San
Marino e la Prima Guerra Mondiale
Con lo scoppio della guerra, l’Italia inizialmente assunse nei confronti di San
Marino atteggiamenti sospettosi e diffidenti. Nel 1915, per esempio, essa accusò
la Repubblica di aver impiantato sulla sommità del monte Titano una stazione
radiotelegrafica, che in quel momento particolare considerava pericolosa. La
cosa era in effetti veramente accaduta l'anno precedente per opera del professor
Borbiconi, che l'aveva installata, però, solo per piacere personale, senza
secondi fini, approfittando del fatto che tra i due paesi non vi era alcuna
regolamentazione in merito. Egli comunque provvide a smontarla quando s'accorse
dei timori italiani e dei problemi diplomatici che stava provocando.
Per dirimere i dubbi ed evitare che
potessero insorgere polemiche durante il periodo bellico, il 24 maggio 1915
l'Italia propose un accordo a San Marino con cui richiedeva al piccolo Stato
l'adozione di una serie di provvedimenti. In pratica l'Italia accettava di
trattare i sammarinesi alla stessa stregua degli italiani, non dunque come
esteri, e di non sottoporre a sequestro i loro mezzi meccanici o i loro cavalli,
come invece avveniva sul suolo italiano In compenso San Marino si doveva
impegnare a non favorire atteggiamenti che potessero nuocere alla causa
italiana.
L'Italia era preoccupata infatti che la
Repubblica sammarinese potesse accogliere i disertori e fornire rifugio a chi
non voleva partire per il fronte, dando inoltre modo a molti italiani di evitare
la requisizione dei loro cavalli ed altro ancora. Per questo pretendeva la firma
di un accordo con cui la
Repubblica s'impegnava a catturare ed
espellere i disertori ed i renitenti alla leva, a trasmettere con puntualità la
documentazione relativa ai cittadini italiani residenti in territorio
sammarinese e a fornire un preavviso per coloro che stavano per diventare
cittadini sammarinesi.
Il 1 giugno del 1915 l'Italia inviò a San
Marino 4 carabinieri con l'intento d'installare una loro caserma all'interno del
territorio così da poterlo controllare direttamente. Le autorità sammarinesi
alla fine riuscirono a dissuaderli e a mandarli via, comunque il regno italiano
diede vita ad alcuni
atteggiamenti intransigenti (chiusura
delle comunicazioni telefoniche con la Repubblica, censura sulla posta) con la
scusa che erano misure normali verso gli stati esteri in tempo di guerra.
San Marino fu costretto quindi ad avviare
problematiche trattative per limitare l'ingerenza italiana e gli atteggiamenti
ostili; inoltre istituì a Serravalle una stazione di carabinieri sotto il
diretto controllo della Repubblica. Durante il periodo bellico si registrarono tuttavia diverse
violazioni del territorio da parte di carabinieri italiani, perché San Marino
evitò di firmare accordi speciali con l’Italia, ma non si poté sottrarre al suo
vigile controllo diretto o indiretto.
Anche in Repubblica si costituì un
movimento favorevole alla guerra ed uno contrario. Il 4 giugno 1915 Giuliano
Gozi, futuro capo del fascismo locale, all'epoca studente universitario, divulgò
un proclama in cui esaltava l'Italia e l'azione bellica da lei intrapresa,
criticando con parole forti i non
interventisti e invitando la gioventù
locale ad offrire il proprio contributo e la propria partecipazione alla guerra.
In effetti partirono per la guerra 10
giovani, tra cui lo stesso Gozi. Due in seguito trovarono la morte durante
azioni belliche: il caporale volontario Carlo Simoncini, che venne ucciso il 6
luglio del 1916 durante l’avanzata sull’Isonzo, e Sady Serafini, che morirà
qualche mese dopo.
I principali neutralisti erano all'interno
del partito socialista che, seguendo la linea del Socialismo italiano, rifiutava
categoricamente la guerra come mezzo per risolvere i problemi. Comunque
l'interventismo divenne sempre più diffuso anche tra i sammarinesi a causa della
cultura che venne diffondendosi attraverso i mass – media dell’epoca, che
esaltavano questa guerra come fosse una sorta di quarta guerra d'indipendenza,
perché l'Italia combatteva per completare la sua unità nazionale. Lo stesso
Reggente Moro Morri, in un suo discorso del 23 giugno, plaudì all'iniziativa
belligerante italiana che, secondo lui, era tesa a creare un'Italia "più forte e
più grande", e finalmente unita da nord a sud.
