Ama
lo studio che è pane della mente
Il difficile avvio della scolarizzazione di base sammarinese
di Verter Casali
Una politica scolastica tesa a migliorare
l’istruzione di base a San Marino, come anche in Italia
d’altronde, prese vita poco più di un secolo fa.
Nell’ultimo trentennio dell’Ottocento la
Repubblica poté procacciarsi introiti straordinari, riuscendo
così a garantire, fino al 1895 circa, discrete possibilità di
lavoro.
Il maggior benessere che ne derivò, nonché gli stimoli
provenienti dalla politica scolastica della Sinistra storica
italiana, determinarono nella cittadinanza e nel governo di San
Marino una sensibilità maggiore nei confronti del problema della
scuola in generale e della scolarizzazione di base in
particolare rispetto al passato.
In precedenza, infatti, ci si preoccupava
soprattutto d’investire qualche soldo, i pochi di cui poteva
disporre il modestissimo bilancio dello Stato, nel liceo
classico per formare i nuovi quadri dirigenti. Il popolino nei
confronti dell’alfabetizzazione aveva poi diffidenze notevoli,
considerando di regola la scuola una inutile perdita di tempo.
Anche antecedentemente, per la verità,
con il varo della legge Casati in Italia nel 1859, che costituì
l’atto di nascita della scuola italiana e ne definì l’ossatura
fino alla riforma Gentile del 1923, nei confronti della scuola
vi era stata qualche titubante effervescenza pure a San Marino,
legata soprattutto a rari e velleitari spiriti più illuminati
della media. D’altra parte in quegli anni uno dei suoi
principali consulenti era Luigi Cibrario, già ministro della
cultura presso i Savoia dal 1852 al 1855, ed autore, nel 1854,
di un progetto scolastico per il riordinamento della pubblica
istruzione italiana, considerato il fondamento della legge
Casati stessa, fatto che può aver stimolato qualche governante,
come Palamede Malpeli, per esempio, che attribuirà sempre
all’evoluzione scolastica grossa importanza.
Grazie a questo nuovo interesse al
problema delle scuole di base, il sistema didattico più moderno,
che stava diffondendosi nel Regno italiano, nel 1864 venne
adottato nelle due scuole elementari ufficiali della Repubblica,
quella di Città e quella del Borgo.
La prima, dove l’anziano maestro Nicola Giannini venne
sostituito dal giovane Federico Gozi, aveva fino alla quinta
classe, ovvero tutto il corso completo; la seconda, in cui da
non molto tempo insegnava Federico Martelli, avvocato e
introduttore del nuovo sistema didattico, poi allargato anche a
Città, disponeva solo delle prime due classi.
Nel 1865 i comunisti di Serravalle
presentarono un’istanza al Consiglio per poter impiantare una
scuola elementare che funzionasse regolarmente senza essere
legata solo alla buona volontà del parroco, il quale l’aveva
gestita da solo, fino a quel momento, con la misera cifra di 64
lire annue. Affermavano infatti che la popolazione del Castello
era aumentata notevolmente, e troppi fanciulli rimanevano
abbandonati a se stessi. Il Consiglio rispose che il desiderio
era lodevole e degno di essere sostenuto, solo che in quel
momento non vi erano denari, per cui non poteva fornire
contributi. Se volevano una scuola, dovevano autotassarsi. Così
in effetti fu, perché in dicembre i Serravallesi comunicarono di
aver stabilito una tassa sull’estimo censuario dei fondi rustici
con cui dar vita all’iniziativa. L’anno dopo, in data 27
ottobre, il Consiglio approvò i suoi insegnanti (Belluzzo
Belluzzi e Maddalena Angeli) e diede il permesso di avviarle,
purché seguissero i programmi scolastici di Città e Borgo.
Nel 1867 fu pensato e parzialmente
avviato un progetto di ristrutturazione del sistema scolastico
locale che prevedeva la riapertura del Collegio Belluzzi, chiuso
dagli anni ’50, l’avvio di un biennio di scuola femminile e uno
di scuola tecnica, l’apertura di un asilo infantile e altro
ancora.
Il 10 novembre dello stesso anno venne
divulgato un pubblico bando da cui si capisce quale fosse il
reale problema delle locali scuole. Diceva:
Concittadini
Il vostro Governo dal canto suo non
risparmia cure e spese per migliorare e sviluppare sempre più la
pubblica morale e la pubblica istruzione, persuaso che così
facendo tutelerà potentemente l’indipendenza, la libertà e la
prosperità politica della diletta nostra Repubblica. Ma è
indispensabile altresì che Voi pure dal canto vostro secondiate
e corroboriate con unico spontaneo concorso gli sforzi del
vostro Governo, curano che i vostri figli vadano regolarmente
alla scuola, e non perdano poi nel seno della famiglia quello
che nella scuola è stato loro insegnato con tanta fatica. Si
ricordino i genitori che nell’onestà, nel senno, nella prudenza,
nella generosità, nell’amor patrio della crescente generazione
sta riposta la salute della Repubblica, e che noi faremo
applicare rigorosamente le sanzioni degli Statuti e del Codice
Penale a quei Padri che tramandassero l’adempimento del sacro
dovere di educare ed istruire la lor prole.
Nonostante il tono minaccioso con cui si
concludeva il proclama, non esisteva ancora l’obbligo scolastico
sancito per legge, per cui la maggioranza delle famiglie
continuò tranquillamente a non indirizzare a scuola i figli,
determinando un tasso elevatissimo di analfabetismo ancora a
fine secolo.
Nel 1871 vi fu anche il tentativo di
avviare scuole serali per gli adulti, esperimento che comunque
tramontò sul nascere sia per gli scarsissimi denari che lo Stato
poteva investirvi, sia verosimilmente per il modesto interesse
della popolazione nei confronti dell’iniziativa.
Negli anni successivi continuarono
comunque le istanze dei Castelli per allestire nuove scuole
elementari. Nel novembre del ’73 iniziò a chiederla Acquaviva;
nel 1878 si associò alla richiesta anche Faetano. Il governo
rispondeva sempre alla stessa maniera: le petizioni erano
legittime, ma occorreva un piano globale che portasse
all’istituzione di scuole elementari in tutti i Castelli, piano
che però per un motivo o per un altro, in genere per i forti
investimenti di denaro di cui abbisognava, veniva sempre
rimandato.
