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Democrazia e politica a San Marino   

Da svariati secoli il minuscolo Stato di San Marino ha assunto il titolo di “repubblica”, vocabolo, com’è risaputo, di derivazione latina (res publica) che significa “cosa pubblica”, ovvero di tutti.

Probabilmente gli antichi sammarinesi, definendosi repubblicani in un’epoca in cui gli Stati e le entità politiche non erano di tutti, ma di pochissimi, volevano enunciare al mondo, e soprattutto allo Stato Pontificio, che la comunità del Titano non desiderava essere una signoria, un principato, o, peggio ancora, un regno, cioè una proprietà di qualcuno, ma solo una piccola realtà politica alla cui gestione tutti dovevano collaborare in base a quanto potevano offrirle, e coi mezzi di cui potevano disporre, il più delle volte assai scarsi.

Una proto democrazia, dunque? Non nel senso contemporaneo del termine, ovviamente, ma senz’altro una comunità dove ciascuno doveva fare la sua parte, un po’ per sé e un po’ per tutti, ed in cui la piccolezza del luogo permetteva un contatto diretto e frequente con chi per esperienza, cultura o appartenenza sociale la governava in concreto, senza che vi fossero fossati invalicabili tra chi stava ai suoi vertici e chi non vi stava.

Tutti i sammarinesi, a prescindere dal ceto di appartenenza, potevano diventare membri del Consiglio Grande e Generale, ovvero del locale parlamento, composto fin dal XIII secolo da sessanta membri, numero  ragguardevole se rapportato a quello della popolazione residente.

Ogni consigliere poteva diventare Capitano Reggente, cioè Capo di Stato, anche se era illetterato, contadino o bottegaio.

Ciascun capofamiglia sammarinese aveva l’obbligo giuridico di presenziare diligentemente alle convocazioni dell’Arengo, assemblea in cui spesso si assumevano le decisioni politiche più importanti per la comunità, o si rinnovava il Consiglio con la nomina di nuovi suoi membri, dove poteva parlare e dire la sua sugli argomenti in discussione.

Sebbene sia lecito ipotizzare che la maggiore influenza in tale assemblea, così come nel Consiglio e negli altri organi politici di cui San Marino disponeva, l’avessero pochi uomini anche nei tempi più remoti, in genere i più abbienti o i più colti, risulta evidente che ogni sammarinese per forza di cose doveva avere un alto senso dello Stato, in quanto la partecipazione alla vita sociale e alla politica locale, in particolare alle decisioni più gravi (difesa del territorio, tasse, conflitti interni, ecc.), non era discrezionale, ma imposta per legge.

Questa situazione durò fino al 1600, anno in cui vennero editi nuovi statuti sammarinesi che in pratica esautorarono l’Arengo, senza tuttavia sopprimerlo. Per tutto il corso del Cinquecento, infatti, l’assemblea dei capifamiglia aveva dato chiari segni di crisi in quanto ormai difficilmente convocabile perché era cresciuta la popolazione, e quindi il numero dei capifamiglia, così come “i tumulti e le inevitabili e dannose contese che in tanta moltitudine di persone continuamente nascevano”, come ci dice direttamente la rubrica 1 degli stessi statuti. L’ultimo Arengo storicamente documentato si è svolto nel 1571.

Per tali motivi, ma senz’altro anche per la cultura politica più elitaria sviluppatasi dopo l’epoca comunale, il potere fu assunto totalmente dal Consiglio, che cominciò a definirsi coerentemente Principe e Sovrano di San Marino, non più Grande e Generale com’era in precedenza, e che stabilì di nominare i suoi membri da lì in avanti tramite cooptazione, eliminando così qualunque tipo d’intervento popolare nella delega dei consiglieri preposti a gestire politicamente lo Stato.

Dalla primitiva democrazia sammarinese, che pur non essendo un effettivo “governo del popolo” comunque garantiva a tutti i cittadini una partecipazione più o meno marcata alla locale politica, si cadde in un governo chiuso e di stampo oligarchico coerentemente a quanto stava avvenendo ovunque in Europa, dove ormai si era in piena fase assolutistica e la democrazia veniva vista come obsoleta e foriera di anarchismo.

I nuovi statuti in realtà cercarono di salvaguardare la dimensione repubblicana di San Marino mantenendo invariato l’elevato numero dei consiglieri, stabilendo che tutti i ceti avessero rappresentanza all’interno del Consiglio, e lasciando vivo l’Arengo sia come organo che poteva essere riconvocato dalla Reggenza “per i bisogni del Comune”, sia come opportunità semestrale che ogni capofamiglia aveva per inoltrare al Consiglio petizioni d’interesse collettivo.

In realtà, però, l’Arengo non fu più riconvocato fino al 1906, ed il potere finì totalmente nelle mani dei pochi clan familiari locali detentori del potere economico, in quanto possessori di ampie porzioni della terra coltivabile, e conseguentemente del potere culturale necessario per stare ai vertici della comunità.

Nel corso del Seicento le modifiche politiche sancite dai nuovi statuti non diedero adito a contestazioni o ripensamenti, ma nel Settecento il sistema oligarchico introdotto si rafforzò  accentuando la distinzione tra nobili e non nobili. Nonostante la sua dimensione repubblicana, infatti, tracce di aristocrazia sono riscontrabili nella storia sammarinese fin dalla fine del XV secolo: in un testamento del 1497 Francesco Belluzzi, che non a caso apparteneva alla famiglia più ricca e potente dell’epoca, venne definito nobiluomo.

Il fenomeno crebbe nei secoli successivi seguendo le mode e gli esempi italiani ed europei, ma fino a tutto il XVII secolo non incise più di tanto sulla società sammarinese, poiché per entrare in Consiglio l’unica distinzione codificata dagli statuti del ‘600 era quella tra uomini appartenenti alla Terra, ovvero a Città e Borgo (che dovevano essere 40), e quelli del contado (20), esclusi i residenti dei Castelli annessi nel 1463 (Serravalle, Faetano, Fiorentino, Montegiardino) a cui verrà consentita la possibilità di diventare consiglieri solo con decreto del 30 agosto 1873.

Nella seconda metà del Seicento iniziò a mutarsi in senso sempre più oligarchico la fisionomia del Consiglio, perché nel 1652 venne ridotto il suo numero da 60 a 45 (30 terrieri, 15 villici), motivando la cosa col dire che non vi erano abbastanza individui culturalmente idonei e all’altezza per rivestire la carica di consigliere.

Nel 1728 gli appartenenti alle locali famiglie abbienti, che si erano autonobilitate nei secoli precedenti, non essendo appartenenti né a nobiltà di toga, né di spada, cominciarono a volere per sé sempre il diritto di essere nominati alla prima Reggenza, mentre la seconda doveva essere appannaggio dei non nobili, ovvero indistintamente di terrieri o villici.

Di fatto con questa decisione i consiglieri divennero di primo (nobili), secondo (terrieri) e terzo (villici) ceto, e la nobiltà ufficializzò la sua preminenza sul governo sammarinese, perché il primo Reggente era alla fine colui che aveva massimi poteri sulla piccola comunità, anche se solo per sei mesi, mentre il secondo, non di rado analfabeta o comunque alla buona, era per forza di cose figura subalterna.

Tale supremazia non venne affermata solo acquisendo la carica di primo Reggente: infatti dal 1743 fu stabilito che la “Congregazione Generale”, una sorta di collegio governativo dell’epoca che decideva le convocazioni del Consiglio, stabiliva le questioni da sottoporgli, controllava l’Annona e si arrogava ampie libertà deliberative un po’ in tutti i settori della politica, fosse composta solo dai 20 consiglieri nobili.

Nel 1760, poi, il Consiglio deliberò che un consigliere nobile potesse essere sostituito solo da un altro nobile, sancendo in maniera tacita l’ereditarietà della carica consigliare la cui trasmissione  veniva così favorita da padre a figlio, o comunque all’interno di pochi clan famigliari.

Il Settecento, in definitiva, fu il secolo in cui l’oligarchia permessa dal sistema per cooptazione introdotto con gli statuti del Seicento, dalla riduzione del numero dei consiglieri, dalle nuove velleità della locale nobiltà, si accentuò considerevolmente.

E’ facile ipotizzare poi che qualche membro di questa casta privilegiata, sempre e comunque ai vertici dello Stato e mai soggetta ad essere posta in discussione o accantonata, potesse abusare del suo ruolo per conseguire vantaggi personali, determinando malumori e polemiche in chi nobile non era, e magari aveva la consapevolezza che la nobiltà fosse assurda e paradossale in una repubblica dove i cittadini in teoria dovevano essere tutti uguali.

Contestazioni al sistema oligarchico/nobiliare instauratosi tra XVII e XVIII secolo sono ben documentate nel 1737, a ridosso dell’invasione del cardinale Alberoni, nel 1797, in piena epoca napoleonica, e in vari episodi risorgimentali e post-risorgimentali, tra cui spicca senz’altro per efferatezza e brutalità l’assassinio del Segretario Generale della Repubblica Giambattista Bonelli, perpetrato non a caso il 14 luglio del 1853, ricorrenza dello scoppio della Rivoluzione Francese.

In definitiva anche nei secoli oligarchici vi era tra svariati sammarinesi la consapevolezza di cosa veramente significassero concetti come repubblica e democrazia, corroborati poi nella seconda metà dell’Ottocento dall’ideologia democratica di personaggi molto amati come Mazzini e Garibaldi, pensiero a cui aderirono con foga e passione figure come l’avvocato Giacomo Martelli di Borgo e il figlio Valerio, primi propugnatori del suffragio universale anche per San Marino.

Giacomo fin dal 1870 aveva respinto sdegnosamente la sua cooptazione a consigliere, sottolineando in un pubblico comunicato che si sarebbe sentito “coperto di vergogna e di disonore” se fosse entrato “in quell’aula, che per ischerno chiamasi della Repubblica”. Egli avrebbe accettato tale carica solo se fosse stato eletto direttamente dal popolo, posizione ribadita pure dal figlio nel 1885 quando fu il suo turno di essere cooptato in Consiglio.

Sono proprio questi gli anni in cui si rinsaldò tra i giovani, e tra i pochi sammarinesi più sensibili agli sviluppi politici che stavano coinvolgendo tutta l’Europa, una mentalità riformista tesa a cambiare le cose a San Marino e ad abbandonare le logiche politiche elitarie instauratesi nei secoli oligarchici. Gli ultimi anni dell’Ottocento videro la nascita di alcuni circoli ricreativi sammarinesi in cui si cominciava a parlare di politica, così come tra il 1892 e il 1893 si formò un piccolo gruppo di giovani, tra cui figurava il quattordicenne Gino Giacomini, suo rappresentante più carismatico, che si richiamò direttamente agli ideali socialisti, in quel momento particolarmente in voga presso la nuova generazione per lo svolgimento a Genova del congresso di fondazione del Partito dei lavoratori italiani, che in seguito assumerà il nome di Partito socialista italiano.

Anche prima di questa data, in realtà, vi sono scarne tracce dell’esistenza a San Marino di minuti gruppi politicizzati di stampo mazziniano o anarchico o internazionalista, ma il gruppo socialista di Giacomini assumerà un ruolo ben più dinamico, gettandosi qualche anno dopo direttamente nell’agone politico con lo scopo di modificare in profondità la società locale e, dopo la prima guerra mondiale, di assumere direttamente la gestione della repubblica sammarinese.

Nei suoi primi anni di vita il gruppo socialista non svolse comunque importanti attività nel paese. Solo nel 1898 incominciò ad essere più deciso all’azione politica: chiese il permesso alle autorità del Titano di tenere un comizio nel Teatro Concordia di Borgo in occasione del 1° maggio, e pubblicò per l’occasione un numero unico che costituisce il primo documento articolato da cui ricavare informazioni sul suo conto.

L’anno successivo continuò nel suo attivismo divulgando un manifesto, sempre in occasione del 1° maggio, in cui istigava gli operai a pretendere riforme sociali e politiche, tra cui il suffragio universale, e il controllo delle pubbliche amministrazioni. Presentò poi in ottobre al Consiglio due istanze d’arengo in cui chiedeva una riforma tributaria in grado di colpire in modo progressivo i redditi, e l’istituzione di elezioni politiche periodiche perché lo Stato era in contraddizione col suo nome di repubblica”.

Il Consiglio esaminò le istanze il 23 novembre non disdegnando la riforma del sistema amministrativo, ma respingendo fermamente ogni altra domanda non riconoscendo l’esistenza di partiti ad eccezione di quello dei Sammarinesi Repubblicani”, ovvero in pratica di nessun partito in quanto non vi era un gruppo organizzato di stampo repubblicano.

In sintesi il governo sammarinese si mostrava sensibile al desiderio di non colpire le masse con altre imposizioni, mentre non accettava assolutamente la possibilità di sconvolgimenti politici, così come sdegnosamente respingeva l’esistenza di gruppi politicizzati innovativi rispetto alla cultura politica usuale.

Altro fatto importante del periodo per il discorso che si sta svolgendo fu l’ingresso sulla scena politica di un importante e carismatico personaggio come Pietro Franciosi, professore presso il locale liceo, studioso e amante della storia sammarinese, orientato verso un riformismo più temperato, ma comunque in grado di fornire al paese innovazioni profonde e necessarie per porlo lungo il cammino della contemporaneità. Con due importanti discorsi politici pronunciati davanti al Consiglio nel 1893 e nel 1898 evidenziò le riforme che riteneva prioritarie, come il rinnovo periodico tramite elezioni di una parte dei consiglieri, l’abolizione dei tre ceti in cui ancora erano divisi i sammarinesi, vari miglioramenti di natura finanziaria e fiscale, la definizione dei rapporti tra Stato e Chiesa e altro ancora.

Il sodalizio che si stringerà tra Franciosi, Giacomini ed altri riformisti dalle tendenze politiche diverse (repubblicani, liberali, ecc.) nei primi anni del secolo nuovo condurrà ad una sistematica battaglia per abbattere nobiltà ed oligarchia, così da rendere più democratico il paese facendo partecipare il popolo all’elezione dei suoi rappresentanti politici.

Com’è risaputo, questa conflittualità portò alla fine, dopo interminabili polemiche e dissidi tra le parti in campo, ovvero progressisti e conservatori, alla convocazione dell’Arengo del 25 marzo 1906, utilizzato non con le sue funzioni passate, ovvero governo tout court del paese, o suo corpo elettorale, ma come sorta di referendum, limitato ai capifamiglia, attraverso cui capire se il paese volesse realmente un Consiglio elettivo, oppure preferisse lasciare le cose come stavano.

