossione dei crediti che lo Stato aveva, e principalmente istituendo una tassa supplementare dello 0,50% sull’estimo rustico, lo stesso tipo d’imposta con cui Serravalle aveva potuto autonomamente realizzare la sua scuola. La proposta però non venne accettata dal Consiglio, perché all’oligarchia agraria che lo dominava non poteva ovviamente andare a genio alcun tipo di tributo in più.

Discussioni analoghe vi furono periodicamente anche negli anni successivi, ma sebbene l’allargamento della cultura popolare fosse ritenuta fondamentale da diversi consiglieri, non si riusciva a trovare il sistema con cui rimediare il denaro necessario a favorirla. Anzi, per molti prioritario era ancora senz’altro reputato il miglioramento delle scuole superiori più di quelle elementari.

Nel dicembre del 1883 venne comunque letta in Consiglio una relazione incentrata tutta sull’esigenza di riformare le scuole, e nel marzo dell’anno successivo fu presentato uno studio dal Segretario degli Esteri e delle Finanze, Domenico Fattori, commissionatogli per analizzare il grave problema, se si dovesse ricorrere a nuove tasse per sopperire ai nuovi bisogni, e specialmente a quello urgentissimo del completo riordinamento dei pubblici studi. In sintesi Fattori, dopo aver esaminato i bilanci passati e preventivato quello futuro, era giunto alla conclusione che la situazione economica locale era ancora abbastanza fiorente, per cui al momento non vi era la necessità assoluta d’imporre nuove tasse, sempre che si evitasse la cattiva abitudine di decretare nuove spese non calcolate all’interno del bilancio preventivo. Vi erano però dei risparmi da fare, se si voleva migliorare il sistema scolastico, ed un maggior rigore amministrativo da osservare; si suggeriva di sopprimere il rinfresco che suol dare la Reggenza la sera di S. Agata, e l’ultimo Veglione di Carnevale ; abolire il tiro al Bersaglio nel 3 Settembre; esercitare maggiore controlli sui magazzinieri del sale, sulla macellazione delle bestie, e altro ancora. Piccole riforme che nell’insieme avrebbero però fornito qualche migliaio di lire in più con cui provvedere ai nuovi bisogni, in particolare all’assunzione di un insegnante di storia e geografia per il ginnasio - liceo, di un maestro per la quarta elementare,  per un costo complessivo di 2.300 lire, ed all’aumento di stipendio di altri insegnanti già in organico, a cui la soppressione del Collegio Belluzzi, sanzionata dopo lunghe polemiche proprio in questo periodo, aveva determinato un carico di lavoro maggiore. Il Consiglio approvò l’intero progetto che prevedeva, tra l’altro, un insignificante finanziamento di 100 lire a titolo di incoraggiamento all’erigenda scuola elementare di Faetano. Tale finanziamento era stato fornito in precedenza pure a Serravalle e Acquaviva, da anni in prima fila per l’istituzione di una scuola elementare, ma nient’altro era stato fatto.[6]

Nel 1885 riemerse il problema perché ora era Montegiardino che voleva aprirne una. Il Consiglio, sempre ribadendo la volontà puramente teorica di istituire scuole ovunque, promise anche a questo Castello le 100 lire d’incoraggiamento, cifra che però avrebbe consegnato solo a scuola aperta. Invitò nel frattempo gli abitanti ad autotassarsi per rimediare gli altri soldi che senza dubbio sarebbero serviti.[7]

Per qualche anno non troviamo più tracce di richieste analoghe, verosimilmente perché con le 100 lire fornite e la collaborazione dei residenti qualche modesta novità in funzione dell’alfabetizzazione elementare fu possibile realizzare presso quei Castelli che si erano dimostrati più sensibili al problema. Nel 1889, però, abbiamo la prova che fin lì non era stato fatto niente di più di quanto detto, perché il maestro di Serravalle, Belluzzo Belluzzi, insieme alla figlia, che probabilmente lo aiutava nel disbrigo del suo lavoro, fece istanza al Consiglio per chiedere un aumento di 300 lire al suo salario, perché i suoi alunni erano ormai arrivati al numero di 109, cifra assai elevata e che gli costava un grave impegno non certo compensato dalle 100 lire con cui lo Stato lo indennizzava.[8]

Il Consiglio seduta stante deliberò di applicare la famosa tassa sui fondi rustici per soperire alla spesa delle scuole, tassa che sarebbe andata a beneficio anche delle altre scuole rurali. Ovviamente, come sempre succedeva quando si andava ad ipotizzare qualche tassa sul capitale fondiario, le polemiche spuntarono repentinamente: nel Consiglio del 20 maggio alcuni consiglieri possidenti (Luigi Martini Bortolotti, Teodoro Ceccoli, Luigi Pasquali, Filippo Filippi) avanzarono formale protesta per le tasse deliberate, perché essendo la scuola un bene di tutta la cittadinanza, non ritenevano giusto che a finanziarle fossero solo i cittadini possessori di beni rustici ed urbani.[9]

Comunque ormai c’era tra i più la volontà d’incamminarsi lungo una nuova strada, e qualche miglioramento per le scuole dei Castelli stava per avvenire. Nel novembre dello stesso anno fu stabilito di aumentare le paghe dei maestri rurali da 100 a 350 lire, cifra comunque assai bassa rispetto agli stipendi medi dell’epoca. Questa deliberazione naturalmente scatenò vivaci discussioni all’interno del Consiglio, non tanto per l’aumento in sé, quanto perché ci si chiese per la prima volta se i maestri che stavano lavorando nelle scuole rurali, nominati nel corso del tempo dalla popolazione stessa, fossero idonei al delicato mestiere che svolgevano, e se fosse il caso, invece, che la nomina spettasse sempre al Consiglio. Per troncare la diatriba, si decise di non rimuoverne per il momento nessuno, ma di verificare se fossero realmente adatti al lavoro che stavano svolgendo, tramite esame da sostenersi davanti a commissione competente. Questa venne presto nominata, e nel giro di pochi mesi ultimò le sue verifiche. Presentò poi una relazione che il Consiglio analizzò il 31 luglio del 1890.[10]

Poiché il documento è indubbiamente interessante, vale la pena riportarlo per intero :

 

 

Eccmi Signori

Onorati dell’incarico d’ispezionare le scuole rurali di questa Repubblica per conoscerne le condizioni e soprattutto per esser certi della idoneità dei maestri, presentiamo il risultato della ispezione eseguita.