Dagli anni
’80 le richieste si fecero più pressanti: nel 1881 è la
popolazione del Borgo che torna ad insistere, avendolo fatto
anche qualche anno prima, per avere una scuola femminile come
quella che già operava dal 1870 in Città, gestita dalle suore
del Monastero Santa Chiara, che istruivano le fanciulle
soprattutto nella dottrina cristiana, nella lettura e scrittura,
nelle prime operazioni di aritmetica, nel cucito e nei tipici
lavori femminili. In particolare la petizione era sostenuta da
una certa signora Carolina Scavolini, la quale era disposta a
finanziare la scuola, comperando addirittura una casa come sede,
purché a gestirla come insegnanti fossero chiamate le maestre
pie. Il Consiglio inizialmente rimandò il problema, perché non
era sua intenzione dar vita ad altre congregazioni religiose in
territorio, tuttavia la proposta stimolò il governo a provvedere
in proprio, tanto che nel giro di un anno tale scuola venne
attivata con l’assunzione di una maestra laica (Teodolinda
Francesconi) e l’affitto di un locale dove tenere le lezioni.
Nel dicembre dell’82 venne sanzionato il regolamento della
stessa con l’obbligo di uniformarsi pienamente alle scuole
femminili di Città.
Sollecitazioni simili
continuarono ad arrivare in Consiglio nello stesso periodo anche
per le scuole elementari, ancora fortemente trascurate dalle
autorità. Nel Consiglio del 6 novembre 1882 si ribadì per
l’ennesima volte la volontà di attivare scuole elementari in
tutti i Castelli del territorio, rimediando il denaro necessario
tramite la riscossione dei crediti che lo Stato aveva, e
principalmente istituendo una tassa supplementare dello 0,50%
sull’estimo rustico, lo stesso tipo d’imposta con cui Serravalle
aveva potuto autonomamente realizzare la sua scuola. La proposta
però non venne accettata dal Consiglio, perché all’oligarchia
agraria che lo dominava non poteva ovviamente andare a genio
alcun tipo di tributo in più.
Discussioni analoghe vi furono
periodicamente anche negli anni successivi, ma sebbene
l’allargamento della cultura popolare fosse ritenuta
fondamentale da diversi consiglieri, non si riusciva a trovare
il sistema con cui rimediare il denaro necessario a favorirla.
Anzi, per molti prioritario era ancora senz’altro reputato il
miglioramento delle scuole superiori più di quelle elementari.
Nel dicembre del 1883 venne
comunque letta in Consiglio una relazione incentrata tutta
sull’esigenza di riformare le scuole, e nel marzo dell’anno
successivo fu presentato uno studio dal Segretario degli Esteri
e delle Finanze, Domenico Fattori, commissionatogli per
analizzare il grave problema, se si dovesse ricorrere a nuove
tasse per sopperire ai nuovi bisogni, e specialmente a quello
urgentissimo del completo riordinamento dei pubblici studi.
In sintesi Fattori, dopo aver esaminato i bilanci passati e
preventivato quello futuro, era giunto alla conclusione che la
situazione economica locale era ancora abbastanza fiorente, per
cui al momento non vi era la necessità assoluta d’imporre
nuove tasse, sempre che si evitasse la cattiva abitudine di
decretare nuove spese non calcolate all’interno del bilancio
preventivo. Vi erano però dei risparmi da fare, se si voleva
migliorare il sistema scolastico, ed un maggior rigore
amministrativo da osservare; si suggeriva di sopprimere il
rinfresco che suol dare la Reggenza la sera di S. Agata, e
l’ultimo Veglione di Carnevale ; abolire il tiro al Bersaglio
nel 3 Settembre; esercitare maggiore controlli sui
magazzinieri del sale, sulla macellazione delle bestie, e altro
ancora. Piccole riforme che nell’insieme avrebbero però fornito
qualche migliaio di lire in più con cui provvedere ai nuovi
bisogni, in particolare all’assunzione di un insegnante di
storia e geografia per il ginnasio - liceo, di un maestro per la
quarta elementare, per un costo complessivo di 2.300 lire, ed
all’aumento di stipendio di altri insegnanti già in organico, a
cui la soppressione del Collegio Belluzzi, sanzionata dopo
lunghe polemiche proprio in questo periodo, aveva determinato un
carico di lavoro maggiore. Il Consiglio approvò l’intero
progetto che prevedeva, tra l’altro, un insignificante
finanziamento di 100 lire a titolo di incoraggiamento
all’erigenda scuola elementare di Faetano. Tale finanziamento
era stato fornito in precedenza pure a Serravalle e Acquaviva,
da anni in prima fila per l’istituzione di una scuola
elementare, ma nient’altro era stato fatto.
Nel 1885 riemerse il problema
perché ora era Montegiardino che voleva aprirne una. Il
Consiglio, sempre ribadendo la volontà puramente teorica di
istituire scuole ovunque, promise anche a questo Castello le 100
lire d’incoraggiamento, cifra che però avrebbe consegnato solo a
scuola aperta. Invitò nel frattempo gli abitanti ad autotassarsi
per rimediare gli altri soldi che senza dubbio sarebbero
serviti.
Per qualche anno non troviamo
più tracce di richieste analoghe, verosimilmente perché con le
100 lire fornite e la collaborazione dei residenti qualche
modesta novità in funzione dell’alfabetizzazione elementare fu
possibile realizzare presso quei Castelli che si erano
dimostrati più sensibili al problema. Nel 1889, però, abbiamo la
prova che fin lì non era stato fatto niente di più di quanto
detto, perché il maestro di Serravalle, Belluzzo Belluzzi,
insieme alla figlia, che probabilmente lo aiutava nel disbrigo
del suo lavoro, fece istanza al Consiglio per chiedere un
aumento di 300 lire al suo salario, perché i suoi alunni erano
ormai arrivati al numero di 109, cifra assai elevata e che gli
costava un grave impegno non certo compensato dalle 100 lire con
cui lo Stato lo indennizzava.
Il Consiglio seduta stante
deliberò di applicare la famosa tassa sui fondi rustici per
soperire alla spesa delle scuole, tassa che sarebbe andata a
beneficio anche delle altre scuole rurali. Ovviamente, come
sempre succedeva quando si andava ad ipotizzare qualche tassa
sul capitale fondiario, le polemiche spuntarono repentinamente:
nel Consiglio del 20 maggio alcuni consiglieri possidenti (Luigi
Martini Bortolotti, Teodoro Ceccoli, Luigi Pasquali, Filippo
Filippi) avanzarono formale protesta per le tasse deliberate,
perché essendo la scuola un bene di tutta la cittadinanza, non
ritenevano giusto che a finanziarle fossero solo i cittadini
possessori di beni rustici ed urbani.