In realtà l’Arengo fu un compromesso che si raggiunse tra le fazioni per sbloccare la situazione, in quanto i riformisti più radicali, coi socialisti in testa, lo consideravano un organo obsoleto, mentre per i conservatori, fedelissimi alle consuetudini ereditate dal passato e ostili a qualunque velleità di mutamento costituzionale e sociale per timore che San Marino fosse destinato altrimenti a scomparire come entità statale, era l’ultima spiaggia per lasciare le cose immutate.

Insieme a questi due variegati gruppi politici ve n’era un terzo che alla fine risulterà il reale vincitore dell’agone in atto: i riformisti moderati e tradizionalisti, desiderosi di mutare qualcosa del panorama istituzionale sammarinese, e soprattutto d’introdurre il suffragio elettorale, ma non di distaccarsi più di tanto dalla tradizione politica in cui il paese praticamente era immerso da sempre, né di sconvolgere il sistema costituzionale con l’introduzione di riforme ritenute troppo “esotiche”, come si diceva all’epoca, né di lasciare troppo spazio alle teste calde, cioè ai riformisti più oltranzisti.

Queste posizioni emersero chiaramente nei mesi che precedettero la convocazione dell’Arengo, quando si discusse animatamente su quale tipo di adunanza convocare. I riformisti più convinti desideravano una sorta di assemblea costituente dotata di svariate funzioni politiche, tra cui quella di corpo elettorale della Repubblica, preposta a rinnovare per intero il Consiglio la prima volta che si sarebbe radunato, poi per un terzo ogni anno o due successivi.

Un’altra sua funzione importante sarebbe stata quella della nomina di cinque membri di un “Congresso di Stato”, che avrebbe dovuto assumere la funzione di organo detentore del potere esecutivo. Altre facoltà dell’Arengo dovevano essere il diritto d’iniziativa (cioè di promozione di progetti di legge), che poteva essere attivato dietro istanza di tre soli cittadini, di referendum su qualunque legge, che doveva essere richiesto da un minimo di 100 cittadini, e di revisione della costituzione, che doveva essere domandata da un minimo di 200 cittadini.

 “La maggioranza deciderebbe di tutto: dal mutamento della costituzione alla votazione d’un lavoro pubblico, dall’apertura di una scuola alla introduzione d’una nuova imposta, da un provvedimento amministrativo ad una legge di polizia. (…) Si ritorni così alla costituzione classica in modo che il nostro regime, senza copiar troppo dal moderno, ridiventi un ente vasto ed eccelso, continuo e perenne, superiore agli individui e ai partiti, e si collochi in sì cospicua e serena altezza da sembrar più divino che umano, come ai tempi del glorioso periodo comunale. Da esso emani il Consiglio dei LX coi poteri: legislativo ed amministrativo, ed il Congresso di stato col potere esecutivo; e dal Consiglio dei LX venga affidato il potere giudiziario ai tre giudici forestieri ed al Consiglio dei XII composto da persone a modo e per bene; e siano eletti col solito costume ogni sei mesi i due Capitani Reggenti per l’ufficio di presidenza e per prender parte al potere esecutivo. Non si faccia più confusione di funzioni, né unione di poteri”, disse Franciosi all’interno di La restaurazione dell’Arengo nella Repubblica di San Marino, un suo studio del 1905 sul problema. Questo punto di vista venne sostenuto anche dai socialisti.

Ovviamente i conservatori e i riformisti tradizionalisti non erano per nulla d’accordo con un’ipotesi così esageratamente democratica, suffragati in questo dal parere dei rinomati giuristi italiani consultati via via in questi anni sulla grave questione istituzionale che stava animando il paese.

E’ veramente necessario l’apportare queste riforme? - chiedeva Pietro Ellero, uno dei consulenti di cui in quell’occasione il governo sammarinese si avvalse - Si deve fare il Consiglio Elettivo? Dico che non posso ripromettermi alcun bene dal Consiglio Elettivo. Premetto che un Consiglio elettivo è un naturale corollario della Sovranità popolare, ma qualunque principio astratto se non ha le condizioni per essere tradotto in vita, è inutile accarezzare”.

Gaspare Finali, altro consulente del momento, disse drasticamente che: “Sammarino col suffragio universale (…) sarebbe morto. “Il Consiglio elettivo sarebbe letale alla Repubblica perché porterebbe con sé le minoranze, le maggioranze, i voti di fiducia, le fazioni interne che succedono al potere ecc. Sono tutte cose gravissime anzi fatalissime”. “Si fa tabula rasa del passato. S. Marino diventa come un Comune d’Italia. Pensateci”.

“Davanti alla storia - aggiunse Nino Tamassia, altro consulente, - è necessario che i Reggenti, dichiarate le condizioni anormali dello spirito pubblico, con un atto solenne mettono bene in chiaro che essi si rivolgono al popolo della Repubblica perché la responsabilità dei mutamenti della costituzione, e le conseguenze di questi, cada tutta sulla volontà popolare”

“Il sistema elettivo, ammesso in tutto l’organismo dello Stato, è pur esso gravido di pericoli. La piccolezza dello Stato, la confusione fra l’autorità amministrativa e quella costituzionalmente “sovrana”, i conflitti fra i partiti, non affievoliti da un ambiente largo, sono punti neri, nerissimi, che mi fanno una grande paura. Pensate ai disordini possibili, all’impossibilità di repressioni, e giudicate!”. “Rude sembrerò, ma davanti al pericolo di uno sfacelo, la Reggenza deve far tutto perché nulla rimanga d’intentato per salvare lo Stato. Vero è che nessuno si sogna di turbare dal di fuori il Titano. Ma se gravi disordini scoppiassero, come si farebbe ad impedire un intervento che sarebbe pur santo, diretto a far cessare lotte interne?”.

Come far fronte, dunque, a tanta presunta apocalissi? “Il punto fondamentale - disse sempre Tamassia - è disciplinare l’Arringo, ridurlo ad organo di conservazione della Repubblica, con una modica partecipazione al Governo, lasciando sussistere nella sua integrità il modo di costituzione e di funzionamento del Consiglio dei LX”, perché la Repubblica “dalle convulsioni elettorali sarebbe ben presto finita”. “Il bando della convocazione dell’Arringo deve essere come un dilemma che lascerà o intatta o rinforzata l’autorità del Consiglio”. “Ridotto al Referendum l’Arringo è innocuo, se esorbita si sa dove si va!”. “Se non si è sicuri delle decisioni dell’Arringo, non si può essere tranquilli” .

Insomma, tra tutte le catastrofi istituzionali che avrebbero potuto abbattersi sulla Repubblica in quel momento, l’arengo/referendum alla fine era considerato di gran lunga la meno temibile.

Anche Ellero machiavellicamente suggerì uno stratagemma per far abortire l’assemblea dei capifamiglia: “Chiamato l’Arringo coi soli padri di famiglia - disse - e che con due terzi votanti e che con la metà più uno si potesse dir valido, difficilmente queste proporzioni si potranno ottenere, e i conservatori hanno fondamento su questo non intervento”.

L’esortazione di Ellero riuscì quasi ad andare in porto, perché l’Arengo per essere valido doveva registrare la presenza di 747 capifamiglia, e ne ebbe 805 in tutto, ovvero pochi di più.

Insomma, l’Arengo del 1906 venne organizzato e gestito con logica gattopardesca, tanto da beneficiare durante il suo stesso svolgimento di un’aggiunta a uno dei due quesiti a cui gl’intervenuti dovevano rispondere (ovvero “Ferme restando tutte le altre norme Statutarie”) che congelò qualunque possibilità di riformismo istituzionale da lì a molti anni, in quanto sanzionata dagli stessi capifamiglia, i quali col loro voto approvarono di porre fine al sistema di nomina per cooptazione dei consiglieri, accettando però anche l’aggiunta in questione con cui in ultima analisi si sancì di non modificare altro dello statuto secentesco.

Dopo l’Arengo venne elaborato un regolamento elettorale, perfezionato un anno dopo con legge del 25 agosto 1907, che prevedeva elezioni ogni tre anni per rinnovare un terzo del Consiglio, con 20 consiglieri che decadevano per sorteggio. Questa scelta dipese dalla volontà di non rischiare un rinnovo troppo drastico del parlamento sammarinese,  evitando così il pericolo di ritrovarsi con un Consiglio privo dell’esperienza necessaria a gestire il paese.

Il territorio sammarinese fu diviso in nove circoscrizioni elettorali, cioè tante quante erano le parrocchie. Ogni parrocchia eleggeva un numero di consiglieri proporzionale a quello dei suoi residenti (Pieve 22, Serravalle 12, Faetano 6, Montegiardino, Chiesanuova, Acquaviva, Domagnano 4 ciascuna, Fiorentino e San Giovanni 2 ciascuna). Gli elettori potevano votare per un numero di candidati non superiore a quello previsto per la parrocchia di residenza.

Non esistendo partiti organizzati oltre a quello socialista, al corpo elettorale vennero sottoposte solo due liste: una sostenuta dall’ “Associazione Democratica”, ovvero dal gruppo riformista misto nato nel 1903 per promuovere la convocazione dell’Arengo, l’altra composta soprattutto da conservatori e da chi non era nella lista dei progressisti.

Le prime elezioni politiche della Repubblica di San Marino furono limitate ad un corpo elettorale molto ristretto e durarono in pratica tutta l'estate del 1906, avendo inizio il 10 giugno e conclusione il 2 settembre, perché in alcuni seggi si dovettero rifare per problemi e irregolarità varie. Su 1.173 iscritti alle liste (la popolazione complessiva nel 1905 era di 9.617 unità), i votanti del 10 giugno, con i seggi tutti attivi, furono 1.013.

Il nuovo Consiglio alla fine di tutte le tornate elettorali risultò composto da 38 membri il cui nome si trovava nella lista di sessanta candidati proposti dall’Associazione Democratica, e da 22 non presenti in tale elenco.

I socialisti, unico gruppo con una embrionale forma di partito politico organizzato, ebbero cinque rappresentanti eletti, mentre gli altri candidati prescelti, riformisti o no, appartenevano alle ideologie più variegate e provenivano da tutti i ceti sociali, quindi non erano sempre concordi sui fini particolari o complessivi da perseguire con l’azione politica consiliare.

L'otto luglio un gruppo di 29 consiglieri scaturito dall’Associazione Democratica diffuse tra la gente un programma politico in quattordici punti con cui esponeva i suoi propositi legati alla volontà di dare soluzione al problema finanziario e alla carenza di denaro, d’istituire un ispettorato per gli uffici pubblici, di varare una legge organica per gl'impiegati, di creare nuovi uffici, di rendere obbligatoria la scuola fino alla terza elementare, di promulgare nuove leggi per migliorare l’igiene pubblica, di frenare la grande emigrazione che stava caratterizzando da tempo il paese e altro ancora.

Nei mesi successivi, tuttavia, il fronte dei democratici iniziò ad incrinarsi per divergenze ideologiche tra chi ne faceva parte, e per il riformismo che alcuni pretendevano incidente ed immediato, mentre altri volevano più moderato e graduale.

Queste tensioni crebbero rapidamente, tanto che nel mese di gennaio del 1907 scoppiò una feroce diatriba in Consiglio sul modo di festeggiare il primo anniversario dell’Arengo, perché i riformisti radicali desideravano celebrazioni prettamente laiche e prive di funzioni religiose, mentre moderati e conservatori volevano una cerimonia con messa e riti sacri. Alla fine vinse questa idea, per cui i riformisti radicali decisero di fare una loro commemorazione prettamente laica, in aperta antitesi con quella ufficiale,  affiggendo di fianco alla Pieve una lapide in pietra dai toni anticlericali.

Nonostante queste prime polemiche che già stavano minando il fronte dei riformisti, nei mesi seguenti rimase ancora viva la speranza di poter attuare forti innovazioni politiche e sociali, tuttavia alla fine dell’anno divenne ormai chiaro che l’Alleanza Democratica, nata per chiedere l’Arengo, si era esaurita tutta in quella richiesta e non aveva più forza e volontà necessarie per mettere in opera le altre riforme auspicate, che dai riformisti più intransigenti erano state sempre reputate assai più importanti dell’Arengo stesso, considerato solo il primo inevitabile passo per modernizzare lo Stato sammarinese, ma niente più.

Agli inizi del 1908 i socialisti decisero di rompere l’alleanza con gli altri democratici, accusandoli di essere solo riformisti a chiacchiere, ed intrapresero una fitta opera di sensibilizzazione della popolazione, in particolare nei Castelli rurali che fino a quel momento avevano abbastanza trascurato, per attirare a sé il maggior numero di simpatizzanti possibile.

Tale attivismo e l’implacabile disputa di stampo anticlericale messa con costanza in atto nel paese indussero gradualmente i cattolici, fin lì abbastanza indifferenti verso gli agoni politici, e soprattutto ancora senza alcuna strutturazione partitica, ad organizzarsi meglio per contrastare nella dovuta maniera l’azione dei loro pugnaci avversari.

Il primo prodotto di questa nuova volontà politica fu il giornale “Pro – Patria”, pubblicato nel luglio 1908 in occasione delle elezioni politiche parziali che si dovevano svolgere per rimpiazzare alcuni consiglieri defunti o dimessisi dal Consiglio. I cattolici nell’occasione vollero però solo dare il segno alla popolazione della loro presenza, e fare un po’ di propaganda contro gli anticlericali, ma non proposero candidati.

Le cose cambiarono invece subito dopo, perché la parte laica presente in Consiglio, in maniera precipitosa e con una buona dose d’ingenuità, vista la radicata cultura cattolica che permeava la stragrande maggioranza dei sammarinesi, si mise a discutere di abolire il catechismo nelle scuole, che all’epoca era insegnato come una materia scolastica a tutti gli effetti, fatto che fu considerato un vero e proprio affronto dai cattolici, i quali si organizzarono subito per raccogliere firme contro tale possibilità.

Il timore dell’abolizione del catechismo, in definitiva, rese coeso il vasto mondo cattolico che, nel giro di pochi mesi, si organizzò su tutto il territorio fondando, il 16 maggio del 1909, l’Unione Popolare Cattolica Sammarinese, la quale subito diffuse tra la gente il suo nuovo giornale denominato “Sorgiamo”.