Prima però di parlare delle singole Scuole e dei rispettivi Maestri, crediamo opportuno esporre brevemente i criteri, che ci hanno guidato nell’Ispezione. E perciò che riguarda i Maestri abbiamo cercato di conoscere anzitutto se essi abbiano speditezza nel leggere e si siano capaci di fare una spiegazione facile e chiara delle cose lette: ci siamo altresì interessati del metodo di lettura e scrittura contemporanea, assolutamente necessario e adatto ad ottenere buoni risultati, con risparmio di tempo. E’ stata ancora nostra cura vedere se il Maestro abbia esatta conoscenza della numerazione scritta e parlata, e delle quattro operazioni del calcolo. In questa materia si è fatto anche l’esperimento scritto, dando un problema di soluzione facilissima; né si è trascurato l’esperimento orale nell’italiano, facendolo consistere nella correzione ortografica e grammaticale di un breve e facile racconto all’uopo preparato. Finalmente tanto nel fare interrogazioni nelle materie suddette, quanto nella parte pedagogica ci siamo limitati alle cose più facili ed essenziali, tenendo conto soprattutto, che nelle condizioni attuali ed avuto riguardo all’esiguo stipendio non si può esigere molto. Esposti così i criteri suddetti, possiamo riferire intorno ai singoli maestri, ed alle singole scuole.

Il sig. Raimondo Semprini di S. Cristina, Rimini, insegna nella scuola rurale di Monte Giardino; legge abbastanza speditamente ; è però alquanto incerto nel dare la spiegazione delle cose dette ed ignora il metodo di lettura e scrittura contemporanea. Manca assolutamente delle cognizioni più essenziali intorno all’aritmetica ed al sistema metrico e non conosce l’ortografia e pochissimo la sintassi.

Non lo riconosciamo quindi idoneo all’insegnamento.

Il sig. Canti Marino di Fiorentino insegna nella scuola rurale di quella Parocchia, ad eccezione della semplice lettura, nella quale è discretamente spedito, delle altre materie è assolutamente ignorante, e quindi lo dichiariamo non idoneo.

Il sig. Marcucci Giacomo di Domagnano (Sanmarino) insegna nella scuola rurale di quella Parocchia. Quantunque abbia una discreta coltura, avendo compito il quarto corso ginnasiale, tuttavia non dimostra alcuna attitudine all’insegnamento. E’ incapace a leggere con speditezza e dare facile spiegazione alle cose lette. Conosce anche poco le regole ortografiche e si mostra poco atto ad eseguire le correzioni. E’ altresì ignaro del metodo di lettura e scrittura contemporanea. Non avendo fatto alcun studio sull’aritmetica ne ignora i più necessari rudimenti.

Non lo crediamo quindi idoneo all’insegnamento.

Nella scuola rurale unica mista di Faetano insegna il sig. Secondo Mularoni, nativo di quel Comune. Non conosce punto il metodo di lettura e scrittura contemporanea; legge discretamente, ma è incapace a dare una sufficiente spiegazione delle cose lette; conosce abbastanza l’aritmetica, ma ha poca attitudine a communicarla, perché gli alunni errano facilmente nella numerazione scritta. Ha dimostrato assoluta incapacità nella correzione dei compiti. Non lo riteniamo idoneo a sostenere l’insegnamento in quella scuola rurale.

Il sig. Marino Nicolini insegna da dieci anni nella scuola unica mista di Acquaviva. Sebbene non abbia grande speditezza nella lettura tuttavia si è mostrato assai idoneo nel dare spiegazione delle cose lette; gli alunni lo comprendono bene e la ripetono francamente. Conosce bene il metodo di lettura e scrittura contemporanea ed eseguisce lodevolmente la correzione dei compiti. Nell’aritmetica è molto competente, e gli alunni stessi ne sono istruiti. Dunque lo dichiariamo idoneo a continuare nell’insegnamento, che ha fin qui lodevolmente impartito.

La sig.a Carolina Barbieri di Andrea insegna nella scuola unica mista di Poggio di Chiesanuova. Legge con gusto e speditezza, e sa dare spiegazione delle cose lette. Conosce il metodo di lettura e scrittura contemporanea. Ha eseguito bene le correzioni del compito italiano, dando ragione delle correzioni. E’ abbastanza esperta nell’aritmetica. La crediamo quindi idonea a continuare nell’insegnamento.

Ci pare ora necessario parlare dei locali delle scuole suddette. Essi oltre ad essere angusti, non aerati, scarsi di luce ed umidi, mancano assolutamente di suppellettile scolastica. Può farsi qualche eccezione pei locali di Domagnano e Faetano, i quali però richiedono qualche ristauro. La spesa occorrente per provvedere le scuole suddette di panche, tavolini, sedie, lavagne ecc. non può assolutamente essere minore di £ 500 (cinquecento), non potendosi tener conto dell’avvanzo stabilito nel riparto per ciascuna scuola, dovendo detta somma servire pel pagamento del nolo dei locali, ed affinché le scuole rurali non continuino nel disordine e non si prolunghino le giuste lagnanze per parte dei Parocchiani, che veggono esclusi dalle scuole i figli o per difetto di locale, o per mancanza di panche, siamo d’avviso che l’Eccmo Governo provegga d’urgenza ai locali e alle suppellettili scolastiche.

Per conseguire poi colla maggiore speditezza e sollecitudine siffatti provvedimenti, proponiamo che l’Eccmo Governo deleghi la Deputazione e la Direzione degli Studi.

Compiuto per tal modo l’incarico affidatoci esprimiamo alle SS.LL. i sentimenti della nostra distinta considerazione.

S.  Marino 21 Gennaio 1890                                                       La Commissione

                                                                                              Settimio Querzola maestro

                                                                                              Luigi Tordini Dirett. Degli Studi

                                                                                              Gemino Gozi

                                                                                              M. Bonelli Dep. Degli Studi

 

Il Consiglio approvò le decisioni della commissione e subito aprì un concorso per sostituire i quattro maestri esclusi. Si deliberò di ammettervi però solo donne, superiori ai diciotto anni di età, anche non provviste di diploma, purché avessero le competenze ed i requisiti necessari. Erano infatti classi miste e all’epoca solo le maestre potevano insegnarvi. Si decise inoltre di fornire le 500 lire per le suppellettili.

