I Tempi di
Palamede Malpeli
La RSM
nell’età della Destra Storica
SOMMARIO
INTRODUZIONE
CAPITOLO I° - GLI
ULTIMI ANNI CINQUANTA
1) - I soliti problemi
2) - Il 1857
3) - Il 1858
4) - Il 1859
4.1) - L'ordine equestre di San Marino
4.2) - La prima Reggenza di Palamede
Malpeli
CAPITOLO II° - GLI ANNI
SESSANTA
1) - I primi anni: i rapporti con il
Regno d'Italia
2) - Gli altri fatti
3) - Una nuova coscienza
4) - Gli aspetti economici
5) - La Ia convenzione
italo-sammarinese
6) - La vendita delle onorificenze
7) - Il 1863
8) - Il 1864
9) - Il 1865
10) - Gli ultimi anni: i rapporti
esteri
11) - La politica scolastica
12) - I mutamenti della mentalità
13) - Qualche altro fatto ancora
CAPITOLO III° - GLI ANNI SETTANTA
1) - Gli aspetti economici
1.1) - La convenzione del 1872
1.2) - La ricerca di altri mezzi
economici
1.3) - Ancora sulle onorificenze
2) - La politica estera: il blocco del
1874
2.1) - I rapporti internazionali
3) - La politica interna
CAPITOLO IV° - L'AFFARE
MALPELI
1) - Le accuse e la condanna
2) - La difesa
NOTE
APPENDICE DOCUMENTARIA
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Introduzione
Palamede
Malpeli: chi era costui? E perché dedicargli un libro se la
maggior parte dei Sammarinesi sicuramente non lo conosce? In
realtà la figura di Palamede Malpeli è solo un pretesto per
parlare di un periodo chiave della storia sammarinese, quello che
ruota intorno all'unificazione italiana, periodo in cui la nostra
piccola Repubblica è indotta a mutare tanti particolari della sua
fisionomia usuale, fino ad allora saldamente ancorata al Medioevo,
e ad immettersi ex abrupto sulla strada della Modernità.
Nonostante ciò, tuttavia,
è fuor di dubbio che Malpeli è un personaggio basilare del
ventennio 1860-1880, per cui è praticamente impossibile parlare di
tale fase storica senza parlare in qualche maniera anche di lui.
Siamo negli anni in cui la Repubblica di San Marino deve destarsi
bruscamente da un letargo plurisecolare, e fare i conti con realtà
nuove e logiche assai diverse da quelle a cui era abituata.
Scompare lo Stato Pontificio, che così a lungo l'aveva avvinta in
spire ora più, ora meno strette, e appare improvvisamente
all'orizzonte, quasi dalla sera alla mattina, uno Stato nuovo, il
Regno d'Italia, che comincia ad intrattenere con San Marino
rapporti a volte totalmente nuovi, a volte, invece, assai simili a
quelli del passato. Deve cambiare la mentalità, perché ora non si
può vivere ancora come un comune medievale, accontentandosi di una
cultura fatta più di superstizioni che di nozioni, di un'economia
che permette, quando lo permette, solo una sopravvivenza ai limiti
dell'indigenza, di una classe politica che gestisce lo Stato
praticamente armata solo di buona volontà e di nient'altro, di
un'agricoltura arcaica, di strade disastrate ed impraticabili.
Tutti i nodi rimandati di anno in anno, di decennio in decennio
durante la prima metà dell'Ottocento, vengono tragicamente al
pettine negli anni '50, e soprattutto negli anni '60, e allora ci
si accorge di essere rimasti indietro di troppo, e che occorre
affannarsi per recuperare il tempo perduto, e mantenersi al passo
se non altro con il neo-Stato che ora circonda San Marino.
Storicamente questi
periodi di transizione sono ricchissimi sia di contenuti nuovi,
perché tutti gli orizzonti sono aperti, tutte le speranze sono
possibili e teoricamente realizzabili, sia di paure vecchie,
perché accanto alla volontà di progredire e rinnovarsi permane
cupo il terrore di abbandonare il noto per l'ignoto, di percorrere
strade per cui ci si sente spesso impreparati ed inidonei. Questo
dualismo fatto di volontà e paura, di entusiasmo ed angoscia, è
facilmente rintracciabile negli anni che stiamo per esaminare,
tanto che non sempre è chiaro dai documenti che ho consultato
quanto si voglia progredire, e quanto invece perduri il desiderio
di rimanere come si è sempre stati.
Palamede Malpeli è invece
da questo punto di vista sicuramente un personaggio nuovo,
entusiasta ed innovatore, tanto innovatore da risultare alla fine
spregiudicato, e tanto spregiudicato da dimostrarsi reo di colpe
gravi, e da venir condannato ad otto anni di prigione. Anche
questo è un rischio dei periodi di transizione: all'eccessivo
conservatorismo è facile che si opponga un'euforia riformistica
tanto sconsiderata ed esagerata da provocare guai e sconquassi
profondi. Malpeli si trova ad operare in un ambiente
tendenzialmente conservatore, perché alla conservazione del
passato, e solo a quella, la vecchia oligarchia che governava lo
Stato imputava la salvezza della Repubblica e della sua tanto
decantata libertà ed indipendenza. Questi governanti molto più di
Malpeli si sentono a disagio in questa nuova, vulcanica realtà in
cui improvvisamente si trovano gettati dentro. Malpeli, invece, sa
cavalcare la tigre fin da subito, e fin dalla sua prima Reggenza
del 1859 dichiara ai quattro venti -e lo vedremo- che egli è
figlio di tempi nuovi e più pragmatici; che non si sente affatto
vincolato alla realtà ed alla mentalità del recente passato; che
guarda con pietosa compassione gli uomini che avevano guidato fin
lì la Repubblica. Costoro avevano fatto il loro tempo, ed ora
bisognava avere il coraggio di attuare una svolta secca, senza
ritorno.
Anche Malpeli, però,
conserva in sé forti contraddizioni, e questo sarà chiaramente
visibile in tanti episodi che verranno descritti, e in particolar
modo in quelli riguardanti il suo processo e la sua condanna.
D'altronde anch'egli, per quanto innovatore, nasce e cresce a San
Marino, per cui nonostante la volontà di apparire come il profeta
del nuovo, rimane per molti versi invischiato nel vecchio. E'
insomma per forza di cose un personaggio di transizione, non più
del tutto membro della vecchia guardia e succube della mentalità
che la permeava, ma non del tutto membro di quella generazione che
saprà polemizzare tanto col vecchio da illudersi di poter attuare
una democrazia effettiva, da poter sconvolgere totalmente un
sistema oligarchico e patriarcale che a San Marino probabilmente
dominava da sempre.
Lo scontro tra vecchio e
nuovo, tra conservatori e progressisti, in questi anni emerge
netto nelle tante polemiche che si svilupperanno intorno ai
diversi progetti che giungono a San Marino per istituire una casa
da gioco. Non a caso i problemi di Palamede Malpeli
scaturiranno tutti da questa particolare innovazione che alcuni
per il bene economico del paese avrebbero voluto creare, ed altri
no per paura di aprire le porte a qualcosa di mefistofelico e
rovinoso.
Altro problema tipico di
questi anni, e su cui ci fermeremo a lungo e dettagliatamente,
anch'esso zeppo di risvolti morali, di entusiasmi e di angosce, è
quello relativo alla vendita delle onorificenze e dei titoli
nobiliari, una fonte economica inaspettata ed improvvisa che dalla
seconda metà degli anni '60 in avanti rimpinguerà le usualmente
vuote casse dello Stato sammarinese, permettendo finalmente la
creazione di quelle tante infrastrutture già da tempo bramate, ma
continuamente irrealizzate per la costante carenza di fondi.
Senza elencare ad una ad
una tutte le problematiche che verranno esaminate, invito il
lettore ad iniziare la lettura: ho cercato di usare un linguaggio
il più semplice possibile, così come avevo fatto nel mio lavoro su
"Il delitto Bonelli" (in cui era stato particolarmente
apprezzato); ed ho cercato di scrivere una storia scientificamente
documentata, ma scorrevole ed interessante anche per chi non legge
abitualmente questo genere. Poiché considero ciò che sto per
raccontare come la prosecuzione della storia narrata ne "Il
delitto Bonelli", partirò dal punto in cui lì mi ero fermato, cioè
dagli ultimi anni '50. D'altra parte Malpeli diventa consigliere
nel 1857, per cui anche in questo caso la narrazione della storia
di questi anni coincide con la narrazione della vita politica di
questo personaggio, che utilizzerò come filo conduttore per
analizzare il periodo in questione.
Sento il dovere, per
concludere questa introduzione, di ringraziare gli enti (Cassa di
Risparmio, Cassa Rurale di Faetano, Dicastero pubblica istruzione
e cultura) che con i loro consistenti acquisti de "Il delitto
Bonelli" hanno contribuito ad ammortizzare i costi avuti per la
stampa di quel lavoro, così come ringrazio i tanti privati
cittadini talmente generosi di apprezzamenti nei confronti di
quella pubblicazione da pungolarmi a continuare le mie ricerche ed
i miei studi.
Mi auguro che anche il
presente testo possa godere dello stesso trattamento, perché di
argomenti sammarinesi degni di essere indagati e raccontati ve ne
sono ancora un'infinità.
Verter Casali
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capitolo I
GLI ULTIMI ANNI CINQUANTA
1 - I soliti problemi
Gli anni
immediatamente successivi all'assassinio del Segretario
Giambattista Bonelli, e di quegli altri delitti di cui si è
parlato nel precedente mio lavoro, (1) non sono molto diversi
rispetto a quelli del periodo anteriore. I grossi problemi sono
sempre quelli: polemiche con lo Stato Pontificio per i rifugiati
politici in territorio, e per il ruolo della Repubblica di San
Marino che si reputava totalmente autonoma, e quindi libera di
fornire ospitalità a chiunque; una miseria diffusa a cui non si
riusciva a fornire adeguata soluzione; una classe politica
ostinata nella difesa dell'indipendenza del suo Stato, ma spesso
sprovveduta e facilona; una situazione in eterna ebollizione ai
confini con inevitabili ripercussioni interne.
Una grossa novità
però bisogna registrarla, perché è di fondamentale importanza per
questi anni: i nuovi rapporti con Napoleone III,felicemente
intrapresi e consolidati dalla Repubblica nel 1854, grazie
all'apertura presso quella corte del primo consolato sammarinese,
presieduto dall'avvocato Giovanni Paltrinieri. Costui, sebbene
oggi sia pressoché dimenticato, è forse da annoverare tra coloro
che più si sono distinti a favore della Repubblica, e che più
hanno contribuito alla sua salvezza, perché è lui che mantiene
ottimi rapporti con i Francesi, proteggendo così San Marino dai
pericoli e dalle mire del Vaticano e del Granducato di Toscana; è
lui che sa benignamente consigliare i governanti sammarinesi in
questi anni in cui i mutamenti sono talmente rapidi ed improvvisi
da trovarli spesso spiazzati. Ed alla Francia San Marino comincia
a ricorrere sempre più spesso, vuoi per chiedere se era possibile
inviare detenuti nelle sue colonie penali, (2) vuoi per
felicitarsi con Napoleone per la nascita del figlio, (3) vuoi per
donare medaglie onorifiche al suo ministro degli esteri. (4) E'
ovvio che questi contatti rientrano nella solita logica di
captatio benevolentiae che la Repubblica, vero vaso di coccio
fra tanti vasi di ferro, teneva praticamente da sempre con i
potenti. D'altra parte contatti simili sono facilmente
riscontrabili anche con gli altri Stati vicini, quello della
Chiesa primo fra tutti, ma anche il Granducato di Toscana e
l'Impero Asburgico, sia in questi anni, sia in quelli precedenti,
sia in quelli successivi.
Diversamente
non poteva fare, perché la sua sovranità più che da trattati e
documenti inoppugnabili dipendeva dalla tradizione e dalla
simpatia che aveva saputo e sapeva raccogliere. Tuttavia tra il
'54 e il '55 s'instaura con la Francia un dialogo privilegiato,
perché la Repubblica trova finalmente quel grande protettore che,
contrariamente a quanto pretendeva il Vaticano, era disposto a
donare la sua protezione senza condizioni, e garantendo nel
contempo la sovranità ed indipendenza interna ed esterna dello
Stato sammarinese. E così nel '55 le violente polemiche avute con
la Santa Sede in precedenza si placano temporaneamente, anche se
il problema dei rifugiati politici che le aveva scatenate rimane
ben vivo. Per questo la Reggenza eletta nel semestre ottobre 1854
- marzo 1855 (Francesco Guidi Giangi-Pietro Barbieri) dichiara
appena eletta, in data 14 settembre 1854, (5) che non aveva
nessuna intenzione di assumersi tutta la responsabilità per i
nuovi rifugiati che avessero voluto sostare in territorio in quel
semestre, e che voleva nominata da parte del Consiglio una
commissione "la quale indipendentemente dalla Reggenza deliberi sù
tale emergente". Si decise che la Reggenza poteva avvalersi per
fornire i permessi con cui sostare in territorio della consulenza
del Congresso Affari Esteri, il quale per l'occasione venne
allargato con l'aggiunta di due nuovi membri, precisamente Marco
Tassini e Pietro Righi. Nella stessa circostanza venne stabilito
che gli stranieri per godere dell'ospitalità sammarinese dovessero
compilare un modulo, rispondendo a tutte le richieste sul loro
conto, e in seguito attendere le deliberazioni adottate dal
Congresso stesso. Il 17 ottobre il Congresso fece la sua prima
relazione relativa ai rifugiati, (6) e nei mesi successivi si
deliberò di non fornire per il momento più ospitalità a nessuno.
La nuova Reggenza Gaetano Belluzzi e Francesco Rossini dovette
ritornare sul problema il 29 maggio per chiedere al Consiglio come
si doveva comportare nei riguardi dei rifugiati, visto che erano
ormai trascorsi i sei mesi stabiliti in cui non si doveva
permettere la sosta in Repubblica a nuovi fuoriusciti. Il
Consiglio in questa occasione stabilì di mantenere il veto
all'ingresso di rifugiati finché non si fossero prese decisioni in
contrario. (7)
Come si può
facilmente intuire, il problema dei rifugiati politici era
una sorta di patata bollente che nessuno voleva tenere tra le
mani, e che nessuno sapeva raffreddare. Ma il '55 fu un anno
tranquillo, in cui non accadde nulla di tanto grave da
rivivificare le ansie degli anni precedenti, per cui questo
maggiore controllo su chi entrava in Repubblica, e l'incontro
avuto nel mese di giugno tra il Reggente Gaetano Belluzzi,
recatosi a Roma per motivi personali, e le autorità pontificie,
ripristinò una certa tranquillità, tanto che nella seduta
consigliare del 24 giugno fu possibile affermare che i rapporti
col Papato erano tornati ottimi. (8)
Per fortuna.
Infatti nella seconda metà dell'anno San Marino dovette affrontare
un problema ben più micidiale di quello determinato dai rifugiati:
un'epidemia di colera che nel giro di pochi mesi, precisamente fra
agosto e ottobre, colpì 245 sammarinesi uccidendone un centinaio,
e manifestando come la Repubblica fosse praticamente impotente e
disarmata anche difronte a problemi di questo genere. (9)
Coi mesi freddi il
colera scomparve, ma ritornarono a galla le solite beghe col
Vaticano; infatti nelle prime settimane del nuovo anno dalle zone
limitrofe vennero avanzate molte richieste di arresto ed
estradizione di ipotetici rifugiati nel territorio sammarinese,
richieste che le locali autorità come sempre non poterono o non
vollero esaudire. Questo fatto provocò di nuovo le polemiche del
Delegato pontificio di Forlì il quale, con lettera dei primi di
marzo, tornò ad accusare le autorità sammarinesi di non voler
collaborare per arrestare i fuoriusciti. (10)
Il governo
sammarinese probabilmente aveva ormai capito che se voleva
garantirsi contro le continue pressioni e le eventuali
soverchierie del Vaticano, era indispensabile allacciare rapporti
diplomatici anche con altre potenze oltre a quella francese, per
poter così in qualche modo legittimare ufficialmente a livello
internazionale, e non solo ufficiosamente com'era in pratica
avvenuto fino al 1854, quella sovranità su cui lo Stato Pontificio
aveva ancora tanto da ridire. Così quando agli inizi del '56 un
certo marchese Giulio Cesare da Fasano di Genova avanzò richiesta
alla Repubblica di poterla rappresentare come suo incaricato
d'affari presso la corte di Torino, il governo iniziò
immediatamente ad interessarsi se il Regno Sardo fosse disponibile
ad accettare un suo rappresentante. (11) Venne incaricato a questo
scopo l'avvocato Paltrinieri con lettera del 24 marzo, ed egli un
mese dopo scrisse per comunicare d'aver ottenuto il permesso in
via ufficiosa. (12) Il 12 maggio San Marino inviò un dispaccio
ufficiale a Torino per chiedere il permesso di creare un
consolato, proponendo ovviamente il marchese da Fasano; il giorno
23 giunse la risposta del ministro degli esteri Cavour in cui si
accettava la richiesta. (13) In giugno fu spedito al marchese
l'atto di nomina, e il diploma di patrizio sammarinese, ma in
luglio Torino fece sapere che il marchese da Fasano non era più
gradito come console, e che era necessario nominare altra persona.
(14) La Repubblica si vide costretta ad incaricare ancora una
volta Paltrinieri ad interessarsi alla questione; passarono però
vari mesi prima che costui trovasse un uomo adatto: solo nel
gennaio del '57 propose un nuovo nominativo, precisamente
Zenocrate Cesari di Osimo, al quale venne concesso l'exequatur
nel mese di aprile come "Incaricato d'Affari Ufficioso". Essendo
suddito sardo non avrebbe potuto ricoprire tale funzione, ma "per
l'amicizia che il Re nutre verso l'unico ed antico avanzo delle
Repubbliche Italiane", come specificò Cavour con sua lettera
giunta il 6 aprile, fu permesso ugualmente. (15)
Negli stessi mesi
Paltrinieri si dovette occupare anche di un'altra questione per la
quale polemizzò fermamente con San Marino, colpevole di una grossa
gaffe nei suoi confronti, causata senza dubbio dalla sua
inesperienza nei rapporti diplomatici. Con lettera datata 16
ottobre 1856 ebbe a dire:
"I Giornali
di Roma hanno pubblicato un conflitto importante che ha avuto
luogo fra rifugiati pontifici e cittadini Sammarinesi. Molti
Giornali d'Italia e di Francia ripetono questa notizia, ed io non
ne so nulla, e non posso rispondere che evasivamente, o allegando
ignoranza assoluta alle persone ed ai pubblici funzionari che mi
chiedono su ciò schiarimenti. Ho pregato altre volte le
SS.VV.Eccme di dare gli ordini opportuni alla Segreteria perché io
sia immediatamente informato di tutti gli avvenimenti di una certa
importanza, onde io possa, richiesto, darne conto a questo
Governo: ma vedo con dispiacere che questi ordini sono stati
dimenticati, e che la dignità della Repubblica resta sagrificata,
dovendo io che la rappresento rispondere a queste Autorità che il
Governo di Sammarino non mi ha fatto comunicazione alcuna in
proposito. Trovo dunque indispensabile di rinnovare alle SS.VV.
Eccme la preghiera di farmi sempre, senza dilazione alcuna,
informare di quello che accade d'importante nella Repubblica,
poiché realmente, dovendo in ogni circostanza allegare
un'ignoranza inesplicabile in un rappresentante diplomatico della
Repubblica stessa, la mia posizione restando compromessa nelle
convenienze, non sarebbe per me lungamente tollerabile". (16)
In realtà
Paltrinieri aveva già avanzato lagnanze simili con lettera del 26
giugno 1854 per altri fatti, (17) ma evidentemente la Repubblica
non se ne ricordava, o non reputava fondamentale comunicargli
notizie dettagliate sull'episodio di cui egli chiedeva
spiegazioni. Il fatto in questione era l'uccisione avvenuta in
Borgo nella sera tra il 28 e il 29 settembre del rifugiato
Archimede Chiesa di Cesena, ammazzato con un'archibugiata, e
il ferimento di Federico Vernocchi. (18) Cosa fosse successo le
autorità sammarinesi non vennero mai a saperlo con precisione, e
ovviamente neppure chi avesse provocato tali fatti di sangue.
Tuttavia in questi anni in cui vi era la ferma convinzione tra gli
Stati confinanti che all'interno di San Marino operasse
indisturbata una setta mazziniana, qualunque fatto di sangue
veniva naturalmente ricollegato a questo timore.
Due giorni dopo,
comunque, la Reggenza si affrettò a rispondere al suo
rappresentante, comunicandogli gli ultimi fatti di sangue accaduti
in Borgo, e precisandogli che si erano verificati "per cause
totalmente particolari" tra alcuni dei pochi emigrati ancora
tollerati in territorio; "però l'ordine pubblico e la pubblica
quiete non vennero menomamente alterati -continuava la lettera-
e questo Tribunale Commissariale che nelle vie ordinarie procede
alle dovute verificazioni, ha già in suo potere due dei
maggiormente indiziati". Il fatto in questione in realtà non aveva
nulla di politico, ed era del tutto simile a fatti analoghi che
stavano succedendo un po' ovunque nello Stato Vaticano, anche se
giornali come il "Diario di Roma", la "Gazzetta di Bologna" e il
"Monitore Toscano" gli avevano dato un risalto eccessivo e
fuorviante. (19)
Paltrinieri ai
primi di Novembre comunicò di aver ricevuto le informazioni
richieste, e di aver fatto inserire un breve cenno sull' "Indipendence
Belge" in cui venivano specificati i fatti così com'erano
realmente avvenuti. (20) Ma il Vaticano non desisteva dal ritenere
la Repubblica un covo di banditi e di rivoluzionari pronti a
scatenare nuovi moti, tanto che ribadiva ancora con lettera giunta
a San Marino il 22 novembre che secondo le informazioni in suo
possesso esisteva all'interno di San Marino "un numero
considerevole di fuoriusciti, dei quali esiste un Comitato". (21)
La Repubblica rispose per l'ennesima volta che tali notizie erano
infondate; ma sapendo che le sue assicurazioni non erano tenute in
gran conto a Roma, s'industriò con maggior alacrità ancora
per procacciarsi alleati contro possibili persecuzioni,
sollecitando Paltrinieri a trovare senza meno un incaricato per
Torino, ed inviando un suo amico, il conte Pietro Rusconi di
Padova, a rendere omaggio all'Imperatore austriaco che stava per
recarsi a Venezia. Inoltre Paltrinieri il 27 novembre fu invitato
ad impegnarsi per creare con il Papato, sotto la supervisione di
Napoleone III, un concordato con cui regolare il diritto d'asilo e
di estradizione. (22)
Il 1856 si chiuse
in pratica con questi fatti e, come si può constatare, sebbene la
situazione interna di San Marino non fosse più incandescente come
nel '53 e '54, era ancora ben lontana da una definitiva
normalizzazione. Lo si può chiaramente dedurre anche dal Decreto
consigliare del 23 ottobre in cui si specificava che "nella
attuale deplorabile scarsità di soggetti capaci a sostenere i
pubblici Uffici, messa nella necessità di provvedere perché non
debbano per l'avvenire rinnovarsi più quei tristi casi, nei quali
talvolta questo Governo ebbe a trovarsi nel conferire le pubbliche
cariche, le quali in addietro con danno della pubblica cosa, o
furono dai candidati accettate sotto condizione o furono ricusate,
ove nelle medesime non venne aderito, propone al Principe una
legge che per l'avvenire valga a togliere efficacemente un così
grave e scandaloso disordine. Il Consiglio Principe, nel
riconoscere la saggezza della mozione fatta dalla lodata Reggenza,
e penetrato della necessità della Legge proposta, decreta
all'unanimità che per il tempo avvenire ogni cittadino debba
accettare, ed assumere puramente e semplicemente, secondo gli
statuti prescrivono, qualunque pubblico Ufficio al quale fosse
nominato ed eletto, e che qualsivoglia condizione che il candidato
si arrogasse di motivare, debba ritenersi per una di lui formale
rinuncia all'Ufficio stesso". (23)
NOTE
APPENDICE
2 - Il 1857
Il 1857 fu per
molti versi simile all'anno precedente. Nel mese di gennaio
Paltrinieri espose ufficialmente al ministro degli esteri francese
la volontà di San Marino di giungere ad un trattato di
estradizione con la Santa Sede per risolvere una volta per tutte
l'annosa polemica sui rifugiati. (24) Il ministro accettò senza
problemi la mediazione propostagli, ma il Vaticano oppose un netto
rifiuto: "Com'è già noto alle SS.VV.Eccme - scriveva Paltrinieri
il 12 febbraio - il Governo Imperiale aveva, a mia instanza,
offerto di concorrere co' suoi buoni uffici a facilitare la
conclusione di una tal convenzione, ed era stato per ciò scritto
al Conte di Rayneval (console di Napoleone a Roma -nda-)
d'invitare il Cardinale Segretario di Stato ad inviare a tal uopo
le necessarie instruzioni al Nunzio Pontificio in Parigi. La
risposta dell'Ambasciator Francese mostra chiaramente che il
Governo della Santa Sede rifugge dall'idea d'avere fra lui e la
Repubblica dei mediatori, e dei mediatori potenti ed imparziali".
In pratica Roma aveva rifiutato di sedersi ad un tavolo per
esaminare il problema, perché "il Governo Pontificio non ammette
che la Repubblica di Sammarino possa trattare con lui come da
eguale a eguale e meno ancora che possa trattare colla
mediazione di una terza potenza, o pel mezzo del Nunzio a Parigi.
Se vuol negoziare deve farlo in Roma ove potrebbesi ancor meglio
esaminare le quistioni relative all'affare", proseguiva sempre
Paltrinieri citando quanto comunicatogli da Rayvenal. Il Vaticano
basava tale sua richiesta "sulla circostanza importante ch'egli
considera la Repubblica di Sammarino come formalmente posta,
in forza di trattati speciali, sotto il protettorato
della Santa Sede". "Non vi sarebbe dunque perciò eguaglianza
perfetta d'uno Stato coll'altro -continua la lettera- quantunque
ciò non attacchi in modo alcuno l'indipendenza interiore
del territorio di Sammarino, la quale non debb'essere toccata. Ma
ne risulta che le relazioni esteriori della Repubblica colla Santa
Sede sono quelle di uno Stato protetto verso uno Stato protettore.
La convenzione che potrebbe aver luogo non avrebbe dunque in alcun
caso la forma di un trattato, ma ciò non impedirebbe la Repubblica
di ottenere il fine principale che si propone".
In definitiva il
Vaticano, mantenendo la sua solita logica tesa a considerare la
Repubblica di San Marino non uno Stato indipendente, ma solo una
sua porzione territoriale che per elargizione godeva di qualche
autonomia, voleva giungere a risolvere la questione dei rifugiati,
ma solo se si riconosceva formalmente la sua potestà, solo se
poteva vestire ancora una volta i panni di chi graziosamente
concedeva qualcosa ad un suo subalterno. Lo Stato sammarinese ora
però si sentiva come ai tempi di Napoleone I, quando in qualche
maniera chi la circondava non si considerava il suo padrone.
Napoleone III era lontano, ma era pur sempre avvertito come una
grossa garanzia, e questo permetteva ai governanti sammarinesi di
accentuare quella mentalità autonomistica, quel senso di sovranità
secolare, che nel corso dell'Ottocento, sicuramente più che nei
secoli precedenti, venne marcatamente sviluppandosi.
Paltrinieri concluse la
sua lettera suggerendo di fornire una "energica risposta" allo
Stato Pontificio, soprattutto col mostrare gli atti che San Marino
sicuramente aveva nei suoi archivi a testimonianza della sua
sovranità. Inoltre raccomandava l'invio immediato a Torino dei
documenti per Zenocrate Cesari, il nuovo candidato al consolato
presso quella corte che egli aveva suggerito circa un mese prima,
(25) "perché gioverà moltissimo in ogni caso la ricognizione
ufficiale di uno dei maggiori Sovrani d'Italia, sul quale la
Repubblica potrà contare in appresso, ed avere da lui validissima
protezione". (26)
Nei giorni
successivi San Marino fu bersagliato nuovamente da diverse
richieste relative a presunti rifugiati, e da un'altra polemica,
questa volta da parte del commissario pontificio di Bologna, per
le solite accuse di scarsa collaborazione nella cattura dei
ricercati. (27) Il 19 marzo Paltrinieri si rifece vivo chiedendo
nuovamente la documentazione per sostenere la totale indipendenza
sammarinese, e poter così redigere il trattato di estradizione. La
Reggenza gli rispose solo il 17 aprile dicendogli che Roma non
aveva alcun diritto a pretendere da San Marino "atti di
vassallaggio", e ancor meno aveva il diritto di "ricusare l'alta
ed imparziale mediazione della Francia". Non occorreva produrre
documenti perché tante altre volte erano già stati divulgati, e il
Vaticano li conosceva benissimo; tuttavia veniva spedita una lunga
relazione in cui erano esposti tutti i motivi per cui San Marino
si sentiva Stato indipendente e sovrano. (27a)
Come si è già
detto, negli stessi giorni fu comunicato da Torino che Zenocrate
Cesari era stato accettato come "Incaricato ufficioso d'affari del
governo di San Marino", per cui la Repubblica era riuscita nel suo
intento di aprire un altro canale di dialogo tramite cui poter
tenere ancora più testa al Vaticano. In realtà nell'immediato
questo nuovo ufficio aperto presso la corte dei Savoia non gioverà
più di tanto per sedare le polemiche con Roma; tuttavia si
dimostrerà fondamentale da lì a qualche anno, quando i Savoia
daranno vita alla graduale annessione dei vari Stati italiani,
risparmiando proprio il minuscolo Stato.
Le diatribe col
Vaticano continuarono, e San Marino dovette accettare a denti
stretti anche l'invio di carabinieri pontifici sul suo territorio
in ausilio alle sue milizie, in quanto tra maggio e giugno si era
formata una banda di malviventi, capeggiata proprio da un ex
carabiniere pontificio, che scorazzava tra il territorio di San
Marino e le zone limitrofe. Per poter eseguire perquisizioni
minuziose attraverso tutto il territorio, Roma aveva offerto (ma
si può pensare anche ad una sorta di imposizione) aiuto con
l'invio dei suoi militi agli ordini, però, degli ufficiali
sammarinesi. In una di queste perquisizioni, compiuta tra il 3 e 4
giugno, era morto accidentalmente anche un milite sammarinese, ma
oltre a ciò non registriamo fatti particolarmente eclatanti degni
di essere narrati. (28)
La paura nei
confronti di San Marino era sempre la stessa: si temeva che al suo
interno operasse indisturbato un gruppo rivoluzionario e
mazziniano, pronto a colpire nelle zone limitrofe appena ve ne
fosse l'occasione. Lo stesso Cesari in una delle sue prime lettere
inviate alla Repubblica, certamente non per caso, scrisse:
" I movimenti di Genova vennero completamente vinti sul nascere.
Può anzi dirsi, che fu un semplice conato. Però le cose erano
preparate su vaste proporzioni, che fortunatamente non poterono
svilupparsi per la vigilanza del Governo, e molto pel caso. Il
movimento era Mazziniano, diretto a quanto pare da quest'uomo
fatale alla povera Italia. Si guardino le SS.VV.Eccme dalle
ramificazioni di questa setta, che pur troppo van mettendo qualche
radice anche in mezzo a Stati retti a libertà, perché sanno, che
la libertà è l'antidoto dell'anarchia". (29)
Il 18 luglio è il
ministro degli interni toscano a scrivere al commissario della
legge Landi per comunicargli che, da informazioni in
suo possesso, in territorio sammarinese vi era un deposito
di armi pronto ad essere usato per "nuovi tentativi
rivoluzionari", e che negli ultimi tempi si era di nuovo reso
"molto attivo il movimento di Emigrati Politici o manifesto, o
clandestino, tanto che resta evidente, che hanno fra mano qualche
grossa faccenda". Dalla lettera si capisce facilmente che tra lo
scrivente, il cavalier Allegretti, segretario del Ministero
dell'Interno, e Landi vi era un rapporto d'amicizia, e che si
invitava in pratica il commissario a fare una spiata contro San
Marino: "Affidato alla Sua amicizia, e all'affetto, che
anche lontano deve sentir la Patria, mi permetto incomodarla e
domandarle, se sussistano quelle due capitali circostanze, o si
abbiano costì altri sintomi di politiche agitazioni e riguardo
alla Toscana, o al limitrofo Stato Pontificio. E' inutile, che Le
aggiunga, che ogni relativa Sua confidenza rimarrà quanto alla
origine nel più impenetrabile secreto, e riceverà a se stessa
l'uso il più discreto e riservato". Ricevuta la lettera, il
commissario, con grande onestà, la rese nota alla Reggenza "nella
quale risiede la Somma degli affari Governativi estranei al mio
Ministero di Giudice Civile e Criminale", come comunicò in seguito
ad Allegretti. "Sono autorizzato a rispondere -proseguì ancora-
che fin qui non consta affatto i depositi d'armi nel Territorio
Repubblicano anzi si stima impossibile per la indefessa vigilanza
interna attivata in modo specialissimo anche prima dell'ultima
cospirazione in riguardo delle Bande ormai felicemente sbandate
(le bande in questione erano due e formate da diversi malviventi
che nei mesi precedenti avevano compiuto scorrerie sia in
territorio sammarinese, che in quello limitrofo -nda-).(...) Non è
vera l'affluenza di Emigrati Politici; solamente è cresciuto in
questi giorni l'afflusso de Forestieri visitatori della Repubblica
in grazia dei Bagni e del nuovo Teatro che poco fà si sono aperti
nella vicina Rimini, ma questi Forestieri vengono, visitano le
cose notevoli ed in breve ora tornano d'onde son venuti. Posso di
certa scienza assicurare il Governo Toscano che quello Sammarinese
appena sentito gl'ultimi movimenti politici forsennatissimi si è
posto in attiva relazione con i suoi Consolati di Parigi e di
Torino per evitare qualunque contracolpo, che mi ha chiamato ad
una consulta di Stato per discutere un progetto meglio assicurante
a legale permanenza di qualunque Forastiero passato a pieni voti
nell'adunanza di Sabato mattina; che la Reggenza ed il Congresso
degli affari Esteri composta da uomini affezionati all'ordine
sentono la loro Dignità e sono impegnatissimi a mantenerla; anzi
si sdegnerebbero altamente se gli agitatori che vanno in cerca di
Anarchia meditassero di abusare della legittima libertà
Sammarinese e da loro tenuta cara ed intangibile come retaggio del
Santo Fondatore. Sanno benissimo che le mene rivoluzionarie furono
scoperte dal Gabinetto Francese, e gloriosi della protezione di
S.M. l'Imperatore Napoleone si guarderebbero bene da qualunque
tolleranza. Ad abbondante cautela però la Reggenza ha comunicato
anche più pressanti istruzioni al Comandante Generale delle
Milizie perché faccia stare costantemente in guardia i suoi
dipendenti". (30) Sebbene Landi, che era stato assunto come
commissario solo da un paio di anni, avesse potuto rispondere
confidenzialmente ad Allegretti in ben altra maniera, provocando
chissà quali conseguenze, egli preferì assicurare che a San Marino
tutto era tranquillo. E' quindi logico anche per noi credere alle
sue affermazioni, valutando come gonfiate le paure della Toscana e
di Roma, che verosimilmente doveva essere in questo periodo in
stretta relazione col Granducato, forse con la mira di ridurre la
Repubblica di San Marino, ritenuta dallo scampo di Garibaldi in
poi un covo per sbandati, ad una maggiore sottomissione.
Negli stessi
giorni, probabilmente per questo motivo, fu inviato a Ravenna il
conte Gaetano Belluzzi con l'incarico di ossequiare Pio IX in
transito in quella città. Egli aveva già svolto un'ambasceria
simile, quella volta in compagnia di Francesco Guidi Giangi, il 30
maggio a Pesaro, dove l'udienza col Papa era stata assai cordiale
e completamente priva di polemiche e accuse. (30a) Nel secondo
colloquio , invece, il Papa si dimostrò molto preoccupato per la
questione dei rifugiati politici, e in seguito Belluzzi da un
ulteriore incontro avuto col suo Segretario di Stato Monsignor
Berardi, che fonti dell'epoca ci descrivono come molto ostile alla
volontà e mentalità indipendentistica di San Marino, (31)
venne a sapere che se in qualche maniera la faccenda non si fosse
risolta, vi era l'intenzione di attuare un altro intervento armato
in Repubblica. (cfr. appendice n° 20 ) Simili affermazioni misero
in grave allarme i governanti sammarinesi, i quali cercarono di
prevenire possibili interventi contro la Repubblica scrivendo a
Monsignor Berardi una lettera piena di buone intenzioni, e
dichiarandosi disponibili ad esaminare subito con le autorità
pontificie il problema, anche se non volevano assolutamente
rinunciare alla promessa mediazione del governo francese. (app.
20) Così, appena tre giorni dopo, il 28 luglio, riscrissero a
Paltrinieri il quale pur essendosi dimesso da console sammarinese
già dal 19 aprile, perché nominato console francese a Parma,
ancora era considerato, così come lo sarà fino alla sua morte, il
miglior consulente dello Stato sammarinese. Egli rispose questa
volta dalla sua nuova sede ribadendo che se si riusciva a porsi
intorno ad un tavolo per creare il trattato di estradizione
desiderato, egli avrebbe fatto di tutto perché la Francia aiutasse
San Marino, purché tale incontro avvenisse a Roma come ideato fin
da subito, e non a Bologna come avrebbero desiderato le autorità
pontificie. (32) Il 10 agosto poi la Reggenza per esporre la sua
versione dei fatti inviò un memoriale degli ultimi avvenimenti
accaduti e delle nuove polemiche col Vaticano ai suoi quattro
rappresentanti diplomatici, e cioè al nuovo console di Parigi
avvocato Filippo Canuti, che per il suo passato politico non potrà
ricevere l'exequatur dal governo francese e verrà da lì a
qualche mese sostituito da Enrico D'Avigdor, (33) a quello di
Torino Cesari, al suo rappresentante di Roma Alessandro Savorelli,
ed all'amico Paltrinieri. (cfr. app. n° 27)
Tutte queste
polemiche inoltre ebbero ripercussioni anche sui rapporti
commerciali tra Santa Sede e San Marino, perché nei mesi di luglio
ed agosto si discusse a lungo tramite una fitta corrispondenza
intorno alla quantità di tabacchi spettante alla Repubblica, con
il Vaticano da una parte che proponeva una quantità minima, e San
Marino dall'altra che chiedeva invece un quantitativo superiore,
indispensabile, secondo i suoi governanti, a coprire il semplice
fabbisogno interno.
Tale precaria e
pericolosa situazione, che avrebbe potuto degenerare per un
nonnulla, indusse il Consiglio a rivedere la legge sull'asilo ai
rifugiati del 28 agosto 1842, (34) e a promulgarne una nuova in
data 4 agosto con norme più restrittive e severe. (app. 4) Fu in
base a questa legge, comunque, che San Marino nell'ottobre di
quell'anno si rifiutò di consegnare ai Papalini il rifugiato
Matteo Mini, accusato di omicidio, perché l'assassinio commesso
non era premeditato. Ci si limitò per questo a scarcerarlo, e ad
espellerlo dal territorio sammarinese. (35)
Nonostante quest'episodio che
avrebbe potuto far surriscaldare ulteriormente gli animi, la legge
del '57 ebbe invece il potere di normalizzare la questione dei
rifugiati, anche se non si riuscì a giungere mai ad un trattato di
estradizione col Vaticano per il fermo rifiuto di quest'ultimo a
considerare San Marino uno Stato con piena sovranità. Le polemiche
insorte sulla sede in cui incontrarsi per redigere il trattato
(Roma voluta da San Marino e dalla Francia, Bologna voluta dalla
Santa Sede), e il ruolo della Francia stessa nascondevano in
realtà questa secolare diatriba che anche dopo l'unificazione
italiana, precisamente nel 1865, tornerà puntualmente fuori, tanto
che il Vaticano per l'ennesima volta si
rifiuterà di essere sede di un
consolato sammarinese. (36) Tuttavia nell'immediato la situazione
si placò, anche perché nel 1858 la Repubblica consegnò ai
carabinieri pontifici vari ricercati, e il Vaticano non ebbe più
tanti motivi di contestare l'operato sammarinese. Il 1857 si può
senz'altro considerare storicamente quindi come l'ultimo anno di
gravi contese tra Stato pontificio e San Marino.
Per concludere su
quest'anno problematico, si può dire ancora che d'importante non
accadde molto di più di ciò che si è già raccontato. Degna di nota
può essere la legge ipotecaria sul bollo e registro promulgata il
26 marzo, (37) prima legge di questo tipo per San Marino; aveva lo
scopo di mettere più ordine in un settore assai delicato della
vita comunitaria, ed ancor più voleva fornire altri introiti
fiscali ad uno Stato che, avendone pochi, sentiva l'esigenza di
denaro per uscire da quella dimensione medievale in cui era ancora
pienamente immerso, e che ormai avvertiva come arcaica e
soffocante. Di economia parleremo lungamente più avanti; basti
dire ora che questa legge, che entrerà in funzione praticamente il
7 gennaio del 1858 con l'apertura dell'Ufficio d'ipoteca, bollo e
registro, non rimpinguerà più di tanto le casse dello Stato, e
determinerà invece solo un leggero aumento degli introiti,
piuttosto impercettibile rispetto alle enormi esigenze del
momento.
Questi bisogni
impellenti erano causati soprattutto dalla mancanza di strade,
perché quelle che vi erano o risultavano disastrate, o modeste, o
insufficienti rispetto ad una popolazione in rapida crescita che
capiva ormai che il suo futuro poteva dipendere in larga parte dai
commerci, e quindi dai collegamenti con le zone limitrofe. Negli
ultimi anni '50 si consolida gradualmente in ampie fasce della
popolazione questa consapevolezza, e ancor più nel corso degli
anni '60, periodo che io considero il punto di partenza per la
formazione di un'embrionale forma di borghesia locale. Chi volesse
leggere i verbali delle sedute consigliari di quest'epoca potrà
facilmente constatare come in questi anni emerga una voglia di
fare, un dinamismo del tutto assente fino ai primi anni '50, con
una serie di richieste, puntualmente avanzate ai governanti, di
chiaro sapore borghese. Più pressante di tutte è senz'altro la
richiesta di strade, e in questi anni in particolare l'ultimazione
della nuova strada di congiunzione tra Città e Borgo, strada
iniziata fin dal lontano 1839, ma mai terminata per la costante
carenza di denaro. Nonostante che la vecchia strada delle Piagge
fosse ridotta "in stato pericoloso per gli uomini e per le
Bestie", non si riusciva ad ultimarla, tanto che il 4 giugno,
sempre del '57, si esamina in Consiglio un progetto di legge con
cui i Sammarinesi compresi tra i 16 e i 60 anni, possidenti o
coloni che fossero, dovevano "prestare annualmente una giornata
gratis" per lavorare alle strade. Chi si rifiutava doveva
stipendiare qualcuno al suo posto, ed inoltre veniva stabilita una
tassa da pagarsi ogni ottobre in base all'estimo censuario e
riservata esclusivamente alle strade. (38)
E' chiaro che
questa legge può considerarsi una sorta di grossolano tentativo di
risolvere un problema sentito ormai come prioritario, senza avere
in realtà i mezzi necessari per farlo. Non a caso la strada in
questione verrà ultimata solo nel 1878 grazie a ben altri introiti
rispetto a quelli che si voleva raccogliere nel '57, così come
tutte le altre strade di cui già in questi anni si sentiva forte
necessità, ma che potranno essere sviluppate e portate a termine
solo negli ultimi trenta, trentacinque anni del secolo.
Ultimo fatto degno
di attenzione per quest'anno è l'iniziativa che emerse per opera
di alcuni Toscani di voler scavare a Faetano una miniera, perché
qui secondo loro vi potevano essere giacimenti di zolfo ed altri
minerali. S'iniziò una fitta corrispondenza ancora rintracciabile
nel Carteggio della Reggenza di quest'anno, nacquero speranze ed
illusioni di poter trovare un'importante fonte di reddito, ma alla
fine, dopo vari anni di discussioni intorno a questa possibilità,
verrà lasciato cadere tutto sia per scarsa fiducia nei forestieri
interessati, sia per timori vari legati alla mentalità
pauperistica del ceto al potere, sia infine perché non vi era la
matematica certezza che tale impresa potesse essere conveniente.
NOTE
APPENDICE
3 - Il 1858
Il 1858 è
certamente un anno molto più tranquillo di quelli precedenti, e
pochi sono i fatti degni di menzione. Le polemiche con Roma
praticamente cessano del tutto, e quindi anche l'esigenza di
stipulare trattati e definire le reciproche posizioni viene
momentaneamente lasciata in sospeso. Il Consiglio non promulga
alcuna legge, nè deve esaminare temi di particolare gravità o
interesse. Le poche questioni che affronta riescono in genere ad
essere solo preliminari, e non provocano durante l'anno riforme.
Degna di
qualche accenno può essere la proposta della Reggenza (Settimio
Belluzzi-Giacomo Berti) presentata nella seduta consigliare dell'
11 marzo tendente a voler riordinare la Congregazione Agraria per
"l'incoraggiamento della Agricoltura che costituisce la maggiore
delle nostre ricchezze", e per "tener cura specialmente della
buona direzione delle Acque", cura disattesa un po' su tutto il
territorio. La proposta venne accettata e fu per questo nominata
una commissione formata da 13 consiglieri per esaminare meglio il
problema. Il 17 giugno la commissione portò in Consiglio un
progetto che fu in massima parte accettato, ma che, da quanto mi
risulta, per qualche motivo non fu mai trasformato in legge,
nonostante che il Consiglio avesse deliberato in tale maniera.
(39)
Gli stessi
Reggenti inoltre, sempre nella seduta dell'11 marzo, mostrarono
"la convenienza e l'utilità che la pubblica Libreria fosse aperta
almeno una volta alla settimana a comodo di chiunque". Il
Consiglio fu d'accordo, e venne incaricato all'istante lo studente
Federico Gozi, "giovane di buona indole, studioso e di felice
speranza" di aprire la biblioteca una volta alla settimana. Per
questa mansione avrebbe ricevuto un modesto compenso.
In ottobre un
altro fatto a cui si può brevemente accennare: il giorno 18 venne
letto in Consiglio un progetto per la costruzione di un ospedale,
istituzione che la Repubblica non aveva. In tale occasione si
sottolineò la necessità di un simile servizio perché a San Marino
esisteva solo un gruppo di "pietose donne" che accudiva come
poteva gli ammalati, e che era stato affiancato nel 1839 dalla
Congregazione di Carità "che portando i suoi soccorsi al domicilio
degli infermi mirava allo scopo di temperare le loro angustie" con
quei pochi scudi di rendita di cui poteva disporre.(40) Pure la
creazione dell'ospedale tuttavia dovette aspettare tempi migliori,
sempre per colpa della perenne mancanza di denaro, per cui anche
questo progetto lo possiamo considerare solo preparatorio.
Il 26 ottobre
la nuova Reggenza (Filippo Belluzzi-Pasquale Marcucci) avanzò
un'altra proposta interessante, e ormai ricorrente da parecchi
anni: quella di compilare un "codice criminale che meglio risponda
alle condizioni dei tempi", visto che gli Statuti del '600 a cui
la Repubblica ancora si richiamava erano indubbiamente per
molti versi superati. Si suggeriva come giurista adatto a redigere
questo lavoro il professor Luigi Zuppetta, il quale era stato
proposto dall'incaricato di Torino Cesari, e sostenuto anche da
Paltrinieri. Lo Zuppetta verrà poi assunto, ma la stesura del
nuovo codice penale richiederà diversi anni, per cui anche in
questo caso non possiamo per il momento registrare sostanziali
novità nella situazione sammarinese.
4 - Il 1859
Del 1859 dovremo
parlare più a lungo, perché vi avvengono fatti assai importanti e
degni di essere quindi attentamente analizzati. Tra l'altro è
l'anno della prima Reggenza di Palamede Malpeli, ed anche su
questo fatto dovremo spendere non poche parole.
I primi mesi
dell'anno non meritano particolare attenzione; non vi avviene
nulla d'interessante, tranne il maltempo, assai piovoso e nevoso,
che sempre determinava forti disagi sia per il paese che aveva vie
di comunicazione facilmente deteriorabili, e già in larga parte
deteriorate, sia per la sua agricoltura basata ancora su
concezioni arcaiche, e strettamente vincolata al buon andamento
delle stagioni. Degna di menzione può essere la proposta avanzata
nel Consiglio del 10 aprile dalla nuova Reggenza (Giuliano
Belluzzi, che era uomo di idee progressiste e riformiste, e
Michele Ceccoli) di impiantare nel castello di Acquaviva una
fabbrica per la lavorazione del cuoio. Egli invitava i
"benestanti" della Repubblica a finanziare tale impresa sia per
fare opera "filantropica", perché con essa si sarebbe dato lavoro
ai tanti giovani disoccupati e si sarebbe fornito sicuramente
qualche utile allo Stato che era bisognoso di denaro, sia per far
opera "politica", perché avrebbe permesso a San Marino di creare
un'industria in concorrenza con quelle delle zone limitrofe, e
avrebbe contribuito a diminuire "il lagrimevole pauperismo,
scatturigine di tutti i reati che (...) angustiano la nostra
piccola società". Non bastava secondo la Reggenza creare un codice
penale moderno (Zuppetta era arrivato a San Marino in febbraio e
stava compilando tale codice con l'ausilio di una commissione
locale da lui esplicitamente chiesta) (41) se non si estirpavano
le cause prime dei delitti, ovvero proprio il pauperismo che
costituiva senza dubbio "un insormontabile impulso alla infrazione
della legge"; "la stessa inflessibilità e rettitudine della
Magistratura -proseguiva la Reggenza- torna inefficace, laddove
una Classe di Cittadini senta il diffetto del necessario per
mancanza di lavoro". (42) Il Consiglio si dimostrò d'accordo su
simile proposta, ed un paio di settimane dopo la cittadinanza fu
avvisata con pubblico bando di tale iniziativa. (43) Nei mesi
successivi si cercarono i finanziamenti per la fabbrica, anche
tentando di coinvolgere, tramite il console sammarinese in
Francia, uomini d'affari interessati, e adoperandosi per vendere
le azioni della nuova industria. Nonostante ciò non si riuscì a
portare a termine il progetto, pur dopo essere riusciti a vendere
anche alcune azioni: infatti furono pochi i finanziatori
dell'impresa, soprattutto per colpa della turbolenza dei tempi
dovuta allo scoppio della seconda guerra d'indipendenza.
Dei primi mesi
dell'anno è anche la nomina del nuovo console sammarinese a
Parigi, Enrico D'Avigdor, il quale venne accreditato alla corte di
Napoleone III nell'ultima decade di febbraio, e fu ricevuto
dall'Imperatore in persona nei primi giorni di marzo. Egli era
stato proposto alle autorità sammarinesi dallo stesso Paltrinieri
nell'ottobre dell'anno precedente, dopo che l'avvocato Canuti
aveva dovuto rinunciare definitivamente, nel mese di settembre, a
sostituire proprio Paltrinieri per l'ostilità manifestatagli dal
Vaticano. (44) Balsimelli nel suo studio sulle rappresentanze
diplomatiche sammarinesi (45) non tratta molto bene D'Avigdor; ed
in effetti anch'io ho potuto constatare che a volte certi suoi
comportamenti sembrano più da avventuriero che da diplomatico.
Tuttavia egli divenne, in particolare nei primi anni '60, un
corrispondente, e spesso un consulente fondamentale della
Repubblica, capace anche di fornirle ottimi pareri, e di aiutarla
ad uscire da quell' impasse di natura economica che la
costringeva ad essere perennemente in uno stato di bisogno. E'
chiaro che nel panorama sammarinese e rispetto alle locali
consuetudini egli era, come lo sarà in minor misura pure Palamede
Malpeli, una figura totalmente nuova, senz'altro molto disinvolta
e forse addirittura spregiudicata, ma anche utile e stimolante per
una realtà provinciale, conservatrice e chiusa in se stessa
com'era ancora in questo periodo San Marino. Personalmente non mi
sento né di condannarlo, né di esaltarlo: riconosco però il suo
proficuo ruolo a vantaggio della Repubblica, anche se posso
immaginare senza grosse difficoltà che non sia stato probabilmente
mai del tutto disinteressato.
La prima
corrispondenza di un certo interesse di Avigdor è del 23 aprile,
ed è strettamente legata a quanto stava succedendo in Italia dove,
dagli accordi di Plombieres (20,21-7-1858) tra Francia e Savoia in
poi, si era venuta preparando la guerra contro l'Austria. Nei mesi
di febbraio e marzo l'Inghilterra aveva iniziato a svolgere
un'opera di mediazione per sistemare in maniera pacifica la
questione italiana, e sempre nel mese di marzo la Russia,
stimolata in questo dallo stesso Napoleone, aveva proposto
l'organizzazione di un congresso in cui discutere il problema.
Avigdor scrive in proposito alla Reggenza, comunicando che, a suo
parere, la Repubblica avrebbe dovuto farsi riconoscere anche
dall'Inghilterra "onde avere una potenza di più, interessata a
mantenere la sua esistenza", e che avrebbe dovuto chiedere a
Cavour se reputava utile che San Marino fosse presente
all'organizzando congresso. (app. n° 25)
La Reggenza gli
rispose pochi giorni dopo, il 29 aprile, accettando i suoi
suggerimenti, ed incaricandolo di recarsi in Inghilterra per conto
di San Marino. (46) Il 27 però iniziò la guerra; Cesari da Torino
scrisse per fornire qualche suggerimento alla Repubblica, visto
che il progetto del congresso europeo era definitivamente
tramontato. Egli proponeva di congratularsi con Minghetti, appena
nominato segretario del ministero esteri, e di raccomandargli la
protezione della Repubblica, dandogli magari anche
un'onorificenza. Inoltre suggeriva l'invio di "un piccolo corpo di
volontari da aggregarsi all' armata italiana"; "le cose d'Italia
eccmi Signori -aggiungeva- prendono un imponente carattere a
vantaggio di questo leale, e veramente nazionale Governo, e parmi
quindi, che la nostra Repubblica possa liberamente far voti per la
sua grandezza e prosperità". (47) Ovviamente la Repubblica si
mantenne nella sua usuale politica della neutralità, e provvide a
comunicare in data 14 maggio che l'invio di un corpo di volontari
sarebbe stato senz'altro "un passo inconsiderato", e che quindi
non l'avrebbe fatto. Ciò non toglie, tuttavia, che un cospicuo
gruppo di giovani sammarinesi, approssimativamente una trentina,
partisse per proprio conto per partecipare alla guerra, così
com'era avvenuto anche in precedenza nel 1845 e nel 1848-49. (48)
I tempi turbolenti
suggerivano alle autorità sammarinesi non di alimentare l'incendio
che stava divampando, ma di premunirsi ulteriormente contro
qualunque mutamento fosse potuto accadere, per cui più che
partecipare alla guerra, si preferì intrecciare amicizie e più
fitti rapporti diplomatici con chi in seguito avrebbe potuto
essere utile. Così, sempre nel mese di maggio, emerse l'intenzione
di blandire ancora una volta la Francia, coll'offrire al principe
imperiale il titolo di Generale onorario delle locali milizie, e
venne contattata per la prima volta l'Inghilterra tramite il
console Avigdor. Il 31 egli così scriveva: "Ho il piacere di
annunciare alle SS.VV. II. che i miei passi sono stati
coronati da un pieno successo, e che sono stato ricevuto (...) non
solamente come Incaricato d'Affari, ma come Inviato Straordinario
e Ministro Plenipotenziario della Repubblica presso di S.M. la
Regina Vittoria. Non mi resta ad aggiungere per più ampia
informazione delle SS. VV. che questa particolarità, cioè che Lord
Malmesbury (ministro degli esteri inglese -ndr) mi ha accolto
colla massima benevolenza e m'ha ricolmo di cortesie e di
gentilezze". La Reggenza gli rispose il 12 giugno felicitandosi
per l'importante esito della missione, e comunicandogli la volontà
di farsi rappresentare da lui anche "in qualche Stato della
Germania, come in Prussia". (49)
Negli stessi giorni
la Repubblica tornò ad avere qualche problema col Vaticano, sempre
pronto a tenerla sulle spine quando la situazione italiana era più
effervescente e tumultuosa. Dopo varie lettere di lagnanze per i
rifugiati che a detta dello Stato Pontificio avevano trovato
dimora in Repubblica, una pattuglia di soldati svizzeri era
penetrata in territorio senza il permesso delle locali autorità.
Subito i Reggenti scrissero a Parigi e a Torino perché i loro
rappresentanti informassero le corti francese e sabauda, ed il 14
giugno inviarono una solenne nota di protesta al Delegato di
Forlì; ma come sempre non poterono far altro, e dovettero
rassegnarsi all'accaduto. (50)
Nel mese di luglio
la II guerra d'indipendenza venne ad interrompersi per
l'armistizio di Villafranca firmato tra Napoleone e Francesco
Giuseppe il giorno 11; tuttavia il processo da essa innescato
continuava anche ad ostilità terminate. Intorno a San Marino dallo
scoppio della guerra in poi si era venuta a determinare una
situazione assai precaria e mutevole. Il 27 e 28 aprile era
insorta Firenze e aveva cacciato Leopoldo II; il 1 maggio fu la
volta di Maria Luisa di Borbone che per tre giorni dovette
andarsene da Parma dove poté tornare, anche se solo per un
altro mese, grazie all'intervento a suo favore dell'esercito del
ducato; dopo la battaglia di Magenta (4 giugno) è il duca di
Modena Francesco V che se ne va lasciando il suo Stato
praticamente in mano ai Piemontesi; il 12 a Bologna si svolge una
dimostrazione popolare diretta dagli uomini della Società
Nazionale che costringe il legato pontificio, cardinal Giuseppe
Milesi Pironi Ferretti, ad andarsene: subito dopo viene costituita
una giunta provvisoria di governo , il cui primo atto è l'invio a
Cavour di un dispaccio in cui si offre la dittatura a Vittorio
Emanuele II. Solo l'11 luglio però, a causa delle complicazioni
diplomatiche che avrebbero potuto provocare un intervento
piemontese nello Stato pontificio, viene inviato a Bologna con
poteri di governatore Massimo d'Azeglio. Tra il 12 e il 22 giugno
Ravenna, Forlì, Ferrara e tutte le altre città della zona
insorsero senza spargimento di sangue, perché le truppe pontificie
passarono dalla parte degli insorti, o si dispersero. Anche una
parte delle Marche fino a Jesi e ad Ancona insorse, così come gran
parte dell'Umbria. Il governo pontificio non assistette
passivamente al frantumarsi del suo Stato: il 20 giugno Pio IX
scomunicò gli insorti, e le sue truppe iniziarono una
controffensiva che permise di rioccupare molte zone e città delle
Marche e dell'Umbria. Rimasero però libere le legazioni fino a
Cattolica, e al principio di luglio esse erano presidiate oltre
che da forze volontarie locali, dalle truppe del generale
Mezzacapo giunte dalla Toscana. Con la pace di Villafranca la
delusione tra gli italiani fu tanta, così come la paura di
ritornare alla situazione precedente lo scoppio della guerra. Ma
la coscienza nazionale era ormai fortemente sviluppata nelle zone
insorte, per cui non vi fu la restaurazione delle vecchie dinastie
regnanti, come l'armistizio in parte prevedeva, ma una serie di
plebisciti che determinarono nei mesi successivi l'annessione
delle terre insorte al regno di Vittorio Emanuele II. Con la
spedizione dei Mille del maggio 1860 si giunse all'unificazione di
quasi tutta l'Italia.
E San Marino? La
Repubblica non poteva far altro che assistere passivamente al
rapido evolversi degli eventi. Il 1 luglio la Reggenza inoltra le
sue felicitazioni al governo provvisorio di Ravenna, il 13
stabilisce che "sia praticato un Atto di ossequio" a Massimo
d'Azeglio a Bologna; sempre lo stesso giorno scrive al locale
arciprete per dirgli che "non per cieco arbitrio, ma per
prudenziali riflessi resta vietata al Sig. Arciprete Giannini,
Uditore Vescovile la pubblicazione dell'Allocuzione di S.S.PP. Pio
nono tenuta nel Concistoro secreto del 20 Giugno decorso"; il 14
scrive ad Avigdor comunicandogli che, contrariamente a quello che
stava accadendo in Romagna, in territorio era tutto tranquillo; il
25 inoltra formale richiesta di scarcerazione per Trifone
Pasqualini, detenuto per motivi politici fin dal 1854, (51) al
regio commissario straordinario di Bologna, scarcerazione che
viene concessa il 30. (52)
Quanto stava
accadendo in Italia aveva avuto quindi solo riflessi marginali in
Repubblica, almeno all'inizio; ma anche con il nuovo Regno
italiano ben presto iniziano polemiche, sempre per i soliti motivi
che avevano così a lungo determinato attriti con il Vaticano: il
ruolo di enclave che San Marino volente o nolente aveva. In agosto
arrivano le prime richieste per la consegna di fuoriusciti; in
ottobre da Bologna vengono lanciate accuse tendenti a sostenere
che a San Marino si trovavano individui che invitavano i militari
italiani alla diserzione, e che si esportavano a favore dello
Stato pontificio cereali e vino; in novembre vengono perquisite
numerose abitazioni alla ricerca di armi provenienti dalla
Romagna, e che il governo regio assicurava essere qui nascoste;
sempre nello stesso mese si fa seria l'ipotesi della creazione di
dogane ai confini; in dicembre vengono richiesti altri rifugiati
ancora. Il 26 ottobre la Reggenza aveva assicurato le autorità
limitrofe che San Marino era neutrale, che a parte qualche
prete fuggiasco e qualche disertore non avevano dimorato in
territorio altri individui ricercati, e che era improbabile che si
rifornissero di cereali e vino i soldati pontifici. La situazione
insomma non era tranquilla, ed in tempi in cui lo Stato sabaudo
stava allargandosi di giorno in giorno dovettero sorgere non pochi
dubbi sulla possibilità di potersi mantenere neutrali e anche
indipendenti.
D'altronde queste paure
emergono nitide soprattutto negli anni successivi, e precisamente
fino ai primi mesi del 1862 quando viene firmata la prima
Convenzione italo-sammarinese, documento importante non solo per
smussare i dissidi, ma soprattutto perché è il primo atto che
sancisce in qualche maniera la sovranità di San Marino. Di tutto
ciò parleremo meglio nel prossimo capitolo; ora sia sufficiente
sapere che già durante la II guerra d'indipendenza il rapporto tra
il neo Regno italiano e la Repubblica non è del tutto pacato
e lineare. Anche perché Zenocrate Cesari alla fine di luglio
lascia il suo incarico per motivi personali, e il suo successore,
l'avvocato Raffaele Consorti, potrà ricevere l'exequatur da
Torino solo agli inizi di aprile del 1860, dopo non poche
difficoltà e discussioni. (53)
NOTE
APPENDICE
4.1 - L'ordine equestre di San
Marino
Rimandando alle
prossime pagine dunque l'esame dei problematici rapporti iniziali
tra Italia e San Marino, analizzeremo ora altri avvenimenti
importanti che si verificano nella seconda metà del '59, primo fra
tutti l'istituzione di una decorazione ufficiale che tanti
vantaggi diplomatici ed economici produrrà per San Marino. In
verità la Repubblica disponeva fin dal 1852 di una "Medaglia del
merito militare" distinta in tre gradi con cui premiava cittadini
o stranieri che si erano resi particolarmente utili, o che le
avevano prestato servizi degni di ricevere tale riconoscimento.
Questa medaglia era stata all'epoca ideata e donata a San Marino
da un suo estimatore toscano, il Duca di Bevilacqua, il quale nel
1857 aveva ben pensato di donare alla Repubblica una nuova
decorazione
"affinché tornasse al suo primitivo
scopo tutto militare la medaglia ottagona da Esso donata anni
indietro, e affinché la Repubblica stessa avesse così un più
potente mezzo di eccitare la benemerenza, e venisse a ritrarre
indirettamente dei non lievi vantaggi morali e materiali da ciò".
(54) La Repubblica, non avendo in pratica altre maniere per
manifestare la sua gratitudine a chi le faceva qualche favore,
aveva utilizzato tale medaglia per diversi anni, senza badare
troppo alla sua caratteristica militare. Nei secoli precedenti,
quando non aveva medaglie da distribuire, in genere ricorreva
all'assegnazione del patriziato, ma ora che i suoi orizzonti si
erano notevolmente dilatati, e cominciava ad avere rapporti a
livello internazionale, l'esigenza di onorificenze da distribuire
senza troppi vincoli e problemi divenne sempre più pressante. Non
a caso sono proprio i suoi nuovi incaricati e consoli, primo fra
tutti Avigdor, a stimolarla nella creazione di medaglie simili a
quelle che tutti gli Stati in quest'epoca distribuivano, e che
erano molto ambite soprattutto tra i ceti medio-alti, cioè proprio
tra coloro che più potevano essere utili alla Repubblica.
Nel 1857 dunque il
Duca di Bevilacqua avrebbe voluto fare una sorpresa a San Marino
col donare un primo gruppo di medaglie, tra l'altro già
commissionate ad un orefice, la cui distribuzione avrebbe dovuto
essere regolamentata da uno statuto, anch'esso già compilato da
Oreste Brizi, amico del Duca e della Repubblica. Purtroppo nel
mese di giugno il Duca morì all'improvviso, lasciando a mezz'aria
la sua intenzione. In ottobre Brizi scrive alla Reggenza
inviandogli il suo "Progetto di Statuto per la Stella d'Onore
Sammarinese", e raccontando le intenzioni ormai irrealizzabili del
defunto Duca. Egli sperava però che il progetto di statuto potesse
essere utilizzato ugualmente da San Marino, che veniva invitato a
realizzare a proprie spese le nuove medaglie, perché a suo
giudizio era "assai bizzarra, o meglio ridicola, una medaglia del
Merito coll'epigrafe Anzianità, e perché non produce gli
effetti che produrebbe una decorazione di forma più graziosa
epperciò più gradita, e meno comune coi tanti segni d'onore che
oggigiorno veggonsi sul petto dei soldati di tutti i Paese". Tutti
gli Stati civili ed anche tutte le Repubbliche del mondo, secondo
Brizi, avevano le loro onorificenze da poter distribuire, "perché
dunque non dee averne la Repubblica di San Marino, Stato sovrano
quanto altri mai?". (55)
Nell'immediato il
governo sammarinese lasciò in disparte la proposta, tanto che in
novembre si fece dono dell'onorificenza a Cavour, e ad altri due
personaggi della corte torinese. (56) Ma i rappresentanti
diplomatici della Repubblica iniziarono a criticare sempre più la
vecchia medaglia militare, e a chiedere qualche onorificenza
migliore per potere lavorare ancora più proficuamente a suo
favore, e crearle nelle maniere più consone ed opportune nuovi
amici e simpatizzanti. Il primo che ebbe a ridire sulla medaglia
sammarinese fu l'avvocato Canuti con lettera del 20 dicembre 1857,
in cui suggeriva di rimpiazzare la decorazione in uso con una
croce di ordine cavalleresco. (57) Questa richiesta indusse i
governanti sammarinesi a sottoporre la questione a Paltrinieri,
anche perché nel frattempo un certo Sonino o Sonnino di Livorno
aveva chiesto per sé il titolo di Barone di Casole. Con lettera
dell'8 gennaio 1858, quindi, la Reggenza esponeva al suo amico e
consulente il progetto del duca di Bevilacqua inviato da Brizi,
dicendogli inoltre che, secondo il governo sammarinese,
l'istituzione di un ordine cavalleresco "poco armonizzava" con la
locale Costituzione, e che era "desideroso di non
discostarsi tanto dalla sua antica semplicità", per cui aveva
rifiutato il proposito del duca, dimostrandosi disponibile solo a
togliere il termine "anzianità" che tutte le sue medaglie
riportavano. Inoltre sembrava ai più che non fosse il momento
migliore per dar vita a simile innovazione, e che era senz'altro
meglio "astenersi da tutto ciò che può far parlar di lui", cioè
del governo sammarinese appunto. A proposito della domanda di
Sonnino la Reggenza informava Paltrinieri che "fino a questo punto
non sono mai stati conferiti titoli siffatti, i quali per avere
origine dall'antico feudalesimo ci sembrano per ver dire poco
adattabili fra Noi anche per non far cosa che potrebbe riescire
discara a tanti distinti personaggi ascritti al nostro Patriziato
i quali verrebbero (...? -parola incomprensibile-) in grado
inferiore ove ci facessimo a dar vita ad una Casta novella". (58)
In questa lettera
più che in altri documenti di questi anni emerge il problema in
cui si stava dibattendo la piccola comunità sammarinese. Per
secoli essa era vissuta in disparte ed in silenzio, senza aver
contatti al di là dello Stato pontificio, né dilemmi di natura
diplomatica, né particolari esigenze oltre la sua sopravvivenza, e
la strenua difesa di un'ipotetica libertà la cui conservazione
probabilmente compensava interiormente le tante rinunce a cui si
era costretti in suo nome. Ora invece i tempi erano cambiati, San
Marino era diventato "internazionale", perché era rappresentato
alla corte napoleonica, e stava progettando di essere presente
anche in altri Stati. Ora non si poteva più vivere nascosti,
com'era avvenuto praticamente da sempre, nè permettersi quella
tragica povertà che pur era stata un buon deterrente per eventuali
mire annessionistiche, nè quella vita semplice a cui la lettera
ingenuamente tenta di richiamarsi. Il Medioevo era finito, e con
esso tanti aspetti storici che anche la Repubblica di San Marino
non poteva più permettersi.Analizzando i documenti di questo
periodo mi sono meravigliato nel verificare che in questi anni non
esiste praticamente un problema di una qualche importanza che i
governanti sammarinesi riescono a risolvere autonomamente, senza
cioè dover ricorrere al parere di qualche loro consulente. Questo
può significare soltanto che essi vengono precipitati
all'improvviso in una situazione a cui non erano minimamente
preparati, e che sicuramente doveva suscitare ansie e patemi.
L'epoca che stiamo analizzando con questo studio è tutta
caratterizzata da questa angoscia legata alla consapevolezza che
bisognava progredire, ma anche al tragico senso di star perdendo
un'epoca idilliaca, quella dei patriarchi e della semplicità,
quella in cui i problemi erano facilmente risolvibili con il
richiamo alla prassi tradizionale.