Il Consiglio si mantenne comunque deciso nel suo intento, per cui nell’estate del 1909 emanò un decreto di abolizione del catechismo. Ovviamente gli animi si esacerbarono al massimo, i cattolici urlarono al complotto e si trasformarono in Unione Cattolica Sammarinese, pubblicando, in data 3 settembre, il primo numero di un altro giornale: il “San Marino”.

Come conseguenza dei fatti appena detti, nel 1910 si accentuarono veleni e scontri tra le due fazioni che ormai si fronteggiavano apertamente in Repubblica, tanto che il 26 febbraio i cattolici si recarono sul Pianello per protestare con veemenza contro la legge istitutiva dell’organico degli impiegati, in discussione nel Consiglio di quel giorno, legge considerata di indole socialista e foriera di nuove tasse per il popolo.

Nonostante ad un certo punto la situazione si fosse fatta incandescente ed esplosiva, con revolver che giravano sia tra i consiglieri che tra i manifestanti, gli animi alla fine si placarono, ma i cattolici diedero chiaro segno di essere ormai decisi a gesti risoluti e di non voler lasciare troppa libertà d’azione ai loro avversari politici.

In effetti nel luglio di quell’anno, data in cui dovevano svolgersi altre elezioni politiche suppletive per reintegrare il numero dei consiglieri, che per dimissioni o morte di qualcuno non era mai fermo nel suo numero di sessanta, i cattolici si presentarono organizzati e riuscirono a far eleggere un loro candidato in Borgo, Castello fin lì considerato in mano a laici e progressisti, provocando tra questi ultimi non poche apprensioni e ripercussioni.  

Negli anni immediatamente precedenti la prima guerra mondiale, le tensioni politiche rimasero assai accese tra tutti i gruppi, anche se ancora non esisteva un altro partito costituito oltre a quello socialista. La conflittualità tra cattolici ed anticlericali poi si acuì enormemente, con i primi che temevano un riformismo troppo drastico e rivoluzionario, ed iniziavano a pentirsi fortemente di non aver avversato l’arengo del 1906, e gli altri che volevano invece proseguire a testa bassa lungo la strada delle innovazioni e della laicizzazione dello Stato.

Nell’aprile del 1912 alla polemica sul catechismo se ne aggiunse un'altra perché il Consiglio varò una legge, detta dei “Benefici vacanti”, che andava a ledere alcune prerogative che la Chiesa in precedenza deteneva. Nonostante che i cattolici minacciassero scioperi con chiusura delle chiese e chiedessero un arengo per verificarla e per vedere se non fosse il caso di tornare al Consiglio nominato per cooptazione, la legge rimase in vigore.

Nello stesso anno, essendovi le elezioni triennali per il rinnovo di un terzo del Consiglio, dopo essersi resi conto che stando divisi si favorivano solo i loro avversari e non una politica riformista, i progressisti, radicali e non, riuscirono con non poche difficoltà a formulare un programma comune e a ricreare un’alleanza tra loro, che venne chiamata “Blocco Democratico”, con cui vinsero le elezioni tornando a disporre di un gruppo compatto e della maggioranza in Consiglio.

Il Blocco, tuttavia, riuscì a fare poco del vasto programma che si era dato (che prevedeva la laicizzazione graduale dello Stato, l’istruzione obbligatoria fino alla 3a classe elementare ed istituzioni scolastiche sussidiarie, parecchie riforme legislative, agevolazioni per l’agricoltura, l’impianto di industrie, e altro ancora), poiché naufragò nel giro nemmeno di un paio d’anni, arenandosi per colpa di varie questioni, e in particolare sul problema della riforma tributaria, che soprattutto i socialisti perseguivano risolutamente, con l’obiettivo prioritario di diminuire le disparità economiche tra le classi sociali, mentre i consiglieri conservatori e molti dei moderati, che spesso erano proprietari terrieri e benestanti, boicottavano con sistematicità.

Inoltre il Blocco venne regolarmente osteggiato dall’Unione Cattolica che, nel mese di maggio del 1913, all’interno del suo giornale, in un articolo intitolato "Il nostro programma", concepito in contrapposizione al programma dei riformisti, volle divulgare tra la popolazione alcune idee tese ad esaltare la conservazione del passato e delle vetuste consuetudini della Repubblica: “Laicizzare uno Stato come il nostro – vi venne scritto - non è civiltà, ma antipatriottismo e barbarie; consoliamoci che sui destini di questa terra gloriosa vi è ancora qualcuno che veglia: il Santo Patrono Marino ed il Popolo Cattolico che ha tutto un programma di Fede e Patria”.

Fede e patria erano in effetti i due capisaldi a cui l’Unione Cattolica si era sempre ispirata. La fede era ovviamente quella del cattolicesimo più integralista, la patria era quella statutaria e consuetudinaria dei secoli precedenti. I cattolici avevano tuttavia anche idee di stampo più moderno, e moderate velleità riformiste in alcuni campi. Appoggiavano, per esempio, l’ipotesi di riforma fiscale progressiva, ma rifiutavano categoricamente le velleità di stampo laico, o la volontà di cambiare le consuetudini statutarie, come da tempo sostenevano socialisti e repubblicani mazziniani, gruppo che esisteva da anni a San Marino, ma che non aveva mai assunto veste di partito politico organizzato. Essi ritenevano le ipotesi di riforme istituzionali del tutto fuori luogo, perché il popolo, massicciamente credente e attaccato con tenacia alle tradizioni, non ne aveva bisogno e non le desiderava, né era ancora nelle condizioni culturali per potere assimilare bene novità tanto diverse e rivoluzionarie.

Nel giugno del ’14 il Blocco Democratico giunse al termine della sua breve esistenza, lasciando il sistema politico sammarinese nella situazione precaria di sempre in quanto, non essendovi in Consiglio partiti politici strutturati al di fuori dei socialisti, che in questo periodo vi avevano appena otto rappresentanti e notevoli problemi di organizzazione interiore, non si creavano alleanze di governo programmatiche e durature, ma solo contingenti in base alle faccende politiche e sociali in discussione.

Negli stessi giorni della fine del Blocco prese vita un altro giornale, stampato nel suo primo numero il 2 giugno, grazie al locale gruppo repubblicano: “La Repubblica nuova, diretto da Manlio Gozi. I repubblicani, che comunque continuavano a non assumere le sembianze di partito effettivo, ma solo di gruppo politicizzato con ideali comuni, si ripromettevano di stare all’opposizione contro “l’ostinato misoneismo dei conservatori e l’ira bieca dei clericali”, non volendo appartenere ad una “larva di democrazia.

Inoltre proclamavano di voler laicizzare lo Stato e di pretendere tutte le riforme necessarie di cui aveva impellente bisogno per essere migliorato. Criticavano apertamente anche i socialisti che, pur di far parte di un “gruppo informe” come era stato il Blocco, avevano rinunciato a proseguire nelle loro battaglie storiche. Il giornale repubblicano uscì con qualche altro numero nel corso dell’anno, poi smise per sempre le sue pubblicazioni.

La situazione politica rimase assai ingarbugliata negli anni successivi, ulteriormente complicata dalle tristi ripercussioni economiche e sociali che anche San Marino, come l’Italia, dovette subire per colpa della prima guerra mondiale. Il gruppo socialista praticamente si sfaldò fino al 1918, pur mantenendo all’interno del Consiglio alcuni suoi rappresentanti in feroce dissidio con i proprietari terrieri, che non volevano permettere, come i socialisti invece pretendevano, requisizioni di grano e prodotti di prima necessità a prezzi più bassi di quelli di mercato, e con gli interventisti, che li accusavano di disfattismo e anti-italianità in quanto ostili al conflitto in atto.

Le elezioni del 1915 non sortirono novità sostanziali per il panorama politico sammarinese, mentre in quelle del 1918 i conservatori si strinsero in alleanza creando l’Associazione Sammarinese Indipendente, mentre il gruppo socialista diede vita a un connubio politico con le varie leghe operaie presenti nel paese riuscendo ad aumentare fino a 14 il numero dei suoi rappresentanti eletti in Consiglio. Nonostante il successo riportato, però, i socialisti scelsero deliberatamente di rimanere all’opposizione, dichiarando ad inizio legislatura che non avrebbero accettato mansioni di governo o possibili nomine alla carica di Reggente, né alleanze con chicchessia, perché troppo diversa la loro “funzione sociale” rispetto a quella dell’Associazione Indipendente e degli altri membri del Consiglio, a prescindere dalle vocazioni politiche a cui ciascuno si richiamava.

Si diedero da fare invece per portare correttivi al sistema istituzionale tramite un progetto presentato al Consiglio nell’aprile del ’18. Questo mirava a rendere più moderna la locale costituzione distinguendo nettamente il potere legislativo da quello esecutivo e creando anche a San Marino “una maggioranza organica di governo”, in quanto ancora non vi era un organismo politico con chiare funzioni di esecutivo, ma tutto veniva deciso soprattutto a livello di Consiglio e Reggenza.

I socialisti avrebbero voluto sostituire l’istituto della Reggenza con un presidente della repubblica con durata maggiore, eletto per consapevole e precisa indicazione della maggioranza, che fosse espressione del gruppo consigliare che si assumeva la responsabilità di pilotare la cosa pubblica. Questa soluzione era considerata la migliore, però si sarebbero accontentati anche di una Reggenza elettiva, ovvero non più nominata per sorteggio come ancora avveniva, con un mandato più lungo, non costretta a seguire tutti i lavori politici, ma solo quelli più rappresentativi.

Il discorso sulla Reggenza era assai importante per i socialisti, perché in questi anni, in cui non c’era una vera e stabile maggioranza di governo, ma gruppi che si assemblavano all’occorrenza sui singoli problemi, e non esisteva ancora nemmeno un sistema burocratico ed amministrativo ben organizzato ed autonomo, i Capitani Reggenti avevano poteri molto più ampi di quelli che hanno oggi, e dovevano sbrigare una miriade di impegni.

Inoltre di solito tutto ciò che si faceva o no in Consiglio e a livello di innovazioni politiche e sociali dipendeva dal loro attivismo e dalle loro capacità.  Da qui il bisogno di una Reggenza non nominata a caso, ma che fosse espressione di un gruppo di potere con intendimenti e progetti chiari e precisi.

Anche il Congresso di Stato, che all’epoca aveva soprattutto funzioni di natura amministrativa e consultiva, doveva subire una metamorfosi assumendo il ruolo di governo effettivo di San Marino, diviso in 9 dicasteri o deputazioni (affari politici e diplomatici, giustizia, sicurezza pubblica, milizia; finanze ed economato; lavori pubblici; istruzione; annona, agricoltura, industria e commercio; sanità e igiene; stato civile; poste, telegrafi, telefoni e comunicazioni; beneficenza e assistenza).

Il progetto di riforme istituzionali alla fine non andò in porto per l’avversione nei suoi confronti da parte dei conservatori, timorosi d’introdurre ulteriori novità potenzialmente pericolose come il suffragio elettorale varato nel 1906, che a loro giudizio aveva deturpato i sacri e antichi costumi politici del paese, basati su un governo oligarchico di ottimati, creando solo confusione, instabilità e diffusa insicurezza.

Vi era poi una diffusa paura del gruppo socialista che, esaltato dalla rivoluzione russa, assunse posizioni più radicali e massimaliste rispetto agli anni precedenti, convincendosi che, per cambiare le cose a San Marino, non fosse sufficiente attuare riforme di carattere costituzionale, ma occorresse abbattere del tutto il sistema borghese per portare al potere la classe operaia.

Gli anni che seguirono furono alquanto turbolenti politicamente e socialmente con scioperi, scontri tra le diverse fazioni, soprattutto tra socialisti e cattolici, aspre polemiche sui tanti rifugiati politici che, fuggendo per colpa dei gravi scompigli politici e sociali che stavano agitando l’Italia, si nascondevano a San Marino aiutati proprio dai locali socialisti, provenendo anch’essi quasi tutti da raggruppamenti di sinistra.

Un’importante novità politica degli anni prefascisti fu la fondazione ufficiale di un partito cattolico, il Partito Popolare Sammarinese, nato tra la fine del 1919 e gli inizi dell’anno successivo grazie all’attivismo di Egisto Morri, Carlo Balsimelli e di due parroci, don Bucci e don Barducci, che mirò fin da subito a coinvolgere tra le sue fila il vasto mondo contadino locale, organizzandolo anche sindacalmente in leghe operaie o “bianche”, come verranno dette.

Il programma dei popolari, esposto nel primo numero del loro giornale “La Libertà” edito il 3 settembre 1920, prevedeva numerosi punti: integrità della famiglia, libertà d’insegnamento e riforma scolastica, istruzione professionale, legislazione sociale, sviluppo del probivirato,  dell’arbitrato per i conflitti collettivi di lavoro, della cooperazione, dell’agricoltura, libertà e autonomia degli enti pubblici, riforma amministrativa, riorganizzazione dell’assistenza pubblica, rispetto della libertà delle iniziative e delle istituzioni private di beneficenza e assistenza, libertà e indipendenza della Chiesa, libertà e rispetto della coscienza cristiana, riforma tributaria, riforma elettorale, voto femminile, difesa dei diritti statali.

Altra importante novità politica di questa anni fu la nuova legge elettorale, pretesa sia da popolari che da socialisti, a collegio unico a scrutinio di lista col sistema proporzionale, in grado di portare in Consiglio le organizzazioni partitiche con i loro rappresentanti, non più i singoli cittadini, come accadeva in precedenza, anche non appartenenti a schieramenti precostituiti. Questa legge, che cambiò totalmente la logica politica precedente, fu varata il 15 ottobre 1920. Il 14 novembre si svolsero le elezioni politiche anticipate essendosi in settembre sciolto concordemente il Consiglio per le difficoltà effettive che aveva dimostrato a gestire l’irrequieta situazione sammarinese.

Su 4.041 elettori iscritti alle liste (la popolazione era ormai arrivata a 11.958 unità), votarono in 2.396. Accanto a popolari e socialisti, si presentò alle elezioni anche un terzo partito politico, l’Unione Democratica, che aveva al suo interno diversi personaggi forti e politicamente esperti poiché da anni in Consiglio, in genere passatisti ed eredi della tradizione oligarchica sammarinese, che anche successivamente, in era fascista, manterranno un grosso peso nella gestione del paese.