Nei mesi successivi il governo sammarinese si adoperò per dare esecuzione al deliberato e per migliorare le condizioni  delle scuole rurali. Il 27 settembre si prese atto dell’esame cui erano state sottoposte le nuove maestre, ed il 20 novembre vennero nominati sei ispettori per le sei scuole rurali della Repubblica coll’impegno di vigilare sul buon funzionamento delle medesime, coadiuvati in tale compito dai parroci. Come ultima innovazione di questo periodo, nel 1892 le elementari del Borgo videro il completamento del loro corso fino alla quinta classe.[11] Con tale riforma, che equiparava il corso scolastico di Borgo a quello di Città, per anni il Consiglio non dovette più affrontare grosse questioni sull’istruzione elementare dei Sammarinesi.

Le timide risposte fornite dal governo al problema, se potevano essere senz’altro l’inizio di un percorso didattico nuovo e più pluralista, lasciavano però insoluti ancora troppi problemi. Così ben presto vennero rimesse in discussione, soprattutto da figure come Gino Giacomini e Pietro Franciosi, padri storici del socialismo nostrano, che facevano della scolarizzazione delle masse una prioritaria questione di evoluzione politica e sociale della comunità sammarinese.[12] Essendo infatti convinti che la cultura fosse totalmente in mano alla Chiesa e volendo prima di tutto togliere questo monopolio per creare i presupposti di una indipendenza intellettuale degli individui e per una reale laicizzazione della società, combatterono battaglie epiche in funzione di questi scopi, essendo tra l’altro entrambi insegnanti. Da noi la scuola non gode le simpatie come altrove: tutti stimano superflue le spese per l’istruzione pubblica e trascurano l’igiene e il buon andamento didattico, contribuendo in tal modo a tenere il nostro popolo nella ignoranza, nell’inerzia e nel pericolo immanente disse Franciosi in merito. (…) La scuola moderna deve mirare anche da noi all’unico scopo di accrescere le generazioni indipendenti d’intelletto e di carattere, deve curare razionalmente lo sviluppo mentale col far apprendere al fanciullo e all’alunno, tutto ciò che è conquista ed affermazione di scienza positiva, e non l’empirismo dogmatico e partigiano.[13]

C’era in effetti ancora tanto da fare, perché mancavano edifici adeguati e personale competente per una giusta scolarizzazione della società, così come occorreva creare in fretta scuole tecniche per insegnare mestieri qualificati a chi non voleva o non poteva fare il liceo. Inoltre, non essendovi ancora obbligo scolastico, vi era grossa evasione perché le famiglie, soprattutto quelle rurali, non erano interessate né avevano i mezzi per mandare  a scuola i loro figli, più utili a sbrigare i lavori di campagna.

I riformisti più all’avanguardia, con in testa i socialisti, che seguivano anche in questo campo le orme dei loro cugini italiani, erano dunque particolarmente attenti al problema perché consapevoli che la tanto agognata laicizzazione della società, obiettivo prioritario del loro programma, il miglioramento della classe operaia, la divulgazione del loro nuovo verbo in cui credevano religiosamente, passava per forza di cose attraverso una scolarizzazione anche minima della cittadinanza, in grado di fornire una coscienza critica alla gente, e di renderla libera e capace nelle sue scelte intellettuali, fortemente condizionate fin dalla più tenera età dal cattolicesimo imperante e monopolizzatore. Lo scontro con la Chiesa, feroce soprattutto  negli anni immediatamente successivi all’arengo del 1906, fu quindi prevalentemente di ordine culturale. Però non era facile risolvere la questione in tempi celeri per l’eterna mancanza di denaro con cui avviare una riforma scolastica seria e incidente, e anche per la diffidenza verso una scolarizzazione di massa da parte delle forze politiche e sociali più retrive e conservatrici.

Nel loro Programma Minimo del 1906 i socialisti si auspicavano: Obbligatorietà scolastica fino alla terza elementare. Miglioramento e riforma didattica generale delle scuole elementari, specie di campagna. Provvigione gratuita dei libri ai fanciulli poveri di campagna, refezione gratuita, facilitata dalle cucine economiche, agli alunni poveri delle scuole dei centri maggiori. Ricreatori festivi. Edifici scolastici. Istituzione nel capoluogo di una scuola serale di disegno applicato all’Industria.[14]

In tal senso venne presentata un’istanza nel Consiglio dell’11 maggio 1907, da parte di Franciosi e Rufo Reffi, perché venisse resa obbligatoria la scuola elementare, almeno fino alla sua terza classe, e si facesse qualcosa per migliorare gli edifici scolastici del territorio così da abbattere il forte analfabetismo che si aggirava ancora sopra il 60% della popolazione. Il Consiglio creò all’istante una commissione per analizzare il problema e fornire suggerimenti.[15] Tuttavia, come spesso succedeva, tale commissione probabilmente non riuscì a combinare nulla perché in novembre si sentì l’esigenza di rifarne un’altra dopo che venne ripresentata ancora un’istanza, sempre da parte di due socialisti, richiedente il riordino del sistema scolastico e l’obbligatorietà della scuola elementare.  

Agli inizi del 1908 questa commissione ispezionò tutte le scuole elementari del territorio con l’intenzione di favorire un ulteriore salto di qualità della scuola di base sammarinese. Tuttavia il problema non era certamente di facile soluzione perché il miglioramento della scuola per le forze riformiste era strettamente vincolato alla sua laicizzazione, per cui aumentarono gli attriti fra le parti, fatto che pregiudicò le buone volontà innovatrici e rallentò di molto il processo di miglioramento della scuola elementare. Come ho avuto modo di evidenziare in altri miei lavori, nel 1907/1908 il gruppo democratico che aveva determinato l’arengo del 1906 si spaccò e scoppiarono velenose polemiche relative all’abolizione del catechismo nelle scuole sammarinesi, fatti che senza dubbio ostacolarono ulteriormente l’avvio di una seria riforma delle scuole primarie.[16]