Nella lettera
inviata a Paltrinieri tutti questi aspetti sono evidenti, ed egli
in effetti nella sua risposta del 22 gennaio non respinge
l'ipotesi di creare una onorificenza del tutto nuova, consigliando
velatamente così la Reggenza a non temere di compromettere la
semplicità repubblicana di cui San Marino andava fiero. "Quanto
all'istituzione di un ordine Cavalleresco -disse- pare anche a me
non essere il momento molto opportuno a ciò. So che questa idea è
stata emessa da molti; riconosco i vantaggi che può trarre un
Governo dalla distribuzione di tali onori rendendosi benevoli i
capi od almeno gli ufficiali più influenti dei Gabinetti Esteri;
ho riconosciuto per esperienza che uomini anche molto in alto
collocati, coperti già da tutte le croci d'Europa fanno buon viso,
o piuttosto ambiscono le decorazioni meno importanti. Non sarei
perciò lontano dal amettere una certa utilità per la Repubblica
nella istituzione di un ordine cavalleresco. Penso però che tale
istituzione dovrebbe avere una forma diversa da quelle stabilite
dal Governi Monarchici: per conseguenza, non Gran Maestranza, non
titoli e gradi di Grandi Ufficiali, di Commendatori ecc.ecc. ma
soltanto un ordine di Cavalleria con cavalieri di prima, di
seconda, e di terza classe. Parmi che ciò non ripugni alla forma
repubblicana considerando che la Repubblica Romana, la Veneta ed
altre hanno pur esse avuto un ordine di Cavalieri. Il Sovrano del
Paese, Il Consiglio Principe, sarebbe l'assoluto
distributore di tali onori". Riguardo al costo della decorazione,
Paltrinieri suggeriva di farlo pagare direttamente al decorato
come spesa di cancelleria, e in quanto al titolo di barone
richiesto da Sonnino egli affermò che "le sole Monarchie hanno
accordato titoli di Barone, e non parmi conveniente per la nostra
Repubblica di dare un simile esempio. L'istituire poi un Barone
di Casole sarebbe proprio un tornare a vita le idee di
feudalità". (59)
Da questa lettera
in poi il problema di istituire nuove onorificenze diventa
ricorrente, ed i governanti sammarinesi entrano gradualmente nella
logica di dover creare un ordine cavalleresco. Il 1° ottobre è
Brizi a ritornare alla carica sul problema, inviando nuovamente al
neo-Reggente Filippo Belluzzi un progetto di statuto per la nuova
decorazione sammarinese, e per protestare per le varie
onorificenze da lui richieste per conto di altri, e mai concesse
dal Consiglio, anche se alcune sarebbero state ricompensate con
donativi in denaro di non lieve entità. Brizi si stupiva
profondamente del fatto che San Marino, pur in condizioni
economiche assai misere, rifiutasse le cifre promesse (2.000
franchi), mentre altri Stati, e portava ad esempio la Grecia,
tramite i loro rappresentanti diplomatici chiedevano senza
problemi doni, ricompensandoli poi con decorazioni. San Marino non
doveva vergognarsi di aver bisogno della generosità degli altri,
perché Stati ben più grandi non si vergognavano di incassare
denaro con le loro decorazioni. Inoltre l'essere repubblica
non doveva impedire di istituire un ordine cavalleresco, perché
ordini simili l'avevano, o l'avevano avuto e li utilizzavano senza
preoccupazioni tutte le repubbliche del mondo. (60)
Il 30 giugno 1859,
in piena guerra d'indipendenza, è Avigdor ad esercitare pressioni
sulla Reggenza: "In vista delle circostanze che debbano
verificarsi dopo la Guerra conviene di preparare anticipatamente
tutti i mezzi di persuasione dei quali ciascuno Stato può
servirsi. Fra quelli che la diplomazia usa sempre impiegare
tengono un gran posto le decorazioni le quali lusingano l'amor
proprio degli uomini, e soddisfano la loro ambizione. La
Repubblica avendo la sua medaglia, io non voglio proporre ch'ella
cambi, ma io raccomando alla di Lei attenzione la nota qui acclusa
la quale credo essere nell'interesse del Governo di considerare
attentamente. Anzi io la impegnerei a prevalersi della Sua giusta
influenza per far passare la mia proposizione relativamente alla
medaglia. Bisogna riflettere che in appoggio della loro forza
materiale gli altri Stati d'Europa hanno il denaro, le influenze
di parentela, i ranghi, i gradi, le posizioni che possono dare, e
i titoli. La nostra republica non ha che la sua modesta
medaglia, mentre ignoro s'ella possa accordare titoli. Conviene
dunque sviare con abilità il (...?) di questa modesta decorazione
nel servizio e la conservazione della republica". Avigdor
proseguiva suggerendo di rendere più appariscente e importante la
decorazione sammarinese, così che fosse più allettante nel caso
qualcuno l'avesse voluta, e particolarmente apprezzata dopo che
fosse stata ricevuta. (61)
Tutti questi inviti
non lasciarono più indifferenti le autorità sammarinesi, le quali
in data 14 luglio assicurarono Avigdor che al più presto si
sarebbe portato prima nel Congresso degli affari esteri, poi in
Consiglio un progetto di modificazione delle vecchie decorazioni.
(62) E così fu, perché appena un mese dopo il Consiglio istituì
ufficialmente una nuova decorazione il cui primo esemplare nel suo
massimo grado di Cavalier Gran Croce venne donato in tutta fretta,
ovviamente per la situazione in cui si trovava l'Italia e per il
peso che in questa situazione aveva la Francia, al figlio di
Napoleone III. (63) Lo statuto del nuovo ordine equestre venne
invece promulgato sette mesi dopo, il 22 marzo 1860, insieme a
quello per la medaglia del merito militare e civile, e solo dopo
tale data vennero consegnate altre onorificenze. (64) Anche su
questo ritorneremo nei prossimi capitoli quando parleremo degli
effetti economici determinati da questa innovazione, ma anche
delle crisi morali sviluppatesi nei governanti della vecchia
guardia, quelli cioè ancora vincolati alla logica della semplicità
e della povertà.
NOTE
APPENDICE
4.2 - La prima Reggenza di Palamede
Malpeli
Per concludere il
discorso sul 1859, ma anche per introdurre gli anni '60, occorre
ora parlare di quel Palamede Malpeli che ci sta accompagnando fin
dal titolo di questo testo, ma su cui ancora si è detto ben poco.
Il semestre ottobre 1859 - marzo 1860 è quello della sua prima
Reggenza, ed è sicuramente l'occasione migliore per presentarlo.
Egli nasce il 10
marzo 1834 da Alberto e Marina Meloni, e viene adottato quattro
anni dopo dal consigliere nobile, nonché membro tra i più
influenti della locale oligarchia, Giuliano Malpeli, suo padrino,
diventando a tutti gli effetti Palamede Malpeli. (65) Crescendo
compie studi superiori, senza però mai giungere a laurearsi, e si
sposa con Silvia Braschi da cui avrà tre figlie (Marianna,
Giuseppina, Antonietta), e da cui si separerà nel 1885. Il 24
giugno 1857 viene nominato consigliere, e due anni dopo, il 13
marzo 1859, viene proposto per la Reggenza, ma non riesce eletto.
Diventerà invece Reggente nel semestre successivo in compagnia di
Piermatteo Berti.
Fin dall'inizio del
suo mandato, manifesta tutto l'entusiasmo dei suoi 25 anni e della
sua indole attraverso una lunga ed articolata relazione che egli
espone al Consiglio in data 30 ottobre, e che fa verbalizzare,
caso raro, all'interno degli atti consigliari. (66) Partendo dal
desiderio di mostrare "le piaghe" che il Paese in quel periodo
aveva, e la responsabilità in tale stato di cose del Consiglio,
non solo per avanzare facili critiche, ma soprattutto per
individuare rimedi, Malpeli compie un'attenta disanima di quello
che a suo giudizio era da fare subito, prima che la Repubblica
andasse del tutto in rovina. Dal quadro che ci dipinge la
situazione era quasi disperata: "Le casse pubbliche prive del
denaro necessario, il Governo gravato di qualche debito, le strade
ridotte tutte a vergognosamente impraticabili, le torri, la rocca,
le mura minaccianti ruina, i pubblici edifici crollanti, e venuti
a tale stato, che né alla maestà del Principe convengono, né alla
stessa povertà spartana potrebbero essere addicevoli. Il servizio
di Polizia reso da una parte inutile ed illusorio, dall'altro non
poco dispendioso; la macchina interna governativa quasi tutta in
qualche disordine, le stesse famiglie soggette a risentire nella
loro privata economia il disguido delle cose pubbliche: le leggi
sapientissime, ma inosservate, l'elemento religioso indispensabile
per ottenere l'ordine pubblico delle masse, ridotto in uno stato
d'incuranza e di avvilimento; i Sammarinesi buoni per natura
sedotti dal mal'esempio di qualche tristo, darsi in preda
all'ozio, al giuoco, all'ubriachezza, sorgenti miserande di
povertà, d'ignoranza, di litigi di continuo disordine. E ciò che è
peggio si è che a questi mali, che ora deploriamo, la nostra più
scelta gioventù si appiglia, in luogo di correre la via
dell'educazione e dell'istruzione approfittando di quei
sufficienti mezzi, che la cura dei nostri maggiori e dell'attuale
governo ci fornisce nel Nobile Collegio Belluzzi, e nelle altre
pubbliche guise d'insegnamento. E se pure qualcuno si confaceva a
questa nobile palestra, spesso per povertà della propria famiglia
è costretto a cercar fuori della patria quel pane, che questa
forse non potrebbe dargli. Avegnachè è costretto ad accumulare due
o più impieghi in uno stesso individuo, perché questi abbia modo
di sostenere la vita. Egli è per questo motivo, o Sovrano
Consiglio, che molti degli stessi cittadini forse scontenti del
nostro Governo, ed anziché cooperare all'ordine ed al ben
pubblico, sono primi promotori di disordine".
L'immagine
che emerge di San Marino all'interno della lunga relazione di
Malpeli è quasi apocalittica, ma la fonte che ce la mostra, ovvero
il Reggente nobile che parla dinanzi al Consiglio riunito, è
quanto di più autorevole si possa ipotizzare, per cui questo
doveva essere veramente l'aspetto della Repubblica in questi anni,
anche se è logico supporre una certa enfasi legata alla giovane
età del relatore. Ma cosa proponeva Malpeli per risolvere tutti
questi guai? Molto semplice, almeno a dirsi: cambiare registro e
porsi sulla via della modernità, e soprattutto reperire denaro,
tanto denaro. "Coi denari si tolgono i debiti, si fanno le strade,
si restaurano gli edifizii, si mantiene la vera polizia,
-sentenzia il giovane Reggente- coi denari finalmente con saggezza
impiegati si moralizza, e si fa felice un popolo". I metodi per
procurarseli potevano essere diversi: Malpeli ne suggeriva sette
che possiamo definire leciti e morali, ed indirettamente un
ottavo, definito però "scandaloso e indecoroso", consistente nella
vendita sistematica delle onorificenze che la Repubblica, come
sappiamo, stava proprio in quei mesi istituendo. I modi leciti
erano i seguenti:
1 - Riscossione dei crediti pubblici e
dei canoni enfiteutici.
2 - Riscossione della cinquina sui
beni acquistati in Repubblica da non cittadini senza preventivo
permesso.
3 - Apertura della miniera di zolfo.
4 - Creazione di un catasto urbano.
5 - Stampa e vendita del nuovo codice
penale.
6 - Istituzione di una tassa sui
passaporti "distinti".
7 - Coniazione di moneta.
Tralasciando l'analisi
dettagliata delle singole voci (si veda direttamente il documento
nella sua formulazione originale in appendice al n° 1), si può in
questa sede dire che Malpeli era fermamente convinto che tutti i
mali che travagliavano San Marino dipendessero esclusivamente
dagli scarsi introiti della Repubblica, e che per questo occorreva
attuare subito precise riforme di natura economica e fiscale per
ricavare quelle poche migliaia di scudi in più con cui costruire o
sistemare le strade e le infrastrutture in genere, saldare i
debiti che la Repubblica aveva, fornire lavoro ai bisognosi ed
eliminare alla fonte le endemiche cause del locale pauperismo. I
tempi non erano più quelli degli "avi", sottolinea ripetutamente
Malpeli facendo intuire così come molti consiglieri dovevano
essere fermamente vincolati ad un becero conservatorismo: "Noi non
nasconderemo a Noi stessi -precisa il Reggente- che molti di Voi,
ragionevoli settatori del costume degli avi, non vi sentirete
troppo inclinati a questo passo di progresso. Voi direte: di ciò
non ebbero bisogno i nostri avi e la Repubblica è sempre esistita.
Restiamo nella nostra povertà, e manterremo la nostra politica
esistenza. Ebbene noi vi risponderemo: volesse il Cielo che la
Repubblica si trovasse ora nello stato in cui era al tempo dei
nostri avi. Allora la città era popolata da ricchi possidenti,
alle casse pubbliche non mancava denaro, i cittadini educati a più
severi costumi, amavano meno i comodi della vita. Maggiore era il
numero degli uomini istruiti, perché maggiori i mezzi finanziarj.
Minori erano le spese del governo, perché minori gli abusi, minori
i bisogni, maggiore era la temperanza nei sudditi, perché minori
idee di progresso e di civiltà, e diremo ancora di corruzione,
esistevano fra noi. Ma ora il quadro è molto cangiato. Scarse sono
ridotte le famiglie dei possidenti, che possano riversare sul
popolo artigiano il denaro ritratto dalle loro rendite.
Scarsissime le famiglie, che possano mettere nella via della vera
dispendiosa istruzione i propri figli. Le casse pubbliche per i
passati abusi, che ognuno conosce, sono in quello stato, che
ognuno sa: il popolo, lo diremo pure, cresciuto con più rilassata
educazione, sente bisogni, che pria non aveva, e dall'altra parte
mancano le risorse alla sua infiacchita energia. Che anzi
ringraziamo il Cielo, poiché ciò si verifica in molto maggiore
proporzione in tutti gli altri siti. Questa è una legge del
progresso, alla quale noi non ci possiamo opporre, rimanendoci
stazionarj, perché legge da Dio impressa nella natura stessa delle
cose allorché ad esse dette e vita e movimento. Ma i popoli degli
altri stati mercè del progresso hanno nuove risorse, che noi
ancora non abbiamo. La Repubblica pertanto deve per necessità
progredire ancor essa, adottando quelle leggi e quei sistemi dal
progresso condotti, non certo all'impazzata, ma dopo che la
esperienza di qualche tempo ne abbia resa manifesta e la
ragionevolezza, e la utilità. Nè noi pretendiamo infine colla
nostra proposizione di rendere la Repubblica ricca e possente,
perché noi allora mineremmo alla sua salute, ma solo di ridurre i
suoi erarj a quel tanto che è indispensabilmente necessario, per
soperire a principali urgentissimi bisogni dello Stato".
Trovo questo
documento assai rilevante, e penso che lo si possa comodamente
porre al fianco di altri documenti simili, altrettanto
importanti, elaborati nelle prima metà del decennio, tutti tesi ad
esigere profonde innovazioni politiche e sociali, di cui ho a
lungo parlato nel "Delitto Bonelli". In altre parole si può senza
dubbio dire che questa relazione si riallaccia a quella tradizione
riformista e anche democratica di cui vi è ricorrente traccia in
tutta la prima metà dell'Ottocento, e che si accentua maggiormente
intorno al '48, fino a provocare profondi dissidi tra la
popolazione, ed in particolare tra gruppuscoli di Sammarinesi
formanti quasi dei partiti in embrione, dalla fisionomia
ideologica non sempre ben definibile, ma comunque sempre presente
e differenziante rispetto alla cultura dominante.
D'altra parte anche
Malpeli è di quella generazione nata intorno agli anni '30 che più
di altre aveva già agitato fortemente le acque sammarinesi
usualmente tranquille, arrivando addirittura a perpetrare
l'assassinio di un Segretario politico. Il giovane Reggente
appartiene però alla locale elite, e non ha bisogno di usare i
feroci toni adoperati dai suoi coetanei o quasi nei primi anni
'50. Può permettersi di rimanere nell'ombra finché non diventa
appunto Reggente, e poi con linguaggio concreto e chiaramente
positivista (Malpeli è di certo la prima figura d'inclinazione
positivista, anche se non assolutamente materialista, che la
storia sammarinese ci presenta), sciorinare una serie di critiche
alla vecchia nomenklatura, rea di essere ancorata a modelli
culturali arcaici e stantii. Le parole che utilizza non sono in
realtà né violente, né particolarmente aspre, anche perché Malpeli
usa tutte le astuzie possibili per lenirle e renderle meno
pungenti ed offensive. Ma ad una gerontocrazia patriarcale com'era
il governo sammarinese dovettero risuonare in maniera molto dura,
e probabilmente provocare in diversi consiglieri parecchio
disdegno. Malpeli è quindi una voce nuova alquanto stridula
rispetto alle voci del passato, una voce che stigmatizza l'usuale
conservatorismo della oligarchia dominante, nonché la sua
proverbiale prudenza, per urlare che la situazione in cui versava
il paese non era più quella in cui si trovava nel mitico tempo
degli avi, tempo in cui tutti erano felici, laboriosi, e
patriottici, ma in un'epoca nuova, in cui si muovevano da più
parti aspre critiche all'operato dei buoni padri che gestivano la
comunità, ed in cui ci si allontanava sempre più da quella cultura
e da quei modelli che avevano costituito le fondamenta sulle quali
era stata eretta l'antica società sammarinese.
Malpeli aveva
chiaramente capito che se non si diventava un po' più
spregiudicati, abbandonando nel contempo un certo modo di gestire
la società che affondava le sue origini sicuramente nel periodo
medievale, si rischiava di compromettere la stessa sopravvivenza
dello Stato, non tanto per i soliti motivi legati al pericolo di
venir inglobati nello Stato pontificio, quanto per un
probabilissimo collasso interno. Non aveva del tutto capito (ma
d'altra parte questo era assai difficile per i suoi tempi in cui
non si aveva un'esatta cognizione della consistenza numerica
passata e presente della popolazione) che buona parte dei mali
della comunità sammarinese si doveva ad un crescita repentina e
sproporzionata dei residenti rispetto al loro trend
secolare, e ovviamente rispetto alle misere e mal sfruttate
risorse del territorio. (67)
Ugualmente non gli
doveva essere troppo chiara la profonda incidenza della nuova
cultura risorgimentale su una fascia di gioventù che non accettava
più un sistema politico e gestionale considerato primitivo e non
confacente ai bisogni generali. Tuttavia pur senza riuscire a
cogliere in tutto le cause dei locali problemi, era ben
consapevole della necessità impellente di battere nuove strade,
non solo perché i tempi lo richiedevano, ma soprattutto perché era
la stessa struttura interna della società sammarinese ad essersi
intimamente modificata nella sua mentalità, nella sua dimensione
economica, nella sua fisionomia complessiva.
Non sappiamo ancora
per mancanza di studi specifici, così come non lo sapeva Malpeli,
se realmente il tempo degli avi che il Reggente cita più volte
fosse così idilliaco e felice com'egli afferma. Migliore doveva
esserlo senz'altro, perché la popolazione era esattamente la metà
rispetto a quella degli anni che stiamo esaminando, e lo Stato
sammarinese poteva tranquillamente mantenere il suo aspetto
medievale, con le sue poche famiglie latifondiste e abbienti che
detenevano un potere assoluto sulla piccola comunità, e tutti gli
altri succubi di questa situazione, fors'anche serenamente o
meglio fatalisticamente. D'altra parte nel "Delitto Bonelli" credo
di aver già sottolineato adeguatamente che nella prima metà
dell'Ottocento questa realtà sociale già stava manifestando di
essere al tramonto, e di non essere più accettata in particolare
dalle generazioni più giovani.
Ovviamente questa
insoddisfazione cresce ancor più nella seconda metà del secolo
scorso, e la relazione Malpeli ne è un chiaro sintomo. Sarebbe
interessante sapere fino a che punto il giovane Reggente espone
una verità storica e non solo un'opinione personale quando afferma
che anche le famiglie patriarcali di Città che da sempre
detenevano il potere politico, economico e culturale, avevano
subito una sensibile mutazione, depauperandosi e non riuscendo più
a sostenere economicamente la classe artigiana. Purtroppo in
assenza di seri studi in proposito non sappiamo effettivamente
quanto sia fondata tale affermazione, o quanto queste famiglie non
riuscissero più a svolgere un simile servizio sociale perché la
popolazione si era cospicuamente dilatata, e con essa certamente
anche la classe operaia. E' vero però che nel corso dell'Ottocento
diverse famiglie che da sempre comandavano a San Marino si
estinguono, oppure espatriano e non curano più i loro interessi
locali. Questo in una comunità povera e modesta deve avere
senz'altro provocato ripercussioni.
In attesa quindi
che qualche studio specifico faccia maggiore luce su questo
fondamentale problema storico, possiamo senz'altro ritenere che in
parte i problemi sociali di San Marino dovevano essere legati alla
crisi strutturale delle famiglie appartenenti all'oligarchia, in
parte al boom demografico in corso, in parte alla nuova
cultura più laica e più pragmatica che stava evolvendosi col
Risorgimento, e che stava soppiantando quella precedente. Non è
casuale che Malpeli sostenga che i valori religiosi,
indispensabili "per ottenere l'ordine pubblico delle masse",
fossero ormai ridotti in uno stato "di noncuranza e di
avvilimento"; né può essere casuale tutto il discorso che svolge
sulle nuove e più rilassate abitudini esistenziali dei Sammarinesi
rispetto al passato. E' chiaro che Malpeli è il testimone della
nascita di una nuova epoca, quella che da lì a poco avrebbe visto
la fine di una Repubblica vincolata anima e corpo alla statica
realtà dello Stato Pontificio, quella che era ormai ad un passo
dalla fine del suo Medioevo.
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capitolo II
GLI ANNI SESSANTA
1 - I primi anni: i rapporti
col Regno d'Italia
Gli anni Sessanta
ebbero inizio con la forte paura da parte dei Sammarinesi di
perdere la loro indipendenza per colpa degli sconvolgimenti che
stavano interessando l'Italia, e con la decisa volontà di attuare
tutti i passi diplomatici necessari per conservarla. Alla fine del
'59 aveva preso corpo tra le maggiori potenze europee l'idea di
convocare un congresso internazionale in cui discutere la nuova
fisionomia dell'Italia. I governanti sammarinesi, ben consci
dell'importanza che avrebbe sicuramente avuto questo congresso
anche per loro, decisero nell'ultima seduta consigliare del 1859,
precisamente in data 29 dicembre, di voler ad ogni costo essere
presenti a tale congresso,perché nel 1815, nel congresso di
Vienna, la Repubblica era stata "dimenticata", e ciò le aveva
causato enormi problemi con lo Stato Pontificio per le pretese di
protettorato che quest'ultimo avanzava, e, in definitiva, perché
la sua sovranità non era mai stata sancita ufficialmente in
nessuna sede internazionale. (1) Probabilmente si pensava che la
partecipazione a tale congresso sarebbe servita non solo per
parlare in prima persona delle questioni sammarinesi, ma anche per
avere finalmente una sorta di sanzione europea dell'indipendenza
della Repubblica. Perciò si decise di nominare Avigdor come
plenipotenziario di San Marino, con la funzione di partecipare al
congresso (che però era ancora completamente da organizzare)
qualora questo fosse stato convocato.
Come si sa, questo
congresso non ebbe mai luogo, perché nei primi mesi del 1860 con
il ritorno di Cavour alla guida del governo piemontese, e la
spedizione dei Mille, l'Italia divenne regno unitario sotto
Vittorio Emanuele II, e l'idea federalista sostenuta dalle nazioni
europee venne a tramontare. La Repubblica di San Marino dovette
quindi percorrere altre strade per legittimare la sua sovranità,
ed intavolare colloqui direttamente con il Regno italiano, senza
poter usufruire dell' avallo di un congresso internazionale.
Comunque la Repubblica aveva altre carte da poter giocare a sua
difesa anche senza tale legittimazione, prima fra tutte quella
legata alla sua condotta prudenziale e neutrale in nessuna
occasione abbandonata, atteggiamento che se pur non le aveva
consentito di salire mai sul carro del vincitore, non l'aveva
nemmeno mai costretta a prostrarsi ai suoi piedi. Inoltre
giocavano a suo favore il nome, le dimensioni microscopiche, la
tradizione, la simpatia di tutti, in particolare di Vittorio
Emanuele II che gliela testimonierà ripetutamente, e di Napoleone
III. Tutti fattori che le venivano in aiuto, e che le
permetteranno poi di notificare al pubblico nel mese di gennaio
del 1860 "la vantaggiosa posizione in cui trovasi la Repubblica in
faccia ai Governi Esteri, e gli elogi che la sua condotta politica
ha saputo meritare". (2)
In realtà questo proclama
doveva essere più un tentativo di tranquillizzare gli animi che
una realtà. Infatti quando fu emanato la situazione attorno ai
confini sammarinesi era assai instabile e confusa per poter avere
un'idea chiara di come sarebbe stata l'evoluzione degli eventi, e
di chi sarebbe stato l'interlocutore, o gl'interlocutori, con cui
affrontare il problema della posizione di San Marino all'interno
del nuovo panorama politico che andava maturandosi. Solo nel mese
di marzo infatti, precisamente nei giorni 11 e 12, in Emilia ed in
Toscana si svolgono i plebisciti che permettono a queste due
regioni di annettersi al Regno sabaudo. Le Marche, invece, vengono
annesse solo con plebiscito del 21 novembre, per cui possiamo dire
che è solo da questo periodo che San Marino comincia ad avere
chiaro il nuovo quadro in cui si sarebbe verosimilmente venuto a
trovare.
Gli atti
consigliari d'altronde ne sono una precisa testimonianza: solo nel
Consiglio del 25 febbraio 1861 infatti la Reggenza afferma che San
Marino non poteva più permettersi il lusso di rimanere
indifferente difronte alla nuova realtà politica che si era
consolidata al di là dei suoi confini, e propone di manifestare a
Vittorio Emanuele II "parole sincere e di affetto", e di offrire
al principe ereditario il Gran Cordone di San Marino, e a Cavour
il titolo di Cavaliere di prima classe. (3) Questo fatto ci fa
facilmente intuire che nel '60 il governo sammarinese
verosimilmente attendeva l'evolversi degli eventi, con la sua
solita prudenza e neutralità, forse nemmeno troppo convinto che
sarebbe cambiata più di tanto la situazione politica
preesistente.
Eppure i problemi
con i nuovi funzionari del Regno italiano iniziarono fin da
subito, tanto che il 7 gennaio 1860 l'Intendente di polizia di
Cesena, avvocato Achille Serpieri, chiede alla Reggenza una copia
della locale legge sui forestieri, copia che gli viene spedita
immediatamente e da cui ricava, dopo averla letta, che occorreva
stipulare appena possibile un trattato di estradizione.
L'intendente era alle prese con un processo per omicidio, delitto
che secondo le testimonianze raccolte era stato perpetrato a San
Marino. Addirittura si sospettava che il cadavere dell'ucciso
fosse stato occultato in una sepoltura improvvisata presso il "Gengone"
in Borgo. Proprio per verificare la veridicità delle
testimonianze raccolte, egli si era recato a San Marino intorno
alla metà di gennaio, e con l'ausilio del locale commissario della
legge aveva svolto indagini e perlustrazioni per scoprire il
cadavere, che però non si riuscì a trovare. (4)
Al di là della
vicenda, è interessante rilevare come fin dal suo primo
consolidarsi il nuovo regno guardasse con rispetto lo Stato
sammarinese, tanto da proporgli la stipula di un trattato (che
diplomaticamente avrebbe avuto un valore immenso, visto che il
Vaticano non aveva mai voluto creare trattati con San Marino).
Tuttavia ancora una volta il primo abboccamento avviene per
l'eterno problema dei rifugiati, e per il ruolo di enclave che lo
Stato sammarinese volente o nolente assumeva. Le principali
polemiche con il neo-Stato italiano nei suoi primi anni di vita
avverranno proprio per questi motivi, anche se ora San Marino
verrà investito di una sovranità mai riconosciutagli in precedenza
dallo Stato della Chiesa.
Nei mesi successivi
le polemiche sui rifugiati continuarono, e San Marino tornò a
comportarsi anche con il neo Stato come si era sempre comportato
col Vaticano. Così il 25 gennaio invia rallegramenti ufficiali al
Cavour, per il suo ritorno alla guida del governo piemontese,
pregandolo di interessarsi affinché il nuovo console sammarinese
Consorti potesse ricevere in fretta l'exequatur. (5) La
preghiera determinerà effetti quasi immediati, poiché Consorti
diventerà ufficialmente console ai primi di aprile. Negli stessi
giorni San Marino complimenterà Vittorio Emanuele II, di passaggio
a Bologna, tramite il suo rappresentante in questa città, marchese
Francesco Albergati Capacelli. (6)
Questa fine opera
di captatio benevolentiae non risparmierà a San Marino le
polemiche relative al suo ruolo di rifugio per i malviventi; così
a metà maggio Cavour scrive una lettera accusatoria in cui si
afferma che "i malviventi delle Romagne, ed i disertori del R.o
Esercito trovano facile e sicuro asilo sul territorio di codesta
Repubblica di S. Marino, e che non venendovi né invigilati né
repressi, fanno liberamente scorrerie nei paesi confinanti, donde
commessevi invasioni e reati, ritornano impunemente a ricettarsi
nel dominio San Marinese. La stima che il Governo del Re professa
per i Rettori di codesto libero paese, lo rende persuaso che tale
abuso di ospitalità, avviene a loro insaputa, e contro alle loro
intenzioni. Ma le S.S.V.V.Illme sentiranno, che per una parte la
tutela che ci deve alla morale e quiete pubblica non consentirebbe
al R.o Governo di rimanersi indifferente ad un fatto, da cui
vengono minacciate le sostanze e le persone dei suoi sudditi, e
che per altra parte la tolleranza, che continuassero a trovare sul
territorio di S. Marino pubblici malfattori, non potrebbe a meno
di nuocere alla riputazione della Repubblica, ed alle sue
relazioni cogli Stati vicini. Ho pertanto intera fiducia, che
fatte avvertite di questo stato di cose, le S.S.V.V.Illme vorranno
prendere pronti e severi provvedimenti per andarvi al riparo, o
niegando assolutamente l'ingresso sul territorio della Repubblica
a malandrini e disertori, od almeno impedendoli rigorosamente, una
volta che vi sieno penetrati, dall'uscirne a manomettere le
proprietà dei paesi finittimi. Spero che i riscontri, che riceverò
dalle S.S.V.V.Illme, daranno al Governo del Re piena sicurezza a
questo riguardo". (7)
Chi ha letto le
lettere scritte da monsignor Bedini alla Reggenza, che ho
riprodotto in appendice al "Delitto Bonelli", può riscontrare
quante analogie vi siano con questa missiva di Cavour, anche se i
toni ed il modo di rapportarsi nei confronti dello Stato
sammarinese sono chiaramente diversi. Pure la risposta della
Reggenza fu identica a quelle fornite in passato alle autorità
pontificie: non vi erano malfattori in Repubblica, tutto era in
realtà sotto controllo, e simili voci erano fatte circolare ad
arte dai nemici di San Marino che tramavano a suo sfavore. (8)
Tuttavia come sempre qualcosa di vero doveva esserci, sia perché
fu ordinato immediatamente al comandante delle locali milizie di
accentuare il controllo dei confini, sia perché arrivarono diverse
lettere del generale Cialdini da Bologna in cui si continuava a
sostenere quanto affermato da Cavour, ed in cui si diceva anche
che i fratelli Polverini, insieme ad un non meglio definito
Martelli, facevano propaganda contro l'esercito piemontese,
invitando i soldati a disertarlo. Alla fine di maggio apparve
sulla "Gazzetta del Popolo" di Bologna l'immancabile articolo
denigratorio del seguente tenore: "La repubblica di S. Marino è il
nido della reazione papalina: là si ricovrano tutti i mestatori
austro-clericali, e di lassù vengono insinuazioni, e denaro per
tentare delle diserzioni in mezzo alle nostre truppe. Quantunque
repubblica, non ha avuto S. Marino né ha mai le più sincere
tenerezze per quanto sa di patrio e di liberale? Crediamo che
Cavour abbia fatto sentire la sua voce fra quei monti, e che si
faccia senno; lo speriamo." (9)
San Marino corse ai
ripari smentendo ufficialmente le informazioni contenute
nell'articolo, informando Avigdor in data 26 maggio delle ultime
polemiche di cui era bersaglio, e raccomandandosi di "star in
guardia, ed a promuovere di conservare la Repubblica nella grazia
di Napoleone III". Avigdor si fece premura di rispondere col dire
che si poteva senza dubbio contare sulla protezione
dell'Imperatore, ma di evitare categoricamente che all'interno
della Repubblica potessero svilupparsi partiti avversi alla
situazione in atto. (10) Inoltre fu inviato il console Consorti
presso Cavour. Costui relazionò sul suo incontro con lettera del
20 giugno, dicendo che il ministro gli aveva manifestato le sue
ottime disposizioni verso il piccolo Stato, che "non solo non ha
da temere dal Governo del Re, ma deve anzi aspettarsene simpatia,
rispetto e protezione". (11)
Ma di timori in
realtà dovevano esservene tanti, e molto angosciosi. Lo si può
dedurre da un fatto piuttosto inusuale nella tradizione
sammarinese, e che verosimilmente non sarebbe avvenuto se il
contendente fosse stato ancora lo Stato della Chiesa: l'arresto,
non preventivamente richiesto, di due disertori dell'esercito
sabaudo agli inizi di luglio, e l'offerta di consegnarli al
Piemonte, anche senza un trattato di estradizione, purché ciò
fosse richiesto "nelle vie officiali e diplomatiche". E' evidente
la volontà di San Marino di voler trattare la questione da Stato a
Stato, ma è anche evidente che i due disertori, consegnati il 1°
agosto, venivano immolati per rasserenare Cavour, quasi fossero
vittime sacrificali. L'effetto ottenuto fu però assai positivo,
perché ai primi di agosto Cavour scrive per esprimere tutta la sua
soddisfazione per l'avvenuta consegna, "ed assicura che mercè
questo scambio di utili ed amichevoli servigi si avvantageranno
d'assai le relazioni fra il governo di S.M. e quello della
Repubblica". (12) Il 7 ottobre, per legittimare il proprio
operato, fu promulgato da parte del Consiglio un decreto tramite
cui si stabiliva che i disertori non dovevano essere considerati
alla stregua di rifugiati. (13)
I guai con l'Italia
però non terminarono, sia perché vi furono sconfinamenti da parte
dei bersaglieri, sia perché vennero attivate parecchie dogane
intorno al territorio sammarinese con conseguenti difficoltà per i
commerci, sia perché dopo l'annessione da parte piemontese anche
dell'Italia centro-meridionale, cominciarono a circolare voci,
puntualmente riferite ad Avigdor con lettera di novembre, tendenti
a chiedere anche l'annessione del territorio sammarinese. "Amiamo
di farle conoscere -gli fu scritto- che non mancano dei maligni
che spargono voci contro questa Rep. addebitandole ch'essa dia
ricetto ai disertori ed ai Coscritti dello stato limitrofo e che
li fornisca di Fogli di via specialmente per Roma, e su queste
false basi fondato il partito unitario va dicendo che il
Territorio della Repubblica anderebbe incorporato al Regno
Italiano. Noi non temiamo che si faccia ingiuria al voto del
popolo Sammarinese ma crediamo che questo Monte dove è rimasto per
tanti secoli il deposito della libertà italiana sarà conservato
nella sua autonomia e indipendenza". (13a) A questo proposito egli
si sentì in dovere di rispondere sollecitando la Reggenza "a
procurare che il popolo Sammarinese conservi un vivo attaccamento
alla propria autonomia e indipendenza". (14)
Simili esortazioni
furono da lui avanzate anche in seguito, perché il 1861 fu
problematico come il 1860. Infatti fin da gennaio scoppiò una
polemica, fomentata da vari giornali del circondario, relativa ad
undici-dodici "grandi casse" di armi dei garibaldini che si
reputavano rimaste in territorio dal 1849. Agli inizi di febbraio
Cavour ne chiese ufficialmente la consegna, ma la Reggenza gli
rispose che erano state consegnate agli Austriaci già da parecchio
tempo. (15) Inoltre si premurò di scrivere direttamente a
Garibaldi affinché smentisse le false voci su tali armi.
(16) Garibaldi da Caprera rispose due settimane dopo, specificando
che un cittadino sammarinese gli aveva scritto mesi addietro per
comunicargli che all'interno del Convento dei Cappuccini e del
Palazzo Pubblico si trovavano ancora molte armi, e per esortarlo
"a procurarne il ritiro per utilizzarle a pro dell'Italia". Era
stato proprio Garibaldi a comunicare la notizia al Ministro della
guerra, e quindi ad essere la causa delle voci che avevano
iniziato a circolare. Ovviamente la Reggenza, preoccupatissima di
fornir ulteriori motivi di attrito al Regno sabaudo, s'industriò
alacremente perché anche questo fatto venisse ridimensionato, per
cui, dopo essersi informata dall'allora Reggente Belzoppi sullo
svolgimento dei fatti, (si veda la sua risposta in app. n° 3 ),
nei mesi successivi intrattenne in proposito un fitto carteggio
con Torino. Alla fine
riuscì a convincere le autorità sabaude
che a San Marino non si trovavano realmente più le armi
garibaldine. (17)
Placata questa
polemica, la situazione non tornò tuttavia tranquilla; anzi nel
mese di aprile si fece più preoccupante, perché Cavour aveva
rifiutato la nuova onorificenza che San Marino avrebbe voluto
tributargli.
Non mi è stato possibile individuare
con precisione la causa di questo rifiuto. E' probabile che sia
dipeso dal particolare momento che i rapporti italo-sammarinesi
stavano attraversando, cioè dalle polemiche in corso sui
rifugiati, e anche sul contrabbando di sali, tabacchi e polvere
pirica di cui veniva accusato San Marino. Avigdor in una sua
lettera dei primi di maggio ebbe a dire che a suo parere il
rifiuto delle decorazioni fosse "piuttosto l'effetto dell'orgoglio
del Sig. Ministro che della cattiva sua volontà verso la
Repubblica, e che questa non potrà ricevere alcun danno dal
Governo di Torino fintanto che i cittadini non dimandino di far
parte del Regno Italiano". (18) Altri motivi potrebbero essere
quelli elencati da Federico Odorici, (19) ovvero le accuse che
l'Italia rivolgeva alla Repubblica sammarinese, e precisamente: il
rilascio, dietro compenso in denaro, di passaporti a renitenti e
disertori, la consegna a costoro di abiti civili, l'ospitalità,
sempre per denaro, di chiunque, malfattore o galantuomo che fosse,
il rifugio a bande di delinquenti che così potevano attuare
indisturbate razzie nelle zone limitrofe. Comunque sia, il gesto
di Cavour destò immenso scalpore nel Consiglio del 21 aprile, e
probabilmente la cittadinanza onoraria conferita a Garibaldi ed al
presidente americano Lincoln negli stessi giorni fu una
conseguenza diretta di queste tensioni, o almeno dovette
sollecitarla.
Ai primi di maggio
fu comunicato a Torino l'arresto di un renitente di leva, un certo
Giocondo Casali, e la volontà di consegnarlo (cosa che fu
fatta il giorno 25). Negli stessi giorni Consorti fu inviato
presso Cavour per tentare di appianare le divergenze. Egli riuscì
nel suo intento, e con lettera giunta il giorno 5 comunicò che il
ministro si era dimostrato disponibile a ricevere le onorificenze
prima rifiutate. (20) Il 12 è il conte Manzoni che scrive da
Torino per dire che se la Repubblica avesse continuato a
comportarsi come stava facendo, non avrebbe avuto nulla da temere
dal Regno sabaudo. (21)
Ormai la situazione
stava volgendosi a favore della Repubblica, la quale diede
incarico ad Avigdor di procurare presso un orefice di Parigi la
croce tramite cui decorare Cavour. Ma il 6 giugno il ministro morì
all'improvviso, lasciando così a mezz'aria il progetto
sammarinese. Nei giorni successivi la Repubblica rimase in attesa
dell'evolversi degli eventi, osservando "la più stretta
neutralità", e badando che i suoi cittadini non dessero motivi al
Piemonte di annettersela, così come continuava a ripetere Avigdor
in quasi tutte le sue lettere. Alla fine di luglio vi fu il primo
abboccamento tra lo Stato sammarinese, tramite il suo
rappresentante Consorti, ed il barone Bettino Ricasoli che aveva
sostituito Cavour. Per fortuna il nuovo ministro espresse subito
la sua "grande benevolenza" per la Repubblica, dimostrando così di
voler appoggiare rapporti amichevoli. (21) Però il problema dei
disertori era ancora sentito come uno scoglio da superare. Infatti
con lettera del 20 agosto Ricasoli sollecitò San Marino ad evitare
l'ingresso in territorio dei ricercati, ed a provvedere alla loro
eventuale espulsione qualora vi venissero trovati. (22) Una
settimana dopo la Repubblica approvò una legge specifica sui
disertori, (23) ne consegnò uno (Domenico Pinschi), e comunicò a
Ricasoli l'impegno che stava usando per non scontentare il Regno
d'Italia. Nei mesi successivi continuò poi a consegnare altri
renitenti alle autorità piemontesi. (24)
La situazione si
calmò solo in parte, perché se con le nuove disposizioni il
problema relativo ai disertori si poté considerare risolto, o in
via di risoluzione, rimase vivo quello relativo al contrabbando di
cui si accusava San Marino, e che lo aveva fatto circondare di
dogane e posti di blocco. Alla fine di ottobre la questione
esplose, perché il ministro delle finanze italiano comunicò la
revoca della concessione fatta nell'ottobre del 1859 di 3000
libbre di tabacco e di 100 sacchi di sale in aumento alla quantità
che la Repubblica già riceveva in precedenza. Inoltre si riservava
di diminuire la quantità anche del vecchio contingente in caso
fossero stati scoperti contrabbandi. (25) Nel mese di novembre si
svolse un intenso lavorìo diplomatico per risolvere il delicato
problema che andava a minare la fonte principale degli introiti
statali. Alla fine anche questa grana si mitigò; però San Marino
dovette comunicare il prezzo di vendita in Repubblica dei sali e
dei tabacchi, il numero dei residenti, i sistemi usati per
impedire l'esportazione, ovvero il contrabbando, di tali prodotti.
Inoltre si dovette giungere alla conclusione che non era più
procrastinabile la stipula di un trattato che regolasse con
precisione i rapporti tra i due Stati. (26) Giunti a questa
risoluzione, non fu però facile arrivare alla stesura del
trattato, perché alla fine di novembre Ricasoli riscrisse un'altra
lettera accusatoria con cui precisava che gli erano giunti
rapporti in cui si continuava a sostenere che San Marino manteneva
il suo vizio di dare prezzolata ospitalità ai renitenti di leva.
Tale stato di cose avrebbe potuto sicuramente "nuocere ai buoni
accordi esistiti finora tra i due Governi". (27) La lagnanza del
ministro determinò subito un inasprimento delle sanzioni per i
disertori rifugiati, e per chi forniva loro ospitalità. Inoltre
furono all'istante annullati tutti i passaporti rilasciati al 30
novembre, e si chiese il permesso al vescovo di Rimini di poter
perquisire tutti "i luoghi immuni" della Repubblica. In dicembre
fu emanato l'ordine al capo delle milizie di arrestare all'istante
tutti i disertori che fossero stati trovati sul territorio,
insieme ai capifamiglia che li avessero ospitati. (28)
Nonostante tutte
queste precauzioni, e la periodica consegna di qualche disertore
arrestato, nei primi mesi del 1862 le lamentele da parte
dell'Italia continuarono, tanto che la Reggenza il 12 febbraio si
rivolse ad Avigdor per comunicargli il "bisogno che potrebbe
avverarsi d'invocare la protezione dell'Imperatore". "Si preghi a
tener raccomandata la Repubblica -proseguiva- per modo che
all'occorrenza possa sperare appoggio e difesa". (29) Pare che le
lagnanze di Torino fossero anche alimentate da lettere anonime che
di tanto in tanto venivano spedite da San Marino. Ai primi di
aprile venne per questo arrestato il canonico ottantenne Annibale
Righi, nella cui casa furono rinvenute alcune di tali lettere.
(30) Ormai si era, tuttavia, nella fase di stipula della prima
convenzione italo-sammarinese, sottoscritta il 22 marzo del 1862,
(app. n° 31) per cui queste polemiche non incisero più di tanto su
ciò che era il vero interesse delle autorità sammarinesi, cioè il
riconoscimento ufficiale della sovranità del loro Stato.
NOTE APPENDICE
2 - Gli altri fatti
Prima di proseguire
nell'esame di questi iniziali rapporti italo-sammarinesi, è il
caso di tornare leggermente sui nostri passi, perché per parlare
degli attriti tra il neo Stato italiano e quello sammarinese,
siamo già arrivati nel pieno del 1862, tralasciando altri episodi
degni di essere riferiti. Torniamo dunque al 1860.
Negli ultimi mesi
del '59 e nei primi mesi del '60 era Reggente nobile Palamede
Malpeli dunque, che, come si è già visto, nell'assumere l'alto
incarico aveva mosso precise accuse ai suoi colleghi governanti, e
precisato alcune sue intenzioni per migliorare la situazione dello
Stato sammarinese. Sul finire del suo mandato, per l'esattezza
nelle sedute consigliari del 15 e del 22 marzo, (31) egli si sentì
in dovere di presentare una sorta di consuntivo generale del
semestre in cui aveva retto lo Stato, elencando ad una ad una le
riforme in qualche modo legate all'impegno da lui profuso. Esordì
con l'affermare che aveva avviato la riscossione dei crediti dello
Stato, ma che tale operazione aveva potuto dare esiti solo
parziali, perché molte famiglie erano debitrici da anni ed anni
(per colpa dello Stato che aveva prestato i soldi, e poi non si
era in seguito preoccupato di riscuotere annualmente le rate
relative, maggiorate degli interessi), per cui il loro debito era
cresciuto a dismisura, ed ora erano nell'impossibilità materiale
di saldarlo. Il Consiglio decise di ridurre di un quarto il debito
a coloro che non potevano pagare.
Malpeli in seguito
affermò che verso la metà del mese di febbraio aveva finalmente
potuto far riaprire al pubblico un istituto da tempo auspicato: il
monte dei pegni. Inoltre si era dato molto da fare per sistemare
"la macchina governativa (...) la quale si trova ora in non poco
disordine non tanto per la poca chiarezza che ogni Funzionario
pubblico ha delle proprie attribuzioni, quanto per la confusione
per mala consuetudine ingenerata per le attribuzioni dell'uno con
quelli dell'altro". Perciò egli presentava alcuni progetti
legislativi, e precisamente: un capitolato per i donzelli, un
regolamento per lo spaccio dei tabacchi e per il compenso degli
spacciatori, un regolamento per le segreterie di governo. Il
regolamento per i donzelli serviva a specificare dettagliatamente
le funzioni di questi due impiegati (uno addetto al Reggente
nobile, l'altro al non nobile), nonché le loro paghe annuali (54
scudi cadauno più il vestiario). (32) Il secondo regolamento
definiva con maggiore precisione i rapporti, gli onorari, e tutto
quanto poteva riguardare l'importante settore dei tabacchi. (33)
Il terzo, senz'altro il più importante, creava ufficialmente le
figure dei tre Segretari di Stato (degli affari esteri, degli
affari interni e della finanze), che ancor oggi sono ruoli
fondamentali per la gestione politica della Repubblica. (34)
Questo regolamento,
scaturito senza dubbio dalla maggiore mole d'impegni politici che
ora vi erano rispetto ai tempi precedenti, oltre che dalla volontà
di professionalizzare maggiormente i vertici dello Stato, veniva a
modificare sensibilmente l'usuale funzione delle due segreterie
esistenti, (35) togliendo soprattutto spazio ed importanza alla
figura del Segretario Generale, che fino ad allora era stato
certamente il personaggio chiave del governo. Non a caso nel
Consiglio successivo del 22 marzo l'ex Segretario Generale (ora
Segretario degli interni) Innocenzo Bonelli, in carica dalla morte
del fratello Giambattista nel 1853, espone una lunga lagnanza in
cui afferma che già da tempo si sentiva tenuto in disparte dagli
affari della Reggenza, che avvertiva una certa sfiducia nei suoi
confronti, e che nessuno si prendeva ormai più cura di tenerlo
informato sugli accadimenti più importanti della Repubblica.
Inoltre riteneva che stessero lentamente togliendogli tutte le
funzioni che gli spettavano per statuto, e che il nuovo
regolamento per le segreterie era solo l'ultimo atto di questo
piano tendente a ridimensionargli gradualmente i poteri. Tutto
questo soprattutto perché era un Bonelli, apparteneva cioè ad una
famiglia da tempo odiata da molti, anche tra chi risedeva in
Consiglio.
A questa violenta
presa di posizione rispose la Reggenza col dire che, per quanto l'
"arringo" di Bonelli fosse stato ingiurioso nei suoi confronti,
nessuno aveva avuto intenzione di danneggiarlo, né tanto meno di
esautorarlo. Anzi, andava senz'altro lodato per la "sua buona
volontà, e la sua fedeltà", e quindi poteva tranquillizzarsi. (36)
Se effettivamente
esistesse odio nei confronti della famiglia Bonelli, o
semplicemente sfiducia nei confronti di Innocenzo, non lo sappiamo
con sicurezza. E' certo però che a prescindere dal personaggio che
è rimasto direttamente coinvolto nella riforma, San Marino aveva
bisogno di potenziare e soprattutto professionalizzare sempre più
i suoi quadri dirigenti, non più idonei, e questo lo si avvertiva
già da tempo, al drastico mutamento in corso nelle zone limitrofe
a San Marino, ed anche nel panorama internazionale. La Repubblica
aveva quindi l'effettiva esigenza di ristrutturarsi, soprattutto
nella sua burocrazia di natura paesana e dilettantistica che, a
quanto ci dice Malpeli, doveva essere soggetta a non poca
confusione e approssimazione nel disbrigo delle sue funzioni.
Tuttavia questa riforma, tanto moderna da essere tuttora in
vigore, rimase per molto tempo ancora sulla carta, vuoi per le
lagnanze di Bonelli e per quel becero conservatorismo che
ostacolava sempre le innovazioni, in particolare quelle politiche,
vuoi perché Malpeli da lì a qualche giorno dovette uscir di
carica, e non poté quindi avere più il potere necessario per
rendere concreti i suoi propositi. Ancora per anni, in realtà, ai
vertici della Repubblica agiranno due e non tre Segretari.
Gli ultimi atti
scaturiti da queste due sedute consigliari così importanti furono
l'approvazione degli Statuti dell'ordine equestre di San Marino, e
dello Statuto per la medaglia del merito militare e civile, (37)
argomenti di cui si è già detto qualcosa, ma su cui torneremo fra
non molto per concludere il discorso.
La prima Reggenza
di Palamede Malpeli venne a concludersi dunque con una serie
impressionante di riforme. Impressionante soprattutto perché in
genere a San Marino i tempi per qualunque innovazione erano
estremamente dilatati, soprattutto per colpa della sua struttura
politica e dei modesti mezzi economici di cui disponeva. Però se
ai vertici dello Stato saliva qualcuno particolarmente
intraprendente e ambizioso, anche a San Marino era possibile
attuare rinnovamenti. E' chiaro che non bisogna esagerare nelle
lodi, nè esaltare troppo l'operato del Reggente, perché diverse
riforme di quelle portate a termine erano in cantiere già da
tempo, ed attendevano solo di essere finalizzate. Tuttavia
l'entusiasmo di Malpeli, e la sua volontà di concretezza, furono
senz'altro decisivi per la loro materializzazione, per cui occorre
riconoscergli di certo dei meriti, primo fra tutti un coraggio
giovanile e fors'anche incosciente, capace di permettergli di
andar dritto per la sua strada, senza badare troppo all'ambiente
in cui operava, ed alla logica ipercauta e conservatrice che lo
permeava. Questa sua caratteristica che ora occorre guardare con
favore e stima, dovremo purtroppo additarla con ben altri
sentimenti fra qualche capitolo, quando esamineremo l'ingloriosa
fine politica dello stesso Malpeli. Ma ora proseguiamo nel nostro
studio.
Oltre a quanto già
detto, nei primi anni '60 non successe tanto altro degno di nota.
Il 14 aprile 1860 morì Bartolomeo Borghesi all'età di 79 anni. Con
lui se ne andava un altro oligarca della vecchia guardia,
probabilmente il più influente tra tutti. Non è da tener in scarsa
considerazione il fatto che in pochi anni i vecchi reggitori dello
Stato (i Belzoppi, i Bonelli, i Borghesi, ecc.) fossero tutti
scomparsi, soppiantati via via da nuovi personaggi (primo fra
tutti Domenico Fattori) che di certo non avevano avuto ruoli
fondamentali nel vecchio gruppo direttivo. Non che questi nuovi
oligarchi si dimostreranno meno conservatori, o vincolati alla
solita mentalità dei precedenti; anzi, per molti sarà vero
l'esatto contrario. Tuttavia la loro ascesa al potere si può
considerare senza dubbio il sintomo principale di una decadenza
irreversibile di quelle famiglie nobili presenti da sempre ai
vertici della Repubblica, e quindi anche di un certo modo di
concepire la sua gestione, ed il suo stesso modo di esistere. I
tempi erano senz'altro maturi per radicali mutamenti, ma oltre a
ciò occorre considerare quanto l'assetto interno di San Marino e
la fisionomia del suo apparato politico stessero rapidamente
cambiando. Un Palamede Malpeli sarebbe probabilmente stato
schiacciato, o avrebbe trovato spazi assai più stretti in un
governo presieduto dai Belzoppi, dai Borghesi o dai Bonelli, se
non altro per le sue umili origini. Ora invece fin da subito
diventa uno che conta; come Napoleone, diventato generale a 24
anni di età, perché la Francia ormai non aveva più generali.
Nel mese di giugno
si provvide a mettere in pratica la riforma delle Segreterie,
anche se, come si è detto, ci si limitò a nominare due Segretari e
non tre. Innocenzo Bonelli, che continuò a polemizzare a lungo, fu
nominato Segretario degli Interni, e Domenico Fattori Segretario
per gli Affari Esteri, ed anche per le Finanze. (38) Sempre nello
stesso mese vi furono altri casi di colera, soprattutto a
Serravalle.
Nell'anno
successivo praticamente non accadde nulla d'importante, a parte le
polemiche con l'Italia di cui già si è detto. Degna di nota può
essere la partecipazione della Repubblica all' "Esposizione
generale artistica" di Firenze, svoltasi nel mese di settembre, a
cui San Marino era stato invitato qualche mese prima. Fu in
pratica la prima manifestazione internazionale a cui la Repubblica
partecipò in qualità di Stato estero. Poiché il governo non
possedeva nulla di originale da poter inviare in mostra, aveva
fatto un invito pubblico a tutti i cittadini per raccogliere
"qualsiasi cosa che volessero presentare". Alla fine s'inviarono a
Firenze alcuni formaggi, e qualche bottiglia di vino, unici
modesti prodotti che fu possibile rimediare. (39)
Interessante è
anche la proposta della Reggenza Belluzzi-Berti di "redigere uno
stato nominativo individuale statistico delle famiglie tutte che
compongono gli abitanti della Repubblica"; in altre parole di fare
il primo censimento. La proposta nacque dal fatto che per ovviare
al ricorrente problema del deterioramento delle strade si era
stabilito di creare alcuni ispettori, che periodicamente le
sottoponessero tutte a visita ed all'occorrenza intervenissero per
farle ripristinare. Si pensò quindi che questi stessi funzionari,
durante le loro ispezioni, potessero anche verificare la
consistenza numerica della popolazione, e quindi si decise di
procedere nominando come ispettori Palamede Malpeli e Costantino
Bonelli, con la paga annua di 25 scudi. (40) In realtà si riuscirà
ad attuare il primo censimento solo qualche anno dopo; tuttavia ci
si era incamminati lungo la buona strada, perché sarà proprio
Malpeli a portarlo a termine.
NOTE APPENDICE
3 - Una nuova coscienza
Da quanto risulta
dai documenti pervenutici,la popolazione sammarinese era in questi
anni piuttosto tranquilla, ed erano scomparse le forti tensioni
che avevano caratterizzato i primi anni '50. Non vi sono tracce di
contestazioni al governo, né polemiche di sorta. Ciò è dovuto
probabilmente al fatto che in questo periodo in Repubblica non vi
erano più rifugiati politici, e tutte le teste calde erano a
combattere gli Austriaci, e a costruire l'Italia. Inoltre non si
erano più determinate le condizioni ambigue e pericolose degli
anni precedenti, quando le pressioni esercitate dallo Stato della
Chiesa erano state tali da creare confusione ed angoscia nelle
menti di chi governava, ed una situazione esplosiva tra tutti gli
altri. Ora lo Stato di San Marino aveva i suoi problemi, ma era
senz'altro meno compresso ed angustiato, ed aveva tante valvole di
sfogo che nel '53 e '54 non aveva, come per esempio i suoi
rappresentanti diplomatici, sempre pronti a consigliarlo, o ad
intercedere in tempi rapidi in suo favore, o la nuova situazione
politica attorno ai suoi confini che gli permetteva di non dover
sottostare a diktat, o di prendere provvedimenti sgradevoli. Da
qui l'assenza di critiche e proteste.
Ciò non toglie,
tuttavia, che richieste di stampo progressista e riformista
giungessero periodicamente in Consiglio, in particolare sotto
forma di istanza d'arengo. Così possiamo riscontrare parecchie
richieste di natura sociale, tese a chiedere innovazioni di
utilità comune, come l'apertura di un ospedale, la costruzione di
strade per sviluppare i commerci (richiesta rintracciabile
quasi in ogni Consiglio), la creazione di un sistema di
illuminazione notturna, l'apertura di scuole serali per gli
operai, la sistemazione del Palazzo Pubblico per dare una sede
adeguata ai vari uffici che stavano sviluppandosi, (41) la
pubblicazione dei bilanci, l'istruzione per le donne ecc. ecc. Chi
volesse esaminare gli atti consigliari di questo periodo, e
raffrontarli con quelli degli anni precedenti, potrebbe facilmente
rendersi conto di un dinamismo nella popolazione prima scarsamente
individuabile, ed anche di una capacità di avanzare richieste, e
quindi di sollecitare riforme, del tutto assente negli anni
precedenti. In altre parole, gli anni '60 vedono la nascita
di una capacità critica nei confronti dei vertici dello Stato
sammarinese prima pressoché inesistente. Con i moti
risorgimentali, in definitiva, si sviluppa una coscienza nuova
presso i giovani, che verosimilmente iniziano a svolgere anche un
lento lavoro di sensibilizzazione presso la popolazione, una
coscienza meno fatalista e meno vincolata alle logiche del
passato, pronta a sentire le gravi carenze della comunità, e a
rimarcarle ufficialmente con istanze rivolte al Consiglio o alla
Reggenza.
E' ovvio che questa
coscienza si manifestava in maniera più o meno marcata in
relazione a quanto accadeva in Italia ed in Europa. Si può citare
ad esempio di quanto detto il problema che viene sollevato ed
esaminato nel Consiglio del 26 aprile 1863. In quell'occasione
viene presentata un'istanza d'arengo firmata da Giuseppe
Giacomini Giangi e da Luigi Tonnini, il primo consigliere, il
secondo no, entrambi però reduci della I^ guerra d'indipendenza.
"Tutti i Governi Civili -diceva- hanno riconosciuto la necessità
d'incamerare i beni Ecclesiastici attesochè coll'andare del tempo
queste mani morte si sarebbero appropriate di tutti i beni delle
nazioni, avendo per istituto di solo acquistare e nulla alienare.
La Repubblica nostra che per la naturale sua forma di reggimento
deve essere più progressiva di qualsiasi altro Governo, vorrà
forse non fare quello che oggi sta effettuando saviamente anche il
limitrofo governo italico? Eccellenze a tutti sono note le vostre
cure (...?) avete resa questa piccola Terra ed è perciò che i
sottoscritti sono convinti che vorrete incamerare tutti i beni
Ecclesiastici qualunque, e questi devolversi a pubblico vantaggio,
piuttosto che lasciarli in mano di persone che hanno bisogni di
essere libere da cure terrene per potere adempiere più esattamente
le incombenze del loro Sacro ministero. La Vostra Sapienza o mio
Principe Sovrano ben conosce che l'ospedale che Voi posciamente
avete ordinato erigersi manca dei fondi necessari al suo
mantenimento, qui mancano le Scuole una nel Borgo ed una per la
Città per le fanciulle, un ricovero pei vecchi invalidi, qui
mancano le strade tanto proficue per commercio. E di queste V.E.
ne è convinto avendone già data iniziativa ma però coi mezzi
ordinari ci vorrà molto tempo ad effettuarle. Infine mancano
locali in Borgo per uso del Governo, il pubblico palazzo in Città
ed altro, le quali cose tutte si potrebbero benissimo effettuare
coi moltissimi beni Ecclesiastici. Ma perché Voi o Ecc.mo Principe
Sovrano amate troppo i vostri Cittadini vorrete per certo ordinare
l'incameramento dei detti beni a vostro onore, ed a beneficio
dell'intera Repubblica". (42) Questa istanza oltre ad essere
suggerita dall'evoluzione degli eventi, era strettamente legata
alle carenze della Repubblica. Ma importante è sottolineare che
ora i cittadini si permettevano di fornire consigli ai governanti,
fatto che sarebbe stato probabilmente reputato inaudito solo pochi
anni prima.
Come ho già detto
nel "Delitto Bonelli", il primo che aveva avuto il coraggio di
intraprendere questa via era stato Giacomo Martelli nel 1850, con
un documento dai toni ben diversi in verità. (43) Ora erano in
tanti a pungolare con le loro richieste il governo, e questo può
essere sintomo reale di un cambiamento di mentalità, e di un
distacco meno abissale dei decenni precedenti tra governanti e
governati. Il Consiglio comunque era ancora ben radicato in quella
logica prudenziale ed attendista che da sempre lo aveva
contraddistinto, per cui giudicò "attualmente inopportuna ed
intempestiva" la richiesta, e la respinse. Il nobile Francesco
Guidi Giangi, membro del Consiglio già da più di quarant'anni,
volle anche esporre una sua allocuzione: "Io credo che sia opera
di buono ed amoroso cittadino non solo il respingere, ma il
respingere con disprezzo la petizione che tende a promuovere dal
Generale Consiglio Principe lo incameramento di tutti i beni
Ecclesiastici spettanti cioè ai Corpi Morali in generale istituiti
ed eretti in questa Repubblica. Io qui non riguarderò la cosa
sotto l'aspetto religioso. Non istarò a domandare ai petenti se in
buona fede sono convinti che la maggioranza del nostro Popolo
divide la loro aspirazione. Alzerò soltanto la questione politica
e dirò che sarebbe somma nostra imprudenza disprezzare ciò che le
nostre statutarie disposizioni inculcano di rispettare, proteggere
e venerare; dirò che grande sarebbe la nostra temerità se oggi ci
volessimo far giudici di questioni gravissime non ancora risolute
da Popoli e da governi più potenti di noi, dirò che alla sua
morale, alla circospezione, alla prudenza e sapienza civile degli
antenati siamo debitori della conservazione dell'antichissima
nostra Patria; che la prudenza ci fu sempre consigliata e
raccomandata dai nostri Benevoli e che coll'abbandonare ad un
tratto questa per noi sublime virtù (...?) alla nostra Repubblica
e non sarà per noi se giungerà ai Posteri il prezioso retaggio che
ci hanno lasciato i Padri nostri, e di cui dobbiamo essere gelosi
custodi". (44)
A parte alcune
parole che non sono riuscito a decifrare, il senso del testo è
lampante e si richiama alla solita litania di luoghi comuni che
sempre venivano a galla quando si trattava di modificare lo statu
quo: non tocchiamo niente del modus vivendi della nostra mitica
Repubblica, altrimenti sarà lo sfacelo, e la colpa della sua
distruzione ricadrà sulle nostre teste, perché non abbiamo saputo
rispettare i nostri sacri statuti (risalenti al '600!), e la
"prudenza e sapienza civile degli antenati". Questa era la logica
dominante da sempre, questo il pensiero essenziale, direi
addirittura banale nella sua semplicità, che ostruiva qualunque
innovazione. E' chiaro che nel caso specifico la cautela era
necessaria poiché lo Stato pontificio, sebbene drasticamente
ridimensionato, era ancora una realtà che poteva tornare ad
avviluppare il territorio sammarinese, com'era già successo con il
crollo di Napoleone. Tuttavia occorre leggere il pensiero di
Giangi, che di certo poteva essere tranquillamente espresso da
qualunque altro membro nobile del governo, in tutta la sua tragica
estensione, e raffrontarlo con il discorso di Malpeli del '59, che
critica questo ossessivo attaccamento al passato, ormai remoto,
istigando nel contempo la Repubblica ad osare, a mettersi al passo
coi tempi.
Purtroppo ancora le
forze riformiste presenti in Consiglio non avevano la possibilità
di contrastare efficacemente le forze conservatrici, che potevano
invece contare anche sui consiglieri popolani tradizionalmente
vincolati al passato, perché erano numericamente scarse, e in età
ancora giovanile. Però stava sviluppandosi qualcosa di nuovo,
qualcosa che si originava soprattutto dal pessimo stato in cui si
trovava la Repubblica, e dalle sue finanze sempre in bilico. Una
migliore conoscenza di questi anni presuppone a questo punto
qualche riferimento più approfondito a questo aspetto.
NOTE APPENDICE
4 - Aspetti economici
Problemi economici
di una certa consistenza iniziano per lo Stato di San Marino sul
finire degli anni '40, in corrispondenza con la I^ guerra
d'indipendenza, e con lo scampo di Garibaldi. Non che prima si
navigasse nell'oro, perché in realtà la miseria e gli scarsi mezzi
per farvi fronte erano una costante della piccola comunità.
Tuttavia la Repubblica aveva entrate consolidate, dovute
soprattutto al guadagno che realizzava tramite la vendita di sali
e tabacchi, che le permettevano una certa serenità economica, ed
un andazzo piuttosto regolare. Le entrate erano misere, ma anche
le uscite erano sempre molto contenute, per cui anche se il paese
non progrediva e manteneva un aspetto piuttosto modesto ed anche
arcaico, nemmeno regrediva più di tanto. Un sistema economico così
bilanciato entrava in crisi però ogni qualvolta emergeva un
imprevisto di un certo peso. Il Risorgimento, i problemi con lo
Stato pontificio, il rifugio dato a tanti individui, il
mantenimento in armi delle milizie cittadine furono gl'imprevisti
che misero in crisi nel volgere di breve tempo le finanze
sammarinesi, così come l'aumento della popolazione ne incrinò
piano piano la struttura sociale. Per questo tra il 1848 e il 1850
si studiano modi nuovi per poter far fronte ai problemi economici
emersi, e nel marzo del '50 la commissione preposta espone una
importante relazione tramite cui fornisce suggerimenti per
eliminare i problemi di bilancio. (45) In sintesi si può dire che
venivano leggermente aumentate le entrate, e soprattutto si
cercava di contenere fortemente le uscite tagliando ulteriormente
i già miserrimi stipendi di alcuni funzionari statali (ricordarsi
in proposito di quanto dirà Malpeli nella sua relazione del '59).
E così le uscite che negli anni precedenti si aggiravano intorno
ai 5 - 6.000 scudi annui, divengono 4.110 difronte a 6.382 scudi
d'entrata. Siamo dinanzi a bilanci assai modesti, corrispondenti
grosso modo al valore di qualche casa, o allo stipendio di una
ventina di medici; tuttavia questa era la consistenza delle
entrate sammarinesi negli anni in questione, per cui si capisce
come il paese non avesse le possibilità materiali di costruire
strade, né altro. La riforma del '50 non produsse negli anni
successivi i benefici sperati, e puntualmente riemersero grossi
problemi economici, soprattutto negli anni 1853-1855, per colpa
dei fatti delittuosi accaduti, e delle loro conseguenze politiche
e sociali. Si dovette ricorrere ripetutamente per vari anni ai
prestiti bancari; ancora nei primi anni '60 lo Stato si
trova in una seria condizione di bisogno, e di dipendenza da tali
prestiti. E questo nonostante una oculata e parsimoniosa gestione
economica nella seconda metà degli anni '50. Ma esaminiamo i
bilanci, così le cifre fotograferanno la situazione molto meglio
di quanto possa fare io con le parole.
Gli anni 1854-55, e
1855-56 registrano bilanci con cifre piuttosto elevate rispetto
alla norma: nel primo verifichiamo 9.549 scudi in entrata e 9.094
scudi in uscita; nel secondo 9.688 scudi in entrata, e 9.490 scudi
in uscita. Non disponendo delle cifre degli anni '51-'52, '52-'53,
'53-'54, che non sono riuscito a reperire, non so se tali somme
siano imputabili ad un trend di questi anni particolarmente
irrequieti, o se invece caratterizzano solo gli anni in esame. E'
certo però che rispetto agli ultimi anni '40, ed anche agli ultimi
anni '50, le cifre in questione sono molto più elevate, e si
devono in genere ad una maggiore incidenza di alcune spese, come
quelle militari per esempio, su cui in tempi più tranquilli si
avevano risparmi, o quelle relative alla beneficienza, anche
queste minori quando la situazione era normale. Nel bilancio del
1854-55 le spese militari (scudi 913), di polizia (scudi 973) e di
beneficienza pubblica (scudi 760) ammontano a quasi un terzo di
tutte le spese. L'istruzione pubblica (592 scudi), pur
essendo una spesa non da poco per le possibilità dell'epoca, aveva
invece un'incidenza minore. Per le riparazioni e
manutenzioni (71 scudi), e per le strade (48 scudi) non si
spendeva quasi nulla; da qui certamente le tante lagnanze che in
questi anni giungevano in proposito in Consiglio. D'altra parte le
entrate erano pressappoco sempre le stesse, per cui le maggiori
uscite potevano essere permesse solo tramite economie sulle altre
voci di bilancio. Anche gli stipendi dei pochi impiegati di cui lo
Stato disponeva non pesavano più di tanto sul bilancio: nello
stesso anno il costo imputato alla voce "magistrati ed impiegati
governativi" ammontò ad appena 462 scudi, e la voce "impiegati
dell'economato" registrò un costo di appena 123 scudi. Siamo in
definitiva ancora difronte ad una realtà assai modesta, che
definirei di Stato-famiglia, priva di una burocrazia efficiente,
di entrate adeguate, e di quant'altro potesse servire per un
effettivo salto di qualità.
Volendo ora
analizzare le entrate, verifichiamo 2228 scudi ricavati dalla
vendita del sale, 1700 dai tabacchi, 500 dall'imposta prediale,
249 dalla tassa sui generi di consumo, 160 da interessi da
capitale, 3.775 da un insieme di entrate registrate sotto la voce
"prodotti diversi".
Nell'anno seguente
le cifre rimasero più o meno le stesse, con un forte aumento però
della voce "spese diverse" (5.270 scudi contro i 918 dell'anno
precedente), ed un calo delle spese di polizia (887 scudi), e
militari (475 scudi). I costi per gl'impiegati rimasero pressoché
invariati, così come quelli per le riparazioni. Diminuirono i
soldi stanziati per la beneficienza (297 scudi), per l'istruzione
(430 scudi), mentre aumentarono di poco quelli per la manutenzione
delle strade e dei corsi d'acqua (249 scudi). Nelle entrate vi fu
un sensibile aumento per i sali (2.676 scudi), e per i tabacchi
(2.264 scudi); l'imposta prediale fece incassare 800 scudi, e gli
altri introiti rimasero ai livelli dell'anno precedente, eccetto i
"prodotti diversi" che calarono a 2.501 scudi.
L'anno successivo é
caratterizzato in generale da una forte riduzione del giro di
denaro, perché registra solo 4.632 scudi in entrata, e 4.624 scudi
in uscita. E' l'ultimo anno in cui San Marino ha bilanci
riportanti cifre così modeste. Quasi invariati rimangono i costi
per gli uffici pubblici, per l'istruzione pubblica e per tutte le
altre voci di bilancio. Vi è un calo immenso però delle "spese
diverse", ora ammontanti a soli 443 scudi.
Gli ultimi
anni '50 vedono bilanci con cifre abbastanza simili e costanti,
anche se le uscite a volte sopravanzano le entrate: l'anno
1857-1858 registra 6.044 scudi in entrata e 5.827 in uscita; il
1858-1859 6.296
in entrata e 6.397 in uscita, il
1859-1860 6.344 scudi in entrata e 6.380 in uscita, il 1860-1861
6.382 scudi in entrata e 6.399 in uscita. Come si può capire
direttamente, vi era in questi anni la categorica necessità di
mantenere i bilanci entro certi livelli, e probabilmente si
facevano salti mortali per riuscirvi. Lo strumento che ancora
consentiva di farlo era l'indebitamento con le banche del
circondario, e la restituzione graduale del denaro maggiorato di
qualche interesse (in genere il 6-8%). Questo costringeva la
Repubblica a starsene costantemente in uno "stato umiliante", come
ebbe a dire Malpeli nel Consiglio del 29 dicembre del 1859, (46)
ma le permetteva di andare avanti ancora, anche se a passi
piccolissimi, e con la necessità di fare economie su tutto,
compreso l'essenziale. Negli ultimi anni '50 la Repubblica si era
indebitata per più di 4.000 scudi, però in parte era riuscita a
calare il suo debito grazie ad una sana e proficua amministrazione
dei sali e tabacchi ad opera di Francesco Guidi Giangi, l'addetto
a tale mansione. Nei primi mesi del 1860 il debito era tornato a
crescere a 3.200 scudi circa, perché se n'erano spesi 537 per
acquistare una casa in paese. Si sperava di poter azzerare tale
debito nel giro di cinque o sei anni con gli utili forniti dai
tabacchi (circa 500 scudi annui), tuttavia é evidente lo stato di
perenne precarietà economica in cui il governo sammarinese
versava, ed il continuo bisogno di sperare che non vi fossero
inciampi, che tutto andasse secondo le aspettative.