Comunque ormai c’era tra i più
la volontà d’incamminarsi lungo una nuova strada, e qualche
miglioramento per le scuole dei Castelli stava per avvenire. Nel
novembre dello stesso anno fu stabilito di aumentare le paghe
dei maestri rurali da 100 a 350 lire, cifra comunque assai bassa
rispetto agli stipendi medi dell’epoca. Questa deliberazione
naturalmente scatenò vivaci discussioni all’interno del
Consiglio, non tanto per l’aumento in sé, quanto perché ci si
chiese per la prima volta se i maestri che stavano lavorando
nelle scuole rurali, nominati nel corso del tempo dalla
popolazione stessa, fossero idonei al delicato mestiere che
svolgevano, e se fosse il caso, invece, che la nomina spettasse
sempre al Consiglio. Per troncare la diatriba, si decise di non
rimuoverne per il momento nessuno, ma di verificare se fossero
realmente adatti al lavoro che stavano svolgendo, tramite esame
da sostenersi davanti a commissione competente. Questa venne
presto nominata, e nel giro di pochi mesi ultimò le sue
verifiche. Presentò poi una relazione che il Consiglio analizzò
il 31 luglio del 1890.
Poiché il documento è indubbiamente
interessante, vale la pena riportarlo per intero :
Eccmi Signori
Onorati dell’incarico
d’ispezionare le scuole rurali di questa Repubblica per
conoscerne le condizioni e soprattutto per esser certi della
idoneità dei maestri, presentiamo il risultato della ispezione
eseguita.
Prima però di parlare delle
singole Scuole e dei rispettivi Maestri, crediamo opportuno
esporre brevemente i criteri, che ci hanno guidato
nell’Ispezione. E perciò che riguarda i Maestri abbiamo cercato
di conoscere anzitutto se essi abbiano speditezza nel leggere e
si siano capaci di fare una spiegazione facile e chiara delle
cose lette: ci siamo altresì interessati del metodo di lettura e
scrittura contemporanea, assolutamente necessario e adatto ad
ottenere buoni risultati, con risparmio di tempo. E’ stata
ancora nostra cura vedere se il Maestro abbia esatta conoscenza
della numerazione scritta e parlata, e delle quattro operazioni
del calcolo. In questa materia si è fatto anche l’esperimento
scritto, dando un problema di soluzione facilissima; né si è
trascurato l’esperimento orale nell’italiano, facendolo
consistere nella correzione ortografica e grammaticale di un
breve e facile racconto all’uopo preparato. Finalmente tanto nel
fare interrogazioni nelle materie suddette, quanto nella parte
pedagogica ci siamo limitati alle cose più facili ed essenziali,
tenendo conto soprattutto, che nelle condizioni attuali ed avuto
riguardo all’esiguo stipendio non si può esigere molto. Esposti
così i criteri suddetti, possiamo riferire intorno ai singoli
maestri, ed alle singole scuole.
Il sig. Raimondo Semprini di S.
Cristina, Rimini, insegna nella scuola rurale di Monte Giardino;
legge abbastanza speditamente ; è però alquanto incerto nel dare
la spiegazione delle cose dette ed ignora il metodo di lettura e
scrittura contemporanea. Manca assolutamente delle cognizioni
più essenziali intorno all’aritmetica ed al sistema metrico e
non conosce l’ortografia e pochissimo la sintassi.
Non lo riconosciamo quindi
idoneo all’insegnamento.
Il sig. Canti Marino di
Fiorentino insegna nella scuola rurale di quella Parocchia, ad
eccezione della semplice lettura, nella quale è discretamente
spedito, delle altre materie è assolutamente ignorante, e quindi
lo dichiariamo non idoneo.
Il sig. Marcucci Giacomo di
Domagnano (Sanmarino) insegna nella scuola rurale di quella
Parocchia. Quantunque abbia una discreta coltura, avendo compito
il quarto corso ginnasiale, tuttavia non dimostra alcuna
attitudine all’insegnamento. E’ incapace a leggere con
speditezza e dare facile spiegazione alle cose lette. Conosce
anche poco le regole ortografiche e si mostra poco atto ad
eseguire le correzioni. E’ altresì ignaro del metodo di lettura
e scrittura contemporanea. Non avendo fatto alcun studio
sull’aritmetica ne ignora i più necessari rudimenti.
Non lo crediamo quindi idoneo
all’insegnamento.
Nella scuola rurale unica mista
di Faetano insegna il sig. Secondo Mularoni, nativo di quel
Comune. Non conosce punto il metodo di lettura e scrittura
contemporanea; legge discretamente, ma è incapace a dare una
sufficiente spiegazione delle cose lette; conosce abbastanza
l’aritmetica, ma ha poca attitudine a communicarla, perché gli
alunni errano facilmente nella numerazione scritta. Ha
dimostrato assoluta incapacità nella correzione dei compiti. Non
lo riteniamo idoneo a sostenere l’insegnamento in quella scuola
rurale.
Il sig. Marino Nicolini insegna
da dieci anni nella scuola unica mista di Acquaviva. Sebbene non
abbia grande speditezza nella lettura tuttavia si è mostrato
assai idoneo nel dare spiegazione delle cose lette; gli alunni
lo comprendono bene e la ripetono francamente. Conosce bene il
metodo di lettura e scrittura contemporanea ed eseguisce
lodevolmente la correzione dei compiti. Nell’aritmetica è molto
competente, e gli alunni stessi ne sono istruiti. Dunque lo
dichiariamo idoneo a continuare nell’insegnamento, che ha fin
qui lodevolmente impartito.
La sig.a Carolina Barbieri di
Andrea insegna nella scuola unica mista di Poggio di Chiesanuova.
Legge con gusto e speditezza, e sa dare spiegazione delle cose
lette. Conosce il metodo di lettura e scrittura contemporanea.
Ha eseguito bene le correzioni del compito italiano, dando
ragione delle correzioni. E’ abbastanza esperta nell’aritmetica.
La crediamo quindi idonea a continuare nell’insegnamento.
Ci pare ora necessario parlare
dei locali delle scuole suddette. Essi oltre ad essere angusti,
non aerati, scarsi di luce ed umidi, mancano assolutamente di
suppellettile scolastica. Può farsi qualche eccezione pei locali
di Domagnano e Faetano, i quali però richiedono qualche ristauro.
