Democrazia e politica a San Marino
Da
svariati secoli il minuscolo Stato di San Marino ha assunto il
titolo di “repubblica”, vocabolo, com’è risaputo, di derivazione
latina (res publica) che significa “cosa pubblica”, ovvero di
tutti.
Probabilmente gli antichi sammarinesi, definendosi repubblicani in
un’epoca in cui gli Stati e le entità politiche non erano di tutti,
ma di pochissimi, volevano enunciare al mondo, e soprattutto allo
Stato Pontificio, che la comunità del Titano non desiderava essere
una signoria, un principato, o, peggio ancora, un regno, cioè una
proprietà di qualcuno, ma solo una piccola realtà politica alla cui
gestione tutti dovevano collaborare in base a quanto potevano
offrirle, e coi mezzi di cui potevano disporre, il più delle volte
assai scarsi.
Una
proto democrazia, dunque? Non nel senso contemporaneo del termine,
ovviamente, ma senz’altro una comunità dove ciascuno doveva fare la
sua parte, un po’ per sé e un po’ per tutti, ed in cui la piccolezza
del luogo permetteva un contatto diretto e frequente con chi per
esperienza, cultura o appartenenza sociale la governava in concreto,
senza che vi fossero fossati invalicabili tra chi stava ai suoi
vertici e chi non vi stava.
Tutti i sammarinesi, a prescindere dal ceto di appartenenza,
potevano diventare membri del Consiglio Grande e Generale, ovvero
del locale parlamento, composto fin dal XIII secolo da sessanta
membri, numero ragguardevole se rapportato a quello della
popolazione residente.
Ogni
consigliere poteva diventare Capitano Reggente, cioè Capo di Stato,
anche se era illetterato, contadino o bottegaio.
Ciascun capofamiglia sammarinese aveva l’obbligo giuridico di
presenziare diligentemente alle convocazioni dell’Arengo, assemblea
in cui spesso si assumevano le decisioni politiche più importanti
per la comunità, o si rinnovava il Consiglio con la nomina di nuovi
suoi membri, dove poteva parlare e dire la sua sugli argomenti in
discussione.
Sebbene sia lecito ipotizzare che la maggiore influenza in tale
assemblea, così come nel Consiglio e negli altri organi politici di
cui San Marino disponeva, l’avessero pochi uomini anche nei tempi
più remoti, in genere i più abbienti o i più colti, risulta evidente
che ogni sammarinese per forza di cose doveva avere un alto senso
dello Stato, in quanto la partecipazione alla vita sociale e alla
politica locale, in particolare alle decisioni più gravi (difesa del
territorio, tasse, conflitti interni, ecc.), non era discrezionale,
ma imposta per legge.
Questa situazione durò fino al 1600, anno in cui vennero editi nuovi
statuti sammarinesi che in pratica esautorarono l’Arengo, senza
tuttavia sopprimerlo. Per tutto il corso del Cinquecento, infatti,
l’assemblea dei capifamiglia aveva dato chiari segni di crisi in
quanto ormai difficilmente convocabile perché era cresciuta la
popolazione, e quindi il numero dei capifamiglia, così come “i
tumulti e le inevitabili e dannose contese che in tanta moltitudine
di persone continuamente nascevano”, come ci dice direttamente
la rubrica 1 degli stessi statuti. L’ultimo Arengo storicamente
documentato si è svolto nel 1571.
Per
tali motivi, ma senz’altro anche per la cultura politica più
elitaria sviluppatasi dopo l’epoca comunale, il potere fu assunto
totalmente dal Consiglio, che cominciò a definirsi coerentemente
Principe e Sovrano di San Marino, non più Grande e Generale
com’era in precedenza, e che stabilì di nominare i suoi membri
da lì in avanti tramite cooptazione, eliminando così qualunque tipo
d’intervento popolare nella delega dei consiglieri preposti a
gestire politicamente lo Stato.
Dalla primitiva democrazia sammarinese, che pur non essendo un
effettivo “governo del popolo” comunque garantiva a tutti i
cittadini una partecipazione più o meno marcata alla locale
politica, si cadde in un governo chiuso e di stampo oligarchico
coerentemente a quanto stava avvenendo ovunque in Europa, dove ormai
si era in piena fase assolutistica e la democrazia veniva vista come
obsoleta e foriera di anarchismo.
I
nuovi statuti in realtà cercarono di salvaguardare la dimensione
repubblicana di San Marino mantenendo invariato l’elevato numero dei
consiglieri, stabilendo che tutti i ceti avessero rappresentanza
all’interno del Consiglio, e lasciando vivo l’Arengo sia come organo
che poteva essere riconvocato dalla Reggenza “per i bisogni del
Comune”, sia come opportunità semestrale che ogni capofamiglia
aveva per inoltrare al Consiglio petizioni d’interesse collettivo.
In
realtà, però, l’Arengo non fu più riconvocato fino al 1906, ed il
potere finì totalmente nelle mani dei pochi clan familiari locali
detentori del potere economico, in quanto possessori di ampie
porzioni della terra coltivabile, e conseguentemente del potere
culturale necessario per stare ai vertici della comunità.
Nel
corso del Seicento le modifiche politiche sancite dai nuovi statuti
non diedero adito a contestazioni o ripensamenti, ma nel Settecento
il sistema oligarchico introdotto si rafforzò accentuando la
distinzione tra nobili e non nobili. Nonostante la sua dimensione
repubblicana, infatti, tracce di aristocrazia sono riscontrabili
nella storia sammarinese fin dalla fine del XV secolo: in un
testamento del 1497 Francesco Belluzzi, che non a caso apparteneva
alla famiglia più ricca e potente dell’epoca, venne definito
nobiluomo.
Il
fenomeno crebbe nei secoli successivi seguendo le mode e gli esempi
italiani ed europei, ma fino a tutto il XVII secolo non incise più
di tanto sulla società sammarinese, poiché per entrare in Consiglio
l’unica distinzione codificata dagli statuti del ‘600 era quella tra
uomini appartenenti alla Terra, ovvero a Città e Borgo (che dovevano
essere 40), e quelli del contado (20), esclusi i residenti dei
Castelli annessi nel 1463 (Serravalle, Faetano, Fiorentino,
Montegiardino) a cui verrà consentita la possibilità di diventare
consiglieri solo con decreto del 30 agosto 1873.
Nella seconda metà del Seicento iniziò a mutarsi in senso sempre più
oligarchico la fisionomia del Consiglio, perché nel 1652 venne
ridotto il suo numero da 60 a 45 (30 terrieri, 15 villici),
motivando la cosa col dire che non vi erano abbastanza individui
culturalmente idonei e all’altezza per rivestire la carica di
consigliere.
Nel
1728 gli appartenenti alle locali famiglie abbienti, che si erano
autonobilitate nei secoli precedenti, non essendo appartenenti né a
nobiltà di toga, né di spada, cominciarono a volere per sé sempre il
diritto di essere nominati alla prima Reggenza, mentre la seconda
doveva essere appannaggio dei non nobili, ovvero indistintamente di
terrieri o villici.
Di
fatto con questa decisione i consiglieri divennero di primo
(nobili), secondo (terrieri) e terzo (villici) ceto, e la nobiltà
ufficializzò la sua preminenza sul governo sammarinese, perché il
primo Reggente era alla fine colui che aveva massimi poteri sulla
piccola comunità, anche se solo per sei mesi, mentre il secondo, non
di rado analfabeta o comunque alla buona, era per forza di cose
figura subalterna.
Tale
supremazia non venne affermata solo acquisendo la carica di primo
Reggente: infatti dal 1743 fu stabilito che la “Congregazione
Generale”, una sorta di collegio governativo dell’epoca che decideva
le convocazioni del Consiglio, stabiliva le questioni da
sottoporgli, controllava l’Annona e si arrogava ampie libertà
deliberative un po’ in tutti i settori della politica, fosse
composta solo dai 20 consiglieri nobili.
Nel
1760, poi, il Consiglio deliberò che un consigliere nobile potesse
essere sostituito solo da un altro nobile, sancendo in maniera
tacita l’ereditarietà della carica consigliare la cui trasmissione
veniva così favorita da padre a figlio, o comunque all’interno di
pochi clan famigliari.
Il
Settecento, in definitiva, fu il secolo in cui l’oligarchia permessa
dal sistema per cooptazione introdotto con gli statuti del Seicento,
dalla riduzione del numero dei consiglieri, dalle nuove velleità
della locale nobiltà, si accentuò considerevolmente.
E’
facile ipotizzare poi che qualche membro di questa casta
privilegiata, sempre e comunque ai vertici dello Stato e mai
soggetta ad essere posta in discussione o accantonata, potesse
abusare del suo ruolo per conseguire vantaggi personali,
determinando malumori e polemiche in chi nobile non era, e magari
aveva la consapevolezza che la nobiltà fosse assurda e paradossale
in una repubblica dove i cittadini in teoria dovevano essere tutti
uguali.
Contestazioni al sistema oligarchico/nobiliare instauratosi tra XVII
e XVIII secolo sono ben documentate nel 1737, a ridosso
dell’invasione del cardinale Alberoni, nel 1797, in piena epoca
napoleonica, e in vari episodi risorgimentali e post-risorgimentali,
tra cui spicca senz’altro per efferatezza e brutalità l’assassinio
del Segretario Generale della Repubblica Giambattista Bonelli,
perpetrato non a caso il 14 luglio del 1853, ricorrenza dello
scoppio della Rivoluzione Francese.
In
definitiva anche nei secoli oligarchici vi era tra svariati
sammarinesi la consapevolezza di cosa veramente significassero
concetti come repubblica e democrazia, corroborati poi nella seconda
metà dell’Ottocento dall’ideologia democratica di personaggi molto
amati come Mazzini e Garibaldi, pensiero a cui aderirono con foga e
passione figure come l’avvocato Giacomo Martelli di Borgo e il
figlio Valerio, primi propugnatori del suffragio universale anche
per San Marino.
Giacomo fin dal 1870 aveva respinto sdegnosamente la sua cooptazione
a consigliere, sottolineando in un pubblico comunicato che si
sarebbe sentito “coperto di vergogna e di disonore” se fosse
entrato “in quell’aula, che per ischerno chiamasi della
Repubblica”. Egli avrebbe accettato tale carica solo se fosse
stato eletto direttamente dal popolo, posizione ribadita pure dal
figlio nel 1885 quando fu il suo turno di essere cooptato in
Consiglio.
Sono
proprio questi gli anni in cui si rinsaldò tra i giovani, e tra i
pochi sammarinesi più sensibili agli sviluppi politici che stavano
coinvolgendo tutta l’Europa, una mentalità riformista tesa a
cambiare le cose a San Marino e ad abbandonare le logiche politiche
elitarie instauratesi nei secoli oligarchici. Gli ultimi anni
dell’Ottocento videro la nascita di alcuni circoli ricreativi
sammarinesi in cui si cominciava a parlare di politica, così come
tra il 1892 e il 1893 si formò un piccolo gruppo di giovani, tra cui
figurava il quattordicenne Gino Giacomini, suo rappresentante più
carismatico, che si richiamò direttamente agli ideali socialisti, in
quel momento particolarmente in voga presso la nuova generazione per
lo svolgimento a Genova del congresso di fondazione del Partito dei
lavoratori italiani, che in seguito assumerà il nome di Partito
socialista italiano.
Anche prima di questa data, in realtà, vi sono scarne tracce
dell’esistenza a San Marino di minuti gruppi politicizzati di stampo
mazziniano o anarchico o internazionalista, ma il gruppo socialista
di Giacomini assumerà un ruolo ben più dinamico, gettandosi qualche
anno dopo direttamente nell’agone politico con lo scopo di
modificare in profondità la società locale e, dopo la prima guerra
mondiale, di assumere direttamente la gestione della repubblica
sammarinese.
Nei
suoi primi anni di vita il gruppo socialista non svolse comunque
importanti attività nel paese. Solo nel 1898 incominciò ad essere
più deciso all’azione politica: chiese il permesso alle autorità del
Titano di tenere un comizio nel Teatro Concordia di Borgo in
occasione del 1° maggio, e pubblicò per l’occasione un numero unico
che costituisce il primo documento articolato da cui ricavare
informazioni sul suo conto.
L’anno successivo continuò nel suo attivismo divulgando un
manifesto, sempre in occasione del 1° maggio, in cui istigava gli
operai a pretendere riforme sociali e politiche, tra cui il
suffragio universale, e il controllo delle pubbliche
amministrazioni. Presentò poi in ottobre al Consiglio due istanze
d’arengo in cui chiedeva una riforma tributaria in grado di colpire
in modo progressivo i redditi, e l’istituzione di elezioni politiche
periodiche perché lo Stato era in “contraddizione col suo
nome di repubblica”.
Il
Consiglio esaminò le istanze il 23 novembre non disdegnando la
riforma del sistema amministrativo, ma respingendo fermamente
“ogni altra domanda non riconoscendo l’esistenza di partiti ad
eccezione di quello dei Sammarinesi Repubblicani”, ovvero in
pratica di nessun partito in quanto non vi era un gruppo organizzato
di stampo repubblicano.
In
sintesi il governo sammarinese si mostrava sensibile al desiderio di
non colpire le masse con altre imposizioni, mentre non accettava
assolutamente la possibilità di sconvolgimenti politici, così come
sdegnosamente respingeva l’esistenza di gruppi politicizzati
innovativi rispetto alla cultura politica usuale.
Altro fatto importante del periodo per il discorso che si sta
svolgendo fu l’ingresso sulla scena politica di un importante e
carismatico personaggio come Pietro Franciosi, professore presso il
locale liceo, studioso e amante della storia sammarinese, orientato
verso un riformismo più temperato, ma comunque in grado di fornire
al paese innovazioni profonde e necessarie per porlo lungo il
cammino della contemporaneità. Con due importanti discorsi politici
pronunciati davanti al Consiglio nel 1893 e nel 1898 evidenziò le
riforme che riteneva prioritarie, come il rinnovo periodico tramite
elezioni di una parte dei consiglieri, l’abolizione dei tre ceti in
cui ancora erano divisi i sammarinesi, vari miglioramenti di natura
finanziaria e fiscale, la definizione dei rapporti tra Stato e
Chiesa e altro ancora.
Il
sodalizio che si stringerà tra Franciosi, Giacomini ed altri
riformisti dalle tendenze politiche diverse (repubblicani, liberali,
ecc.) nei primi anni del secolo nuovo condurrà ad una sistematica
battaglia per abbattere nobiltà ed oligarchia, così da rendere più
democratico il paese facendo partecipare il popolo all’elezione dei
suoi rappresentanti politici.