Inoltre questo "stato
umiliante" impediva qualunque investimento produttivo, e quindi
qualunque possibilità di evoluzione e di crescita. Se per esempio
esaminiamo il bilancio del 1860-61 troviamo cifre molto simili a
quelle degli anni precedenti: le spese di polizia e sanità erano
ancora elevate (914 scudi), così come quelle militari (943 scudi);
la beneficienza rimaneva sui suoi soliti livelli (400 scudi), così
come la manutenzione delle infrastrutture (209 scudi),
l'istruzione pubblica (481 scudi) e il costo dell'economato (146
scudi). Un aumento delle spese lo registriamo nella voce
"magistrati ed impiegati" (740 scudi), e per la manutenzione delle
acque e delle strade (958 scudi). C'è da dire, però, che questo
bilancio è l'ultimo del suo genere, perché dall'anno successivo i
bilanci della Repubblica iniziano a lievitare con costanza anno
dopo anno. Infatti nell'anno amministrativo 1861-62 troviamo 8.082
scudi in uscita, e 7.807 in entrata; l'anno dopo addirittura
12.082 scudi in entrata, e 11.890 scudi in uscita. Le spese
maggiori in quest'anno furono per le voci "magistrati ed
impiegati" (1.274 scudi), "acque e strade" (1.726 scudi), "spese
militari" (1.780 scudi). La pubblica istruzione ricevette 522
scudi, la beneficienza 533, la manutenzione delle infrastrutture
603, la sanità (ora scissa dalla voce "polizia") 738, la polizia
479. In quell'anno vi furono ingenti introiti grazie ai sali
(3.741 scudi), ai tabacchi (3.141), ai "prodotti diversi" (3.405
scudi), mentre le altre voci di entrata della Repubblica
registravano come sempre cifre molto minori (301 scudi per
l'imposta dei generi di consumo, 267 dal bollo e registro, 392
dall'imposta prediale).
Negli anni seguenti
l'aumento delle cifre a bilancio fu ancora più accentuato: nel
1863-64 annotiamo 12.622 scudi in entrata e 12.281 scudi in
uscita, nel '64-'65 14.136 scudi in entrata e 13.580 scudi in
uscita, nel '65-'66, il primo bilancio in cui si ragiona in
termini di lire e non più di scudi (1 scudo = 5,32 lire), 99.961
lire in entrata (cioè 18.790 scudi), e 90.424 (16.997 scudi) in
uscita. Gli anni immediatamente successivi registreranno cifre
simili a queste, tranne il 1869-70 (187.765 lire in entrata e
186.206 in uscita), il '70-'71 (131.499 in entrata e 127.537 in
uscita), ed altri anni ancora con bilanci compresi tra le 150 e le
250.000 lire. (46a)
In altre parole,
dalla metà degli anni '60 San Marino raddoppia, triplica, a volte
quadruplica i suoi bilanci, dando il via ad un'opera di
ristrutturazione interna mai realizzata prima, e che analizzeremo
bene fra qualche pagina, quando ritorneremo anche a parlare dei
bilanci a cui ora abbiamo appena accennato. Ma come riesce ad
aumentare così tanto e così in fretta il suo giro di denaro? Il
motivo principale è senz'altro di natura morale e teorica, perché
i governanti sammarinesi riescono ad abbandonare quella mentalità
pauperistica ed isolazionistica che li aveva contraddistinti da
sempre. Questo dev'essere stato lo scoglio più difficile da
superare. I motivi concreti furono invece soprattutto due: il
canone doganale che la Repubblica iniziò a percepire dall'Italia
dal mese di ottobre del 1862, e la vendita delle onorificenze che
iniziò con sistematicità poco dopo. Parliamo quindi di questi due
fondamentali argomenti della storia sammarinese, perché è grazie a
loro che la Repubblica entra oggettivamente nella Modernità.
NOTE APPENDICE
5 - La Ia convenzione
italo-sammarinese
Qualche pagina
addietro abbiamo parlato dei problemi emergenti tra San Marino ed
il Regno italiano, man mano che questo andava espandendosi su
tutti i territori della penisola, e della necessità che emerse
subito di stipulare un trattato che regolamentasse i rapporti tra
i due Stati. Da quanto ho potuto intuire dai documenti analizzati,
non vi fu da parte italiana mai la seria volontà di non
considerare San Marino alla stregua di Stato sovrano ed
indipendente, sia per i motivi che ho già detto, sia per i motivi
che "legavano le mani al nuovo stato", come ha acutamente
sottolineato Garosci, (47) e cioè il suo nome di Repubblica che le
creava forti simpatie tra i gruppi risorgimentali, portandola ad
essere nel contempo "bandiera polemica contro la soluzione
dinastica"; il suo legame con Napoleone; la politica non troppo
intransigente verso la Sinistra ed il Partito d'azione che viene
attuata dopo la morte di Cavour. Personalmente aggiungerei che fu
di certo assai importante per il mantenimento dell'indipendenza
anche la coscienza che della loro sovranità avevano i Sammarinesi
di ogni ceto, e quindi l'assenza di richieste di annessione o
plebiscito. Non a caso Avigdor più volte scrisse ai Reggenti di
stare attenti soprattutto a frenare queste istanze nel caso
fossero emerse, perché contro una richiesta, per esempio di
plebiscito popolare, scaturita direttamente dai cittadini, la
Francia avrebbe potuto fare ben poco, così come, aggiungo io, il
Partito d'azione o qualunque altro estimatore della Repubblica.
Se quindi non
abbiamo tracce di una volontà annessionistica nei confronti di San
Marino, ve ne sono moltissime che ci permettono di capire che il
piccolo Stato era comunque una grana per il neo regno, soprattutto
per la funzione di enclave che volontariamente o no continuava ad
esercitare. Occorreva perciò trovare soluzioni efficaci e
soddisfacenti per entrambe le parti. La convenzione del 1862 è la
risposta a questi problemi: da una parte l'Italia accetta di
rinunciare per sempre ad aspirazioni annessionistiche nei
confronti di San Marino, fornendo alla Repubblica nel contempo il
primo riconoscimento ufficiale della sua sovranità, ed anche la
possibilità di ricavare utili economici da questo nuovo rapporto;
dall'altra ha dal rispetto del minuscolo simulacro del suo
glorioso passato un ritorno propagandistico e quindi politico
enorme, e la garanzia di avere un qualche controllo sull'operato
della Repubblica. Il compromesso viene rapidamente raggiunto,
quindi, perché risulta conveniente ad entrambe le parti.
Nonostante che di
trattato tra San Marino e Italia si parlasse fin dal gennaio del
1860, la concreta volontà di stipularlo maturò solo dal dicembre
del 1861, quando, tramite lettera, il ministro Ricasoli manifestò
il suo compiacimento per gli ultimi provvedimenti (di cui già si è
parlato nel I paragrafo di questo capitolo) assunti da San Marino
contro i rifugiati in territorio, ed affermò di essere disponibile
a redigere un trattato. (48) Nelle settimane successive vi furono
ulteriori problemi sia per i rifugiati, sia per il contrabbando di
cui si è detto; tuttavia nel mese di gennaio la Repubblica affidò
al conte Luigi Cibrario, suo consultore dal 1859 e cittadino
onorario dal 1860, nonché "tradizionalista piemontese
romanticamente rivolto verso il passato", come lo definisce sempre
Garosci, (49) la cura dei suoi interessi nella stipula del
trattato. (50) Quest'uomo sarà fondamentale per la redazione del
trattato, e negli anni successivi sostituirà degnamente come
consulente l'avvocato Paltrinieri, morto improvvisamente nel
giugno del 1860. Cibrario tra la fine del mese di gennaio, e gli
inizi del mese successivo prese le informazioni necessarie per
siglare la convenzione, e nella seconda metà di febbraio fu
raggiunto a Torino da Settimio Belluzzi che aveva il compito di
aiutarlo. (51) Costui poi relazionerà con diverse lettere sullo
svolgimento dei colloqui, (52) finché con lettera giunta in
Repubblica il 16 marzo comunicherà trionfante che col "nuovo
Trattato rimarrà inviolata ed integra la indipendenza e la
sovranità della Repubblica", (53) facendo capire che ormai si era
alla conclusione. In effetti verrà firmato pochi giorni dopo, il
22 marzo.
La convenzione
veniva a regolarizzare i rapporti per quanto concerneva eventuali
problemi di carattere giudiziario e penale (articoli 1-13), per la
consegna dei disertori (articoli 14-20), per i beni di manomorta
(art.21), per i passaporti (art. 22), per la libera circolazione
delle merci (art. 23), per la monetazione (art. 24), per la
salvaguardia dei diritti d'autore (art.26), per la coltivazione di
tabacco, che la Repubblica vietava, così come aveva fatto altre
volte dietro insistenza dello Stato pontificio (art. 27), per
l'assegnazione di sale e tabacco (art.28). Essa si chiudeva con
due articoli tramite cui si stabiliva che la Repubblica "per la
conservazione della sua antichissima libertà ed indipendenza" si
affidava all' "amicizia protettrice" del Regno italiano,
rifiutando a priori quella eventuale di altre potenze (art.29); e
che avrebbe avuto valore decennale, salvo l'insorgenza
di eventuali problemi nel frattempo. (app. n° 31) Non ho parlato
deliberatamente dell'articolo 25 perché merita soffermarvisi
maggiormente per un'analisi più approfondita. Vi si prevedeva la
rinuncia della Repubblica al "libero transito (...) per gli
articoli coloniali, merci ed altri generi qualunque" in cambio di
un compenso in denaro da parte italiana. In pratica veniva a
sacrificare un suo diritto sovrano, che mai però aveva potuto
esercitare in passato, e che sicuramente non era in grado di
esercitare in tempi brevi neppure da lì in poi, per una cifra che
sarà piuttosto considerevole se rapportata ai tempi ed ai suoi
introiti abituali. In altre parole era riuscita per la prima volta
nella sua storia a vendere a caro prezzo qualcosa che in quel
momento per lei non aveva praticamente alcun valore, operazione
che ripeterà quasi subito con la vendita dei titoli onorifici.
L'Italia avrebbe dato come compenso per tale rinuncia la
ragguardevole cifra di 19.080 lire annue tramite tre rate
quadrimestrali, ovvero una somma pari a più della metà della cifra
costituente il bilancio dello Stato sammarinese.
Una vera manna
piovuta inaspettatamente dal cielo, quindi, che creò ovviamente
grandi aspettative nella popolazione, e che fece intravedere ai
governanti la fine di quel lungo tunnel buio di natura finanziaria
in cui la Repubblica da tempo si trovava. La prima rata del canone
doganale venne pagata alla Repubblica nei primissimi giorni di
ottobre, ed il giorno 11 dello stesso mese venne subito presentata
un'istanza d'arengo da parte di Marco Tassini con cui si chiedeva
che quei soldi fossero utilizzati per ricostruire il Palazzo
pubblico. Un'altra istanza fu invece presentata da Palamede
Malpeli: "Tutti i Cittadini -diceva- in una Repubblica
specialmente hanno diritto al bene dell'Educazione e della
istruzione, anche quelli che non sono provvisti di mezzi di
fortuna, e sono la maggior parte", per cui chiedeva che questo
problema fosse risolto prioritariamente. (app.n° 10) Ma le
esigenze della Repubblica, tante volte necessariamente trascurate,
erano un'infinità, per cui il Consiglio sentenziò che i soldi
provenienti dall'Italia venissero utilizzati per il rifacimento
delle strade; agli altri problemi si sarebbe cercato di fornire
rimedio successivamente. (53a)
La scelta di
costruire strade era certamente intelligente, perché avrebbe
permesso di sviluppare i commerci, e di fornire alla popolazione
possibilità di lavoro. Nella seduta consigliare del 30 aprile 1863
si sottolinea proprio questo aspetto, affermando che la creazione
di nuove vie di comunicazione era fondamentale. In particolare era
necessaria e urgente una strada che collegasse Mercatino Conca con
Rimini, via San Marino. "Aprendo una comunicazione diretta tra il
Monte Feltro e la Città di Rimini, -si disse- tutti i
prodotti del Monte Feltro stesso, e principalmente la legna
dovrebbero necessariamente fermarsi sulla nostra Piazza, la quale
perciò acquisterebbe importanza anche pel commercio dei cereali".
Ma la situazione era tanto critica che ogni soldo incassato era
già speso in anticipo. E così fu anche per la prima rata italiana,
subito consumata per acquistare i tabacchi per il 1863, perché lo
Stato non aveva altri fondi a sua disposizione. (54) Il 2 giugno
il Congresso economico espose al Consiglio che per quell'anno non
si potevano sistemare le strade perché le pubbliche casse erano
completamente vuote. L'unica soluzione al problema era
l'accensione di un nuovo debito di 4.000 scudi, debito che venne
infatti contratto. (55)
Insomma, nonostante
i nuovi introiti, la fine del tunnel era solo apparentemente
vicina, perché il canone doganale, che pur sembrava tanto ingente,
si perdeva in realtà come una goccia nello sterminato mare dei
bisogni della Repubblica. Si cominciarono a cercare dunque anche
altre vie, perché la volatilizzazione del denaro di provenienza
italiana probabilmente fece comprendere che per fare le strade, le
scuole, i palazzi, gli asili, e tutto quanto mancava a San Marino
erano indispensabili entrate colossali. Non si volle accettare,
per motivi morali, l'idea d'impiantare in loco un casinò, come già
aveva proposto un anno prima un certo signor Fossard. (56)
Si cominciò invece a pensare seriamente alla stampa di
francobolli, (57) all'impianto della famosa miniera di Faetano,
(58) alla coniazione di monete, (59) ed alla creazione di una
lotteria internazionale, idea suggerita da Avigdor. (60) Si
scrisse anche a Cibrario per manifestargli il bisogno di nuove
strade e per chiedergli se poteva domandare alle autorità torinesi
un anticipo di 36.000 lire del canone dovuto. Egli rispose che ciò
era impossibile. (61)
6 - La vendita delle onorificenze
Ma la vera miniera
d'oro di cui la Repubblica disponeva già da qualche anno, e che
non era stata ancora nè esplorata, nè sfruttata, era l'ordine
equestre istituito nel 1860, e la possibilità di creare e vendere
titoli nobiliari. Avevamo sospeso il discorso in proposito proprio
con la promulgazione dello statuto; riprendiamo da lì il nostro
esame. Nei primi giorni del 1860 la Repubblica era intenzionata ad
offrire medaglie del suo nuovo ordine ad alcune personalità
europee, e precisamente a Lord Palmerstone, primo ministro
d'Inghilterra, ed al conte Alessandro Walewski, figlio naturale di
Napoleone I, ed eminente personaggio politico francese. Avigdor,
tuttavia, per vari motivi sconsigliò tale omaggio, (61a) cosicché
fino al 22 marzo non vennero assegnate altre medaglie, oltre a
quella già donata ad Eugenio Bonaparte. Da tale data però, che
precede di poco un periodo di forti polemiche con Cavour, come
abbiamo visto, l'assegnazione di medaglie diventa sistematica e
cospicua.
L'ordine equestre
disponeva di cinque gradi, e precisamente: Cavalier Gran Croce,
Cavalier Grand'Ufficiale, Cavalier Ufficial Maggiore, Cavalier
Ufficiale e Cavaliere. L'unico organo che aveva facoltà di
assegnare i titoli era il Consiglio; il primo grado veniva
conferito "ai Sovrani, ai membri delle Famiglie regnanti, agli
alti funzionari d'uno Stato, e straordinariamente anche a quelli,
i quali abbiano per servigi straordinari altamente meritata una
tale ricompensa". Il secondo grado veniva conferito "d'ordinario
ai Diplomatici ed agli Uffiziali Generali"; il terzo "ad ogni
altra classe di persone"; il quarto ed il quinto venivano
assegnati per "ricompensare i segnalati servigi resi all'umanità,
alle scienze, alle arti". (62)
In definitiva San
Marino disponeva ora di un importante strumento per blandire i
potenti, o ringraziare chi gli avesse reso dei servizi, ma
disponeva anche (però ancora non lo sapeva) di una merce che
costava poco, e poteva rendere tanto. Consultando l' "Indice
alfabetico dei Decorati dell'Ordine Equestre" conservato
nell'Archivio pubblico di San Marino (63) si può fare
un'interessante statistica: nel decennio 1860-1870 San Marino
distribuì più di 800 decorazioni, ed altrettante nel decennio
successivo, arrivando alla decorazione n° 1.261 nel dicembre del
1880. Nell'ultimo ventennio del secolo l'assegnazione di
onorificenze calò sensibilmente, perché al 21 agosto 1900 si era
arrivati alla consegna della decorazione n° 1774. Nel primo
ventennio del secolo nuovo il calo continuò, tanto che l'ultima
decorazione che risulta distribuita nell' "Indice" fu la n° 2.134
in data 31 agosto 1922.
Volendo ora esporre
qualche numero relativo agli anni in esame, possiamo constatare
che nel 1860 vennero in tutto distribuite 24 decorazioni, nel '61
furono 18, nel '62 furono 40, nel '63 ancora 18, tra il '64 e il
'65 poco più di 100. Nei primi cinque anni di vita, in definitiva,
vennero mediamente distribuite 40 - 42 decorazioni all'anno. Nella
seconda metà degli anni '60, invece, tale media viene stravolta,
perché tra il 1866 e il 1869 vengono conferite circa 500
decorazioni, e precisamente: una sessantina nel 1866, 130 nel
1867, 160 nel 1868, 140 nel 1869. E' ovvio che questi numeri non
si riferiscono solo a potenti blanditi, o amici ricompensati, ma
anche a tutti coloro che pur senza avere particolari rapporti con
San Marino, volevano ricevere una sua decorazione, e quindi erano
disposti a "rendergli servigi", per usare le parole dello statuto,
in altra maniera. Per questo motivo negli anni in questione la
Repubblica cominciò a ricevere donativi da tutte le parti:
arrivarono mobili, quadri, statue, libri, attrezzi chirurgici,
damigiane di vino, invenzioni stranissime, e oggetti degni di un
museo delle curiosità. Naturalmente chi li donava aveva la segreta
speranza, spesso alimentata dai rappresentanti sammarinesi sparsi
in Italia ed Europa che fungevano da intermediari (probabilmente
non sempre disinteressati), di ricevere una decorazione. Ma
cominciò ad arrivare anche denaro in quantità, tanto che ad un
certo punto si stabilirono i prezzi delle decorazioni ed anche dei
titoli nobiliari di cui parleremo fra breve.
Ma quante
decorazioni vennero distribuite per motivi politici, e quante per
cause più venali? In parte ce lo dice Palamede Malpeli tramite una
sua relazione del 1872 in cui si descrivono i benefici portati
alla Repubblica dall'Ordine equestre fino a quel momento. Mi si
perdonerà se la esamino fin d'adesso, ma è importante per capire a
fondo la questione di cui stiamo parlando. In quell'occasione
Malpeli, che era alla sua quarta Reggenza, aveva presentato in
Consiglio un nuovo progetto per il conferimento dei titoli,
contenente una statistica (aveva il pallino per le statistiche)
relativa ai titoli conferiti fin lì. Egli aveva contato 880
onorificenze distribuite (numero che posso confermare) di cui 1/12
(cioè circa 73) per servizi importanti, 2/12 (146) per meriti
personali e "visite politiche", 3/12 (220) per donativi ricevuti,
6/12 (440) per raccomandazioni ricevute. Queste raccomandazioni
erano in genere quelle avanzate dai rappresentanti politici di San
Marino che a quest'epoca saranno sparsi un po' ovunque. Alcune
economicamente non rendevano nulla a San Marino, ma in genere la
maggior parte fruttavano denaro, perché i raccomandati
inviavano soldi o doni al momento della loro richiesta, oppure in
seguito come ringraziamento per il titolo ricevuto.
In definitiva
possiamo ritenere che la maggioranza delle onorificenze
distribuite aveva portato alla Repubblica un utile tangibile e non
solo politico. E Malpeli ce lo conferma ampiamente: "Nell'interno
fu osservato da alcuni che l'Istituzione dell'ordine è stata causa
di demoralizzazione perché i decorati avendo procurato degli utili
materiali hanno accresciuto le inoneste esigenze di una certa
parte della nostra popolazione; hanno dato campo alla maldicenza
di attaccare la fama di quei Cittadini che potevano aver mano in
questi negozi, e così hanno dato luogo a lagnanze, a consorterie,
a discordie, e ad inimicizie cittadine". "In quanto all'Estero
poi, si dee osservare che qualche volta l'ordine non fu troppo ben
collocato, per essere stati ciecamente alle raccomandazioni avute
specialmente da certi ciarmudori (?) esteri che avevano fatto del
nostro Ordine stesso un ramo di speculazione a nostro discapito
materiale e morale." Tuttavia l'ordine aveva permesso di farsi
molti amici, nonché di
ricevere tanti benefici concreti: "Ci
si permetta solo di accennare come l'Ordine abbia potentemente
influito alla erezione ed ampliazione dell'Ospedale che fu poi
corredato anche di una farmacia e di molti utensili e macchine
scientifiche, e di ferri chirurgici, somme rispettabili si son
messe a parte per la pubblica istruzione, e per la dotazione di un
Asilo infantile. Si è costruito in gran parte il Teatro del Borgo,
e si sono messe in serbo somme pel Teatro di Città. Si son potuti
condurre a buon porto molti pubblici lavori, sempre mercè
oblazioni avute, parte della strada di Gualdicciolo, la Piazza del
Borgo, il Muraglione fuori Porta S. Francesco, il restauro della
Rocca e delle mura castellane e i fondi per far la nuova
lastricatura del Pianello. Si è potuto coll'ordine restaurare
questa Sala Consigliare, fornir di mobili e di orologi, si è
rinnovata la macchina alla Torre del Pianello, ampliare ed alzare
la Casa del Commissario, e quella dell'Ispettore in Borgo, si è
potuto provvedere ai bisogni della rimonta e del Quartiere della
Guardia del Principe, ed anche già della Milizia. Si sono estinti
dei debiti pubblici: si è provveduto ai bisogni di qualche Chiesa:
si è restaurato il pregevolissimo quadro attribuito a Giulio
Romano, cosa al certo di non lieve momento. Oltre tuttociò chi
potrebbe enumerare le opere di pregio, di cui è stata
considerevolmente arrichita la nostra Biblioteca; gli oggetti
antichi, i gioielli, le medaglie, le monete, i bronzi, i vasi, le
armi antiche e moderne, gli oggetti di curiosità regalati al
nostro Museo; i quadri di valore, le statue, i bassorilievi per la
Pinacoteca, e un rispettabile incipiente Gabinetto di Storia
naturale. Noi crediamo di non andare errati dicendo che tutto ciò
comprese le sovvenzioni avute in danaro rappresenta un valore di
Settantamila scudi d'argento."
I vantaggi
sopravanzavano quindi di certo gli svantaggi, imputabili solo
"alla mancanza d'esperienza, d'avvedutezza in noi, e di leggi o di
regolamenti opportuni". Un errore fondamentale fatto fin lì era
stato quello di distribuire le onorificenze "ad occhi chiusi",
senza curarsi troppo di svolgere indagini preliminari sul
richiedente. Tale difetto era senza dubbio da eliminarsi per
primo. Inoltre bisognava definire con una certa meticolosità quali
servizi andassero ricompensati con decorazioni, ed i valori minimi
dei "donativi". Malpeli suggeriva un minimo di 1.200 lire per
ricevere il grado di Cavaliere, 1.500 per quello di Cavalier
Ufficiale, 2.500 per quello di Commendatore e 4.000 per il titolo
di Grand'Ufficiale. Il Gran Cordone doveva essere assegnato solo
per ragioni di "alta politica". Alla fine il Consiglio approvò
tale progetto accettandolo come "regolamento disciplinare" in
materia. (65)
In effetti negli
anni precedenti si era spesso proceduto a caso nella distribuzione
dei titoli, senza preoccuparsi troppo di chi li riceveva, e senza
regole fisse che determinassero con precisione quali dovessero
essere i "servigi resi" meritevoli di essere premiati. In genere
nella seconda metà degli anni '60 occorrevano intorno alle mille
lire per ricevere un grado, ma ne sono stati distribuiti anche con
cifre minori, ed anche come ricompensa ad oggetti di scarsa
importanza e costo. Probabilmente da ciò l'invio di doni anche
strampalati.
Ma torniamo al 1860
per riprendere il nostro discorso. Le prime onorificenze
distribuite servirono alla Repubblica soprattutto per scopi
politici, per cui non determinarono introiti economici. D'altra
parte le cifre che abbiamo visto dei bilanci di questi primi anni
'60 parlano chiaro. La loro lievitazione dovette dipendere più dal
canone doganale (lire 19.080 = scudi 3.586) che da altro. La prima
onorificenza conferita per motivi pratici, invece, dovette essere
quella assegnata al professor Pasquale Greco di Lecce in data 25
ottobre 1863. Costui aveva offerto alla Repubblica 12 lampioni
insieme a 600 litri d'olio per alimentarli (si veda la sua lettera
in appendice al n° 7, assai interessante per capire il mito che
permetteva alla Repubblica di avere stima ed amici). San Marino
non disponeva ancora di illuminazione notturna, per cui la
Reggenza comunicò la generosa offerta al Consiglio del 20 agosto
di quell'anno. Al suo interno nacque però una discussione, perché
il dono era sicuramente generoso, ma il sistema d'illuminazione
avrebbe poi richiesto un lampionaio che lo accudisse per tutto
l'anno, determinando quindi un aggravamento del già barcollante
bilancio. Alla fine si decise di accettare l'omaggio, e di
impiantare i lampioni parte in Città, parte in Borgo. Il giorno
25, appunto, fu conferito al professor Greco il grado di Cavaliere
ufficiale dell'Ordine equestre, ed a Raffaele Boni di Ancona, che
aveva provveduto gratuitamente all'installazione, la cittadinanza
onoraria. (66) Greco nell'ottobre del 1865 per confermare la sua
simpatia, e ringraziare ulteriormente la Repubblica, donò altri
sei lampioni, più 1.000 lire.
I soldi cominciano
ad affluire qualche tempo dopo, precisamente durante la seconda
Reggenza (guarda caso) di Palamede Malpeli avvenuta dall'ottobre
del 1864 al marzo del 1865. Il 15 novembre del 1864 è Michele Saba
di Alessandria d'Egitto che dona alla Repubblica 1.000 lire da
elargire a favore del costruendo ospedale; gli viene concessa la
cittadinanza onoraria. Il 15 dicembre è un certo Santi Giubilei
che dona 400 lire per il titolo di cavaliere che aveva già
ricevuto; nella stessa occasione l'avvocato Traversi, console
sammarinese a Milano dall'anno prima, paga le matrici delle nuove
monete che la Repubblica stava per coniare (di cui parleremo fra
non molto). Il commendator Corinaldi invia addirittura 5.000 lire
a favore dell'erigendo ospedale. Insomma é da questo momento che
vengono accantonate le barriere morali che avevano impedito alla
Repubblica di attuare certe speculazioni in nome di una probità
che si richiamava direttamente al mitico tempo degli avi.
Personalmente reputo Malpeli il principale artefice interno di
questa storica svolta, ma pesanti influenze si dovettero
probabilmente anche al Cibrario e naturalmente ad Avigdor.
Cibrario nel mese di febbraio del 1865 scrisse due lettere al
Reggente Malpeli, relative alla situazione economica sammarinese,
assai interessanti e sicuramente influenti. (app. n° 18 e n° 23)
Egli dopo aver stigmatizzato il locale sistema economico, che
nonostante le maggiori entrate dovute al canone italiano ancora
era assai vacillante ed insufficiente, giunse a dire: "Bisogna che
qualcuno o per ignoranza sperda, o per malizia rubi
il pubblico denaro". Nella seconda lettera affermò, invece, che a
San Marino non si aveva "un'idea chiara dell'ordine e
dell'importanza dei titoli di nobiltà", per cui aveva preparato
una "memoria", che allegava, in cui forniva le informazioni
secondo lui indispensabili per schiarirsi le idee in merito.
Questa memoria è senz'altro il primo "prezzario" dei titoli e
delle onorificenze sammarinesi.
La Repubblica,
comunque, iniziò pure un'altra prassi in questi anni che si
dimostrerà anch'essa assai redditizia: l'assegnazione di titoli
nobiliari. Colui che instradò la Stato sammarinese lungo questa
via fu il conte Avigdor, il quale con lettera del gennaio 1861
chiese per sé il titolo di Duca d'Acquaviva come riconoscimento
per i tanti servizi svolti fin lì a favore della Repubblica. (67)
Avevamo già visto in precedenza che una richiesta simile (il
titolo di Barone di Casole per Sonnino di Livorno) era stata
rigettata perché considerata non confacente ad una costituzione
repubblicana. Erano nel frattempo passati però tre anni, e si
erano verificati tanti fatti nuovi, per cui ora la richiesta di
Avigdor ebbe un'altra attenzione, pur se ancora in mezzo a mille
perplessità. Tramite lettera scrittagli l'11 febbraio del 1861 la
Reggenza gli comunicava che vi erano difficoltà a conferirgli il
titolo richiesto, e domandava di "fornire degli esempi di altre
Repubbliche Democratiche aventi titoli Feudali". (68)
Avigdor rispondeva assai risentito un mese dopo, il giorno 11
marzo: "Le onorifiche ricompense sono le uniche colle quali il
Governo Sammarinese possa premiare i servigi che gli si rende, e
quando i detti sono resi col disinteresse che porti, meritano
qualche cosa eccezionevole. Non m'appartiene di fare panegirici,
dell'operato mio per la Repubblica, ma appartiene meno ancora al
Governo di San Marino, di non istimare dei sacrifici di tempo e di
borsa, che niun'altro avrebbe fatto in mia vece, e ch'oggi giorno
sommano senza esagerazione, ad una somma non minima dei 20.000
franchi. (...) In tutte le antiche repubbliche, eccezioni
somiglianti hanno luogo, soprattutto quando trattasi del titolo di
Duca, che è intieramente Italiano, o piuttosto dell'antica Roma, e
che aveva esistenza molto prima delle feodali istituzioni. Non vi
è Governo che non ricerchi rimmunire dei segnati serviggii, e
pertanto, non vi è agente diplomatico, che operi sacrifizii, tali
sono quelli che faccio giornalmente io medesimo, del tempo mio e
della mia borsa, e che replico sono di tale importanza, che mi
sarebbe difficile il continuarli, se in contraccambio non avessi
la convinzione, che giustamente sono apprezzati a Sammarino. Del
resto, un'eguale titolo non ha bisogno d'essere pubblicato, ed è
sufficiente che siami conferito con diploma, purché attenda
l'opportuno momento, per io parlarne senzacchè il governo di
Sammarino, sia minimamente compromesso. Sembrami del resto che la
condotta mia, fin qui, ha dovuto dar prova al Sovrano Consiglio
Principe, che ben ho saputo aggiungere ad una sufficiente
intelligenza, molte prudenza". (69)
La paura di perdere
il proprio rappresentante in Francia in un momento tanto delicato
della storia italiana e sammarinese deve aver indotto i locali
governanti a superare i loro pregiudizi di natura repubblicana,
per cui con lettere del 10 aprile Avigdor venne avvisato che il
Congresso per gli affari esteri aveva dato il suo benestare per il
conferimento del titolo, e che la Reggenza stava per presentare la
richiesta in Consiglio. (70) Il 21 dello stesso mese il Consiglio
accordò il titolo richiesto, ed il 23 si scrisse ad Avigdor per
dirgli che era stato promosso al grado di Cavalier Gran Croce
dell'Ordine di San Marino, e che gli era stato conferito il titolo
di Duca d'Acquaviva "con la riserva che la pubblicazione di tale
atto straordinario e singolare e la spedizione del Diploma debba
essere fatta nella circostanza solenne in cui la Repubblica potrà
inaugurare la sua rappresentanza ufficiale presso la Corte di
Torino". (71) In altre parole, il titolo veniva assegnato, ma
Avigdor doveva industriarsi in tutte le maniere per appianare le
forti divergenze che in quel momento sussistevano con Torino, e
per reperire un rappresentante sammarinese presso quella corte.
Questi sarebbero stati i "servigi" eccezionali che avrebbero
giustificato il conferimento del titolo di duca. Il 30 aprile
Avigdor risponde mostrandosi poco soddisfatto per le condizioni
postegli, (come farà anche con lettere successive). Tuttavia alla
fine afferma che avrebbe cercato "il mezzo più prudente affinché
la Repubblica sia rappresentata a Torino senza svegliare la
suscettibilità del Re d'Italia". (72) L'11 maggio è la Reggenza a
scrivergli: "Il Generale Consiglio conosce da lungo tempo con
quanto ardore Ella si adoperi costantemente pel benessere della
nostra Repubblica; sa benissimo quanta sollecitudine Ella abbia
posta in tutte le missioni che le vennero affidate; e dal passato
traendo argomento per l'avvenire ha lui profonda convinzione, che
in lei non verrà meno giammai l'interessamento che ha sempre preso
per le cose nostre. Non poteva quindi supporre senza offesa alla
propria coscienza e senza far torto a V.S.Illma, che Ella avesse
mestieri di eccitamenti di forza alcuna per operare con tutta
alacrità a vantaggio di questa Repubblica. Ma trattavasi di
decretare un distintivo di onore non mai conferito in tanti secoli
di politica esistenza, e trattavasi di creare un fatto tutto
nuovo, e se non continuerà, certo poco (...?) alle Costituzioni
del Paese: era quindi necessario giustificare presso la posterità
questo atto straordinario ed inusitato; bisognava che apparisse
dai libri Consiliari che il Senatoconsulto venne fatto per una
occasione solenne e faciente epoca nei Fasti Repubblicani, sì che
i posteri non s'avvisassero di imitare questo esempio, nè sorgesse
in alcuno la speranza di conseguire simile onore se non
all'occorrenza di avvenimenti al tutto straordinari e di natura
conforme a quello onde nel verbale della Seduta Consiliare resta
motivato il Senatoconsulto sopradetto. E poiché molto rare per non
dire impossibili saranno le occasioni simili a quella in cui la
Repubblica nostra verrà formalmente riconosciuta dal Re d'Italia,
così ne sembra che da ciò si debba trarne un argomento di maggior
decoro per V.S.Illma, la quale avrà conseguito un titolo d'onore
che altri non potrà ottenere e che rimarrà nella famiglia di Lei
come fatto eccezionale ed unico nella Storia Sammarinese, e come
memoria di un avvenimento felicissimo per la Repubblica". (73)
Insomma, la Repubblica
conferiva tale titolo in via del tutto eccezionale, e con la
speranza, quasi con la certezza, che un simile fatto non dovesse
più ripetersi. Ma si era aperto uno spiraglio mai prima aperto
nella storia della Repubblica, si era creato un precedente di cui
sarebbe stato difficile dimenticarsi. E Avigdor non se ne
dimenticò: due anni dopo egli per la prima ed unica volta nella
sua vita fece personalmente visita a San Marino, precisamente ai
primi di ottobre del 1863. In quell'occasione fu accolto molto
bene, come un personaggio importante per la Repubblica; e sempre
in quell'occasione deve aver avanzato richiesta in modo informale
per un titolo di Baronessa di Faetano ad una sua cugina, la
signora Maria Carolina Payart de Fitz-Jamese. Tornato in Francia,
ufficializzò la sua richiesta con lettera del 23 ottobre, e nel
Consiglio del 7 dicembre fu deciso di conferirle non il titolo
richiesto, ma quello di Duchessa di Faetano. (74) Il 30 gennaio
1865, durante la Reggenza di Malpeli, vennero conferiti altri due
titoli: conte di Montecchio a Stefano Accard, che dal giugno di
quell'anno diventerà Incaricato d'affari presso la corte italiana;
contessa di Fiorentino alla signora Bianca Platt. Il 25 luglio
dello stesso anno venne insignito del titolo di Duca di Casole
Francesco Girolamo Leonardo, barone di Montmartre di Boisse. Il 29
gennaio 1866 venne assegnato un titolo di marchese ad Ernesto
Deville di Parigi, il 15 gennaio 1867 un titolo di conte a
Domenico Giulio Fauchè, il 31 agosto 1868 il titolo di contessa di
Montalbo alla signora Giuseppina Benoit Coffin Chevalier, un altro
titolo di conte a Francesco Houssaye, sempre di Parigi, il 22
giugno del 1869.
I primi titolati
sono tutti francesi, e questo fa legittimamente supporre che
Avigdor avesse un certo peso nella loro assegnazione. Solo dal 26
febbraio 1870 vengono assegnati titoli a personaggi di altre
nazionalità. In quella data ricevette il titolo di barone il
danese Zottlieb Abrahamson Zedalia, ed il torinese Francesco
Ayrino. Da quest'anno, inoltre, il conferimento di titoli
nobiliari diventa più frequente. Nel decennio 1870-1880
registriamo infatti 33 titoli distribuiti (16 baroni, 8 duchi, 5
conti, 3 marchesi, 1 visconte). Dal 1881 al 1899 ne vengono
conferiti 19 (9 baroni, 8 conti, 1 marchese, 1 duca), di cui 9 nel
primo decennio, e 10 nel secondo. Dal 1900 al 1931 solo 7 (4
conti, 2 marchesi, 1 barone), più un predicato nobiliare. (75)
Diversi di questi
titoli furono assegnati per benemerenze, ma la maggior parte
furono conferiti per motivi venali, e dietro esborso di cifre
anche molto elevate. La prima traccia che ho trovato di questa
prassi risale al dicembre del 1865, quando Avigdor offre a nome di
Ernest Deville di Parigi 5.500 lire da utilizzarsi a favore
dell'ospedale. Come ringraziamento un mese dopo gli viene
conferito il titolo di marchese. (76) Ma già nel '64 vi sono
tracce all'interno degli atti consigliari dell'arrivo di doni in
denaro o in oggetti, per cui direi che sono questi gli anni in cui
i governanti si rendono conto che per poter rispondere ai bisogni
della Repubblica, la via più rapida, più facile e più conveniente
era quella legata alla vendita delle onorificenze, dei titoli
nobiliari, della cittadinanza e del patriziato, ed anche dei
consolati che cominciarono a sorgere dovunque.
Ho parlato di
vendita, ma in realtà all'epoca si preferiva parlare di omaggi,
donativi, generosi regali, ecc. Un pizzico di ipocrisia serviva
probabilmente a giustificare, o meglio a rendere meno abietto alla
coscienza, un traffico che dai più doveva essere considerato
immorale, e contrario alla sana tradizione tramandata dai padri.
Ma il bisogno aguzza l'ingegno, per cui quando ci si accorse che
le onorificenze sammarinesi erano ambite, si accantonò il passato,
e si azzittirono i tradizionalisti, arrivando addirittura a
stabilire nel maggio del 1866 che nessuna onorificenza doveva
essere conferita ad offerte inferiori alle 1.000 lire, cifra assai
ragguardevole per l'epoca, visto che il medico primario della
Repubblica percepiva come stipendio annuale 1.500 lire. (77) Le
cifre relative ai titoli, poi, erano elevatissime, anche se nei
primi anni i governanti sammarinesi non sempre capirono quanto la
gente fosse disposta a spendere per diventare Duca di Ca'
Chiavello, o Marchese di Gorgascura. Negli anni '70, invece, i
prezzi dei titoli divennero assai esosi. Nel 1869, per esempio,
Francesco Houssaye "donò" 10.000 lire per diventare conte; nel '70
Gustavo Testa pagò 12.000 lire il titolo di marchese; nel '72 la
signora Rosina Carolina di Hetschendorf sborsò 22.000 lire per
diventare duchessa di Lesignano; 18.000 lire spese l'inglese
Giorgio Cockle il 17 gennaio del 1877 per diventare Marchese di
Montecarlo; ben 60.000 lire (la "madre" di tutti i donativi
diremmo certamente oggi) la signora Maria Antonietta Andrè di
Parigi per il titolo di Duchessa. Con questi soldi si avviarono i
lavori per il nuovo Palazzo pubblico. (78)
Tutti i titoli, comunque, procurarono
introiti per San Marino, variando da un prezzo minimo di
6-8.000 lire per un titolo di barone, alle somme di cui si è
detto.
Se rapportiamo poi
queste cifre agli stipendi che la Repubblica pagava ai suoi
funzionari, ci possiamo rendere conto ancora meglio della loro
entità. Nel '75 il commissario della legge, che era l'impiegato
con lo stipendio più alto, percepiva 2.400 lire all'anno, paga che
gli verrà aumentata alla fine del decennio fino ad arrivare a poco
più di 3.000 lire. Il professore di fisica e chimica nelle scuole
superiori riceveva 1.420 lire (1.700 nel 1880). Un medico, sempre
nel 1880, guadagnava 2.000 lire, e il chirurgo 2.500; l'ispettore
di polizia 1.500 lire; i maestri ricevevano dalle 800 alle 1.300
lire in base alle classi in cui insegnavano. Con le ingenti
entrate delle onorificenze, insomma, San Marino potè creare o
terminare quelle infrastrutture di cui sentiva l'esigenza nei
decenni precedenti, e dare temporaneamente lavoro alla sua
popolazione in pieno boom demografico. Ma su questi aspetti
torneremo al momento opportuno. Ora possiamo tornare ad esaminare
gli altri fatti successivi al 1862.
NOTE APPENDICE
7 - Il 1863
Il 1863 è un anno
in cui non avviene nulla di particolarmente interessante e degno
di nota. Per dovere di cronaca si può dire che, grazie alla
convenzione dell'anno precedente, le polemiche con Torino si
attenuarono di molto, ma non cessarono. L'attrito si riaccese
soprattutto per colpa di un disertore arrestato dai carabinieri
del Regno nel dicembre del '62, mentre se ne andava
tranquillamente in giro per l'Italia munito di un passaporto
sammarinese vendutogli da un fabbro locale per 7 scudi e mezzo.
(79) Proseguirono quindi le richieste di arresto di disertori
ritenuti in territorio sammarinese, e le lettere di lagnanze e di
proteste. Nel mese di luglio, poi, il sottoprefetto di Rimini
avvisò la Reggenza che circolavano voci inclini a sostenere
che membri del Partito d'azione, nascosti a San Marino, stavano
tramando rivoluzioni e massacri a danno delle Marche e della
Romagna. (80) La Repubblica per questo dovette di nuovo garantire
la massima vigilanza al suo interno, e continuò a procedere a
sistematiche perquisizioni nelle case sospette.
Si possono citare
ancora i tentativi fatti dai governanti per trovare nuovi sistemi
per incamerare denaro, ed in particolare l'avvio di seri progetti
per stampare francobolli, e coniare moneta. Quest'ultima
possibilità era prevista dall'articolo 24 della Convenzione del
1862, mentre per i francobolli occorreva fare una convenzione
specifica con l'Italia, per cui la loro realizzazione venne
rimandata ad un secondo momento. In maggio, invece, la Repubblica
diede disposizioni al suo neo- console a Milano, avvocato
Traversi, affinché s'interessasse di verificare se era possibile
coniare tra le 30 e le 50.000 lire di moneta, e quanto se ne
poteva ricavare. Traversi rispose durante l'estate che l'utile
sarebbe stato circa la metà del valore coniato. Tuttavia il
ministro degli esteri italiano in ottobre non si dimostrò contento
del progetto, per cui tentò di dissuadere i governanti
sammarinesi. Iniziò sul problema un fitto carteggio: alla fine si
giunse al compromesso di coniare 14.000 lire di monete di rame da
5 centesimi (280.000 pezzi) presso la regia zecca di Milano. (81)
Le monete furono coniate però un anno dopo, e costarono allo Stato
sammarinese 8.000 lire circa.
Un altro
interessante progetto scaturito in quest'anno, anch'esso legato
all'impellente bisogno di denaro, fu quello proposto da Avigdor
nel mese di novembre. Egli suggerì di creare un
"prestito-lotteria simile a quelli delle città libere
dell'Alemagna e della Svizzera", cioè una specie di lotteria
internazionale tramite cui la Repubblica potesse guadagnare un bel
po' di denaro. Questa idea gli era nata vedendo lo stato delle
strade sammarinesi e del locale Palazzo pubblico durante la visita
che aveva compiuto a San Marino un mese prima, ed ascoltando le
lagnanze dei Sammarinesi intorno alle loro necessità, ed
all'impossibilità di farvi fronte. Tornato a Parigi, si era messo
subito in contatto con alcuni suoi amici banchieri (Wertheim e
Gumpert di Amsterdam), ed aveva elaborato un progetto secondo cui
sarebbero state emesse 300.000 cartelle a nome della Repubblica,
da vendersi a 20 franchi ciascuna. Ovviamente ognuno avrebbe
ricevuto da simile operazione un utile: San Marino avrebbe
conseguito subito 250.000 franchi, e tanti altri soldi in futuro
(riporto il progetto iniziale in appendice al n° 28). (82)
Leggendo la lettera di Avigdor si avverte una fretta di concludere
la faccenda che lascia ipotizzare un notevole interesse a che il
progetto andasse in porto. Ma i governanti sammarinesi, abituati a
muoversi da sempre coi piedi di piombo anche per questioni molto
più irrisorie, contattarono Cibrario, Spanna (Incaricato d'Affari
a Torino al posto di Consorti) ed altri per verificare se
effettivamente la Repubblica avrebbe ricevuto tutti i vantaggi
economici decantati da Avigdor. In gennaio Cibrario rispose
illustrando i pericoli legati al progetto di lotteria, ed
accludendo una lettera di un esperto da lui consultato (Joseph
Antoine Cotta) che molto esplicitamente gli aveva espresso queste
parole: "Dall'esame delle carte communicate bisogna ben credere
che si faccia un gran conto sull'imbecillità dei Rappresentanti la
Repubblica di San Marino", spiegando perché, secondo lui, vi erano
diversi inghippi e problemi da approfondire meglio all'interno del
progetto. (83)
Da qui iniziò un
fitto lavorìo che coinvolse un po' tutti, perché si voleva
realizzare l'idea, ma nello stesso tempo si aveva paura di
un'infinità di problemi più o meno reali. Il provincialismo,
l'impreparazione,l'emarginazione e la secolare chiusura dei
Sammarinesi in questo problema traspaiono netti. Per tutto
il 1864 si continuò a lavorare sulla questione elaborando
ulteriori progetti, scrivendo decine e decine di lettere a destra
ed a manca, arrivando più volte sul punto di concludere la
trattativa. Alla fine, però, non si giunse a nulla, soprattutto
per la paura di impegolarsi in un affare troppo innovativo, ed
anche per la scarsa fiducia dei Governanti sammarinesi, in genere
per natura sempre molto diffidenti di tutti, nei loro
interlocutori. "Il nostro Governo ha compreso benissimo questa
operazione -si scrisse ad Avigdor nell'ottobre del '64- ma
V.S.Illma e la Commissione delle Finanze (l'organo sammarinese
preposto a seguire e realizzare il progetto) non s'intenderanno
mai intra loro in questo negozio. Ecco la ragione: V.S.Illma ha
veduto questo affare sotto il punto di veduta
politico-finanziario; il Congresso al contrario lo vede
principalmente sotto il punto di veduta politico-morale. In
conseguenza è molto difficile da una parte soddisfare le mire
della speculazione bancaria, ed accordare dall'altra parte la
guarentigia che la Repubblica pretende nell'interesse suo proprio,
e nell'interesse dei portatori delle Cartelle. Le operazioni
bancarie reclamano la confidenza reciproca, ma la Repubblica per
questo caso peculiare non accorderà mai la sua confidenza ad
alcuno; non ai suoi cittadini stessi". (84)
8 - Il 1864
Del 1864
abbiamo già detto qualcosa, ma altro si può dire ancora.
Continuarono le polemiche tra San Marino ed Italia per colpa dei
rifugiati: la Repubblica continuava ad essere accusata di
interessarsi poco al problema, e di offrire scarsa collaborazione.
Il prefetto di Forlì avrebbe voluto fornire qualche carabiniere
per aiutare a controllare il territorio, ma San Marino, così come
aveva già fatto in passato con lo Stato pontificio, non era
disposto ad accettarli all'interno dei suoi confini. In agosto
successe un fatto sanguinoso che rischiò seriamente di
compromettere i rapporti tra i due Stati: la sera del 24 venne
ucciso a Cerasolo un milite, e feriti altri due. Autori di tali
delitti erano ritenuti certi Patrignani, Giorgi e Ceccarelli,
sospettati di essere nascosti all'interno della Repubblica. In
effetti tre giorni dopo Patrignani e Giorgi furono momentaneamente
fermati a San Marino, ma non poterono essere in quell'occasione
arrestati perché due giovani del luogo (Domenico Gasperoni e un
non meglio definito Zonzini) li avevano difesi con forza,
aiutandoli così a liberarsi dalla custodia dei militari che li
avevano presi, e a fuggire. Gasperoni e Zonzini vennero per questo
arrestati, ma anche Patrignani e Giorgi per fortuna furono
ricatturati in fretta. Il 15 settembre vennero consegnati ai
carabinieri italiani.
Nello stesso anno
riemerse ancora una volta la richiesta, sempre da parte di una
società francese, di poter installare nei confini sammarinesi,
vicino a Valle Sant'Anastasio, uno stabilimento termale con sala
di lettura, di conversazione, "di gioco di pallina e del 30-40".
Un casinò, in definitiva, che avrebbe fruttato a San Marino 34.500
franchi francesi all'anno. Dapprima si chiese un'opinione in
merito al Cibrario; poi, nel Consiglio del 4 settembre, si
respinse la richiesta con queste motivazioni: "Il Consiglio
riconoscendo che la virtù è il fondamento principale della
Repubblica, e trovando che il progetto rinchiude in sé dei
principi d'immoralità, e contrari anche alla sana politica, la
rigettò sdegnosamente, avuto riflesso ancora che i giochi
d'azzardo sono proibiti dalle nostre leggi". (85) Poveri ma belli,
si potrebbe sintetizzare.
Il 1864 è anche
l'anno della seconda Reggenza di Palamede Malpeli, il quale, come
aveva già fatto in precedenza, si sente in dovere di elaborare ed
esporre davanti al Consiglio un'articolata relazione di natura
economico-finanziaria per rimarcare i mali della Repubblica, e
proporre dei rimedi (si veda app. n° 2). In sostanza egli venne a
ribadire lo stato di bisogno perenne in cui si doveva dibattere la
Repubblica per colpa delle scarse entrate e delle molte uscite.
Inoltre si dimostrava convinto che per progredire era impellente
costruire nuove strade, sistemare le mura, così come si doveva
senz'altro ricostruire il Palazzo pubblico, ridotto "in uno stato
disdicevole alla stessa spartana semplicità" che da sempre era un
vanto sammarinese. I tempi erano cambiati rispetto al recente
passato, ripeteva di nuovo, e le spese erano lievitate
enormemente. Non erano di molto cambiati i vecchi sistemi di
gestione amministrativa, invece, e questo determinava notevoli
scompensi economici, ed un'amministrazione facilona e poco
oculata. Soprattutto i lavori pubblici rappresentavano un'immensa
piaga: "In questo ramo di pubblica amministrazione si cammina a
tentoni, a capriccio, senza unità di principio, senza vedute
generali, senza un'ordine prestabilito, senza un nesso logico tra
le diverse operazioni, senza buoni metodi di esecuzione; ma tante
volte per liberarsi da una pressione, per favorire un interesse,
per servire a poco ragionevoli esigenze. Qui tornerò a ripeterlo,
è necessario di stabilire principj generali, unità di operazione,
ed amministrazione ben definita". Insomma, la situazione era assai
precaria, e richiedeva rapidi interventi risanatori. Per Malpeli
era indispensabile realizzare "un sistema d'amministrazione più
buono", e "trovare i mezzi per accrescere le rendite dello Stato
fino a quella proporzione che è necessaria per sopperire a quelle
spese che sono imposte dalla necessità dei tempi". Per
quest'ultimo aspetto suggeriva di riordinare soprattutto il
sistema fiscale, ritoccando anche vari tributi.
Il Consiglio fu
solo in parte d'accordo con Malpeli, perché "opinò non doversi per
ora pensare ad aumentare le Tasse, doversi affrettare il
miglioramento del sistema d'amministrazione, non doversi in questo
mezzo fare la menoma spesa senza il permesso del Consiglio, ed
occuparsi della liquidazione dei crediti pubblici e
dell'affrancamento delle Enfiteusi". (86) In pratica non si
vollero modificare le cose più di tanto. Probabilmente fu questo
atteggiamento che indusse lo Stato sammarinese ad incamminarsi
lungo la strada della vendita delle onorificenze.
9 - Il 1865
I primi mesi del
1865 vedono ancora Reggente Palamede Malpeli, e come già era
successo alla fine della sua prima Reggenza, egli volle lasciare
un'importante riforma, probabilmente a testimonianza del suo
attivismo: il primo censimento della popolazione sammarinese. Come
avevamo già visto, fin da qualche anno prima si era pensato a
Malpeli per censire i Sammarinesi; tuttavia egli non si era poi
dedicato a tale compito. Nella seduta consigliare del 15 dicembre
1864 come Reggente presentò invece un regolamento tramite cui
eseguire il censimento, (87) e nei giorni successivi fece
distribuire a tutti i capifamiglia della Repubblica una scheda
riportante alcune richieste a cui si doveva rispondere. Entro la
fine dell'anno le schede compilate vennero restituite, ma sorsero
problemi con le parrocchie di Fiorentino, Chiesanuova e
Montegiardino dove alcune "voci sinistre" avevano istigato i
residenti a non fornire le informazioni richieste, perché
altrimenti avrebbero potuto subire tristi conseguenze da parte del
governo. I principali propagatori di tali informazioni furono i
due parroci delle località in questione, probabilmente
indispettiti perché il censimento toglieva al clero l'esclusivo
controllo del numero dei parrocchiani. Simile comportamento riuscì
ad ottenere un boicottaggio da parte dei loro parrocchiani del
censimento; per questo però vennero perseguiti penalmente per
"sedizione e ribellione". Alla fine dovettero pagare una multa
piuttosto salata, soprattutto Don Antonio Micheloni, parroco di
Montegiardino: egli fu condannato all'esborso di 250 lire, cifra
che in seguito gli verrà per metà condonata. I loro parrocchiani,
per non subire anch'essi problemi di natura legale, si decisero in
un secondo momento a fornire le informazioni richieste. (88)
Il censimento del
1865 rappresenta un fatto assai importante, perché finalmente
vengono raccolti dati precisi sulla popolazione sammarinese, anche
se con un po' di buona volontà e di esperienza in più si sarebbe
potuto far ancora meglio, ed essere quindi addirittura più
precisi. La popolazione ammontava a 7.080 individui,
con una densità di 131 abitanti per kmq. Malpeli si
rallegrava di tali cifre, a suo giudizio elevate ed in forte
crescita rispetto al passato, perché erano indice di sviluppo e
progresso dell'agricoltura e del commercio. In realtà non sappiamo
con precisione se l'aumento demografico così marcato della prima
metà dell'Ottocento (è stato stimato che il numero dei Sammarinesi
sia più che raddoppiato in questo lasso di tempo) sia dipeso dai
fattori di cui ci parla Malpeli, o da altro. Personalmente
studiando questo periodo non ho avuto sentore di uno sviluppo dei
commerci o dell'agricoltura tali da giustificare un aumento così
vistoso dei residenti. Anzi, con la carenza di strade che vi era,
direi proprio che il periodo in questione doveva essere in genere
piuttosto sottosviluppato in questi due settori, per cui ritengo
che cause più verosimili del boom demografico possono
essere altre, in particolare un miglioramento delle condizioni
sanitarie (la Repubblica disponeva di tre medici, e fin
dall'inizio del secolo attuava vaccinazioni sui bambini), e forse
l'introduzione di alimenti, come la patata per esempio, facilmente
coltivabili, e particolarmente adatti ad eliminare le carestie di
cui abbiamo tracce sempre più esigue man mano che ci avviciniamo
alla metà del secolo. Ma questi problemi vanno analizzati più
attentamente se si vogliono certezze, per cui preferisco
soprassedere.
Malpeli proseguiva
affermando che la popolazione era composta per il 78% da
Sammarinesi originari, e per il 22% da forestieri immigrati,
residenti per lo più nelle parrocchie di Serravalle, Domagnano,
Acquaviva e Chiesanuova, ovvero "su quel tratto di Territorio che
è più fertile, ed ha il clima più temperato". L'istruzione aveva
bisogno di essere maggiormente curata un po' in tutte le
parrocchie, soprattutto quella femminile. I centri rurali avevano
una percentuale assai elevata di analfabeti. "Per ora non ci
minaccia la terribile piaga del pauperismo", proseguiva il
Reggente, tuttavia occorreva potenziare l'agricoltura a vantaggio
del "Proletariato", cioè dei non possidenti, perché grazie
all'agricoltura questo ceto poteva continuare a vivere bene, ed a
svilupparsi. "A questo fine la compilazione di buone Mappe
consorziali, la redazione di una ragionata legge forestale,
l'istituzione di un Comitato Agrario composto dei principali
Possidenti della Repubblica per procurare la coltivazione di molti
dei nostri terreni quasi abbandonati, e promuovere il
miglioramento dei sistemi agrarii, il procurare un'istruzione
primaria in ciascuna Parrocchia per farsi strada al dirozzamento
del popolo, e a spogliarlo dei funesti pregiudizi, specialmente in
Agricoltura", erano indispensabili, sentenziava Malpeli. Inoltre
occorreva "cominciare a pensare seriamente alla grave necessità,
troppo ormai sentita d'istruire e di moralizzare la Donna; infine
cooperare tutti, prima coll'esempio, e poi col proporre premii ed
incoraggiamenti: poiché sono queste i principali mezzi per
ottenere l'intento". (89)
Con queste gravi
parole Palamede Malpeli terminava il suo secondo mandato
reggenziale. Per il 1865 non rimane tant'altro da dire.
Proseguirono periodicamente anche durante quest'anno le polemiche
con l'Italia per via dei rifugiati, perché ancora non si credeva
nella piena capacità collaborativa da parte sammarinese nel
puntuale disbrigo del problema. (90) Nello stesso anno, inoltre,
la Repubblica tentò di creare anche a Roma un Incaricato d'affari
ufficiale, così come aveva ormai in varie altre città, essendo
morto il suo vecchio rappresentante Savorelli. Ma nonostante che
lo Stato pontificio fosse ormai tramontato, il cardinale Antonelli
respinse categoricamente la richiesta, perché ancora si rifiutava
di riconoscere "il carattere di un'assoluta e indipendente
Sovranità" allo Stato sammarinese. (91)
Altri fatti degni
di nota possono senz'altro essere l'apertura dell'ospedale e la
promulgazione del codice penale. Di un ospedale in cui ricoverare
gli ammalati, e tramite cui fornire sollievo ed aiuto soprattutto
ai più poveri, si sentiva l'esigenza già da molto tempo. In
passato San Marino aveva posseduto simili istituti, tanto che il
Malagola ne ha trovato tracce fin dal XIV secolo; (92) tuttavia
per qualche motivo, probabilmente di natura finanziaria, ebbero
sempre vita discontinua. Negli anni che stiamo esaminando San
Marino forniva modeste sovvenzioni per le medicine per i più
bisognosi, e stipendiava tre medici a beneficio della popolazione.
Esisteva poi una Congregazione di carità istituita nel 1839 "che
portando i suoi soccorsi al domicilio degli infermi mirava allo
scopo di temperarne le angustie"; ma i suoi fondi erano assai
miseri (45 scudi all'anno), per cui anche l'aiuto che poteva
fornire era modestissimo. (93) L'idea d'istituire un ospedale
prese vita nel 1855 con la lettura in Consiglio di un progetto in
proposito, anche se di tale desiderio si trovano diverse tracce
per tutta la prima metà del secolo scorso. (94) Ma la perenne
mancanza di denaro non permise mai di realizzarla appieno fino
agli anni in questione, quando i donativi ricevuti in cambio di
titoli onorifici fornirono un fondamentale aiuto. L'apertura
dell'ospedale fu comunicata durante la seduta consigliare del 5
settembre del 1865, ed in quell'occasione ne fu letto anche lo
statuto. Tale evento coincise con lo scioglimento della
Congregazione di carità, i cui compiti dovevano per il futuro
essere eseguiti dall'ospedale stesso. (95) Un paio di anni dopo
esso fu arricchito da una farmacia donata interamente da Domenico
Giulio Fauchè, nominato conte di Omagnano il 15 gennaio 1867. (96)
Egli si raccomandò che i malati più poveri ricevessero
gratuitamente i farmaci.
Per quanto riguarda
il nuovo codice penale si può dire che anch'esso fu un'esigenza di
cui si trova traccia per tutta la prima metà dell'Ottocento,
scaturita direttamente dal periodo del dominio napoleonico in
Italia. San Marino dipendeva ancora dai suoi statuti secenteschi,
ovviamente arcaici in tanti loro aspetti, ma non riusciva a
trovare il sistema per ammodernare il suo sistema legislativo,
soprattutto perché non aveva il denaro necessario a stipendiare
specialisti del settore. Nel 1858, grazie ai suggerimenti ed
all'intercessione di Zenocrate Cesari, incaricato d'affari per San
Marino a Torino, e dell' avvocato Paltrinieri, fu assunto come
commissario della legge Luigi Zuppetta, il quale giunse a San
Marino ai primi del 1859. Oltre a svolgere il mestiere di
commissario, venne incaricato di redigere anche il codice penale
con l'aiuto di una commissione appositamente nominata. La
promulgazione del codice penale avvenne il 15 settembre 1865. (97)
Per chiudere il
discorso sul 1865, si può ancora raccontare un interessante
fatto accaduto in luglio. Circa alla metà di tale mese
cominciarono a circolare per il paese dei "Fogli di umore
politico" tendenti ad esaltare il Papa, ed a sobillare la
popolazione contro il governo italiano. Responsabili di tali
azioni risultarono alcuni cappuccini, e soprattutto i frati
del convento di Santa Maria di Valdragone. La vicenda intimorì
notevolmente i governanti, sempre preoccupati delle possibili
ritorsioni da parte italiana, e la popolazione che di Stato
pontificio ne aveva probabilmente avuto abbastanza, tanto che
molti abitanti di Città e Borgo cominciarono ad organizzarsi per
invadere i conventi. Tale pericolo fu scongiurato perché gli
ottimati della Repubblica si riunirono subito in congresso
straordinario per prendere decisioni in proposito. Mentre erano in
riunione, una numerosa folla aspettò all'esterno del palazzo in
cui si trovavano per conoscere le loro decisioni; ovviamente per
placare gli animi dovettero essere risolute: venne deciso di
espellere tutti gli ecclesiastici coinvolti. Il 30 luglio si
scrisse al Padre generale dei Servi di Maria a Roma per comunicare
che contro i frati del Convento di Valdragone "si sono grandemente
eccitati gli animi dei Sammarinesi perché gli hanno veduti
occuparsi di cose che stanno fuori del chiostro, ed operare in
opposizione al principio di neutralità e di prudente riserva che
ha sempre professato la Repubblica nello intendimento di
conservare colla purezza de' suoi costumi, e colla santità delle
sue leggi la sua Indipendenza e la sua vera libertà". Egli non
poté far altro che prendere atto dell'accaduto. (98)
NOTE APPENDICE
10 - Gli ultimi anni: i rapporti
esteri
Gli ultimi anni
Sessanta furono senz'altro meno densi di problemi dei precedenti,
per cui la loro analisi non ci richiederà troppo tempo, né
eccessiva fatica. Con l'Italia i rapporti si normalizzarono, ma le
polemiche a proposito dei rifugiati continuarono, anche se in
maniera più sporadica. Alla fine del 1865 lo stesso Cibrario
redarguì la Repubblica in proposito: "Il diritto d'asilo è
quasi sempre illusorio quando non si ha una forza bastante per
farlo rispettare", ammonì; l'Italia aveva "considerato come sua
gloria non solo rispettare, ma innalzare, constatare ed illustrare
la Sovranità assoluta, e l'indipendenza della Repubblica di San
Marino", e tale generosità imponeva ai Sammarinesi assoluta
correttezza e rispetto della convenzione. (99)
Nel '66 la
situazione rimase piuttosto tranquilla, ma nel '67 riscoppiò una
polemica dai toni accesi, perché l'Italia aveva chiesto
l'estradizione di un certo Sellari, e la Repubblica non l'aveva
eseguita. Cibrario scrisse: "Ho trovato il ministro irritatissimo
per la negata estradizione del Sellari; qui tutti i consultori
della Corona sono di parere che la Repubblica ha violata la
Convenzione del 22-3-62, in conseguenza del che una formale
protesta contro la Repubblica fu deliberata in consiglio dei
ministri". Egli suggeriva di usare estrema cautela con l'Italia,
perché c'era il reale pericolo di compromettere i rapporti, e di
far impugnare o addirittura annullare la convenzione. "Sarebbe
ormai tempo che la Repubblica rinunziasse all'errore di credere
che l'onor suo consista nel concedere asilo ai malfattori
-proseguiva- prima di tutto io credo che il diritto d'asilo
concesso a malfattori ordinarii non può far onore a chi lo concede
anche quando è forte come l'Inghilterra e l'America e può farlo
rispettare. Ma qui non siamo nel caso; e siamo nell'altro caso di
un diritto a cui si è rinunziato da uno stato debole in
corrispettivo d'un obbligo uguale di consegna assunto da uno stato
forte; quindi tale obbligazione bilaterale dev'essere dai due lati
scrupolosamente rispettata". La Repubblica si allarmò tanto da
inviare nel mese di giugno Settimio Belluzzi e Pietro Tonnini a
Firenze per chiarirsi con i governanti italiani.(100) Il colloquio
risolse la questione Sellari, ma da ora in poi i rapporti con
l'Italia diverranno più tesi, e tutti i pretesti saranno buoni per
polemizzare con San Marino.
Un'altra occasione
di contrasto capitò subito: questa volta il motivo scatenante fu
la distribuzione di onorificenze da parte sammarinese che, come si
è detto, in questi anni cominciò ad assumere proporzioni ingenti.
Con lettera del 16 luglio il Ministro degli esteri affermava: "Da
alcun tempo è stato conferito un gran numero di decorazioni di San
Marino a cittadini italiani. Fra coloro che vennero per tal modo
insigniti dell'onorifico distintivo, vi sono persone le quali
sembrano meno qualificate per ottenere l'onore che loro venne
impartito. Si aggiunge per ultimo che il Regio Governo ebbe in
mano le prove giudiziali che la concessione dell'ordine
Sanmarinese formò per parte di persone estranee al Governo della
Repubblica oggetto di palese mercimonio". Vi era una legge,
proseguiva la lettera, che impediva ai cittadini italiani di
fregiarsi di ordini stranieri senza il preventivo permesso dello
Stato. "Egli vedrebbesi nella necessità di non più aderire alle
domande di coloro che verrebbero decorati dell'Ordine di San
Marino -si conclude- se, come già si pratica con altri Governi,
non si concertassero anche con codesta Repubblica provvedimenti
atti ad impedire consimili abusi. Potrebbe il Governo di San
Marino indirizzarsi a questo Ministero degli Affari Esteri per
conoscere se nulla si opponga a che tale o tal altro suddito
italiano venga decorato". (101) Ovviamente venne subito consultato
Cibrario intorno alla questione. Egli disse che San Marino in
fondo si stava comportando con le sue decorazioni come facevano
tanti altri Stati, però in maniera troppo ingenua e facilona: "Chi
più intriga, e dispensa con più larga mano incensi alla Repubblica
non è sempre il più degno d'ottenerne la confidenza", disse; "non
bisogna permettere che ogni uomo rivestito di qualche titolo
sonoro, comprato a Gerusalemme o dal principe Gonzaga (condannato
per truffa dal Tribunale della Senna nel 1853) s'arroghi la
facoltà di chieder croci per sé o per altri". Occorreva, insomma,
che San Marino stesse molto attento nel consegnare onorificenze, e
che le desse con maggiore parsimonia. (102)
Tutta la faccenda
era nata per colpa di un certo Andreucci che aveva venduto ad un
altro, senza alcun permesso, un'onorificenza ricevuta dalla
Repubblica. San Marino dovette procedere alla revoca del titolo
dato ad Andreucci (fu il primo caso simile mai verificatosi per la
Repubblica), ed a scusarsi con l'Italia per l'accaduto,
promettendo per il futuro maggiore attenzione. La questione si
placò in parte solo alla fine di settembre, perché fino a quel
momento il ministero degli esteri italiano bloccò ai suoi
cittadini i permessi per potersi fregiare delle decorazioni
sammarinesi. (103) Tuttavia la faccenda delle decorazioni lasciò
strascichi polemici anche negli anni successivi. Nel gennaio del
'68 Cibrario comunicò che per colpa delle stesse la simpatia che
vi era per San Marino presso il ministero degli esteri si era
mutata in "sentimento contrario", e che era stata approvata una
deliberazione tendente "a non approvar mai nissuna concessione di
decorazioni" sammarinesi; "è perciò che nei cartoni ministeriali
vi è un monte di ricorsi di R. sudditi per aver la facoltà di
fregiarsi della croce e della medaglia, che rimangono inesauditi".
Questa situazione si era venuta a creare perché si accusava la
Repubblica di vendere la maggior parte delle sue onorificenze
(dietro compenso che variava dalle 300 alle 1.500 lire), e non di
distribuirle per meriti particolari. Inoltre venivano spesso
assegnate "a persone indegne", ed a volte gl'intermediari si
facevano pagare per la loro raccomandazione. Cibrario avvisava
d'aver difeso la Repubblica col sostenere che i soldi incamerati
venivano utilizzati a favore di opere pie, e di bisogni reali
della Repubblica; tuttavia l'acredine persisteva. "Non vorrei
che questa antipatia per San Marino generasse più amari frutti
quando si tratterà di rinnovare la convenzione. Bisogna badarci e
seriamente!!!", aggiungeva esplicitamente. Era poi
indispensabile usare grande circospezione anche nella creazione di
nuovi consoli e incaricati, perché San Marino "non avendo
commercio, non ha, propriamente parlando, diritto di nominarne
nessuno come non ha diritto di dar gradi nelle sue truppe a
cittadini del Regno. Queste distinzioni sollevano gare e gelosie,
e le consolari fanno godere alcuni Italiani di esenzioni cui non
hanno diritto, poiché non hanno nessuna vera funzione consolare".
Insomma, se la Repubblica "non avesse istituito ordini e
decorazioni sarebbe stato certamente miglior partito". Bisognava
stare molto attenti, terminava Cibrario, ed evitare di nominare
altri consoli. (103) Naturalmente San Marino cercò di seguire il
consiglio del Cibrario per quanto gli era possibile, e per quanto
gli permettevano le sue finanze che ora, con i nuovi introiti,
cominciarono a funzionare assai meglio. Vi fu un'ultima lagnanza
italiana per colpa di una onorificenza conferita da San Marino nel
1869 a Mohamed Pascià, primogenito del vicerè d'Egitto, (104) ma
la faccenda piano piano si sgonfiò, e San Marino potè continuare
senza troppi patemi questo suo nuovo commercio.
Nello stesso anno
ebbe problemi analoghi con la Francia dove era stato deciso di
sospendere i permessi di portare le decorazioni sammarinesi,
perché era in atto un'inchiesta contro un certo Rayna per vendita
delle medesime. (105) Anche qui, però, la situazione tornò in
fretta alla normalità, senza particolari conseguenze degne di
essere annotate. E' chiaro che tutti questi guai con le
onorificenze si dovevano all'inesperienza sammarinese in questo
ramo, e direi in qualunque tipo di commercio, ma anche alla
spregiudicatezza dei tanti personaggi sinistri che cominciavano a
ruotare intorno alla Repubblica, probabilmente consapevoli dei
vantaggi morali e soprattutto materiali che potevano ricavare da
questo rapporto, e che erano prodighi di consigli e di aiuti
apparentemente generosi e gratuiti. La Repubblica si era trovata
da un giorno all'altro gettata dentro una realtà internazionale a
cui non era di certo abituata. I suoi consulenti, incaricati,
consoli o "amici" che fossero, erano in genere individui che si
autoproponevano, quasi sempre senza chiedere alcun compenso,
anzi, donando anche del denaro, per l'ambizione di un titolo, o
per poter frequentare ambienti che senza la carica di provenienza
sammarinese sarebbero stati loro vietati, o di difficile accesso.
Lo stesso Avigdor, che pur tanto aiuto ha fornito alla Repubblica
in questi anni così difficili ed innovativi, non doveva essere
proprio un sant'uomo, ed in varie occasioni ho potuto verificare
direttamente l'uso disinvolto che egli ha fatto dei suoi poteri di
console. Come quando contrasse un debito a nome della Repubblica
di cui essa non sapeva nulla, o quando egli con molte probabilità
falsificò per motivi che non conosciamo, ma sicuramente legati ad
interessi personali, un diploma annesso ad un'onorificenza
destinata ad un certo Scipione Gemond. (105a) Il Cibrario, subito
consultato,consigliò machiavellicamente alla Repubblica di non
approfondire troppo la questione, né di fare la voce grossa,
perché se i sospetti che si avevano fossero risultati fondati
"essa si troverebbe, attesa la qualità del personaggio, i servizi
che ha reso e che può rendere ancora in maggiore imbarazzo di
prima". "Dalle notizie che si hanno -seguitava- si valgano i
moderatori della cosa pubblica per procedere in questa sorta
d'affari colla massima circospezione; ma non cerchino di veder
troppo chiaro e di lasciar conoscere che vogliono veder ben
chiaro. Vi sono delle persone che i governi qualche volta lascian
fuggire per evitare l'imbarazzo maggiore di farli prigioni". (106)
I governanti sammarinesi in effetti chiesero spiegazioni ad
Avigdor con lettera del 12 maggio, ed accettarono a denti stretti
le giustificazioni che egli cercò di dare con lettera di qualche
giorno dopo. Ed anche questa faccenda si concluse.