Verso la fine del 1908 i riformisti elaborarono anche un progetto dettagliato che prevedeva l’obbligatorietà scolastica fino alla 3a elementare, il divieto del lavoro minorile fino ai dodici anni di età, l’istituzione del patronato scolastico per gli studenti poveri, la creazione di una biblioteca scolastica circolante e di una popolare, sempre circolante, la nascita di un’università popolare e di scuole serali e festive per i lavoratori, la fondazione di un giardino d’infanzia per fanciulli tra i 3 ed i 6 anni, la fabbricazione di nuovi edifici scolastici, l’elaborazione di uno stato giuridico per gli insegnanti, il loro miglioramento economico e altro ancora.[17]

Le condizioni politiche e sociali del momento, però, non erano delle migliori per un suo accoglimento, viste le roventi polemiche che stavano divampando tra cattolici e laici a causa della volontà di laicizzare le scuole e di abolirvi il catechismo. In effetti occorrerà aspettare ancora qualche anno per vedere qualcuna delle innovazioni proposte concretizzarsi, nonostante i ripetuti articoli con cui il Titano, il periodico dei socialisti, di tanto in tanto spingeva sul problema, e l’approvazione del riordinamento delle scuole da parte del Consiglio, avvenuto nel mese di marzo. L’eliminazione del catechismo dalle scuole, sancita di fatto con risoluzione consigliare dell’8 ottobre 1908, e decreto del 3 agosto 1909,[18] fu però innovazione troppo forte e precipitosa per non incidere negativamente anche sulla riforma della scuola, che avrebbe avuto bisogno, per andare velocemente in porto, dell’appoggio di tutte le forze politiche e sociali della Repubblica. Non a caso i cattolici dal San Marino, loro periodico, ribadirono più volte che sarebbero stati disposti ad appoggiare l’obbligatorietà scolastica, su cui erano d’accordo, e anche altre riforme propugnate dai socialisti, a patto che venisse riattivato l’insegnamento del catechismo nelle scuole. Il ripristino invece non avvenne più, perché i riformisti più iconoclasti non si sognavano minimamente di ridare potere alla cultura cattolica nelle elementari, cultura che miravano invece a sostituire totalmente, come può ben testimoniare il presente decalogo civile, scritto da Gino Giacomini e proposto provocatoriamente in sostituzione dei dieci comandamenti[19]:

 

1.      Ama i compagni di scuola, che saranno i tuoi compagni di lavoro per tutta la vita.

2.      Ama lo studio che è pane della mente; e sii grato a chi l’insegna.

3.      Onora le persone buone; rispetta tutti; non curvarti a nessuno.

4.      Più che il rimprovero altrui, temi quello della tua coscienza.

5.      Non odiare; non offendere, non vendicarti mai; difendi il tuo diritto e non rassegnarti alla prepotenza.

6.      Non commettere bassezze, viltà: difendi i deboli.

7.      Ricordati che i beni della vita sono frutti di lavoro; goderne senza far nulla è come rubare il pane a chi lavora.

8.      Osserva e medita per conoscere la verità; non credere ciò che ripugna alla ragione.

9.      Ama la patria, odia la guerra che è avanzo di barbarie.

10.  Augura il giorno in cui il lavoro affratellerà tutti gli uomini e, cadute le barriere fra le nazioni, la pace, colle sue candide ali, sorriderà nel mondo.

 

Inoltre vi era un altro problema di grosso peso da risolvere: la scuola non avrebbe potuto avere alcuno sviluppo senza l’edificazione di nuovi immobili, soprattutto nei Castelli, perché in genere quelli che venivano utilizzati a tale scopo erano fatiscenti, o non erano nati come edifici scolastici. Per farlo, però, occorrevano soldi che non c’erano, per cui il problema della riforma scolastica era inevitabilmente collegato a quello del gettito fiscale e della riforma tributaria di cui da anni si stava discutendo inutilmente, e su cui si discuterà per anni ancora, perché la maggioranza dei consiglieri, appartenenti per lo più all’elite economica del paese, boicottava sistematicamente qualunque velleità fiscale che andasse a toccare le loro tasche.

Il Consiglio del 30 marzo 1909 deliberò comunque di far stendere alla commissione che già da tempo stava lavorando per il miglioramento della scuola, e che aveva presentato le risultanze delle sue discussioni e indagini il 23 gennaio dello stesso anno, relatore Gino Giacomini,[20] un progetto di legge in cui si prevedesse l’obbligatorietà scolastica e le innovazioni necessarie. Fu deciso altresì di costituire un comitato per istituire il patronato scolastico.[21]

Il Titano del 12 settembre 1909, dovendosi in quei giorni riesaminare in Consiglio la questione della riforma scolastica, ribadì che San Marino spendeva una sciocchezza per mantenere le sue scuole (12.682 lire), che vi era un’evasione scolastica esagerata (su 1.500 alunni solo 600 erano quelli che frequentavano abitualmente le lezioni), e che troppo elevata era anche la percentuale degli analfabeti, soprattutto se paragonata con quella del circondario (71% contro il 33% del circondario).[22]

Nella seduta consiliare del 16 settembre venne ancora una volta esaminato l’argomento perché lo si voleva risolvere, e fu sottolineato che per il riordino delle scuole occorrevano 15.000 lire in più all’anno per rimpinguare il bilancio relativo all’istruzione, più 150.000 lire subito per creare i nuovi impianti e le nuove infrastrutture.

Nel suo numero del 17 ottobre il Titano si dimostrava ormai convinto che la scuola sammarinese stesse per decollare secondo canoni moderni e pluralisti che sarebbero stati di vantaggio a tutti, oltre che alle classi sociali più povere.[23] In realtà gli entusiasmi dovettero stemperarsi in fretta, perché nella seduta del 13 novembre il Consiglio non riuscì a concretizzare i suoi buoni propositi non raggiungendo una maggioranza in grado di sostenere il riordinamento scolastico.[24] Quali i motivi di questo ulteriore ritardo? Senz’altro alla base vi era la preoccupazione per i costi che l’operazione richiedeva, ma il periodico dei socialisti sostenne la tesi che non si era arrivati a concludere la questione perché il progetto prevedeva la creazione di un posto di direttore didattico, posto per cui in Repubblica solo Gino Giacomini aveva i titoli necessari. Praticamente non si era giunti ancora a definire la legge per antipatia di molti verso Giacomini, cosa non improbabile in una realtà in cui i personalismi avevano spesso grande incidenza e Giacomini annoverava molti nemici, ma anche per i forti dissidi politici in atto tra cattolici e laici per colpa dell’abolizione del catechismo.