Le elezioni videro il trionfo dei popolari con 29 candidati eletti, i socialisti ne ebbero 18 e 13 l’Unione. Due giorni dopo, però, i socialisti comunicarono alla popolazione che non sarebbero entrati in Consiglio: infatti le elezioni non avevano modificato la situazione politica sammarinese in quanto nessun partito aveva ottenuto la maggioranza assoluta, per cui il nuovo governo sarebbe scaturito da “accomodamenti” e “combinazioni”, ovvero da alleanze tra i raggruppamenti che essi consideravano troppo soggette a soluzioni necessariamente compromissorie, quindi inaccettabili.

Nell’aprile del ’21 vennero nuovamente svolte elezioni politiche per integrare i 18 consiglieri socialisti: i popolari ottennero altri 10 seggi e 8 l’Unione. Nei mesi successivi popolari e unionisti scelsero di collaborare nella gestione del potere, per cui il governo fu controllato da entrambi i raggruppamenti, fatto che permise varie innovazioni politiche importanti, tra cui una nuova legge tributaria, varata nel marzo del 1922, di cui si era fin lì parlato inutilmente per oltre vent’anni.

Altro fatto importante del periodo per l’argomento che si sta trattando è la nascita di un gruppo di “comunisti puri”, come si definivano, costituitisi grazie all’attivismo di un rifugiato politico, l’avvocato ed ex capitano degli Arditi Vittorio Ambrosini, implicato nel processo per l’occupazione delle fabbriche a Torino, che soggiornò a San Marino dal settembre del ’20 fino all’aprile dell’anno dopo.

I comunisti nacquero all’interno del locale gruppo socialista, da cui presero le distanze, in nome dei principi della Terza Internazionale, nel mese di febbraio del ’21 dandosi un’organizzazione con un comitato direttivo ai vertici, e iniziando a promuovere autonomamente alcune iniziative propagandistiche per il 1° maggio 1921 e per quello dell’anno seguente, che si svolse invece in collaborazione con i socialisti e la locale Camera del Lavoro.

Nel 1922 venne alla luce un ulteriore raggruppamento politico, il Partito Nazionale Sammarinese, composto soprattutto da fuoriusciti del partito popolare, agrari e benestanti ostili al nuovo patto agrario e alla riforma tributaria e simpatizzanti per il fascismo, che stava cominciando ad essere sempre più incisivo nel panorama politico italiano. La nascita del Partito Fascista Sammarinese nel mese di agosto determinò comunque il suo inglobamento e conseguente tramonto.

Nei mesi successivi anche il neonato fascismo sammarinese diede prova della stessa metodologia violenta applicata da quello italiano, perseguendo brutalmente i suoi avversari, devastando la Casa del Popolo da poco edificata a Serravalle e la Camera del Lavoro, fortemente voluta dai socialisti, e inaugurata il 7 febbraio del ’20, bastonando e purgando chi considerava politicamente nemico.

Alla fine del ’22 San Marino era ormai sotto il controllo del locale fascismo tanto che nel gennaio del 1923 i consiglieri popolari furono indotti a dimettersi dal Consiglio per dar luogo ad elezioni anticipate. In seguito aderirono al “Blocco Patriottico”, unico raggruppamento (composto da 20 popolari, 30 fascisti, 10 democratici) che poi si presentò alle elezioni.

Nel marzo del 1923 si svolsero le elezioni politiche a cui parteciparono solo 1.484 elettori su 4.263: con 1.437 voti dati a tale lista il partito fascista ascese ufficialmente al potere con un programma politico assai simile a quello sostenuto dal fascismo italiano, e adottando spesso e volentieri gli stessi sistemi prepotenti ed antidemocratici, aiutato in questo da “picchiatori” provenienti dai gruppi fascisti del circondario. In seguito si organizzò a livello territoriale creando 14 sezioni sparse ovunque.

Il partito fascista sammarinese, grazie all’inerzia e arrendevolezza degli altri gruppi politici moderati e cattolici presenti in Consiglio, senz’altro nel periodo più atterriti dai “rossi” che dai “neri”, s’impossessò in fretta della pubblica amministrazione, delle organizzazioni sindacali, dell’informazione e di tutti i gangli vitali dello Stato.

Negli anni seguenti il regime si consolidò varando leggi a suo esclusivo vantaggio, come la nuova legge elettorale di stampo maggioritario del 1926, che riduceva di molto il numero degli elettori, e favoriva il gruppo che avesse ricevuto più voti. Nelle elezioni del 12 dicembre venne presentata una sola lista elettorale composta da 45 candidati fascisti, 3 fiancheggiatori e 12 dell’Unione Democratica. Ovviamente fu un vero e proprio plebiscito in quanto la lista, su 2.445 votanti di 4.305 iscritti, ricevette tutti i voti tranne uno annullato.

In seguito il fascismo divenne l’unico gruppo politico che si presentava alle pseudo elezioni politiche che regolarmente venivano convocate, ora ogni sei anni, ottenendo ovviamente sempre la totalità dei consensi, come nel 1932 quando conseguì 2.573 voti su altrettanti votanti (gli elettori iscritti erano 3.915), o nel 1938 quando di nuovo ebbe tutti i 2.916 voti degli elettori partecipanti (su 3.715 iscritti alle liste elettorali).

Non a caso nel periodo il Consiglio abbandonò il titolo di “Grande e Generale” per tornare ad assumere quello di “Principe e Sovrano” sancito dagli statuti del 1600.

Con la caduta del regime fascista sammarinese il 28 luglio 1943, tre giorni dopo l’arresto di Mussolini e la fine del suo governo in Italia, si riuscì a ritornare ad un sistema politico più democratico. In quei  giorni la Reggenza provvide a sciogliere il locale partito fascista e ad assumere in toto i poteri politici, mentre vari antifascisti e democratici delle diverse tendenze politiche esistenti diedero vita al “Comitato della Libertà”, la cui prima iniziativa fu la convocazione di un’assemblea pubblica il 28 da cui scaturì un ordine del giorno per richiedere alla Reggenza lo scioglimento del Consiglio e la convocazione delle elezioni al più presto. Così avvenne: il governo provvisoriamente fu affidato ad un “Consiglio di Stato” composto da 30 membri, mentre le elezioni vennero convocate per il 5 settembre. Tra i vari provvedimenti decretati subito da tale governo vi fu l’abrogazione della legge elettorale fascista del 1926 e il ripristino di quella proporzionale del 1920.

Le elezioni si svolsero regolarmente con la partecipazione di 3.219 elettori su 5.932 aventi diritto: la lista dei candidati, concordata fra le varie forze politiche antifasciste, fu unica; il nuovo Consiglio, composto in modo sostanzialmente paritario da un’area conservatrice/moderata e una progressista/moderata, si riunì la prima volta il 16 settembre. Esso, tuttavia, fu operativo per pochissimo tempo in quanto in Italia i fascisti ripresero vigore con la costituzione della Repubblica di Salò il 23 settembre, e il 5 ottobre un reparto di soldati nazisti, guidati da alcuni fascisti locali, giunse a violare i confini sammarinesi con due autoblindo per arrestare alcuni membri del Comitato della Libertà. Più volte costoro rischiarono di essere fucilarti; solo dopo lunghe trattative diplomatiche si riuscì ad ottenerne la liberazione.

La situazione era assai turbolenta perché il fronte di guerra che si stava consolidando, la cosiddetta Linea Gotica che tagliava in due l'Italia andando da Pesaro a Massa Carrara, con gli alleati ben stabili nel sud ed i nazifascisti asserragliati al nord, poneva San Marino nella zona ancora dominata dai nazifascisti, proprio al centro del conflitto in corso.

Chiaramente con una situazione simile era impensabile avere ai propri vertici un Consiglio antifascista, per cui il 28 ottobre il parlamento sammarinese decise d’investire dei pieni poteri politici un Consiglio di Stato composto da venti membri, riservandosi solo la nomina dei Reggenti, la convocazione di eventuali comizi elettorali e gli atti di carattere costituzionale. Fu disposto che cinque di costoro dovessero essere concordati coi fascisti.

Nel gennaio del 1944 si ricostituì il locale partito fascista, ed i mesi successivi videro il passaggio del fronte lungo il territorio sammarinese con rovine e morti; ma ormai il nazifascismo era in precipitosa ritirata, per cui in settembre arrivarono gli alleati e il giorno 23 il Consiglio riassunse tutti i suoi poteri,  estromettendo di nuovo gli elementi fascisti dai vertici della Repubblica.

Dietro pressione dei comunisti e dei socialisti, sostenitori che il Consiglio non fosse più confacente alla volontà della popolazione e alle esigenze del momento, che già si erano potuti organizzare adeguatamente nei mesi precedenti, la maggioranza dei consiglieri si dimise il 10 febbraio così da costringere la Reggenza a riconvocare nuovi comizi elettorali per il giorno 11 marzo 1945.

Le elezioni videro la partecipazione di due raggruppamenti: il  “Comitato della Libertà”, coalizione di socialisti e comunisti, e l’“Unione Democratica Sammarinese”, formata da cattolici e indipendenti di varie tendenze, e diedero la vittoria ai partiti di sinistra, che ottennero 40 seggi consiliari su 60, ovvero 2.190 voti su 3.356 votanti (gli iscritti erano complessivamente 5.846).

Il programma del nuovo governo prevedeva svariate migliorie ed innovazioni, come la riforma del patto colonico per aumentare la quota di prodotto a vantaggio dei coloni, una bonifica agraria in grado di favorire l’impianto di vigneti, la prosecuzione dei lavori pubblici già avviati in maniera consistente dal governo fascista, il rimboschimento ed altro ancora. 

Le prime innovazioni che vennero generate, tra mille polemiche perché era ancora ben vivo un forte gruppo tradizionalista e conservatore che le avversò all’estremo, furono però di natura istituzionale, in quanto s’introdusse l’elezione per voto diretto della Reggenza (prima era per sorteggio tra varie coppie scelte tra i consiglieri) con legge del 24 marzo 1945 e, con legge datata 15 maggio, fu sancita la riforma dei pubblici poteri, con cui il Congresso di Stato, ora composto da due Segretari di Stato e 8 Deputati, assumeva funzioni di governo della Repubblica. Entrambe queste innovazioni istituzionali erano state ideate, ma inutilmente ambite, dal partito socialista prima del periodo fascista.

Il governo delle sinistre rimase ai vertici del paese fino al 1957, anche se con enormi difficoltà legate soprattutto al fatto che era inviso a quello italiano e alle potenze occidentali in genere, essendo l’unico governo “rosso” in una vasta area geografica dominata da poteri tendenzialmente anticomunisti, ed essendosi determinato subito dopo la fine del conflitto mondiale un aspro clima di guerra fredda tra Est ed Ovest.

I problemi tra Italia e San Marino emersero in fretta provocando ripercussioni negative sul canone doganale che veniva regolarmente fornito dal 1862, all’epoca introito fondamentale per le modeste finanze pubbliche locali, sul ripristino della linea ferroviaria danneggiata dalla guerra, che in effetti non verrà più rimessa in funzione, sull’impianto di una stazione radio che San Marino avrebbe desiderato, e su altro ancora. La Repubblica veniva inoltre accusata di favorire attività di import-export tese ad aggirare le norme italiane producendo così fenomeni di elusione ed evasione fiscale (il cosiddetto “sistema San Marino”).

Tra il 1947 e l’anno successivo venne fondata la Democrazia Cristiana Sammarinese, il cui primo manifesto, firmato da un Consiglio direttivo provvisorio di undici membri più il segretario (Zaccaria Savoretti), uscì tra la gente in data 9 aprile 1948 per esaltare “la fedeltà alle supreme leggi di Dio ed il rispetto alle istituzioni ed alle tradizioni cattoliche, che vedono la loro origine prima nell’apostolato e nell’opera del Santo Fondatore”, in quanto si manifestavano in continuazione “tentativi di sminuire e di progressivamente distruggere i tesori etici e spirituali della nostra gente”. Per questo tutti coloro che si riconoscevano nei valori del cattolicesimo dovevano sentire “il dovere di organizzarsi e di combattere uniti per la fede, per la democrazia, per la libertà”.

 Il 27 febbraio 1949 si svolsero nuove elezioni politiche a cui si presentarono sempre due schieramenti: il Comitato della Libertà, composto dai partiti di sinistra, e Alleanza Popolare Sammarinese, di cui facevano parte la Democrazia Cristiana, l’Associazione Patriottica Indipendente del Lavoro (APIL), costituita nel dicembre del 1948 da elementi di destra, l’Unione Democratica Sammarinese, e alcuni indipendenti, ovvero cattolici e uomini non di sinistra.

Le elezioni, in cui votarono 4.810 cittadini su 7.124 aventi diritto, riconfermarono la maggioranza di sinistra, ora scesa a 35 consiglieri eletti, mentre 25 seggi furono ottenuti da Alleanza Popolare, di cui 14 dai democristiani. L’esito elettorale indusse l’Italia a bloccare immediatamente la corresponsione del nuovo canone doganale che avrebbe dovuto fornire alla Repubblica, insieme ad una cospicua cifra di arretrati, anche se il pretesto ufficiale per tale azione fu l’eccessivo numero in territorio di aziende di imprenditori italiani sospettate di esservi solo per beneficiare del “sistema San Marino”.

I velenosi contrasti economici con l’Italia costrinsero la Repubblica a mille peripezie per rimediare il denaro bastante ad andare avanti, ed indussero le locali autorità ad accelerare i tempi per concretizzare un’idea da tempo pensata: l’apertura di una casa da gioco, ente di cui si stava parlando praticamente da un secolo, ma che non si era mai veramente voluto impiantare per motivi di ordine morale e per paura delle incidenze negative e pericolose, anche malavitose, che avrebbe potuto avere all’interno della società sammarinese.

Nel luglio del 1949 il Consiglio Grande e Generale approvò la proposta d’istituire il casinò che iniziò ad operare il mese dopo. La reazione italiana fu repentina e pilotata dal ministro degli interni Mario Scelba, conosciuto come “l’anticomunista di ferro” per la sua forte avversione verso la sinistra radicale, che fece istituire sui confini posti di polizia inizialmente preposti all’esame dei documenti di chi, dopo le 21.00, si recava all’interno della Repubblica.

Nei mesi seguenti i controlli s’intensificarono diventando gradualmente un vero e proprio blocco dei confini, con ispezioni tanto meticolose e prolungate da snervare i malcapitati, costretti a soste che duravano anche diverse ore.

