Il
Placito Feretrano
Questo importante documento, la cui esistenza
era stata dimenticata da lunghi secoli, fu rinvenuto nel 1749 da
Annibale degli Abati Olivieri mentre stava riordinando l'Archivio
della Repubblica di San Marino. Con la parola "placito" s'intende
una sentenza giudiziale di epoca medievale.
Non è il documento originale, che è andato perduto o
distrutto, ma una copia che è stata riscritta verso la fine del
secolo XI. Un’analisi scientifica, fatta da studiosi esperti e
specialisti di storia medievale, è iniziata solo nella seconda metà
del Novecento, per cui il dibattito intorno al Placito Feretrano si
può dire appena iniziato.
Il Placito narra di un fatto accaduto il 20 febbraio
885, giorno in cui in una non meglio definita "corte di
Stirvano", posta in località Cerreto, in
territorio montefeltrano, alla presenza
di Giovanni, vescovo del Montefeltro, e del duca
Urso, si riunirono una trentina circa
tra giuristi e magistrati per giudicare la vertenza sorta tra
Delto, vescovo di Rimini, e Stefano,
prete e abate del monastero di San Marino.
Delto
accusava Stefano di detenere illegalmente alcune terre che a suo
dire appartenevano di diritto alla sua giurisdizione. La causa in
pratica doveva servire per stabilire una volta per tutte di chi
fossero tali terre. Uditi i contendenti, difesi entrambi da
avvocati, e constatato che Delto non
aveva prove reali che dimostrassero l'effettiva appartenenza delle
terre contese al suo vescovado, il tribunale diede ragione a
Stefano, riconoscendogli così il possesso delle stesse.
Al di là della diatriba giuridica di cui tratta
questo placito, il documento è assai importante sia perché è il più
antico che si conservi nell'Archivio sammarinese, sia perché per
lunghi anni è stato considerato la prova della remota indipendenza
sammarinese. Dice per esempio Francesco
Balsimelli all'interno di un suo testo scritto nel 1966
(“Elementi di diritto pubblico sammarinese”): Il Placito venne
celebrato (...) in territorio neutro e, a parte tutto, è la chiara
dimostrazione che dalla fine del secolo IX San Marino era
riconosciuto indipendente sia dal Vescovo di Rimini, che dalla
Potestà religiosa e civile del Montefeltro: infatti il Monastero di
San Marino non dipendeva dal Vescovo di Rimini in quanto è lui che
chiama in giudizio l'Abate Stefano appellandosi ad un giurì
neutrale; non dipendeva dal Vescovo né dal Duca di Montefeltro,
perché sono entrambi giudici della contesa e non parti in causa;
onde potremmo supporre che la frase testamentaria “relinquo
vos liberos
ab utroque
homine”, attribuita anacronisticamente a
Marino, sia stata scritta alla fine del secolo IX o ai primi del X
da qualcuno che aveva avuto conoscenza del Placito, perché in quell'occasione
San Marino dimostrò chiaramente d'essere libero tanto dal Vescovo di
Rimini, quanto dal Vescovo di Montefeltro, cioè
ab utroque
homine.
In realtà la questione è molto più complessa, ed il
Placito Feretrano non è una
dimostrazione così indiscutibile di un'indipendenza che in questi
secoli sarebbe stata storicamente molto prematura, essendo tutte le
terre della zona o proprietà dell’imperatore o del papa, quindi
assurda. I medievalisti che hanno affrontato il problema della
cosiddetta libertà perpetua di San Marino sono concordi
nell'affermare, come d'altra parte è storicamente logico, che
l'indipendenza sammarinese inizi a svilupparsi solo in epoca
comunale, ovvero molti secoli dopo la vicenda narrata dal Placito, e
tra mille difficoltà ed insidie. Ciò non elimina tuttavia
l'importanza del Placito Feretrano
tramite cui possiamo capire, come ha detto con sintetica chiarezza
lo studioso Paul
Aebischer, che tra il IX e il X secolo a San Marino esistevano
un monastero, dei possedimenti di proprietà di detto monastero, e
dei coloni che li coltivavano. Questo monastero e queste terre
dipendevano dalle autorità montefeltrine.
E' tutto.
Studi ancora più recenti, compiuti da Carlo Dolcini,
hanno prodotto anche una nuova interessante teoria tendente a porre
in relazione il Placito con un altro documento del 1070, conservato
sempre presso l'Archivio di San Marino. Questa carta è una
concessione di una serie di fondi da parte del vescovo di Rimini
all'abbazia di San Gregorio in Conca. Poiché tra queste proprietà ne
vengono elencate cinque che il Placito
Feretrano attribuiva al Monastero di San Marino, e poiché il
Placito ci è pervenuto in copia parzialmente contraffatta e
interpolata della fine del secolo XI, Dolcini pensa che quest'ultimo
documento sia un estremo tentativo di fabbricare una qualche base
giuridica per la rivendicazione del patrimonio già disgregato
dell'abbazia di San Marino, e anche un segno evidente di una
rivalità economica e giuridica, ancora aperta alla fine del secolo
XI, nei confronti della Chiesa riminese,
in un'epoca anteriore all'origine e formazione di San Marino come
istituzione comunale di fatto indipendente.
In sintesi possiamo affermare che intorno al Mille il
Titano era presumibilmente popolato da una piccola comunità
formatasi attorno ad un monastero fondato vari secoli prima ed era
dotata di un castello. Inoltre, come comprovato da numerosi
documenti riguardanti la sua zona geografica, doveva essere compreso
religiosamente e politicamente nella diocesi e nel
comitatus del Montefeltro.
I Sammarinesi dell'epoca dovevano essere poco
numerosi, per lo più dediti a modeste e anonime attività
silvopastorali e alla cura della loro
semplice sopravvivenza. Anche il loro castello doveva essere solo un
piccolo nucleo fortificato collocato dove oggi sorge la Guaita,
ovvero la 1a torre. Nel suo circondario s'innalzavano
certamente altri piccoli castelli più o meno fortificati, e dovevano
esservi già all'epoca case isolate e modesti villaggi. Da questa
misera e marginale realtà sociale, che non a caso ci ha potuto
lasciare solo pochissimi documenti di sé, si è poi sviluppata la
realtà comunale di San Marino.
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