Com’è risaputo, questa conflittualità portò alla fine, dopo
interminabili polemiche e dissidi tra le parti in campo, ovvero
progressisti e conservatori, alla convocazione dell’Arengo del 25
marzo 1906, utilizzato non con le sue funzioni passate, ovvero
governo tout court del paese, o suo corpo elettorale, ma come sorta
di referendum, limitato ai capifamiglia, attraverso cui capire se il
paese volesse realmente un Consiglio elettivo, oppure preferisse
lasciare le cose come stavano.
In
realtà l’Arengo fu un compromesso che si raggiunse tra le fazioni
per sbloccare la situazione, in quanto i riformisti più radicali,
coi socialisti in testa, lo consideravano un organo obsoleto, mentre
per i conservatori, fedelissimi alle consuetudini ereditate dal
passato e ostili a qualunque velleità di mutamento costituzionale e
sociale per timore che San Marino fosse destinato altrimenti a
scomparire come entità statale, era l’ultima spiaggia per lasciare
le cose immutate.
Insieme a questi due variegati gruppi politici ve n’era un terzo che
alla fine risulterà il reale vincitore dell’agone in atto: i
riformisti moderati e tradizionalisti, desiderosi di mutare qualcosa
del panorama istituzionale sammarinese, e soprattutto d’introdurre
il suffragio elettorale, ma non di distaccarsi più di tanto dalla
tradizione politica in cui il paese praticamente era immerso da
sempre, né di sconvolgere il sistema costituzionale con
l’introduzione di riforme ritenute troppo “esotiche”, come si
diceva all’epoca, né di lasciare troppo spazio alle teste calde,
cioè ai riformisti più oltranzisti.
Queste posizioni emersero chiaramente nei mesi che precedettero la
convocazione dell’Arengo, quando si discusse animatamente su quale
tipo di adunanza convocare. I riformisti più convinti desideravano
una sorta di assemblea costituente dotata di svariate funzioni
politiche, tra cui quella di corpo elettorale della Repubblica,
preposta a rinnovare per intero il Consiglio la prima volta che si
sarebbe radunato, poi per un terzo ogni anno o due successivi.
Un’altra sua funzione importante sarebbe stata quella della nomina
di cinque membri di un “Congresso di Stato”, che avrebbe dovuto
assumere la funzione di organo detentore del potere esecutivo. Altre
facoltà dell’Arengo dovevano essere il diritto d’iniziativa (cioè di
promozione di progetti di legge), che poteva essere attivato dietro
istanza di tre soli cittadini, di referendum su qualunque legge, che
doveva essere richiesto da un minimo di 100 cittadini, e di
revisione della costituzione, che doveva essere domandata da un
minimo di 200 cittadini.
“La
maggioranza deciderebbe di tutto: dal mutamento della costituzione
alla votazione d’un lavoro pubblico, dall’apertura di una scuola
alla introduzione d’una nuova imposta, da un provvedimento
amministrativo ad una legge di polizia. (…) Si ritorni così
alla costituzione classica in modo che il nostro regime, senza
copiar troppo dal moderno, ridiventi un ente vasto ed eccelso,
continuo e perenne, superiore agli individui e ai partiti, e si
collochi in sì cospicua e serena altezza da sembrar più divino che
umano, come ai tempi del glorioso periodo comunale. Da esso emani il
Consiglio dei LX coi poteri: legislativo ed amministrativo, ed il
Congresso di stato col potere esecutivo; e dal Consiglio dei LX
venga affidato il potere giudiziario ai tre giudici forestieri ed al
Consiglio dei XII composto da persone a modo e per bene; e siano
eletti col solito costume ogni sei mesi i due Capitani Reggenti per
l’ufficio di presidenza e per prender parte al potere esecutivo. Non
si faccia più confusione di funzioni, né unione di poteri”,
disse Franciosi all’interno di La restaurazione dell’Arengo nella
Repubblica di San Marino, un suo studio del 1905 sul problema.
Questo punto di vista venne sostenuto anche dai socialisti.
Ovviamente i conservatori e i riformisti tradizionalisti non erano
per nulla d’accordo con un’ipotesi così esageratamente democratica,
suffragati in questo dal parere dei rinomati giuristi italiani
consultati via via in questi anni sulla grave questione
istituzionale che stava animando il paese.
“E’
veramente necessario l’apportare queste riforme? - chiedeva
Pietro Ellero, uno dei consulenti di cui in quell’occasione il
governo sammarinese si avvalse - Si deve
fare il Consiglio Elettivo? Dico che non posso ripromettermi alcun
bene dal Consiglio Elettivo. Premetto che un Consiglio elettivo è un
naturale corollario della Sovranità popolare, ma qualunque principio
astratto se non ha le condizioni per essere tradotto in vita, è
inutile accarezzare”.
Gaspare Finali, altro consulente del momento, disse drasticamente
che: “Sammarino col suffragio universale (…) sarebbe
morto”. “Il Consiglio elettivo sarebbe letale alla
Repubblica perché porterebbe con sé le minoranze, le maggioranze, i
voti di fiducia, le fazioni interne che succedono al potere ecc.
Sono tutte cose gravissime anzi fatalissime”.
“Si fa tabula rasa del passato. S. Marino
diventa come un Comune d’Italia. Pensateci”.
“Davanti alla storia - aggiunse Nino
Tamassia, altro consulente, - è necessario
che i Reggenti, dichiarate le condizioni anormali dello spirito
pubblico, con un atto solenne mettono bene in chiaro che essi si
rivolgono al popolo della Repubblica perché la responsabilità dei
mutamenti della costituzione, e le conseguenze di questi, cada tutta
sulla volontà popolare”
“Il sistema elettivo, ammesso in tutto l’organismo dello Stato, è
pur esso gravido di pericoli. La piccolezza dello Stato, la
confusione fra l’autorità amministrativa e quella costituzionalmente
“sovrana”, i conflitti fra i partiti, non affievoliti da un ambiente
largo, sono punti neri, nerissimi, che mi fanno una grande paura.
Pensate ai disordini possibili, all’impossibilità di repressioni, e
giudicate!”. “Rude sembrerò, ma davanti al pericolo di uno sfacelo,
la Reggenza deve far tutto perché nulla rimanga d’intentato per
salvare lo Stato. Vero è che nessuno si sogna di turbare dal di
fuori il Titano. Ma se gravi disordini scoppiassero, come si farebbe
ad impedire un intervento che sarebbe pur santo, diretto a far
cessare lotte interne?”.
Come
far fronte, dunque, a tanta presunta apocalissi? “Il punto
fondamentale - disse sempre Tamassia - è disciplinare
l’Arringo, ridurlo ad organo di conservazione della Repubblica, con
una modica partecipazione al Governo, lasciando sussistere nella sua
integrità il modo di costituzione e di funzionamento del Consiglio
dei LX”, perché la Repubblica “dalle convulsioni elettorali
sarebbe ben presto finita”. “Il bando della convocazione
dell’Arringo deve essere come un dilemma che lascerà o intatta o
rinforzata l’autorità del Consiglio”.
“Ridotto al Referendum l’Arringo è innocuo, se esorbita si sa dove
si va!”. “Se non si è sicuri delle decisioni dell’Arringo, non si
può essere tranquilli” .
Insomma, tra tutte le catastrofi istituzionali che avrebbero potuto
abbattersi sulla Repubblica in quel momento, l’arengo/referendum
alla fine era considerato di gran lunga la meno temibile.
Anche Ellero machiavellicamente suggerì uno stratagemma per far
abortire l’assemblea dei capifamiglia: “Chiamato l’Arringo coi
soli padri di famiglia - disse - e che con due terzi votanti
e che con la metà più uno si potesse dir valido, difficilmente
queste proporzioni si potranno ottenere, e i conservatori hanno
fondamento su questo non intervento”.
L’esortazione di Ellero riuscì quasi ad andare in porto, perché
l’Arengo per essere valido doveva registrare la presenza di 747
capifamiglia, e ne ebbe 805 in tutto, ovvero pochi di più.
Insomma, l’Arengo del 1906 venne organizzato e gestito con logica
gattopardesca, tanto da beneficiare durante il suo stesso
svolgimento di un’aggiunta a uno dei due quesiti a cui
gl’intervenuti dovevano rispondere (ovvero “Ferme restando tutte
le altre norme Statutarie”) che congelò qualunque possibilità di
riformismo istituzionale da lì a molti anni, in quanto sanzionata
dagli stessi capifamiglia, i quali col loro voto approvarono di
porre fine al sistema di nomina per cooptazione dei consiglieri,
accettando però anche l’aggiunta in questione con cui in ultima
analisi si sancì di non modificare altro dello statuto secentesco.
Dopo
l’Arengo venne elaborato un regolamento elettorale, perfezionato un
anno dopo con legge del 25 agosto 1907, che prevedeva elezioni ogni
tre anni per rinnovare un terzo del Consiglio, con 20 consiglieri
che decadevano per sorteggio. Questa scelta dipese dalla volontà di
non rischiare un rinnovo troppo drastico del parlamento sammarinese,
evitando così il pericolo di ritrovarsi con un Consiglio privo
dell’esperienza necessaria a gestire il paese.
Il
territorio sammarinese fu diviso in nove circoscrizioni elettorali,
cioè tante quante erano le parrocchie. Ogni parrocchia eleggeva un
numero di consiglieri proporzionale a quello dei suoi residenti
(Pieve 22, Serravalle 12, Faetano 6, Montegiardino, Chiesanuova,
Acquaviva, Domagnano 4 ciascuna, Fiorentino e San Giovanni 2
ciascuna). Gli elettori potevano votare per un numero di candidati
non superiore a quello previsto per la parrocchia di residenza.
Non
esistendo partiti organizzati oltre a quello socialista, al corpo
elettorale vennero sottoposte solo due liste: una sostenuta dall’
“Associazione Democratica”, ovvero dal gruppo riformista misto nato
nel 1903 per promuovere la convocazione dell’Arengo, l’altra
composta soprattutto da conservatori e da chi non era nella lista
dei progressisti.
Le
prime elezioni politiche della Repubblica di San Marino furono
limitate ad un corpo elettorale molto ristretto e durarono in
pratica tutta l'estate del 1906, avendo inizio il 10 giugno e
conclusione il 2 settembre, perché in alcuni seggi si dovettero
rifare per problemi e irregolarità varie. Su 1.173 iscritti alle
liste (la popolazione complessiva nel 1905 era di 9.617 unità), i
votanti del 10 giugno, con i seggi tutti attivi, furono 1.013.
Il
nuovo Consiglio alla fine di tutte le tornate elettorali risultò
composto da 38 membri il cui nome si trovava nella lista di sessanta
candidati proposti dall’Associazione Democratica, e da 22 non
presenti in tale elenco.
I
socialisti, unico gruppo con una embrionale forma di partito
politico organizzato, ebbero cinque rappresentanti eletti, mentre
gli altri candidati prescelti, riformisti o no, appartenevano alle
ideologie più variegate e provenivano da tutti i ceti sociali,
quindi non erano sempre concordi sui fini particolari o complessivi
da perseguire con l’azione politica consiliare.
L'otto luglio un gruppo di 29 consiglieri scaturito
dall’Associazione Democratica diffuse tra la gente un programma
politico in quattordici punti con cui esponeva i suoi propositi
legati alla volontà di dare soluzione al problema finanziario e alla
carenza di denaro, d’istituire un ispettorato per gli uffici
pubblici, di varare una legge organica per gl'impiegati, di creare
nuovi uffici, di rendere obbligatoria la scuola fino alla terza
elementare, di promulgare nuove leggi per migliorare l’igiene
pubblica, di frenare la grande emigrazione che stava caratterizzando
da tempo il paese e altro ancora.
Nei
mesi successivi, tuttavia, il fronte dei democratici iniziò ad
incrinarsi per divergenze ideologiche tra chi ne faceva parte, e per
il riformismo che alcuni pretendevano incidente ed immediato, mentre
altri volevano più moderato e graduale.
Queste tensioni crebbero rapidamente, tanto che nel mese di gennaio
del 1907 scoppiò una feroce diatriba in Consiglio sul modo di
festeggiare il primo anniversario dell’Arengo, perché i riformisti
radicali desideravano celebrazioni prettamente laiche e prive di
funzioni religiose, mentre moderati e conservatori volevano una
cerimonia con messa e riti sacri. Alla fine vinse questa idea, per
cui i riformisti radicali decisero di fare una loro commemorazione
prettamente laica, in aperta antitesi con quella ufficiale,
affiggendo di fianco alla Pieve una lapide in pietra dai toni
anticlericali.
Nonostante queste prime polemiche che già stavano minando il fronte
dei riformisti, nei mesi seguenti rimase ancora viva la speranza di
poter attuare forti innovazioni politiche e sociali, tuttavia alla
fine dell’anno divenne ormai chiaro che l’Alleanza Democratica, nata
per chiedere l’Arengo, si era esaurita tutta in quella richiesta e
non aveva più forza e volontà necessarie per mettere in opera le
altre riforme auspicate, che dai riformisti più intransigenti erano
state sempre reputate assai più importanti dell’Arengo stesso,
considerato solo il primo inevitabile passo per modernizzare lo
Stato sammarinese, ma niente più.
Agli
inizi del 1908 i socialisti decisero di rompere l’alleanza con gli
altri democratici, accusandoli di essere solo riformisti a
chiacchiere, ed intrapresero una fitta opera di sensibilizzazione
della popolazione, in particolare nei Castelli rurali che fino a
quel momento avevano abbastanza trascurato, per attirare a sé il
maggior numero di simpatizzanti possibile.
Tale
attivismo e l’implacabile disputa di stampo anticlericale messa con
costanza in atto nel paese indussero gradualmente i cattolici, fin
lì abbastanza indifferenti verso gli agoni politici, e soprattutto
ancora senza alcuna strutturazione partitica, ad organizzarsi meglio
per contrastare nella dovuta maniera l’azione dei loro pugnaci
avversari.
Il
primo prodotto di questa nuova volontà politica fu il giornale “Pro
– Patria”, pubblicato nel luglio 1908 in occasione delle elezioni
politiche parziali che si dovevano svolgere per rimpiazzare alcuni
consiglieri defunti o dimessisi dal Consiglio. I cattolici
nell’occasione vollero però solo dare il segno alla popolazione
della loro presenza, e fare un po’ di propaganda contro gli
anticlericali, ma non proposero candidati.
Le
cose cambiarono invece subito dopo, perché la parte laica presente
in Consiglio, in maniera precipitosa e con una buona dose
d’ingenuità, vista la radicata cultura cattolica che permeava la
stragrande maggioranza dei sammarinesi, si mise a discutere di
abolire il catechismo nelle scuole, che all’epoca era insegnato come
una materia scolastica a tutti gli effetti, fatto che fu considerato
un vero e proprio affronto dai cattolici, i quali si organizzarono
subito per raccogliere firme contro tale possibilità.
Il
timore dell’abolizione del catechismo, in definitiva, rese coeso il
vasto mondo cattolico che, nel giro di pochi mesi, si organizzò su
tutto il territorio fondando, il 16 maggio del 1909, l’Unione
Popolare Cattolica Sammarinese, la quale subito diffuse tra la gente
il suo nuovo giornale denominato “Sorgiamo”.