Ovviamente tante lungaggini provocarono ripercussioni tragiche sulla modesta economia locale, dando un colpo violento al turismo, che in questi anni stava iniziando a decollare, gravi problemi alle poche industrie che operavano in territorio, e la morte del casinò, che nel suo breve periodo di vita aveva dato prova di produrre un bel volume di affari ed introiti consistenti per le pubbliche casse.

Per far fronte alla grave crisi in atto, nell’aprile del 1951 la maggioranza di sinistra, che dalle elezioni in poi aveva avuto anche notevoli problemi di armonia interna tra le sue componenti politiche, invitò la minoranza a trattare per la formazione di un “Governo di concentrazione”, ovvero d’emergenza, “col proposito di raggiungere uno stabile accordo nel supremo interesse della concordia cittadina e del Paese”.

Il 23 giugno fu raggiunta un’intesa tra le parti in nome della “eccezionale gravità della situazione in cui si è venuto a trovare l’intero paese” che prevedeva lo scioglimento del Consiglio e nuove elezioni entro settembre, la creazione di un “Consiglio di Reggenza” paritetico di 15 membri, provenienti da tutti i raggruppamenti politici, presieduto dai Reggenti che doveva amministrare il paese fino all’elezione del nuovo Consiglio Grande e Generale, la presentazione alle elezioni di una lista unica paritetica e l’adozione del sistema maggioritario, la nomina paritetica della Reggenza, l’assegnazione della Segreteria degli Esteri alla maggioranza, e di quella degli Interni alla minoranza, la soppressione del Comitato della Libertà e di Alleanza Popolare, ed altre clausole basate sempre sulla logica della spartizione paritaria dei ruoli di governo.

Nel mese di luglio il governo si dimise per lasciare posto al nuovo esecutivo misto, e il 14 agosto venne firmato un accordo con l’Italia che prevedeva la chiusura immediata e definitiva della casa da gioco in cambio della revoca del blocco dei confini, e dell’anticipo di 150 milioni di lire sui 450 di arretrati che San Marino doveva avere in base ad un precedente accordo stipulato nel 1948.

Fatto questo, si andò concordemente alle elezioni non con lista unica, come pattuito in giugno, ma liberamente. Esse si svolsero il 16 settembre 1951 con l’intervento di 4.567 elettori su 7.301 aventi diritto, e vi presero parte quattro partiti: il democristiano, il comunista, il socialista e l’APIL. Le urne diedero ancora una volta la maggioranza ai partiti di sinistra, anche se estremamente risicata (18 consiglieri comunisti + 13 socialisti), mentre la D.C. conquistò 26 seggi e 3 ne ebbe l’APIL.

Dopo queste elezioni si svilupparono non poche polemiche fomentate dall’opposizione sull’organizzazione dei viaggi e sui rimborsi dati agli elettori esteri da parte del governo, così come emersero perplessità sulla regolarità del sistema di voto che in quel periodo ancora non si basava sulla scheda elettorale di Stato.  

Gli anni successivi videro San Marino permanere in una grave situazione di deficit economico, in quanto l’Italia mantenne il suo atteggiamento di aspra ostilità politica e di puntuale boicottaggio finanziario centellinando gli acconti sul canone doganale. Agli inizi del ’52 la repubblica sammarinese aveva 700 milioni di debiti e non pagava gli stipendi ad impiegati e operai da tre mesi.

Nel 1953 San Marino dovette sottostare ad un nuovo accordo aggiuntivo di buon vicinato voluto  dall’Italia, da questa ratificato deliberatamente solo l’anno dopo per perdere ulteriore tempo, che prevedeva alcuni vantaggi (innalzamento del canone, aumento del contingente dei tabacchi, ecc.), ma che imponeva la definitiva rinuncia all’impianto radiotelevisivo e alla casa da gioco.

La firma di questo trattato provocò un inasprimento delle polemiche tra i raggruppamenti politici. Tra l’altro sia nel partito socialista, sia all’interno della maggioranza di sinistra serpeggiavano sempre più malumori, critiche, veleni e accuse che stavano minando la compattezza dei due partiti e l’alleanza di governo. Tra la fine del ’54 e gli inizi dell’anno successivo nel gruppo socialista avvenne una prima diaspora, che portò alla nascita del Partito Social Democratico Sammarinese (PSDS), raggruppamento moderato di sinistra convinto che un governo in contrasto con le democrazie occidentali non avesse senso ai vertici di un paese non autosufficiente come San Marino, quindi propenso a battere strade politiche alternative, ovvero senza i comunisti.

Nel 1955 vi furono di nuovo le elezioni, caratterizzate questa volta da vivaci polemiche intorno al voto alle donne, che i partiti di sinistra osteggiavano convinti che il mondo femminile fosse per la maggior parte vincolato alla cultura cattolica, quindi politicamente utile solo per i loro avversari, dalla nuova presenza del PSDS, e dalla scomparsa dell’APIL, assorbita dalla DC.

Altre contestazioni riguardarono l’anticipazione delle votazioni al mese di agosto, voluta verosimilmente per consentire una maggiore partecipazione degli elettori esteri, fatto che secondo la minoranza avrebbe favorito i partiti al governo, la regolarità della compilazione delle liste elettorali, il numero degli elettori, più alto che in passato, e altro ancora. Votarono in 5.363 su 7.654 iscritti.

Contrariamente alle previsioni, il governo di sinistra si rafforzò, ottenendo 35 consiglieri (16 socialisti + 19 comunisti), mentre la DC ebbe 23 candidati eletti e 2 i socialdemocratici. Col clima incandescente che già c’era, fioccarono ovviamente i battibecchi e le accuse di brogli elettorali. Anche su molti giornali italiani si parlò ormai senza mezzi termini di un governo di stampo marxista che voleva trasformare la Repubblica in campo sperimentale del comunismo internazionale, in costante combutta con il partito comunista italiano che lo aiutava e sosteneva in ogni situazione.

Le principali riforme promosse dopo le elezioni (revisione dei contratti agrari, riforma sanitaria ed istituzione dell’Istituto Sicurezza Sociale) parevano suffragare tali illazioni. Il problema prioritario rimaneva comunque la grave carenza di denaro: per questo nel corso del 1956 si cercò di riaprire, inutilmente, un tavolo delle trattative con l’Italia per spuntare qualche agevolazione economica, e di istituire, senza successo, un registro navale.

Nel mese di luglio il Consiglio approvò l’allacciamento di rapporti diplomatici con l’URSS, ma nel corso dell’anno si acuirono le forti discrepanze che già da tempo sussistevano nei rapporti fra socialisti e comunisti, disaccordi che divennero palesi dopo l’invasione in autunno dell’Ungheria da parte delle truppe russe, e che contribuirono a determinare un’altra scissione all’interno dei socialisti: il 6 dicembre Alvaro Casali, segretario del PSS e deputato alla Pubblica Istruzione, in aperto dissenso con le strategie politiche e le alleanze che il suo partito stava continuando a perseguire nonostante le conseguenze negative che il paese ne subiva, rassegnò le dimissioni dal partito, dal Congresso di Stato e da tutte le commissioni governative in cui era.

In seguito egli fu espulso dal suo partito e nell’aprile del 1957, con altri quattro consiglieri socialisti, diede vita al Partito Socialista Indipendente, che si schierò contro il governo determinando una situazione di parità numerica tra consiglieri di maggioranza e di opposizione.

Il 15 settembre un altro consigliere, questa volta proveniente dalle file comuniste, si dimise inaspettatamente e per motivi che suscitarono parecchie perplessità nel paese, schierandosi subito con l’opposizione, fatto che provocò un ribaltamento delle posizioni e dei numeri in Consiglio, poiché ora i 23 democristiani, più i 2 socialdemocratici, i 5 socialisti indipendenti e l’ex comunista disponevano della maggioranza detenendo 31 seggi su 60.

Nei giorni seguenti il paese visse momenti assai turbolenti e di forte acredine tra le parti, perché la nuova maggioranza si sentiva in diritto di sostituire subito la vecchia prendendo le redini di San Marino, mentre i socialcomunisti, che si dimisero in blocco dal Consiglio aggiungendo anche le dimissioni dei loro consiglieri fuoriusciti, fatte firmare in bianco ad inizio legislatura, pretendevano un ritorno alle urne per svolgere elezioni anticipate, indette dalla Reggenza il 19 settembre per il 3 novembre.

I democristiani coi loro alleati, che si rifiutarono di riconoscere le dimissioni in bianco sottoscritte un paio di anni prima, ovviamente non accettarono tale ipotesi e, essendo impossibilitati ad accedere al Pubblico Palazzo il giorno 19, data in cui si sarebbe dovuto svolgere il Consiglio, perché chiuso grazie ad un altro decreto reggenziale, nella notte fra il 30 settembre e il 1° ottobre si ritirarono in un locale a Rovereta, zona sui confini riminesi della Repubblica, costituendosi come governo effettivo di San Marino, immediatamente riconosciuto dall’Italia che istituì un blocco di polizia ai confini.

La prima decade di ottobre vide il paese in uno stato di grave e pericolosa conflittualità, in quanto entrambe le parti erano convinte di essere istituzionalmente dalla parte della ragione e si scambiavano reciproche accuse di colpo di Stato. Il giorno 11, comunque, la coalizione socialcomunista decise di cessare ogni azione di resistenza nel superiore interesse della collettività, per cui il 14 ottobre il governo di Rovereta s’insediò a palazzo.

La nuova maggioranza, una volta assunto il potere, non ammise alla prima seduta del Consiglio da lei gestito i 29 consiglieri socialcomunisti, considerandoli decaduti di fatto dal loro incarico istituzionale per le dimissioni precedentemente presentate. Questo fatto provocò un evento eccezionale per la storia sammarinese: per la prima volta tra la nuova Reggenza, espressione della maggioranza consiliare democristiana e socialdemocratica, che per gli sconquassi avvenuti si poté insediare solo il 27 ottobre, e la Reggenza precedente non avvenne il tradizionale passaggio delle consegne, essendo stata questa esclusa dal Consiglio come gli altri membri della vecchia maggioranza.

In seguito i consiglieri decaduti vennero sostituiti dai non eletti che li seguivano nelle liste elettorali presentate nella tornata del 1955. Di questi, tuttavia, quattro neo consiglieri dichiararono di voler far parte del gruppo socialdemocratico o indipendente, per cui alla fine il nuovo governo di Rovereta poté contare su 35 voti a sostegno, mentre l’opposizione risultò effettivamente composta da 25 membri.

La vicenda di Rovereta lasciò per anni veleni e astio nel paese, perché i socialcomunisti ritenevano di aver perso il potere in modo truffaldino e tramite un colpo di Stato, non in maniera democratica, mentre i loro avversari li accusavano di aver messo in atto espedienti arbitrari e illegittimi per non lasciare il governo, a cui non avevano più diritto in quanto ormai composti solo da 29 membri su 60. Ebbe poi anche un brutto strascico giudiziario che si chiuse l’8 giugno 1960 con la condanna di svariati esponenti socialcomunisti, seguita però da un provvedimento di clemenza, emanato dai Reggenti il 29 luglio, con cui vennero condonate le pene inflitte.

Negli anni successivi l’economia di San Marino poté finalmente decollare non più ostacolata dai freni posti dall’Italia, anzi fortemente aiutata da grosse quantità di denaro provenienti dalle potenze occidentali, soddisfatte che la più antica repubblica del mondo fosse finalmente governata da una coalizione politica a loro affine.

L’America infatti donò l’ingente somma di 850.000 dollari per la costruzione dell’acquedotto di Galavotto (iniziato nel 1959, inaugurato il 31 maggio1962), infrastruttura che, oltre a fornire tanto lavoro agli operai, riuscì a portare l’acqua lungo tutto il territorio sammarinese, risolvendo così il secolare problema della carenza idrica.

L’Italia accettò la firma di un accordo per la costruzione della superstrada (20 novembre 1958) e, con la convenzione del 1960, aumentò il canone doganale e il contingente dei tabacchi, fornendo pure altri vantaggi finanziari ai sammarinesi.

La Gran Bretagna finalmente riconobbe un indennizzo economico per il bombardamento da lei effettuato nel 1944, dopo che per anni aveva negato qualunque tipo di risarcimento.

In definitiva, spinta dalla spesa pubblica e dal turismo in grande sviluppo già dagli anni precedenti, ma che avrà un decollo verticale proprio nei primi anni ’60 con più di duemilioni di visitatori nel 1963,  nel paese aumentò di molto il volume di denaro in circolazione, con un accrescimento notevole della spesa pubblica, ed un incremento altrettanto notevole del settore privato: gl’impianti industriali, per fare un esempio, passarono da 24, con 610 addetti nel 1957, a 61 con 1958 addetti nel 1963, dopo che il nuovo governo nel ’59 e nel ’60 giunse a varare alcune leggi per agevolare ulteriormente l’impianto di imprese in territorio.

Le attività artigianali, favorite anch’esse da leggi nuove, negli stessi anni da 71 che erano divennero 293 e gli addetti da 307, 980. I lavoratori dipendenti, che erano 2.731 nel 1957, divennero 5.048 nel giro di pochi anni. Nel commercio si assisté allo stesso tipo di balzo in avanti, perché vennero concesse nel giro di poco tempo 842 licenze, con aumento di bar e ristoranti (da 58 del 1957 a 99 del 1963), dei posti letto (da 206 a 499 nel ‘63 a 969 nel 1969 a 1.196 nel ‘71), dei negozi turistici (da 65 a 169), dei lavoratori e operatori del settore (da 300 a 744 sempre nel ‘63).

L’ingente circolazione di soldi del periodo permise allo Stato di edificare, restaurare o portare a conclusione con celerità anche altre opere infrastrutturali, come molte strade interne, vari parcheggi (con un aumento dei posti macchina da 330 del 1957 ai 1.145 del ‘64, ai 1.795 del ’69), un nuovo impianto territoriale di illuminazione, la funivia, entrata in funzione nel mese di agosto del 1959, il “Palazzo degli studi” di Fonte dell’Ovo ed altri edifici scolastici ancora.

Il bilancio statale si dilatò sostanziosamente: nel 1957-1958 lo Stato aveva 637 milioni di entrate e 776 milioni di uscite; nel 1964 – 1965 raggiunse invece quasi 3 miliardi di entrate e poco più di uscite.