Per ultimare il
discorso relativo alle polemiche con l'Italia, si può ancora dire
che nel mese di agosto del 1867 alcuni giornali di Bologna
accusarono la Repubblica di essere un comodo rifugio per i membri
del Partito d'azione che qui tenevano periodiche riunioni. Tali
voci furono seccamente smentite tramite articoli fatti pubblicare
da San Marino sul Monitore ed il Corriere dell'Emilia, sempre di
Bologna. (107) Di voci simili, comunque, dovremo riparlare anche
negli anni '70.
11 - La politica scolastica
Un altro importante
fatto di questi anni fu la ristrutturazione del sistema
scolastico, e l'avvio di una politica della scuola tendente ad una
sempre maggiore acculturazione della popolazione. Fin dal XV
secolo si hanno notizie dell'opera di un maestro a San Marino, e
quindi di una qualche forma di attività scolastica; tuttavia
fondamentale per l'evoluzione di questo settore fu l'istituzione
del Collegio Belluzzi alla fine del '600, istituto che però non
sempre potè operare con continuità, e che per lunghi periodi
dovette rimanersene chiuso. (108) Nel corso della prima metà
dell'Ottocento si fecero sforzi notevoli per tenere aperto il
collegio, e mantenere un sistema scolastico superiore, utile
soprattutto a formare le nuove classi dirigenziali. La scarsità di
denaro, però, provocò grossi danni anche in questo campo, per cui
il Collegio funzionò a singhiozzo. Le uniche scuole che operavano
con una certa regolarità, invece, erano quelle elementari; ma esse
erano aperte solo nei Castelli più urbanizzati, ovvero in Borgo,
dove disponevano però solo delle prime due classi, ed in Città,
dove di classi ve n'erano cinque. Nei Castelli rurali non
esistevano scuole statali, e l'istruzione era demandata ai
parroci, ed a maestri improvvisati. Questa situazione ovviamente
determinava tassi di analfabetismo elevatissimi, soprattutto nelle
campagne, ed il censimento del 1865 in parte può confermare queste
affermazioni. (109) Gli anni che stiamo esaminando sono quelli
della legge Casati in Italia, e vedono un grande dibattito sulla
necessità di acculturare la popolazione, dibattito a cui non fu
estraneo lo stesso Cibrario, ministro della cultura presso i
Savoia dal 1852 al 1855, ed autore nel 1854 di un progetto
scolastico per il riordinamento della pubblica istruzione italiana
che è considerato il fondamento della legge Casati stessa.
Ovviamente la Repubblica sammarinese ha sempre subito profonde
influenze da quanto le accadeva attorno, e così dovette essere
anche per il problema scuola. Inoltre la questione era uno dei
cavalli di battaglia preferiti da Palamede Malpeli, il quale
sosterrà ripetutamente, insieme ad altri progressisti di cui si
possono trovare diverse istanze presentate al Consiglio
sull'argomento, il bisogno di scuole femminili, tecniche, serali
per gli operai e di un asilo per bambini in età prescolastica.
Tutto questo fervore aveva determinato già nel 1864
l'ammodernamento del sistema didattico nelle due scuole elementari
esistenti. In Borgo in realtà già s'insegnava secondo la nuova
didattica, grazie all'opera del giovane maestro Federico Martelli.
In Città, invece, si dovette pensionare l'anziano maestro Nicola
Giannini, e sostituirlo con Federico Gozi, assai più giovane, con
l'obbligo d'istruire i bambini con il sistema usato in Borgo. Il
suo stipendio fu di 52 scudi annui. (110) Nel 1865 è Serravalle
che presenta un'istanza al governo per poter avere una scuola
elementare che funzionasse con regolarità: il 5 settembre comunica
che, per l'aumento della sua popolazione, molti fanciulli erano
lasciati a se stessi, e per strada; chiedeva un contributo per
creare una scuola, perché per simile istituto, gestito fino a quel
momento dal parroco, aveva a disposizione solo 64 lire annue. Il
Consiglio rispose che l'iniziativa era lodevole e degna di essere
sviluppata, però non poteva in quel momento fornire alcun
contributo. Se volevano una scuola, dovevano autotassarsi. (111)
Così in effetti fu, perché nel Consiglio del 28 dicembre dello
stesso anno Serravalle comunicò di aver deliberato di mettere una
tassa sull'estimo censuario dei fondi rustici con cui poter aprire
la scuola. Un anno dopo, il 27 ottobre, il Consiglio approvò i
maestri per Serravalle (i nobili Belluzzo Belluzzi e Maddalena
Angeli), e diede il permesso di aprirle con la condizione che
seguissero gli stessi programmi e sistemi didattici delle scuole
di Città e Borgo.(112) Il 5 novembre, infine, Ermenegildo
Stambazzi, i cui ideali progressisti devono aver avuto un gran
peso nella creazione della scuola di Serravalle, inviò alla
Reggenza nella sua qualità di capitano di quel castello il
"capitolato della scuola maschile e femminile di Serravalle".
(113)
Nel 1867 fu avviato
un progetto di ristrutturazione del sistema scolastico tramite la
lettura in Consiglio di un programma per le "pubbliche scuole
riunite nella Repubblica di San Marino e del Nobile Collegio
Belluzzi", progetto che dipese prevalentemente dall'attivismo di
Palamede Malpeli. (114) Il progetto prevedeva la riapertura del
collegio Belluzzi, chiuso ormai dagli anni '50, l'attivazione di
un asilo per bambini in età prescolastica, di un biennio
elementare di scuola femminile, di un biennio di scuola tecnica.
Inoltre prevedeva quattro anni di scuola elementare, quattro anni
di ginnasio, due anni di liceo. Per concretizzare questo progetto
furono presi contatti immediati con gli eredi Belluzzi, onde poter
sottoscrivere una convenzione per riaprire il Collegio; ma le
trattative andarono abbastanza per le lunghe, sia perché Gaetano
Belluzzi sottopose la riapertura del Collegio ad una serie
cospicua di condizioni, tra cui l'acquisto di Palazzo Begni dove
il Collegio avrebbe dovuto trovare nuova sede, e con esso le
scuole, sia perché l'acquisto del palazzo, di proprietà di due
famiglie (Arcajani ed Angeli) richiese una lunga e polemica
trattativa, anche se lo Stato aveva i soldi grazie ai tanti
donativi ricevuti in favore della pubblica istruzione. (115)
Nell'agosto del 1868 si giunse ad espropriare il palazzo perché le
trattative non avevano condotto ad una soluzione meno drastica del
problema. (116) Il 10 novembre dello stesso anno fu divulgato un
pubblico bando in cui si comunicava che due giorni dopo sarebbero
state aperte le scuole pubbliche sottoposte al regolamento
disciplinare sanzionato nel Consiglio del 16 maggio 1867.
"Concittadini! -diceva il bando- Il vostro Governo dal canto suo
non risparmia cure e spese per migliorare e sviluppare sempre più
la pubblica morale e la pubblica istruzione, persuaso che così
facendo tutelerà potentemente l'indipendenza, la libertà e la
prosperità politica della diletta nostra Repubblica. Ma è
indispensabile altresì che Voi pure dal canto vostro secondiate e
corroboriate con unico spontaneo concorso gli sforzi del vostro
Governo, curando che i vostri figli vadano regolarmente alla
scuola, e non perdano poi nel seno della famiglia quello che nella
scuola è stato loro insegnato con tanta fatica. Si ricordino i
genitori che nell'onestà, nel senno, nella prudenza, nella
generosità, nell'amor patrio della crescente generazione sta
riposta la salute della Repubblica, e che noi faremo applicare
rigorosamente le sanzioni degli Statuti e del Codice Penale a quei
Padri che trasandassero l'adempimento del sacro dovere di educare
ed istruire la lor prole". (117)
Con questa
innovazione la Repubblica tentò di mettersi al passo con quanto
nella scuola stava accadendo in Italia, anche se non introducendo
l'obbligo scolastico permarrà ancora a lungo il grave problema
dell'analfabetismo. Negli anni successivi vi sarà anche un
tentativo di creare scuole serali per i lavoratori, così come
puntualmente richiedevano i soliti pochi riformisti attraverso
istanze al Consiglio. Alla fine del 1871 si giunse anche ad
approvare un regolamento per la loro istituzione, (117a) ma da
quanto mi risulta, esse non entrarono mai in funzione,
probabilmente perché non vi era una vera volontà governativa di
istituirle, nè di stanziare grosse cifre per la loro
realizzazione, come si può dedurre dalla richiesta fatta ai
maestri nel 1870 di prestarsi gratuitamente per tale iniziativa.
(118) E' facile poi che il progetto non sia andato a buon termine
anche per il disinteresse della popolazione, a cui verosimilmente
non doveva importare più di tanto di alfabetizzarsi.
Sempre a proposito
di scuola posso aggiungere che in questi anni si comincia a
sentire l'esigenza di un fondo di denaro da distribuire, sotto
forma di assegno di studio, agli studenti universitari,o di altre
scuole, costretti a recarsi presso gl'istituti italiani.
Ugualmente lo Stato sammarinese avvia pratiche con il ministero
della cultura italiana per facilitare l'iscrizione degli studenti
locali alle università ed alle scuole d'Italia. Per quanto
riguarda l'assegno di studio si può dire che San Marino anche
negli anni precedenti cercava di aiutare con qualche cifra quei
pochi studenti che proseguivano i loro studi dopo il liceo, anche
perché nel corso della prima metà del secolo più volte era sorto
il timore che in futuro non vi fossero persone troppo qualificate
per starsene ai vertici dello Stato, e per gestirlo. Ma il denaro
era scarso, e quindi i contributi miseri ed estremamente contati.
Nel 1865 Aurelio Muccioli e Camillo Bonelli, studenti in legge, ed
Ulisse Balsimelli, studente in musica, sono costretti a
contendersi un contributo, di cui prima godeva uno studente in
medicina ritiratosi, tramite una specie di esame preliminare in
filosofia, matematica, fisica ed eloquenza. Alla fine Bonelli
rinunciò, e credo anche Balsimelli, per cui il denaro forse andò a
favore di Muccioli, anche se in ottobre vennero assegnate 250 lire
pure a Balsimelli. (119) Questo problema diventerà molto più
pressante negli anni '70 e nei primi anni '80, verosimilmente
perché sono questi gli anni in cui numericamente crescono gli
studenti, sia per la maggior regolarità delle scuole sammarinesi,
sia perché il ventennio che stiamo esaminando è di relativo
benessere, e quindi può aver permesso ad un maggior numero di
famiglie di far studiare i propri figli. Inoltre penso che la
maggior floridezza della pubblica economia deve aver stimolato i
Sammarinesi ad avanzare con più facilità richieste di aiuto nei
confronti del governo: da qui l'esigenza di regolamentare anche i
sussidi agli studenti,fatto che avvenne con legge del 28 marzo
1887. (120)
Un ulteriore
problema di questi anni legato alla scuola fu il riconoscimento
del diploma rilasciato dal liceo sammarinese, e la conseguente
possibilità di iscriversi alle università italiane. La questione
nacque ufficialmente nel 1869 (anche se vi sono sue tracce fin dal
1863) quando il Ministero degli esteri italiano scrisse che non vi
sarebbero stati problemi d'iscrizione alle università per gli
studenti sammarinesi "ove non vi facessero alcun ostacolo troppo
gravi differenze fra gli studi secondari che costà compiono e
quelli dei nostri Licei". Nei giorni successivi si inviò al
ministro la documentazione necessaria a comprovare che il liceo
sammarinese aveva programmi analoghi a quelli italiani. Finalmente
il 28 novembre del 1870 il Ministero della Istruzione Pubblica
italiano deliberò che i Sammarinesi potevano iscriversi
liberamente alle università di tutt'Italia. (121)
NOTE APPENDICE
12 - I mutamenti della mentalità
Gli anni che stiamo
esaminando vedono anche la lenta trasformazione della mentalità,
che da esclusivamente rurale passa ad essere anche commerciale, e
quindi proto-borghese, con diversi tentativi da parte dei più
intraprendenti tra la popolazione di avviare lavori nuovi, come
l'apertura di una miniera di carbon fossile o l'apertura di una
fabbrica di fiammiferi, (122) nonché le prime forme di
associazionismo tra operai per motivi di lavoro, fenomeno
sicuramente importante per lo sviluppo della nuova mentalità, e
per la creazione di una coscienza di classe che negli anni '70,
'80 e '90 si svilupperà sempre più. La prima traccia che ho potuto
trovare di quest'ultima prassi risale al 23 giugno 1863, giorno in
cui il Consiglio esamina una innovativa richiesta presentata da V.
Angeli, M. Amati, G. Giacomini, E. Ceccoli, E. Casali, E. Reffi,
L. Muccioli, tutti fabbricanti di carte da gioco. Costoro
chiedevano di potersi riunire in cooperativa per evitare la
reciproca concorrenza, e che il Consiglio non desse per qualche
tempo altri permessi per tale tipo di lavoro. Il governo accettò
"in via d'esperimento" entrambe le istanze, e riconcesse il
medesimo monopolio anche quattro anni dopo, quando la stessa
società ripresentò domanda analoga. (123) Queste concessioni
suscitarono la rabbia di altri due che, in nome della libera
concorrenza, avrebbero voluto intraprendere lo stesso mestiere,
(124) ma il Consiglio lasciò la privativa al gruppo di cui si è
detto.
Nel 1869
registriamo la costituzione di un'altra nuova "Società di Capi
Scarpellini", composta da dieci artigiani, la quale tramite
Palamede Malpeli e Giuliano Belluzzi, che non a caso erano
entrambi di tendenze progressiste, inoltra una petizione affinché
fosse proibita l'apertura di altre cave di pietra oltre a quelle
già esistenti, che era ovviamente la richiesta di una sorta di
monopolio, ed un prestito di 5.000 lire da rendersi in cinque
anni. (125) "L'attuale misera condizione degli Scarpellini
-dissero- per la deplorevole gara di mestiere esistita fra loro:
il falso e dannoso sistema (che ne era la conseguenza) di scavare
la pietra, fin qui tenuto; l'avvilimento e deperimento seguitone
di questa industria la quale è la prima e naturale del paese; sono
queste le chiare e fortissime ragioni che debbe indurre l'animo
del Principe a favorire questa Società, la cui costituzione darà
per sicuro risultato il miglioramento della privata condizione di
molti individui; il ristabilimento della buona armonia e della
pace fra i medesimi; l'incremento delle risorse economiche del
paese, unico mezzo per prevenire la piaga funestissima del
pauperismo".Il Consiglio accettò solo la seconda domanda. Alcuni
di questi scalpellini (Balsimelli Tommaso, Giuseppe e Pietro,
Mariotti Mansueto) qualche mese dopo avanzarono istanza per
ottenere lavoro, e provvedere così "al sostentamento delle proprie
famiglie". (126) Il Consiglio nominò una commissione per esaminare
la richiesta: il 5 maggio 1870 essa sottolineò che il lavoro
mancava per colpa dei "tempi, della libera concorrenza, e
specialmente del Credito"; "se poi la seconda istanza si fondasse
sul supposto principio del diritto al lavoro -aggiungeva-
andrebbe respinta, poiché le così dette organizzazioni
industriali etc; furono il frutto delle aberrazioni di quegli
intelletti esclusivamente politici, che sovraposero alla vera
scienza economica un principio rivoluzionario che scalza
direttamente il principio dell'associazione dei piccoli capitali e
della libera concorrenza, che è il gran dogma della moderna
Società e senza di cui non è possibile la novità o la libertà nel
commercio, nelle industrie, nel lavoro medesimo. Del resto quando
il nostro Governo avrà bisogno pei suoi pubblici lavori dell'opera
degli Scarpellini terrà in calcolo la domanda fatta dai medesimi".
(127) Direi che queste affermazioni sono piuttosto interessanti, e
probabilmente sono un chiaro indicatore di un'evoluzione in atto
delle mentalità. Forse sono il segno anche di un'embrionale forma
di politicizzazione che stava cominciando a farsi strada tra
qualche operaio, e di cui chi era ai vertici dello Stato aveva
timore. E' chiaro, comunque, che siamo verosimilmente difronte ai
primi passi di un processo nuovo, che veniva letto con estremo
sospetto dalla vecchia classe dirigente, pronta a concedere
lavoro, facendolo cadere dall'alto, ma non a darlo perché
rivendicato dal basso. Degna di attenzione per il mutamento di
mentalità che abbiamo individuato è anche la richiesta presentata
al Consiglio del 15 aprile 1867 d'istituire una camera di
commercio, e di creare un codice commerciale, istanza che verrà da
ora in poi presentata con relativa frequenza. La domanda era stata
presentata da tre progressisti del Borgo, vero focolaio del
riformismo sammarinese, e cioè Ermenegildo Stambazzi, Francesco
Fabbri Natalucci, Marino Amati. (127a)
Un'altra forma di
associazionismo che fa la sua prima apparizione a San Marino in
questi anni è quella a sfondo mutualistico-umanitario. Pietro
Franciosi ci dice che fin dai primi dell'Ottocento esisteva in
Repubblica una "Commissione di Soccorso" con il compito di
sussidiare i poveri e gli ammalati a domicilio. Nel 1830, poi, con
decreto del 14 marzo, essa divenne "Commissione di Beneficienza"
composta da dodici individui, più o meno con gli stessi scopi.
(128) Nel 1839, come già si è detto, si stabilì di creare una
"Congregazione di Carità" per "la mancanza di ogni istituto di
beneficienza", (129) frase che fa pensare che anche la Commissione
di Beneficienza, come tutti gli istituti sammarinesi in questo
periodo, non aveva vita costante, né operava con regolarità. Tutte
queste forme di assistenzialismo erano sempre vincolate alla
volontà più o meno illuminata di qualche membro del Consiglio,
così come la distribuzione di sovvenzioni o anche di pensioni, che
avveniva sempre in modesta misura, e ad personam. Negli
anni '60 questa logica comincia a modificarsi, ed i Sammarinesi
cominciano anche qui ad aggregarsi autonomamente, fino a fondare
nel 1876 la Società Unione e Mutuo Soccorso. Proprio a proposito
di questa società occorre sviluppare un discorso, e retrodatare la
sua origine, perché fino ad oggi la si è ritenuta figlia degli
anni Settanta, (130) mentre in realtà la sua nascita è più legata
alla seconda metà degli anni '60. Infatti fin dal novembre del
1866 erano stati inviati alla Reggenza documenti e lo Statuto
della Società nazionale di mutuo soccorso di Milano dal cavalier
Paolo Stanpa, suo presidente. Egli pregava che tale materiale
venisse divulgato "affinché anche i Sammarinesi possano godere
della benefica istituzione". (131) La Reggenza (Melchiorre
Filippi-Domenico Fattori) provvide prima a chiedere informazioni
sulla Società al suo console Traversi; (132) risultando queste
estremamente positive, fece in seguito opera di divulgazione
del materiale affidatole. Un mese dopo scrisse al cavalier Stanpa
per comunicargli che sette Sammarinesi erano interessati ad
iscriversi, e precisamente E. Stambazzi, notaio, P. Dal Monte
Casoni, medico, F. Bucchi, chirurgo, M. Fattori, maestro, F.
Venturini, commissario, F. Montanari, ispettore delle strade, D.
Fattori, segretario degli esteri e delle finanze. Costoro
vennero accettati dalla Società di Milano, la quale chiese alla
fine di dicembre se si poteva reperire qualcuno che la
rappresentasse in Repubblica. Si offrì immediatamente Palamede
Malpeli, il quale assunse gratuitamente l'ufficio di delegato
della Società a San Marino. (133) Per assenza di documenti, non
sappiamo se questo primo gruppo abbia fatto opera di proselitismo
in Repubblica, né se la Società di Milano abbia svolto una qualche
ulteriore attività in loco. E' chiaro che i primi sette iscritti
dovettero aderire all'iniziativa più per simpatia, o per moda, che
per altro. Tuttavia non credo che il fatto sia privo di
significato, né che in qualche maniera non abbia influito sulla
Società di Mutuo Soccorso che si costituirà nel 1876 addirittura
con 129 iscritti. Si può dire ancora che un progetto per
costituire una "Società Umana" tutta sammarinese fu presentato in
Consiglio già nel maggio del 1869, ma esso fu lasciato cadere nel
nulla dagli organismi governativi. (134) "Lo scopo di questa
società è di aiutare tutti gl'infelici, sia in caso di malattie,
di disgrazie, di ruine o di morte - si legge nel suo statuto
presentato alla Reggenza nel mese di marzo-. (135) Questa società
accorda gratuitamente ai malati, le cure del medico, le medicine,
e di più un assegnamento individuale d'un franco per ciascun
giorno di malattia; provvede alle spese funerarie dei soci poveri;
e distribuisce, quando le circostanze lo esigono, de' soccorsi al
domicilio. Una parte del fondo sociale è consagrata a creare delle
pensioni per gli associati poveri". Si prevedeva che la Società
Umana dovesse aver vita per un minimo di novant'anni. (app. n° 6)
NOTE APPENDICE
13 - Qualche altro fatto ancora
Prima di parlare
degli anni Settanta, occorre enumerare ancora pochi fatti degni di
non essere trascurati. Del 1865 abbiamo esposto già gli
avvenimenti principali. Per il 1866, invece, possiamo ancora
accennare alle conseguenze provocate sugli ordini religiosi
presenti a San Marino da una legge relativa ai beni ecclesiastici
varata in Italia. Il 7 luglio fu promulgata dal parlamento
italiano questa legge che prevedeva la requisizione a favore del
demanio dei beni delle congregazioni e degli ordini religiosi. Fu
emanata nel tentativo di sanare il deficit del bilancio dello
Stato; in pratica veniva a togliere ogni riconoscimento giuridico
ai gruppi religiosi, a cui lo Stato s'impegnava però di versare
una cifra annua per il culto. I fabbricati dei conventi e dei
monasteri soppressi erano assegnati ai comuni e alle provincie che
ne facevano domanda per la creazione di scuole, asili, ospedali e
opere di beneficienza. Libri ed opere d'arte venivano invece
destinati a biblioteche e musei pubblici. Ovviamente questa legge
avrebbe dovuto incidere anche sulle proprietà italiane degli
ordini religiosi che avevano sede a San Marino; tuttavia così non
fu grazie all'articolo 21 della convenzione del 1862. Il 30 luglio
la Reggenza scriveva al Ministero degli esteri per rammentargli
tale comma, (136) ed il 31 furono spediti presso gli uffici del
registro di Forlì e di Pesaro Palamede Malpeli e Pietro Tonnini
per volturare a favore di San Marino le proprietà delle locali
corporazioni religiose. Questo fatto ebbe anche il consenso di
tali corporazioni perché ovviamente si sentivano più garantite dal
governo sammarinese che non da quello italiano. Tre anni dopo (non
conosco i motivi che fecero trascorrere tanto tempo) la Reggenza
emanò un decreto con cui si stabiliva che i beni di mano morta
appartenenti agli istituti religiosi sammarinesi e situati in
Italia fossero intestati al governo della Repubblica. (137)
Del 1867 è anche
un'altra relazione di Malpeli, questa volta critica nei confronti
del fisco sammarinese. (app. n° 24) Egli sosteneva che le locali
tasse non erano applicate e ripartite equamente, perché "la
massima parte del peso delle Tasse viene sopportato dai Possidenti
e dalla Classe più povera e meschina; mentre la classe mezzana
formata dagli Artisti e dai Coloni ne è quasi totalmente
esonerata". Secondo Malpeli questo ceto era benestante e piuttosto
agiato, tanto che poteva permettersi cibi raffinati, lusso nel
vestiario e perdite al gioco. Ma in proporzione pagava
ingiustamente meno tasse degli altri ceti, per cui bisognava
provvedere, perché lo Stato con una politica fiscale più equa, ed
un'amministrazione delle tasse più sana avrebbe potuto gestire un
bilancio annuale in pareggio, anche senza dover far conto sui
soldi che arrivavano in maniera imprevedibile. "Così senza aumento
delle Tasse esistenti, ma col solo coordinarle fra loro per
renderle giuste, si può giungere a far sì che siano sufficienti a
sopperire ai bisogni ordinari dello Stato, anche quando i Proventi
straordinari venissero a mancare". Occorreva sistemare in fretta
l'apparato fiscale, perché le nuove spese varate dal governo, in
particolare quelle legate al rifacimento delle strade,
fondamentali "per lo sviluppo dell'Agricoltura, delle Arti, del
Commercio e della Ricchezza pubblica in generale",presupponevano
bilanci consolidati su cui poter sempre far affidamento. Suggeriva
quindi modificazioni e riforme sostanziali delle tasse in vigore,
e l'istituzione del Catasto Urbano "non solo per quel modico
Provento che ne potrà venire alla Cassa pubblica, ma molto più
perché i Cittadini possano con sicurezza e speditezza commerciare
le loro proprietà urbane, lo che attualmente riesce lungo,
difficile e costoso". Malpeli terminava la sua relazione
specificando ancora una volta i bisogni della Repubblica, quelli
che già in altre occasioni egli aveva rimarcato, e cioè le strade,
il Palazzo pubblico, e l'istruzione, ed esortando a provvedervi
con intelligenza, "imperocchè se la conservazione, la sicurezza e
la tranquillità degli altri Stati dipende ordinariamente dal
numero e dalla disciplina degli Eserciti; la conservazione, la
sicurezza e la tranquillità del Nostro Stato dipende
esclusivamente dal sapere e dalla prudenza de' suoi Magistrati,
dall'esercizio disinteressato delle virtù cittadine da parte di
tutti noi, dalla stima e dalla simpatia che deve riscuotere il
nostro Paese da tutti gli Onesti del Mondo non solo per le sue
istituzioni politiche, ma molto più per le doti di mente e di
cuore che debbono fregiare gli Uomini che ne siedono al Governo".
Il Consiglio prese atto dei suggerimenti, e subito deliberò di
abolire la tassa di famiglia, e di ridurre ad una solo tributo le
tasse ordinarie, straordinarie e stradali. Quest'ultima imposta
avrebbe dovuto essere di 6 lire per ogni 100 scudi di estimo, e
sarebbe stata riscossa in due rate annuali, una in luglio ed una
in dicembre. (138) Inoltre il 18 giugno dell'anno successivo fu
varato un "Regolamento per la Conservazione del Catasto rustico e
urbano", un "Regolamento delle Leggi relative al Bollo, Registro,
Ipoteche e Censo", una "Legge addizionale sul Bollo, Registro,
ecc.", tutte leggi di certo legate alle esternazioni di Malpeli
dell'anno prima, ed alla sua terza Reggenza, sostenuta tra
l'aprile ed il settembre del 1868. (139)
Nell'assumere
questo incarico, precisamente in data 5 aprile, Malpeli aveva
esternato alcune sue idee, seguendo una prassi per lui ormai
consolidata, ma questa volta l'aveva fatto non all'interno del
Consiglio, bensì nell'Arringo, cioè in occasione della
presentazione da parte della cittadinanza delle petizioni al
governo. Questo perché il suo messaggio era rivolto più alla
popolazione, che ai governanti. (cfr. app. n°22) Egli in
quell'occasione disse che il bene della Repubblica richiedeva
anche qualche sacrificio personale, e che per un miglioramento
complessivo occorrevano soprattutto tre cose: lo sviluppo della
pubblica istruzione e la conservazione della pubblica morale; una
distribuzione più razionale dei lavori pubblici; "impedire lo
sfacelo economico delle famiglie per la soverchia suddivisione
degli assi e dei privati patrimoni, o per l'estinzione di quelle
abbastanza agiate, che sono le fonti, da cui può e deve emanare la
prosperità politica ed economica di un piccolissimo stato". Per
l'esame dettagliato di queste affermazioni, e delle idee del
Reggente rimando direttamente al documento in appendice. E'
chiaro, comunque, che Malpeli, sicuramente più appariscente ed
ambizioso di tutti gli altri oligarchi, e probabilmente più
entusiasta, quando si metteva in testa qualcosa utilizzava tutti i
mezzi a sua disposizione per realizzarla, approfittando
soprattutto dei semestri in cui era Reggente per raggiungere i
suoi fini. All'epoca il Reggente nobile aveva grandi poteri, e
direi anche una grande libertà d'azione. Da qui il frenetico
attivismo che abbiamo registrato in concomitanza di tutte le
Reggenze di Malpeli, attivismo presumibilmente frenato e
circoscritto solo dalla breve durata della carica che non poteva
permettere di fare più di tanto.
Sempre alla terza
Reggenza di Malpeli si devono altre iniziative, come l'inizio
delle trattative per l'acquisto di Palazzo Begni, "per provvedere
seriamente alla pubblica Istruzione, ossia alla sistemazione di un
buon Collegio e di buone Scuole", di cui si è già detto qualcosa,
e l'idea di coniare altre monete, d'argento e di rame, per colmare
il passivo di 8.127 lire del bilancio 1-4-67/31-3-68. (140)
Vennero per questo intraprese le trattative con l'Italia, ma alla
fine non furono coniate monete d'argento, ma solo 30.000 lire
(600.000 pezzi) di monete in rame da 5 centesimi, emesse però nel
1869. (141)
Proprio durante la
trattativa intorno alle monete, nel 1868 il Ministro delle finanze
d'Italia avanzò alla Repubblica la proposta di aderire ad un
organismo internazionale, la "Convenzione Monetaria" stipulata tra
Italia, Francia, Svizzera e Belgio, che le avrebbe potuto fornire
dei vantaggi, e avrebbe sicuramente legittimato ancor più la sua
sovranità. (142) L'invito naturalmente destò nei governanti
sammarinesi grande entusiasmo, perché finalmente la Repubblica
avrebbe potuto essere garantita nella sua autonomia da un
organismo internazionale, e non solo dall'Italia (in cui, tra
l'altro, la fiducia non era ancora proprio totale). Ma l'euforia
ben presto si trasformò in avvilimento, poiché agli inizi del '69
si diffuse la voce che la Francia e la Svizzera non volevano la
Repubblica nella Convenzione, voce che divenne ufficiale nel mese
di aprile. (143) I governanti sammarinesi interpretarono tale
diniego come un misconoscimento della sovranità del loro Stato.
Cibrario con lettera del 19 aprile comunicò, invece, che "il
rifiuto deriva unicamente dalla poca sua importanza economica,
dalla sua esigua popolazione, inferiore a quella di alcuni borghi
cospicui d'Italia e di Francia; dal fatto di essere chiusa entro
al Regno d'Italia". Egli proseguiva rassicurandoli che se
realmente non fosse stata ritenuta sovrana, la Francia non ne
avrebbe mai accettato i suoi rappresentanti diplomatici. Inoltre
affermava che la sua indipendenza era stata sancita ufficialmente
dalla convenzione con l'Italia, in fondo la "sola potenza che
poteva avere, se non qualche diritto, almeno qualche interesse a
contestarla". (144) Io credo, inoltre, che gli Stati europei non
avessero nessuna convenienza ad accettare nei loro organismi una
Repubblica che verosimilmente sarebbe stata la miglior alleata
dell'Italia, la quale non a caso era colei che l'aveva invitata ad
entrarvi, e faceva pressioni perché venisse accettata all'interno
della Convenzione. Per questo la faccenda terminò con un nulla di
fatto, e San Marino dovette attendere ancora parecchio tempo prima
di poter far parte di organismi internazionali.
Economicamente gli
ultimi anni '60 sono senz'altro più floridi degli anni precedenti
per i motivi di cui si è già parlato. Tuttavia proprio le maggiore
entrate indussero a svolgere alcuni di quei lavori prima sempre
rimandati, per cui vi furono ancora problemi di natura
finanziaria, anche se nei documenti pervenutici non si avverte più
l'angoscia di prima, certamente perché le numerose entrate
straordinarie legate alle onorificenze che arrivavano puntualmente
favorivano la tranquillità. I bilanci degli anni che vanno dal
1865 al 1869 si mantengono tutti tra le 85-100.000 lire, con un
sensibile aumento rispetto a quelli degli anni precedenti.
Prendendo a campione il bilancio del 1868-69 (entrate lire 86.246,
uscite lire 85.370) verifichiamo che la voce "lavori pubblici"
rappresentava l'uscita maggiore (27.297 lire), poi in ordine
venivano "Forza pubblica" (8.390 L.), "Amministrazione finanze"
(7.868 L.), "Istruzione pubblica" (7.315 L.), "Ministero della
Reggenza" (7.206 L.), "Amministrazione della Giustizia" (7.120
L.), "Salute pubblica" (5.053 L.), "Beneficienza pubblica" (4.598
L.), "Industria e Commercio" (1.956 L.), "Culto" (1.294 L.), a cui
occorre aggiungere 7.267 lire di rimanenze passive. Le entrate
erano date da: "Prodotti dei generi di Regia" (54.461 L.),
"Prodotti diversi" (19.297 L.), "Imposte dirette" (4.304 L.),
"Imposte indirette" (1.762 L.), "Prodotti dei beni della Camera"
(1.936 L.), più 4.484 lire di rimanenze attive. Il sale (36.432
L.), ed i tabacchi (17.396 L.) fornivano ancora le entrate
maggiori. La tassa prediale procurava 500 lire al mese, la tassa
urbana 101 lire, sempre al mese, l'ufficio ipoteche aveva dato in
tutto l'anno 1.121 lire, ed i proventi della carta bollata
ammontavano complessivamente a 493 lire. La voce "Prodotti
diversi" registrava 19.297 lire.
Dall'anno
successivo i bilanci sammarinesi hanno un altro imponente balzo in
avanti superando di parecchio le 100.000 lire, tranne l'anno
1871-72 in cui il bilancio registra 95.268 lire in entrata, ed
altrettanti in uscita. Nel 1869-70, invece, registriamo 187.765 L.
in entrata, e 186.206 L. in uscita. L'istruzione pubblica tanto
sostenuta da Malpeli cominciò ad essere il costo principale del
bilancio con 70.671 lire spese; subito dietro venivano i lavori
pubblici con 50.376 L., poi l'amministrazione delle finanze con
24.341 L. Le altre voci registrarono più o meno costi simili a
quelli che abbiamo visto per il bilancio precedente. Per le
entrate si può dire che i sali (31.968 L.) ed i tabacchi (19.353
L.) incassarono circa gli stessi soldi dell'esercizio precedente,
così come la tassa sui fondi rustici, quella sui fondi urbani, e
le altre entrate che abbiamo analizzato per il bilancio 1868-69.
Il vero incremento alle entrate fu portato dalla voce "Prodotti
diversi" con 122.577 lire, di cui 72.000 L. incassati come
donativi per onorificenze varie, e 30.000 L. dovute alla nuova
moneta di cui si è detto. La vendita dei titoli nobiliari e delle
decorazioni cominciava in definitiva a fornire denaro in ingenti
quantità, e questo denaro andava poi ad alimentare le uscite, in
particolare i lavori pubblici, per le strade in costruzione, e la
pubblica istruzione in cui avviene un aumento del personale e
degli stipendi. (145) Negli anni '70 questa tendenza all'aumento
generalizzato delle entrate e delle uscite proseguirà, ma di ciò
parleremo meglio nel prossimo capitolo.
Possiamo concludere
questo nostro lungo discorso sugli anni '60 accennando ancora ai
rappresentanti diplomatici che San Marino aggiunge a quelli di cui
si è già detto negli ultimi anni di questo decennio, ed ai lavori
pubblici che avvia o porta a compimento. Riguardo al primo
argomento, si può senz'altro affermare che per tutti gli anni in
questione i rappresentanti principali di San Marino furono Avigdor
e Cibrario, a cui si ricorreva in continuazione per qualunque
consiglio, e di cui l'Archivio conserva una cospicua ed articolata
corrispondenza. Tuttavia la volontà autonimistica sammarinese
aveva indotto i governanti della Repubblica fin dagli ultimi anni
'50 ad ipotizzare la possibilità di aprire consolati, o di
nominare incaricati un pò in tutta Europa, e non solo. Inoltre
questi suoi funzionari non percepivano stipendi, nè avevano costi
particolarmente gravosi, perché rappresentare San Marino, il cui
mito doveva essere più che mai fulgido in questo periodo, era di
estremo prestigio, e probabilmente era un buon lasciapassare.
Anzi, questi personaggi erano spesso disposti a pagare di tasca
propria, o comunque a rendere servizi di un certo peso per
ricevere qualche incarico dal Consiglio; per cui negli anni in
esame assistiamo ad un proliferare di questi rappresentanti, anche
se l'Italia non sempre si dimostrava soddisfatta di questa prassi,
in particolare per i rappresentanti esteri. Oltre a Torino, dove
nel 1863 la Repubblica aveva ben quattro funzionari (un incaricato
d'affari, un console generale, un consultore ed un
viceconsultore), erano parecchie le città italiane con incaricati
sammarinesi: Napoli ebbe un consolato dal 1869, Venezia dal 1867,
così come Mantova, Milano e Genova dal 1863, Firenze dal 1870,
anche se rappresentanti sammarinesi erano presenti in questa città
già da parecchi anni. Inoltre vi furono incaricati a Bologna,
Rimini, Ravenna, Roma. All'estero San Marino ebbe un
rappresentante a New York dal 1863, un console a Bordeaux dal
1865, uno a Vienna dal '67, uno a Nizza dal '68, uno a Marsiglia
dal '69, e a Rouen dal '70. Diversi di questi consolati vennero
distribuiti dietro versamento di denaro; in altre parole vennero
letteralmente comperati da chi poi divenne console. E' sicuramente
il caso del consolato di Vienna assunto dal signor Coloman Koenig
nel '67 dietro versamento, o meglio "donativo", di 10.000 fiorini,
e nonostante il parere contrario del Cibrario, che in una lettera
del 2 aprile ebbe a dire che era un ebreo privo di risorse, senza
padre, ed anche "scemo". (146) E' il caso anche del consolato di
Nizza, affidato al nipote di Avigdor, Alberto, grazie ad un
donativo di 1.500 lire. (147) Ugualmente avvenne per il consolato
di Marsiglia, andato a Leon Chave per 1.300 lire. (148) 3.000
lire, invece, furono sborsati da Scipione Gemond (quello del
diploma falso) per il consolato di Rouen; costui però sembra che
fosse una persona veramente per bene. (149)
Insomma possiamo
dire senza paura di essere smentiti che sul finir degli anni
Sessanta San Marino aveva consoli che gli procacciavano utili
direttamente, con denaro e donativi vari forniti di persona, ed
indirettamente, fungendo da intermediari per chi voleva qualche
sua decorazione. Non bisogna però essere troppo drastici, e
pensare che questi individui fossero solo degli opportunisti, o
che la Repubblica desse via con eccessiva facilità cariche di una
certa importanza. E' chiaro che quasi tutti questi rappresentanti
avevano voluto la loro carica non certo per semplice amore verso
San Marino, ma verosimilmente per interessi personali. Ma su
ognuno la Repubblica aveva svolto indagini preliminari, fornendo
la patente di console solo dopo aver raggiunto una certa sicurezza
sull'insignito. Inoltre i consoli cercavano anche d'impegnarsi a
favore della Repubblica con quei pochissimi servizi che le
potevano rendere. Coloman, per esempio, che sarà console a Vienna
fino al momento della sua morte avvenuta nel 1911, a parte una
breve parentesi nel 1876, quando lascerà temporaneamente
l'incarico perché coinvolto in un fallimento, di sua iniziativa
s'interessò subito per stipulare un trattato commerciale con
l'Austria. Ma il progetto non ebbe seguito perché Cibrario,
interpellato in proposito, ebbe a dire: "Fare un trattato di
commercio quando non si ha commercio, e farlo con una potenza di
1° ordine è un volersi coprire di ridicolo". Inoltre il commercio
sammarinese era protetto e garantito dall'Italia, la quale passava
alla Repubblica un canone doganale calcolato generosamente su
9.000 residenti, mentre si sapeva che la popolazione era di molto
inferiore. (150) Queste parole possono dare anche un senso alle
critiche mosse da Cibrario a Coloman di cui si è detto; cioè
ritengo che lascino intravedere un certo fastidio da parte
italiana (Cibrario era pur sempre un ex ministro di Vittorio
Emanuele) per questa volontà internazionalistica di San Marino, la
cui indipendenza era tollerata e "protetta", come specificava la
convenzione del '62, ma presumibilmente anche molto vigilata.
Per quanto riguarda
i lavori pubblici, si può dire che questi sono anni in cui
avvengono diversi restauri, ma soprattutto si costruiscono strade
il cui grande costo eleva di parecchio la spesa di questa voce,
tanto che Malpeli, nel suo "Rapporto" che riproduco in appendice
(n°24) affermò che senza questa spesa i lavori pubblici avrebbero
inciso solo per 20.000 lire all'anno. Le strade in questione erano
quella detta "dell'ospedale", cioè la strada di collegamento tra
Borgo e Città attraverso le Piagge, la strada di Gualdicciolo, la
strada tra Serravalle ed il confine. La strada dell'ospedale era
già stata avviata dal 1839, ma i grandi costi ne avevano
rallentato parecchio la costruzione. Gli introiti degli anni che
stiamo esaminando furono fondamentali per la sua ultimazione
avvenuta, da quanto ci dice Balsimelli, nel 1876. (151) Il
progetto della strada per Gualdicciolo fu presentato invece
nel Consiglio del 27 ottobre 1866, e prevedeva due possibilità:
una strada con un costo di 28.928 lire, ed un'altra con un costo
di 41.242 lire. (152) Credo che sia stato scelto quest'ultimo
progetto; tuttavia nel corso della sua esecuzione i costi
dovettero dilatarsi di parecchio, anche perché nel 1868 ci si
accorse che il tratto costruito fin lì (dal Borgo al ponte di Ca'
Martino) era stato fatto non "colla dovuta solidità", e richiedeva
continui lavori di ripristino per via del terreno franoso su cui
la strada si sviluppava. Si decise di modificare in parte il
progetto iniziale, e si comunicò che per portare a compimento la
strada occorrevano 48.116 lire, che credo si aggiungessero ai
costi sostenuti per il tratto già edificato. (153) La strada
Serravalle-confine già esisteva, tuttavia nel 1866 si decise di
apportarvi alcune modifiche. Il costo del lavoro ammontò a più di
16.000 lire. Di questi stessi anni dev'essere anche la tanto
bramata strada per Montelicciano, nonostante che Balsimelli
affermi che dovette essere costruita tra il 1870 ed il 1874. (154)
Deduco questo dall'assunzione di tre cantonieri avvenuta nel
Consiglio del 25 maggio 1870, uno per la strada di Gualdicciolo,
uno per la strada di Città-Borgo, ed uno proprio per la strada di
Montelicciano. (155) E' chiaro che la custodia di questa strada
presupponeva che la strada già vi fosse, o almeno che fosse
qualcosa più di un sentiero. Comunque il discorso sulle
strade sammarinesi andrebbe rifatto in maniera molto più
analitica, perché le informazioni attualmente disponibili
sono frammentarie e a volte poco precise. Sempre nella stessa
seduta vennero nominati anche tre ispettori delle strade.
Con questo
argomento possiamo chiudere il lungo discorso svolto sugli anni
'60, discorso però necessario, e di cui andrebbero ulteriormente e
spesso singolarmente indagate quasi tutte le tematiche, perché è
indubbiamente uno dei periodi più importanti di tutta la storia
sammarinese. Passiamo ora all'analisi degli anni '70 che
richiederà di certo meno tempo.
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capitolo III
GLI ANNI SETTANTA
I - Gli aspetti economici
Come già si è
anticipato, gli anni Settanta vedono ancora una politica economica
da parte dello Stato sammarinese tesa alla creazione di
infrastrutture, e resa possibile grazie soprattutto agli enormi
introiti legati alle onorificenze, introiti che in questo periodo
vengono accettati assai più facilmente di prima, senza particolari
problemi di natura morale, o di altro genere. I bilanci del
periodo sono i seguenti: (1)
1870-1871 - Entrate L. 131.499
Uscite L. 127.537
1871-1872 - =
L. 95.268 = L.
95.268
1872-1873 - =
L. 165.321 = L. 157.286
1873-1874 - =
L. 183.868 = L. 171.841
1874-1875 - =
L. 164.541 = L. 159.392
1875-1876 - =
L. 264.713 = L. 256.965
1876-1877 - =
L. 228.357 = L. 200.677
1877-1878 - =
L. 189.936 = L. 165.444
1878-1879 - =
L. 147.538 = L. 138.215
1879-1880 - =
L. 125.979 = L. 122.306
1880-1881 - =
L. 228.138 = L. 205.508
1881-1882 - =
L. 179.591 = L. 176.564
1882-1883 - =
L. 166.266 = L. 156.005
1883-1884 - =
L. 162.660 = L. 173.164
1884-1885 - =
L. 193.204 = L. 189.937
Sono arrivato fino
al 1885 per mostrare come anche i primi anni '80 registrino cifre
simili agli anni precedenti; ma avendo voluto legare il nostro
discorso a Palamede Malpeli, ci fermeremo nella nostra analisi al
momento della sua ignominiosa uscita di scena, cioè al 1879-1880.
Parliamo dunque dei bilanci fino a tale momento.
Come si sarà constatato
direttamente, le cifre riportate documentano quanto sia aumentata
da un decennio all'altro l'entità dei vari bilanci, tanto che
decuplicano rispetto a quelli dei primi anni '60. Le spese reali
che incidono più di tutte su questi bilanci sono quelle imputabili
alla pubblica istruzione, in costante crescita per tutto il
decennio, ed ai lavori pubblici, che riportano invece alti e bassi
in base agli anni. La pubblica istruzione registra un sensibile
aumento dei costi a partire dall'anno amministrativo 1872-1873,
con una spesa complessiva di 17.881 lire (l'anno precedente era
stata di L. 12.413). Grosso modo questa cifra rimarrà abbastanza
costante anche negli anni successivi, con un lieve aumento di anno
in anno, fino ad arrivare al costo di L. 21.800 nel 1878-79. Gli
anni immediatamente seguenti vedranno un ulteriore suo sensibile
aumento (L. 25.481 nel '79-'80, L. 29.160 nell' '80-'81).
Le cifre relative
ai pubblici lavori invece sono più incostanti, con una spesa
minima di 20.685 lire nel 1876-77, ed una massima di lire 52.179
nel '74-'75. Complessivamente nel decennio 1871-1881 lo Stato di
San Marino spende 343.398 lire nei lavori pubblici, con una media
quindi di più di 34.000 lire annue. Le altre uscite sono
notevolmente più basse: le spese per l'ufficio della Reggenza
ruotano intorno alle 8-9.000 lire annue; quelle per
l'amministrazione della giustizia anche sono mediamente di 9.000
lire all'anno; la forza pubblica riporta un costo medio di poco
più di 13.000 lire annue; la sanità intorno alle 8.100 lire; il
culto solo 1.100 lire. La voce "Industria" riporta spese che
variano tra le 2.120 lire e le 3.795 lire per gli anni 1871-1878,
poi raddoppia negli anni '78-'81, con cifre comprese tra le 6.566
lire, e le 7.905 lire. Infine la "Beneficienza" tende a crescere
nel corso del decennio, andando dalle 7.337 lire del 1871-72, alle
12.284 lire del '78-'79. I due anni successivi riportano costi
intorno alle 11.000 lire.
Per quanto riguarda
le entrate, si può dire che le imposte dirette rimasero identiche
per tutto il decennio, registrando sempre l'introito di 7.218 lire
annue, composte da 6.000 lire ricavate dalla tassa prediale più
1.218 lire fornite dalla tassa urbana. Le imposte indirette
procurarono mediamente tra le 5 e le 6.000 lire annue, eccetto nel
1871-72 quando fornirono eccezionalmente 14.204 lire. Queste
imposte erano costituite da una decina di tasse che procuravano
introiti assai diversificati. Se esaminiamo come campione l'anno
1874-75, verifichiamo che le imposte indirette fornirono 4.493
lire, e precisamente: 5 L. grazie alla tassa sui bacchi da seta;
50 L. con la tassa sulle bilance del pesce;altre 50 L.con i dazi
del bollo dei pesi e misure; 160 L. per l'appalto del posteggio e
del porticato; 618 L. con la carta bollata; 1.052 L. con le tasse
sulle carni; 2.558 L. grazie alle ipoteche. Anche negli anni
seguenti i ricavi maggiori per questa voce si ebbero sempre con le
ipoteche, e la tassa sulle carni. I "Prodotti dei Beni della
Camera" diedero sempre introiti insignificanti di poche centinaia
di lire.
I proventi maggiori
si ebbero ancora con la vendita dei sali e tabacchi, e con i
"Prodotti diversi", cioè soprattutto i "donativi" legati alle
onorificenze. Nei dieci anni in esame i "Generi di Regia", cioè
appunto i sali e tabacchi, incassarono 559.286 lire, ovvero la
media di quasi 56.000 lire all'anno, con punte minime di 39.357 L.
nel '74-'75, e massime di 74.157 L. nel '76-'77. In genere i sali
incassavano molto più dei tabacchi (L. 30.144 contro L. 16.032 nel
'73-'74; L. 26.448 contro L. 12.534 l'anno dopo). Tuttavia vi sono
anche anni in cui tale tendenza si ribalta (nel '76-'77 i tabacchi
incassano L. 44.253 contro le 29.904 L. del sale; l'anno
successivo vengono incamerate L. 41.125 sempre grazie ai tabacchi,
e L. 31.344 tramite il sale).
Per quanto riguarda
la voce "Prodotti diversi", possiamo dire che subisce sbalzi
notevoli per tutto il decennio, andando dalle 29.508 L. del
1871-72, alle 191.906 lire del 1875-76. Ovviamente questo dipende
dal fatto che questa voce di bilancio comprendeva pochi introiti
costanti, come i proventi doganali pagati dall'Italia, per
esempio, e molti introiti disparati, e legati ai bisogni del
momento. In altre parole possiamo dire che se serviva denaro per
ultimare una strada, ed arrivavano donativi per comperare qualche
titolo, a volte questi soldi non venivano messi a bilancio, e
finivano nel cosiddetto "Fondo di Riserva" fruttifero creato fin
dai primissimi anni del decennio; ma a volte venivano utilizzati
per pagare le spese che il bilancio normale non avrebbe potuto
coprire. Volendo anche qui fare qualche esempio, possiamo dire che
nel 1873-74 ben 86.000 L. ricevuti come donativi andarono a finire
nella voce "Prodotti diversi" (che in quell'anno registrò un
totale di L. 114.035). L'anno dopo su 101.591 L. di cifra
complessiva, 20.107 L. furono ricavate da donativi nuovi, e 30.000
L. prelevate dal fondo di riserva; 22.000 L. furono invece i soldi
forniti dal canone doganale. L'anno dopo ancora su 191.906 L.
messe a bilancio, 15.000 L. si dovettero alle nuove monete
coniate, ma ben 138.000 L. dipesero da una serie di "donativi"
arrivati per i soliti motivi. Saltando al 1880-81 vediamo che
questa voce registrò L. 150.127, di cui 85.400 L. arrivate sotto
forma di donativi, e 13.300 L. come interessi sui soldi depositati
nel fondo di riserva. In quell'anno eccezionalmente furono
incassate grazie al canone doganale italiano quasi 43.000 L., e
altre 3.274 L. tramite la vendita dei francobolli che, come
vedremo, San Marino inizierà a stampare in proprio.
Mi scuso di tutte
queste cifre che possono aver appesantito la lettura di queste
ultime pagine, tuttavia è grazie a loro che si può capire con
maggiore facilità e oggettivamente il rapido cambiamento in atto
nella Repubblica di San Marino, cambiamento legato per buona parte
alle ingenti somme di denaro che in questo decennio più che in
altri la Repubblica riuscirà a guadagnare. Poichè questi soldi
iniziarono ad affluire in maniera sempre più consistente, si
cominciò a pensare alla creazione di un deposito fruttifero presso
qualche banca italiana, così da ricavare anche interessi a
vantaggio dello Stato. La prima volta che si pensò a questa
possibilità fu alla fine del 1870, quando la Reggenza suggerì di
mettere a frutto presso qualche banca 20.000 lire da poco
donate in cambio di onorificenze. Il motivo era che la Repubblica
aveva ancora problemi a far quadrare i propri bilanci, nonostante
fossero aumentati gl'introiti, per cui occorreva trovare altre
forme di far denaro. (2) Probabilmente in quell'occasione non se
ne fece nulla, poiché nel 1872 la proposta venne nuovamente
avanzata, dopo che nella seduta consigliare del 30 gennaio venne
addirittura approvato un regolamento specifico per la gestione di
tali soldi, perché erano insorti problemi che in futuro si
volevano evitare. (3) Nel Consiglio del 25 luglio di quell'anno,
invece, si disse che il Congresso Economico, dietro parere dei
consoli Traversi (di Milano) e Broccoli (di Napoli), (4) aveva
suggerito di depositare i soldi in eccedenza, cioè quelli
provenienti dalle onorificenze, nelle casse di risparmio italiane,
così da ricavarne interessi annui. Nell'occasione si stabilì
inoltre che i relativi libretti di risparmio avrebbero poi dovuto
essere conservati in una "Cassa a tre chiavi, una delle quali sia
consegnata alla Reggenza pro tempore, l'altra al Cassiere
Generale, e la terza ai Sindaci del Governo".
In definitiva
possiamo affermare che ora la Repubblica, di certo per la prima
volta nella sua storia più recente, aveva mezzi economici tali da
entrare nella logica dell'investimento e del profitto. E questi
mezzi nel corso degli anni '70 si ampliarono sempre più, fino ad
arrivare ad un totale di 243.194 lire nel marzo del 1879, (5) e
lire 284.544 nel gennaio del 1880, ultimo dato di cui dispongo.
(cfr. app. n° 5) I soldi provenienti dall'Italia come canone
doganale, e dalla vendita delle onorificenze cominciarono dunque
ad essere sempre più fondamentali per l'economia sammarinese, ed a
permettere allo Stato di far fronte all'evoluzione dei tempi, e
dei bisogni locali.
Ovviamente
non poterono risolvere tutti i mali: gli atti del Consiglio sono
zeppi di richieste di sovvenzioni di ogni genere, soprattutto da
parte delle donne che, in particolare quando rimanevano vedove,
avevano poche possibilità di procacciarsi il pane quotidiano, e
dovevano quindi vivere ai limiti dell'indigenza. Un'altra
categoria con problemi identici erano gli anziani, che ben
difficilmente riuscivano in età lavorativa a risparmiare tanti
soldi da poter essere autonomi anche in età avanzata. Chi volesse
toccare con mano questa tragica realtà può consultare presso
l'Archivio di Stato la serie delle "Istanze al Consiglio" di
questi anni, sempre stracolma di richieste di aiuto economico, e
di elemosina di Stato. Vi è una differenza, però, rispetto ai
decenni precedenti: il Consiglio tende per quanto gli è possibile
ad esaudire le petizioni, ed a fornire aiuti molto più di prima, e
ciò naturalmente perché ora può permetterselo. Nel Consiglio del
28 settembre 1872 si parla del problema delle tante richieste di
aiuto economico che in ogni seduta dovevano essere vagliate, e si
vuole determinare una regola "per la distribuzione dei sussidi a
quelle persone indigenti che continuamente ricorrono al Principe
con istanza". Alla fine venne riproposta l'istituzione di una
Congregazione di Carità che, come si è già detto, era stata
soppressa nel 1865. Secondo la proposta originale, questo
organismo avrebbe dovuto avere a sua disposizione ben 150 lire al
mese, invece delle 50 lire di cui poteva in precedenza disporre la
Reggenza per gli stessi scopi, perché si era appurato che i poveri
erano aumentati. Il Consiglio stabilì di ripristinare la
Congregazione, composta da otto membri per Città, ed otto per
Borgo, però con sole 100 lire al mese di fondi a disposizione. (6)
Questa soluzione non risolse del tutto il problema; negli anni
successivi il Consiglio dovette elargire di tanto in tanto anche
altri soldi, e qualche volta sentì pure il bisogno di favorire con
aiuti in denaro l'emigrazione di chi si recava fuori San
Marino nei mesi invernali per cercar lavoro. (7) Nel 1877, poi,
venne varata una legge che istituiva una "Commissione di Pubblica
Beneficienza" in sostituzione della "Commissione di Soccorso" che
era stata creata il 28 settembre 1872, con l'incarico principale
di dirigere e sorvegliare "la retta, prudente, e giusta
distribuzione dei soccorsi" ai bisognosi. Essa disponeva di un
cospicuo contributo governativo di 7.000 lire, più 150 lire
fornite dall'ospedale per i medicinali. (app. n° 19) Questa legge
fu alla base della "Legge sulla pubblica beneficienza" promulgata
il 21 aprile 1887. (8)
Ma i nuovi introiti
sammarinesi permisero anche altre riforme di natura economica,
come l'abolizione della tassa sul pane, avvenuta dal 1 agosto
1872, perché colpiva soprattutto il povero. (9) Solo Serravalle la
volle mantenere, ovviamente col permesso del Consiglio "fermo
sempre nella massima di non voler menomamente disporre delle
rendite che appartengono ai Castelli", perché sostenne che senza
questa tassa non avrebbe potuto far fronte alle sue esigenze
economiche annuali. (10) Anzi, si può aggiungere che proprio da
questo problema di natura fiscale sorse la questione se
Serravalle, Montegiardino e Faetano "dovessero mantenersi tuttavia
nella condizione di non potere aspirare ai pubblici uffici, o se
non piuttosto, come è richiesto dai principi di eguaglianza fra i
cittadini di una Repubblica, non dovessero essere parificati agli
altri nel godimento ed esercizio di tutti i diritti politici,
cancellando così ogni traccia dell'annessione dei suddetti
Castelli allo Stato della Repubblica". La Reggenza (Settimio
Belluzzi-Francesco Marcucci) dichiarò che avrebbe studiato il
problema, ed in seguito presentato un progetto. Così fu. Nel
Consiglio del 30 agosto 1873 essa dichiarò che non doveva esserci
"disuguaglianza per gli uomini della Repubblica nell'esercizio dei
diritti politici", per cui propose il seguente decreto: "Gli
uomini dei Castelli e delle Parocchie di Serravalle, Faetano,
Montegiardino e Fiorentino hanno eguali diritti politici che
godono gli uomini delle ville, e come questi possono essere
nominati ed eletti a Consiglieri del Gran Consiglio dei LX". Il
Consiglio approvò, annullando così le differenze che sussistevano
tra gli abitanti di questi Castelli, e gli altri. (11) Questa
riforma suscitò in seguito ripensamenti sulla giustizia della
divisione in tre ceti dei consiglieri, così come stabilivano gli
Statuti secenteschi. La questione sorse il 28 agosto del
1875,perché erano stati eletti come consiglieri di II ceto Antonio
Mularoni e Lorenzo Valli, i quali però non avevano residenza nè in
Città, nè in Borgo. La Reggenza (Palamede Malpeli-Luigi Pasquali)
era dell'avviso che l'antica norma non doveva più rispettarsi,
visto che erano stati ammessi ai benefici politici anche i
residenti dei Castelli periferici. "Dopo breve discussione sul
proposito -venne verbalizzato- il Consiglio Sovrano ritenuto
l'insorto incidente di molta importanza in quantoche trattasi di
dare la giusta interpretazione alle costituzioni fondamentali
della Repubblica rimise la questione al Congresso Economico di
Stato (...) riservandosi in seguito a ciò di emettere la
risoluzione con piena cognizione di causa". (12) La questione in
seguito fu lasciata cadere; solo agli inizi del secolo nuovo si
potrà assistere all'abolizione dei ceti.
Tornando ora ai
problemi economici, si può ancora dire che oltre alla tassa sul
pane, venne abolito anche il Biribisso, un gioco d'azzardo che da
moltissimo tempo veniva praticato in Repubblica, e che forniva
allo Stato, che concedeva il monopolio del gioco a qualcuno, un
introito fiscale annuo. (13) Probabilmente si volle rinunciare a
questo provento sempre per motivi di carattere sociale.
NOTE APPENDICE
1.1 - La convenzione del 1872
Altri fatti
economici degni di essere annotati sono senz'altro quelli legati
al rinnovo della convenzione con l'Italia avvenuto nel 1872. Come
si è visto, già da tempo si aveva sentore di un qualche mutamento
nei rapporti tra Italia e San Marino alla scadenza del periodo di
dieci anni stabilito dalla prima convenzione. Nei primi anni '70 i
motivi di attrito con l'Italia non vennero a meno, sia perché San
Marino nel 1870 richiese inutilmente un aumento del contingente di
sali e tabacchi che riceveva per convenzione, sia perché l'Italia
richiese inutilmente di poter applicare tasse su alcuni prodotti
che la Repubblica avrebbe potuto esportare. Nel febbraio del '70
la Repubblica richiese al ministro Sella tramite Cibrario che il
quantitativo di sale venisse aumentato da 73.000 Kg. ad 80.000, ed
il tabacco da 6.750 ad 8.000, poiché le quantità che riceveva non
bastavano più a causa dell'aumento della sua popolazione. (14) In
giugno il ministro degli esteri italiano scrisse per chiedere alla
Repubblica di derogare all'articolo 23 della convenzione,
permettendo così allo Stato italiano di applicare tasse su farine,
polveri da sparo, birre ed "acque gazose" eventualmente esportate
da San Marino. Questo naturalmente avrebbe comportato l'apertura
di dogane attorno al suo confine. (15) La richiesta provocò ansia
tra i governanti sammarinesi, i quali si decisero a rispondere
solo il 22 luglio, dopo aver ampiamente dibattuto tra loro il
problema, e aver chiesto consigli al Cibrario ed altri.
"L'Eccellenza
vostra -venne risposto- facendo appello ai principi di equità ed
ai sentimenti di amicizia che formano la base dei rapporti fra il
Governo Sammarinese e l'Italia mette in campo delle considerazioni
dedotte dallo spirito della Convenzione, e specialmente da ciò che
fu scritto nell'esordio della medesima volendo inferire dalle
parole ivi inscritte che la Convenzione fu stipulata con lo scopo
di fare alcune concessioni di favore ai Sammarinesi e che (...?)
fu per parte del Regno d'Italia un vero atto di particolare
liberalità da non ritirarsi mai dal concessionario a danno del
Concedente. Il Governo della Repubblica non può ammettere un
siffatto principio, il quale tende a distruggere la natura di quel
Contratto essenzialmente sinallagmatico perché diretto al
vantaggio reciproco di ambe le Parti Contraenti, e non di una
soltanto. Ciò risulta evidentemente da tutti gli articoli che lo
costituiscono, e che in gran parte sono conformi a quelli che
dalla Sardegna furono concordati con altre Potenze. Se taluno di
essi può e deve dirsi molto utile alla Repubblica, questa dal
canto suo ha rinunciato a molti diritti ed a molti vantaggi, e si
è caricata di obblighi che non trovano il loro corrispettivo in
quelli assunti dal Governo Italiano. Che se nel proemio della
Convenzione furono inserite alcune parole di riconoscenza della
Repubblica verso il Re d'Italia, ciò deve considerarsi come un
atto di riguardo del debole verso il potente vicino, che non
isdegna di venire a patti con lui e di stabilire di comune accordo
delle norme regolatrici dei doveri e dei diritti reciproci, ma non
si deve mai interpretare nel senso che il vicino piccolo abbia
ricevuto dal grande un benefizio a titolo gratuito. E se anche si
volesse supporre per un istante che quello fosse un benefizio,
parrebbe strano che la Repubblica dovesse poi rimanerne spogliata
senza alcuna sua colpa o demerito. Se il Governo della Repubblica
acconsentisse oggi a rinunciare al diritto di libera circolazione
nel Regno italiano delle sue farine e delle sue polveri da fuoco
per la ragione che questi due generi sono in esso colpiti da una
tassa Governativa, domani potrebbe trovarsi costretta, per essere
consegnate, a fare altrettanto di altri prodotti, che al Governo
del Re piacesse di tassare, e così l'articolo 23 sopracitato
rimarrebbe interamente distrutto, ed ammesso una volta il
principio che un patto stipulato possa rescindersi perché una
delle Parti Contraenti non vi trova più il suo tornaconto, ne
conseguita che nessuna Convenzione può dirsi un fatto serio, e che
la fede dei Trattati diventa una cosa illusoria". La lettera
continua col dire che San Marino produceva farina e polvere
sufficienti a soddisfare solo i bisogni interni, e quindi i
produttori italiani di tali merci non dovevano preoccuparsi di una
concorrenza a prezzi più bassi. Infatti la polvere pirica veniva
trattata nell'unico stabilimento locale preposto a tale funzione
che vi era, e dava all'erario sammarinese "la miserabile somma
annuale di lire cinquecento". "Quanto alla farina noi diremo, che
se egli è vero che nella stagione invernale alcuni sudditi
Italiani delle campagne limitrofe vengono a macinare il frumento
ed il granturco ai nostri mulini o per ragione di commodità o per
mira di risparmio, non è men vero d'altra parte che nell'estate i
Sammarinesi sono costretti per difetto di acqua nei mulini interni
di ricorrere ai mulini esteri, di guisa che se in una stagione
l'erario italiano subisce una perdita sulla tassa del macinato,
nell'altra ne resta compensato largamente. Ed appunto perché non
venisse precluso l'adito a questa compensazione a favore del
Governo del Re, la Repubblica fino dall'epoca della imposizione
della tassa sul macinato rigettò le istanze di alcuni cittadini
speculatori, i quali volevano attivare nel nostro territorio dei
mulini da grano a vapore colla fondata speranza, che i forastieri
vi sarebbero accorsi per non pagare la tassa dovuta al loro
Governo. Quest'atto di riguardo verso il Governo del Re fu
suggerito alla Repubblica da quel sentimento di leale amicizia e
di sincera gratitudine che gli professa, e dal vivo suo desiderio,
che per fatti dei Sammarinesi le Finanze italiane non avessero mai
a soffrire alcun detrimento". Tra l'altro la farina prodotta in
loco non copriva neppure il fabbisogno interno, per cui la
Repubblica non poteva di certo esportarla. "Non abbiamo nessuna
fabbrica né di pasta, né dei birra né di altri liquori -si
aggiungeva ancora-; per provvedersi di questi prodotti, e
specialmente delle paste delle quali si fa quà un uso grandissimo,
i Sammarinesi ricorrono alla città di Rimini, e così vengono a
pagare alla Finanza Italiana somme considerevoli". "Quando il
Governo del Re insistesse nella pretesa di riscuotere le tasse sul
macinato per le farine che provengono dal territorio Sammarinese,
parrebbe logico e giusto che il Governo stesso avesse a restituire
le tasse che riscuote per le farine che escono dal Regno ed
entrano nel territorio suddetto, e quello che si dice per le
farine e loro derivati, dicasi ancora per la birra, per gli alcool
e per le acque gazose. In questo caso l'Italia non avrebbe che a
perdere, essendo di gran lunga maggiori le quantità che esporta
per la Repubblica di quelle che riceve dalla medesima. Dopo la
Convenzione la situazione della Repubblica venne aggravata
coll'aumento dei dazi sul caffè, sul pepe e sulle droghe nonchè
sui dazi di esportazione, ma essa non se ne dolse mai, e nella sua
lealtà si fece un dovere di restarsene silenziosa". Per tutti
questi motivi la Repubblica non era disponibile a soddisfare le
pretese avanzate, e si rimetteva al giudizio delle autorità
italiane per sapere se il suo atteggiamento era giusto o
sbagliato. (16) In novembre giunse la risposta: l'Italia accettava
le argomentazioni sammarinesi, quindi rinunciava a persistere
nelle sue richieste. Nel contempo, però, non concedeva alcun
aumento di sali e tabacchi. (17)
Evidentemente il
governo italiano aveva mal digerito il rifiuto sammarinese. Pochi
mesi dopo, in effetti, il Ministro degli esteri comunicò che
soprattutto per le mutate esigenze fiscali italiane, la
convenzione del '62 avrebbe dovuto essere rivista. (18) Così fu.
Il 27 marzo 1872 il plenipotenziario sammarinese Paolo Onorato
Vigliani, che dal maggio del '71 aveva sostituito Cibrario, morto
il 1 ottobre 1870, firmò a Roma per conto della Repubblica la
seconda convenzione con l'Italia. (app. n° 32) Prima di giungere
alla firma vi furono polemiche tra i due Stati perché San Marino
continuava ad essere accusato di dare ospitalità a cospiratori
mazziniani; ma di ciò si parlerà diffusamente più avanti.
Comunque si può dire fin d'adesso che queste accuse probabilmente
avevano più lo scopo di permettere all'Italia di far la voce
grossa al tavolo delle trattative che non altro. La convenzione
del 1872 come impostazione generale è simile a quella di dieci
anni prima, e dedica parecchi articoli alle questioni giudiziarie
e d'estradizione. Ma ora vi erano problemi di natura economica e
fiscale che nel '62 erano meno sentiti, come si è detto, per cui
su questi aspetti l'Italia volle maggiori garanzie, e modificò il
vecchio articolo 23 in questa maniera: "I prodotti, generi,
bestiame, manifatture e merci di uno dei due Stati potranno
liberamente circolare nell'altro, salvi soltanto i generi di
privativa dei due Governi e quelli la cui produzione o
fabbricazione sia attualmente o sia per essere in uno dei due
Stati sottoposta a tassa. Questi generi venendo introdotti in
quello dei due Stati dove siano soggetti a tassa saranno
considerati di contrabbando" (art. 32). Ovviamente le novità
presenti in tale articolo si dovettero a tutte le polemiche di cui
si è detto, polemiche però che si quietarono solo in parte, perché
già nel dicembre dello stesso anno l'Italia lamentava un
contrabbando di farina e polvere pirica, ed aumentava la vigilanza
attorno ai confini. (19) La Repubblica, comunque, ricevette dalla
nuova convenzione anche diversi benefici, in quanto le fu concesso
un aumento annuo di 5.000 kg. di sale e di 250 kg. di tabacco.
Anche il canone doganale fu aumentato di quasi 3.000 lire,
passando ora a 22.000 lire annue. In definitiva San Marino riuscì
a conseguire anche da questa convenzione un discreto guadagno
economico.
I maggiori introiti
non eliminarono ancora, però, l'approssimazione ed il
dilettantismo con cui spesso si amministrava la finanza pubblica.
San Marino passò nel giro di pochissimo tempo da esigenze assai
modeste, ad esigenze di uno Stato con ambizioni di modernità, e
con utili notevolmente aumentati, soprattutto se li poniamo in
relazione agli incassi ed ai bilanci abituali. E' ovvio che i
governanti sammarinesi, avvezzi da sempre ad una gestione
patriarcale del loro Stato, quasi fosse una sorta di grande
famiglia, vennero colti piuttosto impreparati da questo repentino
mutamento, e non sempre riuscirono in tempi brevi ad acquisire le
competenze per amministrare le novità nella dovuta maniera, e con
la dovuta abilità. Da qui, come si è detto, l'ossessiva esigenza
di consultare i loro rappresentanti italiani quasi per qualunque
bisogno. Vi sono episodi contenuti negli Atti consigliari che si
possono citare a sostegno di quanto affermato, come la vicenda di
cui troviamo tracce nella seduta consigliare del 30 gennaio 1872.
In quell'occasione si esamina un problema legato alla figura di
Pietro Borghesi, cassiere e custode dei fondi di riserva, ovvero
di quei soldi provenienti soprattutto dalle onorificenze. Da
quanto ho potuto capire, costui era morto senza lasciare
disposizioni ai suoi famigliari intorno ai soldi in questione,
cosicché quando gl'incaricati del governo si presentarono per
reclamarli, non vennero subito riconsegnati, perché non vi erano
documenti che comprovassero con esattezza come stavano le cose. "I
suddetti signori (Gaetano Simoncini cassiere generale, e Filippo
Belluzzi cassiere dei tabacchi) -si legge- però a motivo di alcuni
indugi frapposti dagli eredi medesimi, non hanno potuto finora
compiere che solo in parte il loro mandato (cioè la riscossione
dei denari) anche perché a motivo dei nostri antichi sistemi
patriarcali non esisteva un serio controllo in mano del Governo
delle Casse suddette, da poter stabilire anche senza l'intervento
degli Eredi e dei registri tenuti dal fu signor Pietro, il vero e
certo ammontare delle somme esistenti". (20) Dopo lunga
trattativa, di cui si può conoscere qualcosa grazie ad alcune
lettere sulla questione conservate in Archivio, lo Stato potè
rientrare in possesso di tale denaro; tuttavia non sapremo mai se
i soldi alla fine restituiti furono tanti quanti quelli
consegnati.