Nel 1910 gli scontri continuarono inasprendosi sempre più, per cui di scuola si parlò poco, soprattutto nei suoi primi mesi. Si riuscì però a determinare una maggioranza in grado di articolare una legge meno stringata del decreto dell’11 agosto 1907[25] con cui, in data 28 giugno, veniva sancita l’obbligatorietà scolastica.[26] La nomina a direttore didattico di Giacomini, inviso ai conservatori, e osteggiata da tanti consiglieri, era però realmente una faccenda di non poco conto. In un articolo del 3 luglio 1910 dal titolo molto esplicito[27] i socialisti dichiararono che, pur di non nominare Giacomini direttore didattico, unico maestro sammarinese ad essere in possesso del diploma di specializzazione necessario, nella seduta consiliare del 28 giugno si era preferito bandire un illegale pubblico concorso aperto anche a chi non era sammarinese.

Il 6 luglio una sottoscrizione, che aveva raccolto più di 400 firme a favore di Giacomini, chiedeva ufficialmente che gli venisse affidato tale incarico, senza sortire però alcun effetto. Nel mese di settembre scoppiarono i contrasti più violenti perché nel Consiglio del giorno 7 vennero esaminate le tre domande presentate per ricoprire il posto, una di Giacomini e le altre due di maestri italiani abilitati. Uno di questi tuttavia inoltrò una dichiarazione per dire che si ritirava perché aveva capito che il paese gradiva la nomina di Giacomini e di nessun altro; l’altro invece concorse, ma senza esito perché il Consiglio non riuscì a raggiungere una maggioranza adeguata né per affidare l’incarico all’uno, né all’altro. Praticamente la faccenda rimase in sospeso mentre divamparono le polemiche sui due giornali del paese. Infatti anche il San Marino affrontò il problema, ovviamente da tutt’altro punto di vista, sostenendo che il concorso, in cui sottolineava che Giacomini era arrivato ultimo, era fallito per colpa delle pressioni esercitate dai socialisti sui concorrenti da loro non graditi.[28]

La mancata nomina di un direttore didattico fu presa dai socialisti come un umiliante affronto personale: Giacomini se ne andò schifato da San Marino perché nel frattempo aveva vinto un concorso da direttore didattico fuori territorio, ad Argenta; il consigliere socialista Giovanni Vincenti si dimise in segno di protesta; il direttore del Titano Alfredo Casali istigò sempre più i socialisti alle dimissioni in blocco per combattere battaglie più aspre dall’esterno del Consiglio. Perché non si vuole il direttore didattico? – si chiese Franciosi qualche mese dopo – Innanzi tutto per un odio inveterato, per una guerra senza fine sleale ed incivile contro un nostro compagno, unico fra i Sammarinesi che possa per titoli aspirare a tale Ufficio e degnamente coprirlo, poi perché la maggioranza dei nostri consiglieri è di preti autentici, nemici dichiarati dell’opera pedagogica moderna. Essi intendono che sia opera buona e saggia continuare ad accumulare nella mente del fanciullo un ammasso di assurdità inconcepibili, offuscandone le doti più sane, ostacolandone il naturale e progressivo evolversi, chiudendo le piccole intelligenze alle più semplici verità. Il prete, ed il clericale in genere, non possono per naturale conseguenza delle loro funzioni e dei loro scopi, che volere l’imbecillità piuttostoché l’educazione, imbestialire anziché civilizzare le masse, allevando una “pianta uomo” supina a tutti gli sfruttamenti, prona a tutti i potenti, inconscia dei propri diritti ed ignara dei propri doveri. E’ ben rattristante che il prete o direttamente o indirettamente debba avere ancora un così forte predominio tra noi da essere l’allevatore delle generazioni future.[29]

In un altro articolo di agosto sempre Franciosi tornò sulla questione per dire che bisognava in fretta rimediare ai grossi problemi scolastici che vi erano, predisponendo edifici adeguati su tutto il territorio, facendo una drastica selezione dei maestri in attività, di cui molti si erano dimostrati del tutto incompetenti, e nominando un direttore didattico, unica figura capace di mettere un po’ d’ordine nella disastrata scuola primaria locale. [30]

Praticamente la questione rimase congelata anche nei mesi successivi, perché per le roventi polemiche tra i gruppi non si riuscì a nominare nessun altro direttore didattico. Gli unici benefici che si possono registrare a vantaggio della realtà scolastica sammarinese furono l’inaugurazione di un nuovo edificio scolastico a Domagnano nel 1910, e l’avvio di scuole serali per adulti nel 1913. Però il loro successo fu parziale, perché nel febbraio dell’anno dopo risultavano già non funzionanti in Città per scarsa frequenza; a Faetano, Falciano e Domagnano non erano nemmeno partite, mentre funzionavano in Borgo, Serravalle, Acquaviva, Chiesanuova, Fiorentino e Montegiardino con 160 frequentanti complessivi.[31] 

Agli inizi del 1913 i maestri presentarono al Consiglio un memoriale, accolto con reazioni contrastanti, in cui facevano presente la loro precaria situazione economica e chiedevano un aumento così da equiparare i loro stipendi a quelli dei loro colleghi italiani. Nei mesi successivi vi furono discussioni anche per questo motivo, dunque, finché non si giunse alla seduta consigliare del 10 maggio 1913 quando Franciosi e Marino Borbiconi proposero di nominare senza ulteriori tentennamenti Giacomini come direttore didattico. Venne anche avanzato l’invito ad esaudire i desideri economici dei maestri. Il Consiglio, ormai dominato dai riformisti che erano riusciti da poco tempo a stringere una nuova alleanza politica denominata Blocco Democratico, alleanza in realtà che avrà vita piuttosto breve, intenzionati a dare in mano al lavoratore l’alfabeto, la prima arma di sua difesa, accettò elevando gli stipendi, istituendo il posto ufficialmente ed interpellando Giacomini che si trovava ancora ad Argenta. Qualche mese dopo arrivò la sua risposta positiva: egli assunse il suo incarico col nuovo anno scolastico indirizzando ai maestri una lettera di saluto dove si presentava come loro nuovo superiore e dove tracciava le linee di quelli che sarebbero stati i suoi interventi più immediati, visto che l’incarico gli era stato affidato con l’impegno di riordinare il più in fretta possibile la scuola di base.[32]