Ugualmente avvenne uno sviluppo mirabolante dell’edilizia privata, con 1.560 opere edificate tra il 1958 e il 1963, di cui 740 nuove case, e altre 951 abitazioni fabbricate tra il 1964 e il 1968. Gli addetti che lavoravano nel settore edile nel 1963 erano 803, numero cospicuo che, pur con qualche fluttuazione, rimase abbastanza costante anche negli anni successivi, alimentato dai tanti contadini che nel periodo continuarono ad abbandonare con costanza la terra per la sua scarsa redditività.

L’economia sammarinese, insomma, prese quota all’improvviso, portando con sé tutti gli scompensi e le alterazioni, soprattutto a livello di paesaggio e territorio, che un simile repentino decollo, politicamente poco pianificato, spesso lasciato addirittura in balia di speculatori o impresari improvvisati, portò inevitabilmente con sé.

Il nuovo governo modificò subito la vecchia legge elettorale, allungando da quattro a cinque anni la durata della legislatura, estendendo la possibilità di votare alle donne (lo potranno esercitare però solo a partire dalle elezioni del 1964, mentre potranno essere anche elette in Consiglio solo dal 1973), e a tutti gli emigrati tramite il voto per corrispondenza, in particolare a quelli delle Americhe che in precedenza per la lontananza ben difficilmente potevano prendere parte alle votazioni. Il voto per corrispondenza comunque venne abolito nel 1966 a causa delle polemiche a cui diede adito, e delle forti divergenze che causò tra le forze politiche, in quanto si capì che portava vantaggi soprattutto alla Democrazia Cristiana.

Cambiò anche la legge sul lavoro del 30 gennaio 1949, che di fatto ammetteva l’esistenza di un solo sindacato: questo permise l’ufficializzazione della Confederazione Democratica dei Lavoratori Sammarinesi, nata nel mese di novembre del ’57, che affiancò l’altro sindacato, la Confederazione Sammarinese del Lavoro, già operativo dal 1945.

Il 13 settembre 1959 furono convocate le prime elezioni politiche dopo Rovereta a cui parteciparono 6.443 elettori (3.371 interni, 3.072 esteri) su 7.514 iscritti alle liste: la DC ottenne 27 seggi consiliari, 9 il Partito Socialista Democratico Indipendente Sammarinese (PSDIS), creato dalla fusione del partito socialista indipendente col partito socialdemocratico avvenuta sul finir del ‘57, 16 i comunisti e 8 i socialisti, per cui venne riconfermata al potere l’alleanza di governo del 1957.

Questo esecutivo negli anni seguenti si diede molto da fare per dimostrare che, cambiando rotta politica, il paese  aveva saputo finalmente imboccare la giusta strada della contemporaneità. Emanò numerose leggi (sul lavoro, sull’apprendistato, sull’edilizia, sulla scuola - resa obbligatoria fino ai 14 anni nel 1963 -, sulla previdenza sociale, per favorire l’insediamento di nuove industrie, per il pubblico impiego, per aiutare l’agricoltura, per l’artigianato, ecc.) che cambiarono radicalmente la fisionomia della società sammarinese.

Inoltre il forte afflusso turistico che ormai la riviera romagnola e di riflesso San Marino registravano annualmente, nonché il rientro di numerosi emigrati, attirati dalle notevoli possibilità di lavoro apertesi, che investirono i loro soldi in infrastrutture e nuove attività in loco, fecero uscire definitivamente la repubblica sammarinese dalla sua dimensione rurale precedente.

Nel settembre del 1964 vi furono altre elezioni politiche con l’intervento del doppio degli elettori delle precedenti (12.928 di cui 7.813 interni e 5.115 esteri su 15.392 aventi diritto) in quanto vi presero parte per la prima volta anche le donne. Esse mantennero al governo democristiani, che ricevettero 29 seggi, e socialdemocratici con 10 seggi. Gli altri partiti che vi parteciparono furono quello comunista, che ottenne 14 seggi, quello socialista, che ne ebbe 6, e il nuovo Movimento per le Libertà Statutarie (MLS), costituitosi ufficialmente il 21 aprile per reclamare maggiori diritti per i cittadini e più garanzie istituzionali, che conseguì 1 seggio.

Gli anni seguenti furono caratterizzati da turbolenze politiche per colpa del voto per corrispondenza, in quanto già all’interno del suo programma elettorale il PSDIS aveva avanzato la proposta di rivedere al più presto la legge elettorale in merito.

Ovviamente i partiti di opposizione iniziarono a soffiare animatamente sul fuoco che stava covando per creare zizzania tra i due alleati di governo riuscendoci alla fine benissimo: infatti il 2 agosto del 1966 il Consiglio affrontò la questione, ma socialdemocratici e partiti di opposizione si unirono contro il voto per corrispondenza, mettendo la DC in minoranza e abrogandolo all’istante. La cosa portò naturalmente in crisi il governo, che comunque dopo qualche mese si ricompattò sempre con i partiti precedenti.

Per questo periodo merita pure evidenziare lo sviluppo di un intenso dibattito, dopo anni di relativa tranquillità sul problema, intorno alle riforme istituzionali che alcuni partiti volevano attuare in forma radicale, superando le norme codificate ancora negli statuti secenteschi e fornendo la Repubblica sammarinese di una costituzione nel senso moderno del termine, mentre altri volevano limitate a innovazioni meno strutturali e più morbide, con qualche integrazione e aggiornamento del sistema ereditato dal passato, dove proprio ve ne fosse la necessità, ma nulla più.

Il fitto e lungo confronto fra le parti alla fine permise di dar vita ad una commissione di esperti per lo studio del problema, e in seguito alla “Carta dei Diritti” dell’8 luglio 1974 che, pur non essendo un vero codice costituzionale, era comunque una legge quadro con norme e principi di natura istituzionale. Questa legge non darà adito nell’immediato a riforme concrete, tuttavia creerà la logica e le linee lungo cui muoversi negli anni successivi per apportare alcuni ritocchi al sistema costituzionale vigente.

Nelle elezioni del 7 settembre 1969 cambiò qualcosa, ma non molto rispetto alla situazione precedente: furono 13.287 gli elettori su 16.720 iscritti, di cui 8.747 interni e 4.540 esteri. I partiti che si affrontarono rimasero sempre gli stessi con l’aggiunta del nuovo Movimento Comunista Marxista Leninista, tipico frutto dei tempi e dei movimenti giovanili del Sessantotto, che anche a San Marino avevano fatto proseliti. Ricevette però solo 161 voti, quindi non mandò rappresentanti in Consiglio.

Al governo rimasero DC, con 27 consiglieri eletti, e PSDIS con 11; 14 ne ebbe il partito comunista, 7 quello socialista, 1 il Movimento Libertà Statutarie. Tuttavia i rapporti tra i due partiti al potere non furono più quelli degli anni precedenti; in particolare il partito socialdemocratico accusava gli alleati di inerzia e poco attivismo nel portare avanti le linee programmatiche concordate, mentre i democristiani avevano perso fiducia negli alleati dopo la vicenda del voto per corrispondenza.

Ovviamente una simile situazione determinava tensioni e malumori ricorrenti, per cui agli inizi del 1973 la DC dichiarò la crisi della coalizione di governo stringendo sempre più rapporti col partito socialista e col piccolo Movimento Libertà Statutarie, coi quali costituì un nuovo governo per giungere a fine legislatura.

Alle elezioni politiche dell’8 settembre 1974, accanto ai partiti storici, si presentarono due raggruppamenti nuovi nati in precedenza: il Partito Democratico Popolare Sammarinese (PDPS), fondato da alcuni fuoriusciti dalla DC, e il Comitato per la difesa della Repubblica (CDR), dichiaratamente di destra.

Su 17.673 aventi diritto (10.594 interni, 7.079 esteri), votarono in 14.086 (9.978 interni, 4.108 esteri): la DC ottenne 25 consiglieri eletti, 15 il PC, 9 i socialdemocratici, 8 i socialisti, 1 il MLS, 1 sia il nuovo PDPS, sia il CDR, anche in questa occasione nessuno i marxisti-leninisti. Grazie ad una nuova legge del 10 settembre 1973, che parificava i diritti tra uomini e donne, con queste elezioni per la prima volta entrarono in Consiglio sette donne.

Nonostante fosse numericamente possibile dare vita anche ad altre coalizioni di maggioranza, DC e PSS scelsero di continuare insieme l’esperienza di governo, senza però l’apporto del consigliere del MLS. La collaborazione tra i due partiti nella gestione del paese si dimostrò comunque problematica, con reciproche accuse e scambi di addebiti su quanto si stava facendo, e soprattutto non facendo rispetto al programma concordato, situazione aggravata inoltre da una fase economica alquanto incerta e da una generalizzata inflazione galoppante che rendeva il futuro assai imprevedibile.  

Già dopo due anni avvenne una prima crisi di governo, che si riuscì a ricomporre solo dopo qualche mese, ovvero nel febbraio del ‘77. Tuttavia nel novembre dello stesso anno scoppiò un’altra crisi tra DCS e PSS con conseguente caduta del governo, che questa volta non fu più resuscitato poiché, nonostante un mandato esplorativo dato prima alla DCS, poi al PCS, infine al PSS, non si riuscì a fare altro che andare ad elezioni politiche anticipate il 28 maggio 1978.

A questa tornata elettorale, che registrò la partecipazione di 15.491 elettori (11.653 interni, 3.838 esteri) su 19.615 aventi diritto, si presentarono la DCS, che conquistò 26 seggi consiliari, il PCS 16, il PSS 8, il PSU (Partito Socialista Unitario nato nel 1975 come trasformazione del PSDIS durante il suo V congresso) 7, 2  Democrazia Socialista (nata sempre in seno al PSDIS in disaccordo con la sua evoluzione in PSU e con la volontà espressa dal V Congresso di unificare tutta la sinistra), 1 il CDR. Non si presentarono più il Movimento Libertà Statutarie e il Partito Democratico Popolare Sammarinese, mentre i marxisti-leninisti non ebbero eletti.

Dopo le turbolenze politiche registrate negli anni precedenti, e la conseguente instabilità che ne era derivata, i partiti di sinistra, che già avevano avviato un fitto dialogo tra loro anche nei mesi precedenti, decisero di allearsi per formare una coalizione di governo senza la DC, sebbene potessero contare su una maggioranza numericamente risicata composta da appena 31 consiglieri, in quanto Democrazia Socialista non volle entrare a far parte della compagine.

Nei suoi primi anni il nuovo governo varò molteplici leggi e si adoperò per attuare una incisiva politica di riforme, tra cui merita ricordare per il discorso che si sta svolgendo in questa sede la legge del 30 novembre 1975 relativa alle Giunte di Castello, che divennero elettive tramite suffragio popolare a partire dalle prime loro elezioni svolte il 25 maggio 1980, e quella con cui si diede vita all’istituto del referendum nell’ottobre del 1981, che permise lo svolgimento di un referendum abrogativo in data 25 luglio 1982 sul diritto al mantenimento della cittadinanza da parte della donna sammarinese che sposava un cittadino estero. Vinse chi era contrario a questo diritto, ma una successiva legge varata in Italia nell’aprile del 1983, che permetteva alle donne straniere coniugate con italiani di poter scegliere tra il mantenimento della propria cittadinanza o l’acquisizione di quella del marito, risolse indirettamente anche il problema sammarinese. Con una legge varata dal Consiglio nel 1984 venne poi regolamentato il problema riconoscendo alla donna il mantenimento della cittadinanza.

Fu anche il governo che nominò il primo Reggente donna della storia sammarinese: la socialista Maria Lea Pedini, nel semestre aprile – ottobre del 1981. Già in precedenza, comunque, la democristiana Clara Boscaglia aveva potuto assumere un’alta carica politica divenendo Segretario di Stato per gli Affari Interni nel 1976, mentre nel 1978 un’altra donna, la comunista Fausta Morganti, era stata nominata Deputato alla Pubblica Istruzione e Cultura.

Il governo di sinistra ebbe però anche qualche problema a mantenersi saldo al potere, perché in alcune occasioni un suo consigliere dissidente, eletto nelle file del PCS, dissociandosi dalle posizioni della maggioranza, determinò in Consiglio situazioni di stallo. Si riuscì ad ovviare al delicato problema a partire dal settembre del 1981 tramite un allargamento della maggioranza con la compartecipazione al governo di Democrazia Socialista.

Il governo delle sinistre concluse regolarmente la XX legislatura rimanendo in carica fino alle elezioni politiche del 29 maggio 1983. Questa tornata elettorale registrò 17.209 elettori (13.114 interni, 4.095 esteri) su 21.588 iscritti alle liste, e vide la DC ottenere 26 consiglieri, il PCS 15, il PSS 9, il PSU 8, il PSDS (Partito Socialista Democratico Sammarinese, in precedenza Democrazia Socialista), 1, Intesa Democratica – Partito Repubblicano (nuovo gruppo fondato dal consigliere dissidente del PCS di cui si è detto), 1. Non si presentarono più il CDR e i marxisti-leninisti.

Il governo venne formato da PCS, PSS e PSU, e riuscì a condurre in porto nell’ottobre del 1984, dopo anni di discussione, un’importante quanto contestata riforma tributaria che modificava profondamente il sistema fiscale sammarinese. La sua vita non fu facile, comunque, né duratura in quanto entrò in crisi esattamente tre anni dopo per aspri dissidi tra i suoi membri, in particolare tra la componente comunista e quella socialista.

Da più parti vi furono svariati richiami al ricompattamento delle sinistre e alla riacquisizione dello spirito che vi era stato dopo le elezioni del ’78, ma inutilmente perché le controversie politiche vennero ulteriormente esacerbate da vari fattori esterni ed interni, tra cui pesanti accuse legate alla questione morale e al connubio tra politica e affari lanciate dai comunisti contro i loro alleati, accuse ovviamente rinfocolate dalla DC.

La situazione precipitò l’11 giugno 1986 quando il PCS ritirò la propria delegazione di governo aprendo di fatto la crisi, e stringendo rapporti esclusivi con la DCS, con cui vi erano stati incontri anche precedenti, per formare un nuovo governo “di programma”, come fu definito, così da giungere a fine legislatura, esecutivo legato alla logica del “compromesso storico”, che nello stesso periodo era argomento centrale anche dei dibattimenti politici italiani. Il nuovo governo venne ufficializzato nel Consiglio del 26 luglio.