Il
Consiglio si mantenne comunque deciso nel suo intento, per cui
nell’estate del 1909 emanò un decreto di abolizione del catechismo.
Ovviamente gli animi si esacerbarono al massimo, i cattolici
urlarono al complotto e si trasformarono in Unione Cattolica
Sammarinese, pubblicando, in data 3 settembre, il primo numero di un
altro giornale: il “San Marino”.
Come
conseguenza dei fatti appena detti, nel 1910 si accentuarono veleni
e scontri tra le due fazioni che ormai si fronteggiavano apertamente
in Repubblica, tanto che il 26 febbraio i cattolici si recarono sul
Pianello per protestare con veemenza contro la legge istitutiva
dell’organico degli impiegati, in discussione nel Consiglio di quel
giorno, legge considerata di indole socialista e foriera di nuove
tasse per il popolo.
Nonostante ad un certo punto la situazione si fosse fatta
incandescente ed esplosiva, con revolver che giravano sia tra i
consiglieri che tra i manifestanti, gli animi alla fine si
placarono, ma i cattolici diedero chiaro segno di essere ormai
decisi a gesti risoluti e di non voler lasciare troppa libertà
d’azione ai loro avversari politici.
In
effetti nel luglio di quell’anno, data in cui dovevano svolgersi
altre elezioni politiche suppletive per reintegrare il numero dei
consiglieri, che per dimissioni o morte di qualcuno non era mai
fermo nel suo numero di sessanta, i cattolici si presentarono
organizzati e riuscirono a far eleggere un loro candidato in Borgo,
Castello fin lì considerato in mano a laici e progressisti,
provocando tra questi ultimi non poche apprensioni e ripercussioni.
Negli anni immediatamente precedenti la prima guerra mondiale, le
tensioni politiche rimasero assai accese tra tutti i gruppi, anche
se ancora non esisteva un altro partito costituito oltre a quello
socialista. La conflittualità tra cattolici ed anticlericali poi si
acuì enormemente, con i primi che temevano un riformismo troppo
drastico e rivoluzionario, ed iniziavano a pentirsi fortemente di
non aver avversato l’arengo del 1906, e gli altri che volevano
invece proseguire a testa bassa lungo la strada delle innovazioni e
della laicizzazione dello Stato.
Nell’aprile del 1912 alla polemica sul catechismo se ne aggiunse
un'altra perché il Consiglio varò una legge, detta dei “Benefici
vacanti”, che andava a ledere alcune prerogative che la Chiesa in
precedenza deteneva. Nonostante che i cattolici minacciassero
scioperi con chiusura delle chiese e chiedessero un arengo per
verificarla e per vedere se non fosse il caso di tornare al
Consiglio nominato per cooptazione, la legge rimase in vigore.
Nello stesso anno, essendovi le elezioni triennali per il rinnovo di
un terzo del Consiglio, dopo essersi resi conto che stando divisi si
favorivano solo i loro avversari e non una politica riformista, i
progressisti, radicali e non, riuscirono con non poche difficoltà a
formulare un programma comune e a ricreare un’alleanza tra loro, che
venne chiamata “Blocco Democratico”, con cui vinsero le elezioni
tornando a disporre di un gruppo compatto e della maggioranza in
Consiglio.
Il
Blocco, tuttavia, riuscì a fare poco del vasto programma che si era
dato (che prevedeva la laicizzazione graduale dello Stato,
l’istruzione obbligatoria fino alla 3a classe elementare
ed istituzioni scolastiche sussidiarie, parecchie riforme
legislative, agevolazioni per l’agricoltura, l’impianto di
industrie, e altro ancora), poiché naufragò nel giro nemmeno di un
paio d’anni, arenandosi per colpa di varie questioni, e in
particolare sul problema della riforma tributaria, che soprattutto i
socialisti perseguivano risolutamente, con l’obiettivo prioritario
di diminuire le disparità economiche tra le classi sociali, mentre i
consiglieri conservatori e molti dei moderati, che spesso erano
proprietari terrieri e benestanti, boicottavano con sistematicità.
Inoltre il Blocco venne regolarmente osteggiato dall’Unione
Cattolica che, nel mese di maggio del 1913, all’interno del suo
giornale, in un articolo intitolato "Il nostro programma",
concepito in contrapposizione al programma dei riformisti, volle
divulgare tra la popolazione alcune idee tese ad esaltare la
conservazione del passato e delle vetuste consuetudini della
Repubblica: “Laicizzare uno Stato come il nostro – vi venne
scritto - non è civiltà, ma antipatriottismo e barbarie;
consoliamoci che sui destini di questa terra gloriosa vi è ancora
qualcuno che veglia: il Santo Patrono Marino ed il Popolo Cattolico
che ha tutto un programma di Fede e Patria”.
Fede
e patria erano in effetti i due capisaldi a cui l’Unione Cattolica
si era sempre ispirata. La fede era ovviamente quella del
cattolicesimo più integralista, la patria era quella statutaria e
consuetudinaria dei secoli precedenti. I cattolici avevano tuttavia
anche idee di stampo più moderno, e moderate velleità riformiste in
alcuni campi. Appoggiavano, per esempio, l’ipotesi di riforma
fiscale progressiva, ma rifiutavano categoricamente le velleità di
stampo laico, o la volontà di cambiare le consuetudini statutarie,
come da tempo sostenevano socialisti e repubblicani mazziniani,
gruppo che esisteva da anni a San Marino, ma che non aveva mai
assunto veste di partito politico organizzato. Essi ritenevano le
ipotesi di riforme istituzionali del tutto fuori luogo, perché il
popolo, massicciamente credente e attaccato con tenacia alle
tradizioni, non ne aveva bisogno e non le desiderava, né era ancora
nelle condizioni culturali per potere assimilare bene novità tanto
diverse e rivoluzionarie.
Nel
giugno del ’14 il Blocco Democratico giunse al termine della sua
breve esistenza, lasciando il sistema politico sammarinese nella
situazione precaria di sempre in quanto, non essendovi in Consiglio
partiti politici strutturati al di fuori dei socialisti, che in
questo periodo vi avevano appena otto rappresentanti e notevoli
problemi di organizzazione interiore, non si creavano alleanze di
governo programmatiche e durature, ma solo contingenti in base alle
faccende politiche e sociali in discussione.
Negli stessi giorni della fine del Blocco prese vita un altro
giornale, stampato nel suo primo numero il 2 giugno, grazie al
locale gruppo repubblicano: “La Repubblica nuova”,
diretto da Manlio Gozi. I repubblicani, che comunque continuavano a
non assumere le sembianze di partito effettivo, ma solo di gruppo
politicizzato con ideali comuni, si ripromettevano di stare
all’opposizione contro “l’ostinato misoneismo dei conservatori e
l’ira bieca dei clericali”, non volendo appartenere ad una “larva
di democrazia”.
Inoltre proclamavano di voler laicizzare lo Stato e di pretendere
tutte le riforme necessarie di cui aveva impellente bisogno per
essere migliorato. Criticavano apertamente anche i socialisti che,
pur di far parte di un “gruppo informe” come era stato il
Blocco, avevano rinunciato a proseguire nelle loro battaglie
storiche. Il giornale repubblicano uscì con qualche altro numero nel
corso dell’anno, poi smise per sempre le sue pubblicazioni.
La
situazione politica rimase assai ingarbugliata negli anni
successivi, ulteriormente complicata dalle tristi ripercussioni
economiche e sociali che anche San Marino, come l’Italia, dovette
subire per colpa della prima guerra mondiale. Il gruppo socialista
praticamente si sfaldò fino al 1918, pur mantenendo all’interno del
Consiglio alcuni suoi rappresentanti in feroce dissidio con i
proprietari terrieri, che non volevano permettere, come i socialisti
invece pretendevano, requisizioni di grano e prodotti di prima
necessità a prezzi più bassi di quelli di mercato, e con gli
interventisti, che li accusavano di disfattismo e anti-italianità in
quanto ostili al conflitto in atto.
Le
elezioni del 1915 non sortirono novità sostanziali per il panorama
politico sammarinese, mentre in quelle del 1918 i conservatori si
strinsero in alleanza creando l’Associazione Sammarinese
Indipendente, mentre il gruppo socialista diede vita a un connubio
politico con le varie leghe operaie presenti nel paese riuscendo ad
aumentare fino a 14 il numero dei suoi rappresentanti eletti in
Consiglio. Nonostante il successo riportato, però, i socialisti
scelsero deliberatamente di rimanere all’opposizione, dichiarando ad
inizio legislatura che non avrebbero accettato mansioni di governo o
possibili nomine alla carica di Reggente, né alleanze con
chicchessia, perché troppo diversa la loro “funzione sociale”
rispetto a quella dell’Associazione Indipendente e degli altri
membri del Consiglio, a prescindere dalle vocazioni politiche a cui
ciascuno si richiamava.
Si
diedero da fare invece per portare correttivi al sistema
istituzionale tramite un progetto presentato al Consiglio
nell’aprile del ’18. Questo mirava a rendere più moderna la locale
costituzione distinguendo nettamente il potere legislativo da quello
esecutivo e creando anche a San Marino “una maggioranza organica
di governo”, in quanto ancora non vi era un organismo politico
con chiare funzioni di esecutivo, ma tutto veniva deciso soprattutto
a livello di Consiglio e Reggenza.
I
socialisti avrebbero voluto sostituire l’istituto della Reggenza con
un presidente della repubblica con durata maggiore, eletto per
consapevole e precisa indicazione della maggioranza, che fosse
espressione del gruppo consigliare che si assumeva la responsabilità
di pilotare la cosa pubblica. Questa soluzione era considerata la
migliore, però si sarebbero accontentati anche di una Reggenza
elettiva, ovvero non più nominata per sorteggio come ancora
avveniva, con un mandato più lungo, non costretta a seguire tutti i
lavori politici, ma solo quelli più rappresentativi.
Il
discorso sulla Reggenza era assai importante per i socialisti,
perché in questi anni, in cui non c’era una vera e stabile
maggioranza di governo, ma gruppi che si assemblavano all’occorrenza
sui singoli problemi, e non esisteva ancora nemmeno un sistema
burocratico ed amministrativo ben organizzato ed autonomo, i
Capitani Reggenti avevano poteri molto più ampi di quelli che hanno
oggi, e dovevano sbrigare una miriade di impegni.
Inoltre di solito tutto ciò che si faceva o no in Consiglio e a
livello di innovazioni politiche e sociali dipendeva dal loro
attivismo e dalle loro capacità. Da qui il bisogno di una Reggenza
non nominata a caso, ma che fosse espressione di un gruppo di potere
con intendimenti e progetti chiari e precisi.
Anche il Congresso di Stato, che all’epoca aveva soprattutto
funzioni di natura amministrativa e consultiva, doveva subire una
metamorfosi assumendo il ruolo di governo effettivo di San Marino,
diviso in 9 dicasteri o deputazioni (affari politici e diplomatici,
giustizia, sicurezza pubblica, milizia; finanze ed economato; lavori
pubblici; istruzione; annona, agricoltura, industria e commercio;
sanità e igiene; stato civile; poste, telegrafi, telefoni e
comunicazioni; beneficenza e assistenza).
Il
progetto di riforme istituzionali alla fine non andò in porto per
l’avversione nei suoi confronti da parte dei conservatori, timorosi
d’introdurre ulteriori novità potenzialmente pericolose come il
suffragio elettorale varato nel 1906, che a loro giudizio aveva
deturpato i sacri e antichi costumi politici del paese, basati su un
governo oligarchico di ottimati, creando solo confusione,
instabilità e diffusa insicurezza.
Vi
era poi una diffusa paura del gruppo socialista che, esaltato dalla
rivoluzione russa, assunse posizioni più radicali e massimaliste
rispetto agli anni precedenti, convincendosi che, per cambiare le
cose a San Marino, non fosse sufficiente attuare riforme di
carattere costituzionale, ma occorresse abbattere del tutto il
sistema borghese per portare al potere la classe operaia.
Gli
anni che seguirono furono alquanto turbolenti politicamente e
socialmente con scioperi, scontri tra le diverse fazioni,
soprattutto tra socialisti e cattolici, aspre polemiche sui tanti
rifugiati politici che, fuggendo per colpa dei gravi scompigli
politici e sociali che stavano agitando l’Italia, si nascondevano a
San Marino aiutati proprio dai locali socialisti, provenendo
anch’essi quasi tutti da raggruppamenti di sinistra.
Un’importante novità politica degli anni prefascisti fu la
fondazione ufficiale di un partito cattolico, il Partito Popolare
Sammarinese, nato tra la fine del 1919 e gli inizi dell’anno
successivo grazie all’attivismo di Egisto Morri, Carlo Balsimelli e
di due parroci, don Bucci e don Barducci, che mirò fin da subito a
coinvolgere tra le sue fila il vasto mondo contadino locale,
organizzandolo anche sindacalmente in leghe operaie o “bianche”,
come verranno dette.
Il
programma dei popolari, esposto nel primo numero del loro giornale
“La Libertà” edito il 3 settembre 1920, prevedeva numerosi punti:
integrità della famiglia, libertà d’insegnamento e riforma
scolastica, istruzione professionale, legislazione sociale, sviluppo
del probivirato, dell’arbitrato per i conflitti collettivi di
lavoro, della cooperazione, dell’agricoltura, libertà e autonomia
degli enti pubblici, riforma amministrativa, riorganizzazione
dell’assistenza pubblica, rispetto della libertà delle iniziative e
delle istituzioni private di beneficenza e assistenza, libertà e
indipendenza della Chiesa, libertà e rispetto della coscienza
cristiana, riforma tributaria, riforma elettorale, voto femminile,
difesa dei diritti statali.
Altra importante novità politica di questa anni fu la nuova legge
elettorale, pretesa sia da popolari che da socialisti, a collegio
unico a scrutinio di lista col sistema proporzionale, in grado di
portare in Consiglio le organizzazioni partitiche con i loro
rappresentanti, non più i singoli cittadini, come accadeva in
precedenza, anche non appartenenti a schieramenti precostituiti.
Questa legge, che cambiò totalmente la logica politica precedente,
fu varata il 15 ottobre 1920. Il 14 novembre si svolsero le elezioni
politiche anticipate essendosi in settembre sciolto concordemente il
Consiglio per le difficoltà effettive che aveva dimostrato a gestire
l’irrequieta situazione sammarinese.
Su
4.041 elettori iscritti alle liste (la popolazione era ormai
arrivata a 11.958 unità), votarono in 2.396. Accanto a popolari e
socialisti, si presentò alle elezioni anche un terzo partito
politico, l’Unione Democratica, che aveva al suo interno diversi
personaggi forti e politicamente esperti poiché da anni in
Consiglio, in genere passatisti ed eredi della tradizione
oligarchica sammarinese, che anche successivamente, in era fascista,
manterranno un grosso peso nella gestione del paese.