In effetti subito s’industriò per far portare a conclusione l’istituzione del patronato scolastico, vecchio pallino suo e dei socialisti in genere, con cui facilitare la scolarizzazione dei fanciulli più poveri, che prese vita con regolamento del 6 dicembre 1913.[33] Ugualmente si diede da fare per ottenere stanziamenti di denaro per gli edifici scolastici di Acquaviva e Chiesanuova, sempre per la convinzione che vi era di dover facilitare con tutti i mezzi l’innalzamento del basso numero di studenti che frequentavano la scuola primaria. Il 21 maggio Giacomini riunì tutti i maestri per avanzare proposte innovative in quanto era sua intenzione introdurre la sesta classe in Città e rendere miste le classi seconda e terza a Borgo, Serravalle e sempre in Città.[34]

Nel frattempo scoppiò un’altra questione tra laici e cattolici legata all’istituzione dell’asilo di Serravalle. Qui, grazie all’attività di alcune signore locali, si riuscì ad aprire un asilo che venne affidato a maestre pie. Subito i socialisti, intransigenti nel ritenere che la scuola non dovesse mai essere confessionale (è da escludere che nel compito dell’educazione pubblica lo Stato debba lasciarsi surrogare da corporazioni e da privati che nel fondare istituti infantili (…) hanno per movente l’esercitazione di un’isterica carità e mirano, a scopo di predominio confessionale, a locare delle caparre spirituali nell’animo delle nuove generazioni)[35] spararono a zero sull’iniziativa, senza però riuscire a nulla perché l’asilo iniziò a funzionare con regolarità.

Giacomini, che ad Argenta aveva saputo imparare assai bene il mestiere di direttore didattico, si diede comunque molto da fare per migliorare la situazione scolastica sammarinese: ne è rigorosa testimonianza la relazione da lui presentata alle autorità e divulgata tra la popolazione nel 1917, che fotografa con precisione lo stato delle scuole elementari in territorio.[36] Il primo impegno cui si dedicò Giacomini fu l’edilizia scolastica. La precedenza venne accordata alle frazioni di campagna per il bene inteso proposito di dar pregio alla Scuola laddove più numerose e tenaci cause ne ostacolano la feconda attività, dichiarò all’interno della sua relazione. Il primo nuovo edificio scolastico era già sorto a Domagnano nel 1910, poi un altro a Serravalle nel 1913, a Chiesanuova l’anno successivo, ad Acquavìva nel 1915, a Montegiardino nel 1916. Edifici ampi, decorosi, costrutti secondo le regole più razionali, tutti muniti d’area scoperta, con annessa abitazione per l’insegnante, meno quello di Serravalle che consta di cinque aule con una grande sala per la refezione e la ricreazione. L’insieme di questi edifici era costato circa 204.000 lire. Per la scuola di Borgo esisteva già una delibera consigliare e uno stanziamento a bilancio, mentre quella di Corianino, aperta nel 1915,  era in un locale adattato acquistato da poco. La scuola di Faetano invece era nella casa del castello, mentre Fiorentino, Falciano, Ca’ Berlone, anche quest’ultima sorta solo due anni prima, erano in locali in affitto in attesa di locali propri. Anche la scuola elementare di Città stava aspettando un nuovo stabile.

Erano inoltre stati acquistati numerosi banchi insieme a tant’altro materiale didattico, tuttavia molto ancora era da comprare; soprattutto si sentiva l’esigenza di un apparecchio per proiezioni. Un’altra miglioria era legata all’assunzione di un bidello per ogni scuola, mentre prima del riordino affidato a Giacomini solo Città ne aveva uno, e gli altri istituti per le pulizie dovevano in genere arrangiarsi, così come per il riscaldamento cui doveva provvedere il maestro dietro rimborso di una qualche cifra..

Da un punto di vista normativo la situazione era ulteriormente migliorata grazie ad una nuova legge sancita nel dicembre del 1914, con cui veniva ribadito l’obbligo scolastico e si dava un’organizzazione più rigorosa a tutto il sistema scolastico. E’ vero, infatti, che l’obbligatorietà era già stata decretata qualche anno prima; tuttavia la carenza di edifici idonei alle lezioni, e l’impossibilità economica di molte famiglie di mandare i loro figli a scuola aveva fatto sì che ci fosse ancora un’elevata evasione scolastica, in genere tollerata dalle autorità, che non applicavano mai le sanzioni previste per legge, proprio per i motivi di cui si è detto. La creazione del patronato scolastico, sancito con regolamento del 6 dicembre 1913,[37] e di nuovi edifici toglieva ora qualunque pretesto per non mandare i figli a scuola, ed anche lo Stato aveva iniziato una nuova forma di vigilanza su chi abitualmente non andava a scuola, o vi andava molto di rado. Questo aveva portato ad un repentino abbattimento dell’evasione: infatti su 1.400 alunni circa soggetti all’obbligo, nell’anno scolastico 1912 – 1913 solo poco più di 800 frequentavano abitualmente, mentre nel 1916/17 erano arrivati alla cifra di 1.232. Ancora 200 fanciulli disertavano la scuola, quasi tutti figli di mezzadri, sosteneva Giacomini, la categoria più restia a privarsi dell’aiuto dei loro figli; tuttavia, con adeguate misure di rigore, sicuramente anche questi ragazzi avrebbero iniziato a frequentarla con regolarità.

Altre innovazioni cui provvedere riguardavano soprattutto le scuole rurali, ancora con un corso di studi solo fino alla terza classe, dove il solo maestro che vi era per ogni istituto doveva faticare non poco, perché il più delle volte i bambini lavoravano insieme in un’unica stanza. Ugualmente era da completare il corso di studi a Serravalle, perché qui, non essendovi ancora la sesta classe, gli studenti dovevano finire i loro studi con la quinta, non potendo completare così ciò che all’epoca veniva chiamato Corso Popolare.

Anche le scuole urbane, cioè quelle di Città e Borgo, avevano i loro problemi legati in particolare all’arcaica divisione tra classi prettamente maschili o femminili. Giacomini suggeriva di superare una volta per tutte i tabù legati alle differenze di sesso creando classi miste dove potessero insegnare anche uomini, perché in genere in tali classi lo potevano fare solo le donne. Simile semplice innovazione di natura prettamente morale, avrebbe migliorato senz’altro l’organizzazione interna degl’istituti in questione.