Le elezioni si svolsero il 29 maggio 1988 con la partecipazione di 21.133 elettori (15.588 interni, 5.545 esteri) su 26.052 iscritti alle liste. La DC ottenne 27 seggi consiliari, il PC 18, il PSU in unione ad Intesa Socialista (gruppo di fuoriusciti dal PSS con cui aveva sottoscritto un progetto politico comune in gennaio) 8, 7 il PSS. Nessun consigliere fu ottenuto dai socialdemocratici e da Intesa Democratica, gli altri due gruppi che si erano presentati a questa tornata elettorale.

Venne riconfermata al governo la coalizione composta da DCS e PCS, che durò in carica  fino al 1992, dando comunque chiari segni di difficoltà di convivenza ai vertici del paese già dai primi anni post elettorali.

Il periodo in cui rimase a capo di San Marino un governo di compromesso storico fu quello in cui nell’Europa dell’Est avvennero profonde metamorfosi politiche legate al tramonto del comunismo di stampo russo, ben simboleggiate dalla caduta del muro di Berlino nel 1989. Le modificazioni politiche in atto ovviamente ebbero incisivi riflessi pure sul comunismo sammarinese che nell’aprile del 1990 celebrò il suo XII e ultimo congresso in cui si trasformò in Partito Progressista Democratico Sammarinese Lavoro e Socialismo (PPDS).

Negli stessi anni anche i diversi raggruppamenti di indole socialista avviarono un graduale processo di unificazione: nella seconda metà del 1987 PSS e PSDS si fusero insieme celebrando l’avvenuta aggregazione il 27 dicembre; nel 1989 furono PSU e Intesa Socialista ad amalgamarsi in un unico partito. L’anno seguente PSS e PSU condussero a termine il processo diventando un unico soggetto politico, fusione “suggerita dal superamento di ormai decrepite diversificazioni, maturata dal nuovo clima politico internazionale e spinta dal dovere di riconquistare e difendere la democrazia del nostro futuro”, come sottolineò il giornale del PSS, il “Nuovo Titano” del 1 marzo 1990. Il primo congresso dei partiti socialisti unificati si svolse nel novembre del 1991.

A questo punto la DC intravide le condizioni politiche per aprire, ad un anno dalle elezioni, una crisi di governo nei primi mesi del 1992 così da rompere l’alleanza ormai troppo mal tollerata con gli ex comunisti, e creare una nuova coalizione di governo con il partito socialista unificato.

Il 30 maggio 1993 si svolsero le elezioni politiche con 22.637 votanti (16.675 interni, 5.962 esteri) su 28.191 iscritti alle liste. La DC conquistò 26 seggi consiliari, 14 il PSS, 11 il PPDS, 4 Alleanza Popolare (AP), nuova compagine fondata nel periodo da alcuni fuoriusciti dalla DC, 3 Movimento Democratico (MD), anche questo nuovo raggruppamento creato da politici provenienti dall’area di sinistra, 2 Rifondazione Comunista Sammarinese, partito nato da dissidenti comunisti non concordi con le trasformazioni avvenute nell’ex PCS. Il nuovo governo nacque sempre dall’alleanza tra DC e PSS.

Nonostante che in Italia si fosse in pieno marasma politico a causa degli sconquassi provocati dalla cosiddetta “tangentopoli”, a San Marino invece si continuava lungo la logica partitica del passato, con aggregazioni che nascevano o scomparivano, e con i partiti storici che mantenevano il controllo della massa dei voti, anche se ora i socialisti erano riusciti a scavalcare gli ex comunisti divenendo il secondo partito sammarinese.

Per gli anni seguenti possono essere segnalati vari fatti interessanti per il discorso che si sta conducendo. Per quanto riguarda la legislazione, merita senz’altro evidenziare l’ampliamento della legge sul referendum del 1981 con l’introduzione, nel 1994, del referendum propositivo o d’indirizzo. Dello stesso periodo è pure la riforma delle Giunte di Castello con l’elezione diretta del Capitano di Castello e della sua lista di candidati, così come la riforma della legge sulle commissioni consiliari.

Agli inizi del 1996 venne varata una nuova legge elettorale per far fronte alle grandi polemiche sul voto estero scatenate soprattutto dai nuovi raggruppamenti politici contro i partiti maggiori per la strumentalizzazione che questi ne facevano, rappresentando gli elettori esteri più di un quarto dell’intero corpo elettorale (nel 1993 erano complessivamente il 37,68%, di cui votarono il 26,34%). In realtà tale legge, subito contestata in alcuni suoi punti, non risolse il problema, e negli anni successivi la questione dell’elettorato estero rimase aperta dando adito puntualmente a controversie e accuse a non finire.

Furono anche gli anni dei referendum in quanto ne vennero promossi parecchi voluti soprattutto dai gruppi di opposizione. Alcuni poterono essere evitati tramite il varo di leggi che ne recepivano a priori le richieste, altri non vennero giudicati ammissibili dal Collegio Giudicante, ma altri ancora dovettero essere convocati in quanto non fu possibile giungere ad accordi preventivi tra governo e comitati promotori.

Il primo si svolse il 22 settembre 1996: era basato su quattro quesiti di cui uno chiedeva la riduzione da sei a tre delle preferenze che si potevano esprimere tramite scheda elettorale, e gli altri erano legati al voto estero e all’abrogazione di qualsiasi rimborso spesa per chi doveva affrontare viaggi per venire a San Marino per votare. I partiti di governo si schierarono contro le richieste referendarie, ma alla fine, su 19.257 votanti di 29.729 iscritti, la maggioranza votò a favore facendo modificare in alcuni suoi punti la legge elettorale promulgata pochi mesi prima.

Anche questo, tuttavia, non eliminerà in seguito le polemiche sugli elettori esteri, in quanto continueranno le accuse dei partiti minori relativamente alla strumentalizzazione del loro voto, e per l’uso di sistemi illegali per portarli a votare tramite viaggi spesati e regalie varie.

Un altro referendum venne convocato per il 26 ottobre 1997 e riguardò le società immobiliari per cui si richiedeva che fossero sempre nominative e mai anonime. Anche in questo caso la maggioranza dei 13.896 votanti (su 29.932 iscritti) che vi presero parte si schierò a favore della richiesta referendaria.

Il 31 maggio 1998 si svolsero di nuovo le elezioni politiche: i votanti furono 22.673 su 30.117 iscritti alle liste elettorali. Il PDCS ottenne 25 seggi consiliari, 14 il PSS, 11 il PPDS, che si presentò in unione a Idee in Movimento, nuovo gruppo fondato da fuoriusciti del disciolto MD che ebbe un suo rappresentante eletto, e Convenzione Democratica, altro nuovo gruppo nato per queste elezioni,  AP ne ebbe 6, RC 2, e 3 i Socialisti per le Riforme (SR), raggruppamento scaturito da una scissione all’interno del partito socialista avvenuta un anno prima e provocata da tre consiglieri in disaccordo con alcune linee politiche portate avanti.

La novità di queste elezioni fu una campagna elettorale svolta all’insegna di un proto bipolarismo in quanto i partiti all’opposizione, ad eccezione di RC che partecipò autonomamente, crearono la cosiddetta “Coalizione per l’alternativa” la quale, all’insegna di un programma comune, chiese voti  all’elettorato proponendosi come alternativa al governo al potere.

Dopo le elezioni DCS e PSS riformarono invece insieme un nuovo governo, che però ebbe vita assai travagliata e difficile perché i rapporti tra i due partiti non furono più tranquilli come negli anni precedenti.

Il 16 giugno del 1999 la maggioranza al potere, con la non contrarietà da parte del PPDS e di SR, promulgò una nuova legge sulla cittadinanza con cui si cercava di parificare completamente tra uomo e donna la trasmissibilità della cittadinanza. Tre mesi dopo, il 12 settembre, venne sottoposta al primo referendum confermativo della storia sammarinese. Per essere approvata la legge avrebbe dovuto ricevere 9.663 voti favorevoli, corrispondenti al 32% del corpo elettorale, invece ne ebbe solo 9.327 (e 7.072 contrari), per cui per il non raggiungimento del quorum necessario non entrò in vigore.

Nel febbraio del 2000 i socialisti decisero di ritirare la loro delegazione di governo. Il pretesto fu un ordine del giorno presentato dall’opposizione in Consiglio il giorno 24 e votato positivamente anche da membri della maggioranza, che i socialisti ritenevano essere consiglieri DC. In realtà questo fatto rappresentava solo la “punta di un iceberg”, come ebbe a dire il segretario del PSS, in quanto già da tempo non correvano più buoni rapporti tra i due maggiori partiti sammarinesi, con accuse reciproche legate alla volontà di non procedere con la concretizzazione del programma di governo, e di cattivo metodo di gestione del potere.

Subito la DC riuscì a comporre un governo con PPDS e SR, ma con scarso successo poiché anche questo ben presto diede segni di poca coesione ed entrò in crisi irreparabile, anche se prima di farlo riuscì a varare una nuova legge sulla cittadinanza il 30 novembre del 2000.

DC e PSS ripresero dunque a dialogare tra loro giungendo ad un accordo politico che comunque non si sentirono di mettere in opera se non dopo averlo fatto avallare da una tornata elettorale. Il 10 giugno 2001 vennero dunque convocate elezioni anticipate che videro la partecipazione di 22.648 votanti su 30.688 iscritti. La DC ottenne 25 consiglieri eletti, 15 il PSS, 12 il Partito dei Democratici (PD), frutto della fusione tra PPDS, IM, CD, 5 AP, 2 RCS, 1 Alleanza Nazionale Sammarinese (ANS), nuovo partito di destra nato con velleità di creare il bipolarismo anche a San Marino così come era avvenuto in Italia.

Purtroppo le turbolenze politiche di questi anni non terminarono nemmeno con questo governo che registrò al suo interno fin dai mesi immediatamente post elettorali vari dissidi tra le due forze politiche che lo componevano, ed ebbe poi vita brevissima, durando in carica nemmeno un anno. Nel maggio del 2002, infatti, cadde dopo che si era fatto un altro tentativo di rianimarlo con un rimpasto che prevedeva un’equa spartizione dei dieci ministeri (in precedenza ne aveva 6 la DC e 4 il PSS), e soprattutto il varo di una legge cosiddetta “antiribaltone” che doveva servire ad assicurare stabilità e continuità all’alleanza tra i due partiti al potere. Quando nel Consiglio del 20 maggio fu il momento di votarla, però, la sostennero solo 24 consiglieri sui 38 che la maggioranza aveva in quel giorno a disposizione, per cui il nuovo governo appena insediato crollò inaspettatamente colpito a morte sia da rappresentanti democristiani che socialisti.

Immediatamente il PSS prese l’iniziativa di relegare la DC all’opposizione formando un nuovo esecutivo con AP e PDD. Per qualche mese la situazione parve normalizzarsi, invece alla fine dell’anno due nuovi consiglieri del PSS eletti nel 2001, dopo aver portato un feroce attacco ad un leader del loro partito, uscirono dalla maggioranza togliendole così la supremazia numerica in Consiglio per fondare un loro gruppo denominato “Sammarinesi per la libertà” (SL).

Il PSS si riavvicinò alla DC cercando di coinvolgere nel nuovo governo che stava prendendo forma anche il PDD, con cui già da tempo aveva avviato un dialogo alla ricerca dell’unificazione di tutta la sinistra sammarinese, ma alla fine nacque una nuova coalizione composta solo da democristiani e socialisti, fatto che provocò altre defezioni tra i socialisti, con l’uscita di un ulteriore consigliere, e la conseguente nascita di un gruppo, sempre d’ispirazione socialista, che prese il nome di “Nuova San Marino”.

Nei mesi successivi questo governo tirò avanti come poté, mentre il 25 marzo del 2003 PSS e PDD, durante un’assemblea svolta nel Teatro Concordia di Borgo Maggiore, avviarono ufficialmente il loro processo di unificazione.

Ovviamente la situazione politica rimase alquanto ingarbugliata poiché il PSS era al governo, mentre il PDD rimaneva all’opposizione, e la DC, che nel frattempo aveva dovuto registrare la fuoriuscita di un suo membro di spicco, che poi si era reso promotore della fondazione di un nuovo raggruppamento, il “Partito dei Popolari”, non aveva idee chiare sull’atteggiamento da tenere verso l’alleato che stava andando verso una crescita notevole della sua forza, né grosse possibilità di predisporre governi con alleati alternativi.

Nel corso del 2003, nonostante che il governo disponesse teoricamente dei voti di 37 consiglieri (25 DC + 12 PSS), esso rimase assai traballante e sempre sull’orlo di un improvviso crollo, per cui sentì l’esigenza di ampliare i suoi numeri col coinvolgimento del PDD. Il nuovo governo che ne scaturì, definito “straordinario” e composto eccezionalmente solo da otto Segretari di Stato (4 DC, 2 PSS, 2 PDD), iniziò ad operare dal 12 dicembre.

Nel periodo, precisamente il 3 agosto, si era svolto un altro referendum, promosso da Nuova San Marino, che mirava a ridurre da tre a una sola il numero delle preferenze che l'elettore poteva esprimere sulla scheda elettorale, ma senza esito perché la proposta ottenne solo 8.755 voti favorevoli (e 2.091 contrari), non raggiungendo il quorum dei 10.105 voti necessari.

Per il 2004 non vi è nulla di particolarmente interessante da segnalare per l’argomento che stiamo affrontando, mentre per il 2005 va senza dubbio messo in risalto il congresso di unificazione delle sinistre del 18/20 febbraio in cui PSS e PDD portarono a termine il loro processo di fusione con la creazione del Partito dei Socialisti e dei Democratici (PSD).  

Durante l’estate venne promosso e sostenuto dai partiti di opposizione un altro referendum incentrato su quattro quesiti: nel primo si chiedeva di ridurre le preferenze elettorali a due, nel secondo di poter scegliere una parte dei membri del Congresso di Stato anche al di fuori del Consiglio, col terzo e anche col quarto si mirava ad abbassare il quorum richiesto per l’accettazione di un quesito referendario. Andarono a votare solo poco più di 6.600 elettori, per cui non venne raggiunto il quorum dei 10.142 voti richiesti e tutti i quesiti fecero naufragio.