Le
elezioni videro il trionfo dei popolari con 29 candidati eletti, i
socialisti ne ebbero 18 e 13 l’Unione. Due giorni dopo, però, i
socialisti comunicarono alla popolazione che non sarebbero entrati
in Consiglio: infatti le elezioni non avevano modificato la
situazione politica sammarinese in quanto nessun partito aveva
ottenuto la maggioranza assoluta, per cui il nuovo governo sarebbe
scaturito da “accomodamenti” e “combinazioni”, ovvero
da alleanze tra i raggruppamenti che essi consideravano troppo
soggette a soluzioni necessariamente compromissorie, quindi
inaccettabili.
Nell’aprile del ’21 vennero nuovamente svolte elezioni politiche per
integrare i 18 consiglieri socialisti: i popolari ottennero altri 10
seggi e 8 l’Unione. Nei mesi successivi popolari e unionisti
scelsero di collaborare nella gestione del potere, per cui il
governo fu controllato da entrambi i raggruppamenti, fatto che
permise varie innovazioni politiche importanti, tra cui una nuova
legge tributaria, varata nel marzo del 1922, di cui si era fin lì
parlato inutilmente per oltre vent’anni.
Altro fatto importante del periodo per l’argomento che si sta
trattando è la nascita di un gruppo di “comunisti puri”, come
si definivano, costituitisi grazie all’attivismo di un rifugiato
politico, l’avvocato ed ex capitano degli Arditi Vittorio Ambrosini,
implicato nel processo per l’occupazione delle fabbriche a Torino,
che soggiornò a San Marino dal settembre del ’20 fino all’aprile
dell’anno dopo.
I
comunisti nacquero all’interno del locale gruppo socialista, da cui
presero le distanze, in nome dei principi della Terza
Internazionale, nel mese di febbraio del ’21 dandosi
un’organizzazione con un comitato direttivo ai vertici, e iniziando
a promuovere autonomamente alcune iniziative propagandistiche per il
1° maggio 1921 e per quello dell’anno seguente, che si svolse invece
in collaborazione con i socialisti e la locale Camera del Lavoro.
Nel
1922 venne alla luce un ulteriore raggruppamento politico, il
Partito Nazionale Sammarinese, composto soprattutto da fuoriusciti
del partito popolare, agrari e benestanti ostili al nuovo patto
agrario e alla riforma tributaria e simpatizzanti per il fascismo,
che stava cominciando ad essere sempre più incisivo nel panorama
politico italiano. La nascita del Partito Fascista Sammarinese nel
mese di agosto determinò comunque il suo inglobamento e conseguente
tramonto.
Nei
mesi successivi anche il neonato fascismo sammarinese diede prova
della stessa metodologia violenta applicata da quello italiano,
perseguendo brutalmente i suoi avversari, devastando la Casa del
Popolo da poco edificata a Serravalle e la Camera del Lavoro,
fortemente voluta dai socialisti, e inaugurata il 7 febbraio del
’20, bastonando e purgando chi considerava politicamente nemico.
Alla
fine del ’22 San Marino era ormai sotto il controllo del locale
fascismo tanto che nel gennaio del 1923 i consiglieri popolari
furono indotti a dimettersi dal Consiglio per dar luogo ad elezioni
anticipate. In seguito aderirono al “Blocco Patriottico”, unico
raggruppamento (composto da 20 popolari, 30 fascisti, 10
democratici) che poi si presentò alle elezioni.
Nel
marzo del 1923 si svolsero le elezioni politiche a cui parteciparono
solo 1.484 elettori su 4.263: con 1.437 voti dati a tale lista il
partito fascista ascese ufficialmente al potere con un programma
politico assai simile a quello sostenuto dal fascismo italiano, e
adottando spesso e volentieri gli stessi sistemi prepotenti ed
antidemocratici, aiutato in questo da “picchiatori” provenienti dai
gruppi fascisti del circondario. In seguito si organizzò a livello
territoriale creando 14 sezioni sparse ovunque.
Il
partito fascista sammarinese, grazie all’inerzia e arrendevolezza
degli altri gruppi politici moderati e cattolici presenti in
Consiglio, senz’altro nel periodo più atterriti dai “rossi” che dai
“neri”, s’impossessò in fretta della pubblica amministrazione, delle
organizzazioni sindacali, dell’informazione e di tutti i gangli
vitali dello Stato.
Negli anni seguenti il regime si consolidò varando leggi a suo
esclusivo vantaggio, come la nuova legge elettorale di stampo
maggioritario del 1926, che riduceva di molto il numero degli
elettori, e favoriva il gruppo che avesse ricevuto più voti. Nelle
elezioni del 12 dicembre venne presentata una sola lista elettorale
composta da 45 candidati fascisti, 3 fiancheggiatori e 12
dell’Unione Democratica. Ovviamente fu un vero e proprio plebiscito
in quanto la lista, su 2.445 votanti di 4.305 iscritti, ricevette
tutti i voti tranne uno annullato.
In
seguito il fascismo divenne l’unico gruppo politico che si
presentava alle pseudo elezioni politiche che regolarmente venivano
convocate, ora ogni sei anni, ottenendo ovviamente sempre la
totalità dei consensi, come nel 1932 quando conseguì 2.573 voti su
altrettanti votanti (gli elettori iscritti erano 3.915), o nel 1938
quando di nuovo ebbe tutti i 2.916 voti degli elettori partecipanti
(su 3.715 iscritti alle liste elettorali).
Non
a caso nel periodo il Consiglio abbandonò il titolo di “Grande e
Generale” per tornare ad assumere quello di “Principe e Sovrano”
sancito dagli statuti del 1600.
Con
la caduta del regime fascista sammarinese il 28 luglio 1943, tre
giorni dopo l’arresto di Mussolini e la fine del suo governo in
Italia, si riuscì a ritornare ad un sistema politico più
democratico. In quei giorni la Reggenza provvide a sciogliere il
locale partito fascista e ad assumere in toto i poteri politici,
mentre vari antifascisti e democratici delle diverse tendenze
politiche esistenti diedero vita al “Comitato della Libertà”, la cui
prima iniziativa fu la convocazione di un’assemblea pubblica il 28
da cui scaturì un ordine del giorno per richiedere alla Reggenza lo
scioglimento del Consiglio e la convocazione delle elezioni al più
presto. Così avvenne: il governo provvisoriamente fu affidato ad un
“Consiglio di Stato” composto da 30 membri, mentre le elezioni
vennero convocate per il 5 settembre. Tra i vari provvedimenti
decretati subito da tale governo vi fu l’abrogazione della legge
elettorale fascista del 1926 e il ripristino di quella proporzionale
del 1920.
Le
elezioni si svolsero regolarmente con la partecipazione di 3.219
elettori su 5.932 aventi diritto: la lista dei candidati, concordata
fra le varie forze politiche antifasciste, fu unica; il nuovo
Consiglio, composto in modo sostanzialmente paritario da un’area
conservatrice/moderata e una progressista/moderata, si riunì la
prima volta il 16 settembre. Esso, tuttavia, fu operativo per
pochissimo tempo in quanto in Italia i fascisti ripresero vigore con
la costituzione della Repubblica di Salò il 23 settembre, e il 5
ottobre un reparto di soldati nazisti, guidati da alcuni fascisti
locali, giunse a violare i confini sammarinesi con due autoblindo
per arrestare alcuni membri del Comitato della Libertà. Più volte
costoro rischiarono di essere fucilarti; solo dopo lunghe trattative
diplomatiche si riuscì ad ottenerne la liberazione.
La
situazione era assai turbolenta perché il fronte di guerra che si
stava consolidando, la cosiddetta Linea Gotica che tagliava in due
l'Italia andando da Pesaro a Massa Carrara, con gli alleati ben
stabili nel sud ed i nazifascisti asserragliati al nord, poneva San
Marino nella zona ancora dominata dai nazifascisti, proprio al
centro del conflitto in corso.
Chiaramente con una situazione simile era impensabile avere ai
propri vertici un Consiglio antifascista, per cui il 28 ottobre il
parlamento sammarinese decise d’investire dei pieni poteri politici
un Consiglio di Stato composto da venti membri, riservandosi solo la
nomina dei Reggenti, la convocazione di eventuali comizi elettorali
e gli atti di carattere costituzionale. Fu disposto che cinque di
costoro dovessero essere concordati coi fascisti.
Nel
gennaio del 1944 si ricostituì il locale partito fascista, ed i mesi
successivi videro il passaggio del fronte lungo il territorio
sammarinese con rovine e morti; ma ormai il nazifascismo era in
precipitosa ritirata, per cui in settembre arrivarono gli alleati e
il giorno 23 il Consiglio riassunse tutti i suoi poteri,
estromettendo di nuovo gli elementi fascisti dai vertici della
Repubblica.
Dietro pressione dei comunisti e dei socialisti, sostenitori che il
Consiglio non fosse più confacente alla volontà della popolazione e
alle esigenze del momento, che già si erano potuti organizzare
adeguatamente nei mesi precedenti, la maggioranza dei consiglieri si
dimise il 10 febbraio così da costringere la Reggenza a riconvocare
nuovi comizi elettorali per il giorno 11 marzo 1945.
Le
elezioni videro la partecipazione di due raggruppamenti: il
“Comitato della Libertà”, coalizione di socialisti e comunisti, e
l’“Unione Democratica Sammarinese”, formata da cattolici e
indipendenti di varie tendenze, e diedero la vittoria ai partiti di
sinistra, che ottennero 40 seggi consiliari su 60, ovvero 2.190 voti
su 3.356 votanti (gli iscritti erano complessivamente 5.846).
Il
programma del nuovo governo prevedeva svariate migliorie ed
innovazioni, come la riforma del patto colonico per aumentare la
quota di prodotto a vantaggio dei coloni, una bonifica agraria in
grado di favorire l’impianto di vigneti, la prosecuzione dei lavori
pubblici già avviati in maniera consistente dal governo fascista, il
rimboschimento ed altro ancora.
Le
prime innovazioni che vennero generate, tra mille polemiche perché
era ancora ben vivo un forte gruppo tradizionalista e conservatore
che le avversò all’estremo, furono però di natura istituzionale, in
quanto s’introdusse l’elezione per voto diretto della Reggenza
(prima era per sorteggio tra varie coppie scelte tra i consiglieri)
con legge del 24 marzo 1945 e, con legge datata 15 maggio, fu
sancita la riforma dei pubblici poteri, con cui il Congresso di
Stato, ora composto da due Segretari di Stato e 8 Deputati, assumeva
funzioni di governo della Repubblica. Entrambe queste innovazioni
istituzionali erano state ideate, ma inutilmente ambite, dal partito
socialista prima del periodo fascista.
Il
governo delle sinistre rimase ai vertici del paese fino al 1957,
anche se con enormi difficoltà legate soprattutto al fatto che era
inviso a quello italiano e alle potenze occidentali in genere,
essendo l’unico governo “rosso” in una vasta area geografica
dominata da poteri tendenzialmente anticomunisti, ed essendosi
determinato subito dopo la fine del conflitto mondiale un aspro
clima di guerra fredda tra Est ed Ovest.
I
problemi tra Italia e San Marino emersero in fretta provocando
ripercussioni negative sul canone doganale che veniva regolarmente
fornito dal 1862, all’epoca introito fondamentale per le modeste
finanze pubbliche locali, sul ripristino della linea ferroviaria
danneggiata dalla guerra, che in effetti non verrà più rimessa in
funzione, sull’impianto di una stazione radio che San Marino avrebbe
desiderato, e su altro ancora. La Repubblica veniva inoltre accusata
di favorire attività di import-export tese ad aggirare le norme
italiane producendo così fenomeni di elusione ed evasione fiscale
(il cosiddetto “sistema San Marino”).
Tra
il 1947 e l’anno successivo venne fondata la Democrazia Cristiana
Sammarinese, il cui primo manifesto, firmato da un Consiglio
direttivo provvisorio di undici membri più il segretario (Zaccaria
Savoretti), uscì tra la gente in data 9 aprile 1948 per esaltare “la
fedeltà alle supreme leggi di Dio ed il rispetto alle istituzioni ed
alle tradizioni cattoliche, che vedono la loro origine prima
nell’apostolato e nell’opera del Santo Fondatore”, in quanto si
manifestavano in continuazione “tentativi di sminuire e di
progressivamente distruggere i tesori etici e spirituali della
nostra gente”. Per questo tutti coloro che si riconoscevano nei
valori del cattolicesimo dovevano sentire “il dovere di
organizzarsi e di combattere uniti per la fede, per la democrazia,
per la libertà”.
Il
27 febbraio 1949 si svolsero nuove elezioni politiche a cui si
presentarono sempre due schieramenti: il Comitato della Libertà,
composto dai partiti di sinistra, e Alleanza Popolare Sammarinese,
di cui facevano parte la Democrazia Cristiana, l’Associazione
Patriottica Indipendente del Lavoro (APIL), costituita nel dicembre
del 1948 da elementi di destra, l’Unione Democratica Sammarinese, e
alcuni indipendenti, ovvero cattolici e uomini non di sinistra.
Le
elezioni, in cui votarono 4.810 cittadini su 7.124 aventi diritto,
riconfermarono la maggioranza di sinistra, ora scesa a 35
consiglieri eletti, mentre 25 seggi furono ottenuti da Alleanza
Popolare, di cui 14 dai democristiani. L’esito elettorale indusse
l’Italia a bloccare immediatamente la corresponsione del nuovo
canone doganale che avrebbe dovuto fornire alla Repubblica, insieme
ad una cospicua cifra di arretrati, anche se il pretesto ufficiale
per tale azione fu l’eccessivo numero in territorio di aziende di
imprenditori italiani sospettate di esservi solo per beneficiare del
“sistema San Marino”.
I
velenosi contrasti economici con l’Italia costrinsero la Repubblica
a mille peripezie per rimediare il denaro bastante ad andare avanti,
ed indussero le locali autorità ad accelerare i tempi per
concretizzare un’idea da tempo pensata: l’apertura di una casa da
gioco, ente di cui si stava parlando praticamente da un secolo, ma
che non si era mai veramente voluto impiantare per motivi di ordine
morale e per paura delle incidenze negative e pericolose, anche
malavitose, che avrebbe potuto avere all’interno della società
sammarinese.
Nel
luglio del 1949 il Consiglio Grande e Generale approvò la proposta
d’istituire il casinò che iniziò ad operare il mese dopo. La
reazione italiana fu repentina e pilotata dal ministro degli interni
Mario Scelba, conosciuto come “l’anticomunista di ferro” per la sua
forte avversione verso la sinistra radicale, che fece istituire sui
confini posti di polizia inizialmente preposti all’esame dei
documenti di chi, dopo le 21.00, si recava all’interno della
Repubblica.