Un altro
episodio che può documentare lo stesso tipo di faciloneria è
quello legato alla lagnanza di Gaetano Simoncini il quale, nella
sua qualità di cassiere generale, nel febbraio del 1873 dichiara
che era per lui assai difficile riscuotere sia i crediti che aveva
lo Stato nei confronti dei cittadini, sia le tasse. Ho potuto
verificare che questo problema è abbastanza ricorrente dal 1848 in
poi, e che lo Stato per negligenza spesso non si curava più di
tanto di riscuotere i suoi crediti. Lo stesso Palamede Malpeli
nella sua relazione del 1859, d'altra parte, aveva stigmatizzato
questo comportamento. "Il Consiglio decretò per l'avvenire -si
legge nei verbali- di regolare meglio l'amministrazione della
Cassa Generale e incaricare il Cassiere di esigere per l'anno
corrente tutti i crediti del Governo, lasciando addietro gli
arretrati". Nella stessa seduta consigliare, poi, si provvide a
cambiare il cassiere generale (ora Settimio Belluzzi), e a
nominare Melchiorre Filippi cassiere dei tabacchi. Si provvide
anche a decretare la redazione di un regolamento per la cassa
generale, opera a cui avrebbero dovuto dedicarsi proprio Settimio
Belluzzi insieme al Deputato degli esteri e delle finanze Domenico
Fattori. (21) Un mese dopo il regolamento era pronto, e stabiliva
le seguenti norme: il pubblico cassiere aveva il compito di pagare
le somme preventivate e di riscuotere i crediti; poteva rifiutarsi
di pagare le somme in eccesso rispetto a quelle preventivate;
doveva essere il depositario di una delle tre chiavi della
cassaforte insieme ai Reggenti ed al sindaco di governo; doveva
essere aiutato da un collaboratore da lui scelto; restava in
carica un anno (da aprile a marzo), ma poteva essere rieletto;
alla fine del suo mandato doveva sempre rendere conto dei soldi
amministrati; il suo ufficio si trovava presso il Palazzo
pubblico, e doveva rimanere aperto dalle 10 alle 13 di ogni
lunedì, giovedì e sabato; percepiva 500 lire all'anno, ma doveva
pagarvi anche il suo aiutante. (22)
Si fece qualcosa
anche per l'eterno problema dei debiti che non venivano saldati:
nel Consiglio del 30 agosto 1873 fu promulgata una "Legge di
procedura sommarissima nelle cause civili di Mano-Regia", con cui
si stabilivano regole, tempi e sanzioni precise per i morosi. (23)
Dal 1° ottobre 1875, inoltre, tutte le casse dello Stato vennero
riunite nella Tesoreria generale. (24) Queste riforme devono aver
prodotto effetti benefici, perché negli anni successivi non ho più
individuato nei documenti che ho analizzato il rifiorire dei
problemi che le avevano determinate.
1.2 - La ricerca di altri mezzi
economici
Oltre a quanto
detto, vi sono anche altri fatti di natura economica a cui merita
accennare. Con il canone doganale, e la vendita delle onorificenze
San Marino trovò il sistema di evolversi; tuttavia non per questo
si rifiutò di esaminare pure altre possibilità di aumentare
i propri introiti. Anche il decennio che stiamo esaminando vide la
presentazione da più parti alle autorità sammarinesi di
parecchi progetti d'installazione di una casa da gioco (tra il
1873 ed il 1878 ne ho contati sei), (24a) tuttavia ci si rifiutò
sempre di aderire a queste richieste, sebbene in alcuni casi
fossero assai vantaggiose, per questioni di natura morale, ed
anche per paura di eventuali ripercussioni sui rapporti con
l'Italia. Nel settembre del 1879, poco prima che scoppiasse
l'affare Malpeli di cui si parlerà fra breve, legato anch'esso
all'impianto di una casa da gioco, il governo sammarinese fece
divulgare sui giornali francesi, austriaci ed italiani il seguente
testo: "Circola da qualche tempo e con insistenza la voce, che il
Governo della Repubblica di San Marino abbia acconsentito alla
fondazione di una casa da giuoco nel suo territorio. Il
sottoscritto (cioè ogni console della Repubblica -nda) è
autorizzato a smentire formalmente una simile diceria sparsa forse
ad arte e con fini non onesti. Il Governo di San Marino conosce
troppo bene che una casa da giuoco disgregherebbe la base su cui
posano le sue libere istituzioni". (25) Questa fu sempre la
posizione mantenuta dalla Repubblica da poi che negli anni
precedenti erano iniziate a giungere richieste in proposito (come
esempio si veda una di queste proposte in app. n° 26).
Analogamente vennero presentate
richieste per creare lotterie internazionali legate alla
Repubblica, così come a suo tempo aveva sognato Avigdor. Una
proposta simile, che prevedeva per la Repubblica un guadagno netto
di 250.000 lire, giunse nel '71 per opera di un certo ingegner
Giovanni Carlo Landi. Dopo lunga discussione, il Consiglio non
approdò a nulla, per cui la lasciò decadere. (26) Nel 1875 arriva
una proposta identica da parte della Duchessa di Faetano (la
nipote di Avigdor di cui si è detto), che tornava anche a
riproporre progetti per la mai realizzata miniera di zolfo di
Faetano. (27) Le fu risposto molto esplicitamente che, in base
alle esplorazioni svolte, non era certo che a Faetano vi fosse
zolfo; per la lotteria, invece, esistevano difficoltà di
realizzazione emerse anche in passato. Inoltre ora la Repubblica
economicamente si trovava in condizioni notevolmente migliorate,
per cui non aveva bisogno di avventurarsi in tali esperienze. (28)
Un'altra proposta analoga fu avanzata da Palamede Malpeli
nell'arengo di aprile del 1873. Egli suggeriva di utilizzare le
22.000 lire provenienti dall'Italia come garanzia di un'emissione
fatta dalla Repubblica di "cedole di tesoreria" da una lira
ciascuna, rimborsabili dopo dieci anni. Il progetto prevedeva un
utile di circa 120.000. (app. n° 29) Fu istituita una commissione
per valutare l'idea, tuttavia essa non andò mai in porto. (29)
Nella seconda metà
degli anni '70 più volte emerse l'ipotesi di stampare carta moneta
locale, e nel 1880 venne presentato al Consiglio anche un progetto
dettagliato in proposito dal Reggente Settimio Belluzzi; (app. n°
5) ma anche questa impresa non fu mai realizzata, soprattutto per
l'avversione dell'Italia all'idea. Nel 1877 Malpeli tornò alla
carica con un progetto di lotteria per reperire fondi con
cui ampliare l'ospedale (prevedeva l'emissione di 24.000 cartelle
da una lira, ed una durata di dodici anni), ma anche questa
proposta fu lasciata decadere, probabilmente per "l'antipatia" nei
suoi confronti da parte dei "Vecchi Conservatori", come lascia
intuire un'altra sua istanza dell'ottobre 1878. (30)
Non vi furono solo
progetti rimasti sulla carta: nel 1875 vennero stampate altre
monete, questa volta da 10 centesimi, per un valore complessivo di
15.000 lire, e costate allo Stato lire 7.495,45. (31) Sempre nel
1875 nacque l'intenzione di produrre francobolli, e si presero i
primi contatti per verificare la realizzabilità del progetto. (32)
In un primo momento l'Italia non si mostrò molto propensa
all'idea, ed affermò che avrebbe fabbricato francobolli per la
Repubblica, ma le avrebbe fornito solo un 20% di utile sulla loro
vendita, così come già faceva per i francobolli che le aveva
passato fino a quel momento, e come era previsto dalla convenzione
postale che era stata sottoscritta dai due Stati il 7 febbraio
1865. (33) Dopo lunghe discussioni, durate per tutto il 1876, nel
febbraio del 1877 si giunse finalmente alla formulazione di una
bozza di contratto con la "Regia Officina delle Carte-Valori" per
la stampa di 500.000 francobolli (300.000 da 20 centesimi, 100.000
da due centesimi, 60.000 da 10 centesimi, 25.000 da 30 centesimi,
15.000 da 40 centesimi) al costo di due lire per ogni 1.000
francobolli stampati, più 2.500 lire per le matrici. (34) Nel mese
di marzo venne stipulata tra Italia e San Marino una nuova
convenzione postale, sostitutiva di quella precedente, il cui
articolo 8 prevedeva l'obbligo di usare per la corrispondenza in
partenza da San Marino i francobolli locali. (35) Nel mese
di luglio dello stesso anno tutti i francobolli furono consegnati,
ed il 1° agosto venne emanato un pubblico editto in cui si
specificava l'obbligo di usarli. (36)
Facendo il
confronto tra costi e ricavi, si può facilmente capire quanto
fosse conveniente e lucroso per San Marino prodursi i francobolli,
per cui è evidente che si era trovata un'altra apprezzabile strada
per far denaro. E' bene sottolineare però che la vendita di
francobolli in questi primi anni determinò incassi importanti, ma
certamente non alla stregua degli altri introiti di cui si è
detto: tra il 1877 ed il 1878 lo Stato incassò grazie a loro 3.966
lire; nel '78-'79 3.544 L.; nel '79-'80 4.022 L.; nell' '80-'81
3.274 L. (37) Da quanto ho potuto verificare, credo che la
Repubblica abbia iniziato a ristamparli dal 1880, anno in cui si
accertò che stavano per finire i valori da 2 centesimi. (38)
NOTE APPENDICE
3 - Ancora sulle onorificenze
Per concludere
questo nostro discorso di carattere economico, possiamo aggiungere
qualcosa a quanto già si è detto intorno alle onorificenze.
Diverse pagine addietro avevamo visto la nascita di tale
innovazione, i suoi primi passi, la sua evoluzione fino al 1872
quando Malpeli in Consiglio aveva sostenuto che era ora di
regolamentare con norme abbastanza precise, e prezzi minimi,
l'assegnazione delle decorazioni. Avevamo visto anche i problemi
nati dalla loro distribuzione con l'Italia e la Francia, problemi
che però dovettero risolversi abbastanza in fretta, visto che
negli anni '70 non emergono più. Probabilmente ci si rese conto
che la Repubblica non aveva tante strade alternative per far
fronte ai suoi bisogni materiali, e che la vendita delle
onorificenze era in fondo una soluzione meno nefasta di altre per
incamerare denaro in tempi brevi; credo sia per questo che non ho
trovato più tracce di traumi morali, o di polemiche relative alla
questione, anche se qualche consigliere ostile a tale prassi
doveva sicuramente esserci ancora.
A questo proposito
si può accennare alle poche polemiche in riguardo reperite per
questi anni: nella seduta consigliare del 17 luglio 1875 si
esaminano due richieste per titoli nobiliari avanzate dal Conte
Ferdinando Maria Filippo de Gontant Biron, che offriva 20.000 lire
per un titolo di duca, e da Antoine Schinedler, che offriva 8.000
lire per un titolo di Barone. Contrariamente a quanto successo in
altre occasioni in cui i soldi offerti permettevano con facilità
l'acquisizione di titoli, in tale seduta alcuni consiglieri, con
Federico Gozi in testa, contestarono la prassi di vendere simili
titoli. Antonio Belluzzi dichiarò inoltre che si doveva sospendere
la vendita anche dei titoli equestri. Il Consiglio decretò la
sospensione temporanea delle onorificenze, "finché non sia stata
discussa la materia sulla convenienza e moralità di tali
onorificenze, e non vengano stabilite norme politiche che regolino
la soggetta materia". (39) Con precisione non so se tale
deliberazione abbia realmente determinato una breve sospensione
della distribuzione delle onorificenze, o se fuori dall'aula
consigliare si sia trovato il mezzo di tranquillizzare i
consiglieri contestatori. E' certo però che fin dal Consiglio
successivo del 28 agosto riprese l'assegnazione di onorificenze, e
che i due personaggi la cui richiesta aveva destato il vespaio
divennero fin dalla seduta in cui si era esaminata la loro domanda
effettivamente duca e barone. Un'altra traccia che permette di
cogliere che vi era qualche ostilità nei confronti del commercio
di decorazioni da parte di qualcuno l'ho trovata in una lettera
scritta il 14 novembre 1878 dalla Reggenza (Camillo Bonelli-Pietro
Berti) al barone Morin: tra le altre cose riportava che "la
Reggenza sente viva ripugnanza a proporre al Consiglio
onorificenze a qualunque specie e per qualunque persona". (40)
Nonostante queste
voci dissenzienti, la pratica non si arrestò, anche perché non
credo potesse realmente arrestarsi, viste le improrogabili
esigenze in cui lo Stato ormai si era venuto a trovare. Anzi, nel
gennaio del 1877 vennero addirittura ritoccati i prezzi delle
onorificenze, elevandoli rispetto a quelli voluti da Malpeli nel
1872. La Reggenza (Settimio Belluzzi-Michele Ceccoli) disse che da
tempo vi era al di fuori del Consiglio un mormorio contro la
pratica di distribuire decorazioni; per questo era dell'avviso che
occorreva rivedere nuovamente le norme in merito, di certo per
limitarne l'assegnazione. Proponeva perciò di alzare ulteriormente
il loro prezzo, ed adeguarlo a quello delle onorificenze conferite
dall'Italia. "Ora si è costituita una corrente non tanto in seno
al Consiglio, quanto fuori -è verbalizzato- da rendere chiunque
persuaso che i temperamenti presi nel 1872 non hanno pienamente
raggiunto lo scopo che la Reggenza Malpeli colla sua relazione, ed
il Consiglio colla sua deliberazione s'erano proposti". Il
Reggente proseguiva dicendo che "fino al 1861 le tradizioni dei
Padri nostri erano ancora nella memoria di tutti, e la severità
dei principii repubblicani nel cuore di ogni ceto di cittadini".
Però gli avvenimenti politici italiani insieme ad "altre ragioni
di Stato" ed alla "salute della Patria" avevano indotto il
Consiglio a conferire ad Avigdor nel 1861 il titolo di duca, e ad
iniziare una pratica innovativa per la Repubblica. "Il General
Consiglio si esprimeva che al conferimento di detto titolo
nobiliare si era determinato per la specialità delle circostanze,
e per la salute della patria per essere comune la convinzione che
il conferimento di tali onorificenze non è negli usi nostri, e non
armonizza alla nostra costituzione politica". Negli anni
successivi però "stretti da bisogni materiali, scarsi di mezzi per
potervi soperire, stimolati e pressati da persone influenti,
cominciarono fra noi a tornare gradite le offerte che venivano
fatte da coloro che desideravano di ottenere di somiglianti
titoli, la severità Repubblicana si raddolcì, ed il Generale
Consiglio quando per una offerta, quando per altra o maggiore o
inferiore, non mai eguale, conferì a molte persone di ambo i
sessi, sempre però rispettabili parecchi e diversi titoli
nobiliari. La Reggenza oggi non potrebbe proporre come vorrebbe al
Generale Consiglio un temperamento radicale sulla soggetta
materia, che le toglierebbe inconvenienti di una specie ne
potrebbe produrre altri; si limita quindi a proporre alla Sanzione
Sovrana una norma, di cui si deplora la deficienza, che regoli i
detti conferimenti, gli renda meno frequenti, e per conseguenza
più reputati e stimati". In definitiva la Reggenza suggeriva di
aumentare ancora i prezzi dei gradi dell'ordine equestre, e di
stabilire ufficialmente quelli nobiliari. Per i primi
proponeva di conferire il Gran Cordone solo per "ragioni di alta
Politica", mentre il titolo di Cavaliere doveva essere assegnato
con una contribuzione minima di 4.000 lire, quello di Cavalier
Ufficiale con 5.000 lire, quello di Cavalier Ufficiale Maggiore
con 7.000 lire, quello di Grand'Ufficiale con 10.000 lire. Per i
titoli nobiliari indicava un contributo di 25.000 lire per il
titolo di Barone, 35.000 per diventare Conte, 45.000 per il titolo
di Marchese, e 60.000 lire per essere nominato Duca, sempre che il
titolo non venisse conferito esclusivamente per motivi politici.
La nuova normativa del regolamento disciplinare fu discussa ed
infine approvata. (41)
Sebbene abbia
potuto verificare che negli anni successivi furono distribuiti
titoli anche a prezzi inferiori di quelli previsti da quest'ultima
riforma, essi rimasero in vigore per dodici anni, fino alla seduta
consigliare del 14 novembre 1889. (42) In tale occasione si decise
di ridurre il costo del titolo di Cavaliere a 2.000 lire, di
Cavalier Ufficiale a 2.500, di Cavalier Ufficial Maggiore a 3.000,
e di Grand'Ufficiale a 5.000 lire. Ugualmente si abbassarono i
costi per un titolo di Barone, ora di 10.000 lire, di Conte, ora
15.000, di Marchese, ora 30.000, e di Duca, ora di 50.000 lire.
Perché queste riforme? Evidentemente quella del 1877 fu indotta
dalla grande richiesta di titoli che il Consiglio doveva
costantemente esaminare, mentre la riforma del 1889
presumibilmente doveva dipendere dall'abbassamento di tale
richiesta, e dal bisogno che comunque la Repubblica aveva di
vendere le sue onorificenze. D'altra parte esaminando gli elenchi
dei titolati si può facilmente verificare che il momento buono per
l'assegnazione di titoli nobiliari, quello cioè in cui ne vengono
conferiti di più, è proprio dal 1870 all'agosto del 1877, periodo
in cui ne vengono distribuiti 29. Negli anni successivi, diciamo
fino alla riforma del 1889, ne vengono distribuiti solo 13. Dopo
tale riforma, tuttavia, la vendita di tali titoli non torna ad
aumentare, verosimilmente perché man mano che ci si avvicina al
secolo nuovo tende a calare l'interesse nella gente per simili
onorificenze, e per la nobiltà in generale. Le decorazioni
dell'ordine equestre, invece, hanno un calo meno marcato, ma
sempre piuttosto incisivo. Infatti tra il 1870 ed il 1877 ne
vengono conferite circa 400, oltre alle 700 distribuite nel
decennio precedente; tra il '78 e l'89 circa 360; nell'ultimo
decennio del secolo, invece, solo 175 circa. Questa diminuzione
avrà notevoli ripercussioni negative sull'economia dello Stato
sammarinese, e contribuirà non poco a determinare quella crisi
economica che caratterizzerà San Marino sul finir del secolo. Ma
questa è una storia che merita una trattazione a sè, per cui ora
non mi è possibile parlarne esaurientemente.
2 - La politica estera: il blocco
del 1874
Gli anni '70,
pur non registrando un'attività diplomatica frenetica come quelli
precedenti, vedono ugualmente la Repubblica proseguire nel
consolidamento delle sue relazioni e delle sue amicizie
internazionali. Dei rapporti con l'Italia si è già detto qualcosa,
almeno fino alla nuova convenzione del 1872. Essi non furono mai
del tutto tranquilli, soprattutto nella prima metà del decennio,
perché San Marino veniva accusato di essere un ricettacolo di
mazziniani, di disertori, e di delinquenti in generale, così come
veniva incolpato di contrabbando e di altro ancora. Fin dal maggio
del '70 il Ministero degli Esteri italiano aveva scritto una
lettera in cui si diceva: "E' stato riferito al Regio Governo che
da qualche tempo si tengono nel territorio di codesta Repubblica
convegni di capi ed affigliati della fazione mazziniana, e vi si
raccolgono, in numero insolito, individui sospetti e compromessi".
Le autorità sammarinesi venivano pregate di eseguire più
controlli, perché si temeva per la sicurezza del Regno. (43) La
Reggenza rispose che tali informazioni le parevano infondate,
tuttavia avrebbe provveduto ad aumentare la vigilanza. (44) Come
controrisposta le fu inviata una settimana dopo una relazione in
cui si ribadiva che in quel periodo vi era a San Marino "un
insolito viavai di persone", tra cui il famigerato Eugenio
Valzania, tutte romagnole, e tutte mazziniane. Diceva inoltre che
in Repubblica si era costituito da qualche mese un "Comitato della
Repubblica Universale", fondato da Giacomo Martelli, Ercole Casali
e Luigi Giovannarini, che teneva le relazioni con questi
mazziniani d'Italia. Venivano fornite anche altre notizie a
sostegno delle paure che si avevano. (cfr. app. n° 15) La Reggenza
riscrisse il 23 giugno sostenendo che era quasi impossibile che
avvenissero simili riunioni, ma precisando anche di aver dato "le
disposizioni più opportune perché non si fermino nella Repubblica
individui sospetti". (45)
Momentaneamente la
controversia si placò, anche perché nel frattempo scoppiò quella
relativa all'aumento del contingente dei sali e tabacchi, ed alle
tasse che voleva applicare l'Italia di cui già si è detto.
Tuttavia un anno dopo fu il console Ugolini da Rimini che si mise
in comunicazione coi Reggenti per dire che gli risultava essere
avvenuto a San Marino un convegno di Repubblicani presieduto da un
certo Ingegner Cortellazzi, e con la presenza pure di qualche
Sammarinese, tra cui Giacomo Martelli. "Scopo del convegno sarebbe
stato stabilire gli accordi per creare in San Marino un centro del
partito ultra che dovrebbe avere ramificazioni nel Regno
d'Italia". (46) Gli fu risposto immediatamente che era vera la
venuta a San Marino di Cortellazzi, qui giunto per la prima volta
nella sua vita con lettera d'accompagnamento di Valzania per
Martelli, il quale lo avrebbe dovuto accompagnare in una visita
turistica del paese. Egli aveva alloggiato alla locanda Michetti
dove aveva incontrato Martelli e qualche altro Sammarinese. Però
era falsa l'informazione sul convegno, perché in realtà vi era
stata solo una discussione politica tra Martelli e Cortellazzi, in
quanto il primo si era reso portavoce di posizioni mazziniane,
mentre il secondo sosteneva animatamente le teorie
dell'Internazionale. La voce della cospirazione politica era stata
fatta circolare ad arte dai nemici della Repubblica. Giacomo
Martelli, il cui nome emergeva ogniqualvolta venivano inoltrati
rapporti all'Italia, non era in verità iscritto a nessuna
associazione estera. "Egli al pari di altri pochissimi sanmarinesi
trova buoni i principi di Mazzini, ma è un galantuomo, ed un
cittadino affezionato al suo Paese. Egli per niuna cosa del mondo
procederebbe ad atti che potessero danneggiare la patria sua".
(47)
Ancora una volta le
spiegazioni fornite dalle autorità del Titano attenuarono
apparentemente le contestazioni italiane. Tuttavia ormai l'Italia
stava entrando nella logica che già aveva a lungo caratterizzato
lo Stato Pontificio; la Repubblica di San Marino, cioè, era sempre
più ritenuta un'enclave su cui si poteva esercitare solo un
controllo parziale, potenzialmente pericolosa per il fisco
italiano, e dove trovavano facile rifugio politici, disertori e
delinquenti in genere. Senz'altro vi doveva essere anche qualche
dubbio sulla buona fede dei locali governanti.
Tali tensioni si
concretizzarono nel 1874 con il blocco del territorio sammarinese
da parte delle truppe italiane iniziato tra la fine di marzo, ed i
primi di aprile. Il casus belli fu la non consegna di un
ricercato per omicidio su cui ci fornisce preziose informazioni
una lettera del console Albergati di Bologna datata 20 marzo: "La
penosa vertenza sarebbe questa; certo Masi Angelo di Rimini
musicante colpevole di omicidio di una guardia di pubblica
sicurezza, e feritore di un altra si sarebbe riparato nel
territorio Sammarinese, e mentre si nega l'esistenza dell'imputato
in S.Marino si sa che fu ricoverato prima presso il proprietario
Ricci, e nei giorni 17 e 18 corrente fu veduto in allegra brigata
bagordare a Mongiardino ove abita una di lui sorella. La notte del
16 una comittiva si portò da Sammarino al Confine ed ivi si fermò,
a eccezione di uno che s'inoltrò nel territorio Italiano ove
incontrata una patuglia di R. Carabinieri prese la fuga ma
ragiunto dopo breve corsa cadevan a terra tutti due ed ebbe il
fugiasco una leggiera ferita alla testa. Si ritiene positivamente
che il detto fugiasco venisse per riconoscere se quel posto era
guardato giacchè è indubitato che il Masi si trovava in quella
comittiva e che lo si voleva far evadere. Altri particolari potrei
aggiungere ma stimo meglio il tacere. Io non mi permetterò che di
ricordare i vigenti trattati i quali dimenticati ne potrebbero
venire serie conseguenze". (48) Due giorni dopo gli fu risposto
che era vero che Masi aveva trovato rifugio tra i confini
sammarinesi, ma non lo si era consegnato solo perché non si era
riusciti a catturarlo. Erano anche state perquisite varie
abitazioni alla presenza del sottoprefetto di Rimini, che era in
compagnia di un rappresentante della pubblica sicurezza, ma
inutilmente. Tale fatto aveva avuto ripercussioni negative sulla
popolazione "la quale non poteva vedere con indifferenza
l'intervento della polizia estera in casa propria". La lettera
continua smentendo alcuni fatti riferiti da Albergati, e
comunicando che erano stati inviati a Roma Settimio Belluzzi e
Pietro Tonnini per conferire con le autorità italiane, per sapere
"il motivo di una tale condotta ostile della quale non erasi avuta
alcuna communicazione", e per tentar di ripristinare la normalità.
(49)
Ma l'Italia questa
volta era veramente inviperita, per cui la situazione rimase
incandescente per diversi mesi. Il 9 aprile la Reggenza scrisse al
Ministro degli esteri per lamentarsi dei modi strani usati dalle
milizie italiane dislocate ai confini verso i Sammarinesi, a cui
venivano richiesti con meticolosità i dati anagrafici, ed a cui
era impedito l'ingresso in Italia se sprovvisti di passaporto. A
Torello, poi, "con inaudito disprezzo del nostro governo" ad
alcuni erano addirittura stati strappati i documenti. Non si
riusciva a capire i motivi di tali atteggiamenti. (50) La cause
del grave dissidio vennero conosciute il giorno dopo grazie ad una
lettera scritta da Roma dal console Broccoli: l'Italia era
convinta che nel territorio sammarinese dimorassero parecchi
rifugiati (circa 75); voleva evitare in qualunque maniera che
costoro potessero fuggire, o che ne potessero entrare altri; aveva
dato ordine ai carabinieri collocati ai confini "di regolarsi
sotto la loro personale responsabilità in quel modo e con quei
mezzi che meglio crederanno valevoli a raggiungere l'obbiettivo".
Inoltre precisava che il blocco sarebbe stato senz'altro mantenuto
fino al momento in cui la Repubblica non avesse più avuto al suo
interno simili individui, e che "anche raggiunto un tale scopo è
intendimento del R. Governo richiedere una maggiore garanzia per
l'avvenire, affinchè non si rinnovi questo stato di cose. Su
questo punto pare inevitabile la denuncia e revisione del trattato
del 1872". (51)
La situazione era quindi assai
pericolosa perché l'Italia non transigeva. Questo suo
atteggiamento divenne ovviamente anche bersaglio di critiche
feroci di chi per motivi ideali e non si schierava col più debole.
(app. n° 16) Tuttavia a San Marino destò notevole preoccupazione,
tanto che nel Consiglio dell'11 aprile Palamede Malpeli si rese
promotore di una proposta di legge che prevedeva di affidare la
direzione della locale polizia ad un Sammarinese, stabiliva
sanzioni penali per i Sammarinesi che davano rifugio agli
inquisiti, ai condannati ed ai renitenti di leva, ed infine
imponeva di sciogliere "temporaneamente tutte quelle Società
Sammarinesi che hanno un colore politico". Il Consiglio accettò di
studiare una legge per i primi due punti, mentre per il terzo "si
riservò di deliberare (...) in altra Seduta, e quando la questione
sarà maturamente considerata". (52) Vedremo fra breve che i
rifugiati di cui l'Italia aveva così tanta paura non erano solo i
delinquenti comuni, ed i renitenti, ma anche i politici.
Nel frattempo a
Roma Belluzzi e Tonnini cercarono tra la fine di aprile ed il mese
successivo di appianare i dissidi, ma l'impresa non fu affatto
facile per la scarsa disponibilità al dialogo delle autorità
italiane. Tra l'altro mentre i due delegati sammarinesi stavano
lavorando, era giunto a Roma un certo Guerra, ex brigadiere dei
gendarmi sammarinesi, il quale aveva fatto un rapporto assai
velenoso su San Marino, affermando tra le altre cose che "la forza
armata della Repubblica non è libera di compiere il proprio
dovere, per la prepotenza dei partiti". Disse pure "che vi sono in
Repubblica due Governi, quello in Città, che fa poco, e quello in
Borgo che fa tutto, e quest'ultimo composto di elementi
Mazziniani". Anche per questi motivi l'Italia aveva l'intenzione
di creare "un'Ufficio internazionale di Carabinieri" ai confini
sammarinesi, così come aveva ai confini austriaci e svizzeri. (53)
Per tranquillizzare le autorità italiane, alla fine di aprile San
Marino creò un articolo aggiuntivo al codice penale con cui
venivano inasprite le pene per chi forniva ospitalità ai
rifugiati, e ripristinò le sue milizie. (54)
Ma tutto fu
inutile, certamente perché l'Italia non si accontentava più di
simili iniziative, mentre voleva un controllo diretto sull'operato
dei Sammarinesi. Con lettera del 1° maggio il console Broccoli
avvisò che il Ministro degli interni (Girolamo Cantelli) era
deciso a porre ai confini sammarinesi un ufficio di carabinieri, e
dentro la Repubblica "un'agente politico e consolare italiano".
"Pare che non ammetta discussione sul rifugio dei malfattori in
Repubblica -proseguiva- e sull'appoggio che vi trovano per parte
di alcuni potenti del Borgo, senza che il Governo vi metta mano".
(55) Nel mese di maggio i toni si esasperarono ulteriormente tanto
che Belluzzi e Tonnini da Roma consigliarono di arrestare tutti i
rifugiati in Repubblica, anche quelli che vi si trovavano
anteriormente alla convenzione del 1862, e che per questo non
erano mai stati consegnati all'Italia. In questa maniera il
governo sammarinese avrebbe dato prova di lealtà verso l'Italia, e
non vi sarebbero stati più appigli per mantenere il cordone. (56)
Il 9 maggio arrivarono richieste di estradizione per 46 individui
da parte delle prefetture di Forlì, di Urbino e di Ancona. Il
giorno dopo fu quella di Bologna che ne chiese altri 10. (57)
Sempre il 10 maggio giunse un'altra lettera di Belluzzi e Tonnini
in cui si comunicava che l'Italia non aveva intenzione di
annettersi San Marino, e che la situazione stava evolvendosi con
estrema lentezza perché essa si era compromessa ormai tanto da non
poter recedere dalle sue posizioni, ed anche perché i due delegati
sammarinesi avevano "respinto energicamente ogni proposta che
officiosamente ci è stata fatta lesiva l'onore, la dignità e la
indipendenza del nostro Paese". (58)
Negli stessi giorni
fu inviato a Roma anche Domenico Fattori. Da qui scrisse subito
una lettera in cui invitava la Reggenza a far arrestare tutti i
rifugiati. (59) Così fu: l'11 maggio essa decretò "di far
arrestare e tradurre nelle Carceri della Rocca tutti i malfattori
e renitenti di leva e disertori che si trovano nella Repubblica",
ammontanti a 59 individui. (60) Il 12 scrisse ai suoi delegati a
Roma comunicando che nella notte erano stati arrestati 14
individui, e che si stavano continuando le perquisizioni per
trovarne altri. (61) Questi 14, comunque, furono gli unici
arrestati che si ebbero. (cfr.app. n° 13) A Roma Belluzzi e
Tonnini intanto continuavano a darsi da fare per giungere ad un
accomodamento, ma l'ostilità, soprattutto del Ministro degli
interni Emilio Visconti Venosta, era assai profonda,e non
permetteva d'intravedere una soluzione in tempi rapidi. Per
fortuna il Ministro degli esteri si stava dimostrando meno ostico
e più conciliante (cfr.app.n° 14 e 21), però la paura era tanta,
così come tante dovevano essere le posizioni assunte dai
cittadini. Per sensibilizzare la popolazione, e creare così quella
compattezza necessaria a superare il grave momento, si pensò bene
di coinvolgere anche i parroci della Repubblica.
(cfr.app. n°17)
La crisi in realtà verrà appianata
soprattutto grazie all'opera di Belluzzi e Tonnini che il giorno
24 riusciranno ad avere un colloquio con il Ministro degli esteri
e degli interni insieme. Grazie a questo incontro le posizioni si
ammorbidiranno, ed in data 26 i due incaricati comunicheranno che
il blocco militare stava per essere tolto. (62) Scrissero ancora
varie lettere in cui riassumevano un'altra volta i motivi di
quanto successo, e comunicavano l'impegno a favore della
Repubblica del Ministro Visconti-Venosta, il quale aveva ottenuto
l'eliminazione del blocco, ma esortava di accettare a San Marino
un consolato italiano per evitare che in futuro potessero
ripetersi fatti così spiacevoli. (63) Il 9 giugno la Reggenza
comunicò al Consiglio che il "disgustoso incidente" con l'Italia
era ormai concluso, e decretò un triduo di ringraziamento a San
Marino perché la Repubblica si era salvata ancora una volta. (64)
Quali le
conseguenze concrete del blocco? In pratica la Repubblica dovette
accettare le condizioni dell'Italia, aprendo un consolato al suo
interno, e rinforzando i suoi sistemi di controllo con
l'assunzione di cinque o sei gendarmi. Il primo console italiano a
San Marino fu Ambrogio Mariani, nominato con patente regia del 19
luglio. Costui rimarrà nella Repubblica fino al gennaio del 1876,
quando verrà sostituito da Giulio Cesare Lossada. L'assunzione dei
gendarmi, che si andavano ad aggiungere ai due di cui lo Stato
sammarinese già disponeva, fu deliberata nel Consiglio del 13
settembre. Essi giunsero in Repubblica il 1° novembre ed andarono
ad incidere per circa 3.000 lire sul bilancio dello Stato. (65) Ma
non finì qui, perché nel corso della seconda metà del '74
continuarono ad arrivare richieste di estradizione di individui
spesso dimoranti da tantissimi anni a San Marino coi quali le
autorità sammarinesi non sapevano come comportarsi. Vi fu anche un
fatto di natura politica che merita di essere raccontato, se non
altro perché permette d'intuire (anche se nel mio "Delitto
Bonelli" ciò è già chiaramente emerso) quanto importante fosse il
Borgo come ritrovo di rifugiati politici, e perché proprio il
Borgo ha fornito il nucleo principale del movimento riformista che
porterà all'Arengo del 1906.
Nel mese di agosto
la Reggenza, anticipando intelligentemente la sottoprefettura di
Rimini, diede ordine all'ispettore politico sammarinese di
provvedere allo sfratto di sette rifugiati politici (Morri
Ferdinando, Laghi Mariano, Lettimi Lodovico, Borzatti Antonio,
Ottaviani Attilio, Bagli Pellegrino, Renzetti Cajo), tutti
dimoranti nell'albergo Michetti in Borgo. (66) Il 19 agosto
costoro scrissero alla Reggenza per protestare contro tale ordine,
perché non erano delinquenti, ma solo accusati di reati minori. La
protesta non scaturì effetto, perché tra il 25 ed il 28 agosto
vennero tutti allontanati dalla Repubblica. (67) L'11 settembre la
sottoprefettura di Rimini richiese l'arresto degli individui in
questione, tutti rei di "cospirazione diretta a cambiare la forma
di Governo" italiano. Una settimana dopo la Reggenza scrisse al
console Mariani, ancora dimorante a Rimini perché a San Marino non
si era riusciti a trovargli casa, per comunicargli che i ricercati
erano fuori territorio, e non erano più rientrati. Comunque la
Repubblica non si riteneva obbligata a consegnare i rifugiati
politici, perché i reati di natura politica non erano previsti
dalla convenzione. (68) Il 20 s'inviò una lettera al consultore
Vigliani, in quel momento Ministro di grazia e giustizia, per
illustrargli l'atteggiamento tenuto coi rifugiati politici, e per
dire che la Repubblica "vorrebbe sostenere i suoi diritti, e non
vorrebbe fare per conto altrui e per un obbligo che si tenta
d'imporgli, e che crede di non avere ciò che è disposto a fare per
conto proprio e per un riguardo allo Stato vicino". (69) Vigliani
approvò il comportamento dei governanti sammarinesi. (70)
Chi non approvò,
invece, fu un gruppo di 53 cittadini, tra cui molti nomi di
progressisti che già conosciamo, i quali in data 30 agosto
divulgarono una vibrata protesta "contro lo sfratto dato nel
termine di 24 ore ad integerrimi Cittadini del Regno d'Italia;
contro la fede violata nei patti sanzionati colla Convenzione 27
Marzo 1872, convalidata dal Proclama 14 aprile 1874; contro gli
arbitrii permessi o tollerati dal Potere, o Agenti del Potere, per
violazione di domicilio e integrità di persona; contro la
eccessiva prostrazione al Governo del Re, la quale marca un passo
alla perdita della libertà; contro il dualismo che si cerca
suscitare tra i figli di una patria comune; ed infine contro tutte
quelle conseguenze che potrebbero derivare dall'essere noi dagli
Italiani segnati a dito quali strumenti di cieca tirannide,
persecutori ed oppressori dei nostri fratelli". (cfr. app. n° 8)
Ma San Marino non
poteva far altro che cercar di assecondare l'Italia, salvando per
quanto possibile la sua dimensione di Stato sovrano. Per questo
non consegnò i politici, anche se come abbiamo visto li espulse;
però dovette consegnare nel mese di ottobre tre renitenti
catturati dietro richiesta, più un disertore arrestato per caso
(Pietro Ercolini). (71) Il console Mariani espresse alla Reggenza
la sua soddisfazione "per la prova di esatto adempimento dei patti
internazionali contratti, fornita specialmente coll'arresto e
consegna dell'Ercolini". (72)
Con l'apertura del
consolato si quietarono di colpo tutte le tensioni ed i dissidi
con l'Italia, per cui nella seconda metà del decennio non vi fu
praticamente nulla relativo a questo argomento degno di essere
narrato. San Marino si guardò bene dal riprovocare le ire dello
Stato confinante; anzi, quando vi fu l'occasione, fece di tutto
per dimostrargli la sua rettitudine e fedeltà. Nel 1875, per
esempio, alcuni Sammarinesi (Giulio Magnanelli ed Augusto Bruschi)
offesero verbalmente il segretario del console Mariani. La
Reggenza li fece arrestare senza indugio, imprigionandoli per più
di due settimane. (73) Un fatto analogo accadde nel novembre del
1880, quando ad essere ingiuriati furono il figlio del console, ed
un funzionario del consolato. (74) Questi episodi possono lasciar
intendere che non tutti i Sammarinesi accettarono volentieri le
novità imposte dall'Italia. D'altra parte la mentalità fieramente
indipendentistica che doveva caratterizzare larghe fasce di
popolazione probabilmente faceva vedere il console come una sorta
di spia, ed il consolato come un corpo estraneo introdottosi
brutalmente nella Repubblica senza chiedere permesso a
nessuno. I governanti sammarinesi comunque capirono che la
sanzione ufficiale della sovranità del loro Stato aveva un prezzo
da pagare: il consolato faceva parte di questo prezzo, così come
la rinuncia a certi diritti.
Sempre nel 1875,
nel mese di novembre, l'Italia si preoccupò perché aveva saputo
che si stava per impiantare in territorio sammarinese una
distilleria di alcool, prodotto che era soggetto a forti dazi, e
di cui quindi si temeva l'esportazione, e ovviamente il
contrabbando. Il console Mariani, facendosi portavoce del Ministro
delle finanze e degli esteri, con lettera del 22 novembre chiese
quali garanzie potesse fornire la Repubblica all'Italia per
evitare il possibile contrabbando di liquori, specificando inoltre
che se tali garanzie non fossero state convincenti, il Regno
italiano avrebbe attivato una "cinta daziaria" ai confini, e ciò
avrebbe determinato l'estensione di eventuali provvedimenti di
natura doganale "anche sulle farine, le polveri piriche e tutti
gli altri generi colpiti all'interno del Regno di tassa di
fabbricazione, non avendo più ragione di sussistere le tolleranze
concordate per tali generi con le appendici alla Convenzione di
buon vicinato". (75) Ovviamente la Repubblica per evitare un tale
pericolo preferì vietare l'impianto della distilleria.
Anche quando morì
Vittorio Emanuele II (9 gennaio 1878), che era sempre stato un
grande estimatore ed amico del piccolo Stato e da esso aveva
ricevuto nel 1870 il Gran Cordone, (76) la Repubblica si preoccupò
di essere presente ai funerali con ben tre inviati (Domenico
Fattori, Palamede Malpeli, Pietro Tonnini). Costoro ebbero
colloqui assai cordiali con l'allora presidente del consiglio
Depretis, e col ministro della giustizia Mancini. Il 21 gennaio
furono ricevuti anche dal nuovo re Umberto, e dalla regina. (77)
NOTE APPENDICE
2.1 - I rapporti internazionali
Nel decennio San
Marino continuò anche a mantenere i suoi contatti con le potenze
estere, cercando, quando possibile, anche di rinsaldarli. Il
sistema fu quello già sperimentato negli anni precedenti, ovvero
l'apertura di consolati, ed il conferimento di onorificenze ai
personaggi più eminenti. Nel 1870, grazie all'interessamento del
console Coloman, si volle assegnare il Gran Cordone all'arciduca
austriaco, nonché principe ereditario, Rodolfo d'Asburgo. Come
segno di riconoscenza l'Austria nel mese di agosto insignì i
Reggenti del titolo di commendatore. (78) Nel giugno del 1872 si
vollero conferire onorificenze all'imperatore tedesco Guglielmo I,
al principe ereditario Federico Guglielmo, a Bismarck, ed allo
stesso ambasciatore tedesco a Roma. Per la consegna furono inviati
nella capitale Settimio Belluzzi, Palamede Malpeli e Pietro
Tonnini. (79) Nel 1876 il Gran Cordone fu donato al presidente
della Francia Patrice Mac-Mahon. (80)
A proposito della
Francia si può dire che la guerra franco-prussiana del 1870, e la
sconfitta di Napoleone III privarono per vari anni la Repubblica
del loro potente protettore, poiché i rapporti con lo Stato
francese poterono essere riallacciati solo nel '75. Non a caso fu
proprio in questo lasso di tempo che l'Italia potè agire come agì
nei confronti di San Marino. La Repubblica fu informata di quanto
stava succedendo in Francia da Avigdor che continuò a tenere
contatti, e che nel settembre del '71 si fece avanti come console
sammarinese anche con Adolphe Thiers, neo-presidente francese che
coprirà tale carica fino al 1873. Egli professò tutta la sua stima
per il minuscolo Stato, ma niente più. (81) Nel mese di dicembre,
sempre del '71, Avigdor morì, ed anche questo dovette contribuire
non poco a raffreddare i rapporti con la Francia, la quale
tuttavia dopo la sconfitta di Sedan non poteva di certo essere più
lo spauracchio degli anni precedenti, e quindi l'importante
protettore su cui tanto si faceva affidamento.
La Repubblica non
si perse d'animo, e s'industriò di trovare altre potenti amicizie:
si rivolse ovviamente ai tedeschi ed ai prussiani; ai vincitori,
cioè, che potevano sostituire degnamente la Francia imperiale. Si
è già detto delle onorificenze a Bismark ed alle altre autorità di
questi Stati. Posso aggiungere che San Marino fece anche dei passi
agli inizi del 1873 per creare un suo incaricato in Prussia,
tentativo che fallì perché la Prussia comunicò che avrebbe
accettato un simile funzionario solo se l'Italia non avesse
protestato. Naturalmente i governanti sammarinesi si sentirono
offesi per lo scarso rispetto dimostrato alla sovranità del loro
Stato, e troncarono le trattative. (82)
Per tornare al
discorso che stavamo conducendo sulla Francia, si può aggiungere
che i rapporti poterono essere pienamente riallacciati nel momento
in cui la Repubblica riuscì a nominare un nuovo incaricato
d'affari in quello Stato, cioè nel 1875, quando tale funzione
venne assegnata al conte Carlo De Bruc, che fino a quel momento
era stato console sammarinese a Lione. Fu De Bruc a ripristinare
un dialogo con le autorità francesi, e nel Consiglio del 9 ottobre
1875 tale riavvicinamento fu solennemente annunciato tra la
soddisfazione generale. (83) Negli anni successivi De Bruc
continuò a lavorare a favore di San Marino, mantenendo importanti
contatti con le massime autorità francesi, e determinando il
conferimento del Gran Cordone a Mac-Mahon di cui si é detto. Il
presidente gradì tanto l'onorificenza da organizzare all'Eliseo
alla fine del '76 un pranzo ufficiale di ringraziamento a cui
presenziarono molti diplomatici europei. In quell'occasione fece
tale sfoggio del Gran Cordone, mettendolo addirittura più in
mostra di altre onorificenze di cui era ornata la sua giacca, da
invogliare molti diplomatici a richiedere a De Bruc titoli e
decorazioni sammarinesi. Il lungo elenco di queste richieste è
verbalizzato negli Atti del Consiglio nel verbale della stessa
seduta, di cui si è già parlato, in cui si decise di aumentarne i
costi. (84) E' logico ipotizzare che furono anche tutte queste
richieste a provocare l'innalzamento dei loro prezzi, ovvero che
le onorificenze sammarinesi seguivano ormai la logica di mercato
di qualunque altra merce.
Per ultimare il
discorso sulla politica estera sammarinese, si può dire che furono
diversi i consolati aperti nel decennio: nel 1872 in Svizzera; nel
'76 si riuscì finalmente ad avere un incaricato sammarinese a
Roma; nel'77 si aprirono consolati ad Atene, Montevideo ed in
Spagna; nel 1882 divenne console a Trieste Silvestro Pepeu. Poiché
tali consolati non furono coinvolti in fatti particolarmente degni
di essere narrati, né li determinarono, si rimanda al testo di
Francesco Balsimelli "Storia delle rappresentanze diplomatiche e
consolari della Repubblica di San Marino" per eventuali altre
informazioni.
3 - La politica interna
Prima di chiudere
questo capitolo per parlare dell'affare Malpeli, si possono
fornire altre notizie di qualche interesse storico relative alla
vita interna della Repubblica nel decennio che stiamo esaminando.
Partendo dal 1870, si può dire che in quest'anno scoppiò una
grossa grana legata al commissario della legge Federico Venturini,
il quale voleva dimettersi ed abbandonare in fretta la Repubblica
perché perseguitato da anonimi che non lo volevano più a San
Marino. Dai rapporti che ho letto (ne riproduco uno in app. n°
12), emerge che l'odio nei confronti del commissario era nato da
una sentenza da lui pronunciata nel 1868 in un processo (Casini
contro Filippi), sentenza non gradita a qualche Sammarinese che,
da quanto ho potuto capire, si sospettava facesse parte di quel
gruppo mazziniano di Borgo che faceva capo a Giacomo Martelli. Il
commissario da quella sentenza in poi era stato oggetto di
scherno, di accuse attraverso il solito sistema dei libelli
diffamatori affissi lungo il Paese, di lanci di pietre, di minacce
di morte e di altro ancora, tanto che egli scrisse alla Reggenza
in data 12 aprile 1870 : "Non basta che da due lunghissimi anni
abbia dovuto farmi della mia casa una specie di carcere per
sottrarmi agli altrui insulti, e conservarmi quel grado di
rispetto necessario all'esercizio delle mie funzioni: mi si
continuano iniqui oltraggi, mi si contrasta il notturno riposo, e
si richiede il mio allontanamento siccome mezzo di mia salvezza.
Alcuni rispettabili Cittadini commossi da sì ostinata
persecuzione, son venuti essi pure a consigliarmi la partenza,
timorosi di lamentare deplorevoli mezzi. In vista di tali cose non
può esservi Autorità o Governo che voglia costringere un uomo a
perdurare in uno stato di vita che è la negazione della vita
stessa. Nessun impiegato al cospetto di tante enormenze potrebbe
più sentire il coraggio del suo dovere, ed io dichiaro d'averlo
perduto". (85)
Dalle parole di
Venturini si avverte l'ansia in cui ormai si trovava, ansia forse
legata anche ai suoi cattivi rapporti con Giacomo Martelli, col
quale per motivi che ignoro aveva litigato. Di questo litigio ho
trovato alcune tracce, tra cui una relazione in cui si dice che la
Reggenza stessa si era adoperata per riconciliare Venturini con
Martelli. Sempre nella stessa relazione si afferma che "Martelli
gode un esteso favore ed è molto amato ed ascoltato dalla maggior
parte della gioventù del paese come rappresentante di principii
liberalissimi repubblicani". Inoltre egli aveva intensi contatti
con Rimini, dove si recava spesso per frequentare un gruppo
repubblicano chiamato "Associazione democratica universale". (86)
Come interpretare tutto ciò? La vicenda è interessante e
meriterebbe ulteriori indagini; comunque mi sembra d'aver capito
che la parte progressista della gioventù si era schierata contro
Venturini, perchè lo si accusava di aver amministrato senz'equità
la giustizia in varie occasioni, ma soprattutto nel processo
Casini-Filippi. E' probabile che il commissario, che non si
sentiva colpevole di questa accusa, imputasse invece la
persecuzione a cui era soggetto ai suoi cattivi rapporti con
Martelli, e quindi con il gruppo repubblicano di cui era
l'indiscusso capo. Comunque sia, venne ordinata un'indagine che si
concluse nel mese di giugno, e che non riuscì a scoprire gli
autori della persecuzione. Venturini se ne andò via per sempre da
San Marino.
Il 1870 fu anche
l'anno della presa di Roma attraverso la famosa breccia di Porta
Pia. Questo fatto ebbe ripercussioni anche sui riformisti
sammarinesi che certamente furono spronati dalla definitiva
scomparsa dello Stato della Chiesa, e da Roma capitale
d'Italia, ad inoltrare istanze tendenti a chiedere migliorie della
situazione sociale di San Marino. In effetti negli anni '60 vi
sono rarissime tracce dell'attività di questi progressisti, che
pur vi erano anche se non in numero rilevante, e di cui abbiamo
seguito le prime tracce ricostruendo gli omicidi di cui si è
parlato nel "Delitto Bonelli". Invece negli anni '70 queste tracce
sono più evidenti ed anche più frequenti.
Nel '70, dunque, è
l'avvocato Ermenegildo Stambazzi di Borgo che nell'arengo di
ottobre afferma che l'unificazione italiana doveva stimolare anche
San Marino a "migliorare le proprie condizioni morali, materiali e
politiche". "Circondati da una Nazione che tra breve non mancherà
di rendersi emula della Roma antica, ragion vuole che noi la
seguiamo nel cammino della Civiltà e del perfezionamento -disse- e
non dare all'Europa il brutto spettacolo che un governo
Repubblicano lasci desiderare la bontà delle istituzioni, e le
migliorie di cui va fornita una Monarchia Costituzionale". Perciò
egli proponeva diverse riforme, e precisamente: la promulgazione
di un codice civile, di procedura civile e commerciale; la
sistemazione della pubblica istruzione che doveva essere resa
obbligatoria; la creazione di scuole serali a beneficio della
classe operaia "le quali potranno essere sorgenti di buoni Padri
di famiglia, di operosi cittadini, e di ottimi Magistrati, che
uniti alle classi agiate nel buon volere e nell'onestà diano opera
a tramandare ai più tardi nepoti il retaggio degli avi";
l'abolizione dei comuni interni: "quest'opera medievale che per la
stessa sua origine e impronta si traduce in manifesto spregio alle
leggi di uguaglianza, anima e vita dei Governi della Repubblica";
infine modificazioni alla costituzione: "Nè vi suoni sinistramente
all'orecchio se mi permetto dire parola sulle nostre Sante
Costituzioni le quali in grandissima parte vanno mantenute, come
quelle che ci serbarono invidiati per oltre quindici secoli. Ma
col sincero affetto di figlio della Repubblica ed ossequiante alle
sue leggi fondamentali mi parebbe mancare ai doveri di onesto
cittadino se vi nascondessi che lievi modificazioni potrebbero
adottarsi in quella parte che mal risponde allo sviluppo
intellettuale e politica del tempo presente, al rapido incedere
nel quale a tutti gli Stati è pur di mestieri chinare la fronte, e
cedere almeno in parte alla sua giusta esigenza". Stambazzi
concludeva così: "Al patrio (...?) dei Signori componenti il
Consiglio dei Sessanta, alla loro perspicacia di avvedutezza io
affido interamente sì delicata tesi, e solo amo di far presente
che il ritegno di por mano a quest'opera non degeneri in
immaginarie apprensioni ed (...?) troppo generalizzate per non
incappare in quella cieca ammirazione del passato che un illustre
Pubblicista Inglese del giorno, chiamò la paralisi degli uomini di
Stato quando invecchiano". (87)
L'analisi delle
richieste venne rimandata ad una seduta successiva, ma nel
Consiglio del 30 ottobre furono esaminate altre istanze di
componenti del gruppo riformista di Borgo. La prima, firmata
Felice Giovannarini (fratello di quel Marino condannato per
l'assassinio del Segretario Bonelli) (87a), Ercole Casali,
Federico Martelli (l'uccisore di Gaetano Angeli), Giuseppe
Giacomini, M. Martelli, E. Reffi) diceva: "Considerando non
esservi cosa più proficua all'industria del commercio quanto la
pronta comunicazione del pensiero e della parola", visto che lo
Stato era privo di ferrovia e telegrafi, e che "il corso postale
nel Borgo rimane arbitrariamente e dispoticamente inceppato",
arbitrariamente per colpa degli impiegati che non avevano un
orario ben definito per svolgere il loro lavoro, "dispoticamente
dagli Esecutori del Potere i quali si credono nel diritto di
esercitare una inquisizione passando in rassegna tutte le lettere
che pervengono ai Cittadini della Repubblica", era indispensabile
trovare rapidi rimedi a tutti questi problemi. Questo modo di
procedere poteva andar bene "in mezzo alle barbarie dell'evo
medio", ma non "al presente in piena luce del diecianovesimo
secolo". Inoltre i firmatari dell'istanza protestavano per la
mancanza di un pubblico macello, e per la macellazione all'aria
aperta delle bestie; nonché per la scarsa cura riservata alla
pubblica igiene. Chiedevano anche la redazione di un orario
preciso per l'apertura delle poste, e che le lettere ed i
periodici venissero lasciati in Borgo "a disposizione degli
individui a cui sono diretti", ovvero che non venissero sottoposti
a verifica da parte delle autorità.
Nella stessa seduta
consigliare venne esaminata un'altra interessante istanza di
Giacomo Belloni. Egli diceva che l'unificazione italiana
costringeva anche la Repubblica a mutare le sue leggi, perché
erano paradossali, per esempio, i privilegi che ancora esistevano
a San Marino per gli ecclesiastici (citava il privilegium fori),
ed offensivi per la "costituzione repubblicana che ci guida,
perché la prima legge di una Repubblica dev'essere quella che
esclude i privilegi e libera riconosce la Chiesa in mezzo allo
Stato, come questo in mezzo a quella". Belloni quindi istigava ad
eliminare le leggi che creavano disuguaglianza, ed a considerare i
preti alla stregua di tutti gli altri cittadini. Inoltre chiedeva
che venisse istituito anche il matrimonio civile, che si rendesse
obbligatoria la pubblica istruzione, e che s'istituisse la scuola
femminile presso le suore così come da tempo si stava studiando.
Anche tutte queste istanze furono demandate alla commissione che
doveva analizzare le richieste di Stambazzi.(88)
Le risposte vennero
fornite quasi un anno dopo, il 31 agosto del 1871. (89) La
commissione suggerì di redigere effettivamente un codice di
procedura criminale, ed un codice commerciale, ma di rimandare la
creazione di una camera di commercio a dopo la compilazione del
codice civile. Nell'attesa si potevano applicare le procedure
degli atti mercuriali e di fiera, aggiungendo solo qualche norma
relativa alle cambiali. In questa maniera la camera di commercio
sarebbe stata rappresentata direttamente dal commissario della
legge. Per quanto riguardava la scuola, la commissione era
dell'avviso di non istituire ancora la scuola dell'obbligo, ma
solo di dar vita ad "eccitamenti governativi" in proposito, cioè
istigare le famiglie a mandare i loro figli a scuola. In seguito
la commissione affermò che la scuola superiore sammarinese avrebbe
dovuto impartire quegli insegnamenti che permettessero ai suoi
diplomati di accedere senza difficoltà alle università italiane, e
che il riordinamento della pubblica istruzione sarebbe potuto
avvenire solo dopo l'apertura del Collegio Belluzzi, frase che fa
capire che ancora non si era potuto aprire al pubblico questa
istituzione. Inoltre riteneva indispensabile attivare anche una
scuola tecnica (segno che anche questa riforma prevista già dal
1867 non era andata ancora in porto) per coloro che non volevano
proseguire gli studi classici, "e che vogliono dedicarsi alle arti
e mestieri". Per quanto concerneva le scuole serali, si auspicava
che il Consiglio desse rapida esecuzione ad una sua delibera del
23 ottobre 1870 che ne prevedeva l'avvio "coll'assegnare
l'opportuno locale e fondi per le spese dei lumi, libri e quanto
altro necessario e col fare appello ai Cittadini capaci e
specialmente ai Maestri perché vogliano prestarsi gratis".
Sull'abolizione dei comuni la commissione sentenziava di essere
favorevole ad "eguagliare gli abitanti dei Comuni a tutti gli
altri Cittadini nel godimento dei diritti civili", ma di non
essere d'accordo "a che si debbano abbolire i Comuni col
centralizzare la loro amministrazione con quella del Governo e a
privarsi della loro Magistratura". Il Consiglio in quest'occasione
tuttavia non volle modificare nulla in quanto "i comunisti non
avendo mai fatta alcuna rimostranza è a ritenersi essere contenti
della loro posizione". La proposta di apportare modificazioni alla
costituzione fu rigettata con sdegno come del tutto
"inammissibile"; si accettò invece di apportare miglioramenti al
servizio postale di Borgo, anche se si stabilì di mantenere la
prassi di poter aprire la corrispondenza da parte della Reggenza.
Infine la commissione invitò il Consiglio a creare un macello
pubblico, e a considerare gli ecclesiastici alla stregua degli
altri cittadini. Per quanto concerneva il matrimonio civile, la
commissione suggeriva di introdurlo nel momento in cui fosse stato
redatto il codice civile, ma il Consiglio respinse questa
proposta, e con essa il matrimonio civile stesso. (90)
Sempre del 1870 è
un'interessante istanza di Palamede Malpeli, presentata
nell'arengo di aprile, critica nei confronti dei patriarchi del
passato che nessuna cura avevano dedicato alla salvaguardia dei
documenti, monumenti e tradizioni locali, e tesa a chiedere la
creazione di "una Deputazione permanente, con un assegno annuo,
per rintracciare gli antichi documenti". (app. n° 9) Di quest'anno
è anche l'avvio definitivo delle scuole per fanciulle ad opera
delle monache clarisse, anche se non so con precisione in che
giorno abbiano effettivamente iniziato le lezioni. L'istituzione
di questa scuola era un vecchio chiodo fisso di Malpeli, il quale
fin dai suoi primi anni di consiglierato aveva inoltrato istanze
al governo per la loro attivazione. (app.n°10) La questione però
si trascinò a lungo senza poter trovare soluzione, finché non si
pensò di utilizzare le monache come insegnanti di tale scuola. Nel
giugno del '70 si presero contatti col vescovo del Montefeltro per
sottoporgli l'idea, e nel mese di luglio egli diede il suo
benestare. (91) Ma come sempre succedeva a San Marino, dove il
sistema di governo assembleare era spesso più un ostacolo alle
riforme che uno stimolo, la questione per qualche motivo venne
lasciata in disparte, finchè Malpeli il 13 settembre diede le sue
dimissioni da Deputato agli studi, perché il governo non aveva
preso deliberazioni sul progetto. (92) Questo fatto dovette
stimolare una soluzione del problema: infatti nel mese di ottobre
il vescovo riscrisse per comunicare che le monache avrebbero
svolto le loro lezioni in via sperimentale per tre anni. Nel mese
di dicembre, infine, fu approvato dal Consiglio un capitolato
relativo alla scuola per fanciulle, in cui si specificava che le
scolare dovevano essere istruite soprattutto nella dottrina
cristiana, nella lettura e scrittura, nelle prime operazioni di
aritmetica, nel cucito e nei tipici lavori femminili. (93)
Del '70 è pure un
importante comunicato pubblico di Giacomo Martelli contro il
locale sistema politico, importante perché è sempre stato
considerato come la prima palese contestazione all'oligarchia al
potere. Eccone il testo:
Ai signori componenti il Consiglio dei
LX della Repubblica di S. Marino
Nella seduta Consigliare
del 31 passato Luglio, il sottoscritto veniva proposto a
Consigliere della Repubblica; assoggettato quindi a secreto
scrutinio si aveva sei palle bianche contro il numero di trenta
votanti. Fin qui niuna meraviglia, poiché l'oligarchia che
predomina nel Consiglio Principe e Sovrano ha bisogno per
sostenersi di due puntelli, vale a dire che vi sia da un lato una
casta privilegiata dispotica-aristocratica, e dall'altro una
mandra di schiavi ignoranti docilmente pieghevoli al cenno di
essa. Quello che reca meraviglia si è, che non ostante le
protestazioni, tanto pubbliche, quanto private, di non voler
essere non solo candidato, ma di non accettarne l'incarico neppure
dopo la elezione, si voglia assoggettare un Cittadino a subire uno
schiaffo, una repulsa, un ingiurioso confronto. Ebbene, una volta
per sempre, sappia il Consiglio dei LX, che il sottoscritto non
solo non ambisce di essere Consigliere, ma non vuole assolutamente
esserlo, poiché si crederebbe coperto di vergogna e di disonore
entrando in quell'aula, che per ischerno chiamasi della
Repubblica. Repubblica...! mai nome così sacrosanto venne
profanato da sessanta lingue più impure. Sappia una volta per
sempre il Consiglio dei LX, che lo stesso sottoscritto accetterà
un tale mandato allora soltanto che i Consiglieri verranno eletti
per suffragio universale: la loro durata, lungi dall'essere a
vita, sarà circoscritta entro un spazio di tre anni: e le porte
della Sala Consigliare saranno aperte pubblicamente al popolo.
Sappia infine il Consiglio dei LX che chi scrive sentirebbe onta e
disdoro di porre il piede in una Camera, sulle cui pareti sta
scritto -istruzione negletta, e quella poca, o in mano di preti, o
d'ignoranti - non scuole serali, non istruzione obbligatoria - in
pieno vigore il diritto Canonico - disprezzata la morale pubblica,
la pubblica igiene - non strade, non commercio, non telegrafi -
gl'impieghi concessi a pochi privilegiati, non per merito, ma per
nobiltà di natali e, per soprassello, resi ereditarii -
dilapidazione delle pubbliche sostanze - non eque imposte sui
censimenti, tassata al contrario la miseria - tasse dei Tribunali
insopportabili, vessatorie - monopolio di denaro sulle elargizioni
che provengono dall'estero - mercimonio di croci, nastri, e
ciondoli - non pubblico rendimento di conti - dispoticamente
intralciato il corso postale - le terre dello Stato infeudate col
nome di Principi, di Duchi, di Marchesi - prostrata, vilipesa, ed
avvilita la dignità Sovrana, e quella dei suoi Rappresentanti -
promossi al Potere gl'ignoranti, gli analfabeti - insomma una
Repubblica di nome, e nella sostanza un dispotismo il più
ributtante, una tirannia la più codarda, un assolutismo tale da
invidiare il Croato ed il Cosacco. Ed ora giudichino i Cittadini,
se potesse rendersi solidale di tante turpitudini.
S. Marino li 6 agosto
1870
Il Cittadino
Giacomo Martelli
La presa di Roma,
quindi, aveva ridestato quella volontà riformistica che già si era
manifestata con forza dopo il 1848. I riformisti nel periodo di
cui stiamo trattando dovevano essere pochi, e addirittura
pochissimi quelli oltranzisti e radicali. Tuttavia è difficile
pensare che Martelli fosse una voce isolata; cioè che non fosse
l'esponente più carismatico, ed anche più acculturato, di un
gruppo desideroso di eliminare quanto di arcaico avvertiva nella
situazione socio-politica sammarinese. Furono costoro sicuramente
i primi maestri della nuova generazione che combatterà a fine
secolo per il suffragio universale, e che promuoverà la
convocazione dell'arengo nel 1906. Palamede Malpeli capì che le
istanze del 1870 potevano sottintendere discorsi pericolosi, e
desideri che avrebbero sconvolto la fisionomia patriarcale della
Repubblica se si fossero concretizzati. Anch'egli era contro il
sistema patriarcale in auge, ma fino ad un certo punto. Ne
contestava la mentalità pauperistica e isolazionistica; ne
contestava gli aspetti arcaici e sostanzialmente antiborghesi; ne
contestava la fiacca ed il dilettantismo; ma non arrivava a
contestare il sistema costituzionale che lo perpetrava, quel
sistema che permetteva anche a lui di essere un nobile
padre-padrone del Paese. In fondo la sua critica non riusciva a
cogliere le reali e remote cause del sistema stesso, ma si
limitava agli effetti più superficiali e appariscenti. D'altronde
è difficile per chiunque osteggiare la mentalità dominante, e gli
stereotipi che fanno apparire la realtà sotto un unico aspetto,
mostrando nel contempo come folle tutto ciò che non ha
quell'aspetto. Ancora più difficile e folle doveva esserlo per
Malpeli che era un gerarca del Paese, e poteva avere tutto da
rimetterci in un ipotetico sconvolgimento politico-sociale del
sistema sammarinese. Da qui un suo intervento nel Consiglio del 31
ottobre 1871, mentre era Reggente, teso a criticare la cattiva
abitudine di non rimpiazzare immediatamente i posti vacanti di
consigliere, cioè di non curare che il loro numero fosse
costantemente di 60, così come era previsto dagli statuti. Egli
affermò in tale occasione che era assai pericoloso lasciar
diminuire il numero dei consiglieri: "A chi ben legga lo Statuto e
ne comprenda lo Spirito non sarà difficile il convincersi che
quest'assemblea deve costantemente essere composta di sessanta
individui, perché a sessanta individui la Costituzione ha affidato
la rappresentanza del Popolo, e l'esercizio della Sovranità, per
cui mancandone uno solo, il popolo non vi è pienamente
rappresentato, e quindi l'assemblea non è più costituzionale, non
è più legalmente Sovrana. Gladstone, il primo uomo politico che
sia ora rimasto all'Inghilterra, si mostrò assai lieto nei passati
giorni, perché era stato eletto deputato alla Camera dei Comuni un
tale (...?) Irlandese patrocinatore dell' Home Rule
(autonomia rivendicata nei confronti della Gran Bretagna -nda-).
Sarà, disse il ministro Inglese, un immenso vantaggio trattare
questa questione alla presenza dei principali suoi avvocati.
Questa è la maniera di procedere colle difficoltà che
s'incontrano. La Camera è il luogo dove sono meno pericolose le
idee violenti. E' un grande vantaggio pel pubblico quando i
Campioni di idee impraticabili vengano davanti ai Rappresentanti
della Nazione. E il saggio Ministro Inglese terminò dichiarando
che farebbe di tutto perché quel deputato venisse eletto,ed
esporebbe alla Camera la sua idea. Fate adunque tesoro, o Signori,
di questi insegnamenti nella nomina dei nuovi Consiglieri, se
vorrete prevenire nuove domande di riforme alla Costituzione, e
nuove richieste di altri provvedimenti legislativi, che per lo
meno hanno adesso la pena di essere fuori di tempo". (94)
Per questi motivi
egli dichiarava che avrebbe presentato al Consiglio un progetto
per completare il numero di 60 consiglieri, ed in cui avrebbe
sottolineato "la politica necessità che nella nuova nomina i
sigg.i Consiglieri tengano presente il bisogno che l'insieme del
Consiglio si mantenga l'espressione fedele dell'opinione della
volontà e della tendenza della maggioranza, senza impedire però
alla minoranza di potersi esplicare legalmente nell'esercizio de'
suoi diritti politici, affine di non esporre il governo a
pericolose forze interne". Sono riuscito a ritrovare il progetto
in questione, chiaramente scritto da Malpeli, anche se non è stato
firmato. (95) Qui egli continua nella sua polemica di cui già si è
anticipato qualcosa, dicendo che lo Statuto era stato redatto con
"spirito democratico", e che tale spirito doveva sempre essere
salvaguardato, anche se in passato alcuni decreti lo avevano
fortemente ridimensionato. "Quei Decreti che stabilirono in modo
assoluto, che il Consigliere per ritenersi eletto dovesse ottenere
la maggioranza dei votanti, hanno l'inconveniente di dare
l'opportunità al Consiglio di rendersi esecutivo, e di concentrare
in pochi il potere coll'escludere dal suo seno quell'elemento
popolare, che col progressivo succedersi delle generazioni
rappresenta lo sviluppo sempre maggiore delle idee e dell'umanità.
Che se la conservazione deve essere il nostro primo pensiero,
dobbiamo però guardarci dal confondere l'idea di conservazione con
quella d'immobilità. La prima è nell'ordine naturale; la seconda è
contro quest'ordine medesimo".
Queste parole del
Reggente Malpeli avrebbero comodamente potuto trovar posto in un
qualunque scritto dei riformisti dei primi del Novecento, quando
si discuteva la partecipazione del popolo alla vita politica
tramite elezioni, o altri sistemi ancora. Ma Malpeli è un uomo
della generazione precedente, dell'epoca della Destra Storica, e
la possibilità di chiamare i Sammarinesi alle urne per rendere
veramente democratico il Consiglio della piccola Repubblica non
gli passa di certo neppure lontanamente per il cervello. Invece
pensa a qualche altro modesto espediente utile a far sì che il
Consiglio fosse sempre composto da 60 membri, tra cui anche quelle
poche voci dissenzienti che potevano esservi (ovvero i "Campioni
di idee impraticabili", come li chiama), non tanto per poterne
sfruttare la vis polemica, quanto per poterle meglio controllare e
tacitare. Ma di mettere in discussione il sistema cooptativo in
auge dalla seconda metà del Cinquecento non se la sente
proprio.(cfr.app.11) Il fatto è comunque importante perché
testimonia che fin dai primi anni '70 era già iniziato, o meglio
riiniziato, visto quanto era successo nei primi anni '50, un
processo di contestazione all'oligarchia al potere, e che vi era
qualche consigliere (come minimo Malpeli, ma forse anche altri
rimasti anonimi), che già da questo periodo invitava a correre ai
ripari prima che la situazione potesse diventare incontrollabile.
Per il resto degli
anni Settanta non ho trovato altre tracce di contestazione
politica, o di richieste di riforme costituzionali, che
ricominceranno invece nel decennio successivo con la stampa dei
primi giornali locali, e con la maturazione di quella generazione
nata da chi aveva partecipato al Risorgimento, o che era comunque
imbevuta di dottrine e teorie riformiste, figlie dei tempi nuovi.
Le istanze che si possono incontrare, invece, sono di carattere
sociale, e mirano ad ottenere concrete migliorie per la piccola
comunità. Le più frequenti sono quelle relative alla creazione di
altre scuole elementari anche in quei Castelli dove non vi erano,
alla promulgazione di codici civili e commerciali, al
miglioramento del sistema stradale (anche se questo tipo d'istanza
diminuisce notevolmente rispetto al decennio precedente), al
miglioramento della situazione igienica, alla creazione di un
cimitero per la zona di Città e Borgo.
Per quanto riguarda
il problema della scuola elementare, si può dire oltre a quanto
già si è detto che l'istituzione della scuola elementare a
Serravalle stimolò anche altri Castelli sammarinesi a volere un
simile servizio. Una richiesta di tal genere avanzata nel novembre
del '73 da alcuni abitanti di Acquaviva indusse il Consiglio a
decretare l'estensione a tutte le parrocchie sammarinesi
dell'istruzione primaria. Per realizzare questa fondamentale
riforma si decise d'imporre la tassa che Serravalle già stava
pagando per mantenere le sue scuole, cioè una percentuale dello
0,50 % sull'estimo di tutto il territorio. Fu incaricato il
Congresso economico di elaborare un progetto in merito. (96) Per
motivi che andrebbero indagati, il progetto non riuscì a
concretizzarsi. Negli anni successivi Acquaviva tornò ad avanzare
la stessa richiesta, a volte insieme a Faetano, finché nel 1878 il
Consiglio tornò a ribadire che bisognava redigere un progetto per
impiantare le scuole elementari su tutto il territorio. (97)
Questa volta si riuscì a stendere il progetto, ed a presentarlo
nel Consiglio del 29 settembre, sempre del 1878: in pratica si
tornava a proporre la vecchia idea di tassare ulteriormente
l'estimo dello 0,50%, solo però delle parrocchie interessate,
ovvero le due di cui si è detto. (98) La proposta anche in questa
occasione non scaturì effetti. Acquaviva negli anni successivi non
si arrese: nell'ottobre del 1881 tornò alla carica per chiedere al
governo un sussidio in denaro con cui stipendiare un maestro che
evidentemente aveva reperito in maniera autonoma. Il Consiglio si
disse disposto ad elargirlo, ma solo dopo aver saputo chi era
l'insegnante, e dietro preventiva approvazione. (99) Ancora una
volta il problema rimase insoluto, tanto che un anno dopo sempre
Acquaviva tornò alla carica per gli stessi motivi. (100) Anche in
quest'occasione non si riuscì ad istituire la tanto desiderata
scuola, cosicché per limitare il discorso al periodo che stiamo
esaminando, e quindi chiuderlo, si può affermare che nei primi
anni '80 le uniche scuole elementari che vi erano a San Marino
erano in Città, Borgo e Serravalle, anche se altri Castelli
premevano per la loro istituzione. Inoltre solo le scuole di Città
avevano un corso di studi fino alla quinta classe; Borgo riuscirà
ad istituire la quarta e la quinta elementare solo nel 1892,
periodo in cui si potrà estendere l'insegnamento elementare a
quasi tutto il territorio.