La spesa occorrente per provvedere le scuole suddette di panche,
tavolini, sedie, lavagne ecc. non può assolutamente essere
minore di £ 500 (cinquecento), non potendosi tener conto dell’avvanzo
stabilito nel riparto per ciascuna scuola, dovendo detta somma
servire pel pagamento del nolo dei locali, ed affinché le scuole
rurali non continuino nel disordine e non si prolunghino le
giuste lagnanze per parte dei Parocchiani, che veggono esclusi
dalle scuole i figli o per difetto di locale, o per mancanza di
panche, siamo d’avviso che l’Eccmo Governo provegga d’urgenza ai
locali e alle suppellettili scolastiche.
Per conseguire poi colla
maggiore speditezza e sollecitudine siffatti provvedimenti,
proponiamo che l’Eccmo Governo deleghi la Deputazione e la
Direzione degli Studi.
Compiuto per tal modo l’incarico
affidatoci esprimiamo alle SS.LL. i sentimenti della nostra
distinta considerazione.
S.
Marino 21
Gennaio 1890
La Commissione
Settimio Querzola maestro
Luigi Tordini Dirett. Degli Studi
Gemino Gozi
M. Bonelli Dep. Degli Studi
Il Consiglio approvò le
decisioni della commissione e subito aprì un concorso per
sostituire i quattro maestri esclusi. Si deliberò di ammettervi
però solo donne, superiori ai diciotto anni di età, anche non
provviste di diploma, purché avessero le competenze ed i
requisiti necessari. Erano infatti classi miste e all’epoca solo
le maestre potevano insegnarvi. Si decise inoltre di fornire le
500 lire per le suppellettili.
Nei mesi successivi il governo
sammarinese si adoperò per dare esecuzione al deliberato e per
migliorare le condizioni delle scuole rurali. Il 27 settembre
si prese atto dell’esame cui erano state sottoposte le nuove
maestre, ed il 20 novembre vennero nominati sei ispettori per le
sei scuole rurali della Repubblica coll’impegno di vigilare sul
buon funzionamento delle medesime, coadiuvati in tale compito
dai parroci. Come ultima innovazione di questo periodo, nel 1892
le elementari del Borgo videro il completamento del loro corso
fino alla quinta classe.
Con tale riforma, che equiparava il corso scolastico di Borgo a
quello di Città, per anni il Consiglio non dovette più
affrontare grosse questioni sull’istruzione elementare dei
Sammarinesi.
Le timide risposte fornite
dal governo al problema, se potevano essere senz’altro l’inizio
di un percorso didattico nuovo e più pluralista, lasciavano però
insoluti ancora troppi problemi. Così ben presto vennero rimesse
in discussione, soprattutto da figure come Gino Giacomini e
Pietro Franciosi, padri storici del socialismo nostrano, che
facevano della scolarizzazione delle masse una prioritaria
questione di evoluzione politica e sociale della comunità
sammarinese.
Essendo infatti convinti che la cultura fosse totalmente in mano
alla Chiesa e volendo prima di tutto togliere questo monopolio
per creare i presupposti di una indipendenza intellettuale degli
individui e per una reale laicizzazione della società,
combatterono battaglie epiche in funzione di questi scopi,
essendo tra l’altro entrambi insegnanti.
Da noi la scuola non gode le
simpatie come altrove: tutti stimano superflue le spese per
l’istruzione pubblica e trascurano l’igiene e il buon andamento
didattico, contribuendo in tal modo a tenere il nostro popolo
nella ignoranza, nell’inerzia e nel pericolo immanente
disse Franciosi in merito. (…) La scuola moderna deve mirare
anche da noi all’unico scopo di accrescere le generazioni
indipendenti d’intelletto e di carattere, deve curare
razionalmente lo sviluppo mentale col far apprendere al
fanciullo e all’alunno, tutto ciò che è conquista ed
affermazione di scienza positiva, e non l’empirismo dogmatico e
partigiano.
C’era in effetti ancora tanto da
fare, perché mancavano edifici adeguati e personale competente
per una giusta scolarizzazione della società, così come
occorreva creare in fretta scuole tecniche per insegnare
mestieri qualificati a chi non voleva o non poteva fare il
liceo. Inoltre, non essendovi ancora obbligo scolastico, vi era
grossa evasione perché le famiglie, soprattutto quelle rurali,
non erano interessate né avevano i mezzi per mandare a scuola i
loro figli, più utili a sbrigare i lavori di campagna.
I riformisti più
all’avanguardia, con in testa i socialisti, che seguivano anche
in questo campo le orme dei loro cugini italiani, erano dunque
particolarmente attenti al problema perché consapevoli che la
tanto agognata laicizzazione della società, obiettivo
prioritario del loro programma, il miglioramento della classe
operaia, la divulgazione del loro nuovo verbo in cui credevano
religiosamente, passava per forza di cose attraverso una
scolarizzazione anche minima della cittadinanza, in grado di
fornire una coscienza critica alla gente, e di renderla libera e
capace nelle sue scelte intellettuali, fortemente condizionate
fin dalla più tenera età dal cattolicesimo imperante e
monopolizzatore. Lo scontro con la Chiesa, feroce soprattutto
negli anni immediatamente successivi all’arengo del 1906, fu
quindi prevalentemente di ordine culturale. Però non era facile
risolvere la questione in tempi celeri per l’eterna mancanza di
denaro con cui avviare una riforma scolastica seria e incidente,
e anche per la diffidenza verso una scolarizzazione di massa da
parte delle forze politiche e sociali più retrive e
conservatrici.
Nel loro Programma Minimo
del 1906 i socialisti si auspicavano: Obbligatorietà
scolastica fino alla terza elementare. Miglioramento e riforma
didattica generale delle scuole elementari, specie di campagna.
Provvigione gratuita dei libri ai fanciulli poveri di campagna,
refezione gratuita, facilitata dalle cucine economiche, agli
alunni poveri delle scuole dei centri maggiori. Ricreatori
festivi. Edifici scolastici. Istituzione nel capoluogo di una
scuola serale di disegno applicato all’Industria.
In tal senso venne presentata
un’istanza nel Consiglio dell’11 maggio 1907, da parte di
Franciosi e Rufo Reffi, perché venisse resa obbligatoria la
scuola elementare, almeno fino alla sua terza classe, e si
facesse qualcosa per migliorare gli edifici scolastici del
territorio così da abbattere il forte analfabetismo che si
aggirava ancora sopra il 60% della popolazione. Il Consiglio
creò all’istante una commissione per analizzare il problema e
fornire suggerimenti.