Nei
mesi seguenti i controlli s’intensificarono diventando gradualmente
un vero e proprio blocco dei confini, con ispezioni tanto meticolose
e prolungate da snervare i malcapitati, costretti a soste che
duravano anche diverse ore.
Ovviamente tante lungaggini provocarono ripercussioni tragiche sulla
modesta economia locale, dando un colpo violento al turismo, che in
questi anni stava iniziando a decollare, gravi problemi alle poche
industrie che operavano in territorio, e la morte del casinò, che
nel suo breve periodo di vita aveva dato prova di produrre un bel
volume di affari ed introiti consistenti per le pubbliche casse.
Per
far fronte alla grave crisi in atto, nell’aprile del 1951 la
maggioranza di sinistra, che dalle elezioni in poi aveva avuto anche
notevoli problemi di armonia interna tra le sue componenti
politiche, invitò la minoranza a trattare per la formazione di un
“Governo di concentrazione”, ovvero d’emergenza, “col proposito
di raggiungere uno stabile accordo nel supremo interesse della
concordia cittadina e del Paese”.
Il
23 giugno fu raggiunta un’intesa tra le parti in nome della “eccezionale
gravità della situazione in cui si è venuto a trovare l’intero paese”
che prevedeva lo scioglimento del Consiglio e nuove elezioni entro
settembre, la creazione di un “Consiglio di Reggenza” paritetico di
15 membri, provenienti da tutti i raggruppamenti politici,
presieduto dai Reggenti che doveva amministrare il paese fino
all’elezione del nuovo Consiglio Grande e Generale, la presentazione
alle elezioni di una lista unica paritetica e l’adozione del sistema
maggioritario, la nomina paritetica della Reggenza, l’assegnazione
della Segreteria degli Esteri alla maggioranza, e di quella degli
Interni alla minoranza, la soppressione del Comitato della Libertà e
di Alleanza Popolare, ed altre clausole basate sempre sulla logica
della spartizione paritaria dei ruoli di governo.
Nel
mese di luglio il governo si dimise per lasciare posto al nuovo
esecutivo misto, e il 14 agosto venne firmato un accordo con
l’Italia che prevedeva la chiusura immediata e definitiva della casa
da gioco in cambio della revoca del blocco dei confini, e
dell’anticipo di 150 milioni di lire sui 450 di arretrati che San
Marino doveva avere in base ad un precedente accordo stipulato nel
1948.
Fatto questo, si andò concordemente alle elezioni non con lista
unica, come pattuito in giugno, ma liberamente. Esse si svolsero il
16 settembre 1951 con l’intervento di 4.567 elettori su 7.301 aventi
diritto, e vi presero parte quattro partiti: il democristiano, il
comunista, il socialista e l’APIL. Le urne diedero ancora una volta
la maggioranza ai partiti di sinistra, anche se estremamente
risicata (18 consiglieri comunisti + 13 socialisti), mentre la D.C.
conquistò 26 seggi e 3 ne ebbe l’APIL.
Dopo
queste elezioni si svilupparono non poche polemiche fomentate
dall’opposizione sull’organizzazione dei viaggi e sui rimborsi dati
agli elettori esteri da parte del governo, così come emersero
perplessità sulla regolarità del sistema di voto che in quel periodo
ancora non si basava sulla scheda elettorale di Stato.
Gli
anni successivi videro San Marino permanere in una grave situazione
di deficit economico, in quanto l’Italia mantenne il suo
atteggiamento di aspra ostilità politica e di puntuale boicottaggio
finanziario centellinando gli acconti sul canone doganale. Agli
inizi del ’52 la repubblica sammarinese aveva 700 milioni di debiti
e non pagava gli stipendi ad impiegati e operai da tre mesi.
Nel
1953 San Marino dovette sottostare ad un nuovo accordo aggiuntivo di
buon vicinato voluto dall’Italia, da questa ratificato
deliberatamente solo l’anno dopo per perdere ulteriore tempo, che
prevedeva alcuni vantaggi (innalzamento del canone, aumento del
contingente dei tabacchi, ecc.), ma che imponeva la definitiva
rinuncia all’impianto radiotelevisivo e alla casa da gioco.
La
firma di questo trattato provocò un inasprimento delle polemiche tra
i raggruppamenti politici. Tra l’altro sia nel partito socialista,
sia all’interno della maggioranza di sinistra serpeggiavano sempre
più malumori, critiche, veleni e accuse che stavano minando la
compattezza dei due partiti e l’alleanza di governo. Tra la fine del
’54 e gli inizi dell’anno successivo nel gruppo socialista avvenne
una prima diaspora, che portò alla nascita del Partito Social
Democratico Sammarinese (PSDS), raggruppamento moderato di sinistra
convinto che un governo in contrasto con le democrazie occidentali
non avesse senso ai vertici di un paese non autosufficiente come San
Marino, quindi propenso a battere strade politiche alternative,
ovvero senza i comunisti.
Nel
1955 vi furono di nuovo le elezioni, caratterizzate questa volta da
vivaci polemiche intorno al voto alle donne, che i partiti di
sinistra osteggiavano convinti che il mondo femminile fosse per la
maggior parte vincolato alla cultura cattolica, quindi politicamente
utile solo per i loro avversari, dalla nuova presenza del PSDS, e
dalla scomparsa dell’APIL, assorbita dalla DC.
Altre contestazioni riguardarono l’anticipazione delle votazioni al
mese di agosto, voluta verosimilmente per consentire una maggiore
partecipazione degli elettori esteri, fatto che secondo la minoranza
avrebbe favorito i partiti al governo, la regolarità della
compilazione delle liste elettorali, il numero degli elettori, più
alto che in passato, e altro ancora. Votarono in 5.363 su 7.654
iscritti.
Contrariamente alle previsioni, il governo di sinistra si rafforzò,
ottenendo 35 consiglieri (16 socialisti + 19 comunisti), mentre la
DC ebbe 23 candidati eletti e 2 i socialdemocratici. Col clima
incandescente che già c’era, fioccarono ovviamente i battibecchi e
le accuse di brogli elettorali. Anche su molti giornali italiani si
parlò ormai senza mezzi termini di un governo di stampo marxista che
voleva trasformare la Repubblica in campo sperimentale del comunismo
internazionale, in costante combutta con il partito comunista
italiano che lo aiutava e sosteneva in ogni situazione.
Le
principali riforme promosse dopo le elezioni (revisione dei
contratti agrari, riforma sanitaria ed istituzione dell’Istituto
Sicurezza Sociale) parevano suffragare tali illazioni. Il problema
prioritario rimaneva comunque la grave carenza di denaro: per questo
nel corso del 1956 si cercò di riaprire, inutilmente, un tavolo
delle trattative con l’Italia per spuntare qualche agevolazione
economica, e di istituire, senza successo, un registro navale.
Nel
mese di luglio il Consiglio approvò l’allacciamento di rapporti
diplomatici con l’URSS, ma nel corso dell’anno si acuirono le forti
discrepanze che già da tempo sussistevano nei rapporti fra
socialisti e comunisti, disaccordi che divennero palesi dopo
l’invasione in autunno dell’Ungheria da parte delle truppe russe, e
che contribuirono a determinare un’altra scissione all’interno dei
socialisti: il 6 dicembre Alvaro Casali, segretario del PSS e
deputato alla Pubblica Istruzione, in aperto dissenso con le
strategie politiche e le alleanze che il suo partito stava
continuando a perseguire nonostante le conseguenze negative che il
paese ne subiva, rassegnò le dimissioni dal partito, dal Congresso
di Stato e da tutte le commissioni governative in cui era.
In
seguito egli fu espulso dal suo partito e nell’aprile del 1957, con
altri quattro consiglieri socialisti, diede vita al Partito
Socialista Indipendente, che si schierò contro il governo
determinando una situazione di parità numerica tra consiglieri di
maggioranza e di opposizione.
Il
15 settembre un altro consigliere, questa volta proveniente dalle
file comuniste, si dimise inaspettatamente e per motivi che
suscitarono parecchie perplessità nel paese, schierandosi subito con
l’opposizione, fatto che provocò un ribaltamento delle posizioni e
dei numeri in Consiglio, poiché ora i 23 democristiani, più i 2
socialdemocratici, i 5 socialisti indipendenti e l’ex comunista
disponevano della maggioranza detenendo 31 seggi su 60.
Nei
giorni seguenti il paese visse momenti assai turbolenti e di forte
acredine tra le parti, perché la nuova maggioranza si sentiva in
diritto di sostituire subito la vecchia prendendo le redini di San
Marino, mentre i socialcomunisti, che si dimisero in blocco dal
Consiglio aggiungendo anche le dimissioni dei loro consiglieri
fuoriusciti, fatte firmare in bianco ad inizio legislatura,
pretendevano un ritorno alle urne per svolgere elezioni anticipate,
indette dalla Reggenza il 19 settembre per il 3 novembre.
I
democristiani coi loro alleati, che si rifiutarono di riconoscere le
dimissioni in bianco sottoscritte un paio di anni prima, ovviamente
non accettarono tale ipotesi e, essendo impossibilitati ad accedere
al Pubblico Palazzo il giorno 19, data in cui si sarebbe dovuto
svolgere il Consiglio, perché chiuso grazie ad un altro decreto
reggenziale, nella notte fra il 30 settembre e il 1° ottobre si
ritirarono in un locale a Rovereta, zona sui confini riminesi della
Repubblica, costituendosi come governo effettivo di San Marino,
immediatamente riconosciuto dall’Italia che istituì un blocco di
polizia ai confini.
La
prima decade di ottobre vide il paese in uno stato di grave e
pericolosa conflittualità, in quanto entrambe le parti erano
convinte di essere istituzionalmente dalla parte della ragione e si
scambiavano reciproche accuse di colpo di Stato. Il giorno 11,
comunque, la coalizione socialcomunista decise di cessare ogni
azione di resistenza nel superiore interesse della collettività, per
cui il 14 ottobre il governo di Rovereta s’insediò a palazzo.
La
nuova maggioranza, una volta assunto il potere, non ammise alla
prima seduta del Consiglio da lei gestito i 29 consiglieri
socialcomunisti, considerandoli decaduti di fatto dal loro incarico
istituzionale per le dimissioni precedentemente presentate. Questo
fatto provocò un evento eccezionale per la storia sammarinese: per
la prima volta tra la nuova Reggenza, espressione della maggioranza
consiliare democristiana e socialdemocratica, che per gli sconquassi
avvenuti si poté insediare solo il 27 ottobre, e la Reggenza
precedente non avvenne il tradizionale passaggio delle consegne,
essendo stata questa esclusa dal Consiglio come gli altri membri
della vecchia maggioranza.
In
seguito i consiglieri decaduti vennero sostituiti dai non eletti che
li seguivano nelle liste elettorali presentate nella tornata del
1955. Di questi, tuttavia, quattro neo consiglieri dichiararono di
voler far parte del gruppo socialdemocratico o indipendente, per cui
alla fine il nuovo governo di Rovereta poté contare su 35 voti a
sostegno, mentre l’opposizione risultò effettivamente composta da 25
membri.
La
vicenda di Rovereta lasciò per anni veleni e astio nel paese, perché
i socialcomunisti ritenevano di aver perso il potere in modo
truffaldino e tramite un colpo di Stato, non in maniera democratica,
mentre i loro avversari li accusavano di aver messo in atto
espedienti arbitrari e illegittimi per non lasciare il governo, a
cui non avevano più diritto in quanto ormai composti solo da 29
membri su 60. Ebbe poi anche un brutto strascico giudiziario che si
chiuse l’8 giugno 1960 con la condanna di svariati esponenti
socialcomunisti, seguita però da un provvedimento di clemenza,
emanato dai Reggenti il 29 luglio, con cui vennero condonate le pene
inflitte.
Negli anni successivi l’economia di San Marino poté finalmente
decollare non più ostacolata dai freni posti dall’Italia, anzi
fortemente aiutata da grosse quantità di denaro provenienti dalle
potenze occidentali, soddisfatte che la più antica repubblica del
mondo fosse finalmente governata da una coalizione politica a loro
affine.
L’America infatti donò l’ingente somma di 850.000 dollari per la
costruzione dell’acquedotto di Galavotto (iniziato nel 1959,
inaugurato il 31 maggio1962), infrastruttura che, oltre a fornire
tanto lavoro agli operai, riuscì a portare l’acqua lungo tutto il
territorio sammarinese, risolvendo così il secolare problema della
carenza idrica.
L’Italia accettò la firma di un accordo per la costruzione della
superstrada (20 novembre 1958) e, con la convenzione del 1960,
aumentò il canone doganale e il contingente dei tabacchi, fornendo
pure altri vantaggi finanziari ai sammarinesi.
La
Gran Bretagna finalmente riconobbe un indennizzo economico per il
bombardamento da lei effettuato nel 1944, dopo che per anni aveva
negato qualunque tipo di risarcimento.
In
definitiva, spinta dalla spesa pubblica e dal turismo in grande
sviluppo già dagli anni precedenti, ma che avrà un decollo verticale
proprio nei primi anni ’60 con più di duemilioni di visitatori nel
1963, nel paese aumentò di molto il volume di denaro in
circolazione, con un accrescimento notevole della spesa pubblica, ed
un incremento altrettanto notevole del settore privato: gl’impianti
industriali, per fare un esempio, passarono da 24, con 610 addetti
nel 1957, a 61 con 1958 addetti nel 1963, dopo che il nuovo governo
nel ’59 e nel ’60 giunse a varare alcune leggi per agevolare
ulteriormente l’impianto di imprese in territorio.
Le
attività artigianali, favorite anch’esse da leggi nuove, negli
stessi anni da 71 che erano divennero 293 e gli addetti da 307, 980.
I lavoratori dipendenti, che erano 2.731 nel 1957, divennero 5.048
nel giro di pochi anni. Nel commercio si assisté allo stesso tipo di
balzo in avanti, perché vennero concesse nel giro di poco tempo 842
licenze, con aumento di bar e ristoranti (da 58 del 1957 a 99 del
1963), dei posti letto (da 206 a 499 nel ‘63 a 969 nel 1969 a 1.196
nel ‘71), dei negozi turistici (da 65 a 169), dei lavoratori e
operatori del settore (da 300 a 744 sempre nel ‘63).
L’ingente circolazione di soldi del periodo permise allo Stato di
edificare, restaurare o portare a conclusione con celerità anche
altre opere infrastrutturali, come molte strade interne, vari
parcheggi (con un aumento dei posti macchina da 330 del 1957 ai
1.145 del ‘64, ai 1.795 del ’69), un nuovo impianto territoriale di
illuminazione, la funivia, entrata in funzione nel mese di agosto
del 1959, il “Palazzo degli studi” di Fonte dell’Ovo ed altri
edifici scolastici ancora.