Per quanto concerne
le rimanenti istanze, si può dire che un altro problema sentito
come urgente era quello legato al bisogno di un codice civile,
commerciale, e di procedura penale. Anche su tali questioni si
possono reperire lungo tutto il decennio diverse richieste,
presentate in genere dai pochi avvocati del Paese, ma anche da
altri. Nell'ottobre del '73, a titolo di esempio, Menetto Bonelli
tornò a richiedere, come già aveva fatto in passato, la "pronta
compilazione del Codice di Procedura Penale, perché la procedura
attuale, essendo esclusivamente inquisitoria, non corrisponde più
all'esigenza dei tempi che corrono". Federico Gozi, invece, chiese
la rapida attivazione del codice commerciale che egli dichiarò
essere già stato redatto dal commissario Giuseppe Giuliani. (101)
Negli anni successivi simili richieste continuarono, e nel 1878 si
pose mano alla redazione del codice civile, delegando a tale
mansione il giudice Cataldi, il quale nel dicembre di quell'anno
domandò al Consiglio varie informazioni (il matrimonio doveva
essere civile o ecclesiastico, quali erano le idee della
Repubblica sui diritti civili rispetto al culto, ecc.) per poterlo
stendere. Negli anni successivi alcune delle riforme così
insistentemente richieste vennero realizzate. Agli inizi del 1878
fu promulgato il codice di procedura penale insieme ad una serie
di "Disposizioni Disciplinari pel tribunale commissariale". (102)
Nel 1882 poi venne emanato il codice cambiario, (103) mentre un
codice civile non fu mai promulgato.
Passando ora
brevemente alle richieste di natura igienica, posso affermare che
il Paese fino a questi anni non deve aver curato più di tanto tale
problema, anche se vi erano disposizioni statutarie molto rigide e
precise sul tema. Infatti vi sono ripetute tracce che parlano di
animali macellati praticamente sugli usci di casa, di assenza
totale di grondaie e pluviali alle abitazioni, e quindi di
ricorrente inquinamento delle acque potabili contenute nei pozzi e
soprattutto nelle cisterne del Pianello, di immondizia raccolta a
caso lungo le strade e negli angoli, di acque sporche gettate
sovente dalle finestre, di un enorme problema per Città legato al
seppellimento dei cadaveri, ecc. ecc. Il quadro che emerge, in
definitiva, è quello di una realtà assai squallida e dimessa, dove
solo la buona volontà dei singoli riusciva a volte a supplire ad
una legislazione arcaica e carente, non certo all'altezza dei
tempi nuovi e dei numeri nuovi della popolazione, e ad una
probabile assenza di controlli. Nel decennio in esame qualcosa per
migliorare la situazione igienica fu fatta, anche se leggendo i
numeri de "Il Giovane Titano", uno dei primi giornali sammarinesi
uscito tra il 1881 ed il 1883, si capisce che ancora tanto restava
da fare. (104) Il primo passo fu senz'altro l'istituzione di due
posti da "pubblici scopatori", cioè da spazzini, uno per Città ed
uno per Borgo, avvenuta con l'approvazione di un capitolato tra la
fine del 1871, e l'inizio dell'anno successivo. Essi venivano a
percepire 30 centesimi al giorno ciascuno, più si potevano tenere
lo sterco raccolto, ed avevano diritto anche alle multe elevate
contro chi avesse commesso infrazioni relative alla nettezza
urbana. Prima della loro nomina si decise di incaricare
addirittura la Reggenza di fare un sopralluogo alle vie di Città
per accertarsi delle condizioni generali della pubblica igiene.
(105)
Ma il vero problema
di natura igienica che negli anni '70 emerge lampante è quello
legato alla mancanza di un cimitero idoneo a ricevere i morti del
Castello di Città, e per la cui creazione furono avanzate lungo
tutto il decennio, in particolare nella sua seconda metà,
abbondanti richieste. Per la verità, occorre dire che questo
problema era già emerso anche molto prima, tanto che nella seduta
consigliare del 26 giugno 1822 i Reggenti avevano sottolineato che
"nel cimitero di questa Chiesa Plebale rimangono insepolte le ossa
dei defunti concittadini in maniera che si sono vedute
frequentemente trasportare altrove dai cani". S'invitava vivamente
il Consiglio a voler provvedere a tale stato di cose "il quale
dovrebbe raccapriciare anche le più barbare e selvaggie nazioni".
Il Consiglio deliberò subito la costruzione di un nuovo cimitero
in luogo da stabilirsi. (106) Credo che questa decisione non abbia
trovato concreta esecuzione; infatti tre anni dopo si torna sul
problema per stabilire di seppellire le ossa dei morti in "due o
tre grandi e profondi sepolcri" presso la Chiesa del Crocefisso.
(107) Non mi è possibile dire se per un certo periodo sia
realmente stato creato un cimitero in tale sito. Di certo con
l'edificazione della nuova Pieve tra il 1826 ed il 1838 si
dev'essere pensato anche a creare nuovi spazi in cui seppellire i
cadaveri, tant'è che la questione non emerge più fino agli anni
che stiamo analizzando. Nel settembre del 1865, però, Gaetano
Belluzzi, presidente della commissione preposta alla pubblica
sanità, avvisa che le "arche" della Chiesa di San Pietro dove
venivano sepolti i morti erano piene, e che secondo la commissione
non era igienico seppellire i nuovi cadaveri nelle sepolture poste
sotto l'atrio della Pieve. (108) Che soluzioni siano state trovate
dopo tale denuncia non mi è possibile dire (molti degli argomenti
affrontati in questo mio lavoro meriterebbero senz'altro di essere
ulteriormente esplorati, tra cui questo); tuttavia ho reperito un
altro documento, un'istanza d'arengo del 1878 o 1879 firmata Luigi
Tonnini, da cui emerge che i cadaveri in quel periodo
probabilmente venivano sepolti ancora in anfratti posti vicino
alla Pieve. Dato il suo interesse, la si riporta per intero:
"Eccellentissima Reggenza - Presso i
popoli più barbari, come sarebbero quelli della razza etiopica, ed
i Papuas della Nuova Guinea, presso gli individui più scettici di
questo secolo scettico, esiste uno di quei sentimenti innati
nell'uomo, che ci spinge a conservare nel miglior modo convenevole
le reliquie dei defunti. Ed è un sentimento innato, che ci fa
altamente ammirare la civiltà greca, per esempio, al vedere tanta
pompa nelle esequie di un uomo fino dai remoti tempi di Troja. Ed
ora, seguendo sempre gli uomini l'impulso di questo sentimento,
non avvi alcun paese presso i popoli civili, dove non sia una
terra che accolga nel suo grembo materno le disciolte ossa dei
trapassati, sia pure questa terra circondata di canne. Al
contrario presso di noi che viviamo in mezzo ad un popolo
altamente civile, in un secolo illuminato, checchè ne dicano
alcuni, i defunti cacciati su di una chiamerò barella, quantunque
la chiamino bara, sulle spalle di quattro monatti sono
trasportati, talvolta colla faccia scoperta (spettacolo che vi
induce ribrezzo nell'anima) ad una chiesa. La maggior parte sono
portati alla chiesuola detta di S. Pietro, e poi sono buttati in
un baratro, ove si sfracellano tanto che ai topi ed ai vermi non
rimane travaglio onde decomporli. Si dice (bella ragione invero!)
che i morti non sentono nulla; ringrazio chi mi dà cotesto avviso;
ma deve essere questo il rispetto da usarsi a chi un giorno ebbe
vita come noi? E poi (possono sembrare idee di anima piccola, ma
mi si lasci esprimerle) è conveniente che alle ossa di un
galantuomo si attacchi la putredine che corruppe la carne di un
uomo disonestamente vissuto? Ugo Foscolo inorridiva pensando che
forse le ossa di Parini sarebbero state insanguinate dal mozzo
capo di un ladro che lasciò sul patibolo i delitti. E Foscolo
aveva ragione. In fine quando quegli orridi sepolcri sono pieni si
vuotano, e la polvere dei defunti da molto tempo, viene in parte
dispersa per le gradinate delle chiese contigue, ed i vuotatori
vanno a scherzare coi trapassati non ancora decomposti, come i
becchini nel cimitero dell'Amleto di Shakespeare. Questi sono
tutti gli inconvenienti che ho voluto enumerare per ciò che
riguarda il seppellimento della maggior parte dei morti. Alcuni
privilegiati sono sepolti a parte, ma la morte non pareggia tutte
le erbe del prato? Non ci sarebbe bisogno che io ora proponessi un
rimedio a questi inconvenienti, giacchè tutti sanno che esso
consiste nella costruzione di un Campo santo, unico luogo dove i
defunti possano dormire in pace sotto una zolla di terra. E
giacchè un tale piamente lasciava morendo un legato che servisse a
questo scopo, io non so perché cotanto si indugi. Così chi ha
perduto un congiunto gli potrà pregar pace, perché sa le ossa di
lui esser distinte dalle altre, e così coloro che cessano di
esistere riposeranno meglio, avvegnachè il sonno della morte
sia men duro all'ombra d'un cipresso e dentro un'urna confortata
di piante." (109)
Il riferimento che
fa Tonnini al lascito per la costruzione del cimitero riguarda una
cifra messa per testamento a disposizione per quest'opera e per un
asilo da parte di Marco Tassini, morto da quanto mi risulta nel
1870. Per vari motivi, tuttavia, fu possibile dar inizio ai lavori
per il nuovo cimitero solo nel 1887, ed essi proseguirono a lungo,
tanto che in un documento riportato dal Matteini, (110) un
articolo dell' Illustration di Parigi del 30 ottobre 1897,
risulta che i cadaveri venivano ancora sepolti nel vecchio sito.
L'autore dell'articolo, infatti, scrisse che "da secoli, gli
avanzi dei Sammarinesi s'ingolfano nelle profondità insondabili
delle viscere del Titano, divorante, come Saturno, i suoi propri
figli. Ma, malgrado la capacità del mostro, l'amministrazione
della città ha finito per impensierirsi degli inconvenienti che
potrebbero risultare alla lunga, da questo modo d'inumazione un pò
sommaria e ha stabilito fuori delle mura, sopra una piccola
eminenza, a Montalbo, un vero Cimitero". Da questo documento
sembrerebbe, insomma, che presso la Chiesa di San Pietro esistesse
un'apertura che permetteva l'accesso ad una delle tante cavità
naturali del monte Titano: lì venivano gettati i cadaveri. Non è
del tutto chiaro, però, se è vero, come dice l'articolista, che si
sarebbe potuto continuare ancora a lungo in questa prassi, se non
fossero sopraggiunti nei governanti scrupoli per motivi d'igiene,
oppure perché non ce ne stavano più, come ebbe a dire Gaetano
Belluzzi, ed anche Tonnini il quale parla della periodica
necessità di servirsi di "vuotatori". Propenderei comunque per
questa seconda ipotesi, perché nel Consiglio del 13 settembre 1894
si torna a ribadire che i sepolcri, questa volta si dice della
Pieve, erano pieni, e che si era dovuto seppellire il corpo di
Serviglio Vagnini, verosimilmente il primo ad avere simile
trattamento, nel recinto del nuovo camposanto. (111) Anche
Matteini conferma simile ipotesi. "In verità -egli afferma- le
spoglie giacevano in tombe e ossari collettivi, resi possibili
dalla barriera compatta della pietra. Ciò è certificato dal
ritrovamento durante il restauro della chiesetta di S. Pietro
(1940), di oltre trecento cadaveri. Va aggiunto -prosegue- che si
continuò a seppellire nella Chiesa di S. Francesco fino al 5
novembre 1908". E' probabile, quindi, che si potè arrivare fino
alla fine del secolo scorso prima di utilizzare l'area di Montalbo
(e non al 1908 come egli sostiene) perché periodicamente venivano
vuotate parzialmente o totalmente le fosse presenti presso la
Pieve, capaci di contenere diverse centinaia di corpi,
e poi riempite di nuovo. Così avrebbe senso anche ciò che ci dice
Tonnini.
Possiamo chiudere
questo capitolo accennando ai lavori pubblici svolti nel decennio,
ed a pochi altri fatti di cui ancora non si è fatto menzione.
Tralasciando di dire dei lavori di minore entità, che venivano
spesso autorizzati dai Reggenti senza tanti preventivi, e per
motivi svariati, primo fra tutti quello legato alla necessità di
dar lavoro agli artigiani locali, si può senz'altro affermare che
anche in questo decennio i lavori che più incisero sui bilanci
furono ancora quelli relativi alle strade. Oltre a quelle di cui
già si è parlato, non vennero costruite tante altre strade nuove;
tuttavia avvennero in molte delle strade che già esistevano opere
di ripristino e di allargamento. Inoltre in questi anni si cambiò
mentalità anche in questa materia, cercando di eliminare i vecchi
vizi che avevano portato tutte le strade della Repubblica a
trovarsi negli anni precedenti in uno stato pietoso. In passato vi
era un controllo piuttosto approssimativo del sistema viario, ed
il riattamento delle strade era in genere affidato a chi abitava
nei pressi delle zone da riparare. I modesti bilanci non
permettevano stanziamenti sostanziosi per tali lavori, per cui si
andò avanti come si potè, probabilmente accontentandosi di strade
appena percorribili. La consuetudine di far lavorare gratuitamente
alle strade i cittadini per qualche giorno all'anno, oppure di
contribuire con una cifra pari al costo delle giornate se non si
poteva o voleva lavorarvi, rimase pure negli anni che stiamo
studiando, anche se appare ovvio che senza gl'introiti di cui si è
detto, e fidandosi solo dell'opera gratuita dei cittadini, o di
quanto lo Stato poteva permettersi di stanziare, non si sarebbe
potuto provvedere al bisogno nel modo in cui i tempi e la
popolazione richiedevano. In questo periodo, invece, oltre alle
solite commissioni o ispettori di natura politica preposti al
controllo delle varie strade, che in passato, come tantissimi
altri organismi nati in seno al Consiglio, il più delle volte
combinavano ben poco, vennero stipendiati alcuni cantonieri
preposti al controllo delle varie strade. Costoro, oltre allo
stipendio annuale, potevano ricevere, se lo meritavano, anche
premi di vario livello e natura dipendenti dal modo in cui avevano
saputo accudire la loro strada. Inoltre quasi annualmente il loro
lavoro veniva verificato dagli "ispettori delle strade", che poi
relazionavano dettagliatamente in Consiglio. Si possono vedere
molte di queste relazioni direttamente verbalizzate negli Atti
del Consiglio. Di tre di questi nuovi funzionari (preposti
alle strade di Montelicciano, Gualdicciolo e Città) abbiamo già
parlato qualche pagina fa. Altri cantonieri vennero assunti
durante il decennio: alla fine degli anni Settanta ve ne sono
sette che costano allo Stato complessivamente 3.858 lire, e che
puntualmente vengono "rifermati", cioè confermati dal Consiglio
ogni anno, così come succedeva ai due "pubblici scopatori", ed a
quasi tutti gl'impiegati dipendenti dallo Stato che si fossero
comportati correttamente e con professionalità. In caso contrario
non venivano rifermati, cioè erano licenziati seduta stante. Da
quanto ci dice Balsimelli, (112) il cui interessante e per il
momento unico studio sulle strade andrebbe rivisitato ed ampliato
con altri apporti documentari, due furono le strade costruite, o
meglio sistemate ed ampliate negli anni '70, cioè quella per
Montegiardino, ultimata circa verso il 1874, e la consolare
Borgo-Serravalle decretata nel 1879, ed edificata tra il 1880 e il
1882. In realtà altre dovettero essere le strade riassestate negli
stessi anni, perché nel gennaio del 1873 risultano esservi già
cinque cantonieri: uno per la strada di Città, uno per quella di
Gualdicciolo, uno per Serravalle, uno per la strada di San
Giovanni, ed uno per la strada di Faetano. A questa data per
qualche motivo che non conosco non risulta più esservi il
cantoniere per la strada di Montelicciano di cui si è detto. (113)
Due mesi dopo vengono nominati altri due cantonieri: uno per la
nuova strada di Montegiardino, ed uno per quella di Ventoso, anche
questa definita nuova. (114) Come ho già detto, se si sente
l'esigenza di stipendiare questi funzionari, è logico pensare che
le strade che dovevano accudire erano nuove, o tirate a nuovo, per
cui verosimilmente nel periodo di Palamede Malpeli furono queste
le strade costruite dallo Stato sammarinese.
Un altro lavoro
d'ingenti proporzioni, reso possibile anch'esso dai nuovi introiti
dello Stato, fu il teatro Concordia di Borgo inaugurato nel 1872.
Già un anno prima avrebbe potuto essere terminato se non fossero
finiti i soldi a disposizione per la sua realizzazione.
Nell'ottobre del '71, infatti, si comunica che occorrevano ancora
10.000 lire per la sua ultimazione, e per reperirle si propone
l'assegnazione di alcune onorificenze a persone che le avevano
richieste. (115) Nel '73, invece, si lavora alla selciatura
del Pianello, ed all'edificazione di un pelatoio in Borgo. Anche
in questo caso i soldi messi a disposizione terminano, tuttavia
ora non vi sono i problemi del passato, quando la fine dei soldi
segnava ineluttabilmente la sospensione, a volte lunghissima, dei
lavori. Ora infatti con i nuovi introiti, ed i fondi di riserva
che determinano, la Repubblica può continuare i lavori avviati
fino alla loro conclusione. Così succede anche in questo caso,
perché vengono prelevate 15.000 lire dal deposito fruttifero di
35.000 lire che lo Stato sammarinese aveva a Rimini. (116) Nel '78
venne deliberato un altro lavoro di un certo peso: il rifacimento
della piazza del Borgo per un costo preventivato di 15.000 lire.
In definitiva si può dire che negli anni in questione fu messa in
circolazione una quantità notevole di denaro, che sicuramente andò
ad incidere positivamente su tutta la società sammarinese.
Inoltre nel 1875 si
cominciò a sentire l'esigenza del telegrafo, e qualche anno dopo
di un collegamento più rapido con Rimini del postiglione che da
lunghissimo tempo era il principale contatto con tale città. Nel
luglio del '79 furono presentati in Consiglio due progetti, uno
per l'impianto del telegrafo, l'altro per l'istituzione di un
servizio di diligenza. (117) Da quanto mi risulta, il servizio di
diligenza era già stato attivato da qualche mese, precisamente tra
febbraio e marzo. Il telegrafo, invece, iniziò ad operare nel
1880, anno in cui vennero assunti quattro impiegati (due
telegrafisti a 500 lire di stipendio annuo per uno, più un
fattorino con stipendio di 60 lire annue, ed un "guardafilo" con
stipendio di 100 lire). Il suo regolamento fu promulgato il 15
febbraio 1881, ed in tale occasione venne nominato come suo
direttore Domenico Fattori con stipendio di 150 lire annue. I
telegrafisti invece erano Giovanni Bonelli e Giuseppe Crinelli,
che avevano imparato il mestiere tramite un corso precedentemente
seguito a Bologna. (117a)
Negli stessi anni
tornò a sentirsi il bisogno di un veterinario pubblico, impiegato
di cui la Repubblica aveva potuto disporre fino al 1850 quando si
decise di eliminare tale costo per esigenze di risparmio. Nel
marzo del 1881 fu assunto Luigi Spadazzi di Santarcangelo con 500
lire di paga annuale. (118)
Ultimissimo fatto
degno di essere annotato per questi anni, anche se esistono già
diversi studi in merito, (119) è la fondazione nel 1876 della
Società Unione Mutuo Soccorso di San Marino, gruppo che risulterà
fondamentale negli anni successivi come definitivo coagulante
della crescente classe operaia locale. La Società nacque come
trasformazione di un precedente gruppo fondato nel 1874, la
Società Unione, che aveva però solo scopi di natura ricreativa.
Tra il maggio e il giugno del '76 maturò la decisione di mutare
fisionomia e funzione, ed il 30 giugno venne divulgato un
manifesto in cui si annunciava la trasformazione, e si invitava ad
aderire all'iniziativa. "A tutti incombe il dovere di sovvenirsi
scambievolmente nei giorni della sventura, -vi si legge- e a tutti
si fa appello perché concorrano a questo nobile fine. Molti sono i
vantaggi che la Classe Operaia risente dalle Società di Mutuo
Soccorso, e ne fa fede il loro numero, e la floridezza e il favore
di cui esse godono dovunque. Anche fra noi l'onesto e laborioso
Operaio non sarà costretto nella sventura stendere la mano
all'altrui generosità, ma sarà orgoglioso di raccogliere i frutti
del suo risparmio. Per tal modo si nobilita in faccia a sè ed agli
altri, sviluppando anche in se stesso il giusto sentimento della
solidarietà". S'iscrissero nel primo anno 129 soci.
NOTE APPENDICE
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capitolo IV
L'AFFARE MALPELI
1 - Le accuse e la condanna
Siamo giunti alla
fine di questa storia, e quindi alla fine delle vicissitudini
politiche di Palamede Malpeli, il quale, come già si è anticipato,
è costretto ad uscire di scena per motivi penali negli ultimissimi
mesi del 1879. Come si sarà verificato direttamente, questo
personaggio è stato un perno fondamentale del ventennio che
abbiamo preso in esame. La sua figura, così evolutiva ma anche
conservativa, polemica e nello stesso tempo accomodante, futurista
ma realmente mai del tutto staccata dal passato, di certo è assai
emblematica e caratteristica del periodo esaminato. Non credo si
possa imputare a Malpeli di non aver amato sinceramente ed anche
con slancio eccessivo il suo Paese. Non vedo altre spiegazioni per
il dinamismo che esplica continuamente come Reggente, come
consigliere, ed anche come semplice cittadino. Tutto il suo
riformismo era senz'altro legato al sentimento profondo che
nutriva per la sua piccola comunità, così come in passato tale
sentimento era da tutti manifestato soprattutto con un orgoglioso,
quanto spesso becero, conservatorismo. Ma in passato la vita
stessa della Repubblica probabilmente non poteva essere preservata
diversamente, così come ai tempi di Malpeli era necessario
evolversi e sapersi adattare ai rapidi mutamenti dell'Italia e del
mondo.
L'importanza di
Malpeli nella modesta storia di San Marino sta tutta qui, nella
sua capacità di cogliere, cioè, fin dagli ultimi anni '50 questo
bisogno di evolversi, di non perdere l'appuntamento col futuro
della Repubblica, rimanendo troppo invischiati nel passato. E'
ovvio che Malpeli non era solo, perché di certo altri consiglieri
altrettanto riformisti, anche se meno appariscenti, lo hanno
appoggiato nella sua attività politica, o addirittura gli hanno
aperto la strada, o gliel'hanno terminata. Ma l'entusiasmo di
Malpeli, la sua cieca fiducia nel progresso materiale, le sue
convinzioni legate al bisogno di creare concretamente tutti i
mezzi possibili per stare meglio, e per fare star meglio i ceti
meno abbienti di San Marino, non sono rintracciabili con la stessa
forza, e con la stessa continuità in nessuno degli altri
progressisti che pur vi erano nello stesso periodo sia dentro il
Consiglio, sia fuori. Non ho riportato tutte le istanze che ho
trovato di Malpeli, perché i documenti che ho riprodotto sono più
che sufficienti per capire il personaggio. Per dovere di cronaca
devo dire però che egli periodicamente avanzava richieste al
Consiglio, in genere sotto forma di istanza d'arengo, tendenti a
chiedere miglioramenti in campo scolastico, sicuramente il
problema che più gli premeva, e che più permette di capire
l'indole dell'uomo, nelle infrastrutture, nella legislazione, ecc.
ecc. In quei settori, cioè, che a suo giudizio dovevano fare un
repentino salto di qualità per consentire l'evoluzione di tutti.
Soprattutto il denaro era per lui un'esigenza primaria per essere
felici, come d'altra parte ci ha detto fin dalla sua prima
Reggenza. E proprio il denaro è stato invece la causa della sua
rovina politica e sociale. Veniamo ora al racconto dei fatti che
lo hanno rovinato, e che lo hanno fatto passare erroneamente alla
storia solo come personaggio negativo di cui non
meritava conservare memoria.
Si comincia ad aver
sentore della brutta faccenda in cui si andrà a cacciare Malpeli
già nel 1878, quando egli inoltra al Consiglio una lettera datata
26 maggio in cui afferma che "per liberare il mio patrimonio da
tutte quante le passività che lo gravano, e che ne rendono
difficile l'amministrazione, mi sono determinato di alienare tre
corpi di terra". Era fortemente indebitato, insomma, e necessitava
di denaro. Avvisava di aver già trovato alcuni compratori esteri;
ma aveva voluto proporre i suoi beni prima allo Stato. Il
Consiglio, disponendo del denaro del fondo di riserva, e temendo
la vendita ad estranei, decise di acquistare i capitali,
deliberando di pagare subito 6.000 lire in acconto, e dando così
un aiuto anche ad uno dei suoi più noti rappresentanti. (1) Fu
nominata una commissione per valutare i terreni, comprensivi anche
di case, bestiame e raccolti, e nel Consiglio del 22 settembre
1878 ne fu approvato l'acquisto per un totale di 144.166
lire. I soldi si sarebbero prelevati dai fondi di riserva, e dai
fondi per la beneficienza (sempre rimediati soprattutto grazie
alla vendita delle onorificenze). (2)
Con questa
deliberazione la situazione finanziaria di Malpeli tornò
apparentemente alla normalità, e le acque probabilmente gli si
calmarono, tanto che nell'arengo di ottobre egli si sentì ancora
in vena di presentare una serie di istanze, ed il 30 settembre
diede alle stampe un "Progetto di programma definitivo
dell'insegnamento scolastico che s'imparte in questo Nobil
Collegio Belluzzi". Essendo i due documenti assai interessanti,
soprattutto per capire ulteriormente l'uomo, merita senz'altro
riprodurli. Il programma per le scuole è in appendice, al numero
30, mentre qui di seguito sono riportate le richieste di ottobre:
"Per l'Arringo Generale del 13 Ottobre
1878
Eccellenze
Come nell'ordine fisico dal contrasto
di due opposte forze si genera l'armonica rotazione dei mondi
nello spazio; così nell'ordine politico dal contrasto ben
combinato di due forze o partiti (la conservazione e il progresso)
risulta lo sviluppo regolare e proficuo dell'amministrazione della
pubblica cosa. Sogliono essere conservatori i vecchi, progressisti
i giovani: ma quando gli uni e gli altri hanno per sostrato la
lealtà e la buona fede e per fine il pubblico bene, la divergenza
delle opinioni non altera l'unione e la concordia degli animi, -di
cui nulla è più salutare in una Repubblica. E' dunque su questo
terreno che la fredda esperienza dei vecchi deve incontrarsi colle
generose aspirazioni dei giovani, e la difficile prudenza di
quelli colle facili iniziative di questi. Perocchè non difficil
cosa è il conservare, ma progredire con senno è della più grande
difficoltà; progredire con frutto è della più alta importanza,
essendo il progredire neccessità per continuare ad esistere. Mi
gode perciò sommamente l'animo, e mi congratulo colla Repubblica e
co' miei Concittadini tutte le volte che un Elemento giovane, che
abbia dato di sè buone prove, subentra al reggimento della cosa
pubblica. E in questo giorno, e in questo Arringo, concessone dai
patrii Statuti, sia dunque lecito anche a me (sebbene divenuto per
avventura meno atto o meno utile), sia lecito anche a me
d'incoraggiare e spingere le EE.VV. ad alcune iniziative, di cui
alcuni fra i vostri Antecessori, non si mostrarono troppo caldi,
-non starò certo indagando per qual movente. Mi permetto dunque di
ricordare all'EE.VV. che la buona memoria di un nostro generoso
Concittadino, il Cav. Tassini, lasciò due legati per due
Istituzioni, la cui mancanza si fa troppo sentire in un paese
libero e civile. L'una di esse già da cinque anni avrebbe dovuto
avere il suo compimento, se il nostro Governo avesse mostrata un
po' più di attività a risolvere le difficoltà che si frapposero
per via: -l'altra che dovrebbe aver vita fra due anni
richiederebbe che findora si dia mano a spianare gli ostacoli che
si prevede sorgeranno non piccoli a ritardare di molto il
godimento di quei non lievi vantaggi, che tutti se ne
ripromettono. Mi sia permesso in secondo luogo di richiamare
l'attenzione dell'EE.VV. sulla neccessità di restaurare questo
pubblico Palazzo, o almeno di rendere più capace quest'aula; non
chè di ampliare i locali del pubblico Museo, della Biblioteca e
dell'Archivio. Però sopra e prima di ogni altra cosa io supplico
le EE.VV. a voler chiamare l'attenzione del Generale Consiglio
Principe sulla neccessità omai generalmente sentita della
istituzione del telegrafo. Si crede troppo lontana dal vero
l'opinione di coloro, che ritengono il telegrafo cosa di lusso, di
superfluità, o al più di complemento. Oggi il telegrafo è ridotto
una neccessità della vita civile. Si è detto di volerlo legare e
subordinare al compimento e miglioramento della nostra rete
stradale come cosa più utile; -e sia! Ma perché questo stesso
divisamento è caduto in dimenticanza o si vuol portare alle
calende greche? E' un fatto che la nostra rete stradale è
incompleta poichè alcuni punti importantissimi del nostro confine
non sono in buona communicazione col nostro centro politico e
commerciale: cosichè mentre ai nostri confini si lavora
attivamente dai limitrofi Comuni ad aprir nuove strade, noi siamo
minacciati per la nostra indolenza di rimaner tagliati fuori dal
giro commerciale a causa delle nuove communicazioni più commode, e
di perdere così in gran parte, per lo sviato commercio, i vantaggi
delle somme egregie spese fino ad ora nelle nostre strade
consolari. E' ormai un anno che fu presentato dagli Ingegneri il
nuovo tracciato a correggere la via di Rimini per Serravalle.
Perché è lasciato là in dimenticanza? Sarebbe per avventura ciò
avvenuto perché la gravezza della Spesa ha spaventato qualche
mente timida, gretta e digiuna dei veri principj economici, e che
non vede altro mezzo per tradurre ad effetto quest'opera pubblica
che spendervi direttamente quelle poche diecine di migliaia di
lire che formano i fondi di riserva dello Stato? Convengo anch'io
che sarebbe imprevvidenza e stoltezza l'esaurire in quest'unico
lavoro (mentre abbiamo tanti altri bisogni) quel poco di danaro
che si è riuscito a metter da parte: -ma che? Uno Stato come il
nostro che si trova in buone condizioni economiche generali; che
non ha debiti; che non ha tasse o quasi; che gode una pace
secolare, un credito indiscutibile, non potrà fare ciò, che sanno
fare con vantaggio altri Stati, anzi altri comuni che si trovano
in condizioni per trenta volte inferiori alle nostre? Ma che? I
nostri uomini di finanza vorranno dare una prova d'ignorare e di
ripudiare per soverchio ottimismo quei mezzi universalmente
riconosciuti salutari, giusti, onorifici e sicuri a raggiungere
uno scopo di tanta utilità pubblica e privata? Rinuncerò qui a
ripetere un mezzo altre volte suggerito, che non è andato a versi
dei Vecchi Conservatori, perché dispero di vincere la loro
antipatia per esso, sebbene non giustificata. Ma voglio solo
ricordarne uno alle EE.VV. che per la sua volgarità non può non
essere accettato. Premesso che si debba una buona volta completare
il concetto della nostra rete stradale principale, affinchè da
essa possiamo ricavare tutti quei vantaggi commerciali che ci sono
consentiti dalla nostra posizione topografica; e stabilito bene
questo concetto; facciansi subito redigere o completare i relativi
Piani di arte. Inutile è dire che in questo concetto deve entrare
come parte principale la nuova linea di Serravalle.
Contemporaneamente deesi ricercare un Appaltatore ben conosciuto
per capacità, onestà e mezzi; ed allargargli l'intero lavoro a
prezzo ragionevole, ed alle due seguenti condizioni capitali: I°
che tutto il lavoro debba esser terminato e consegnato in cinque
anni. II° che il relativo pagamento debba farglisi in rate uguali
semestrali in un quindicennio. A formare poi questa rata
semestrale straordinaria si dovrebbe I° impiegare il frutto
annuo dei fondi di riserva; II° prelevare per la somma mancante
una tassa di consumo sul vino e sulle farine, e un bollo sulle
cambiali: sui quali tre articoli oggi non esiste alcun peso. Senza
che mi dilunghi ad esporre le ragioni di convenienza per porre
questi balzelli, dirò solo che è un'ingiustizia che già non ci
siano specialmente in relazione ad alcuni altri generi gravati. E
terminerò dicendo che nei primi cinque anni a diminuzione della
rata da pagarsi nel tempo susseguente, si può con tutta giustizia
applicare anche ai Coloni una tassa di opere gratuite a vantaggio
dell'appaltatore, come oggi generalmente si usa. E facendo voti
che da queste mie parole possa uscirne qualche buon frutto,
rinnovo all'EE.VV. i miei voti di prosperità per la Repubblica
nostra". (2a)
Pare strano che un uomo così
preoccupato del benessere e dell'evoluzione del suo Paese potesse
da lì a qualche mese intrigare contro lo stesso, e compiere azioni
non autorizzate e che potevano sicuramente nuocergli. Eppure fu
così. Nella primavera del 1879, infatti, alcuni finanzieri
austriaci pensarono bene di proporre alla Repubblica l'istituzione
di un casinò, così come in passato, come abbiamo visto, avevano
proposto tanti altri. "Quel piccolo stato libero ed autonomo
-recita la fonte da cui sto attingendo- (3) posto nel cuore
d'Italia a breve distanza dal mare, e da una cospicua città fra
ridenti dintorni in ubertosissimo suolo si mostrava agli
speculatori assai acconcio all'infame scopo, non avvisandosi essi
che i reggitori e cittadini, meno compiacenti che altri, tanto
l'avrebbero combattuto quanto è loro a cuore la libertà e
l'autonomia, ch'essi ben sanno non potersi conservare senza la
scorta di severi costumi".
In effetti fin dai
primissimi anni '60 San Marino aveva ricevuto proposte
analoghe, ma le aveva sempre respinte con ribrezzo, rifiutandosi
perfino di leggerle in Consiglio. Evidentemente i finanzieri
austriaci (Alfredo Osiecki, Arturo Reischritter, Ottocar
Prochazka) non lo sapevano, o pensavano di poter aggirare gli
eventuali ostacoli, per cui quando subodorarono la possibilità di
un cospicuo affare, si misero in contatto con un loro amico
residente a Roma, il conte Ladislao Kulczycki, per vedere se egli
aveva la possibiltà di entrare in rapporto con la Repubblica.
Costui in effetti non aveva relazioni dirette con San Marino, ma
conosceva qualcuno che le aveva, cioè il cavalier Domenico Peria
Correnti, amico appunto di Palamede Malpeli. A questo gruppo di
individui, tutti ansiosi di spartirsi una torta che prometteva
essere succulenta, si aggiunse anche Francesco Krieghammer,
segretario personale di Prochazka. Egli durante l'estate del '79
dimorò a San Marino, ed insieme a Malpeli cercò di pianificare la
faccenda. "Le difficoltà a vincere erano tutte di ordine morale:
innanzi tutte, e che tutte le comprende, la virtù del popolo, del
Consiglio, e dei suoi Reggitori nei vari ordini e nelle varie
funzioni. Ad eluderla si aveva in animo di suscitare con grandi
lavori e con la prospettiva di larghissimi lucri il favore del
popolo, e di mascherare dapprincipio lo scopo degli
intraprenditori. Si sarebbe aperto un vasto stabilimento termale
con sale da danze, da lettura, da conversazione, da concerti e da
giuoco: con un riparto dei proventi in opere di beneficenza; si
sarebbe anche istituita una Banca con facoltà di emissione;
tracciate tramvie; derivate acque; creati gazometri e stazioni
telegrafiche con evidente universale vantaggio. Creata così l'aura
popolare, lo stabilimento termale senza grave difficoltà, e forse
cambiando solo il nome, si sarebbe convertito in un casino del
trenta, e quaranta, e della roulette con tutto lo splendore onde
va tristemente adorno l'altro del Principato di Monaco, contro il
quale pur oggi si elevano le proteste di tutto il mondo civile,
che ne reclama la distruzione".
Per ottenere il suo
scopo, Malpeli il 1° settembre aveva stipulato un compromesso
d'acquisto di vari terreni di Acquaviva, di proprietà di Silvestro
e Sebastiano Masi. Inoltre più o meno nello stesso periodo aveva
contrattato l'acquisto di tutte le cave di pietra della
Repubblica, sia per reperire senza problemi il materiale che
serviva per costruire le infrastrutture necessarie, sia per
attirarsi le simpatie della classe operaia. Questa è almeno
l'opinione espressa nel documento da cui sto ricavando le mie
informazioni, ma è anche l'opinione che subito emerse nel
Consiglio del 1° novembre 1879, il primo in cui si iniziò a
discutere la questione. (4) In tale seduta si disse, appunto, che
essendo in quel momento carente il lavoro per gli scalpellini,
Malpeli aveva cercato di attirarli alla sua causa comprando la
loro pietra a condizioni assai vantaggiose per gli stessi. Per dar
piena esecuzione all'intero progetto, però, vi era anche necessità
di procacciarsi ulteriori finanziatori. Questo compito se l'era
assunto il Prochazka, il quale alla fine era riuscito a trovare
alcuni capitalisti francesi interessati all'affare. Costoro, però,
prima di sborsare qualunque somma, vollero essere sicuri che lo
Stato sammarinese fosse totalmente d'accordo sull'impianto del
casinò. Pare che Malpeli già nel mese di giugno avesse loro
scritto assicurandoli che il governo era pienamente consenziente;
tuttavia essi non si fidarono di simili assicurazioni, e pretesero
un atto di concessione ufficiale firmato da almeno 20 consiglieri,
o dai Segretari degli esteri e degli interni.
A questo punto
Malpeli dovette muoversi diversamente: dapprincipio, circa intorno
alla metà di ottobre, tentò di coinvolgere nell'affare i due
Segretari (Domenico Fattori e Giuliano Belluzzi), senza però
riuscirvi. Poi, visto il suo fallimento, pensò bene di creare da
solo il documento richiestogli, falsificando la firma dei due
segretari renitenti. Nel frattempo si era sparsa la voce che la
Repubblica di San Marino stava per impiantare una casa da giuoco,
anche se ancora erano ignote le macchinazioni di Malpeli. Il 25
settembre venne inviato al Duca De Bruc (incaricato d'affari a
Parigi), a Coloman (console a Vienna), al Conte Edoardo Gay
(console a Torino), a Leone Chave (console a Marsiglia) il testo
che ho già riprodotto qualche pagina fa, da inserirsi sui giornali
della loro zona; nei primi giorni di ottobre diedero comunicazione
di aver eseguito l'ordine. (5) L'otto ottobre arrivò anche la
lettera di Coloman, il quale confermò d'aver fatto pubblicare la
smentita, ma aggiunse anche di essere a conoscenza fin da molto
prima dei traffici tra Malpeli e gli speculatori austriaci, e di
essersi stupito che la Repubblica non si fosse fatta viva con lui
per chiedere notizie sugli stessi. Doveva avvisare però che essi
erano "spiantati che fecero tante volte naufragi nel mare
burrascoso della vita". Egli era in grado di suggerire altri
individui, decisamente più seri e corretti, che di certo non
avrebbero "in nessuna guisa compromesso i principi dello Stato"
qualora si fosse voluto creare il casinò. (6)
Ma la Reggenza era
già da qualche giorno alle prese con la faccenda creata da
Malpeli, per potersi preoccupare di quanto suggeriva Coloman.
Probabilmente la grana scoppiò negli ultimi giorni di settembre,
perchè in data 27 venne inviata dalla Reggenza una convocazione a
Malpeli per via di "un affare di somma importanza e di grandissima
urgenza". (7) Egli però non si trovava a San Marino, ma era in
viaggio per Parigi. Coloman, che tramite telegramma del 29
avvisava le autorità di ciò, diceva anche di aver saputo che
Malpeli vi andava con pieni poteri per trattare la creazione di
una banca sammarinese. Invitava inoltre Fattori a Venezia per un
colloquio sulla faccenda. Gli fu risposto in giornata che era del
tutto falso che Malpeli avesse simili poteri, e che l'incontro a
Venezia era impossibile. (8) In seguito Malpeli tornò a San Marino
ed ebbe sicuramente colloqui con Fattori e con le altre autorità
locali, le quali, di certo bonariamente, pensavano che la
questione potesse fermarsi lì. In realtà Malpeli non desistette,
ma chiese al gendarme Domenico Mondini, suo subalterno in quanto
in quel momento era ancora il capo delle locali milizie, di far
apporre su due certificati di nascita suoi e di un membro della
sua famiglia le firme dei due Segretari. Ma leggiamo direttamente
la "Sentenza": "Avendo per avventura il sig. Belluzzi fatto
osservare che la firma del suo collega non era a quell'atto
necessaria, replicò il Mondini esser desiderio del Malpeli che vi
fosse apposta anche l'altra. Furono infatti le fedi presentate al
Comm. Fattori che non avendo in ufficio il sigillo, mandò lo
stesso Gendarme a prenderlo in casa. E questi era di ritorno
dall'aver eseguita la commissione quando gli si fè incontro il
Malpeli e nel sollecitarlo pel disbrigo di quella bisogna, saputo
che appunto era per portare al Comm. Fattori il sigillo, che nella
sua custodia aveva fra le mani, arditamente glie ne fece
richiesta. Nell'animo del buon soldato tenzonarono certo il
rispetto al Comandante delle Milizie con la gelosia dell'incarico
affidatogli. Se non che con garbo facendo a quello comprendere che
non poteva egli prestarsi alla richiesta, lo pregò a volersi
recare in Segreteria:ciò che appunto il Malpeli voleva scansare.
Ond'è che postosi un dito alla fronte, quasi preso da una nuova e
diversa idea, si ritirò dicendo che avrebbe rimediato in altra
guisa. E' lecito argomentare che quelle due firme e quei due
suggelli servissero di esemplare a quella falsificazione, alla
quale si accingeva".
In definitiva
Malpeli stava cercando il modo di creare il documento richiestogli
dai finanzieri francesi. Il 19 ottobre questo documento fa la sua
prima apparizione, perché Malpeli lo presenta al console italiano
Lossada, con la richiesta di legalizzare le due firme che lo
siglavano, ovviamente quelle dei due Segretari di Stato. Lossada
in seguito dirà di aver legalizzato il documento in data 25. "La
buona fede del Console fu certo sorpresa e dalla qualità della
persona che a lui si presentava, e dalla parvenza materiale del
documento: come è pur ragionevole il dedurre che egli non avesse
nè agio, nè voglia, come non ne aveva il dovere, non pur di
leggere il contesto dell'atto stesso, ma di considerarne la
perversa natura; dal che forse un sospetto gli sarebbe balenato
alla mente". Fatto sta che egli lo legalizzò, rendendolo così
valido a tutti gli effetti. Questo è il documento in questione:
"CONCESSIONE DI S. MARINO
comando superiore delle milizie
della
Repubblica di S. Marino
In Nome di Dio e della Serenissima
Repubblica di S. Marino
Noi Generale Palamede Malpeli,
comandante le Forze Militari della Repubblica, Ministro di Polizia
a vita, e Ministro Plenipotenziario della Serenissima Repubblica
accordiamo e concediamo a Sua Eccellenza il Barone Ottocar
Prochazka I. R. Tenente Maresciallo al servizio di Sua Maestà
l'Imperatore d'Austria per la durata di cinquant'anni partendo
dalla data della presente concessione, con privilegio esclusivo ed
irrevocabile, il diritto di creare sul territorio della Repubblica
uno Stabilimento di bagni di acque minerali e comuni con un
Casino, nel quale saranno delle sale di lettura, di conversazione,
come pure sale per feste da ballo, concerti, giuochi ecc. alle
seguenti condizioni:
1° I terreni necessari per costruire
il detto Stabilimento saranno comprati dal concessionario a suo
talento, ed il sottoscritto promette il suo concorso ed appoggio
per detta acquisizione. Il Concessionario avrà diritto di
costruire dappertutto, ove credesse utile, ed avvantaggioso per la
Società imprenditrice, dei Tramways, delle Strade, delli
acquedotti, dei gazometri, e delle stazioni telegrafiche.
2° Alla espirazione della presente
concessione tutte le costruzioni, come pure tutti gli stabilimenti
di ogni specie saranno unitamente ai terreni proprietà del
concessionario, ovvero de' suoi rappresentanti, mentre i lavori di
stabilità, i Tramways, gli acquedotti, le officine a gas, ed i
telegrafi faranno ritorno e resteranno di proprietà della
Repubblica.
3° Durante tutta la durata della
presente Concessione, saranno stabiliti dei giuochi di casino, e
resta inteso ed espressamente convenuto che fra questi giuochi
saranno compresi il Trente, Quarante, la Roulette, il Baccarat,
e tutti gli altri giuochi accettati nei Casini e Circoli d'Europa.
Le regole dei giuochi saranno fissate dal Concessionario, e
comunicate a Sua Eccellenza il Ministro di Polizia, il quale avrà
diritto di far sorvegliare i detti giuochi da un Commissario
nominato da lui ad hoc. Questo Commissario avrà uno
stipendio annuo da parte del Concessionario di franchi 4000. Ogni
adulto potrà avere accesso nel Casino, e nelle sale dei giuochi;
il giuoco però resta interdetto agli abitanti della Repubblica di
S. Marino, e dei distretti limitrofi del Regno d'Italia.
5° (sic) Il Concessionario ed i suoi
rappresentanti dovranno pagare agli stabilimenti di beneficenza ed
alle Scuole della Repubblica una somma annuale del 5% dell'utile
netto proveniente dall'esercizio della presente Concessione.
Questo pagamento avrà luogo ogni anno all'epoca in cui sarà fatto
e stabilito il bilancio. In seguito di tale pagamento il
Concessionario, ossia i suoi rappresentanti, saranno liberi ed
esenti da ogni altra imposta o carico di qualsiasi specie.
6° Sua Eccellenza il Barone Ottocar de
Prochazka avrà la facoltà di cedere e trasferire ad altre persone
la presente Concessione con tutti i benefizi e carichi della
medesima e di formare quella società che egli giudicherà
conveniente.
S. Marino 2 Settembre 1879
G.le Palamede
Malpeli
Repubblica di S. Marino li 3 Ottobre
1879
Letta ed approvata la presente
Concessione
Il Segretario di Stato per l'Interno
G. Belluzzi
Il Segretario di Stato per gli Affari
Esteri e Finanze
D. Fattori
Visto per l'autenticità delle firme
dei Signori Giuliano Belluzzi Segretario di Stato per l'interno, e
D. Fattori Segretario di Stato per gli Affari Esteri e Finanze
Il R. Console G. C. Lossada"
Con tale atto
Malpeli il 20 o 21 ottobre si recò a Rimini dove si trovavano
Prochazka e Krieghammer, e dove giunsero i capitalisti francesi
(Enrico Cauveau, Saverio Girardin, Emilio Catelain, ed un certo
ingegner Daru). Soddisfatti dell'atto, i Francesi si dichiararono
disposti a finanziare l'impresa con un esborso di 400.000 lire, di
cui 80.000 furono consegnate subito a Malpeli ed al suo socio
austriaco, 40.000 sarebbero state date dopo pochi giorni a Parigi,
ed il rimanente in tre anni tramite varie rate. Qualche giorno
dopo il gruppo si riunì nuovamente presso i Masi di Acquaviva per
concludere l'acquisto dei loro terreni alla presenza di un
avvocato (Ermenegildo Stambazzi) e di un ingegnere (Francesco
Montanari). Fu convenuto l'acquisto per 130.500 lire, ma durante
la stipulazione dell'atto sorse un dissidio tale intorno alla
caparra da mandare a monte tutta la trattativa. La compagnia si
sciolse probabilmente con l'intesa di trovare altri terreni,
poiché nei primi giorni di novembre vennero pagate dai Francesi le
40.000 lire pattuite, e circa nello stesso periodo apparve su vari
giornali la pubblicità dell'erigendo casinò che si annunciava
aperto per la primavera del 1880. Tutte queste voci misero in
allarme le autorià sammarinesi che, come si è detto, il 1°
novembre riunirono il Consiglio per esaminare il problema. In tale
occasione si provvide a sospendere Malpeli dalle sue cariche di
comandante delle milizie e di sindaco di governo, e si decise la
diffusione di questo editto per avvertire la cittadinanza
dell'accaduto:
"Cittadini,
In vicine e lontane contrade circola
da più mesi la voce, che sul territorio di questa Repubblica sia
per aprirsi una casa da giuoco. Il Governo scosso dal timore che
questa nostra diletta patria potesse anche per un momento perder
la fama della sua antica moralità, che la tiene sicura all'interno
e rispettata al di fuori, ha fatto smentire pei giornali la falsa
notizia, ma questa ogni giorno ha preso più consistenza per
l'opera di taluni corifei della bisca, che con insistenza inaudita
cercano guadagno a spese del nome onorato della Repubblica. Il
Governo interprete dei sentimenti della universalità dei cittadini
ed esecutore fedele della volontà del Consiglio Principe e
Sovrano, non si allontanerà menomamente dai precedenti decreti,
che hanno rigettato altre volte con isdegno siffatte proposte, e
quindi chi ama la patria e desidera la tranquillità e la
conservazione di essa, si unisca al Governo e non si lasci
adescare da promesse ed offerte pericolose e fallaci.
Cittadini,
Non è la prosperità materiale che
mantiene incolumi i liberi stati; vi vogliono le grandi virtù di
puri e fieri Repubblicani; quella abnegazione che nella povertà sa
rifiutare le ricchezze, quella fortezza che sa farsi incontro ai
pericoli, e quella magnanimità che sa respingere con disprezzo
chiunque si faccia ardito di corrompere il popolo e di attentare
alla pubblica salute. Guardatevi adunque da quelli che non
condividono queste nostre opinioni: il Governo è con voi e per
voi, come voi dovete essere col Governo e pel Governo, se vogliamo
vivere concordi e tramandare ai nostri figli salvo e intemerato
questo sacro retaggio di libertà."
Le voci relative al
fatto ed ai provvedimenti presi dal governo sammarinese giunsero
anche in Francia, ed i capitalisti che avevano finanziato
l'impresa cominciarono a capire il raggiro in cui erano caduti. Si
misero per questo sulle tracce di Malpeli (che nel frattempo aveva
versato 1.500 lire ai capicava Luigi Tonnini e Francesco Della
Balda per l'acquisto della pietra) e Prochazka per recuperare il
loro denaro, recupero che alla fine riuscì solo in modesta misura
(sembra per 36.000 lire). Anche i Segretari sammarinesi ovviamente
si decisero a denunciare Malpeli, contro cui fu emanato mandato di
cattura e richiesta di estradizione. Non si riuscì però mai ad
arrestarlo. Invece vennero arrestati il 13 marzo 1880 a Vienna
Prochazka e Krieghammer: essi in seguito non vennero riconosciuti
colpevoli di aver falsificato il documento esaminato, per cui
furono prosciolti da ogni addebito.
Diversa sorte toccò
al Malpeli: gli furono riconosciuti i reati di tentata corruzione
(per cui fu condannato ad un anno di prigionia), e di
contraffazione di firme e di pubblici sigilli (per cui fu
condannato ad altri sette anni). Inoltre fu interdetto in perpetuo
dai pubblici impieghi, dall'amministrazione dei suoi beni per
tutto il periodo della pena, dall'esercizio dei diritti politici
per quattordici anni. Ugualmente gli fu proibito di far uso di
titoli nobiliari, e di riceverne, sempre per quattordici
anni. Venne infine condannato a risarcire tutte le spese ed i
danni economici a lui imputabili.
Furono fondamentali
per la determinazione della condanna alcuni fatti, e precisamente:
la deposizione di Fattori, alcuni documenti sequestrati nelle
dimore di Prochazka e Krieghammer, alcune loro dichiarazioni alle
autorità inquirenti, la perizia calligrafica sul documento
incriminato da parte di un esperto di Bologna (Gaetano Beccari).
Fattori dichiarò che Malpeli gli aveva offerto del denaro per
coinvolgerlo nell'affare, ma che aveva rifiutato con sdegno per
non essere complice in una questione tanto sporca ed illegale.
Nettissima fu anche la falsificazione di firme e di sigilli dello
Stato, testimoniata sia dal perito calligrafo, sia da alcune
dichiarazioni dei soci di Malpeli e dei suoi finanziatori, sia da
documenti scritti dallo stesso Malpeli, e finiti nelle mani delle
autorità giudiziarie. Il più importante è sicuramente quello
inviato da Malpeli ai capitalisti francesi il 9 dicembre 1879: "Il
mio Governo in seguito a rapporti ha aperto un'inchiesta contro di
me: mi ha sospeso dalle mie dignità: mi ha accusato di abuso di
ufficio e di furto. Il popolo attonito attende una soluzione! Voi
avete una Concessione firmata da me, che è stata buona per trovare
dei capitali, e per formare una società, ma non è buona per andare
a S. Marino. Ora dunque vi restano due cose a scegliere: o che voi
andiate a S. Marino per mostrare la Concessione ai Capitani
Reggenti, ed allora tutto è terminato per me. La concessione non è
né vera né valida per S. Marino: io sarò giudicato e condannato
subito ai lavori forzati. O che voi chiudiate la concessione nel
vostro burò, ed allora l'inchiesta contro di me non ha più alcuna
base; l'accusa cadrà; io riprendo il mio posto, il mio grado, la
mia autorità; il mio potere sarà molto aumentato, ed il popolo che
mi è affezionato sempre, si dichiarerà solennemente per me, ed io
sarò il padrone della situazione. Dunque, o Signori, a voi la
scelta. La mia posizione, la mia fortuna, la mia reputazione, il
mio onore e quello della mia famiglia, la mia libertà, la mia vita
stessa, tutto è in vostre mani. Parlate ed io sarò annientato. Ma
se voi provvedendo anche ai vostri interessi mi assicurate che
niuno vedrà mai la Concessione, allora io vado a S. Marino a
trionfare dei miei nemici, e l'affare riuscirà, e voi trionferete
anche di ogni difficoltà. Attendo la vostra risposta: la morte o
la vita!".
In un'altra lettera
di pari importanza scritta due giorni dopo a Chauveau, Malpeli in
pratica confessa di aver falsificato il documento:
"Vengo a confidarvi tutta la mia
posizione, nella quale per la felicità del mio paese io mi sono
posto. La Concessione è stata fatta da me, e per darle un più gran
valore io ho avuta la cattiva idea d'impegnare gli altri Ministri,
senza prevenirli. Io sono dunque responsabile di tutto ciò che i
giornali annunciano. Per evitare un processo e la mia rovina io
m'impegno a restituire e far restituire tutte le somme che sono
state versate da voi, e vi offro a dare una garanzia ipotecaria
sulla mia proprietà".
NOTE APPENDICE
2 - La difesa
Con prove tanto
schiaccianti a sfavore dell'imputato, ed altre ancora da me non
citate, ma riportate in appendice alla "Sentenza Malpeli", il
giudice Enrico Kambo non ebbe problemi ad emettere giudizio di
condanna in data 18 luglio 1881. Tuttavia Malpeli non se ne stette
tranquillo e silenzioso nel suo nascondiglio a subire il verdetto,
e divulgò un opuscolo indirizzato al Consiglio, stampato presso
una tipografia di Genova, in cui esplicava le sue ragioni. (9)
Egli criticò il sistema con cui si era giunti alla sua condanna
con argomentazioni per la verità piuttosto insulse e direi anche
grette, non certo degne di quel Palamede Malpeli conosciuto in
precedenza. Probabilmente la situazione in cui si era venuto a
trovare lo aveva messo in ginocchio anche psicologicamente. Di
certo doveva sembrargli strano l'essere finito nella polvere pur
vivendo in un Paese, anzi ai vertici di un Paese, dove in genere
tutto si poteva risolvere bonariamente e senza subire grossi
traumi, specie per gli oligarchi che comandavano. Ma leggiamo
direttamente alcuni stralci di questo suo opuscolo:
"Eccellenza! Sul cadere del 1879 una
Lettera di un tal Stubenrank, uomo pregiudicato e di nessuna
reputazione nel suo paese, mi denunciava al mio Governo come
autore di una Concessione per un Casino di giuoco a S. Marino: e
la Reggenza d'allora, con un procedere abbastanza singolare negli
annali della nostra politica interna, me assente e inconsapevole,
portò l'accusa innanzi all' E. V. e ne ottenne l'immediata mia
sospensione dall'ufficio di Comandante Superiore delle Milizie, e
l'ordine di un'Inchiesta sul fatto addebitatomi, commettendola al
Commissario della Legge, l'egregio Avvocato Giacomo Reggiani. Così
una tale Inchiesta, che, allo stato delle cose, non poteva essere
che di natura assolutamente politica, veniva affidata ad un Uomo
quasi nuovo fra noi, estraneo ai nostri sistemi tradizionali di
governo, ed ignaro (per così esprimermi) della nostra vita
politica di famiglia: - veniva affidata ad un Magistrato non
cittadino, cui (perché appunto tale) il senno dei nostri Maggiori
si asteneva per regola di chiamare a parte nelle cose di governo
fino ad impedirgli il libero accesso nello stesso Archivio
giudiziale. In questa scelta non mancò dunque da parte di chi la
propose un fine preconcetto a mio svantaggio: ma all'E. V. così
piacque e così pur sia".
Malpeli prosegue
facendo un rapido accenno al modo in cui era stato querelato dai
Segretari sammarinesi, ed affermando che a quel punto l'inchiesta
da politica era stata trasformata dal commissario della legge in
penale. Qui egli aveva qualcosa da ridire attraverso tre
"rimostranze": "1° - Il Commissario della Legge essendo stato
incaricato dall'E. V. di un'Inchiesta sul mio operato, non poteva
di sua propria autorità, anche dietro la querela dei
Segretarii, cambiar natura all'Inchiesta convertendola in Processo
penale, senza averne prima riportata l'autorizzazione esplicita
dalla stessa E. V. II° - I Segretarii dell'Interno e degli Esteri
non potevano adire il Commissariato della Legge per dar querela al
Comandante Superiore delle Milizie, sebbene sospeso dal suo
ufficio: ma dovevano rivolgersi direttamente all'E. V. se volevano
ottenere che fosse data una forma più rigorosa di Procedimento
contro l'ex Comandante medesimo. III° - Nel caso presente poi il
Commissario della Legge poteva tanto meno (dopo accettate le due
querele) dedicarsi alla redazione di un Processo penale, mentre
uno dei Segretarii querelanti era suo congiunto in affinità, e
legato con lui anche con vincoli di ufficio, essendo questi suo
immediato inferiore gerarchico come Cancelliere del Tribunale
Commissariale". Insomma Malpeli sosteneva di aver ricevuto un
grosso torto, e per questo chiedeva al Consiglio "che sia
dichiarato di niun valore legale il Procedimento Penale condotto a
compimento contro di me: salvo al medesimo il suo valore come
Inchiesta ordinata dall'E.V.".
Egli proseguiva
argomentando le sue tre contestazioni: "Sul primo motivo. Sebbene
la denunzia dello Stubenrauk non avesse dovuto avere alcun valore
dopo le ripetute smentite che il Governo della Repubblica,
saggiamente operando, aveva fatto inserire contro le dicerie dei
giornali sull'impianto di un Casino di giuoco; pure quella lettera
ebbe la ventura di trovar terreno favorevole, e fu il punto
d'appoggio per l'emanazione del Decreto della mia sospensione e
dell'Inchiesta sul mio operato. L'E.V. in questa circostanza volle
certamente dare l'esempio di una deliberazione energica passando
sopra a certi riguardi personali, che altre volte si sono usati
verso cittadini, e che ora potevano usarsi anche al Malpeli. Ma
nello stesso tempo l'E.V. non potè al certo dimenticare che il
Cittadino accusato era il Comandante Superiore delle Milizie, una
delle prime Autorità della Repubblica; che l'accusa di aver
tentato di erigere un Casino di giuoco servendosi dei mezzi che
gli procurava il suo ufficio, non apparteneva ai tribunali
ordinarii, ma interessava direttamente l'alta ragione di Stato; e
che quindi il giudicarne apparteneva esclusivamente alla Suprema
Autorità Sovrana. Dai termini stessi di quel Decreto risulta che
l'Inchiesta doveva aver per obbietto l'appuramento e la
constatazione dei fatti da parte dell'Incaricato dell'Inchiesta, e
il successivo Rapporto all'E.V. dei Risultati ottenuti per quelle
Determinazioni che alla Medesima sarebbero piaciute. Così essendo
le cose, il Commissario, dietro la querela dei Segretarii, avendo
convertita l'Inchiesta in Processo, ha sorpassato i limiti del
mandato ricevuto dall'E.V. e credendo possibile d'immedesimare in
una sola le due diverse autorità che rivestiva in quel momento, ha
snaturato il fine propostosi dall'E.V. nel suo Decreto. La qual
cosa Egli non poteva fare per le due seguenti ragioni. La prima si
è che nell'Inchiesta in proposito il fatto principale politico
preso di mira era e doveva essere il tentativo della erezione di
una Casa di giuoco: questo ne era lo scopo. I fatti incriminabili
che si fossero potuti incontrare per via non potevano essere
riguardati che come mezzi adoperati per raggiungere lo scopo
suddetto. Ora, quando il Commissario della legge convertiva
l'Inchiesta in Processo, invertiva l'ordine della sua Missione;
snaturava il fine della medesima dandole un diverso indirizzo;
cambiava l'apprezzamento dei fatti poiché faceva dei mezzi il
fine, e del fine un mezzo. Imperocchè in simili casi la ragione
penale debbe cedere il luogo e subordinarsi all'alta ragione
politica: e questo procedere trova il suo pieno riscontro nella
pratica delle più civili nazioni dei due mondi, specialmente in
quelle rette a sistema rappresentativo. Nella Storia dei
Parlamenti si trova spesso l'applicazione di questo principio; e
ne abbiamo degli esempi così recenti e conosciuti, che credo
superfluo il citarli. La seconda ragione poi si è che in base alle
nostre Leggi Statutarie (a cui certamente l'E.V. non ebbe in animo
di derogare col Decreto dell'Inchiesta) se io come Cittadino debbo
riconoscere l'autorità del Commissario della legge nei miei affari
privati; però come comandante Superiore delle Milizie non
riconosco nel Commissario stesso che un'altra Autorità a me uguale
in altro ramo di pubblica Amministrazione, che non ha alcun
diritto di sindacato sulle mie azioni, ne può ex se
chiamarmi a rispondere per abuso d'ufficio senza capovolgere tutta
l'armonia del sistema amministrativo politico. Per la qual cosa
nel caso presente essendo io accusato, non come privato cittadino,
ma come pubblica Autorità Superiore per abuso d'ufficio (sebbene
ora sospeso dall'ufficio stesso) riconoscer debbo ed assoggettarmi
al signor Avvocato Giacomo Reggiani Commissario della legge come
Incaricato speciale dell'E.V. a redigere un'Inchiesta a carico del
Comandante Superiore delle Milizie: ma non debbo più riconoscere
questa sua Autorità quando invece vuol procedere contro di me in
virtù della sua ordinaria giurisdizione per fatti compiuti come
Comandante Superiore, lasciando la forma d'Inchiesta e
sostituendovi quella di Processo penale. -Nel difendere questo mio
diritto più che difendere me stesso, credo di dover difendere i
diritti e le prerogative dell'alto Grado di Generale Comandante,
che mi venne affidato. E per queste due ragioni insisto perché sia
dichiarata la nullità del Procedimento come Processo penale. Vengo
al secondo motivo, che cioè i Segretarii non potevano adire il
Commissariato della Legge per dare querela al Comandante
Superiore, ma dovevano rivolgersi direttamente all'E.V. se
volevano che fosse data una forma più rigorosa di Procedimento
contro l'ex Comandante medesimo; altrimenti dovevano limitarsi a
comparire innanzi all'Incaricato dell'Inchiesta per emettere tutte
quelle Proteste e fare tutte quelle domande che avessero creduto
del caso a garantimento del loro onore e del loro interesse.
Quello che più sopra ho ragionato sulla natura speciale
dell'Inchiesta e sulla incompetenza del Giudice Ordinario, si
applica a fortiori rispetto ai Segretarii; per cui mi
dispenso dal ripeter qui gli argomenti già sviluppati. E pel fatto
dell'opposizione delle firme falsificate, mentre riconosco nei
Segretarii il diritto di chiamarmi a rispondere delle conseguenze
del fatto stesso verso di loro in via civile, nego ai medesimi
il diritto di chiamarmi in giudizio penale, senza la preventiva ed
espressa autorizzazione dell'E.V. Passo al terzo motivo di
nullità, e cioè l'affinità del Giudice Processante con uno dei
querelanti, e le loro relazioni di ufficio. Questo motivo basta
accennarlo, essendo chiara la legge. -L'essere il Giudice
Processante marito della Sorella della nuora di uno dei
Querelanti, il Nob. Giuliano Belluzzi: l'essere questi nella sua
qualità di Cancelliere del Tribunale il primo dipendente in ordine
gerarchico dal Giudice sunnominato: l'essere inoltre lo stesso
figlio del Querelante il marito della Cognata del Giudice ed
insieme anch'Egli Sostituto Cancelliere: oltre a ciò la ben nota
influenza esercitata dai Cancellieri fin dall'epoca del Petri
di buona memoria: la sostituzione fatta (anche questa con
altro Parente) per mostrar di salvare le apparenze legali
nell'ufficio di Sostituto; -sono questi altrettanti fatti che
costituiscono nell'avvocato Reggiani l'incompetenza personale a
procedere nella mia Causa in qualità di Giudice Ordinario. Nè mi
si opponga che l'E.V. abbia sanate implicitamente le irregolarità
della Procedura coll'approvazione dei successivi provvedimenti in
ordine al Processo stesso. Io invoco in ogni caso che sia tenuta a
mio riguardo la stessa condotta che fu osservata in favore del fu
Consigliere Francesco Valli, quando all'epoca del primo Censimento
sollevò contro di me, Reggente in quel tempo, la stessa eccezione:
-vertenza non mai risoluta malgrado le mie reiterate istanze! E
tutto ciò senza pregiudizio degli altri motivi intrinseci di
nullità, che potessero emergere dalla tela del Processo in parola,
allorquando il medesimo mi venisse fatto ostensibile: fra i quali
motivi mi piace fin da ora rilevar il seguente; e cioè, la nomina
d'un Procuratore Fiscale Estero, fatta senza le indispensabili
formalità di legge. A questo punto l'E.V. mi permetta uno
sfogo troppo giusto al mio dolore. La suggestione data all'E.V. di
nominare nella Causa un Procuratore Fiscale Estero (sebbene io
ignori da chi provenga) si velava dell'ipocrito manto della
convenienza di usare imparzialità verso di me, mentre ciò non era
in fatto che un colpo mortale preparatomi dai miei implacabili
avversarii, come vengo a dimostrare. Il Cittadino della
Repubblica, come è soggetto alle sue leggi, così ha diritto a
quelle guarentigie che gli vengono dalle medesime: -guarentigie,
di cui non può essere privato senza commettere atto ingiusto,
tirannico, odioso. I Patrii Statuti prescrivono (e ben a ragione)
che il Procuratore Fiscale non solo sia cittadino, ma che sia
inoltre cittadino originario. Egli è il Rappresentante e il
Custode delle Leggi, il Difensore della dignità e dell'onore del
proprio paese. Per lunga esperienza sappiamo che solamente un
Cittadino e un Cittadino originario può comprendere l'importanza e
la responsabilità di questo delicatissimo mandato. E venendo al
mio caso dirò che come non vi era ragione sufficiente per nominare
un Fiscale estero, così trattandosi di una determinazione che è
contraria ad una legge fondamentale dello Stato, e che priva un
Cittadino di una guarantigia costituzionale, doveva per legge
essere presa con due terzi di voti segreti, sotto pena di
nullità. E vaglia il vero. Non si correva il pericolo che il
Fiscale nominato nel seno dell'E.V. potesse dare a supporre di
essere animato da qualche parzialità a mio favore. Infatti fra gli
Onorevoli Membri che compongono quest'Alto Consesso io non conto
alcun Parente; fra di essi nessuno né in Senato né in Piazza ha
preso le mie parti: nessuno in due lunghi anni ha inviato
all'esule una sola parola di conforto o di speranza, o di
compatimento. Incredibile, ma vero! Credo che in nessun incontro
siasi verificato meglio che in questo l'antico adagio: Si
fortuna perit, nullus amicus erit. Ma neppure eran da temersi
altri inconvenienti. In questo Augusto Consesso di Cittadini
integerrimi, di persone dotte ed onorande, era mai possibile che
non vi fosse un sol uomo capace di praticar la giustizia, di
rappresentare la legge? Era mai possibile che non vi fosse alcuno
che avesse la coscienza pura e il coraggio di scagliare la pietra?
Oh no, vivaddio! Il Senato della mia Patria è ancor composto di
uomini onesti, osservatori sinceri della libertà e della
giustizia. E' da questi che io ho il diritto di essere conosciuto
e giudicato e non da un Estraneo. La nomina di un Fiscale estero
non ha esempio nei nostri annali ed io protesto formalmente contro
la fina arte ed ipocrita, che mi toglie i miei Giudici naturali e
mi trascina innanzi a chi non sa ch'io mi sia; che cosa abbia
fatto nella mia carriera politica; nè può farsi un concetto di me,
che sotto la sinistra luca di un infausto Processo. Per le quali
cose tutte insisto presso l'E.V. perché voglia dichiarare in via
di giustizia, nullo ne' suoi effetti giuridici e legali il
Processo penale compiutosi a mio carico sulla querela dei
Segretarii dell'Interno e degli Esteri, dovendo al medesimo
rimanere l'unico suo valore d'Inchiesta e di Rapporto, secondo il
Decreto dell'Eccellenza Vostra".
In questo modo
Malpeli conclude la prima parte del suo esposto; ma ha ancora
qualcosa da aggiungere per "mettere i fatti succeduti sotto la
loro vera luce", e fornire la sua versione della vicenda. Così
tentava di recuperare presso la popolazione quell'immagine
di sè che ormai sentiva irrimediabilmente perduta, ed a cui teneva
di certo moltissimo. "Adesso che dopo due anni io posso sperare
che l'effervescenza degli animi si sia alquanto calmata; che il
timore dei pericoli minaccianti la patria sia svanito; che il
desiderio in alcuni di veder demolita ed annientata la mia
qualunque influenza, può dirsi pienamente soddisfatto; adesso mi è
dato sperare eziandio che si vorrà prestar fede alle mie parole
con pacato animo e con serenità di giudizio. Non proposito di
rivincite, non desiderio di riprendere un posto nel mio paese, ma
solo il dovere di lasciare un buon nome alla mia famiglia, mi ha
determinato a rompere il mio silenzio, ed indirizzare dal luogo
del mio esiglio all'E.V. e ai miei Concittadini la mia ultima
parola di difesa e di preghiera". A sua difesa
Malpeli citava un colloquio intorno al casinò da lui avuto con
Antonio Modoni agli inizi del 1879, da questi in seguito
casualmente riportato in un suo libro (Sul Titano. Note di un
Alpinista, Imola 1879). In quell'occasione Malpeli avrebbe
sostenuto che San Marino non avrebbe mai accettato l'impianto di
un casinò "a prezzo di vedere trasformata la nostra pacifica
Repubblica in un covile di immoralità e di sventure domestiche",
dimostrando quindi, poco prima che scoppiasse la grana che lo
aveva visto come principale protagonista, di sapere che era
impossibile una simile speranza, per quanto conveniente fosse per
le finanze locali, e di essere concorde nel non voler una simile
struttura all'interno della sua patria. Ma allora perché tutte le
macchinazioni di cui si era reso responsabile? Ecco le sue
spiegazioni: "Io dirò schiettamente la verità all'E.V. e ai miei
Concittadini, colla fiducia che se nei presenti e nei passati
tempi la Storia perdonò ad uomini di governo i tradimenti, gli
spergiuri, le spogliazioni, gli assassinii commessi sotto l'egida
dello scopo del pubblico bene o della pubblica salute; anche a me,
che non son creduto reo di tanto, non vorrà mancarmi la generosità
degli Onesti, i quali non vorranno farmi troppo carico, o
imperdonabile peccato del Piano, che io aveva escogitato a comune
vantaggio di questo Popolo, e a cui detti mano per tradurlo ad
effetto, ma impegnandovi esclusivamente la mia personale
responsabilità, come vado ad esporre. Il 1° Aprile 1879 una
persona di qualche qualità si presentava a me, facendomi una delle
solite proposte per erigere a S. Marino un Casino di giuoco. Detti
la medesima risposta negativa, che veniva riportata dal Cav.