Sempre negli stessi mesi continuarono ad esservi forti fibrillazioni all’interno dei partiti, in particolare del nuovo PSD che dovette registrare la fuoriuscita prima di tre consiglieri dell’ex PSS, che confluirono in Nuova San Marino, poco dopo di “Zona Franca”, gruppo d’opinione già preesistente all’interno dell’ex PDD assolutamente contrario ad alleanze con la DC, che poteva contare tra le sue fila anche due consiglieri. Costoro si aggregarono a RC creando insieme “Sinistra Unita” (SU), mentre Nuova San Marino diventò il “Nuovo Partito Socialista” (NPS).

Il governo straordinario riuscì a condurre a termine la legislatura varando anche alcune riforme istituzionali legate alla Reggenza, al Congresso di Stato e al Consiglio Grande e Generale, nonché un mutamento del sistema pensionistico, innovazioni da anni richieste, ma mai condotte in porto da nessun governo precedente.

Il 4 giugno del 2006 si svolsero le elezioni politiche con la partecipazione di 22.815 elettori su 31.759 aventi diritto e ben nove liste partecipanti. La DC, pur perdendo diversi seggi consiliari, si mantenne il partito di maggioranza relativa con 21 candidati eletti, 20 ne ottenne il PSD, alla cui lista elettorale parteciparono anche la “Casa delle Identità” e il “Partito Repubblicano Sammarinese”, due piccoli raggruppamenti nati nei mesi precedenti, 7 AP, 5 SU, 3 NPS, 1 ciascuno i Popolari, ANS, SL e Noi Sammarinesi, lista civica nata qualche mese prima dalla fuoriuscita dalla DC di un altro suo consigliere.

Il governo che scaturì da questa tornata elettorale si formò grazie all’alleanza tra PSD, AP e SU e mise mano subito ad una nuova riforma elettorale, promulgata alla fine di aprile del 2007, sempre basata sul sistema proporzionale, ma con alcuni correttivi tipici del sistema maggioritario, di cui già si era discusso a lungo anche durante la legislatura precedente, per indurre i raggruppamenti politici a coalizzarsi in fase preelettorale, evitando così che i partiti, alleandosi in maniera contingente in corso di legislatura, potessero fare o disfare i governi a loro piacimento, com’era stato possibile in precedenza.

Con tale legge si previde anche il ripristino dei seggi esteri, eliminati dopo le elezioni politiche del 1993 per far votare gli elettori provenienti da fuori confine presso il loro Castello di origine, così come si sancì l’inasprimento delle pene per contrastare maggiormente il voto di scambio su cui anche durante le elezioni del 2006 vi erano state polemiche a non finire.

 

N.B. Il presente testo è inedito perché doveva essere pubblicato una decina di anni fa all’interno di un volume che non è mai stata stampato. Recentemente l’ho aggiornato con i semplici dati successivi, che si forniscono di seguito, per una conferenza che ho svolto presso le Scuole Superiori sammarinesi il 9 dicembre 2016.

 

I partiti politici a San Marino

 

·         23/6/1912 – Elezioni triennali: «Blocco Democratico»

·         1919/20 - Nasce Partito Popolare Sammarinese

·         15/10/20 – Nuova legge elettorale proporzionale

·         1920 – Nasce Unione Democratica Sammarinese

·         14/11 - Elezioni generali: 29 PPS+18 PSI+13 UD

·         16/11 - I socialisti non entrano in Consiglio

·         Inizi ‘21 – Nasce il Partito Comunista Samm. (PCS)

·         8/5/22 – Nasce il Partito Nazionale Sammarinese  contro il nuovo patto colonico e la riforma tributaria

·         26/8/22 – Nasce il Partito Fascista Samm. (PFS)

·         Gennaio ‘23: I Popolari si dimettono dal Consiglio

·         12/12/23 – Elezioni politiche con unica lista, il «Blocco Patriottico»: 29 fascisti, 20 popolari, 9 democratici, 2 volontari di guerra. 1.484 votanti su 4.184 elettori. Il Blocco ottiene 1.437 voti

·         17.11.26 - Nuova legge elettorale maggioritaria

·         Fine ‘26 - Il Partito Popolare si scioglie

·         12/12 – Elezioni politiche: Il PFS, unico partito a presentarsi, riceve 2444 voti su 2445 (elettori: 4.305)

·         1932 – Elezioni: il PFS riceve 2.573 voti su 2.573 votanti (elettori: 3.915)

·         1938 – Elezioni: il PFS riceve 2.916 voti su altrettanti votanti (elettori: 3.715)

·         2/8/43 – Abrogazione legge maggioritaria e ritorno alla legge proporzionale del 1920

·         1943 – Elezioni con lista unica: 3.219 elettori su 5.932 (Salò il 23/9, 5/10 entra un reparto di nazisti) 28/10: Consiglio di Stato di 20 membri

·         11/3/45 - Elezioni: Comitato Libertà 2.190 voti (40 seggi), Unione Democratica Sammarinese 1.136 voti (20 seggi) - elettori 5.846

·         1947/48 nasce DCS (Zaccaria Savoretti) in difesa di istituzioni e tradizioni cattoliche, e per combattere uniti per la fede, per la democrazia, per la libertà.

·         27/2/49 – Elezioni: Comitato della Libertà (35 seggi) e Alleanza Popolare Sammarinese (DC, Associazione Patriottica Indipendente del Lavoro (APIL-1948) Unione Democratica Sammarinese (25 seggi di cui 14 DC) - votarono in 4.810 su 7.124

·         16/9/51- Elezioni: 4.810 elettori su 7.301 - 4 partiti: PDCS (26 seggi), PCS (18), PSS (13), APIL (3).

·         54/55: Nasce il PSDS (socialdemocratici)

·         1955 – Elezioni: DC 23 seggi, PC 19, PS 16, PSDS 2. 4.567 votanti su 7.301(polemiche per voto donne)

·         1956: Ungheria: 1957 nasce il PSIS (partito socialista indipendente sammarinese) che aveva 5 consiglieri. Ora in Consiglio 23 DC, 2 PSDS, 5 PSDIS, 1 PC dissidente che si schiera con l’opposizione: Rovereta

·         13/9/59 - Elezioni  6.443 elettori (3.371 interni, 3.072 esteri) su 7.514: DC 27 seggi, PSDIS 9 (nasce dalla fusione del PSI e PSDS sul finir del ’57), PCI 16, PSS 8: voto alle donne (‘64 e ’73) e per corrispondenza (abolito nel ’66 con crisi di governo). A fine ‘57 nasce CSDL

·         13/9/64 - Elezioni (12.928 elettori, anche donne, di cui 7.813 interni e 5.115 esteri su 15.392), DC 29 seggi, PSDS 10, PCS 14, PSS 6, Movimento per le Libertà Statutarie (MLS), nato il 21 aprile per reclamare maggiori diritti e garanzie istituzionali, 1 seggio

·         7/9/69 – Elezioni (13.287 elettori su 16.720: 8.747 interni e 4.540 esteri. DC 27 seggi, PSDIS 11; PC 14, PS 7, MLS 1. Si presentò anche il Movimento Comunista Marxista Leninista, ma non ottenne alcun seggio

·         1973 - la DC apre la crisi di governo, ne crea uno nuovo con MLS e PSS per giungere a fine legislatura

·         8/9/74 - Elezioni con due nuovi partiti e massima frammentazione: il Partito Democratico Popolare Sammarinese (PDPS), fondato da fuoriusciti dalla DC, e il Comitato per la difesa della Repubblica (CDR), di destra. 14.086 votanti (9.978 interni, 4.108 esteri) su 17.673  aventi diritto (10.594 interni, 7.079 esteri): DC 25 seggi, PC 15, PSDIS 9, PSS 8, MLS 1, PDPS 1, CDR 1, Marxisti nessuno. In Consiglio 7 donne; Clara Boscaglia diventa Segretario di Stato per gli Affari Interni nel 1976. Il  governo tra il ‘76 e ‘77 ebbe due crisi: elezioni anticipate

·         28/5/78 - Elezioni: 15.491 votanti (11.653 interni, 3.838 esteri) su 19.615 aventi diritto. DC 26 seggi, PC 16, PSS 8, il PSU 7 (Partito Socialista Unitario nato nel 1975 al posto del PSDIS), Democrazia Socialista DS 2 (nata sempre in seno al PSDIS), CDR 1, Marxisti-leninisti nessuno . Governo di Sinistra, dal 1981 vi entra anche DS

·         1978 - Fausta Morganti Segretario Pubblica Istruzione, 1981: M. Lea Pedini Reggente

·         29/5/83 – Elezioni: 17.209 elettori (13.114 interni, 4.095 esteri) su 21.588, DC 26 seggi, PC 15, PSS 9, il PSU 8, il PSDS 1 (Partito Socialista Democratico Samm. ex DS), 1, Intesa Democratica – Partito Repubblicano 1 (nuovo gruppo fondato da un consigliere dissidente del PC)

·         1986 – Il PC fa crisi di governo e lo rinnova con la DC

·         29/5/88 – Elezioni: 21.133 elettori (15.588 interni, 5.545 esteri) su 26.052. DC 27 seggi, PC 18, PSU insieme a Intesa Socialista (fuoriusciti dal PSS) 8, PSS 7. PSD e Intesa Democratica 0

·         1990 – Il PC diventa PPDS (partito progressista democratico sammarinese)

  • 1992 – In Italia “Mani pulite” detta anche “Tangentopoli”
  • 1992 – DC fa crisi di governo per allearsi col nuovo PS

·         30/5/93 – Elezioni : 22.637 votanti (16.675 interni, 5.962 esteri) su 28.191. DC 26 seggi, PSS 14, PPDS 11, Alleanza Popolare (AP) 4 (nuovo gruppo fondato da fuoriusciti dalla DC), Movimento Democratico (MD) 3 (nuovo gruppo creato da politici dell’area di sinistra), Rifondazione Comunista Sammarinese  (RC) 2 (nato da dissidenti comunisti del PPDS)

·         31/5/98 – Elezioni: i votanti furono 22.673 su 30.117. DC 25 seggi, PSS 14, PPDS 11 insieme a Idee in Movimento (nuovo gruppo fondato da fuoriusciti del disciolto MD) e Convenzione Democratica (altro nuovo gruppo),  AP 6, RC 2, Socialisti per le Riforme (SR) 3 (gruppo nato da una scissione dentro il PS avvenuta un anno prima da parte di 3 consiglieri. I partiti all’opposizione, senza RC,  crearono la “Coalizione per l’alternativa”

·         Febbraio 2000 – PS crea crisi di governo, DC si allea con PPDS e RC, ma dura poco e si torna alle elezioni

·         10/6/01 - Elezioni - 22.648 votanti su 30.688, DC 25 seggi, PS 15, Partito dei Democratici (PD) 12 (nato da fusione di PPDS, IM, CD), AP 5, RC 2, Alleanza Nazionale Sammarinese (ANS) 1 (partito di destra)

·         Maggio 02 – crisi di governo: il PS forma esecutivo con AP e PD. Alla fine dell’anno due  consiglieri del PSS escono dalla maggioranza  e fondano  “Sammarinesi per la libertà” (SL). Il PSS si riavvicinò alla DC cercando di coinvolgere nel nuovo governo  anche il PDD, ma senza esito . Altre defezioni nel PS, uscita di un ulteriore consigliere, nascita di “Nuova San Marino”. Fuoriuscita anche dalla DC di un consigliere che dà vita al «Partito dei Popolari»

·         25/3/03 PS e PD avviano processo di unificazione. Il 12 dicembre nasce il «Governo straordinario» anche con PD composto eccezionalmente da otto Segretari di Stato (4 DC, 2 PSS, 2 PDD)

·         20/2/05 - PS e PD si unificano e creano il Partito dei Socialisti e dei Democratici (PSD). L’unificazione non soddisfece tutti: nei mesi seguenti  vi fu la fuoriuscita di tre consiglieri dell’ex PS, che confluirono in Nuova San Marino; poi di “Zona Franca”, gruppo d’opinione già nell’ex PD , che aveva tra le sue fila due consiglieri. Confluirono in RC creando insieme “Sinistra Unita” (SU), mentre Nuova San Marino diventò il “Nuovo Partito Socialista” (NPS)

·         4/6/06 – Elezioni: 22.815 elettori su 31.759 e nove liste partecipanti. DC 21 seggi, PSD 20 (insieme a “Casa delle Identità” e “Partito Repubblicano Sammarinese”, due piccoli raggruppamenti nati nei mesi precedenti), AP 7, SU 5, NPS 3, Popolari 1, ANS 1, SL 1 e Noi Sammarinesi 1, gruppo nato da qualche mese  perla fuoriuscita dalla DC di un suo consigliere

·         Marzo 07 – Fuoriusciti DC originano i Democratici di Centro, e altri gli «Europopolari per San Marino»

·         11/5/07 – Legge elettorale proporzionale con correttivi di tipo maggioritario che favorisce le coalizioni; sbarramento; quote rosa

·         9/11/08 – Elezioni: 21.806 votanti su 31.845. Patto per San Marino: DC + EPS (Europopolari ) + AeL (Arengo e Libertà) 22, AP 7, Lista della Libertà: Nuovo Partito Socialista + Noi Sammarinesi 4, Unione dei Moderati: Popolari Sam. + Alleanza Nazionale 2; Riforme e Libertà: PSD 18, SU 5, Democratici di Centro (DdC) 2. In agosto  si era stabilito che gli esteri votassero solo la lista senza preferenze.

·         11/11/12 – Elezioni: 21.138 votanti su 33.106. San Marino Bene Comune: DC + NS (Noi Sammarinesi) 21, PSD 10, AP 4; Intesa per il paese: PS 7, UPR (Unione per la Repubblica) 5, Moderati Sammarinesi 0; Cittadinanza attiva: SU 5, Civico 10 4; RETE 4, San Marino 3.0 nessuno, Per San Marino 0

·         20/11/16 – Elezioni: votanti: 20.275 su 33.985; sbarramento 3,5% (681); San Marino prima di tutto: DC, PSD, PS, Sammarinesi: 25; Adesso.sm: Repubblica futura, Sinistra Socialista Democratica, Civico 10: 20; Democrazia in movimento: Rete, Movimento Democratico San Marino insieme: 15; Lista della persone libere: 0; Rinascita Democratica: 0.

  • Ballottaggio 4/12/2016: Vince Adesso.sm con 9.482 voti; San Marino prima di tutto ne riceve 6.889

 

 

 

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