Il
bilancio statale si dilatò sostanziosamente: nel 1957-1958 lo Stato
aveva 637 milioni di entrate e 776 milioni di uscite; nel 1964 –
1965 raggiunse invece quasi 3 miliardi di entrate e poco più di
uscite.
Ugualmente avvenne uno sviluppo mirabolante dell’edilizia privata,
con 1.560 opere edificate tra il 1958 e il 1963, di cui 740 nuove
case, e altre 951 abitazioni fabbricate tra il 1964 e il 1968. Gli
addetti che lavoravano nel settore edile nel 1963 erano 803, numero
cospicuo che, pur con qualche fluttuazione, rimase abbastanza
costante anche negli anni successivi, alimentato dai tanti contadini
che nel periodo continuarono ad abbandonare con costanza la terra
per la sua scarsa redditività.
L’economia sammarinese, insomma, prese quota all’improvviso,
portando con sé tutti gli scompensi e le alterazioni, soprattutto a
livello di paesaggio e territorio, che un simile repentino decollo,
politicamente poco pianificato, spesso lasciato addirittura in balia
di speculatori o impresari improvvisati, portò inevitabilmente con
sé.
Il
nuovo governo modificò subito la vecchia legge elettorale,
allungando da quattro a cinque anni la durata della legislatura,
estendendo la possibilità di votare alle donne (lo potranno
esercitare però solo a partire dalle elezioni del 1964, mentre
potranno essere anche elette in Consiglio solo dal 1973), e a tutti
gli emigrati tramite il voto per corrispondenza, in particolare a
quelli delle Americhe che in precedenza per la lontananza ben
difficilmente potevano prendere parte alle votazioni. Il voto per
corrispondenza comunque venne abolito nel 1966 a causa delle
polemiche a cui diede adito, e delle forti divergenze che causò tra
le forze politiche, in quanto si capì che portava vantaggi
soprattutto alla Democrazia Cristiana.
Cambiò anche la legge sul lavoro del 30 gennaio 1949, che di fatto
ammetteva l’esistenza di un solo sindacato: questo permise
l’ufficializzazione della Confederazione Democratica dei Lavoratori
Sammarinesi, nata nel mese di novembre del ’57, che affiancò l’altro
sindacato, la Confederazione Sammarinese del Lavoro, già operativo
dal 1945.
Il
13 settembre 1959 furono convocate le prime elezioni politiche dopo
Rovereta a cui parteciparono 6.443 elettori (3.371 interni, 3.072
esteri) su 7.514 iscritti alle liste: la DC ottenne 27 seggi
consiliari, 9 il Partito Socialista Democratico Indipendente
Sammarinese (PSDIS), creato dalla fusione del partito socialista
indipendente col partito socialdemocratico avvenuta sul finir del
‘57, 16 i comunisti e 8 i socialisti, per cui venne riconfermata al
potere l’alleanza di governo del 1957.
Questo esecutivo negli anni seguenti si diede molto da fare per
dimostrare che, cambiando rotta politica, il paese aveva saputo
finalmente imboccare la giusta strada della contemporaneità. Emanò
numerose leggi (sul lavoro, sull’apprendistato, sull’edilizia, sulla
scuola - resa obbligatoria fino ai 14 anni nel 1963 -, sulla
previdenza sociale, per favorire l’insediamento di nuove industrie,
per il pubblico impiego, per aiutare l’agricoltura, per
l’artigianato, ecc.) che cambiarono radicalmente la fisionomia della
società sammarinese.
Inoltre il forte afflusso turistico che ormai la riviera romagnola e
di riflesso San Marino registravano annualmente, nonché il rientro
di numerosi emigrati, attirati dalle notevoli possibilità di lavoro
apertesi, che investirono i loro soldi in infrastrutture e nuove
attività in loco, fecero uscire definitivamente la repubblica
sammarinese dalla sua dimensione rurale precedente.
Nel
settembre del 1964 vi furono altre elezioni politiche con
l’intervento del doppio degli elettori delle precedenti (12.928 di
cui 7.813 interni e 5.115 esteri su 15.392 aventi diritto) in quanto
vi presero parte per la prima volta anche le donne. Esse mantennero
al governo democristiani, che ricevettero 29 seggi, e
socialdemocratici con 10 seggi. Gli altri partiti che vi
parteciparono furono quello comunista, che ottenne 14 seggi, quello
socialista, che ne ebbe 6, e il nuovo Movimento per le Libertà
Statutarie (MLS), costituitosi ufficialmente il 21 aprile per
reclamare maggiori diritti per i cittadini e più garanzie
istituzionali, che conseguì 1 seggio.
Gli
anni seguenti furono caratterizzati da turbolenze politiche per
colpa del voto per corrispondenza, in quanto già all’interno del suo
programma elettorale il PSDIS aveva avanzato la proposta di rivedere
al più presto la legge elettorale in merito.
Ovviamente i partiti di opposizione iniziarono a soffiare
animatamente sul fuoco che stava covando per creare zizzania tra i
due alleati di governo riuscendoci alla fine benissimo: infatti il 2
agosto del 1966 il Consiglio affrontò la questione, ma
socialdemocratici e partiti di opposizione si unirono contro il voto
per corrispondenza, mettendo la DC in minoranza e abrogandolo
all’istante. La cosa portò naturalmente in crisi il governo, che
comunque dopo qualche mese si ricompattò sempre con i partiti
precedenti.
Per
questo periodo merita pure evidenziare lo sviluppo di un intenso
dibattito, dopo anni di relativa tranquillità sul problema, intorno
alle riforme istituzionali che alcuni partiti volevano attuare in
forma radicale, superando le norme codificate ancora negli statuti
secenteschi e fornendo la Repubblica sammarinese di una costituzione
nel senso moderno del termine, mentre altri volevano limitate a
innovazioni meno strutturali e più morbide, con qualche integrazione
e aggiornamento del sistema ereditato dal passato, dove proprio ve
ne fosse la necessità, ma nulla più.
Il
fitto e lungo confronto fra le parti alla fine permise di dar vita
ad una commissione di esperti per lo studio del problema, e in
seguito alla “Carta dei Diritti” dell’8 luglio 1974 che, pur non
essendo un vero codice costituzionale, era comunque una legge quadro
con norme e principi di natura istituzionale. Questa legge non darà
adito nell’immediato a riforme concrete, tuttavia creerà la logica e
le linee lungo cui muoversi negli anni successivi per apportare
alcuni ritocchi al sistema costituzionale vigente.
Nelle elezioni del 7 settembre 1969 cambiò qualcosa, ma non molto
rispetto alla situazione precedente: furono 13.287 gli elettori su
16.720 iscritti, di cui 8.747 interni e 4.540 esteri. I partiti che
si affrontarono rimasero sempre gli stessi con l’aggiunta del nuovo
Movimento Comunista Marxista Leninista, tipico frutto dei tempi e
dei movimenti giovanili del Sessantotto, che anche a San Marino
avevano fatto proseliti. Ricevette però solo 161 voti, quindi non
mandò rappresentanti in Consiglio.
Al
governo rimasero DC, con 27 consiglieri eletti, e PSDIS con 11; 14
ne ebbe il partito comunista, 7 quello socialista, 1 il Movimento
Libertà Statutarie. Tuttavia i rapporti tra i due partiti al potere
non furono più quelli degli anni precedenti; in particolare il
partito socialdemocratico accusava gli alleati di inerzia e poco
attivismo nel portare avanti le linee programmatiche concordate,
mentre i democristiani avevano perso fiducia negli alleati dopo la
vicenda del voto per corrispondenza.
Ovviamente una simile situazione determinava tensioni e malumori
ricorrenti, per cui agli inizi del 1973 la DC dichiarò la crisi
della coalizione di governo stringendo sempre più rapporti col
partito socialista e col piccolo Movimento Libertà Statutarie, coi
quali costituì un nuovo governo per giungere a fine legislatura.
Alle
elezioni politiche dell’8 settembre 1974, accanto ai partiti
storici, si presentarono due raggruppamenti nuovi nati in
precedenza: il Partito Democratico Popolare Sammarinese (PDPS),
fondato da alcuni fuoriusciti dalla DC, e il Comitato per la difesa
della Repubblica (CDR), dichiaratamente di destra.
Su
17.673 aventi diritto (10.594 interni, 7.079 esteri), votarono in
14.086 (9.978 interni, 4.108 esteri): la DC ottenne 25 consiglieri
eletti, 15 il PC, 9 i socialdemocratici, 8 i socialisti, 1 il MLS, 1
sia il nuovo PDPS, sia il CDR, anche in questa occasione nessuno i
marxisti-leninisti. Grazie ad una nuova legge del 10 settembre 1973,
che parificava i diritti tra uomini e donne, con queste elezioni per
la prima volta entrarono in Consiglio sette donne.
Nonostante fosse numericamente possibile dare vita anche ad altre
coalizioni di maggioranza, DC e PSS scelsero di continuare insieme
l’esperienza di governo, senza però l’apporto del consigliere del
MLS. La collaborazione tra i due partiti nella gestione del paese si
dimostrò comunque problematica, con reciproche accuse e scambi di
addebiti su quanto si stava facendo, e soprattutto non facendo
rispetto al programma concordato, situazione aggravata inoltre da
una fase economica alquanto incerta e da una generalizzata
inflazione galoppante che rendeva il futuro assai imprevedibile.
Già
dopo due anni avvenne una prima crisi di governo, che si riuscì a
ricomporre solo dopo qualche mese, ovvero nel febbraio del ‘77.
Tuttavia nel novembre dello stesso anno scoppiò un’altra crisi tra
DCS e PSS con conseguente caduta del governo, che questa volta non
fu più resuscitato poiché, nonostante un mandato esplorativo dato
prima alla DCS, poi al PCS, infine al PSS, non si riuscì a fare
altro che andare ad elezioni politiche anticipate il 28 maggio 1978.
A
questa tornata elettorale, che registrò la partecipazione di 15.491
elettori (11.653 interni, 3.838 esteri) su 19.615 aventi diritto, si
presentarono la DCS, che conquistò 26 seggi consiliari, il PCS 16,
il PSS 8, il PSU (Partito Socialista Unitario nato nel 1975 come
trasformazione del PSDIS durante il suo V congresso) 7, 2
Democrazia Socialista (nata sempre in seno al PSDIS in disaccordo
con la sua evoluzione in PSU e con la volontà espressa dal V
Congresso di unificare tutta la sinistra), 1 il CDR. Non si
presentarono più il Movimento Libertà Statutarie e il Partito
Democratico Popolare Sammarinese, mentre i marxisti-leninisti non
ebbero eletti.
Dopo
le turbolenze politiche registrate negli anni precedenti, e la
conseguente instabilità che ne era derivata, i partiti di sinistra,
che già avevano avviato un fitto dialogo tra loro anche nei mesi
precedenti, decisero di allearsi per formare una coalizione di
governo senza la DC, sebbene potessero contare su una maggioranza
numericamente risicata composta da appena 31 consiglieri, in quanto
Democrazia Socialista non volle entrare a far parte della compagine.
Nei
suoi primi anni il nuovo governo varò molteplici leggi e si adoperò
per attuare una incisiva politica di riforme, tra cui merita
ricordare per il discorso che si sta svolgendo in questa sede la
legge del 30 novembre 1975 relativa alle Giunte di Castello, che
divennero elettive tramite suffragio popolare a partire dalle prime
loro elezioni svolte il 25 maggio 1980, e quella con cui si diede
vita all’istituto del referendum nell’ottobre del 1981, che permise
lo svolgimento di un referendum abrogativo in data 25 luglio 1982
sul diritto al mantenimento della cittadinanza da parte della donna
sammarinese che sposava un cittadino estero. Vinse chi era contrario
a questo diritto, ma una successiva legge varata in Italia
nell’aprile del 1983, che permetteva alle donne straniere coniugate
con italiani di poter scegliere tra il mantenimento della propria
cittadinanza o l’acquisizione di quella del marito, risolse
indirettamente anche il problema sammarinese. Con una legge varata
dal Consiglio nel 1984 venne poi regolamentato il problema
riconoscendo alla donna il mantenimento della cittadinanza.
Fu
anche il governo che nominò il primo Reggente donna della storia
sammarinese: la socialista Maria Lea Pedini, nel semestre aprile –
ottobre del 1981. Già in precedenza, comunque, la democristiana
Clara Boscaglia aveva potuto assumere un’alta carica politica
divenendo Segretario di Stato per gli Affari Interni nel 1976,
mentre nel 1978 un’altra donna, la comunista Fausta Morganti, era
stata nominata Deputato alla Pubblica Istruzione e Cultura.
Il
governo di sinistra ebbe però anche qualche problema a mantenersi
saldo al potere, perché in alcune occasioni un suo consigliere
dissidente, eletto nelle file del PCS, dissociandosi dalle posizioni
della maggioranza, determinò in Consiglio situazioni di stallo. Si
riuscì ad ovviare al delicato problema a partire dal settembre del
1981 tramite un allargamento della maggioranza con la
compartecipazione al governo di Democrazia Socialista.
Il
governo delle sinistre concluse regolarmente la XX legislatura
rimanendo in carica fino alle elezioni politiche del 29 maggio 1983.
Questa tornata elettorale registrò 17.209 elettori (13.114 interni,
4.095 esteri) su 21.588 iscritti alle liste, e vide la DC ottenere
26 consiglieri, il PCS 15, il PSS 9, il PSU 8, il PSDS (Partito
Socialista Democratico Sammarinese, in precedenza Democrazia
Socialista), 1, Intesa Democratica – Partito Repubblicano (nuovo
gruppo fondato dal consigliere dissidente del PCS di cui si è
detto), 1. Non si presentarono più il CDR e i marxisti-leninisti.
Il
governo venne formato da PCS, PSS e PSU, e riuscì a condurre in
porto nell’ottobre del 1984, dopo anni di discussione, un’importante
quanto contestata riforma tributaria che modificava profondamente il
sistema fiscale sammarinese. La sua vita non fu facile, comunque, né
duratura in quanto entrò in crisi esattamente tre anni dopo per
aspri dissidi tra i suoi membri, in particolare tra la componente
comunista e quella socialista.
Da
più parti vi furono svariati richiami al ricompattamento delle
sinistre e alla riacquisizione dello spirito che vi era stato dopo
le elezioni del ’78, ma inutilmente perché le controversie politiche
vennero ulteriormente esacerbate da vari fattori esterni ed interni,
tra cui pesanti accuse legate alla questione morale e al connubio
tra politica e affari lanciate dai comunisti contro i loro alleati,
accuse ovviamente rinfocolate dalla DC.
La
situazione precipitò l’11 giugno 1986 quando il PCS ritirò la
propria delegazione di governo aprendo di fatto la crisi, e
stringendo rapporti esclusivi con la DCS, con cui vi erano stati
incontri anche precedenti, per formare un nuovo governo “di
programma”, come fu definito, così da giungere a fine legislatura,
esecutivo legato alla logica del “compromesso storico”, che nello
stesso periodo era argomento centrale anche dei dibattimenti
politici italiani. Il nuovo governo venne ufficializzato nel
Consiglio del 26 luglio.