Tuttavia, come spesso succedeva, tale commissione probabilmente
non riuscì a combinare nulla perché in novembre si sentì
l’esigenza di rifarne un’altra dopo che venne ripresentata
ancora un’istanza, sempre da parte di due socialisti,
richiedente il riordino del sistema scolastico e
l’obbligatorietà della scuola elementare.
Agli inizi del 1908 questa
commissione ispezionò tutte le scuole elementari del territorio
con l’intenzione di favorire un ulteriore salto di qualità della
scuola di base sammarinese. Tuttavia il problema non era
certamente di facile soluzione perché il miglioramento della
scuola per le forze riformiste era strettamente vincolato alla
sua laicizzazione, per cui aumentarono gli attriti fra le parti,
fatto che pregiudicò le buone volontà innovatrici e rallentò di
molto il processo di miglioramento della scuola elementare. Come
ho avuto modo di evidenziare in altri miei lavori, nel 1907/1908
il gruppo democratico che aveva determinato l’arengo del 1906 si
spaccò e scoppiarono velenose polemiche relative all’abolizione
del catechismo nelle scuole sammarinesi, fatti che senza dubbio
ostacolarono ulteriormente l’avvio di una seria riforma delle
scuole primarie.
Verso la fine del 1908 i
riformisti elaborarono anche un progetto dettagliato che
prevedeva l’obbligatorietà scolastica fino alla 3a
elementare, il divieto del lavoro minorile fino ai dodici anni
di età, l’istituzione del patronato scolastico per gli studenti
poveri, la creazione di una biblioteca scolastica circolante e
di una popolare, sempre circolante, la nascita di un’università
popolare e di scuole serali e festive per i lavoratori, la
fondazione di un giardino d’infanzia per fanciulli tra i 3 ed i
6 anni, la fabbricazione di nuovi edifici scolastici,
l’elaborazione di uno stato giuridico per gli insegnanti, il
loro miglioramento economico e altro ancora.
Le condizioni politiche e sociali del
momento, però, non erano delle migliori per un suo accoglimento,
viste le roventi polemiche che stavano divampando tra cattolici
e laici a causa della volontà di laicizzare le scuole e di
abolirvi il catechismo. In effetti occorrerà aspettare ancora
qualche anno per vedere qualcuna delle innovazioni proposte
concretizzarsi, nonostante i ripetuti articoli con cui il
Titano, il periodico dei socialisti, di tanto in tanto
spingeva sul problema, e l’approvazione del riordinamento delle
scuole da parte del Consiglio, avvenuto nel mese di marzo.
L’eliminazione del catechismo dalle scuole, sancita di fatto con
risoluzione consigliare dell’8 ottobre 1908, e decreto del 3
agosto 1909,
fu però innovazione troppo forte e precipitosa per non incidere
negativamente anche sulla riforma della scuola, che avrebbe
avuto bisogno, per andare velocemente in porto, dell’appoggio di
tutte le forze politiche e sociali della Repubblica. Non a caso
i cattolici dal San Marino, loro periodico, ribadirono
più volte che sarebbero stati disposti ad appoggiare
l’obbligatorietà scolastica, su cui erano d’accordo, e anche
altre riforme propugnate dai socialisti, a patto che venisse
riattivato l’insegnamento del catechismo nelle scuole. Il
ripristino invece non avvenne più, perché i riformisti più
iconoclasti non si sognavano minimamente di ridare potere alla
cultura cattolica nelle elementari, cultura che miravano invece
a sostituire totalmente, come può ben testimoniare il presente
decalogo civile, scritto da Gino Giacomini e proposto
provocatoriamente in sostituzione dei dieci comandamenti:
1.
Ama i compagni di scuola, che saranno i tuoi compagni di
lavoro per tutta la vita.
2.
Ama lo studio che è pane della mente; e sii grato a chi
l’insegna.
3.
Onora le persone buone; rispetta tutti; non curvarti a
nessuno.
4.
Più che il rimprovero altrui, temi quello della tua
coscienza.
5.
Non odiare; non offendere, non vendicarti mai; difendi il
tuo diritto e non rassegnarti alla prepotenza.
6.
Non commettere bassezze, viltà: difendi i deboli.
7.
Ricordati che i beni della vita sono frutti di lavoro;
goderne senza far nulla è come rubare il pane a chi lavora.
8.
Osserva e medita per conoscere la verità; non credere ciò
che ripugna alla ragione.
9.
Ama la patria,
odia la guerra che è avanzo di barbarie.
10.
Augura il
giorno in cui il lavoro affratellerà tutti gli uomini e, cadute
le barriere fra le nazioni, la pace, colle sue candide ali,
sorriderà nel mondo.
Inoltre vi era un altro problema di
grosso peso da risolvere: la scuola non avrebbe potuto avere
alcuno sviluppo senza l’edificazione di nuovi immobili,
soprattutto nei Castelli, perché in genere quelli che venivano
utilizzati a tale scopo erano fatiscenti, o non erano nati come
edifici scolastici. Per farlo, però, occorrevano soldi che non
c’erano, per cui il problema della riforma scolastica era
inevitabilmente collegato a quello del gettito fiscale e della
riforma tributaria di cui da anni si stava discutendo
inutilmente, e su cui si discuterà per anni ancora, perché la
maggioranza dei consiglieri, appartenenti per lo più all’elite
economica del paese, boicottava sistematicamente qualunque
velleità fiscale che andasse a toccare le loro tasche.
Il Consiglio del 30 marzo 1909 deliberò
comunque di far stendere alla commissione che già da tempo stava
lavorando per il miglioramento della scuola, e che aveva
presentato le risultanze delle sue discussioni e indagini il 23
gennaio dello stesso anno, relatore Gino Giacomini,
un progetto di legge in cui si prevedesse l’obbligatorietà
scolastica e le innovazioni necessarie. Fu deciso altresì di
costituire un comitato per istituire il patronato scolastico.
Il Titano del 12 settembre 1909,
dovendosi in quei giorni riesaminare in Consiglio la questione
della riforma scolastica, ribadì che San Marino spendeva una
sciocchezza per mantenere le sue scuole (12.682 lire), che vi
era un’evasione scolastica esagerata (su 1.500 alunni solo 600
erano quelli che frequentavano abitualmente le lezioni), e che
troppo elevata era anche la percentuale degli analfabeti,
soprattutto se paragonata con quella del circondario (71% contro
il 33% del circondario).
Nella seduta consiliare del 16 settembre
venne ancora una volta esaminato l’argomento perché lo si voleva
risolvere, e fu sottolineato che per il riordino delle scuole
occorrevano 15.000 lire in più all’anno per rimpinguare il
bilancio relativo all’istruzione, più 150.000 lire subito per
creare i nuovi impianti e le nuove infrastrutture.