Modoni. Ma insistendo il Proponente in un modo veramente unico, e
considerando meco medesimo la necessità nel nostro popolo di
approfittare di una qualche risorsa finanziaria, mostrai di
arrendermi alle sue sollecitazioni, e gli promisi il mio appoggio
e la mia opera. Qui spiegherò il mio pensiero, il mio Piano e i
miei reconditi intendimenti. In questa leale spiegazione sta, o
Eccellentissimo Consiglio Principe e Sovrano, la mia accusa ed
insieme la mia difesa. -Proposi meco medesimo d'incoraggiare e
favorire con tutti i mezzi che erano in mio potere l'impianto
della Società speculatrice fino al momento che questa sarebbe
arrivata al punto di aprire al pubblico le sue sale. Allora con
un'abile diversione e con una ritirata a tempo, io mi sarei
dimesso dal mio ufficio; ed avrei lasciata libera, anzi avrei
aiutata l'azione governativa a fermare la Società speculatrice nel
suo cammino, e a volgere a totale beneficio del paese i Capitali
spesi ed impiegati da lei-. E' chiaro infatti che la Società
speculatrice, tenendosi nei limiti della stretta legalità, avrebbe
potuto per un lasso di tempo di almeno due anni, spendere ed
impiegare nei preparativi moltissime somme nel nostro territorio
coll'acquistare terreni, erigere stabilimenti, costruire alberghi,
aprir strade ed altro. Giunto poi il termine fatale, e mancando lo
scopo del giuoco; tutti i vantaggi ottenuti sarebbero rimasti
senza molta difficoltà al paese. Così, non molto tempo fa
succedeva in Ispagna, quando gli speculatori Dupressois e C.
vollero avventurarsi in base ad una Concessione data loro da Don
Carlos; e che poi non fu riconosciuta dal Governo presente. Forse
alcuno taccerà il mio Piano di mala fede; ma oltrecchè
quest'accusa non poteva ricadere sul Governo di S. Marino ma solo
sulla mia persona; non credo poi che una Società di speculatori
siffatti meritasse di esser trattata con tanti scrupoli. Fine
ultimo poi del mio Piano, era quello di dare in questo modo una
tal terribile lezione agli speculatori delle Case di giuoco, da
liberare per sempre nell'avvenire la Repubblica dalle loro
insistenti domande. Io so bene che in questi casi la sola riuscita
giustifica l'ardimento dei mezzi e porta al trionfo; come
l'insuccesso o la sconfitta porta al biasimo e alla ruina. E il
biasimo e la rovina son toccati a me: inutile che io (e forse
qualche altro) ora rimpianga le cause fatali che l'hanno prodotti.
Tuttavia l'E.V. ha ora in mano il filo di Arianna per adentrarsi
nell'esame del mio Processo; per dare ad alcuni atti che
sembrarono troppo irritanti il loro vero valore; per mettere i
fatti sotto la loro vera luce e per escludere tutto ciò che fu il
portato della sovra-eccitazione degli animi. Né io farò qui la
storia delle lunghe trattative, in cui fui ingolfato da esperti
mestatori; non enumererò le diverse fasi che dovetti attraversare
fino a conceder cose che non erano certamente nelle mie
previsioni, poichè la esposizione dettagliata ne sarebbe assai
lunga e mancante di una utilità relativa: ma mi restringerò
solamente a scagionarmi delle accuse che mi si rivolsero con tanta
imponenza di forme e che non riguardano che i mezzi da me posti in
opera per tradurre ad effetto il mio Piano prestabilito. -Queste
accuse si riassumono nelle seguenti:
I° L'apposizione delle firme
falsificate dei Segretari dell'Interno e degli Esteri ad un Atto
di Pseudo-Concessione firmato da me;
II° La truffa di una somma di danaro
in danno di alcuni Banchieri Francesi, in seguito di detto Atto: e
III° La tentata corruzione del
Segretario degli Esteri.
Vengo alla prima accusa. La
falsificazione delle firme dei Segretarii e dei relativi Sigilli
sull'atto di Pseudo-Concessione da me firmato, è il fatto più
saliente di cui vengo imputato in ordine all'impressione che ha
prodotto e all'importanza che gli si è voluto attribuire: ma non è
certo il fatto che importi la maggiore responsabilità in ordine a
tutta questa vertenza, poiché (mi giovi ripeterlo) non debbonsi
scambiare i mezzi col fine; né far prevalere quelli a questo.
Epperò volendo e potendo io giustificare per quanto è dato a me il
mio operato, dirò alla bella prima; -che io ho ritenuto di non
aver incontrata alcuna responsabilità penale, a stretto rigore di
legge, consentendo che fossero apposti sigilli e firme falsificate
ad un atto, che era esso pure nullo e di niun valore, perché non
redatto secondo le consuete firme legali e costituzionali-. Ed
invero un Documento falso perché possa essere considerato come
tale, suppone l'esistenza possibile di un Documento identico vero
e valido. Ma nel caso presente, ammesso anche pel momento che vi
fosse un altro identico Documento colle firme vere dei Segretarii,
non per questo il Documento stesso avrebbe diritto ad un grado
solo di più di valore. E ciò per l'evidentissima ragione che un
Decreto Sovrano deve portar la firma dei Capitani Reggenti e
quella del Segretario del Consiglio, e riferirsi al
Senato-Consulto relativo. Ogni altra forma non è né
costituzionale, né legale. Impertanto la Pseudo-Concessione data
da me al Barone Maresciallo Prochazka era un atto di niun valore
legale in se, ed era quindi cosa affatto indifferente e secondaria
la verità delle firme apposte in fondo al Documento. Quest'atto
potrebbe paragonarsi ad un Biglietto di Banca fatto in modo
cervellotico, e firmato da altre Autorità che quelle del Direttore
e del Cassiere della Banca stessa. Non per questo un tal Biglietto
potrebbe dirsi falso. Esso è semplicemente senza valore. Ben
altrimenti però si sarebbe dovuto considerare la cosa, se invece
dell'apposizione delle firme falsificate dei Segretarii, fossero
state apposte le firme false dei Reggenti sotto un Atto redatto
come di uso. In questo caso si sarebbe trattato veramente di un
caso di falso propriamente detto ed in tutto il significato legale
della parola: ma nel caso in quistione gli estremi del falso non
esistono, non potendosi sceverare la quistione della nullità
dell'atto da quello della falsità delle firme in esso esistenti.
Ed a maggior sostegno della mia tesi, mi giova richiamare quella
Sentenza emessa da quel celeberrimo Criminalista che fu il Prof.
Giuliani, nostro Giudice di Appello, nella Causa penale contro un
tal Balducci estero, imputato di aver smaltito sul territorio
sammarinese alcuni Biglietti falsi della Banca Nazionale Italiana.
Il Magistrato dichiarò non farsi luogo a procedere contro il
Balducci per la ragione che i Biglietti della B.N. non erano stati
riconosciuti legalmente dal Governo della Repubblica. Ora che si
sarebbe mai detto se altri avesse voluto sceverare la quistione
della falsità dei Biglietti, da quella della falsità delle firme
esistenti nei Biglietti stessi, per farne contro il Balducci un
titolo speciale di reato? Dichiaro però che con ciò non intendo di
esonerarmi dalla responsabilità che ho per quel fatto incontrato
verso i Segretari abusando del loro nome: ma questo non può uscire
dalla linea civile, come sopra ho detto.
Altra accusa
è quella di tentata corruzione del Segretario degli Esteri. A
questa non ha che a rispondere poche parole, parendomi di non
poter credere a me stesso che il Segretario degli Esteri -il
Commendator Domenico Fattori- abbia potuto lanciare a Malpeli una
tal specie di accusa!....Certo non nego che nel colloquio tutto
confidenziale avuto con lui, gli espressi le mie viste politiche e
parte dei miei intendimenti, e lo domandai se avesse voluto unirsi
a me nell'affare; ma la conversazione fu ben lungi dal degenerare
in tentativo di corruzione. E' vero che in simili casi il pubblico
funzionario ha diritto alla piena fede, ma però ad una condizione
sanzionata dalla giurisprudenza pratica, che cioè questo pubblico
Funzionario non deve porre tempo in mezzo a denunziare il
colpevole alla competente Autorità, affinchè questa possa
raccogliere tutti i possibili elementi di prova in presenza
quasi del reato, elementi che col porre tempo in mezzo,
facilmente possono svanire. Il Comm. Fattori avrebbe dunque
mancato allora al suo dovere, e la sua tardiva
dichiarazione non ha che il torto di un caso ripensato, e il
merito del calcio dell'asino a chi è caduto.
La terza accusa che mi si è
fatta è quella di truffa di danaro a danno dei Banchieri
concessionarii. Anche a ribattere quest'accusa sarò breve,
esponendo a mia difesa la mancanza di due elementi neccessarii a
stabilire la truffa. Il primo è quello di un mezzo
sufficientemente ragionevole a produrre la truffa: il secondo è la
mancanza di querela che in ogni peggior caso i Banchieri non
potrebbero rivolgere legalmente che contro il solo Barone
Prochazka. Manca, dico, il mezzo sufficiente a produrre la truffa.
-Presso il R° Notaio, Cav. Casaretto di Rimini esistono documenti
(cui fin da ora autorizzo il lodato Notajo a rendere ostensibili a
chiunque) in virtù dei quali i Signori Banchieri Francesi
dichiarano che le somme da me ricevute erano state improntate
verso la semplice promessa verbale con cui m'impegnavo presso il
mio governo ad ottener loro una Concessione per l'impianto di un
Casino di giuoco. E ciò sta in perfetta armonia coi fatti.
Imperocchè i Banchieri ben sapevano per mezzo di una mia lettera
scritta a loro durante le trattative e che deve esistere in atti,
che vera Concessione non poteva essere data se non dal Consiglio
Principe e Sovrano e con Senato-Consulto firmato dalla Reggenza:
sapevano benissimo che l'Atto firmato da me, e di cui gli avrei
messi in possesso aveva un valore molto relativo: ma essi sapevano
pure che sebbene quest'atto non formasse in loro fondamento sicuro
a diritti per venire a S. Marino, speravano però di regolarizzarlo
in seguito, ed intanto serviva al loro intento questo simulacro di
Concessione per avere in mano un documento di apparenza legale
allo scopo di costituire e montare una Società di Capitalisti, di
trovare insomma gli Azionisti soscrittori, come in effetto li
trovarono. Essi furono tratti solamenti in inganno sulla
veridicità delle firme del Segretarj, la qual cosa non può
qualificarsi rigorosamente per inganno, sia perché la firma dei
Segretarii vera o falsa che fosse non dava o non toglieva il
valore intrinseco a quella Pseudo-Concessione: sia perché essi
essendo venuti più volte sopra luogo potevano e dovevano
accertarsene personalmente se avessero attaccato un pregio così
capitale alle firme dei Segretarii. In quanto poi al secondo
elemento neccessario, la querela; questa non vi è (che io mi
sappia), nè vi potrebbe essere, perché la legge non può accordare
questo diritto fra complici in cause immorali, quali sono appunto
quelle per titolo di giuoco. Esistono sentenze del Prof. Giuliani
che confermano questo assioma. E tutto ciò senza pregiudizio di
molte altre ragioni che potri produrre per annullare la querela e
l'accusa. Del resto ognuno sa stragiudizialmente che io sebbene
non obbligato per legge, ma per solo sentimento di delicatezza ho
restituito in massima parte il denaro ricevuto, ed avrei
rimborsato a quei Signori anche il resto, se un Decreto di questa
Autorità giudiziaria (che dal lato della giustizia lascia molto a
desiderare) non vi avesse posto un ostacolo insormontabile.
-Palamede Malpeli fu più volte truffato; ma non fu mai un
truffatore!...
A queste tre accuse risultanti dal
Processo debbo aggiungerne un'altra non meno grave, che so venirmi
fatta da diversi Cittadini; di aver cioè tentato di corrompere e
dominare la classe degli Artigiani, aizzandola contro il Governo o
contro le persone che lo compongono. Quest'accusa non è esatta, ed
è per lo meno azzardata e maligna: ed io sento tanto più il
bisogno di purgarmene, inquantochè ho la convinzione che il
Processo intentatomi sotto la forma estrinseca di Processo per
reati comuni, non è in sostanza che un mezzo per velare una
Persecuzione politica, per annientare per sempre la mia qualunque
reputazione ed influenza nel mio paese. Questa è la solita arte
dei Partiti. Chi non poteva tollerare in me qualche pò di
spirito innovatore e le simpatie per la Classe degli Artieri e
degli Operai; chi non divise con me le fatiche e i dispendii per
la salvezza della patria durante il memorando cordone militare, ma
si ritrasse lungi prudentemente sui monti a vederne la fine; chi
ebbe invidia o sdegno di veder la sua firma sulle frontiere non
ottenere rispetto come la mia; chi aveva il peso della gratitudine
per qualche servigio ricevuto, non poteva non augurarmi un passo
falso, non poteva non desiderare una rivincita per mostrare alla
pubblica opinione che ben altri erano i veri sostenitori della
Repubblica. Durante tutto il tempo delle trattative col Barone
Prochazka nessuno degli uomini di governo che mi si professavano
amici (neppure quei due primari Cittadini coi quali l'E.V. mi
associò per darne pubblica testimonianza con speciale
Senato-Consulto di onore per gl'importanti servigi resi al paese);
nessuno ebbe per me una parola, un consiglio, un avvertimento. Ma
succeduta la crisi, tutti sorsero compatti per far eco alle accuse
contro di me, per aggravarle innanzi al pubblico mettendomi in
mala fama; per contribuire a moltiplicare gli atti odiosi che si
ripeterono in gran numero contro di me. Ma tornando all'accusa
dichiaro all'E.V. e agli uomini di governo, che se l'idea di
utilizzare il favore del popolo poteva entrare nei miei calcoli a
conseguire il fine propostomi; io sapeva del pari che il
Patriottismo del Popolo Sammarinese è a tutta prova; e che questo
Patriottismo lo avrebbe appunto arrestato là ove era d'uopo di
fermarsi.Ne abbiamo avuto un esempio tanto calzante nel fatto
della emigrazione, che credo ben fatto dispensarmi dal farne
l'applicazione al caso presente! Confermerò per ultimo questa mia
dichiarazione col far osservare che nel fatto non ha mai
approfittato di questo mezzo, perché avendo potuto impadronirmi
delle Cave per conto mio nel modo il più facile, non volli
farlo ad onta degli altrui suggerimenti; e che le somme che
sborsai in acconto ai capi-cave in luogo di restituirle ai
Francesi, furno sborsate in seguito di un intrigo ordito da quegli
stessi, che mi hanno accusato, La qual cosa è pubblica e notoria.
Fin qui la mia difesa. Ora non mi
resta che innalzare un umile preghiera al mio Principe;
all'esaudimento della quale subordino rispettosamente la domanda
in via di giustizia nella prima parte di questa memoria. Chieggo
l'Amnistia contemplata dagli art. 104 e 105 del Codice Penale:
quell'Amnistia che fu proposta già anche dalla Francia nella
Repubblica di Andorra, per fatti consimili, ma molto più gravi.
Imploro quest'atto di Sovrana Clemenza più che per me, per l'onore
della mia famiglia e per le mie figlie principalmente. In quanto a
me, ferro già rotto e reso inutile per l'avvenire, soscrivendo fin
d'ora ciecamente alle condizioni a cui piacesse all'E.V. di
subordinare l'Amnistia per l'interesse e pel decoro della
Repubblica; sarò sufficientemente soddisfatto se potrò nella pace
e nell'oscurità terminare l'ultimo periodo di una vita, che fu
piena di così amare delusioni. Voglia l'E.V. benevolmente
ricordarsi, quando dietro le sue più vive istanze sul principio
dei miei studi universitarii, fui costretto ad accettare l'ufficio
di Consigliere, e poi subito a rinunciare anche ai tre anni di
proroga, per assumere la suprema Magistratura della Repubblica in
difetto di altri cittadini eleggibili. Dall'avere interrotta la
carriera degli studi derivò la serie di tutti i miei guai privati
e pubblici. Che l'E.V. me ne voglia benevolmente tener conto!...Il
Maresciallo Barone Prochazka, che fu parte principale di questo
Dramma, venne assoluto dal Giurì del suo Paese. Credo che a chi mi
conosce un poco, io possa liberamente colla certezza di ottener
fede, che il Maresciallo fu assai più colpevole di me, e che io
non fui che una vittima dei suoi intrighi e del suo egoismo. Che
Egli fosse colpevole, fu pure il giudizio della stampa italiana
che assistè al suo Dibattimento a Vienna, come può leggersi nei
Giornali di quell'epoca. Eppure i Giurati assolsero unanimamente
il Maresciallo! Perché? E' questa una domanda a cui il
Patriottismo di ogni buon cittadino può dare un'equa e conveniente
risposta. E anch'io voglio sperare, e credo di poter sperare con
più fondamento in questo Patriottismo da parte dei Membri del
Sovrano Consiglio; i quali oggi, dopo due anni, vorranno anteporre
a qualunque considerazione, la magnanimità e la clemenza nel
giudicarmi: e non vorranno esser inferiori ai Giurati Austriaci
nel mostrarsi gelosi della loro dignità, nel mostrarsi corrivi e
sensibili verso chi ha pur reso qualche servigio alla Patria!".
Mi scuso per la lunghezza del
documento e per non averlo riassunto, ma non ho voluto rischiare
di snaturarlo, perché le vive parole di Malpeli sono senz'altro
più esplicite di qualunque riassunto che se ne poteva fare. Come
si sarà constatato direttamente, le argomentazioni che Malpeli
porta a sua discolpa sono piuttosto fragili, e scaturite
verosimilmente dal fatto che argomentazioni più robuste non ne
aveva. Egli non discute mai la sua colpa, che quindi è da
ritenersi inconfutabile, ma il modo in cui lo si era incolpato ed
infine incriminato. Personalmente questo suo ultimo scritto mi ha
fornito l'impressione di un uomo disarmato e distrutto, ormai
disposto ad arrampicarsi sugli specchi pur di produrre qualche
beneficio alla sua causa. La scusa poi di aver fatto tutto per
dare una lezione memorabile agli speculatori è addirittura
squallida ed indegna di una mente che in altre occasioni si era
dimostrata fin troppo sottile.
Ecco, direi
proprio, invece, che Malpeli si è cacciato nel guaio di cui si è
parlato plausibilmente per troppa sottigliezza, per eccessivo
machiavellismo. Egli era ai vertici della Repubblica già da
vent'anni, e sapeva bene come andavano qui le cose: San Marino era
un paesotto gestito familiarmente da sereni patriarchi che
accomodavano con bonarietà i problemi man mano che sorgevano,
senza drammi né inutili ostentazioni, senza proclami né focose
arringhe politiche. La sua tranquillità era data proprio da questo
sistema di conduzione casalingo che stava bene un po' a tutti, e
da cui tutti avevano sicuramente qualcosa da guadagnare. Certo più
di tutti i patriarchi stessi, che pilotando la piccola barca a
turno avevano la possibilità di solcare tutti i mari senza troppe
interferenze e controlli.
Non mi si
fraintenda: non voglio dire tramite metafora che chi governava era
dedito a costanti ruberie, o comunque a curare principalmente i
propri interessi e basta. Non ho le prove per farlo, mentre vi
sono innumerevoli prove che ai vertici della Repubblica si son
sempre trovate persone pronte ad adoperarsi in tutte le maniere a
suo vantaggio. Ma se anche si trovassero le prove, non mi
scandalizzerei più di tanto, soprattutto in un periodo come quello
che stiamo finendo di esaminare. Voglio dire invece che il sistema
politico sammarinese, che in fondo era da sempre nelle mani di
pochi individui che si controllavano a vicenda, ma che potevano al
bisogno anche tutelarsi a vicenda, sicuramente poteva favorire
pensieri perversi in menti che, a forza di ragionare in termini
familiari e casalinghi, avessero perso del tutto di vista anche
quel minimo di equità ed onestà politica che comunque andava
garantita, anche in un sistema come quello di cui stiamo
dissertando.
Io penso che
Malpeli sia caduto in questo inghippo: sentendosi apprezzato ed
ascoltato da tutti, innovatore, destinato a salire ancora la
gerarchia del potere sammarinese, credette ad un certo punto
di essere libero di muoversi come voleva, perché comunque avrebbe
fatto bene, comunque alla fine le cose si sarebbero accomodate per
il meglio. Di certo a spingerlo lungo questo pericoloso cammino
erano state le personali esigenze economiche che lo pressavano
sempre più. In una lettera dell'8 settembre 1879 scritta a
Prochazka lo dice chiaramente: "Io trovo nelle sue parole ch'Ella
ha forte necessità di fare quest'affare; e per essere sincero dirò
che io pure mi son messo in quest'affare disgraziatissimo per
rimediare ad un mio bisogno".(10) Ma a dargli la fiducia che tutto
sarebbe andato poi bene, che avrebbe risolto la questione
familiarmente con gli altri oligarchi, era il sistema di cui si è
detto, la mentalità che dominava la locale classe politica ed in
cui lo stesso Malpeli, per quanto innovatore, beatamente si
crogiolava. Anche a sostegno di ciò si può produrre un brano di
pugno del Malpeli: "Allorchè il Barone Prochazka mandò il Sig.
Correnti a S. Marino per trattare con me la creazione di un Casino
con giuochi io gli risposi:-Bisogna entrare qui per la finestra:
non si può entrare per la porta. Il Consiglio Sovrano non darà mai
delle concessioni: ma noi abbiamo qui una grande libertà, e una
grande tolleranza. Bisogna dunque creare uno stabilimento serio
industriale, o commerciale per nascondere l'affare sotto un nome
legale; bisogna guadagnare il popolo coi lavori, col denaro, con
il benessere materiale perché nel nostro paese il popolo ha un
potere reale più forte del potere legale del Gran Consiglio; la
Polizia qui è debole, e la Polizia è nelle mie mani. Questo è
l'unico mezzo per giungere a far l'affare: questo è il tallone di
Achille". (11)
Malpeli è dunque
scivolato per colpa di un grave errore di valutazione, per
eccessiva ambizione, ed anche per quella spregiudicatezza dal
sapore provinciale che lo ha sempre caratterizzato. Egli non fu
mai amnistiato, anche se nella seduta consigliare del 18 marzo
1882 la sua pena detentiva fu commutata in dodici anni di esilio.
(12) Ebbe anche dopo la condanna chi simpatizzò per lui, tanto che
nel 1881 vi fu qualcuno che imbrattò molti muri del paese con la
scritta W P. Malpeli. (13) Ebbe comunque sicuramente contro i
giovani redattori dei primi giornali usciti a San Marino, ovvero
La Repubblica di San Marino, uscito per la prima volta
nell'ottobre del 1881, ed Il Giovane Titano, pubblicato per
la prima volta l'8 maggio 1881. Entrambi questi periodici
contengono articoli che sparano a zero su Malpeli. La
Repubblica di S. Marino del marzo 1882 (anno I, n. 6) ci
informa anche della sorte di Malpeli dopo la sua fuga: "Il Sig.
Palamede Malpeli, che fu arrestato due mesi or sono a Genova,
perché coinvolto in un processo per dolosa spedizione di un titolo
di rendita italiana, stato rubato ad un Banchiere di Alessandria,
fu in questi giorni assoluto. Secondo i trattati, egli sarà presto
consegnato al Governo Sammarinese, perché si proceda contro di lui
a senso delle nostre leggi".
In realtà Malpeli
non tornò più a San Marino. Secondo notizie che ci fornisce Nevio
Matteini, egli da esiliato trovò lavoro come maestro elementare a
Rossano Calabro, in provincia di Cosenza. (14)
Non so con
precisione quando sia morto, né dove.
Capitolo I
1) V. CASALI,
Il delitto Bonelli, San Marino 1992.
2) Archivio di
Stato della R.S.M. (da ora AS), Atti del Consiglio Principe
(Atti), vol. NN n° 37, b.20, seduta del 1-2-1855.
3) AS,
Protocollo generale del Carteggio della Reggenza (Prot.)1854-59,
lettera del 21-3-1855.
4)
Ibid., lett. del 4-3-56.
5) AS,
Atti, vol. NN n° 37, sed. del 14-9-54.
6)
Ibid., sed. del 17-10-54.
7)
Ibid., sed. del 29-5-55.
8)
Ibid., sed. del 24-6-55.
9) cfr.
P.P.GUARDIGLI, Terre e Torri, pp. 127-133.
10)
AS, Prot., lett. del 9-3-56.
11)
AS, Atti, sed. del 14-2-56.
12)
AS, Prot., lett. del 24-3-56 (n° 295), lett.del 3-4-56,
lett. 26-4-56.
13)
Ibid., lett. 12-5-56 (n° 318), lett. 23-5-56.
14)
Ibid., lett. 30-7-56, 16-6-56.
15)
Ibid., lett.
19-1-57, 9-2-57,
6-4-57.
16) AS,
Carteggio della Reggenza (Cart.), b.174, lett. n° 386.
17) cfr. V. CASALI,
op. cit., p. 220.
18)
cfr. AS, Atti Criminali 1856, b. 706/25.
19)
AS, Cart., b. 174, lett. n° 386.
20)
AS, Prot., lett. dell' 8-11-56.
21) Ibid.,
lett. del 22-11-56.
22) Ibid.,
lett. del 26,27,28-11-56, e del 1,8,9,-12-56.
23) AS, Atti.,
sed. del 23-10-56 e anche T. GIANNINI, M. BONELLI, (a cura di),
Raccolta delle leggi e decreti della R.S.M., Città di Castello
1900, p. 7. Questo decreto di certo scaturì dalla rinuncia alla
carica reggenziale di Marco Tassini, e dalle condizioni dettate da
Giambattista Braschi. cfr. V. CASALI, op. cit., pp.
154-160.
24)
AS, Prot., lett. dell' 8-1-57.
25)
Ibid., lett. del 19-1-57, 9-2-57.
26)
AS, Cart., b.174, lett. n° 472 A.
27)
AS, Prot., lett. del 20-2, 24-2, 21-3-57.
27a)AS, Cart.,
n° 523, b. 174. La relazione dovrebbe essere quella che ho già
citato nel "Delitto Bonelli" (p.102). cfr. AS, Cart., b.
169.
28) Su tutto ciò si
veda il Carteggio della Reggenza di questo periodo, e in
particolare la lettera di Marco Tassini del 23 giugno.
29) AS, Cart.,
b. 175, lett. n° 608 dell'11-7-57.
30) AS, Cart.,
b. 175, lett. del 18 e 20 luglio.
30a) Ibid.,
relazione del 4-6-57.
31) cfr. AS,
Cart., lett. n° 560 del 19-5-57. Questa lettera venne scritta
alla Reggenza dal rappresentante sammarinese a Roma Alessandro
Savorelli, il quale comunicò che monsignor Berardi era "sommamente
avverso agli indipendenti diritti del nostro Stato", e aveva
frapposto mille ostacoli alla nomina di un Incaricato ufficiale di
San Marino presso la Santa Sede.
32) AS, Cart.,
b. 175, lett. del 2-8-57, n° 630.
33) cfr. AS,
Cart., b. 175, 176, 176/2, lett. del 5-10, 14-10-57, 22-1,
24-9, 29-10-58. Fu il Vaticano ad osteggiare con forza la nomina a
console di Canuti, perchè egli era un "emigrato politico dello
Stato Romano".
34) La legge è
verbalizzata in : AS, Atti, vol. MM n° 36, sed. 28-8-42.
35)
cfr. AS, Cart., b. 175, lett. 30-10, 31-10, 3-11, 10-11-57.
36)
AS, Cart., lett. n° 43 del 28-4-65.
37)
AS, Atti, vol. NN, n° 37, sed. del 26-3-57.
La legge è
reperibile in: Raccolta delle leggi..., cit..
38) Ibid.,
sed. 4-6-57; sullo sviluppo delle strade sammarinesi cfr. anche:
F. BALSIMELLI, Superstites Viarum, in: Annuario del
Liceo-Ginnasio Governativo e Scuola Media, n. X, 1967-68.
39)
AS, Atti, vol. OO, n° 38, sed. dell' 11-3, 17-6-58.
40)
Ibid., sed. 18-10-58.
41)
cfr. AS, Atti, vol.
OO, n° 38, sed. del
17-2-59.
42)
Ibid., sed. del 10-4-59.
43)
AS, Prot., lett. del 23-4-59.
44) Su tutto ciò si
veda Prot. e Cart. di questi anni.
45) F. BALSIMELLI,
Storia delle rappresentanze diplomatiche e consolari della
Repubblica di San Marino, Urbania 1975.
46)
AS, Cart., b.177, lett. n° 290.
47)
Ibid., lett. n° 298.
48) Elenco dei
volontari sammarinesi che presero parte alle guerre e ai movimenti
insurrezionali per l'indipendenza italiana, riprodotto in
Il Delitto Bonelli, cit.
49) AS, Cart.,
b. 177, lett. n° 323.
50) Ibid.,
si vedano le lettere del 22-4, 30-4, 25-5, 30-5, 14-6-59.
51) cfr. Il
Delitto Bonelli, cit., p. 213 e segg.
52) AS, Cart.,
cfr. le lettere alle date indicate.
53) Su tutto ciò si
consulti: AS, Cart., lett. del 30-7, 19-10, 11-11,
16-11-59, 8-1, 30-1, 4-2, 5-4-60.
54) Lettera di
Oreste Brizi del 6-10-57 introduttiva al "Progetto di Statuto per
la Stella d'Onore Sammarinese", contenuta in AS, Registri dei
conferimenti di nobiltà, cittadinanza, ecc., b. 30-30/2.
55)
Ibid.
56)
AS, Prot., lett. del 7-11-57.
57)
AS, Cart., b.176, lett. n° 727.
58)
Ibid., lett. n° 743.
59)
Ibid., lett. n° 758.
60)
AS, Cart., b. 176/2, lett. n° 114.
61)
Ibid., b. 177, lett. n° 334.
62) Ibid.,
lett. del 14-7-58.
63) AS, Atti,
sed. del 13-8-59; cfr. anche Registri dei conferimenti...,
cit., b. 30 e 30/2.
64) Lo statuto è
reperibile in T. GIANNINI, M. BONELLI, op. cit., p. 631 e
segg. Dopo Eugenio Bonaparte i primi a ricevere onorificenze
sammarinesi furono: il Duca di Brabante (principe ereditario del
Belgio), Enrico D'Avigdor, il Visconte di Friant (capitano di
Napoleone III), un certo Armaud, segretario del ministro degli
affari esteri francese; costoro vennero decorati tutti in data 22
marzo 1860. Il 18 giugno vennero conferite altre onorificenze
ancora di cui una (cavalier gran croce) al ministro delle finanze
francesi Achille Fould.
65)
cfr. AS, Atti, vol.
LL, n° 35, sed del
13-3-38. Ulteriori notizie su Giuliano Malpeli sono reperibili in
IVO BIAGIANTI, Rapporti di produzione nelle campagne in età
moderna, p. 115 e segg., in AAVV, Il territorio e la gente
della Repubblica di San Marino-secoli XIV/XIX, Ancona 1993.
66) AS, Atti,
sed. del 30-10-59. Malpeli è il primo politico sammarinese che
mostra particolare desiderio e cura di lasciar stampate le sue
idee.
67) Il primo
censimento sammarinese è del 1865, per cui per gli anni precedenti
vi sono solo stime relative alla popolazione. In base a queste è
stato tuttavia calcolato che per secoli il numero dei Sammarinesi
è rimasto scarso e stazionario, tanto che negli ultimi decenni del
Settecento la locale popolazione è stata valutata intorno alle
tremila unità circa. Ai tempi del primo censimento, invece, il
numero dei residenti cresce enormemente fino ad arrivare alla
cifra di 7.080 individui censiti. Per ulteriori dati cfr. UFFICIO
STATALE DI STATISTICA (a cura di), Dinamica demografica ed
evoluzione sociale nella Repubblica di San Marino, San Marino
1975; ed anche P. MALPELI, Rapporto sul censimento della
popolazione fatto al general Consiglio Principe e Sovrano, 14
marzo 1865, Rimini 1865.
Capitolo 2
1) AS, Atti,
vol. OO, n. 38, sed. del 29-12-1859.
2) AS,
Prot., lett. del 6-1-1860.
3) AS,
Atti, vol. OO, n. 38, sed. del 25-2-1861.
4) AS,
Prot., lett. del 7-1, 17-1, 19-1, 25-1-1860.
5)
Ibid.
6)
Ibid., lett. dell'8-5-1860.
7) AS,
Cart., lett. n° 32, b. 178.
8) AS,
Prot., lett. del 21-5-1860.
9) AS,
Cart., lett. n° 40 e 53, b. 178.
10)
AS, Prot., lett. del 26-5 e del 16-6-1860.
11)
Ibid., lett. n° 71.
12)
Ibid., lett. del 2-7, 11-7, 13-7, 24-7, 9-8-1860.
13)
AS, Atti., vol. OO, n. 38, sed. del 7-10 e 20-12-1860.
13a)
AS, Cart., b. 178, n° 57, lett. del 23-11-1860.
14)
AS, Prot., lett. n° 82 del 13-1-1861.
15)
Ibid., lett. n° 101 del 4-2-1861.
16)
Ibid., lett. del 30-1-1861.
17)
Ibid., lett. del 4-2, 8-2, 11-2, 25-2, 22-3-1861.
18)
Ibid., lett. n° 32 del 5-5-1861.
19) F. ODORICI,
Il Conte Luigi Cibrario, e i tempi suoi, Firenze 1872.
20)
AS, Prot., lett. n° 33 del 5-5-1861.
21)
Ibid., lett. del 12-5-1861.
22)
Ibid., lett. n° 135.
23) AS, Atti,
vol. OO, n. 38, sed. del 26-8-1861.
24) cfr. Prot.
del periodo.
25) Ibid.,
lett. del 31-10-1861.
26) cfr. Prot.
del periodo.
27) Ibid.,
lett. n° 85 del 26-11-1861.
28) cfr. Prot.
del periodo.
29) Ibid.,
lett. 202 del 12-2-1862.
30) Sulla vicenda
si veda F. BALSIMELLI, Storia delle Rappresentanze...,
cit., p. 82 e segg.
31)
cfr. AS, Atti, vol.
OO, n. 38.
32) Lo si veda in
T.GIANNINI-M.BONELLI (a cura di), Raccolta delle leggi e
decreti della
R.S.M.,
Città di Castello 1900, pp.44-46. I donzelli dovevano essere
eletti dal Consiglio, e rimanevano in carica un anno, salvo
riconferma. Dovevano servire e seguire i Reggenti, tenendosi
sempre però "ad una conveniente e rispettosa distanza". Il
donzello del Reggente nobile aveva anche la funzione di "pubblico
trombetta", cioè di leggere sulla piazza di Città e su quella del
Borgo, gli editti o bandi pubblici, e altri compiti ancora.
Percepiva per questo altri sei scudi all'anno.
33)
Ibid., pp.64-65.
34)
Ibid., pp.24-26.
35) Sulle
Segreterie di Stato prime di questa legge si veda: C.MALAGOLA,
L'archivio governativo della R.S.M.,
San Marino 1981, (ristampa), pp.
112-115.
36)
cfr. AS, Atti, vol.
OO, n.38, sed. del
22 marzo 1860.
37) cfr.
T.GIANNINI, M.BONELLI, op. cit., pp. 631-636.
38)
AS, Attic, vol.
OO, n.38, sed. del
18 giugno 1860.
39) cfr. AS,
Atti, vol.PP, n.39, sed. del 2 gennaio 1862; e anche, Prot.,
lettere dell'8-12-60, 20-11-61.
40)
cfr. AS, Atti, vol.
OO, n.38, sed. del
12-5-61, Prot., lett. del 28-5-
1861.
41) Sul problema
della ricostruzione del Palazzo pubblico si veda: V.CASALI, San
Marino e il suo nuovo Palazzo Pubblico: storia di un'esigenza
secolare, in La Repubblica di San Marino e i segni
carducciani, San Marino 1993.
42) AS, Atti,
vol. PP, n.39, sed. del 26-4-1863.
43) Il documento è
riprodotto in Il delitto Bonelli, cit., pp. 126-129.
44) AS, Atti,
vol. PP, n.39, sed. del 26-4-63.
45) cfr. Il
delitto Bonelli, cit., pp. 63-67.
46)
cfr. AS, Atti, vol.
OO, n.38, sed. del
29-12-59.
46a) per tutti
questi dati cfr. AS, Conti Consuntivi dello Stato 1853-1864,
Conti Consuntivi dello Stato 1865-1874, Conti Consuntivi dello
Stato 1874-1885.
47) A. Garosci,
San Marino, Mito e storiografia tra i libertini e il Carducci,
Ed. Comunità, Milano 1967, pp. 313 e segg.
48)
cfr. AS, Prot., lett. del 10-12-1861.
49) A.Garosci,
op.cit.
50) sul Cibrario si
veda: F.ODORICI, op.cit., M.ARZILLI, Il Conte Luigi
Cibrario nei rapporti italo-sammarinesi, in "Libero
Orizzonte", a.III, n.5/6, 31-12-1962.
51) cfr. AS,
Prot., lett. del 16-2-62, n° 207.
52) Ibid.,
lett. del 27-2-62, n° 218, del 2-3-62, n° 221, del 5-3-62, n° 225,
del 10-3-62, n° 228, del 16-3-62, n° 232, del 16-3-62, n° 233, del
18-3-52, n° 236, del 20-3-62, n° 239, del 20-3-62, n° 240.
53)
Ibid., lett. n° 232.
53a)
cfr. AS, Atti, vol.
PP, n. 39,
sed.dell'11-10-1862.
54)
Ibid.
55)
Ibid., sed. del 2-6-1863.
56)
cfr. AS, Prot., lett. del 31-7-1862, n° 121.
57)
Ibid., lett. del 9-1-63.
58) Ibid.,
lett. del 29-3-63.
59) Ibid.,
lett. del 25-5-63.
60) Ibid.,
lett. del 10-11-63, n° 32.
61) Ibid.,
lett. del 28-4-63, n° 28, e dell'1-5-63, n° 32.
61a) Ibid.,
lett. del 24-1-60, n° 238.
62) Lo statuto è
riportato da T.GIANNINI, M.BONELLI, op.cit.
63) AS, Indice
alfabetico dei Decorati dell'Ordine Equestre, b. 30/2.
64) cfr.
T.GIANNINI, M.BONELLI, op.cit.
65)
cfr. AS, Atti, vol.
RR, n° 41, sed.
dell'11-1-1872.
66) AS, Atti,
vol. PP, n° 39, sed. del 20-8, 25-10-1863.
67)
AS, Prot., lett. del 17-1-1861.
68)
Ibid.
69)
Ibid,, lett. n° 132 B.
70)
Ibid.
71)
Ibid.
72)
Ibid., lett. n° 32.
73)
Ibid., lett. n° 38.
74) AS, Atti,
vol. PP, n° 39.
75) cfr. V.SPRETI,
C.FACCHINETTI PULAZZINI, La nobiltà e gli ordini equestri della
R.S.M., Milano 1935.
76) cfr. AS,
Prot., lett. del 21-12-1865, e del 30-1-1866.
77) Ibid.,
lett. del 20-5-1866.
78) cfr. V.CASALI,
San Marino e il suo nuovo Palazzo Pubblico..., cit.
79)
cfr. AS, Prot., lett. del 12-12-1862.
80) Ibid.,
lett. del 9-7-62, n° 100.
81) Ibid.,
lett. del 25-5, 9-8, 14-10-1863.
82) Sulla lotteria
cfr. AS, Prot., degli anni 1863-1864, e Atti, sed.
del 2-6-63, 16-11-63, 5-3-64, 23-6-64.
83) AS,
Carteggio, lett. n° 119 del 16-1-64.
84)
Ibid., lett. n° 33 del 26-10-64.
85)
AS, Atti, vol. PP, n° 39.
86)
Ibid., sed. del 15-12-64.
87) Ibid.
88) Ibid.,
sed. del 30-1-65, 30-3-65, 29-4-65, e anche Prot., del
periodo.
89)
cfr. AS, Atti, sed. del 16-3-1865.
La relazione fu
pubblicata qualche anno dopo. cfr. P.MALPELI, Rapporto
sul censimento della popolazione, Rimini 1869.
90)
cfr. AS, Prot., lett. del 2,3,8,16,17 agosto.
91) Ibid.,
lett. del 28-4-65, n° 43.
92) C. MALAGOLA,
L'Archivio governativo della R.S.M., (ristampa) San Marino
1981.
93) AS, Atti,
vol. ii, n° 35, sed. 11-3-37, e 14-3-39.
94) Ibid.,
vol. NN, n° 37, sed del 6-11-55.
95)
Ibid., vol. PP, n° 39.
96) Ibid.,
vol. QQ, n° 40, sed. dell'11-3-67.
97) Il codice è
pubblicato in T. GIANNINI, M. BONELLI,op. cit. Per le
informazioni fornite sullo Zuppetta cfr. AS, Atti, vol OO,
n° 38, sed. del 26-10-58, 17-2-59.
98) AS, Cart.,
lett. n° 186 del 19-7-65, e del 30-7-65.
99) Ibid.,
lett. n° 24 dell'8-10-65.
100) Ibid.,
lett. n° 78 del 12-5-67; cfr. anche lett. del 17-5-67, 10-6-65 e
17-6-65.
101) Ibid.,
lett. n° 186 del 16-7-67.
102) Ibid.,
lett. n° 203 del 21-7-67.
103) Ibid.,
lett. del 23-7, 10-8, 18-9, 29-9-67.
103a) Ibid.,
lett. n° 182 del 25-1-68.
104) Ibid.,
lett. del 25-5-69.
105) Ibid.,
lett. n° 211 del 9-2-69.
105a) Ibid.,
lett. n° 67 del 6-5-67, n° 74 del 10-5-67, n° 85 e mezzo del
17-5-67.
106) Ibid.,
lett. n° 79 del 12-5-67.
107) Ibid.,
lett. n°242 e mezzo del 17-8-67, n° 245 e mezzo del 21-8-67.
108) Sulla vita del
collegio si veda soprattutto C. BUSCARINI, Il Ginnasio Liceo
Statale di San Marino ad un secolo dalla sua erezione, in
Annuario del Liceo, a.s. 1979-1980, San Marino 1982.
109) I "letterati",
secondo il censimento del 1865, ammontavano ad 862 individui, di
cui 605 uomini, e 257 donne. La stragrande maggioranza di costoro
(387+211) erano della parrocchia della Pieve, cioè di Città e
Borgo, e della parrocchia di Serravalle (99+22). cfr. Rapporto
sul censimento..., cit.
110)
cfr. AS, Atti, vol.
PP, n° 39, sed. del
10-4, e 15-9-1864. Purtroppo non è specificato in cosa consistesse
il nuovo metodo didattico.
111)
Ibid., sed. del 5-9-1865.
112) Ibid.,
sed. del 28-12-1865, e del 27-10-1866.
113)
AS, Prot., lett. del 5-11-1866.
114) AS, Atti,
vol. QQ, n° 40, sed. del 16-5-67.
115) Su tutta la
polemica si veda AS, Cart. del periodo. Le richieste
avanzate da Belluzzi si trovano nella lettera n° 198 del
10-8-1868. La proposta di acquistare Palazzo Begni viene avanzata
dal Reggente Malpeli nella seduta consigliare del 13-8-1868.
116)
cfr. AS, Atti, vol.
QQ, sed. del
31-8-68.
117) cfr. AS,
Cart., lett. n° 68 del 10-11-1868.
118) cfr. AS,
Atti, vol. QQ, sed. del 31-8, e del 20-11-71. Già nel 1863
Ciro e Giuseppe Guardigli avevano chiesto l'istituzione di scuole
serali "a pro degli artisti e del povero", e Marino e Domenico
Fattori si erano offerti gratuitamente per tale compito.
L'iniziativa, però, non ebbe seguito. cfr. Atti, vol. PP,
sed. del 7-12-63.
119) Ibid.,
vol. PP, n° 39, sed. del 26-8, e 23-10-65.
120) cfr.
T.GIANNINI, M.BONELLI, op.cit.
121) cfr. C.
BUSCARINI, Il Ginnasio Liceo..., cit.
122)
cfr. AS, Atti, vol.
PP, n° 39, sed. del
7-12-63.
123) Ibid.,
sed. del 23-6-63, e vol. QQ, sed. del 16-5-67. La seconda volta fu
concesso un monopolio per sei anni.
124) cfr. AS,
Istanze al Consiglio, 1863.
125) AS, Atti,
vol. QQ, sed. del 4-12-69.
126)
Ibid., sed. del 26-4-70.
127)
Ibid., sed. del 5-5-70.
127a) Ibid.,
sed. del 15-4-68.
128) P. FRANCIOSI,
Istituti di beneficienza e previdenza in DE LIVIERI DI
VALDAUSA, Libro d'oro della R.S.M., Foligno 1914.
129) AS, Atti,
vol.LL, n°35, sed.del 14-3-1839.
130) cfr.
P.P.Guardiglia, S.Nespolesi, La Società Unione Mutuo Soccorso,
in AA.VV. Storia illustrata della Repubblica di San Marino,
S.Marino 1985.
131)
AS, Prot., lett. dell'11-11-67.
132) Ibid.,
lett. del 15-12-67.
133) Ibid.,
lett. n° 127 del 16-12-66, lett. n° 149 del 25-12-66, lett. del
27-12-66, lett. n° 174 del 6-1-67.
134) AS, Atti,
vol. QQ, sed. del 25-5-69.
135)
AS, Prot., lett. n° 267 del 4-3-1869.
136)
AS, Prot., lett. n° 223 del 30-7-1866.
Il contenuto della
lettera è succintamente riassunto nel Protocollo, ma essa non è
presente tra il Carteggio..
137) AS, Prot.,
lett. n° 225 del 31-7-1866, n° 236 del 3-8-1866; lett. del
16-11-1869.
138) AS, Atti,
vol. QQ, sed. dell'11-3-67.
139) cfr. T.
GIANNINI, M. BONELLI, op. cit.
140) AS, Atti,
sed. del 13-8-68.
141) Sulla
monetazione sammarinese cfr. M. ZANOTTI, C. BUSCARINI, Monete e
medaglie commemorative della R.S.M., S. Marino 1982.
142)
AS, Prot., lett. n° 48 del 31-10-1868.
143) AS, Prot.,
lett. n° 1 del 2-4-1869, n° 16 del 13-4-1869.
144) Ibid.,
lett. n° 32 del 19-4-1869.
145) cfr. AS,
Conti consuntivi 1865-1874.
146)
AS, Prot., lett. del 24-1, 8-2, 12-2, 17-3, 1-4, 2-4, 28-4,
1-5-1867.
147)
Ibid., lett. del 15-6, 2-7-1868.
148)
Ibid., lett. del 31-8-69.
149)
Ibid., lett. del 20-1, 9-4-1870.
150)
AS, Cart., lett. n° 87 del 2-6-1868.
151) F. BALSIMELLI,
Superstites Viarum, in Annuario del Liceo-Ginnasio governativo
e Scuola Media, n.X, a.s. 1967-68.
152) AS, Atti,
vol. QQ, sed. del 27-10-1867.
153)
Ibid., sed. del 13-8-1868.
154) F. BALSIMELLI,
op. cit.
155) AS, Atti,
vol. QQ, sed. del 25-5-70.
Capitolo 3
1) Per tutti questi
dati cfr. AS, Conti consuntivi dello Stato 1865-1874,
e
Conti consuntivi dello Stato 1874-1885.
2) AS, Atti,
vol. QQ, sed. del 28-11-70.
3) I problemi
furono quelli di cui si parlerà fra qualche pagina, legati alla
morte di Pietro Borghesi. cfr. AS, Atti, vol. RR, n° 41,
sed. del 30-1-72 e del 25-7-72.
4) cfr. AS,
Prot., del 1872 per la corrispondenza avuta con i consoli e
con le banche in realzione agli investimenti che si volevano fare.
5) AS,
Atti, vol. SS, n° 42, sed. del 10-3-1879.
6)
Ibid., vol.
RR, n° 41, sed. del
28-9-72.
7) Il 14 settembre
1873 si stabilì di aiutare l'emigrazione invernale stanziando 100
lire, essendovi in quell'anno molti che avevano la necessità di
recarsi fuori confine per cercar lavoro. Il 15 marzo dell'anno
successivo, però, ci si rese conto che tale cifra era del tutto
insufficiente. cfr. Atti, vol. RR, n° 41.
8) cfr. T.GIANNINI,
M.BONELLI, op.cit.
9)
cfr. AS, Atti, vol.
RR, sed. del
25-7-72.
10)
Ibid., sed. dell'8-5-73.
11)
Ibid.
12)
AS, Atti, vol. SS, sed. del 28-8-75.
13)
AS, Atti, vol. RR, sed. del 25-7-72.
14)
AS, Prot., lett. del 17-2-1870.
15)
Ibid., lett. n° 164 del 26-6-1870.
16)
AS, Cart., lett. n° 215 del 18-7-1870.
17)
Ibid., lett. n° 77 del 10-11-1870.
18)
AS, Prot., lett. del 4-4-1871.
19)
Ibid., lett. del 5-12-1872.
20)
AS, Atti, vol. RR, n° 41.
21)
Ibid.
22)
Ibid., sed. del 27-3-73.
23) cfr.
T.GIANNINI, M.BONELLI, op. cit.
24)
AS, Atti, vol. SS, n° 42, sed. del 28-8-75.
24a)
cfr. AS, Prot., lett. del 27-11-73, 4-3-74, 24-4-75,
26-9-75, 13-5-
77, 11-10-78.
25)
AS, Cart., lett. 219 del 25-9-1879.
26)
AS, Atti, vol. RR, sed. del 14-6-71.
27)
AS, Prot., lett. del 10-6-75.
28)
Ibid., lett. del 15-6-75.
29)
AS, Atti, vol. RR, sed. del 29-4-73.
30)
Ibid., vol. SS, sed del 24-4-77.
31)
AS, Prot., lett. del 3-7-1875.
32)
Ibid., lett.del 14-12-1872.
33)
Ibid., lett. del 24-1-1876.
34)
AS, Cart., lett. n° 137 del 17-2-77.
35) Entrambe le
convenzioni sono riprodotte in M. ANTONIETTA BONELLI, I
rapporti convenzionali italo-sammarinesi, Verucchio 1985.
36) Per ulteriori
notizie cfr. F.FILANCI, A. GLARAY, Il servizio postale della
Repubblica di San Marino, 1977.
37) cfr. AS,
Conti consuntivi dello Stato 1874-1885.
38)
cfr. AS, Atti, vol.
TT, n° 43, sed. del
13-5-80.
39)
Ibid., vol. SS, n° 42.
40)
AS, Cart., lett. n° 46 del 14-11-1878.
41)
AS, Atti, vol. SS, n° 42, sed. del 4-1-77.
42)
Ibid., vol. UU, n° 44.
43)
AS, Cart., lett. n° 114 del 29-5-70.
44)
Ibid., lett. n° 119 del 2-6-70.
45)
Ibid., lett. n° 158.
46) Ibid.,
lett. n° 4 dell'1-10-1871.
47) Ibid.,
lett. n° 13 DEL 2-10-71.
48) Ibid.,
lett. n° 249 del 20-3-1874.
49) Ibid.,
lett. n° 250 del 22-3-74.
50) Ibid.,
lett. n° 7 del 9-4-74.
51) Ibid.,
lett. n° 12 bis del 12-4-74.
52) AS, Atti,
vol. RR, sed. dell'11-4-74.
53)
AS, Cart., lett. n° 47 del 29-4-74.
54)
AS, Atti, vo. RR, sed. del 26-4-74.
55)
AS, Cart., lett. n° 51 del 1-5-74.
56)
Ibid., lett. n° 61 del 6-5-74.
57)
Ibid., lett. n° 65,66,67.
58)
Ibid., lett. n° 71.
59)
Ibid., lett. n° 72 bis dell'11-5-74.
60)
Ibid., lett. n° 72 ter.
61)
Ibid., lett. n° 78.
62)
Ibid., lett. n° 100, 114, 121.
63) Ibid.,
lett. n° 148 del 1-6-74.
64) AS, Atti,
vol. RR, sed. del 9-6-74.
65) cfr. Prot.
e Atti del periodo.
66)
AS, Cart., lett. n°258 del 19-8-74.
67)
Ibid., lett. del 19 e 25-8-74.
68)
Ibid., lett. del 19-9-74.
69)
Ibid., lett. n° 289.
70)
Ibid., lett. del 23-9-74.
71)
Ibid., lett. n° 39 del 23-10-74.
72)
Ibid., lett. n° 53 del 29-10-74.
73)
AS, Prot., lett. del 28-2-75.
74) Ibid.
75) Ibid.
76) Sull'argomento
cfr. Atti e Prot. del periodo.
77)
AS, Prot., lett. del 13, 17, 21-1 e 9-2-78.
78) cfr. Prot.,
lett. del 12, 26-5 e 9-8-70.
79) cfr. Prot.,
lett. del 9 e 18-6-72.
80) Ibid.,
lett. del 5-10-76.
81) Ibid.,
lett. del 2-9-71.
82) Ibid.,
varie lettere di febbraio e marzo 1873.
83) Atti,
vol. SS, sed. del 9-10-75.
84)
Ibid., sed. del 4-1-74.
E' verbalizzata
anche la relazione di De Bruc.
85) cfr. AS,
Istanze al Consiglio del 1870.
86)
Ibid.
87)
AS, Atti, vol.
QQ, sed. del
23-10-70.
87a) Sviluppando i
miei studi per il presente testo, mi sono imbattuto in alcune
informazioni su Marino Giovannarini che mi erano ignote quando ho
scritto "Il delitto Bonelli", e che riporto ora. Egli rimase in
carcere nell'Isola d'Elba fino al febbraio del 1862, poi venne
trasferito a Genova. Qui rimase imprigionato fino al 1866 quando
gli fu concessa la grazia a condizione che se ne andasse via per
sempre da San Marino e dall'Italia. Scelse come luogo d'esilio
Alessandria d'Egitto: il 14 settembre fu inviato a Brindisi, e da
qui il 30 s'imbarcò. Probabilmente per qualche anno se ne stette
in esilio, ma nel 1870 risulta a Dijon a combattere al fianco di
Garibaldi. Nel '72 infine viene imprigionato nuovamente a Roma per
smercio di moneta falsa.
88) AS, Atti,
vol. QQ, sed. del 30-10-70.
89)
Ibid., vol. RR, n°41.
90)
Ibid.
91)
AS, Prot., lett. del 19-6, 11-7, 13-9, 25-10-70.
92)
Ibid.
93)
AS, Atti, vol.
QQ, sed. del
6-12-70.
94) Ibid.,
vol. RR, sed. del 31-10-71.
95) E' nella serie
delle Istanze al Consiglio.
96)
Ibid., sed. del 17-11-73.
97)
Ibid., vol. SS, sed. del 22-9-78.
98)
Ibid., sed. del 29-9-78.
99)
Ibid., vol. TT, n° 43, sed. del 22-10-81.
100)
Ibid., sed. del 6-11-82.
101) Ibid.,
vol. RR, sed. del 13-10-73.
102) cfr. M.
BONELLI, T. GIANNINI, op. cit.
103) Ibid.
104) La raccolta è
reperibile presso la Biblioteca di Stato.
105) AS, Atti,
vol. RR, sed. del 20-11-71, 11-1-72.
106) AS, Atti,
vol. KK, n° 34, sed. del 26-6-22.
107) Ibid.,
sed. del 1-9-25.
108) AS, Istanze
al Consiglio.
109) Ibid.
110) N. MATTEINI,
La Repubblica di San Marino nella storia e nell'arte, San
Marino 1988.
111) AS, Atti,
vol. VV, n° 45.
112) F. BALSIMELLI,
Superstite viarum, cit.
113)
AS, Atti, vol. RR, sed del 27-1-73.
114)
Ibid., sed. del 30-3-73.
115)
Ibid., sed. del 31-10-71.
116)
Ibid., sed. del 13-10-73.
117)
Ibid., vol. TT, sed. del 1-7-79.
117a)
Ibid., sed. del 15-2-81.
118)
Ibid., sed. del 24-3-81.
119) Si rimanda
all'ultimo uscito: P.P. GUARDIGLI, S. NESPOLESI, La Società
Unione Mutuo Soccorso, in AA.VV., Storia illustrata della
Repubblica di San Marino, vol.2°, S. Marino 1985.
CAPITOLO 4
1) AS, Atti,
vol.
SS,
sed. del 26-5-1878.
2) Ibid.
2a) AS, Istanze
al Consiglio 1878.
3) Sentenza
Malpeli con alcuni Documenti, S. Marino 1881.
4) AS,
Atti, vol. TT. n° 43.
5) AS,
Prot.
6)
Ibid., lett. n° 18 dell'8-10-79.
7) Ibid.,
lett. del 27-9-79.
8) Ibid.,
lett. del 29-9-79.
9) P. MALPELI,
Al Generale Consiglio Principe e Sovrano della Repubblica
di S.
Marino,
Genova s.d.
10) In Sentenza
Malpeli..., cit.
11)
Ibid.
12)
AS, Atti, vol.
TT, n° 43.
13) Il Giovane
Titano, anno I, n° 12, 3-4 settembre 1881.
14) N. MATTEINI,
Il giornalismo nella Repubblica di San Marino, San Marino
1967.
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TORNA
APPENDICE
DOCUMENTARIA
INDICE DEI DOCUMENTI IN
APPENDICE
N° 1 - Relazione di Palamede
Malpeli - 1859
N° 2 - Relazione di Palamede
Malpeli - 1864
N° 3 - Lettera di D.M.Belzoppi
alla Reggenza - 8/2/1861
N° 4 - Legge sul diritto d'asilo
- 4/8/57
N° 5 - Progetto per carta moneta
- 8/1/80
N° 6 - Statuto della Società
Umana di San Marino - 1869
N° 7 - Lettera di Pasquale Greco
alla Reggenza - 8/9/63
N° 8 - Protesta contro
l'espulsione di rifugiati politici - 30/8/74
N° 9 - Istanza di Palamede
Malpeli a favore dei beni artistici - 24/4/70
N° 10 - Istanza di Palamede Malpeli
sull'istruzione femminile - 5/10/62
N° 11 - Istanza di P. Malpeli contro
il calo dei consiglieri - 1871
N° 12 - Relazione sulla vicenda del
commissario della legge - 11/5/70
N° 13 - Relazione di P. Malpeli
sull'arresto di rifugiati - 15/5/74
N° 14 - Lettera di S.Belluzzi e
P.Tonnini alla Reggenza - 3/6/74
N° 15 - Lett. del Ministro degli
Esteri sulle riunioni mazziniane-13/6/70
N° 16 - Articolo de La Luce di
Trieste - 23/4/74
N° 17 - Lettera della Reggenza ai
parroci della Repubblica - 23/5/74
N° 18 - Lettera di Cibrario al
Reggente P. Malpeli - 6/2/65
N° 19 - Legge istitutiva della
Commissione di Soccorso - 15/9/77
N° 20 - Lettera di Gaetano Belluzzi
alla Reggenza - 25/7/57
N° 21 - Lettera di S.Belluzzi e
P.Tonnini alla Reggenza - 21/5/74
N° 22 - Discorso di Palamede Malpeli
nell'arengo - 5/4/68
N° 23 - Lettera di Cibrario al
Reggente Palamede Malpeli - 15/2/65
N° 24 - Rapporto di Palamede Malpeli
alla Reggenza - 1867
N° 25 - Lettera di d'Avigdor alla
Reggenza - 23/4/59
N° 26 - Proposta per casinò di Luigi
Tanfani - 17/8/74
N° 27 - Lett.della Reggenza a
Canuti,Cesari,Savorelli,Paltrinieri-10/8/58
N° 28 - Proposta di d'Avigdor per
lotteria internazionale - 1863
N° 29 - Proposta Malpeli - 1873
N° 30 - Proposta Malpeli per programma
scolastico - 30/9/78
N° 31 - Convenzione Italia-San Marino
- 1862
N° 32 - Convenzione Italia-San Marino
- 1872
APPENDICE N° 1
RELAZIONE DI PALAMEDE MALPELI NEL
CONSIGLIO DEL 30 OTTOBRE 1859
Fedeli al nostro giuramento, fedeli
alla coscienza del nostro ministero, fedeli alla voce della
Patria, noi siamo indotti ad assumere innanzi a voi un linguaggio
forse fuori dell'ordinario, poichè come noi condanniamo e
dichiariamo pessimo quel cittadino, o quell'oratore, che in faccia
ai forastieri, o ai profani sveli con maledica lingua le piaghe
del proprio paese, altrettanto crediamo che noi chiamati al
governo di questo stesso paese, ci troviamo nell'obbligo di
manifestare le piaghe medesime senza velo alcuno agli occhi del
Sovrano, benchè ciò riesca forse rincrescevole; ad imitazione del
medico pietoso, che adopera amari medicamenti a sanare l'infermo,
o veramente ad imitazione di quel leale amico, che difende a spada
tratta l'amico quantunque colpevole in faccia a tutto il mondo, ma
acremente lo rimprovera, gli fa conoscere le sue colpe, e lo
corregge quando a viso a viso gli ragiona.
Se spassionatamente riguardiamo al
passato, vi fu tempo non lontano, in cui l'aver la repubblica
continuato la sua politica e potenza, parve miracolo; nè si
saprebbe a chi attribuirlo, se al grande prestigio, che presso i
lontani ha il nome di questa nostra Repubblica, fondata, come
dicesi da un Santo, onorata da tutti i Regnanti, rispettata da
grandi guerrieri, coronata dall'imarcescibile ghirlanda di
quindici secoli, o veramente alla nostra singolare pietà, o
Cittadini, corroborata dalla protezione ed assistenza innegabile
di Dio, e del nostro grande Protettore S. Marino. Noi non sapremmo
certamente a quale di queste due cagioni la Repubblica debba
principalmente la sua salute; la Repubblica che dai mentovati
luttuosi interni sconvolgimenti, incominciò ora soltanto a
respirare e tranquillarsi; non solo per le attuali a noi propizie
circostanze politiche ma molto più per la rara saggezza delle
ultime benemerite Reggenze giovate dai consigli salutari del
nostro cavaliere comendatore Borghesi, che da un lato formando il
principale oggetto della nostra venerazione, e della nostra
gratitudine, è dall'altro lo splendore e l'ammirazione di tutta
l'Europa scientifica. Nulladimeno questa cara patria, risente
ancora tutte le funeste conseguenze del disordine e ne fan fede le
Casse pubbliche prive del denaro necessario, il Governo gravato di
qualche debito, le strade ridotte tutte a vergognosamente
impraticabili, le torri, la rocca, le mura minaccianti ruina, i
pubblici edifici crollanti, e venuti a tale stato, che nè alla
maestà del Principe convengono, nè alla stessa povertà spartana
potrebbero essere addicevoli. Il servizio di Polizia reso da una
parte inutile ed illusorio, dall'altro non poco dispendioso; la
macchina interna governativa quasi tutta in qualche disordine, le
stesse famiglie soggette a risentire nella loro privata economia
il disguido delle cose pubbliche: le leggi sapientissime, ma
inosservate, l'elemento religioso indispensabile per ottenere
l'ordine pubblico delle masse, ridotto in uno stato di noncuranza
e di avvilimento; i Sammarinesi buoni per natura sedotti dal
mal'esempio di qualche tristo, darsi in preda all'ozio, al giuoco,
all'ubriachezza, sorgenti miserande di povertà, d'ignoranza, di
litigi di continuo disordine. E ciò che è peggio si è che a questi
mali, che ora deploriamo, la nostra più scelta gioventù si
appiglia, in luogo di correre la via dell'educazione e della
istruzione approfittando di quei sufficienti mezzi, che la cura
dei nostri maggiori e dell'attuale governo ci fornisce nel Nobile
Collegio Belluzzi, e nelle altre pubbliche guise d'insegnamento. E
seppure qualcuno si consacra a questa nobile palestra, spesso per
povertà della propria famiglia è costretto a cercar fuori della
patria quel pane, che questa forse non potrebbe dargli. Avegnachè
è costretto ad accumulare due o più impieghi in uno stesso
individuo, perchè questi abbia modo di sostentare la vita.
Egli è per questo motivo, o Sovrano
Consiglio, che molti degli stessi cittadini sono scontenti del
nostro Governo, ed anzichè cooperare all'ordine ed al bene
pubblico, sono primi promotori di disordine. Noi, ve lo
ripeteremo, fedeli al nostro giuramento, fedeli alla coscienza del
nostro ministero, fedeli alla voce della Patria, ed aggiungeremo
pur anco fedeli alla voce della progrediente civiltà, ci siamo
risoluti di porre sotto gli occhi vostri, o Sovrano Consiglio, le
necessità ed i disordini dello stato, per potere e alle une e agli
altri applicare quei provvedimenti, che la Patria da Noi
altamente, e da lungo tempo reclama. Protestiamo però avanti voi,
o Sovrano Consiglio, che noi non vogliamo arrogarci il vanto di
essere stati primi a chiamarvi a provvedere ai tanti bisogni della
Patria nostra. Non mai che anzi il merito dell'iniziativa si deve
tutto ai nostri benemeriti ed illustri Antecessori. In fatti a
null'altro attendevano, che a provvedere ai bisogni della Patria,
quando gli esimi e benemeriti nostri Signori Avvocato Filippo
Belluzzi, e Giuliano Belluzzi si adopravano l'uno nel far
riconoscere officialmente l'indipendenza della Repubblica alla
corte di Francia, e più tardi l'altro a quella d'Inghilterra;
quando veniva eletto per cura dell'uno l'esimio Prof. Zuppetta a
compilare il Codice Penale, e più tardi per cura dell'altro il
Civile; quando da questo si tentava e s'incominciava ad introdurre
nei Cittadini lo spirito di progresso nel commercio, coll'aprire
una soscrizione di Azionisti per l'installazione di utili opifici;
quando finalmente a decoro ed utile della Repubblica si istituiva
il nuovo Ordine Araldico di San Marino, e se ne fregiava il
Principe Imperiale di Francia e gli si conferiva il grado di
Generale Onorario delle nostre milizie dietro proposto
dell'Egregio nostro Comandante Generale Marco Tassini. Noi adunque
non facciamo che seguire l'esempio dei nostri antecessori, e da
questo esempio animati, alziamo più forte la voce, o Sovrano
Consiglio, non despota, ma padre amoroso dei nostri sudditi, che
vi applichiate oggi più seriamente a ciò che da Voi aspetta la
Repubblica, a quegli energici provvedimenti cioè, che occorrono
per rendere felici i vostri sudditi. Ma quale saranno questi
provvedimenti? Siamo al secondo punto della questione. Noi abbiamo
portato sotto i vostri occhi il male; ma ciò a qual'utile, se Voi
e Noi non ci occuperemo della medicina per esso? Medicina tale
però, che solo potrà ovviare ad una parte del male, perchè sarebbe
una follia il pretendere che possa rinvenirsi sulla terra un
governo privo di ogni inconveniente. Discutiamo.
Diversi sono i mezzi a seconda della
diversa natura delle cose che si vogliono fare. Altri sono i mezzi
che adopera il Sacerdote per convertire il peccatore, altri quelli
che adopera il medico per guarire l'infermo, altri quelli che
adopera un padre di famiglia per sistemare la casa, altri
finalmente quelli che adopera un Sovrano per la retta
amministrazione del suo regno. Il Sacerdote ha la parola divina,
il medico le medicine, il padre di famiglia la domestica economia,
e il sovrano che avrà? Il Sovrano, lo diremo con un motto
francese, il Sovrano ha l'oro e l'argento: L'argent fait tot.
Coi quattrini si ottiene ogni cosa, come dice un illustre
scrittore, "i denari sono per uno stato come il sangue per il
corpo". Coi denari si tolgono i debiti, si fanno le strade, si
restaurano gli edifizii, si mantiene la vera polizia, coi denari
finalmente con saggezza impiegati, si moralizza, e si fa felice un
popolo. Ma alcuno dirà: se poc'anzi si è detto che le casse
pubbliche sono esauste, e se il denaro è il mezzo principale per
un governo, come faremo noi dunque a tirare innanzi? Vi
confessiamo la verità, che ormai il tirare innanzi nel presente
anormale stato di cose (che certo non esisteva al tempo de' nostri
avi) se non sarà del tutto impossibile, sarà molto difficile. Ma
senza perderci di coraggio, osserviamo se vi sia qualche mezzo
lecito pel governo di rimpinguare l'errario, esaminando le proprie
risorse. Se i nostri Toscani udissero qualche proposizione,
affaccerebbero subito il progetto di distribuire a prezzo le
nostre decorazioni: ma quanto ciò sia scandaloso e indecoroso per
noi, e per la nostra dignità non fa mestieri il dimostrarlo:
avvegnachè una tale quistione venisse già acclamata e sostenuta
con tanta ragione e con tanta saggezza dal benemerito nostro
Concittadino Nob. Sig. Settimio Belluzzi nel tempo che Egli
degnamente sedeva su questo stesso Seggio sul quale oggi noi ci
troviamo. Noi vi presentiamo o Sovrano Consiglio i sette titoli
seguenti:
1-Riscossione dei crediti pubblici, e
riscossione dei canoni enfiteutici.
2-Riscossione della cinquina sui fondi
dei forastieri, che hanno acquistato beni stabili senza permesso.
3-Catasto Urbano.
4-Apertura delle Miniere Solfuree.
5-Stampa dei nuovi codici nostri.
6-Tassa sui passaporti distinti.
7-Coniazione di certa quantità di
moneta.
Veniamo ora ad un peculiare sviluppo
di ciascuno di questi titoli.
Ci si presenta il 1° Titolo.
Riscossione dei crediti pubblici. Questa piaga fatale, e dirò
quasi vergognosa, e che lo adivenne anche più coll'averla tante
volte rimestata, non solo è nello interesse del governo il
cicatrizzarla una volta, ma lo è molto più nello interesse dei
particolari medesimi. Ciò non ha bisogno di dimostrazione per la
parte dell'interesse del Governo, il quale per questo titolo può
calcolare un danno di dodicimila scudi circa, ma interessa
sommamente eziandio alle particolari famiglie debitrici di
accomodare una tale partita; imperocchè quantunque esse famiglie
sieno oggi giorno si può dire ritenute in buona fede, tuttavia la
natura di questo debito porta con sè una certa tal quale macchia,
di cui sarà sempre impresso il nome delle famiglie medesime. Il
popolo le accenna a dito, e se giungesse mai il momento, che Dio
tenga lontano, di estrema carestia, o di supremi bisogni, la plebe
sollevandosi farebbe segno del suo furore principalmente le
famiglie dei pubblici debitori. Fate dunque, o Sovrano Consiglio,
che sia giunto il tempo di finirla una volta sulla questione di
questi crediti. I debitori imitino il Nobile Sig. Francesco Guidi
Giangi, il quale quantunque il Governo non avesse mai potuto
produrre l'istromento di creazione del suo censo, volle tuttavia
con patriottico generoso esempio riconoscersi spontaneo debitore,
e dopo avere pagati annualmente e puntualmente i frutti del
capitale, lo estingueva ultimamente nelle nostre mani sotto la
cessata Reggenza. Noi siamo di parere, o Sovrano Consiglio, che
non si debba ricorrere alle controversie del Foro in simile
materia (parlando sempre dei debiti controversi) se non quando
ogni altro mezzo di concigliazione sia esaurito; ma invece venire
coi debitori a quella qualsiasi transazione suggerita dall'equità
e dal decoro. E noi vi chiediamo o Sovrano Consiglio, che su
questo particolare ne accordiate la vostra benigna approvazione.
Forma come appendice di questo titolo la riscossione dei canoni
enfiteutici. Ciò non ha mestieri di dilucidamento, ma solo di un
vostro risoluto decreto in proposito, o Sovrano Consiglio. La
somma che potrà dare questa partita è calcolata a cinquecento
scudi circa ed anche più.