Le
elezioni si svolsero il 29 maggio 1988 con la partecipazione di
21.133 elettori (15.588 interni, 5.545 esteri) su 26.052 iscritti
alle liste. La DC ottenne 27 seggi consiliari, il PC 18, il PSU in
unione ad Intesa Socialista (gruppo di fuoriusciti dal PSS con cui
aveva sottoscritto un progetto politico comune in gennaio) 8, 7 il
PSS. Nessun consigliere fu ottenuto dai socialdemocratici e da
Intesa Democratica, gli altri due gruppi che si erano presentati a
questa tornata elettorale.
Venne riconfermata al governo la coalizione composta da DCS e PCS,
che durò in carica fino al 1992, dando comunque chiari segni di
difficoltà di convivenza ai vertici del paese già dai primi anni
post elettorali.
Il
periodo in cui rimase a capo di San Marino un governo di compromesso
storico fu quello in cui nell’Europa dell’Est avvennero profonde
metamorfosi politiche legate al tramonto del comunismo di stampo
russo, ben simboleggiate dalla caduta del muro di Berlino nel 1989.
Le modificazioni politiche in atto ovviamente ebbero incisivi
riflessi pure sul comunismo sammarinese che nell’aprile del 1990
celebrò il suo XII e ultimo congresso in cui si trasformò in Partito
Progressista Democratico Sammarinese Lavoro e Socialismo (PPDS).
Negli stessi anni anche i diversi raggruppamenti di indole
socialista avviarono un graduale processo di unificazione: nella
seconda metà del 1987 PSS e PSDS si fusero insieme celebrando
l’avvenuta aggregazione il 27 dicembre; nel 1989 furono PSU e Intesa
Socialista ad amalgamarsi in un unico partito. L’anno seguente PSS e
PSU condussero a termine il processo diventando un unico soggetto
politico, fusione “suggerita dal superamento di ormai decrepite
diversificazioni, maturata dal nuovo clima politico internazionale e
spinta dal dovere di riconquistare e difendere la democrazia del
nostro futuro”, come sottolineò il giornale del PSS, il “Nuovo
Titano” del 1 marzo 1990. Il primo congresso dei partiti socialisti
unificati si svolse nel novembre del 1991.
A
questo punto la DC intravide le condizioni politiche per aprire, ad
un anno dalle elezioni, una crisi di governo nei primi mesi del 1992
così da rompere l’alleanza ormai troppo mal tollerata con gli ex
comunisti, e creare una nuova coalizione di governo con il partito
socialista unificato.
Il
30 maggio 1993 si svolsero le elezioni politiche con 22.637 votanti
(16.675 interni, 5.962 esteri) su 28.191 iscritti alle liste. La DC
conquistò 26 seggi consiliari, 14 il PSS, 11 il PPDS, 4 Alleanza
Popolare (AP), nuova compagine fondata nel periodo da alcuni
fuoriusciti dalla DC, 3 Movimento Democratico (MD), anche questo
nuovo raggruppamento creato da politici provenienti dall’area di
sinistra, 2 Rifondazione Comunista Sammarinese, partito nato da
dissidenti comunisti non concordi con le trasformazioni avvenute
nell’ex PCS. Il nuovo governo nacque sempre dall’alleanza tra DC e
PSS.
Nonostante che in Italia si fosse in pieno marasma politico a causa
degli sconquassi provocati dalla cosiddetta “tangentopoli”, a San
Marino invece si continuava lungo la logica partitica del passato,
con aggregazioni che nascevano o scomparivano, e con i partiti
storici che mantenevano il controllo della massa dei voti, anche se
ora i socialisti erano riusciti a scavalcare gli ex comunisti
divenendo il secondo partito sammarinese.
Per
gli anni seguenti possono essere segnalati vari fatti interessanti
per il discorso che si sta conducendo. Per quanto riguarda la
legislazione, merita senz’altro evidenziare l’ampliamento della
legge sul referendum del 1981 con l’introduzione, nel 1994, del
referendum propositivo o d’indirizzo. Dello stesso periodo è pure la
riforma delle Giunte di Castello con l’elezione diretta del Capitano
di Castello e della sua lista di candidati, così come la riforma
della legge sulle commissioni consiliari.
Agli
inizi del 1996 venne varata una nuova legge elettorale per far
fronte alle grandi polemiche sul voto estero scatenate soprattutto
dai nuovi raggruppamenti politici contro i partiti maggiori per la
strumentalizzazione che questi ne facevano, rappresentando gli
elettori esteri più di un quarto dell’intero corpo elettorale (nel
1993 erano complessivamente il 37,68%, di cui votarono il 26,34%).
In realtà tale legge, subito contestata in alcuni suoi punti, non
risolse il problema, e negli anni successivi la questione
dell’elettorato estero rimase aperta dando adito puntualmente a
controversie e accuse a non finire.
Furono anche gli anni dei referendum in quanto ne vennero promossi
parecchi voluti soprattutto dai gruppi di opposizione. Alcuni
poterono essere evitati tramite il varo di leggi che ne recepivano a
priori le richieste, altri non vennero giudicati ammissibili dal
Collegio Giudicante, ma altri ancora dovettero essere convocati in
quanto non fu possibile giungere ad accordi preventivi tra governo e
comitati promotori.
Il
primo si svolse il 22 settembre 1996: era basato su quattro quesiti
di cui uno chiedeva la riduzione da sei a tre delle preferenze che
si potevano esprimere tramite scheda elettorale, e gli altri erano
legati al voto estero e all’abrogazione di qualsiasi rimborso spesa
per chi doveva affrontare viaggi per venire a San Marino per votare.
I partiti di governo si schierarono contro le richieste
referendarie, ma alla fine, su 19.257 votanti di 29.729 iscritti, la
maggioranza votò a favore facendo modificare in alcuni suoi punti la
legge elettorale promulgata pochi mesi prima.
Anche questo, tuttavia, non eliminerà in seguito le polemiche sugli
elettori esteri, in quanto continueranno le accuse dei partiti
minori relativamente alla strumentalizzazione del loro voto, e per
l’uso di sistemi illegali per portarli a votare tramite viaggi
spesati e regalie varie.
Un
altro referendum venne convocato per il 26 ottobre 1997 e riguardò
le società immobiliari per cui si richiedeva che fossero sempre
nominative e mai anonime. Anche in questo caso la maggioranza dei
13.896 votanti (su 29.932 iscritti) che vi presero parte si schierò
a favore della richiesta referendaria.
Il
31 maggio 1998 si svolsero di nuovo le elezioni politiche: i votanti
furono 22.673 su 30.117 iscritti alle liste elettorali. Il PDCS
ottenne 25 seggi consiliari, 14 il PSS, 11 il PPDS, che si presentò
in unione a Idee in Movimento, nuovo gruppo fondato da fuoriusciti
del disciolto MD che ebbe un suo rappresentante eletto, e
Convenzione Democratica, altro nuovo gruppo nato per queste
elezioni, AP ne ebbe 6, RC 2, e 3 i Socialisti per le Riforme (SR),
raggruppamento scaturito da una scissione all’interno del partito
socialista avvenuta un anno prima e provocata da tre consiglieri in
disaccordo con alcune linee politiche portate avanti.
La
novità di queste elezioni fu una campagna elettorale svolta
all’insegna di un proto bipolarismo in quanto i partiti
all’opposizione, ad eccezione di RC che partecipò autonomamente,
crearono la cosiddetta “Coalizione per l’alternativa” la quale,
all’insegna di un programma comune, chiese voti all’elettorato
proponendosi come alternativa al governo al potere.
Dopo
le elezioni DCS e PSS riformarono invece insieme un nuovo governo,
che però ebbe vita assai travagliata e difficile perché i rapporti
tra i due partiti non furono più tranquilli come negli anni
precedenti.
Il
16 giugno del 1999 la maggioranza al potere, con la non contrarietà
da parte del PPDS e di SR, promulgò una nuova legge sulla
cittadinanza con cui si cercava di parificare completamente tra uomo
e donna la trasmissibilità della cittadinanza. Tre mesi dopo, il 12
settembre, venne sottoposta al primo referendum confermativo della
storia sammarinese. Per essere approvata la legge avrebbe dovuto
ricevere 9.663 voti favorevoli, corrispondenti al 32% del corpo
elettorale, invece ne ebbe solo 9.327 (e 7.072 contrari), per cui
per il non raggiungimento del quorum necessario non entrò in vigore.
Nel
febbraio del 2000 i socialisti decisero di ritirare la loro
delegazione di governo. Il pretesto fu un ordine del giorno
presentato dall’opposizione in Consiglio il giorno 24 e votato
positivamente anche da membri della maggioranza, che i socialisti
ritenevano essere consiglieri DC. In realtà questo fatto
rappresentava solo la “punta di un iceberg”, come ebbe a dire il
segretario del PSS, in quanto già da tempo non correvano più buoni
rapporti tra i due maggiori partiti sammarinesi, con accuse
reciproche legate alla volontà di non procedere con la
concretizzazione del programma di governo, e di cattivo metodo di
gestione del potere.
Subito la DC riuscì a comporre un governo con PPDS e SR, ma con
scarso successo poiché anche questo ben presto diede segni di poca
coesione ed entrò in crisi irreparabile, anche se prima di farlo
riuscì a varare una nuova legge sulla cittadinanza il 30 novembre
del 2000.
DC e
PSS ripresero dunque a dialogare tra loro giungendo ad un accordo
politico che comunque non si sentirono di mettere in opera se non
dopo averlo fatto avallare da una tornata elettorale. Il 10 giugno
2001 vennero dunque convocate elezioni anticipate che videro la
partecipazione di 22.648 votanti su 30.688 iscritti. La DC ottenne
25 consiglieri eletti, 15 il PSS, 12 il Partito dei Democratici
(PD), frutto della fusione tra PPDS, IM, CD, 5 AP, 2 RCS, 1 Alleanza
Nazionale Sammarinese (ANS), nuovo partito di destra nato con
velleità di creare il bipolarismo anche a San Marino così come era
avvenuto in Italia.
Purtroppo le turbolenze politiche di questi anni non terminarono
nemmeno con questo governo che registrò al suo interno fin dai mesi
immediatamente post elettorali vari dissidi tra le due forze
politiche che lo componevano, ed ebbe poi vita brevissima, durando
in carica nemmeno un anno. Nel maggio del 2002, infatti, cadde dopo
che si era fatto un altro tentativo di rianimarlo con un rimpasto
che prevedeva un’equa spartizione dei dieci ministeri (in precedenza
ne aveva 6 la DC e 4 il PSS), e soprattutto il varo di una legge
cosiddetta “antiribaltone” che doveva servire ad assicurare
stabilità e continuità all’alleanza tra i due partiti al potere.
Quando nel Consiglio del 20 maggio fu il momento di votarla, però,
la sostennero solo 24 consiglieri sui 38 che la maggioranza aveva in
quel giorno a disposizione, per cui il nuovo governo appena
insediato crollò inaspettatamente colpito a morte sia da
rappresentanti democristiani che socialisti.
Immediatamente il PSS prese l’iniziativa di relegare la DC
all’opposizione formando un nuovo esecutivo con AP e PDD. Per
qualche mese la situazione parve normalizzarsi, invece alla fine
dell’anno due nuovi consiglieri del PSS eletti nel 2001, dopo aver
portato un feroce attacco ad un leader del loro partito, uscirono
dalla maggioranza togliendole così la supremazia numerica in
Consiglio per fondare un loro gruppo denominato “Sammarinesi per la
libertà” (SL).
Il
PSS si riavvicinò alla DC cercando di coinvolgere nel nuovo governo
che stava prendendo forma anche il PDD, con cui già da tempo aveva
avviato un dialogo alla ricerca dell’unificazione di tutta la
sinistra sammarinese, ma alla fine nacque una nuova coalizione
composta solo da democristiani e socialisti, fatto che provocò altre
defezioni tra i socialisti, con l’uscita di un ulteriore
consigliere, e la conseguente nascita di un gruppo, sempre
d’ispirazione socialista, che prese il nome di “Nuova San Marino”.
Nei
mesi successivi questo governo tirò avanti come poté, mentre il 25
marzo del 2003 PSS e PDD, durante un’assemblea svolta nel Teatro
Concordia di Borgo Maggiore, avviarono ufficialmente il loro
processo di unificazione.
Ovviamente la situazione politica rimase alquanto ingarbugliata
poiché il PSS era al governo, mentre il PDD rimaneva
all’opposizione, e la DC, che nel frattempo aveva dovuto registrare
la fuoriuscita di un suo membro di spicco, che poi si era reso
promotore della fondazione di un nuovo raggruppamento, il “Partito
dei Popolari”, non aveva idee chiare sull’atteggiamento da tenere
verso l’alleato che stava andando verso una crescita notevole della
sua forza, né grosse possibilità di predisporre governi con alleati
alternativi.
Nel
corso del 2003, nonostante che il governo disponesse teoricamente
dei voti di 37 consiglieri (25 DC + 12 PSS), esso rimase assai
traballante e sempre sull’orlo di un improvviso crollo, per cui
sentì l’esigenza di ampliare i suoi numeri col coinvolgimento del
PDD. Il nuovo governo che ne scaturì, definito “straordinario” e
composto eccezionalmente solo da otto Segretari di Stato (4 DC, 2
PSS, 2 PDD), iniziò ad operare dal 12 dicembre.
Nel
periodo, precisamente il 3 agosto, si era svolto un altro
referendum, promosso da Nuova San Marino, che mirava a ridurre da
tre a una sola il numero delle preferenze che l'elettore poteva
esprimere sulla scheda elettorale, ma senza esito perché la proposta
ottenne solo 8.755 voti favorevoli (e 2.091 contrari), non
raggiungendo il quorum dei 10.105 voti necessari.
Per
il 2004 non vi è nulla di particolarmente interessante da segnalare
per l’argomento che stiamo affrontando, mentre per il 2005 va senza
dubbio messo in risalto il congresso di unificazione delle sinistre
del 18/20 febbraio in cui PSS e PDD portarono a termine il loro
processo di fusione con la creazione del Partito dei Socialisti e
dei Democratici (PSD).
Durante l’estate venne promosso e sostenuto dai partiti di
opposizione un altro referendum incentrato su quattro quesiti: nel
primo si chiedeva di ridurre le preferenze elettorali a due, nel
secondo di poter scegliere una parte dei membri del Congresso di
Stato anche al di fuori del Consiglio, col terzo e anche col quarto
si mirava ad abbassare il quorum richiesto per l’accettazione di un
quesito referendario. Andarono a votare solo poco più di 6.600
elettori, per cui non venne raggiunto il quorum dei 10.142 voti
richiesti e tutti i quesiti fecero naufragio.