Nel suo numero del 17 ottobre il
Titano si dimostrava ormai convinto che la scuola
sammarinese stesse per decollare secondo canoni moderni e
pluralisti che sarebbero stati di vantaggio a tutti, oltre che
alle classi sociali più povere.
In realtà gli entusiasmi dovettero stemperarsi in fretta, perché
nella seduta del 13 novembre il Consiglio non riuscì a
concretizzare i suoi buoni propositi non raggiungendo una
maggioranza in grado di sostenere il riordinamento scolastico.
Quali i motivi di questo ulteriore ritardo? Senz’altro alla base
vi era la preoccupazione per i costi che l’operazione
richiedeva, ma il periodico dei socialisti sostenne la tesi che
non si era arrivati a concludere la questione perché il progetto
prevedeva la creazione di un posto di direttore didattico, posto
per cui in Repubblica solo Gino Giacomini aveva i titoli
necessari. Praticamente non si era giunti ancora a definire la
legge per antipatia di molti verso Giacomini, cosa non
improbabile in una realtà in cui i personalismi avevano spesso
grande incidenza e Giacomini annoverava molti nemici, ma anche
per i forti dissidi politici in atto tra cattolici e laici per
colpa dell’abolizione del catechismo.
Nel 1910 gli scontri continuarono
inasprendosi sempre più, per cui di scuola si parlò poco,
soprattutto nei suoi primi mesi. Si riuscì però a determinare
una maggioranza in grado di articolare una legge meno stringata
del decreto dell’11 agosto 1907
con cui, in data 28 giugno, veniva sancita l’obbligatorietà
scolastica.
La nomina a direttore didattico di Giacomini, inviso ai
conservatori, e osteggiata da tanti consiglieri, era però
realmente una faccenda di non poco conto. In un articolo del 3
luglio 1910 dal titolo molto esplicito
i socialisti dichiararono che, pur di non nominare Giacomini
direttore didattico, unico maestro sammarinese ad essere in
possesso del diploma di specializzazione necessario, nella
seduta consiliare del 28 giugno si era preferito bandire un
illegale pubblico concorso aperto anche a chi non era
sammarinese.
Il 6 luglio una sottoscrizione, che aveva
raccolto più di 400 firme a favore di Giacomini, chiedeva
ufficialmente che gli venisse affidato tale incarico, senza
sortire però alcun effetto. Nel mese di settembre scoppiarono i
contrasti più violenti perché nel Consiglio del giorno 7 vennero
esaminate le tre domande presentate per ricoprire il posto, una
di Giacomini e le altre due di maestri italiani abilitati. Uno
di questi tuttavia inoltrò una dichiarazione per dire che si
ritirava perché aveva capito che il paese gradiva la nomina di
Giacomini e di nessun altro; l’altro invece concorse, ma senza
esito perché il Consiglio non riuscì a raggiungere una
maggioranza adeguata né per affidare l’incarico all’uno, né
all’altro. Praticamente la faccenda rimase in sospeso mentre
divamparono le polemiche sui due giornali del paese. Infatti
anche il San Marino affrontò il problema, ovviamente da
tutt’altro punto di vista, sostenendo che il concorso, in cui
sottolineava che Giacomini era arrivato ultimo, era fallito per
colpa delle pressioni esercitate dai socialisti sui concorrenti
da loro non graditi.
La mancata nomina di un direttore
didattico fu presa dai socialisti come un umiliante affronto
personale: Giacomini se ne andò schifato da San Marino perché
nel frattempo aveva vinto un concorso da direttore didattico
fuori territorio, ad Argenta; il consigliere socialista Giovanni
Vincenti si dimise in segno di protesta; il direttore del
Titano Alfredo Casali istigò sempre più i socialisti alle
dimissioni in blocco per combattere battaglie più aspre
dall’esterno del Consiglio. Perché non si vuole il direttore
didattico? – si chiese Franciosi qualche mese dopo –
Innanzi tutto per un odio inveterato, per una guerra senza fine
sleale ed incivile contro un nostro compagno, unico fra i
Sammarinesi che possa per titoli aspirare a tale Ufficio e
degnamente coprirlo, poi perché la maggioranza dei nostri
consiglieri è di preti autentici, nemici dichiarati dell’opera
pedagogica moderna. Essi intendono che sia opera buona e saggia
continuare ad accumulare nella mente del fanciullo un ammasso di
assurdità inconcepibili, offuscandone le doti più sane,
ostacolandone il naturale e progressivo evolversi, chiudendo le
piccole intelligenze alle più semplici verità. Il prete, ed il
clericale in genere, non possono per naturale conseguenza delle
loro funzioni e dei loro scopi, che volere l’imbecillità
piuttostoché l’educazione, imbestialire anziché civilizzare le
masse, allevando una “pianta uomo” supina a tutti gli
sfruttamenti, prona a tutti i potenti, inconscia dei propri
diritti ed ignara dei propri doveri. E’ ben rattristante che il
prete o direttamente o indirettamente debba avere ancora un così
forte predominio tra noi da essere l’allevatore delle
generazioni future.
In un altro articolo di agosto sempre
Franciosi tornò sulla questione per dire che bisognava in fretta
rimediare ai grossi problemi scolastici che vi erano,
predisponendo edifici adeguati su tutto il territorio, facendo
una drastica selezione dei maestri in attività, di cui molti si
erano dimostrati del tutto incompetenti, e nominando un
direttore didattico, unica figura capace di mettere un po’
d’ordine nella disastrata scuola primaria locale.
Praticamente la questione rimase
congelata anche nei mesi successivi, perché per le roventi
polemiche tra i gruppi non si riuscì a nominare nessun altro
direttore didattico. Gli unici benefici che si possono
registrare a vantaggio della realtà scolastica sammarinese
furono l’inaugurazione di un nuovo edificio scolastico a
Domagnano nel 1910, e l’avvio di scuole serali per adulti nel
1913. Però il loro successo fu parziale, perché nel febbraio
dell’anno dopo risultavano già non funzionanti in Città per
scarsa frequenza; a Faetano, Falciano e Domagnano non erano
nemmeno partite, mentre funzionavano in Borgo, Serravalle,
Acquaviva, Chiesanuova, Fiorentino e Montegiardino con 160
frequentanti complessivi.