Un altro fattore che portò molti
sammarinesi a schierarsi, almeno moralmente, con l'Italia, o ad aderire ai primi
fasci di combattimento, fu la grande retorica che si profuse in questi anni
dentro la Repubblica a favore di Arbe redenta, ovvero per auspicarsi che la
mitica patria del Santo fondatore potesse divenire a tutti gli effetti italiana.
In paese venne inoltre costituito, agli
inizi di giugno, un "Comitato pro fratelli combattenti", composto sia da
interventisti che da neutralisti, che aveva scopo umanitario tendente ad aiutare
chi scampava a San Marino a causa della guerra, o subiva guai. Il Comitato si
rese promotore di un ospedale da campo, che venne ufficialmente istituito con
delibera consiliare del 28 settembre 1916. Esso fu interamente gestito da
sammarinesi: infatti per renderlo operativo ne partirono altri 10. Funzionò fino
all'ottobre del '17 quando, con la disfatta di Caporetto, venne completamente
distrutto durante la ritirata. In seguito fu però nuovamente costruito e
funzionò fino al termine della guerra.
Proprio a causa di questo ospedale,
l'Austria congelò i rapporti con San Marino perché lo accusava di non essersi
mantenuto pienamente neutrale, e iniziò ad infastidire i cittadini sammarinesi
che vivevano od operavano sul suo suolo, tanto che costoro si dovettero porre ad
un certo punto sotto la protezione dell'ambasciata americana in Austria.
Negli anni della guerra l'economia
sammarinese andò gradualmente peggiorando. Nel '14 la situazione economica era
ancora abbastanza tranquilla, grazie soprattutto all'innalzamento del canone
italiano a 360.000 lire annue, avvenuto grazie alla convenzione del 10 febbraio
di quell'anno. Tuttavia in seguito le cose peggiorarono, principalmente a causa
della forte inflazione provocata dallo stato di guerra che indeboliva la moneta
italiana.
Inoltre in questo periodo vi fu
un’inversione di tendenza per quanto concerne l'emigrazione, perché molti
sammarinesi rientrarono in territorio. Tra la fine del '14 e gl'inizi del '15
venne anche creato un comitato per aiutare in qualche modo gli emigranti di
ritorno.
Il governo rispose senza una precisa
programmazione economica ai nuovi eventi, più che altro concedendo
paternalisticamente piccoli lavori giornalieri, o comunque di modesta entità,
per rispondere in qualche modo alla costante richiesta di lavoro ed alla
disoccupazione in forte crescita.
Un altro grave problema dell'epoca fu
l'approvvigionamento alimentare. Nel 1914 e durante buona parte dell'anno
successivo si riuscì ancora a produrre grano e pane per tutti senza dover
prevedere limitazioni o controlli particolari. Nell'agosto del '15, invece, i
problemi cominciarono ad emergere, tanto che i socialisti presentarono in
Consiglio una proposta di legge tendente a requisire una certa quantità di grano
a basso prezzo, così da poter produrre pane per tutta la popolazione a costi
contenuti. La proposta scatenò velenose polemiche, in particolare da parte dei
grandi proprietari terrieri, ovvero di chi produceva il grano, che si vedevano
decurtare i loro utili. Tuttavia venne approvata: da questo momento in avanti
vennero emanate parecchie leggi con la stessa logica, per requisire altri
prodotti di prima necessità da distribuire a prezzi contenuti e adatti a tutte
le tasche. Aumentarono però i dissidi tra proprietari da una parte e socialisti
dall'altra.
Nel 1918 con questa logica nacque l'Ente
autonomo dei Consumi, organizzazione voluta dalla Società Unione Mutuo Soccorso
e dalle Leghe operaie per distribuire generi alimentari a basso costo dietro
tesseramento.
La Guerra quando finì lasciò comunque la
Repubblica di San Marino in problemi analoghi a quelli italiani, con una
situazione economica molto precaria e pericolosa. Questa instabilità creò negli
anni successivi grande incertezza politica ed i presupposti per l’ascesa al
potere del Partito Fascista Sammarinese.
|