Sempre negli stessi mesi continuarono ad esservi forti fibrillazioni
all’interno dei partiti, in particolare del nuovo PSD che dovette
registrare la fuoriuscita prima di tre consiglieri dell’ex PSS, che
confluirono in Nuova San Marino, poco dopo di “Zona Franca”, gruppo
d’opinione già preesistente all’interno dell’ex PDD assolutamente
contrario ad alleanze con la DC, che poteva contare tra le sue fila
anche due consiglieri. Costoro si aggregarono a RC creando insieme
“Sinistra Unita” (SU), mentre Nuova San Marino diventò il “Nuovo
Partito Socialista” (NPS).
Il
governo straordinario riuscì a condurre a termine la legislatura
varando anche alcune riforme istituzionali legate alla Reggenza, al
Congresso di Stato e al Consiglio Grande e Generale, nonché un
mutamento del sistema pensionistico, innovazioni da anni richieste,
ma mai condotte in porto da nessun governo precedente.
Il 4
giugno del 2006 si svolsero le elezioni politiche con la
partecipazione di 22.815 elettori su 31.759 aventi diritto e ben
nove liste partecipanti. La DC, pur perdendo diversi seggi
consiliari, si mantenne il partito di maggioranza relativa con 21
candidati eletti, 20 ne ottenne il PSD, alla cui lista elettorale
parteciparono anche la “Casa delle Identità” e il “Partito
Repubblicano Sammarinese”, due piccoli raggruppamenti nati nei mesi
precedenti, 7 AP, 5 SU, 3 NPS, 1 ciascuno i Popolari, ANS, SL e Noi
Sammarinesi, lista civica nata qualche mese prima dalla fuoriuscita
dalla DC di un altro suo consigliere.
Il
governo che scaturì da questa tornata elettorale si formò grazie
all’alleanza tra PSD, AP e SU e mise mano subito ad una nuova
riforma elettorale, promulgata alla fine di aprile del 2007, sempre
basata sul sistema proporzionale, ma con alcuni correttivi tipici
del sistema maggioritario, di cui già si era discusso a lungo anche
durante la legislatura precedente, per indurre i raggruppamenti
politici a coalizzarsi in fase preelettorale, evitando così che i
partiti, alleandosi in maniera contingente in corso di legislatura,
potessero fare o disfare i governi a loro piacimento, com’era stato
possibile in precedenza.
Con
tale legge si previde anche il ripristino dei seggi esteri,
eliminati dopo le elezioni politiche del 1993 per far votare gli
elettori provenienti da fuori confine presso il loro Castello di
origine, così come si sancì l’inasprimento delle pene per
contrastare maggiormente il voto di scambio su cui anche durante le
elezioni del 2006 vi erano state polemiche a non finire.
N.B. Il presente testo è inedito perché doveva essere pubblicato una
decina di anni fa all’interno di un volume che non è mai stata
stampato. Recentemente l’ho aggiornato con i semplici dati
successivi, che si forniscono di seguito, per una conferenza che ho
svolto presso le Scuole Superiori sammarinesi il 9 dicembre 2016.
I
partiti politici a San Marino
·
23/6/1912 – Elezioni triennali: «Blocco
Democratico»
·
1919/20 - Nasce Partito Popolare
Sammarinese
·
15/10/20 – Nuova legge elettorale
proporzionale
·
1920 – Nasce Unione Democratica
Sammarinese
·
14/11 - Elezioni generali: 29 PPS+18
PSI+13 UD
·
16/11 - I socialisti non entrano in
Consiglio
·
Inizi ‘21 – Nasce il Partito Comunista
Samm. (PCS)
·
8/5/22 – Nasce il Partito Nazionale
Sammarinese contro il nuovo patto colonico e la riforma tributaria
·
26/8/22 – Nasce il Partito Fascista
Samm. (PFS)
·
Gennaio ‘23: I Popolari si dimettono
dal Consiglio
·
12/12/23 – Elezioni politiche con unica
lista, il «Blocco Patriottico»: 29 fascisti, 20 popolari, 9
democratici, 2 volontari di guerra. 1.484 votanti su 4.184 elettori.
Il Blocco ottiene 1.437 voti
·
17.11.26 - Nuova legge elettorale
maggioritaria
·
Fine ‘26 - Il Partito Popolare si
scioglie
·
12/12 – Elezioni politiche: Il PFS,
unico partito a presentarsi, riceve 2444 voti su 2445 (elettori:
4.305)
·
1932 – Elezioni: il PFS riceve 2.573
voti su 2.573 votanti (elettori: 3.915)
·
1938 – Elezioni: il PFS riceve 2.916
voti su altrettanti votanti (elettori: 3.715)
·
2/8/43 – Abrogazione legge
maggioritaria e ritorno alla legge proporzionale del 1920
·
1943 – Elezioni con lista unica: 3.219
elettori su 5.932 (Salò il 23/9, 5/10 entra un reparto di nazisti)
28/10: Consiglio di Stato di 20 membri
·
11/3/45 - Elezioni: Comitato Libertà
2.190 voti (40 seggi), Unione Democratica Sammarinese 1.136 voti (20
seggi) - elettori 5.846
·
1947/48 nasce DCS (Zaccaria Savoretti)
in difesa di istituzioni e tradizioni cattoliche, e per
combattere uniti per la fede, per la democrazia, per la libertà.
·
27/2/49 – Elezioni: Comitato della
Libertà (35 seggi) e Alleanza Popolare Sammarinese (DC, Associazione
Patriottica Indipendente del Lavoro (APIL-1948) Unione Democratica
Sammarinese (25 seggi di cui 14 DC) - votarono in 4.810 su 7.124
·
16/9/51- Elezioni: 4.810 elettori su
7.301 - 4 partiti: PDCS (26 seggi), PCS (18), PSS (13), APIL (3).
·
54/55: Nasce il PSDS
(socialdemocratici)
·
1955 – Elezioni: DC 23 seggi, PC 19, PS
16, PSDS 2. 4.567 votanti su 7.301(polemiche per voto donne)
·
1956: Ungheria: 1957 nasce il PSIS
(partito socialista indipendente sammarinese) che aveva 5
consiglieri. Ora in Consiglio 23 DC, 2 PSDS, 5 PSDIS, 1 PC
dissidente che si schiera con l’opposizione: Rovereta
·
13/9/59 - Elezioni 6.443 elettori
(3.371 interni, 3.072 esteri) su 7.514: DC 27 seggi, PSDIS 9
(nasce dalla fusione del PSI e PSDS sul finir del ’57), PCI
16, PSS 8: voto alle donne (‘64 e ’73) e per corrispondenza (abolito
nel ’66 con crisi di governo). A fine ‘57 nasce CSDL
·
13/9/64 - Elezioni (12.928 elettori,
anche donne, di cui 7.813 interni e 5.115 esteri su 15.392), DC
29 seggi, PSDS 10, PCS 14, PSS 6, Movimento per le Libertà
Statutarie (MLS), nato il 21 aprile per reclamare maggiori diritti e
garanzie istituzionali, 1 seggio
·
7/9/69 – Elezioni (13.287 elettori su
16.720: 8.747 interni e 4.540 esteri. DC 27 seggi, PSDIS 11;
PC 14, PS 7, MLS 1. Si presentò anche il Movimento Comunista
Marxista Leninista, ma non ottenne alcun seggio
·
1973 - la DC apre la crisi di governo,
ne crea uno nuovo con MLS e PSS per giungere a fine legislatura
·
8/9/74 - Elezioni con due nuovi partiti
e massima frammentazione: il Partito Democratico Popolare
Sammarinese (PDPS), fondato da fuoriusciti dalla DC, e il Comitato
per la difesa della Repubblica (CDR), di destra. 14.086 votanti
(9.978 interni, 4.108 esteri) su 17.673 aventi diritto (10.594
interni, 7.079 esteri): DC 25 seggi, PC 15, PSDIS 9, PSS 8,
MLS 1, PDPS 1, CDR 1, Marxisti nessuno. In Consiglio 7 donne; Clara
Boscaglia diventa Segretario di Stato per gli Affari Interni nel
1976. Il governo tra il ‘76 e ‘77 ebbe due crisi: elezioni
anticipate
·
28/5/78 - Elezioni: 15.491 votanti
(11.653 interni, 3.838 esteri) su 19.615 aventi diritto. DC 26
seggi, PC 16, PSS 8, il PSU 7 (Partito
Socialista Unitario nato nel 1975 al posto del PSDIS), Democrazia
Socialista DS 2 (nata sempre in seno al PSDIS), CDR 1,
Marxisti-leninisti nessuno . Governo di Sinistra, dal 1981 vi
entra anche DS
·
1978 - Fausta Morganti Segretario
Pubblica Istruzione, 1981: M. Lea Pedini Reggente
·
29/5/83 – Elezioni: 17.209 elettori
(13.114 interni, 4.095 esteri) su 21.588, DC 26 seggi, PC 15,
PSS 9, il PSU 8, il PSDS 1 (Partito Socialista Democratico
Samm. ex DS), 1, Intesa Democratica – Partito Repubblicano 1 (nuovo
gruppo fondato da un consigliere dissidente del PC)
·
1986 – Il PC fa crisi di governo e lo
rinnova con la DC
·
29/5/88 – Elezioni: 21.133 elettori
(15.588 interni, 5.545 esteri) su 26.052. DC 27 seggi, PC 18, PSU
insieme a Intesa Socialista (fuoriusciti dal PSS) 8, PSS 7. PSD e
Intesa Democratica 0
·
1990 – Il PC diventa PPDS (partito
progressista democratico sammarinese)
-
1992 – In Italia “Mani pulite” detta anche “Tangentopoli”
-
1992 – DC fa crisi di governo per allearsi col nuovo PS
·
30/5/93 – Elezioni : 22.637 votanti
(16.675 interni, 5.962 esteri) su 28.191. DC 26 seggi, PSS 14,
PPDS 11, Alleanza Popolare (AP) 4 (nuovo gruppo fondato da
fuoriusciti dalla DC), Movimento Democratico (MD) 3 (nuovo gruppo
creato da politici dell’area di sinistra), Rifondazione Comunista
Sammarinese (RC) 2 (nato da dissidenti comunisti del PPDS)
·
31/5/98 – Elezioni: i votanti furono
22.673 su 30.117. DC 25 seggi, PSS 14, PPDS 11 insieme a Idee
in Movimento (nuovo gruppo fondato da fuoriusciti del disciolto MD)
e Convenzione Democratica (altro nuovo gruppo), AP 6, RC 2,
Socialisti per le Riforme (SR) 3 (gruppo nato da una scissione
dentro il PS avvenuta un anno prima da parte di 3 consiglieri. I
partiti all’opposizione, senza RC, crearono la “Coalizione per
l’alternativa”
·
Febbraio 2000 – PS crea crisi di
governo, DC si allea con PPDS e RC, ma dura poco e si torna alle
elezioni
·
10/6/01 - Elezioni - 22.648 votanti su
30.688, DC 25 seggi, PS 15, Partito dei Democratici (PD) 12
(nato da fusione di PPDS, IM, CD), AP 5, RC 2, Alleanza Nazionale
Sammarinese (ANS) 1 (partito di destra)
·
Maggio 02 – crisi di governo: il PS
forma esecutivo con AP e PD. Alla fine dell’anno due
consiglieri del PSS escono dalla maggioranza e fondano
“Sammarinesi per la libertà” (SL). Il PSS si riavvicinò alla DC
cercando di coinvolgere nel nuovo governo anche il PDD, ma senza
esito . Altre defezioni nel PS, uscita di un ulteriore consigliere,
nascita di “Nuova San Marino”. Fuoriuscita anche dalla DC di un
consigliere che dà vita al «Partito dei Popolari»
·
25/3/03 PS e PD avviano processo di
unificazione. Il 12 dicembre nasce il «Governo straordinario»
anche con PD composto eccezionalmente da otto Segretari di Stato (4
DC, 2 PSS, 2 PDD)
·
20/2/05 - PS e PD si unificano e creano
il Partito dei Socialisti e dei Democratici (PSD). L’unificazione
non soddisfece tutti: nei mesi seguenti vi fu la fuoriuscita di tre
consiglieri dell’ex PS, che confluirono in Nuova San Marino; poi di
“Zona Franca”, gruppo d’opinione già nell’ex PD , che aveva tra le
sue fila due consiglieri. Confluirono in RC creando insieme
“Sinistra Unita” (SU), mentre Nuova San Marino diventò il “Nuovo
Partito Socialista” (NPS)
·
4/6/06 – Elezioni: 22.815 elettori su
31.759 e nove liste partecipanti. DC 21 seggi, PSD 20
(insieme a “Casa delle Identità” e “Partito Repubblicano
Sammarinese”, due piccoli raggruppamenti nati nei mesi precedenti),
AP 7, SU 5, NPS 3, Popolari 1, ANS 1, SL 1 e Noi Sammarinesi
1, gruppo nato da qualche mese perla fuoriuscita dalla DC di un suo
consigliere
·
Marzo 07 – Fuoriusciti DC originano i
Democratici di Centro, e altri gli «Europopolari per San Marino»
·
11/5/07 – Legge elettorale
proporzionale con correttivi di tipo maggioritario che favorisce le
coalizioni; sbarramento; quote rosa
·
9/11/08 – Elezioni: 21.806 votanti su
31.845. Patto per San Marino: DC + EPS (Europopolari ) + AeL
(Arengo e Libertà) 22, AP 7, Lista della Libertà: Nuovo
Partito Socialista + Noi Sammarinesi 4, Unione dei Moderati:
Popolari Sam. + Alleanza Nazionale 2; Riforme e Libertà: PSD
18, SU 5, Democratici di Centro (DdC) 2. In agosto si era stabilito
che gli esteri votassero solo la lista senza preferenze.
·
11/11/12 – Elezioni: 21.138 votanti su
33.106. San Marino Bene Comune: DC + NS (Noi Sammarinesi) 21,
PSD 10, AP 4; Intesa per il paese: PS 7, UPR (Unione per la
Repubblica) 5, Moderati Sammarinesi 0; Cittadinanza attiva:
SU 5, Civico 10 4; RETE 4, San Marino 3.0 nessuno, Per San Marino 0
·
20/11/16 – Elezioni: votanti: 20.275 su
33.985; sbarramento 3,5% (681); San Marino prima di tutto: DC,
PSD, PS, Sammarinesi: 25; Adesso.sm: Repubblica futura,
Sinistra Socialista Democratica, Civico 10: 20; Democrazia in
movimento: Rete, Movimento Democratico San Marino insieme: 15;
Lista della persone libere: 0; Rinascita Democratica: 0.
-
Ballottaggio 4/12/2016: Vince Adesso.sm con 9.482 voti; San
Marino prima di tutto ne riceve 6.889
|