Agli inizi del 1913 i maestri
presentarono al Consiglio un memoriale, accolto con reazioni
contrastanti, in cui facevano presente la loro precaria
situazione economica e chiedevano un aumento così da equiparare
i loro stipendi a quelli dei loro colleghi italiani. Nei mesi
successivi vi furono discussioni anche per questo motivo,
dunque, finché non si giunse alla seduta consigliare del 10
maggio 1913 quando Franciosi e Marino Borbiconi proposero di
nominare senza ulteriori tentennamenti Giacomini come direttore
didattico. Venne anche avanzato l’invito ad esaudire i desideri
economici dei maestri. Il Consiglio, ormai dominato dai
riformisti che erano riusciti da poco tempo a stringere una
nuova alleanza politica denominata Blocco Democratico,
alleanza in realtà che avrà vita piuttosto breve, intenzionati a
dare in mano al lavoratore l’alfabeto, la prima arma di
sua difesa, accettò elevando gli stipendi, istituendo il
posto ufficialmente ed interpellando Giacomini che si trovava
ancora ad Argenta. Qualche mese dopo arrivò la sua risposta
positiva: egli assunse il suo incarico col nuovo anno scolastico
indirizzando ai maestri una lettera di saluto dove si presentava
come loro nuovo superiore e dove tracciava le linee di quelli
che sarebbero stati i suoi interventi più immediati, visto che
l’incarico gli era stato affidato con l’impegno di riordinare il
più in fretta possibile la scuola di base.
In effetti subito s’industriò per far
portare a conclusione l’istituzione del patronato scolastico,
vecchio pallino suo e dei socialisti in genere, con cui
facilitare la scolarizzazione dei fanciulli più poveri, che
prese vita con regolamento del 6 dicembre 1913.
Ugualmente si diede da fare per ottenere stanziamenti di denaro
per gli edifici scolastici di Acquaviva e Chiesanuova, sempre
per la convinzione che vi era di dover facilitare con tutti i
mezzi l’innalzamento del basso numero di studenti che
frequentavano la scuola primaria. Il 21 maggio Giacomini riunì
tutti i maestri per avanzare proposte innovative in quanto era
sua intenzione introdurre la sesta classe in Città e rendere
miste le classi seconda e terza a Borgo, Serravalle e sempre in
Città.
Nel frattempo scoppiò un’altra questione
tra laici e cattolici legata all’istituzione dell’asilo di
Serravalle. Qui, grazie all’attività di alcune signore locali,
si riuscì ad aprire un asilo che venne affidato a maestre pie.
Subito i socialisti, intransigenti nel ritenere che la scuola
non dovesse mai essere confessionale (è da escludere che nel
compito dell’educazione pubblica lo Stato debba lasciarsi
surrogare da corporazioni e da privati che nel fondare istituti
infantili (…) hanno per movente l’esercitazione di un’isterica
carità e mirano, a scopo di predominio confessionale, a locare
delle caparre spirituali nell’animo delle nuove generazioni)
spararono a zero sull’iniziativa, senza però riuscire a nulla
perché l’asilo iniziò a funzionare con regolarità.
Giacomini, che ad Argenta aveva
saputo imparare assai bene il mestiere di direttore didattico,
si diede comunque molto da fare per migliorare la situazione
scolastica sammarinese: ne è rigorosa testimonianza la relazione
da lui presentata alle autorità e divulgata tra la popolazione
nel 1917, che fotografa con precisione lo stato delle scuole
elementari in territorio.
Il primo impegno cui si dedicò Giacomini fu l’edilizia
scolastica. La precedenza venne accordata alle frazioni di
campagna per il bene inteso proposito di dar pregio alla Scuola
laddove più numerose e tenaci cause ne ostacolano la feconda
attività, dichiarò all’interno della sua relazione. Il primo
nuovo edificio scolastico era già sorto a Domagnano nel 1910,
poi un altro a Serravalle nel 1913, a Chiesanuova l’anno
successivo, ad Acquavìva nel 1915, a Montegiardino nel 1916.
Edifici ampi, decorosi, costrutti secondo le regole più
razionali, tutti muniti d’area scoperta, con annessa abitazione
per l’insegnante, meno quello di Serravalle che consta di cinque
aule con una grande sala per la refezione e la ricreazione.
L’insieme di questi edifici era costato circa 204.000 lire. Per
la scuola di Borgo esisteva già una delibera consigliare e uno
stanziamento a bilancio, mentre quella di Corianino, aperta nel
1915, era in un locale adattato acquistato da poco. La scuola
di Faetano invece era nella casa del castello, mentre
Fiorentino, Falciano, Ca’ Berlone, anche quest’ultima sorta solo
due anni prima, erano in locali in affitto in attesa di locali
propri. Anche la scuola elementare di Città stava aspettando un
nuovo stabile.
Erano inoltre stati acquistati
numerosi banchi insieme a tant’altro materiale didattico,
tuttavia molto ancora era da comprare; soprattutto si sentiva
l’esigenza di un apparecchio per proiezioni. Un’altra miglioria
era legata all’assunzione di un bidello per ogni scuola, mentre
prima del riordino affidato a Giacomini solo Città ne aveva uno,
e gli altri istituti per le pulizie dovevano in genere
arrangiarsi, così come per il riscaldamento cui doveva
provvedere il maestro dietro rimborso di una qualche cifra..
Da un punto di vista normativo
la situazione era ulteriormente migliorata grazie ad una nuova
legge sancita nel dicembre del 1914, con cui veniva ribadito
l’obbligo scolastico e si dava un’organizzazione più rigorosa a
tutto il sistema scolastico. E’ vero, infatti, che
l’obbligatorietà era già stata decretata qualche anno prima;
tuttavia la carenza di edifici idonei alle lezioni, e
l’impossibilità economica di molte famiglie di mandare i loro
figli a scuola aveva fatto sì che ci fosse ancora un’elevata
evasione scolastica, in genere tollerata dalle autorità, che non
applicavano mai le sanzioni previste per legge, proprio per i
motivi di cui si è detto. La creazione del patronato scolastico,
sancito con regolamento del 6 dicembre 1913,
e di nuovi edifici toglieva ora qualunque pretesto per non
mandare i figli a scuola, ed anche lo Stato aveva iniziato una
nuova forma di vigilanza su chi abitualmente non andava a
scuola, o vi andava molto di rado. Questo aveva portato ad un
repentino abbattimento dell’evasione: infatti su 1.400 alunni
circa soggetti all’obbligo, nell’anno scolastico 1912 – 1913
solo poco più di 800 frequentavano abitualmente, mentre nel
1916/17 erano arrivati alla cifra di 1.232. Ancora 200 fanciulli
disertavano la scuola, quasi tutti figli di mezzadri, sosteneva
Giacomini, la categoria più restia a privarsi dell’aiuto dei
loro figli; tuttavia, con adeguate misure di rigore,
sicuramente anche questi ragazzi avrebbero iniziato a
frequentarla con regolarità.