Altro problema da risolvere era in molti plessi legato alla puntualità, al contegno, all’attenzione degli alunni, caratteristiche che non dovevano essere indotte con la semplice coercizione, spesso del tutto inutile, ma educando i fanciulli ad un contegno adeguato, così da insegnare loro anche un comportamento civico che sarebbe stato utilissimo nella società, visto che ancora presso la maggioranza dei Sammarinesi mancava un’appropriata preparazione civica e una giusta educazione dei rapporti sociali. La Scuola può e deve educare alla libertà e al suo lecito uso, può infondere il primo senso consapevole della necessità della vita sociale e la convinzione che questa implica in tutti un contemperamento di diritti e di doveri, e avviare alla vita di domani una cittadinanza che sia tale, non per formale requisito di stato civile, ma per un vincolo filiale, per un affetto attivo e consapevole verso la Repubblica. Questo doveva però avvenire creando un ambiente ricco di stimoli, un regime di libertà che rispetti il più possibile le manifestazioni caratteristiche della natura umana ed assecondi l’atteggiamento attivo ed esplicativo, anziché costringerlo ad una recettività costantemente passiva. La scuola insomma, che doveva necessariamente essere neutrale e laica se voleva raggiungere i suoi traguardi, doveva principalmente proporsi di avviare il fanciullo all’autoeducazione, e di fornirgli l’abito e lo strumento per l’acquisto spontaneo delle cognizioni e l’orientamento volontario nel mondo morale.

Certo che la società sammarinese dell’epoca non era la più idonea per stimolare i fanciulli ad andare a scuola: La causa maggiore che fa inibizione alla Scuola e ne invanisce l’opera è il meschino tenore di vita delle nostre popolazioni. (…) La vita delle nostre borgate e campagne è depressa da una così grave insufficienza economica, fisica, igienica e morale da renderla inferiore ad ogni preliminare grado di civiltà. (…) I fanciulli che vengono a scuola, portano con sé i segni e le impronte fisiche e morali di questo ambiente di penuria e di abbrutimento. Per questo fondamentale per Giacomini era il massimo potenziamento del Patronato Scolastico, anche se in quattro anni di vita aveva già fatto tanto, distribuendo scarpe ad un centinaio di fanciulli, libri e quaderni a 350 alunni, refezione a 400. Però ancora doveva fare molto, se voleva davvero sostenere l’educazione dei troppi ragazzi indigenti della Repubblica. Che fa tuttora la società nostra verso i fanciulli trascurati dalla famiglia, per sottrarli alla cattiva ispirazione dell’ozio e all’insidia della strada, della bettola e del tavolo da gioco? Mancano gli Asili infantili; mancano i ricreatori, gli educatori, i dopo – scuola; manca una Scuola di lavoro professionale. Accanto al patronato dovevano dunque sorgere o comunque essere favoriti altri istituti, in particolare biblioteche, asili infantili e colonie marine dove mandare i fanciulli debilitati fisicamente. Importante era anche istituire una cattedra ambulante di agricoltura per elevare le competenze dell’ancor vasto mondo contadino locale. Inoltre occorreva creare un istituto professionale dove i giovani non vogliosi di creare un patto di sacrificio col latino, ovvero che non desideravano frequentare il liceo, unica scuola superiore della Repubblica, potessero imparare un mestiere qualificato e non cadere nella tragica disoccupazione che caratterizzava in quegli anni gli operai comuni. Per raggiungere tale possibilità c’era solo un mezzo: l’istituzione di una Scuola d’arti e mestieri, informata al criterio non di distinte specializzazioni professionali, che potranno essere altrove conseguite, e che qui determinerebbero una selezione non corrispondente al bisogno, ma di un largo avviamento generico ad un gruppo di attività affini, regolate da principi fondamentali di cultura tecnica e di tirocinio.

Con quest’ultimo invito, che riuscirà a concretizzarsi solo tra il 1918 e il 1919, durando purtroppo poco tempo per lo scarso afflusso di studenti,[38] Giacomini chiudeva la sua lunga e dettagliata relazione. Negli anni successivi la scuola di base continuerà il suo lento cammino migliorativo, che porterà gradualmente all’abbattimento di quell’elevato tasso di analfabetismo in cui San Marino da sempre si dibatteva, e diventerà sempre più strumento di preparazione e di sicurtà per il grande domani che ci aspetta, come si augurava ottimisticamente sempre Giacomini.

Forse oggi non è proprio quel grande domani che i più illuminati di un secolo fa si auspicavano, tuttavia grazie alla loro opera, ai loro sogni, al loro attivismo spesso ingenuo, a volte intransigente, ma sempre in buona fede, il nostro mondo si è senza dubbio evoluto. Se rinascessero oggi non sarebbero probabilmente del tutto soddisfatti di ciò che si è venuto consolidando all’interno della nostra poliedrica e spesso controversa società, ma non potrebbero essere nemmeno del tutto scontenti.


[1] Sul periodo si veda: V. CASALI, I tempi di Palamede Malpeli, la RSM nell’età della Destra Storica, San Marino, 1994.

[2] Cfr. Archivio di Stato della RSM (ASRSM), Atti del Consiglio Principe (ACP), vol. PP, n° 39, seduta del 10/4/1864.

[3] Ibid. sedute del 5/9 e 28/12/1865, e 27/10/1866.

[4] Ibid. sedute del 16/5 e 27/8/1867. I programmi scolastici approvati in questa occasione erano:

Scuola elementare inferiore,  1° e 2° anno: Religione – principi di educazione morale religiosa, orazioni vocali, nozioni     principali della dottrina cristiana. Lingua italiana – sillabazione completa. Aritmetica – lettura delle cifre arabe. Calligrafia – esercizi graduati di asta e cuneo.

Scuola elementare media, 1° anno: Religione – introduzione alla dottrina cristiana. Lingua italiana – lettura spedita e a senso. Aritmetica – Lettura dei numeri da uno a cento. Calligrafia – copiare correttamente qualunque squarcio.

2° anno: Religione – parte prima della dottrina cristiana. Lingua italiana – etimologia. Storia – dalla creazione sino alla morte di Mosè. Aritmetica – prime due operazioni degli interi, tavola pitagorica. Calligrafia – avviamento al carattere corsivo. Geografia – primi elementi.