Altre innovazioni cui provvedere
riguardavano soprattutto le scuole rurali, ancora con un corso
di studi solo fino alla terza classe, dove il solo maestro che
vi era per ogni istituto doveva faticare non poco, perché il più
delle volte i bambini lavoravano insieme in un’unica stanza.
Ugualmente era da completare il corso di studi a Serravalle,
perché qui, non essendovi ancora la sesta classe, gli studenti
dovevano finire i loro studi con la quinta, non potendo
completare così ciò che all’epoca veniva chiamato Corso
Popolare.
Anche le scuole urbane,
cioè quelle di Città e Borgo, avevano i loro problemi
legati in particolare all’arcaica divisione tra classi
prettamente maschili o femminili. Giacomini suggeriva di
superare una volta per tutte i tabù legati alle differenze di
sesso creando classi miste dove potessero insegnare anche
uomini, perché in genere in tali classi lo potevano fare solo le
donne. Simile semplice innovazione di natura prettamente morale,
avrebbe migliorato senz’altro l’organizzazione interna
degl’istituti in questione.
Altro problema da risolvere era
in molti plessi legato alla puntualità, al contegno,
all’attenzione degli alunni, caratteristiche che non dovevano
essere indotte con la semplice coercizione, spesso del tutto
inutile, ma educando i fanciulli ad un contegno adeguato, così
da insegnare loro anche un comportamento civico che sarebbe
stato utilissimo nella società, visto che ancora presso la
maggioranza dei Sammarinesi mancava un’appropriata
preparazione civica e una giusta educazione dei rapporti
sociali. La Scuola può e deve educare alla libertà e al
suo lecito uso, può infondere il primo senso consapevole della
necessità della vita sociale e la convinzione che questa implica
in tutti un contemperamento di diritti e di doveri, e avviare
alla vita di domani una cittadinanza che sia tale, non per
formale requisito di stato civile, ma per un vincolo filiale,
per un affetto attivo e consapevole verso la Repubblica.
Questo doveva però avvenire
creando un ambiente ricco di stimoli, un regime di
libertà che rispetti il più possibile le manifestazioni
caratteristiche della natura umana ed assecondi l’atteggiamento
attivo ed esplicativo, anziché costringerlo ad una recettività
costantemente passiva. La scuola insomma, che doveva
necessariamente essere neutrale e laica se voleva raggiungere i
suoi traguardi, doveva principalmente proporsi di avviare il
fanciullo all’autoeducazione, e di fornirgli l’abito e lo
strumento per l’acquisto spontaneo delle cognizioni e
l’orientamento volontario nel mondo morale.
Certo che la società sammarinese
dell’epoca non era la più idonea per stimolare i fanciulli ad
andare a scuola: La causa maggiore che fa inibizione alla
Scuola e ne invanisce l’opera è il meschino tenore di vita delle
nostre popolazioni. (…) La vita delle nostre borgate e campagne
è depressa da una così grave insufficienza economica, fisica,
igienica e morale da renderla inferiore ad ogni preliminare
grado di civiltà. (…) I fanciulli che vengono a scuola, portano
con sé i segni e le impronte fisiche e morali di questo ambiente
di penuria e di abbrutimento. Per questo fondamentale per
Giacomini era il massimo potenziamento del Patronato Scolastico,
anche se in quattro anni di vita aveva già fatto tanto,
distribuendo scarpe ad un centinaio di fanciulli, libri e
quaderni a 350 alunni, refezione a 400. Però ancora doveva fare
molto, se voleva davvero sostenere l’educazione dei troppi
ragazzi indigenti della Repubblica. Che fa tuttora la società
nostra verso i fanciulli trascurati dalla famiglia, per
sottrarli alla cattiva ispirazione dell’ozio e all’insidia della
strada, della bettola e del tavolo da gioco? Mancano gli Asili
infantili; mancano i ricreatori, gli educatori, i dopo – scuola;
manca una Scuola di lavoro professionale. Accanto al
patronato dovevano dunque sorgere o comunque essere favoriti
altri istituti, in particolare biblioteche, asili infantili e
colonie marine dove mandare i fanciulli debilitati fisicamente.
Importante era anche istituire una cattedra ambulante di
agricoltura per elevare le competenze dell’ancor vasto mondo
contadino locale. Inoltre occorreva creare un istituto
professionale dove i giovani non vogliosi di creare un patto
di sacrificio col latino, ovvero che non desideravano
frequentare il liceo, unica scuola superiore della Repubblica,
potessero imparare un mestiere qualificato e non cadere nella
tragica disoccupazione che caratterizzava in quegli anni gli
operai comuni. Per raggiungere tale possibilità c’era solo un
mezzo: l’istituzione di una Scuola d’arti e mestieri,
informata al criterio non di distinte specializzazioni
professionali, che potranno essere altrove conseguite, e che qui
determinerebbero una selezione non corrispondente al bisogno, ma
di un largo avviamento generico ad un gruppo di attività affini,
regolate da principi fondamentali di cultura tecnica e di
tirocinio.
Con quest’ultimo invito, che
riuscirà a concretizzarsi solo tra il 1918 e il 1919, durando
purtroppo poco tempo per lo scarso afflusso di studenti,
Giacomini chiudeva la sua lunga e dettagliata relazione. Negli
anni successivi la scuola di base continuerà il suo lento
cammino migliorativo, che porterà gradualmente all’abbattimento
di quell’elevato tasso di analfabetismo in cui San Marino da
sempre si dibatteva, e diventerà sempre più strumento di
preparazione e di sicurtà per il grande domani che ci aspetta,
come si augurava ottimisticamente sempre Giacomini.
Forse oggi non è proprio quel
grande domani che i più illuminati di un secolo fa si
auspicavano, tuttavia grazie alla loro opera, ai loro sogni, al
loro attivismo spesso ingenuo, a volte intransigente, ma sempre
in buona fede, il nostro mondo si è senza dubbio evoluto. Se
rinascessero oggi non sarebbero probabilmente del tutto
soddisfatti di ciò che si è venuto consolidando all’interno
della nostra poliedrica e spesso controversa società, ma non
potrebbero essere nemmeno del tutto scontenti.