Scuola elementare superiore, 1° e 2° anno: Religione - parte II e III della dottrina cristiana. Lingua italiana – ripetizione più dettagliata della parte etimologica. Storia – vecchio e nuovo testamento. Aritmetica – Moltiplicazione e divisione degli interi. Geografia – divisione generale del globo. Calligrafia – esercizi di carattere corsivo.

Scuola ginnasiale inferiore, 1° anno: Religione – parte quarta della dottrina cristiana. Lingua italiana e latina – sintassi. Storia – periodo greco – romano. Geografia – Europa e Africa. Aritmetica – Sistema metrico decimale, proporzioni, progressioni.

2° anno: Religione – continuazione del programma del 1° anno. Lingua italiana e latina – ripetizione più dettagliata della sintassi. Lingua greca – lettura dal greco, declinazione dei nomi. Storia, Geografia, Aritmetica - continuazione del programma del 1° anno.

Scuola ginnasiale media, Religione – dottrina cristiana, Lingua italiana e latina – elocuzione, Lingua greca – etimologia, Storia – Medioevo, Geografia – Asia, America, Oceania

Scuola ginnasiale superiore, 1° e 2° anno: Religione - nozioni di storia ecclesiastica, Lingua italiana e latina – eloquenza e poetica. Greco – sintassi. Storia – dalla scoperta dell’America in poi. Geografia – nozioni di geografia antica.

Liceo, 1° anno: Filosofia – logica e metafisica. Matematica – elementi di algebra e geometria.

2° anno: Filosofia – etica. Scienze naturali: fisica, chimica, storia naturale.

Scuola femminile, 1° anno: Religione – parte prima della dottrina cristiana. Lingua italiana – lettura spedita, esercizi di memoria. Aritmetica – numeri da 1 a 1.000. Calligrafia – copiare un libro. Lavori – maglia e crochet.

2° anno: Religione: compimento della dottrina cristiana. Lingua italiana – continuazione della lettura e degli esercizi di memoria. Aritmetica – prime quattro operazioni degli interi. Calligrafia – esercizi di scrittura. Lavori – cucire in bianco.

Scuola tecnica, 1° anno: Religione – compimento della dottrina cristiana e della storia sacra. Lingua italiana – insegnamento pratico della sintassi grammaticale.

2° anno, Religione e morale – doveri dell’uomo. Lingua italiana – istruzione epistolare. Storia – principali fatti di storia patria, idea della costituzione dello Stato. Aritmetica, aritmetica pratica, sistema metrico decimale. Calligrafia – carattere formale.

[5] ASRSM, ACP, vol. TT, n° 43, sedute del 18/8/1881, 6/11 e 21/12/1882.

[6] ASRSM, ACP, vol. TT, n° 43, seduta del 24/12/1883.

[7] ASRSM, ACP, vol. UU, n° 44, seduta dell’11/6/1885.

[8] Ibid. seduta del 15/4/1889.

[9] Ibid.

[10] Ibid.

[11] ASRSM, ACP, vol. VV, n° 45, sedute dell’11/10 e 14/11/1892.

[12] Sul loro attivismo a vantaggio della scuola si vedano anche: AAVV, Pietro Franciosi - Della scuola e della democrazia, collana Biblioteca e Ricerca, San Marino, 1999. L. MAIANI, L’istruzione popolare nella Repubblica di San Marino, Quaderni del Centro di Studi Storici, n° 17, Aiep editore, 1998.

[13] Le condizioni delle nostre scuole, in Il Titano, a. V, n° 15 - 16, 18.8.07. Gli articoli di Franciosi sono raccolti in: Pietro Franciosi Opere, vol. 1, tomi 1 e 2, Aiep editore, San Marino 1986 e 1988.

[14] Il nostro programma minimo, in Il Titano, a. IV, n°16, 1/12/1906

[15] ASRSM, ACP, vol. A, n° 49 e anche Il Titano, a. V, n° 11, 9/6/07.

[16] V. CASALI, Storia del socialismo sammarinese in Il Nuovo Titano, dal n° 17 del marzo 1998 al n° 4 dell’ottobre 2000; Il casus belli, in Annuario della Scuola Secondaria Superiore, n° XXVII, a.s. 1999/2000, San Marino 2001.

[17] Il Titano, a. VII, n°1, 10/1/09.

[18] Cfr. . RAMOINO, M. BONELLI, Supplemento alla raccolta delle leggi e decreti della R.S.M., Città di Castello, 1915, p. 286.

[19] Il Titano, a. VII, n° 15, 22/8/09.

[20] G. GIACOMINI, Relazione della Commissione Governativa incaricata di un Progetto di riordinamento scolastico, Rimini, 1909.

[21] ASRSM, ACP, vol. C, n° 51.

[22] Il Titano, a. VII, n° 16.

[23] Il Titano, a.VII, n°17/18

[24] ASRSM, ACP, vol. C, n° 51.

[25] Che in modo succintamente draconiano enunciava: La scuola elementare è obbligatoria. Cfr. G. RAMOINO, M. BONELLI, op. cit., p. 287.

[26] G. RAMOINO, M. BONELLI, op. cit., pp. 287 – 303.

[27] Persecuzione politica, in Il Titano, a. VIII, n° 27.

[28] San Marino, a. II, n° 18, 18/9/1910.

[29] Il Titano, a. IX, n° 31.

[30] Scuole e maestri, in Il Titano, a. IX, n° 32.

[31] Il Titano, a. XII, n° 7, 15/2/14.

[32] E’ riprodotta in Il Titano, a. XI, n° 42.

[33] G. RAMOINO, M. BONELLI, op. cit., pp. 315 – 317.

[34] Il Titano, a. XII, n° 22, 31/5/14.

[35] G. GIACOMINI, La scuola primaria e popolare e i suoi problemi – relazione 1914/1917, San Marino 1917.

[36] G. GIACOMINI, op. cit.

[37] G. RAMOINO, M. BONELLI, op. cit., pp. 315 – 317.

[38] C. BUSCARINI, La scuola di arti e mestieri a San Marino, in Annuario della Scuola Secondaria Superiore, n° XXV, a.s. 1997/98, San Marino 1998.

 

 

 

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