Segue il 2° Titolo. - Riscossione
della cinquina sui fondi dei forestieri, che hanno acquistato beni
stabili senza permesso. Ciò che abbiamo detto dei canoni
enfiteutici, lo ripeteremo per questo titolo, invitando il
Consiglio Sovrano a pronunziarsi o per l'abolimento di detta legge
conforme al voto provocato dall'Avv. Salvagnoli, o per la rigorosa
osservanza della medesima. La somma che potrà scaturire da questo
titolo è calcolato per quello che ora è noto a circa scudi cento.
Cade a commento il 3° Titolo. -
Catasto Urbano - Si stabiliva al certo una nuova era di progresso
e d'incivilimento nella nostra Repubblica, quando con vostro
decreto, o Sovrano Consiglio, si apriva il 7 gennaio 1857
l'Ufficio delle Ipoteche, Bollo, e Registro. Noi non faremo qui
l'apologia di questa istituzione, perchè troppo nota ad ognuno. Ma
questa istituzione medesima rimaneva tutt'ora per noi imperfetta,
mancandovi la redazione del Catasto Urbano. Per cura della cessata
Reggenza s'iniziava quest'importante lavoro, e la Reggenza attuale
non tralascerà al certo di continuare in queste pratiche, e di
usare di tutti quei mezzi che sono in suo potere, perchè il detto
Catasto venga attivato nei primi del venturo anno 1860 prima che
spiri l'ultimo termine perentorio per la iscrizione, e
trascrizione dei titoli anteriori. Esso ha due fini: quello di
porgere il mezzo ai creditori di assicurare i loro crediti; e
l'altro di mostrare in modo approssimativo il capitale stabile
urbano di ciascun possidente. In conseguenza di quest'ultima
nozione la Reggenza sarebbe di avviso, che abbolita ogni altra
tassa, sia straordinaria, sia testatica, s'istituisse una sola
tassa ordinaria, calcolata proporzionatamente al solo estimo
urbano e rustico di ciascuno, pagabile in quattro rate
trimestrali, e per ciò più facilmente riscuotibile. I vantaggi,
che ne vengono al Governo da questo nuovo sistema sono fondati o
Sovrano Consiglio sui principi dell'uguaglianza e della equità, e
sono così evidenti e ragionevoli che non hanno bisogno di
spiegazione e di raccomandazioni. Non si può precisare la somma,
che ne verrà di utile al Governo da questa istituzione, ma
certamente è una somma non lieve; poichè aprirà due fonti d'utile,
l'una per parte della nuova modica tassa, l'altra per parte
dell'Ufficio delle Ipoteche e Registro.
Ma senz'altro passiamo al 4° Titolo -
Apertura delle Miniere Solfuree. Eccoci ad un tema la cui
proposizione a Voi, o Sovrano Consiglio, è da molti reclamata, e
da altri forse, diciamolo sinceramente, in qualche parte
avversata. Noi non faremo che esporre genuinamente i fatti.
Nel Settembre del 1857 alcuni Toscani,
che, a parlar schietto non godono ora la più vantaggiosa opinione
presso gran parte dei Sammarinesi, trovandosi a diporto in questa
Repubblica, osservarono come in alcuni punti e specialmente
burroni presso Faetano, il terreno indicasse l'esistenza di vene
minerologiche e metallurgiche. Ripatriando portarono seco alcuni
pezzi campioni, per farli analizzare da un esperto chimico, il
Professor Mari di Crema, il quale ottenne che il primo campione
fruttava il 36% di Zolfo, il 28 di ferro, il 36 di ganza. Il
secondo il 35 di zolfo, il 27 di ferro ed il 38 di ganza; ed il
terzo il 55 di zolfo, il 45 di ferro. Dietro i quali
favorevolissimi risultati indirizzarono una Supplica o Memoria a
questo Sovrano Consiglio, in data di Livorno 5 Ottobre 1857, nella
quale chiedono, che sia loro concesso il gius privilegiato,
privativo, ed esclusivo, di esplorazione e di escavazione
assicurando la partecipazione sugli utili annuali del 5% al
Governo, e del 5% ai proprietarii rispettivi dei fondi. Ed inoltre
assicuravano d'impiegare per l'escavazione gran parte degli Operai
Sammarinesi. Prima di presentare La petizione a voi, o Sovrano
Consiglio, la Reggenza d'allora credè opportuno di consultare in
proposito il Congresso Economico, il quale nella sua seduta 19
ottobre (detto anno) trovò accettabile in massima il progetto, ma
ritovò necessario di attingere notizie sul modo che sogliono
tenere gli altri Governi nel fare queste concessioni, ed osservò
che sarebbe stato conveniente un deposito di denaro per parte
della Società Conduttrice prima di por mano alle esplorazioni, per
assicurare ai proprietari dei fondi l'indennità dei danni, e la
restituzione in pristinum dei terreni, sui quali si fossero
praticati infruttosamente gli assaggi. Noi non sapremmo abbastanza
commendare questa risoluzione del Congresso Economico, come quella
che porta l'impronta della prudenza e del discorrimento di cui son
dotati i membri del Congresso medesimo. Però noi non potremmo
approvare egualmente la risoluzione del detto Congresso nella sua
tornata del 13 Aprile 1858, nella quale fra le altre cose
stabilivasi di far venire dalla Perticara il Rossini al fine di
praticare delle esplorazioni in proposito sui nostri terreni. Noi
siamo in dovere di giustificare questa nostra proposizione.
Facciamo osservare in primo luogo come una regolare
esplorazione in proposito, non sia l'opera del momento, e
della portata di ogni Ingegnere; ma opera lunga e difficile,
e che solo può iniziarsi da una società intraprendente, che in
vista di un grande, ma sempre futuro ed incerto guadagno, si
risolve a gettar via qualche migliaia di scudi. Che se poi in
secondo luogo l'opera del Rossini doveva limitarsi solo ad una
superficiale esplorazione, allora questa sarebbe stata una
ripetizione del lavoro fatto fare dai sulodati Toscani, nè si
sarebbe conseguito punto il fine che si proponeva il Congresso
Economico, quello cioè di conoscere i prodotti sperabili
come specificatamente si legge negli atti di detto Congresso. Ma
questo traviamento forse deriva dal non aver ben calcolata
l'importanza della questione presa dal lato politico. Vi siano o
no le miniere, al nostro governo poco deve importare per ora.
Noi abbiamo -parte per poca volontà di lavorare, -parte per
mancanza di lavoro e di occupazione- una quantità di gente, e
specialmente di gioventù di ogni classe oziosa e senza impiego,
per cui si dà al giuoco o al ladroneggio per sostentarsi, e chi
senza darsi totalmente in preda al vizio, conduce una vita di
stento, maledicendo al Governo, che non gli somministra il modo di
guadagnarsi il pane. Per ovviare a questo inconveniente fa d'uopo,
che si apra un ramo d'industria, ove tutti quanti possano trovarvi
un pane ed un impiego adattato alla loro diversa posizione
sociale. A noi dunque principalmente importa che, non potendolo
noi a motivo dell'insufficienza del nostro errario, altri se vuole
venga a comerciare ed a lasciare il proprio denaro nella
Repubblica, venga a somministrare il modo di guadagnarselo a buona
parte del nostro popolo proletario, che continuamente chiede pane
e lavoro, venga ad accrescere le risorse economiche tanto del
governo, quanto dei proprietarj di quei fondi, che saranno
occupati, e che per la più parte sono ora burroni totalmente
infruttiferi. Se le miniere non si trovano, non solo nulla noi non
avremo rimesso, ma saremo ancora giustificati innanzi al popolo,
che ce ne fa adebito, e la somma spesa per le esplorazioni dalla
Società intraprenditrice, sarà stata spesa con utile degli
artisti, e dei lavoranti del nostro paese. Se poi l'escavazione
avrà luogo, allora i proprietarj dei fondi, ed il governo
percepiranno per un dato tempo un utile da stabilirsi sui guadagni
della Società deliberataria, e trascorso questo, il Governo stesso
potrà approfittare delle Miniere, in quel modo che gli sembrerà
più vantaggioso. Intanto per cura delle passate Reggenze sono
stati provvisti i capitolati d'apalto di alcune miniere
principali, intanto alcune Società si sono presentate per ottenere
la concessione in discorso, e principalmente la Società delle
Miniere Solfuree di Romagna. Intanto (lo ripeteremo), il popolo ad
alta voce reclama pane e lavoro. Che il governo adunque conceda
per anni 52 il diritto di esplorare, e di escavare le Miniere che
posano sul suo territorio, con diritto di privativa, ed esclusiva
a quella società, che non per asta, ma per concorso sarà da
maggiorità di voti dal Sovrano Consiglio dichiarata deliberataria.
Che la Società faccia presso il
governo un deposito in denaro di scudi mille durante i lavori di
esplorazione, all'effetto di cui sopra dicemmo.
Che la Società sia tenuta nello spazio
di un anno dalla concessione, di intraprendere i lavori di
esplorazione, i quali non dovranno durare più di diciotto mesi.
Che la Società a quest'epoca debba
dichiarare definitivamente di accettare o no le miniere, ed
accettandole obbligarsi di intraprenderne l'escavazione entro sei
mesi.
Che la Società degli operai, che Ella
impiegherebbe, due terzi debbano essere sudditi Sammarinesi: e
degli impiegati che terrà un terzo pure debba essere Sammarinese,
col diritto al governo, o ad una sua comissione di approvare
individualmente quelli che la Società crederà di occupare nella
escavazione in discorso.
Che la Società corrisponda in due rate
al governo sugli utili annuali immediati dell'escavazione il 5% ed
egualmente il 5% ai rispettivi proprietarj dei fondi, ed a
garanzia di tutto ciò, come pure di tutti quei danni, che per
qualsiasi cagione ne potessero venire alla parte Finanziaria e
Politica del governo a causa dell'apertura di dette miniere,
lascierà e terrà senza interruzione un deposito nelle mani del
governo di scudi trecento, per tutto il tempo della escavazione
suddetta.
Che la Società tenga in piena e
giornaliera attività i suoi lavori.
Che la Società non possa sotto
qualsiasi titolo richiedere o sperare dal governo compenso alcuno,
anche per disgrazie meramente fortuite.
Che la Società debba rendere al
governo tutto ciò di prezioso che nella escavazione potesse
rinvenire estraneo alle Miniere.
Che la Società non debba guastare
strade, o disturbare il corso naturale dei fiumi senza l'ordine
espresso del governo, e a quella condizione, che esso le imporrà
per riparare i danni, che ne potessero venire.
Che la Società non possa trasmettere
ad altre Società questo suo diritto, senza il consenso del
Governo, e a quelle condizioni che al governo stesso sembreranno
opportune.
Che la Società perderà ogni diritto
alle Miniere per una sola contravenzione a qualunque delle
suddette condizioni.
Che la Società prenderà a suo carico
tutte le spese dell'atto giuridico relativo.
Che finalmente il governo formi una
Commissione da riformarsi o rinnovarsi di tre in tre anni,
composta della Reggenza pro-tempore presidente, dei Sindaci
Vice-Presidenti, di un dottore in Legge, di un Procuratore, di un
Perito-Ingegnere, di un Computista Segretario, col diritto e
l'obbligo a tutti e singoli suoi membri di sorvegliare
continuamente tanto le esplorazioni, che le escavazioni, perchè
non si frangano i patti del presente capitolato, nonchè
d'intervenire in tutti gli affari della Società relativi alle
nostre miniere.
Con queste principali condizioni,
senza le altre accessorie da aggiungersi, la Repubblica, o Sovrano
Consiglio, può essere tranquilla: e previa la pubblicazione del
Capitolato, può aprire i concorsi sospirati. Tuttavia Noi non
nasconderemo a noi stessi, che molti di Voi, ragionevoli settatori
del costume degli avi, non vi sentireste troppo inclinati a questo
passo di progresso. Voi direte: di ciò non ebbero bisogno i nostri
avi e la Repubblica è sempre esistita. Restiamo nella nostra
povertà, e manterremo la nostra politica esistenza. Ebbene noi vi
rispondiamo: volesse il Cielo che la Repubblica si trovasse ora
nello stato in cui era al tempo dei nostri avi. Allora la città
era popolata di ricchi possidenti, alle casse pubbliche non
mancava danaro, i cittadini educati a più poveri costumi, amavano
meno i comodi della vita. Maggiore era il numero degli uomini
istruiti, perchè maggiori i mezzi finanziarj. Minori erano le
spese del governo, perchè minori gli abusi, minori i bisogni,
maggiore era la temperanza nei sudditi, perchè minori idee di
progresso di civiltà, e diremo ancora di coruzione, esistevano fra
noi. Ma ora il quadro è molto cangiato. Scarse sono ridotte le
famiglie dei possidenti, che possano riversare sul popolo
artigiano il denaro ritratto dalle loro rendite. Scarsissime le
famiglie, che possano mettere nella via della vera dispendiosa
istruzione i propri figli. Le casse pubbliche che per i passati
abusi, che ognuno conosce, sono in quello stato, che ognuno sa: il
popolo, lo diremo pure, crescendo con più rilassata educazione,
sente bisogni, che pria non aveva, e dall'altra parte mancano le
risorse alla sua infiacchita energia. Che anzi ringraziamo il
Cielo, poichè ciò si verifica in molto maggior proporzione in
tutti gli altri siti. Questa è una legge del progresso, alla quale
noi non ci possiamo opporre, rimanendoci stazionarj, perchè legge
da Dio impressa nella natura stessa delle cose allorchè ad esse
dette e vita e movimento. Ma i popoli degli altri stati mercè del
progresso hanno nuove risorse, che noi ancora non abbiamo. La
Repubblica pertanto deve per necessità progredire ancora essa
adottando quelle leggi e quei sistemi dal progresso condotti, non
certo all'impazzata, ma dopo che la esperienza di qualche tempo ne
abbia resa manifesta e la ragionevolezza, e la utilità. Nè noi
pretendiamo in fine colla nostra proposizione di rendere la
Repubblica ricca e possente, perchè allora noi mineremmo alla sua
salute, ma solo di ridurre i suoi erarj a quel tanto che è
indispensabilmente necessario, per soperire a principali
urgentissimi bisogni dello Stato.
Ma tornando al primo proposito,
prendiamo la libertà, o Sovrano Consiglio di farvi osservare come
nelle basi del Capitolato, abbiamo eziandio proveduto, che per
parte di esteri azionisti noi non siamo soprafatti, se mai questi
approfittare volessero dell'ascendente guadagnato sul popolo in
grazia del somministrargli pane e lavoro. Noi abbiamo detto, che
le miniere debbono deliberarsi non per asta, ma per concorso, e
voi o Sovrano Consiglio dovete preferirne quella fra le Società
concorrenti, che vi sembrera migliore. E così il popolo dovrà
ripetere da voi solamente, se egli ha il chiesto pane, ed il
desiderato lavoro. Noi abbiamo imposto alla Società Deliberataria
il numero degli individui da impiegarsi, e abbiamo riservata al
governo la facoltà di permettere o no, che gl'individui designati
dalla Società stessa ottengano individualmente il lavoro delle
miniere. Noi abbiamo provveduto, che la Società Deliberataria
abbia sempre un deposito di denaro presso questo governo per
qualsiasi danno che ne potesse derivare al medesimo per l'apertura
delle Miniere stesse. Noi finalmente abbiamo consigliata una
Commissione con estesissimi poteri sull'affare in proposito.
Noi attendiamo tranquillamente, o
Sovrano Consiglio, il voto della vostra coscenza quale che siasi,
poichè sgravandoci di un peso grave, che noi avevamo verso di voi,
e verso il popolo Sammarinese, siamo nell'intimo convincimento,
che null'altro movente ci ha dominati che l'interesse e la
solecitudine per il benessere della nostra amata Repubblica.
Seguitando il nostro cammino siamo al
5° Titolo. Stampa dei nuovi codici nostri. Poche parole diremo di
questo titolo, come quello che non ha bisogno di calcoli astrusi
per essere dimostrato. Diremo soltanto fondandoci sull'esperienza,
che la sola prima stampa dei codici promessi dal Professore
Zuppetta qualora sia nettamente, e disinteressatamente
amministrata, potrà fruttare al governo un'utile netto di circa
2500 scudi.
6° Titolo - Tassa sui Passaporti
distinti. Questo penultimo titolo, più che un'utile per il governo
propone una cosa decorosa, e praticata da tutti gli altri stati
civilizzati. Ognuno di essi ha tre specie di passaporti; il Foglio
di Via - il Passaporto - il Passaporto Distinto, il quale suole
darsi alle persone di riguardo. Noi specialmente abbiamo frequente
occasione di doverlo adoperare per molti degli aggregati alla
nostra Cittadinanza. Nobiltà, giacchè il più delle volte sono
veramente persone di riguardo. A questo nuovo passaporto si
potrebbe apporre una modica tassa, parte della quale andrebbe a
profitto del Segretario degli Esteri, cui spetterebbe, e parte al
governo per le spese minute.
Veniamo senza più al 7° ed ultimo
Titolo. Coniazione di certa quantità di moneta. Non vi spaventate
o Signori. Noi abbiamo potuto sapere come questo non sia un nuovo
progetto, ma si suggerito altra volta dal nostro benemerito
Cavaliere Comendatore Borghesi. Noi qui non vogliamo trattare
ex professo l'argomento, ma vogliamo solamente sottoporre ai
vostri occhi, o Sovrano Consiglio, alcune considerazioni, giacchè
le presenti circostanze politiche e impedirebbero di effettuare un
disegno, che nei tempi addietro noi avevamo concepito per
manifestarlo poi nel tempo della nostra Reggenza.
1^ Considerazione. Per noi il coniare
la moneta non sarebbe di alcun dispendio, avegnachè potendo
ottenere da qualche tribunale una delle sequestrate macchine usate
dai monetarj falsi negli ultimi tempi, un paio d'uomini in un
giorno, conierebbero tutta la moneta, che ci abisogna.
2^ Considerazione. E' certo, che
un'utile vi è pel governo nel coniare la moneta.
3^ Considerazione. Se da noi si
coniassero un mille scudi di rame, saremmo certi, che dopo tre o
quattro mesi non se ne troverebbe più uno, poichè i molti
forastieri che passano per la Repubblica, non pel valore, ma per
la curiosità ce ne distrigherebbero facilissimamente.
4^ Considerazione. Una volta decise le
vertenze politiche, non si potrebbe per avventura iniziare un
trattato, con qualsiasi governo, che avremo limitrofo, mercè del
quale il detto governo desse corso coattivo nel suo stato alla
nostra moneta di argento, o di oro, che però non dovrebbe essere
inferiore nel valore intrinseco a quella del governo stesso.
Nessun danno al certo ne verrebbe al governo contraente, e d'altra
parte immenso utile a noi. Così verrebbe risoluta anche la
questione che potesse sorgere, se il governo sarebbe compensato
degli utili avuti nella coniazione, al momento di dovere dopo
circa un secolo ed anche più rifondere la propria moneta consumata
dall'uso.
5^ Considerazione. Il coniare propria
moneta, è uno degli argomenti di Politica indipendenza.
Ultima considerazione. Il coniare
intanto una certa quantità di rame, non serebbe che di qualche
utile.
Compito così lo svolgimento dei sette
titoli enunciati, esporremo a compimento dell'opera un nostro
principio per confutare un'obiezione che forse vi si potesse fare,
cioè perchè noi non abbiamo calcolato nei modi di far danaro un
riducimento delle spese attuali. Noi non neghiamo che negli
attuali preventivi esista qualche abuso, o qualche spesa male
erogata; ma dall'altra parte noi ritroviamo un'inconveniente nelle
scarse paghe degli impiegati, poichè queste nei tempi che corrono,
non ci sembrano sufficienti per il loro mantenimento. Avegnachè
quale cosa accade quando la propria paga non basta all'impiegato
per vivere? Egli allora è costretto a ricorrere ad altre
industrie, per aumentare la sua rendita. E queste sieno pure
lecite, ma intanto il tempo, che in esse s'impiega viene rubato al
disimpegno accurato dei doveri del proprio ufficio. Di maniera che
se sulla paga si è risparmiato cinque, se ne perde poi venti a
motivo dell'impiegato medesimo, che non attende con interesse e
con amore all'ufficio affidatogli; e viceversa. Queste sono le
nostre vedute economiche. Questi sono i nostri principj.
Eccellentissimo e Sapientissimo
Principe! Noi dietro la voce del dovere, vi esponemmo qual sia la
deplorabile attuale condizione del nostro amato paese, che non è
certamente quella in cui si trovava al tempo dei sapienti vostri
Avi. Noi vi adimostrammo come sia unico principal mezzo il denaro,
a riparare ai bisogni del pubblico e del privato. Noi vi
proponemmo nell'esaurimento attuale dell'erario un progetto di
sette titoli cioè:
La Riscossione dei crediti pubblici, e
la riscossione dei canoni enfiteutici. La riscossione della
cinquina sui fondi dei forastieri, che hanno acquistato beni
stabili senza permesso.
Il Catasto Urbano
L'apertura delle miniere solfuree
La stampa dei nuovi codici nostri
La tassa sui passaporti distinti
La coniazione di certa quantità di
moneta.
Noi vi svolgemmo succintamente ad uno
ad uno questi titoli, e così credemmo di obedire al nostro
ministero, alla nostra coscenza, alla nostra Patria.
Ora pregando il Signor Segretario
Genarale a registrare nel verbale di questa seduta queste nostre
proposizioni, che avemmo l'onore di esporre innanzi a voi, le
abbandoniamo alla vostra coscienziosa approvazione o
disapprovazione, o Sapientissimi Padri, a cui formano splendida
dote l'innato amore di libera terra, la esperienza di molti anni,
la prudente sapienza propria virtù dei nostri Maggiori.
(AS, Atti, vol.OO, n° 38, sed.
del 30 ottobre 1859)
APPENDICE N° 2
Relazione di Palamede Malpeli nel
Consiglio del 15 dicembre 1864
Eccmi
Signori
L'argomento che oggi ho l'onore di
presentare al vostro esame è di generale interesse, d'inevitabile
urgenza, di profonda discussione; e però io vi prego che vogliate
richiamare su di esso la vostra attenzione.
Egli è sull'attuale posizione
finanziaria della Repubblica, che mi son deciso di tenervi
ragionamento. Questo soggetto a voi si raccomanda di per sè a
motivo della sua attuale importanza, della quale fanno fede alcune
precedenti risoluzioni Consigliari non solo, ma la considerazione
che questo ramo vitale di pubblica amministrazione si trova
strettamente legato all'esistenza politica del nostro libero
reggimento. L'esposizione stessa che io farò della cosa, mi
dispensa dal prevenire le obiezioni che potessero affacciarsi
sulla vera urgenza di questa discussione, e proverà che (...?) non
mi apposi, quando nell'assumere in mano le redini del Governo
credetti di servire agli obblighi giurati concentrando tutte le
mie cure a scoprire quali fossero i principali bisogni della
nostra diletta Repubblica. Io mi son dovuto persuadere che il
provvedere ai bisogni fisici e morali del Paese, cioè alla
finanza, ed alla pubblica istruzione erano le due cure alle quali
ogni altra doveva metter capo, e che reclamavano una particolare
sollecitudine da parte del nostro Governo, perocchè nel ben essere
materiale e materiale (sic -forse si voleva scrivere morale-) del
nostro Popolo trova il suo fondamento la Libertà.
Così dopo avere disbrigati alcuni
provvedimenti d'ordine interno quali sono state la Legge Edilizia,
o sulla pubblica Annona, il nuovo regolamento dei Gendarmi,
il Censimento generale della Popolazione coll'impianto dello Stato
Civile, mi son dedicato principalmente ad esaminare la condizione
della pubblica finanza, lasciando agli ultimi mesi della mia
Reggenza, se pure mi resterà il tempo, di fare eziandio qualche
cosa per la moralizzazione del Popolo, migliorando ed allargando
la pubblica istruzione.
Vengo dunque senz'altro al mio tema.
Io vi esporrò brevemente in primo
luogo o Signori lo stato attivo e passivo delle nostre
Finanze: vi parlerò in secondo luogo dell'attuale sistema
amministrativo: e in ultimo luogo vi farò un breve quadro di
quelle risorse finanziarie che potrebbe per avventura aver la
Repubblica al presente.
Non dissimulo la difficoltà di
presentarvi uno stato attivo preciso, poiché non essendo stato
fino ad ora mai compilato, si richiederebbero molte cure, molte
indagini, e molti mesi per redigerlo esatto. Tuttavia ognuno di
noi conosce che il nostro Governo possiede
1 - Qualche capitale stabile in beni
rustici che gli danno una corrisposta
di pochissima entità:
2 - Molti capitali stabili Urbani che
gli danno un fruttato quasi interamente passivo:
3 - Molti capitali mobili in Censi e
Cambi dei quali però pochissimi gli corrispondono un annuo
Cannone:
4 - La tenuissima tassa fondiaria che
è ragguagliata, compreso il contributo strade, a 105 centesimi di
scudo per ogni 100 di estimo:
5 - Le pochissime Tasse indirette cioè
quelle sui principali generi di consumo, sul posteggio, sul Bollo,
Registro, ed Ipoteche etc.
6 - I proventi che sono i più
ragguardevoli dei generi di Regia:
7 - La corrisposta sul prodotto delle
Dogane del Regno Italiano che esso ci paga per la convenzione 22
Marzo:
8 - Un avvanzo di circa scudi 2.800
del debito negoziato a Parigi esistente in Cassa e passivamente
fruttifero per la Repubblica.
9 - Un fondo di scudi 1.800 di
nuova moneta di Bronzo in pezzi da 5 centesimi che forse col tempo
potrà mettersi in circolazione, secondo chè ne consiglierà una
sana prudenza:
10 - Quindici azioni finalmente della
miniera di Faetano, che sono fino ad ora totalmente infruttifere:
Di tutti questi capitali l'esperienza
di molti anni ne ha insegnato che nella condizione attuale delle
cose l'entrata annuale della Repubblica non passa di molto gli
scudi 10.000.
Con eguale brevità io farò
l'esposizione dello stato passivo. L'attuale debito privato della
Repubblica ascende a scudi 7.163 ai quali conviene aggiungere
circa 500 scudi prezzo della Casa Mariani in Borgo, e così tra non
molto il Cannone annuo di frutti passivi anderà a raggiungere la
somma di scudi 500. Così dai calcoli fatti un ventesimo della
rendita viene assorbito dal fruttato passivo, mentre otto
ventesimi viene erogata negli onorari e stipendi; cinque ventesimi
viene impiegata nelle spese fisse, e non rimangono che sei
ventesimi per far fronte alle spese straordinarie. Da questo
riassunto ognun vede come sia cosa difficilissima mantenere
il bilancio tra l'entrata e l'uscita, e come questa superi sempre
quella di qualche cosa, specialmente se guarda alla frequenza
colla quale e nel Consiglio, e nella Congregazione si autorizzano
nuove spese senza pensare una volta sola ad aumentare le rendite.
Ma si potrà, o Signori, camminare
tranquillamente ad occhi chiusi di questo modo? Consideriamo per
un momento il caso, che Dio tenga lontano, che ne venisse a
mancare la corrisposta Doganale del Regno Italiano, ingolfati come
siamo in certe necessità Finanziarie! Io parlo di una eventualità
remota, forse verificabile da qui a sette anni, epoca nella quale
scade la convenzione 22 marzo. Ma abbiamo altre cose che pongono
in giusta apprensione le nostre Finanze.
Innanzi a tutto io farò avvertire come
al fine del 1865 scadrà la prima rata in scudi 2.000 del prestito
di Parigi. I Banchieri non accorderanno dilazioni avendola chiesta
fin da oggi. Come è evidente questa somma non potrà prelevarsi
dall'entrata, nè credo buona regola di economia possa consigliare
nell'attuale crisi monetaria contrarre un nuovo debito per
estinguer quello, a meno che non si volesse saviamente pensare ad
istituire un regolare debito pubblico.
Qui non è tutto. Le maggiori
probabilità fanno ritenere che quanto prima sarà aperta una linea
ferrata per il Fiume Marecchia la quale passerà in prossimità del
nostro confine.
Se ciò si verificherà, il nostro
Governo si troverà nell'imperioso bisogno di aprire immediatamente
la strada della quale è stata già tracciata la linea, e redatta la
perizia dai Sigri Ingegneri Cambrini e Sani, e che ascende
all'ingente spesa di 24.000 scudi.
Ma oltre a ciò chi non vede necessaria
altre spese nella stessa strada maestra di Rimini per
corrispondere in qualche modo alle modificazioni delle coste di
Borgo, già decretata dalla Provincia di Forlì?
Questo stesso Palazzo, ove il Principe
si aduna, è cadente, e ridotto come ognun vede in uno stato
disdicevole alla stessa Spartana semplicità. Le mura della Città
in quella parte specialmente ove sono più esposte alla pubblica
vista, non reclamano meno un pronto restauro.
Questi sono i fatti principali, sui
quali, o Signori, il Governo della Repubblica vi chiama forse per
la prima volta a meditare, poichè pur troppo mi sembra che nessuno
oggi vi pensi seriamente. Esposto così brevemente lo stato attivo
e passivo della Repubblica passerò ora a discorrere del suo
sistema di amministrazione.
Secondo l'impianto finanziario del
1830, prima che la Reggenza cedesse l'ufficio alla nuova, si
teneva un Congresso dei nuovi Reggenti, così detto, in cui si
faceva il preventivo delle spese per il prossimo esercizio. Pochi
stipendi, tenui spese, amministrazione facile e piana, tutto
procedeva nel modo il più semplice. In progresso di tempo
cresciuti colla civiltà, o colla corruzione i bisogni, si trovò
necessario di impiantare un'amministrazione più regolare coi
dovuti controlli, di fare un Preventivo, e Consuntivo disposto per
Rubriche modellandosi sul sistema tenuto dai Comuni dei limitrofi
Stati. Così il Segretario Economico minutava il Preventivo
semestrale dopo essere stato chiuso il Consuntivo dell'esercizio
passato, locchè aveva luogo qualche tempo dopo l'incominciamento
del nuovo esercizio. Tanto il Consuntivo, quanto il
Preventivo venivano sanzionati non dal Consiglio ma dal Congresso
Economico. La Reggenza non aveva facoltà che di ordinare le spese
contemplate dal Preventivo: il Congresso Economico aveva la
facoltà di autorizzare spese non maggiori di scudi sei per titolo.
Delle spese di maggior somma discuteva il Consiglio. Certamente
questo sistema è più regolare dell'antico; tuttavia a parer mio
racchiude molti inconvenienti intrinseci, oltre a quelli
introdotti dalla consuetudine e dall'arbitrio.
Il primo a me sembra quello, che il
Preventivo secondo le savie prescrizioni antiche deve esser fatto
prima che cominci l'esercizio della Reggenza, poiché attese le
molte brighe del Governo, e il tempo necessario per compilare il
Consuntivo, l'amministrazione resta per tutto quello spazio come
paralitica, e ne consegue un inceppamento negli ordini, una
ignoranza in chi governa del vero stato Finanziario; cose tutte
che generano l'incertezza, ed il rilassamento nell'operare. Del
resto il sistema di fare il Preventivo prima del Consuntivo è
stato generalmente accettato da tutti gli Stati, completando
l'Attivo e il Passivo colle Rimanenze.
Un secondo inconveniente a parer mio è
quello, che il Preventivo non venga non solo letto, ma neppure
discusso in Consiglio: il Consiglio riunisce in sè il potere
legislativo, e in gran parte il potere amministrativo dello Stato.
Due sono le conseguenze di quest'ignoranza in cui versa
continuamente il Consiglio: la prima, che appunto mancando una
preventiva regolare discussione non si preveggono tutte quelle
spese che vengono in seguito ad essere indispensabili: la seconda
che il Consiglio nell'ignoranza appunto dello Stato Finanziario, e
dei bisogni pubblici, decreta continuamente in ogni Seduta
nuove spese a mano a mano che queste si presentano, cosicché
essendosi fatto bilanciare a stento l'attività colla passività nel
Preventivo; nel Consuntivo poi si richiede tutta la finezza
Burocratica per far nuovamente bilanciare le partite. Ma tutti
converrete con me, o Signori, che questo sistema salva la
regolarità esteriore, ma non provvede per nulla alla sostanza
delle cose, alla realtà dei bisogni. La buona economia non sta nel
non far delle spese quando la cassa è scema, ma sta nel fare
queste spese nel momento che queste possono essere minori e più
proficue; sta nel prevenire il danno, meglio che nel ripararlo,
quanto più sollecitamente, tanto più utilmente.
Ma un terzo inconveniente a cui fa
d'uopo riparare, e che dipende piuttosto da una prava consuetudine
è l'arbitrio, o l'abuso che spesso si scusa sotto il pretesto di
un urgenza che pur come sopra ho detto poteva di leggieri
prevvedersi; l'abuso voglio dire invalso nei Reggenti, ed in altri
pubblici ufficiali di ordinare spese pubbliche a loro senno,
quando i fondi assegnati sono stati esauriti; e la consuetudine
anche peggiore di aver sanate queste spese senza la legittima
autorizzazione, e con abuso di potere. Egualmente io ritengo
pregiudicevole ad un piccolo Stato, come il nostro, lo
scentramento della pubblica amministrazione per ciò che
principalmente spetta ai lavori pubblici. Permettetemi che io ve
lo dica, in questo ramo di pubblica amministrazione si cammina a
tentoni, a capriccio, senza unità di principio, senza vedute
generali, senza un'ordine prestabilito, senza un nesso logico tra
le diverse operazioni, senza buoni metodi di esecuzione; ma tante
volte per liberarsi da una pressione, per favorire un interesse,
per servire a poco ragionevoli esigenze. Qui tornerò a ripeterlo,
è necessario di stabilire principi generali, unità di operazione,
ed amministrazione ben definita. Sono i lavori pubblici la nostra
piaga più ribelle, e sono i lavori pubblici (fatal combinazione)
quelli che si rendono ogni dì più indispensabili, e minacciono
d'assorbirci.
Pensiamoci bene, o Signori.
Finalmente io noterò essere un
inconveniente di qualche peso una mancanza che io non saprei come
ben caratterizzare, se come indolenza, se poco coraggio civile, se
poco amore della pubblica cosa, se riguardi personali (cose tutte
antirepubblicane); la mancanza voglio dire nei rettori delle
pubbliche rendite, e delle rendite Sacre, che cadono sotto la
Revisione del Principe, di rendere spontaneamente conto delle
tenute gestioni; e nelle Autorità, di non obbligare i negligenti a
questo loro dovere. Una tal cosa tanto necessaria per il buon
andamento della pubblica cosa, e che urge (notate questo concetto)
che vada di pari passo colla compilazione dei Consuntivi, viene
pur troppo trasandata.
Signori! ognuno di noi dice che ne sta
a cuore la conservazione e la prosperità della Repubblica: ma se
non cureremo seriamente il buon andamento della pubblica finanza,
con amore, con disinteresse, con zelo, come se si trattasse di
cosa nostra propria, andremo certamente incontro ad una crisi
dolorosa: e se il nostro Santo Patrono non rinnoverà i suoi
miracoli, potrebbe toccarci la sorte del peccatore che afferma di
voler andare in Paradiso, e intanto vive ed opera come se il
Paradiso fosse dei reprobi.
Dietro questa sincera esposizione di
cose, allo scopo di preservarci dai mali possibili, qual sarà la
via da tenersi per giungere ad un utile risultato pratico? La
risposta viene da sè. Occorre
1° Un sistema d'amministrazione più
buono;
2° Trovare i mezzi per accrescere le
rendite dello Stato fino a quella proporzione che è necessaria per
sopperire a quelle spese che sono imposte dalla necessità dei
tempi.
In quanto al presentarvi, o Signori,
un progetto di sistema più ragionato di amministrazione
finanziaria, Voi già ne affidaste l'incarico al Congresso
Economico, e questo al Nob. Sig. Settimio Belluzzi, dal cui
esperimentato sapere, e ben noto amor Patrio ci ripromettiamo un
tale interessantissimo lavoro.
In quanto poi all'avvisare a nuovi
mezzi finanziarj io potrò sempre ripetervi che
1° Riterrei utile la vendita di tutti
i capitali stabili tanto rustici che urbani i quali non fossero
attualmente di assoluta urgenza pel Governo
2° Obbligherei in virtù di una legge i
detentori (come ha fatto anche il Governo Italiano) ad affrancare
i beni enfiteutici del Governo, mediante una somma da predefinirsi
in base dell'annuo Canone; riscuotendo eziandio gli arretrati
3° Riscuoterei le cinquine
4° Liquiderei in generale proporzioni
il debito Pubblico
5° Sistemerei la tassa fondiaria
portandola al due per cento di estimo, caricandone però di un
terzo i Coloni
6° Estenderei la tassa indiretta di
consumo anche sulla vendita del vino
7° Tasserei i frutti dei Censi, per
obbligare anche con questo mezzo indiretto a mettere in
circolazione a maggior vantaggio del commercio, e del Pubblico
Erario questi capitali immobili. Aumenterei le tasse di Registro
sui cambi.
Procurerei il modo di estendere l'uso
e il prezzo della carta bollata. Sostituirei al Capo Saldo la
tassa di Registro.
8° Imporrei una tassa alle carte da
gioco.
9° Proporrei alcuni risparmi
quantunque siano poca cosa, negli attuali preventivi
10° Istruirei un regolare debito
pubblico.
In questi modi io porto opinione che a
capo di cinque anni il Nostro erario potrebbe avere a sua
disposizione una somma di 14.000 scudi almeno.
Ma giunti a questo punto io faccio
sosta, persuaso che per giungere ad un utile risultato pratico per
il vero vantaggio della Repubblica, si opporebbe qualunque
progetto qualunque legge che io vi potessi, o Signori, presentare
su questo proposito. La necessità di venire in soccorso alla cosa
pubblica deve essere sentita da tutti indistintamente: tutti non
solo ne debbono essere convinti, ma eziandio persuasi. Lo
scegliere i mezzi per ottenere un tale provvedimento, deve pure
essere opera di tutti: tutti dobbiamo essere pienamente solidali
in questo intraprendimento, perché qualunque sieno le persone che
verranno dopo di noi a dirigere la cosa pubblica, debbano
riguardare quest'opera come parte del loro ingegno, come lavoro
delle loro mani; perché uno sia il principio, uno l'interesse ad
agire, una la responsabilità. A curare questo bisogno dello Stato,
si richiede lungo amore, infaticabile pazienza, e lo dirò
liberamente, anche il proprio sagrifizio.
Oltrecchè non esistano in me capacità
di amministrazione pratica, qualunque iniziativa io potessi
prendere per far prevalere le mie idee e le mie vedute, sarebbe in
me un imperdonabile orgoglio, ed una riprovevole presunzione; e
pregiudicherebbe al buon risultato dell'affare in cui tutti, come
dissi, dobbiamo essere egualmente solidali tanto nel fare il
Programma, quanto nell'eseguirlo.
Oggi io ho compiuto il mio dovere di
Cittadino, e di Reggente nel porre a nudo lo stato delle cose: a
Voi, o Signori, libero e pieno ne è rimesso il giudizio. Se
crederete che nulla debba farsi, io non caricherò certamente le
mie deboli spalle di tanto peso, e mi basterà d'avervi prevenuti.
Riassumo la questione.
L'entrata annua della Repubblica è di
circa 10.000 scudi: questa non cuopre quasi mai l'escita
ordinaria. Colla medesima non saremo mai in caso di estinguere il
debito pubblico, e molto meno di far fronte alle ingenti spese che
ci minacciono.
L'amministrazione coperta di una
esteriore regolarità ha molti diffetti intrinseci, a cui fa d'uopo
riparare.
Si è data infine una rapida occhiata a
ciò che si potrebbe pur fare; ma tutti insieme, tutti d'accordo.
Eccovi dunque, o Signori, aperto il
campo. Io aprirò gli Arringhi: ognuno potrà proporre quelle
quistioni, e quelle determinazioni pratiche che crederà opportune:
il Sig. Segretario ne prenderà atto distintamente, e saranno
separatamente discusse.
(AS, Atti, vol. PP, n° 39, sed.
del 15 dicembre 1864)
APPENDICE N° 3
Lettera di Domenico Maria Belzoppi
alla Reggenza - 8 febbraio 1861
Eccellenze
Su quanto mi richiama il venerato
foglio delle Eccellenze Vostre in data 7 corrente, posso
assicurarle che il General Garibaldi, nel breve tempo che si
trattenne nella nostra Repubblica, dove sciolse le milizie che
ancor lo seguitavano, non tenne mai al nostro Governo alcun
discorso, o proposito di casse contenenti armi e munizioni di cui
era fornito il suo piccolo esercito, e che erano state introdotte
nella Repubblica in seguito al suo ingresso; e che perciò non potè
essersi mai trattato col Governo stesso della formazione di alcun
deposito di quelle Casse mediante alcun atto che vi avesse
relazione, nè in iscritto, nè verbalmente. Quello che posso dire
però, e di cui mi ricordo, si è che i Garibaldini poco appresso
arrivati in Repubblica, vollero dar posto nel palazzo pubblico a
dieci o dodici casse di munizioni, portandone solamente
una o due ai Cappuccini, dove Garibaldi si era trincerato
dalla parte donde venivano i Tedeschi; e che il nostro Goicone (?)
non appena partito il Garibaldi clandestinamente a notte avanzata
dalla Repubblica, si diè cura di far trasportare e chiudere le
dette casse in unione a quelle dei Cappuccini in uno dei piccoli
torrioni della Rocca sotto l'autorità del Castellano. Cessata poi
dopo un mese la mia Reggenza, io non posso dire nè so cosa
avvenisse di quelle casse, sol che una notte ebbi a sentire, che
si fucinava che fossero perfino state derubate, non so come.
Le dette casse non è altrimenti
vero, che fossero grandi; ma erano di piccola mole,
e addatate al trasporto che se ne faccia per le montagne, a
schiena di cavalli, o di muli.
Ed è pur falso che nelle medesime
fossero collocate anche delle armi; mentre non contenevano
che sole cartuccie per le carabine; cosa che potrà essere
attestata da più testimoni che le visitarono, e più di tutti dal
Sig. Avvocato Filippo Belluzzi Comandante allora della Milizie.
Seguitando a dire sull'argomento delle
armi, aggiungo poi che la Repubblica potè solamente venire in
possesso di alcuni di quelle che furono deposte dai soldati
sbandati e disciolti, e dopo che una gran parte di essi ebbe
venduto il proprio fucile, che veniva offerto a basso prezzo a
chiunque si offrisse loro dinnanzi. Delle armi però deposte come
sopra e raccolte nel nostro quartier della Milizia, ne fu subito
chiesta, e fatta consegna al Principe Alberto d'Austria che con
insistenza le aveva reclamate a nome del Governo Pontificio, per
conto del quale disse, che agiva contro il Garibaldi.
In merito ad una tale consegna, le
rimetto qui entro l'originale che vi fa relazione, ed
unisco anche una copia della lettera colla quale la Reggenza
avvertiva il Principe, quando la domandata consegna si sarebbe
eseguita.
Nulla più posso aggiungere a quanto ho
narrato: e mentre credo fi aver così soddisfatto al desiderio
delle Eccellenze vostre in ordine ai bisogni in cui sono poste
dall'emergente che interessa la Repubblica per le dichiarazioni
che sarebbero state fatte dal Garibaldi al Governo del Re del
Piemonte, e or ora d'Italia, domando il permesso e l'onore di
ripetermi coi sensi della più profonda osservanza.
Delle Eccellenze Vostre
Di Verucchio 8 Febbraio 1861
Umlo devmo obmo Servitore
domenico maria belzoppi
(AS, Cart., lett. n° 103, b.
178)
APPENDICE N° 4
Legge sul diritto d'asilo - 4
agosto 1857
I Capitani Reggenti della Repubblica di S. Marino
Nella seduta 4 Agosto 1857 il Generale
Consiglio Principe prese a riformare nel modo seguente la legge
già sancita nel 28 Agosto 1842 sull'asilo da accordarsi agli
Inquisiti Esteri, che vien promulgata per la sua piena osservanza.
.................................
1° Non saranno assicurati, nè
tollerati nel Territorio della Repubblica
I Gli imputati o condannati di
delitto di alto tradimento.
II Di avere con empio fine e con
violenza disturbato le funzioni sacre
celebrate in luogo
pubblico.
III Di falsità di Scritture
pubbliche.
IV Di falsificazione di Monete.
V Di fraudata amministrazione
delle Rendite del Principe, delle Comunità,
e dei pubblici
stabilimenti.
VI D'incendj
VII D'omicidio premeditato.
VIII Di ratto violento.
IX Di stupro con violenza.
X Di Crassazione
XI Di ogni sorta di furto qualificato
XII Di fallimento con dolo malo.
2° In tutti i casi di delitti non
eccettuati come sopra potrà all'inquisito estero accordarsi asilo
nella Repubblica a beneplacito del Generale Consiglio Principe,
cui spetterà esclusivamente il dichiarare di ammetterla o non
ammetterla al beneficio di asilo dietro l'osservanza delle
condizioni infradicende.
3° Dovrà l'inquisito appena giunto in
Repubblica entro il termine di ore 24 presentarsi ai Reggenti
della Medesima, e fare innanzi a Loro la sua istanza in iscritto
per esser ricevuto, esprimendo in quella il suo nome, la sua
condizione e stato, la sua Patria, ed il titolo criminoso del
quale è prevenuto in Giustizia. Non conformandosi a queste
prescrizioni dopo il termine delle ore 24 sarà immediatamente
licenziato.
4° Sarà egualmente licenziato se il
delitto di cui è accusato si riscontra fra gli eccettuati
nell'Art. I.
5° Dovrà inoltre l'inquisito nel
termine di giorni dieci susseguenti alla presentazione della sua
istanza, offrire ai Capitani Reggenti una garanzia scritta e
sottoscritta da un Cittadino della Repubblica, colla quale questi
si renderà mallevadore della buona condotta di quello, e si
dichiarerà principale e solidario pecunialmente per ogni debito
che incontrasse l'inquisito stesso colla giustizia, e anche per
quelli che contraesse con Chiunque per mancanza di mezzi di
sussistenza. Non prestandosi tale cauzione l'inquisito sarà subito
rimandato.
6° Presentandosi la cauzione come
sopra, i Capitani Reggenti dovranno entro 4 giorni adunare il
Consiglio degli Affari Esteri, dal cui seno dovranno ad ogni caso
sciegliersi due Deputati incaricati a verificare quanto viene
esposto nell'istanza dell'inquisito, e a ricercare anche ciò che
ha riguardo alle morali e politiche qualità di lui, onde su tutto
riportare una esatta informazione. Lo stesso Consiglio avrà
eziandio la facoltà in caso dubbio di decidere insieme ai Reggenti
se il delitto di cui fosse creduto debitore l'estero Contumace sia
o no compreso negli eccettuati dall'Art. I, e se esso contumace
sia soggetto o no per conseguenza alla disposizione dell'Art. 4°.
7° L'informazione da darsi
sull'inquisito dai Deputati della Congregazione degli Affari
Esteri, dovrà essere in iscritto e firmata dai medesimi, e verrà
dai Reggenti in unione alla istanza e garanzia offerta
dall'inquisito medesimo, presentate al General Consiglio Principe
alla prima Seduta che avrà luogo immediatamente dopo l'esibita che
ne avranno fatto alla Reggenza i Deputati, ad oggetto che su quei
recapiti il Principe stesso pronunzi l'ammissione o non ammissione
dell'inquisito al confugio.
8° Se l'informazione dei Deputati farà
conoscere falso l'esposto nell'istanza dell'inquisito, non avrà
luogo alcuna interpellazione al Generale Consiglio Principe, ma
l'inquisito dovrà essere espulso, oltre il dover andare soggetto a
quella punizione di Legge che le narrate falsità, come offensive
al Governo, al di cui favore è stato ricorso, richiederanno.
9° I Capitani Reggenti, durante il
tempo che l'inquisito per eseguire le prescrizioni della Legge, e
per aspettare le decisioni del Consiglio Principe, gli
rilascieranno in iscritto dei semplici permessi di tolleranza
sottoscritti dai medesimi.
10° Ottenuto poi che abbia il
Contumace dal Consiglio Principe il beneficio di essere ammesso al
confugio nella Repubblica, gli stessi Capitani Reggenti lo
muniranno di una così detta carta di sicurezza da tener luogo di
Salva condotto, la quale avrà vigore soltanto per tre mesi datando
dal giorno della ottenuta concessione, e potrà rinnovarsi
successivamente da tre mesi in tre mesi. Se la condotta del
Contumace non offra motivo ai Capi di Governo di doverlo privare
dell'accordatogli beneficio dietro una giustificata mancanza.
Potrà anche somministrare il titolo a negare la Carta di sicurezza
il Matrimonio contratto dal Contumace, o da contrarsi dopo la sua
venuta in Repubblica.
11° Il rilascio della Carta di
sicurezza in istampa o madre e figlia si farà dietro ordine del
Governo dalla pubblica Segreteria, e dovrà essere
indispensabilmente sottoscritta dai Reggenti per la sua validità.
12° Gli inquisiti confugiati nella
Repubblica sono sempre sotto la sorveglianza della Polizia, e non
possono assentarsi dal suo Territorio, volendovi ritornare senza
l'antecedente permesso dell'autorità Governativa; diversamente
sono decaduti immediatamente dal beneficio di asilo, e non sono
più ricevuti.
13° E' vietato inoltre ai Contumaci
sotto pena della espulsione anche la delazione e ritenzione delle
armi non proibite, e così pure la caccia con archibugio, il di cui
permesso potrà soltanto concedersi dal Generale Consiglio
Principe, trattandosi d'inquisiti esteri, e dalla Reggenza se si
tratta d'inquisiti esteri ma ascritti alla Cittadinanza della
Repubblica. L'inquisito per altro dopo anche l'ottenuto permesso
non potrà dispensarsi dal munirsi della consueta patente di caccia
come ogni altro Cittadino della Repubblica.
14° L'inquisito che non si sarà
presentato nel termine di 24 ore alla Reggenza, o che
presentandosi, non potendo essere ricevuto nella Repubblica, sia
stato licenziato od espulso nei casi come sopra, se entro 24 ore
dalla fattagli intimazione di partire non avesse ubbidito, sarà
arrestato e tradotto dalla Forza Pubblica ai Confini della
Repubblica, e facendosi lecito di nuovamente rientrare nella
medesima, sarà preso e irremissibilmente consegnato alle forze del
proprio Governo.
15° Gli esteri forniti di regolari
recapiti o anche soltanto cogniti che prendono stanza nella
Repubblica, dovranno dentro il termine di tre giorni dal loro
arrivo procurarsi dal Governo la Carta di permanenza, in mancanza
della quale non avranno titolo legale a più lungo soggiorno.
16° Ogni abitante del Territorio della
Repubblica che darà alloggio ad uno o più forastieri dovrà fare la
denuncia alla Reggenza.
-1° Dentro tre giorni dall'arrivo di
esso o di essi se siano muniti di regolari recapiti, o anche
soltanto cogniti di persona e buona condotta.
-2° Dentro 24 ore dall'arrivo come
sopra se siano incogniti o mancanti di regolari recapiti.
-3° Dentro il più breve spazio
possibile non eccedente le 24 ore, termine di stretto rigore, se
siano contumaci alla Giustizia tanto in questo che in altri Stati,
o essendo licenziati o espulsi dal Governo della Repubblica vi
abbiano fatto reingresso.
17° E' alloggiatore Chiunque riceva
uno o più forastieri gratuitamente, o per mercede e servizio.
-Compensazione d'opere, o altre cause nella Casa
-Villa-Locanda-pertinenza-o dipendenza che gli spettano in
proprietà, o dove abbia diritto d'usufrutto, abitazione, od uso
qualunque.
18° L'obbligo della denunzia ingiunta
ad ogni alloggiatore è indipendente da quelli prescritti ad ogni
forastiere alloggiato con gli Articoli 3.5. 14.15 della presente
Legge, ma compete ad ogni alloggiatore il diritto di accertarsi
che l'alloggiato od alloggiatori abbiano gli obblighi medesimi
esattamente adempito. Cessa però l'obbligo della denunzia allorchè
il Forastiere o Forastieri non contumaci siano appartenenti per
cognazione o agnazione all'alloggiatore.
19° La qualità di Contumace alla
giustizia, o di refrattario agli ordini del Governo si presume
sempre quando il Forastiere o Forastieri non cogniti di persona e
buona condotta manchino di passaporto o salvo-condotto o carta di
permanenza, e questi di fatto basta di per se solo a costituire in
mala fede l'alloggiatore, e rifondere a suo carico la prova del
contrario.
20° I Contraventori al disposto
nell'Articolo 16 incorreranno nella Multa. Non minore di tre, nè
maggiore di cinque Scudi nei casi contemplati nell'art. medesimo
al 1°.
Non minore di cinque nè maggiore di
dieci scudi nei casi contemplati al 2°
Non minore di dieci, nè maggiore di
venticinque scudi nei casi contemplati nel 3°.
21° Ritenuti i suddetti limiti, la
multa è graduabile secondo le circostanze aggravanti o diminuenti.
Circostanze aggravanti sono contro l'alloggiatore
1° Le proprie qualità di oste,
affittacamere, o traente un lucro qualunque del prestato alloggio,
2° La qualità di Forense,
3° Quella di pregiudicato con la
giustizia,
4° L'altra di fautore nel reingresso o
latitanza del contumace o refrattario,
5° Le qualità infine di recidivo.
E relativamente all'alloggiato o
alloggiati forma pure circostanza aggravante contro l'alloggiatore
1° Se costoro fossero Militari,
2° Se ancorchè Paesani, fossero
armati,
3° Se fossero riuniti in conventicola
di tre o più persone,
4° Se la omissione della tempestiva
denunzia abbia occasionato qualche disordine prevedibile dalla
autorità del Governo quando la denunzia fosse stata puntualmente
eseguita.
Circostanze diminuenti sono
1° L'alloggio gratis dato per mera
liberalità scevra dalla veduta di contrariare le disposizioni del
Governo e riuscito innocuo al buon ordine.
2° La cognita qualità dell'alloggiato
estero e non contumace di appartenente alla Repubblica per
Nobiltà, Cittadinanza, o naturalizzazione già avvenuta.
22° Cognitore di queste contravenzioni
sarà il Commissario della Legge pro tempore, il quale applicherà
le suddette multe dato luogo alle difese eseguibili dentro tre
giorni da quello della relativa contestazione e requisito il Voto
del Procuratore Foscale. La procedura sarà sommarissima, ed il
Procuratore Fiscale pel di cui organo perverrà la querela al
Tribunale vigilerà perché nello spazio di tre mesi e non più oltre
dalla presentazione abbia il pieno suo sfogo. Il Giudicato sarà
inappellabile, nè competerà al condannato altro rimedio, che il
ricorso alla Grazia del Consiglio Principe.
23° Le multe si devolveranno per un
terzo alla Camera della Repubblica, un terzo alla Forza di
Polizia, o altro ausiliare, e l'ultimo terzo allo Spedale di S.
Marino. Contro gl'insolventi darà decretato lo sconto con la
Carcere nelle proporzioni di consuetudine. La Carcere da 5,
a 15 giorni può essere inflitta cumulativamente alla multa agli
Alloggiatori per due o più volte recidivi nella contravvenzione.
24° Per assicurare l'osservanza della
presente Legge, i Capitani Reggenti ad ogni Adunanza del Consiglio
Principe dovranno interpellarlo se ha nulla in contrario alla
perfetta esecuzione della medesima, ed omettendosi tale
interpellazione per parte dei medesimi, qualunque Membro del
Consiglio potrà presentare il suo reclamo.
Sammarino
dalla Segreteria Generale questo dì 17 Settembre 1857.
I. Bonelli Cap.
Reggente
D. Fattori Cap. Reggente
F. Belluzzi Seg.Generale
(AS, Leggi, b.
3/1)
APPENDICE N° 5
Progetto per emissione di carta
moneta - 8 gennaio 1880
Progetto per l'emissione di carta
moneta sammarinese presentato dalla Reggenza al Consiglio Principe
e Sovrano nella sua tornata del dì 8 Gennaio 1880.
E' un bisogno urgente del nostro
Paese, reclamato dallo sviluppo dell'agricoltura e del commercio
locale, di dover completare la viabilità del nostro territorio.
Per soddisfare al medesimo il Governo non ha che di disporre che
di circa lire 14.000 annue, fruttato di un fondo di riserva, che è
prudente e necessario di non distruggere. Ora richiedendosi non
meno di lire 200000 per condurre a termine l'opera, ci vorrebbe un
impiego di tempo di circa 15 anni, valendosi anche del concorso
delle opere gratuite obbligatorie. Ognuno comprenderà che questo
tempo è troppo lungo e non può soddisfare alle esigenze dei
diversi centri del territorio, che sono ancora privi di
comunicazioni.
Il mezzo più facile e spedito per
costruire e sistemare tutte le nostre strade in breve tempo e coi
soli frutti del fondo di riserva, senza intaccare il capitale
e senza imporre dei gravami sui cittadini, sarebbe quello di
emettere della carta moneta di piccolo taglio per la somma di Lire
200.000, garantendola sul fondo stesso. Questa carta dovrebbe
stare in circolazione per un decennio e dopo questo tempo dovrebbe
essere ritirata. Il fondo di riserva dello Stato è al presente di
Lire 284.544 effettive e non nominali, ragguagliata la rendita
italiana (5%) in cui è rinvestito, al corso attuale dell'88%. La
carta quindi, che si emetterebbe, avrebbe la garanzia di quasi un
terzo di più dell'emissione e per conseguenza una solidità
maggiore di quella delle stesse Banche Consorziali Italiane.
Ragguagliata la rendita col valore effettivo del fondo di riserva,
si ha che questa raggiunge il 5%, dedotta da ricchezza mobile. Ora
questo capitale di Lire 284.544 col fruttato alla ragione composta
del 5%, capitalizzabile semestralmente, per un decennio, ascende a
Lire 466.258. Da questa cifra dedotto l'importare del fondo di
riserva e di garanzia, che, come si è detto, deve rimanere
intatto, resterebbero Lire 181.714.
Considerando che la nostra carta
moneta e per l'interesse, che ispira la nostra Repubblica ed anche
in riguardo al piccolo valore, chè dovrebbe essere del taglio di
una Lira e di due, verrebbe dai forstieri conservata per memoria e
per corredo delle collezioni di simile specie, e considerando
altresì che nelle commutazioni e nel giro ne va sempre una parte
perduta, si può ritenere con tutto fondamento che un decimo
almeno nel momento del ritiro non verrebbe presentata al
cambio, per cui sole Lire 180.000, e forse meno, se ne dovrebbero
commutare. Ora ritraendosi dal fruttato a moltiplico la somma di
Lire 181.714, si avrebbe un'eccedenza attiva di Lire 1714, che
potrebbe servire di provvigione per chi s'incaricherà del deposito
e del semestrali rinvestimenti. L'operazione, a nostro avviso, si
dovrebbe fare con un Istituto di credito del Regno d'Italia e,
possibilmente, colla Banca Nazionale. Questa dovrebbe assumere il
deposito del nostro fondo di riserva in cartelle del debito
pubblico italiano, da intestarsi al nostro Governo, e
dovrebbe incaricarsi dell'esigenza dei cuponi e rinvestirli ogni
semestre in altra rendita, egualmente da intestarsi.
Dovrebbe poi fornirci le Lire 200.000 di carta moneta in boni da
Lire 1 e 2, confezionata dalla propria fabbrica di carte-valori e
portante tutti i caratteri di carta moneta sammarinese. Ad
eliminare poi il sospetto, quasi inconcepibile, che la stessa
Banca assuntrice o la Fabbrica di carte-valori possa mettere in
circolazione una maggior somma, la Tesoreria della Repubblica
dovrebbe apporre a ciascun bono un timbrino a secco con inchiostro
rosso. Se poi al Governo della Repubblica piacesse meglio di
tenere presso di sè il deposito ed eseguire per proprio conto
l'esigenza semestrale dei cuponi ed il contestuale rinvestimento,
potrebbe farsi intestare il nostro fondo di riserva a favore
dell'emissione della carta.
Noi non ignoriamo le obbiezioni, che
possono farsi a questo progetto, d'incontestabile utilità, le
quali si riducono principalmente a due; cioè all'eventualità che
possa fallire la Banca depositaria e che la carta venga
falsificata. Alla prima si sarebbe ovviato trionfalmente col far
intestare la rendita a favore della Repubblica o col tenerla
depositata presso di noi. In quanto alla seconda, si risponde, che
ogni cosa è possibile e che non vi ha bene che non abbia il
contrapposto del suo male. Però quando la carta moneta fosse fatta
a perfezione, anche in vista del poco interesse, che vi sarebbe di
falsificare carte di piccolo taglio (e L'esperienza mostra che
difficilmente si trovano carte di modico valore falsificate) il
pericolo sarebbe molto remoto. In ogni modo, verificandosi anche
il caso, la falsificazione non può essere tanto perfezionata da
imitare le carte genuine e da non riconoscerle a un diligente
esame e, quando vi fossero, il danno sarebbe di chi le possedesse.
-Rapporto al dubbio, che alcuno potesse sollevare, che la nostra
carta non avesse credito e che venisse respinta dal commercio, non
ha ombra di fondamento, avendo una prevalenza sulla stessa carta
moneta del Regno e per l'esuberanza della garanzia e per la
certezza del ritiro in un tempo breve e determinato. Nè si
obbietti che l'emissione della carta possa recare qualche
squilibrio nel nostro commercio interno per un soverchio rigurgito
perché, oltre che non verrebbe in circolazione tutta in una volta,
ma poco per anno man mano che le strade si compiono, si può essere
sicuri sin da questo momento che il commercio esterno le darà
sfogo. La spesa d'impianto non sarà certo un ostacolo e quando lo
dovesse essere, si potrebbe prelevare dal fondo della stessa
carta. L'operazione poi, anche dal punto di vista della moralità,
non ha nulla di condannabile e la nostra carta potrebbe dirsi a
ragione la carta modello di tutto il mondo. Noi che
involontariamente subiamo tutte le conseguenze del corso forzoso
della carta nel Regno e del deprezzamento del numerario, perché
non potremo fruire dei vantaggi di una nostra carta particolare?
Concludiamo che i governi debbono
guardarsi da combinazioni finanziarie dubbie ed inoneste, ma hann
poi il dovere di profittare di quelle, che presentano un utile
incontestabile, senza offesa della morale e della propria dignità,
se non vogliono buscarsi la taccia d'inetti e imprevidenti.
(AS, Atti, vol. TT, n° 43, sed.
dell'8 gennaio 1880; ed anche Progetti di Legge 1856 - 1876,
b. 4/1)
APPENDICE N° 6
Statuto della Società Umana di San
Marino - 1869
Società Umana di San Marino - Decreto di fondazione
Visto il rapporto presentatoci dalla
commissione umanitaria proposta a quest'oggetto
Decretiamo
Si è formata un'associazione nazionale
sotto la denominazione di: Società umana di San Marino: lo scopo
di questa società è di aiutare tutti gl'infelici, sia in caso di
malattie, di disgrazie, di ruine o di morte.
Questa società accorda gratuitamente
ai malati, le cure del medico, le medicine, e di più un
assegnamento individuale d'un franco per ciascun giorno di
malattia; provvede alle spese funerarie dei soci poveri; e
distribuisce, quando le circostanze lo esigono, de' soccorsi al
domicilio. Una parte del fondo sociale è consagrata a creare delle
pensioni per gli associati poveri.
Questa società, i di cui Statuti sono
e saranno approvati da noi, è fondata per Novant'anni, a partire
dal mese di Aprile 1869.
Fatto a San Marino li...........1869
I Capitani Reggenti
Gran Maestri
Società Umana di San Marino - approvazione degli Statuti
Decreto
Noi........................
Visto il rapporto presentatoci sugli
Statuti della Società Umana di San Marino, dalla commissione
umanitaria proposta alla loro elaborazione Decretiamo
Art. 1 Sono approvati, tali quali sono
uniti al presente decreto, gli Statuti della Società Umanitaria di
San Marino, scopo della quale è soccorrere a tutte le miserie
umane.
Art. 2 Il Regolamento di
Amministrazione interno della Società umana non potrà derogare
dagli Statuti e sarà sottomesso alla nostra approvazione.
Fatto a San Marino li............1869
I Capitani Reggenti
Gran Maestri
Società Umana di San Marino - Statuti
Capitolo 1° - Formazione e
scopo della Società
Articolo 1° - Una società umanitaria
si è formata a San Marino, sotto il titolo di Società Umana di San
Marino. La sede della Società è stabilita a San Marino.
Articolo 2° - La Società ha per scopo:
1° Di soccorrere a tutte le disgrazie
dei Cittadini della Repubblica di S. Marino.
2° Di elargire ai soci titolari
partecipanti della società, le cure del medico, i medicamenti ed
un soccorso in denaro di un franco per ciascun giorno di malattia.
3° Di provvedere ai loro funerali,
dietro la domanda della famiglia.
4° Di costituire delle pensioni per i
vecchi arrivati all'età di sessant'anni essendo stati membri
titolari partecipanti per lo spazio di dieci anni.
5° Questa cassa di pensioni sarà
formata con il residuo delle spese, e con i doni volontari fatti
alla Società.
6° La pensione sarà pagata ai
pensionati sulle rendite della Cassa delle Pensioni, e sul
profitto di queste rendite.
7° I soccorsi accordati al difuori
della Società, risulteranno come spese fatte sulla Cassa delle
Pensioni; cioè a dire che la Società Umana non potrà porre de'
fondi alla Cassa delle Pensioni che dopo di aver compiuti tutti
gli atti umanitari che sono nello spirito della sua fondazione. I
fondi della Cassa delle Pensioni, non saranno impiegati che tutti
gl'anni dopo il Reso-Conto in assemblea generale.
Capitolo 2° - Composizione della
Società
Articolo 3° - La Società Umana si
compone dei:
1° Grandi Maestri (Reggenti in
esercizio)
2° Grandi Maestri Onorari (i Reggenti
fuori di esercizio ed il ministro della Legazione Francese di San
Marino)
3° Grandi Uffiziali d'Onore (i Capi di
Legazione della Repubblica di S. Marino all'Estero; o i mandatari
diretti del Governo di S. Marino)
4° Alti protettori (Sovrani stranieri)
5° Protettori (i Ministri stranieri e
gli alti personaggi di tutt'i paesi)
6° Un Presidente
7° Due Vice-Presidenti
8° Un Segretario Generale
9° Un Segretario Particolare
10° Quattro Assessori (Scelti fra i
notabili personaggi di S. Marino, e formanti il Consiglio di
Amministrazione, con il Presidente, i Vice-Presidenti, il
Segretario generale ed il Segretario particolare)
11° Un Delegato Corrispondente (Questo
Delegato ha il titolo d'Uffiziale d'Onore della Società)
12° Presidenti d'Onore (scelti fra i
primi fondatori, i membri della Commissione fondatrice, i Capi
della Milizia di S. Marino, ed i Presidenti di Società di
Salvatori di Francia e dell'Estero. Queste nomine sono
facoltative)
13° Gran Degnitari (Scelti fra gli
uomini eminenti, che verseranno un dono nella cassa della Società,
o concorreranno con degl'atti umanitari alla Gloria e alla
prosperità della Società)
14° Membri Benefattori (scelti fra gli
uomini che fanno de' doni alla Società)
15° Membri titolari non partecipanti
(scelti fra i cittadini della Repubblica e paganti una
contribuzione di un franco per mese)
16° Membri titolari partecipanti
(scelti ugualmente fra i cittadini della Repubblica e paganti
anche la contribuzione d'un franco per mese)
17° Membri onorari (scelti fra gli
uomini umanitari di tutte le parti del globo)
Il numero dei Membri titolari
partecipanti, potrà essere regolato da una decisione del Consiglio
della Società. Quanto agli altri membri il numero non è limitato.
Capitolo 3° Attribuzioni e cariche dei
Membri della Società
Articolo 4° I Gran Maestri (Reggenti
in attività) sono successivamente e di diritto i Capi e alti
Presidenti della Società.
Presidente - Il Presidente è nominato
dai Gran Maestri in attività, per un anno consecutivo. Direttore
Amministratore della Società. - Presiede alle Sessioni, sorveglia
le operazioni sociali ed assicura l'esecuzione delle decisioni del
Consiglio amministrativo della Società. Mantiene l'ordine e la
buona armonia fra i Soci e richiama al loro dovere coloro che se
ne allontanano. Spedisce i mandati di soccorsi, sia ai Segretari,
sia alle persone soccorse al difuori della Società. Firma le note
di spese. Tutti gli anni allo spirare del suo mandato, il
Presidente dovrà indirizzare ai Gran Maestri un rapporto sullo
stato finanziario materiale e morale della Società. La parte di
questo rapporto che constaterà gli atti umanitari dei membri della
Società, sarà impresso a parte e spedito franco a tutt'i membri
della Repubblica e delle potenze estere.
Il Presidente nomina i
Vice-Presidenti, il Segretario Generale ed il Segretario
Particolare.
Assessori - Gli Assessori sono
nominati direttamente dai Gran Maestri, per lo spazio di un anno.
Essi compongono, con i funzionari di Officio il Consiglio
Amministrativo della Società.
Grandi Uffiziali d'Onore - I Grandi
Uffiziali d'Onore sono incaricati di rappresentare all'estero la
Società Umana ed i suoi interessi, come anche di concorrere alla
sua gloria ed alla sua prosperità. Essi hanno pieni poteri per
presentare dei Soci, proporre le nomine ed incassare le
contribuzioni; delle quali debbono rendere conto ai Gran Maestri
della Società o, in loro assenza, al Presidente. I Grandi
Uffiziali d'Onore vengono nominati per dieci anni dai Gran
Maestri; non possono essere revocati che per incuria
nell'esercizio delle loro funzioni.
Vice-Presidenti - I Vice-Presidenti,
che vengono nominati per un anno, suppliscono per ordine di nomina
il Presidente nelle sue attribuzioni.
Segretario Generale - Il Segretario
Generale è incaricato di tenere in ordine l'Albo della Società,
libro sul quale è scritto il nome, cognome, età, paese,
professione e domicilio di ciascun membro della Società, come
anche una menzione de' titoli onorifici e degli atti umanitari di
ciascun associato. E' inoltre incaricato dell'alta corrispondenza,
trovandosi in rapporto diretto con i Gran Maestri, il Presidente,
i Grandi Uffiziali d'Onore e gli alti dignitari della Società.
Segretario - Il Segretario è nominato
dal Presidente per un anno ed è incaricato:
1° Di redigere i processi verbali
delle riunioni del Consiglio d'Amministrazione.
2° Di spedire dietro ordine scritto
dal Presidente o dal Segretario Generale, le lettere concernenti
la Società: convocazioni, ammissioni, rifiuti o esclusioni.
3° Di portare i soccorsi a domicilio e
rendere conto di sua missione al Consiglio: dovrà inoltre
occuparsi dell'impressione delle medaglie, della stampa de'
diplomi, dell'invio di queste insegne ed infine di tuttociò che
comprende l'Amministrazione materiali della Società. Resta
sottomesso per tutti gli ordini ad eseguirsi al Presidente ed al
Segretario Generale: questa carica potrà essere retribuita se la
Società lo giudicherà convenevole.
Delegato Corrispondente (Uffiziale
d'Onore)
Questo titolo sarà conferito dal
Grande Uffiziale per lo spazio di dieci anni, e in caso di morte o
di dimissione del titolare nominale, per uno spazio di tempo
uguale a quello del nominante. Le funzioni del Delegato
Corrispondente consistono a contribuire con la propaganda e con un
zelo disinteressato alla prosperità materiale e morale della
Società. Esso corrisponderà direttamente con il Grande Uffiziale
d'Onore, ed, in certi casi, con i Gran Maestri ed il Presidente
della Società. Queste cariche sono tutte gratuite e di diritto
puramente onorifico, eccetto quella di Segretario.
Cariche Particolari della Società -
Tesoriere. Il Tesoriere sarà nominato dai Gran Maestri e scelto
nel seno della Società. Le sue funzioni saranno d'un anno. Potrà
essere confermato, e avrà, come gli Assessori, il titolo di membro
del Consiglio: solamente non avrà che voce consultativa.
Medico - Il Medico, che ha il titolo
d'Uffiziale d'Onore, sarà nominato dal Consiglio amministrativo
dietro la presentazione dei Gran Maestri o del Presidente. Esso è
nominato per cinque anni. I suoi onorarj saranno fissati ciascun
anno da una decisione del Consiglio Amministrativo.
Visitanti - I Visitanti le funzioni
dei quali consistono in visitare i malati e gl'infelici sono
nominati dal Consiglio per un anno. Essi hanno il titolo di Soci
benefattori. Queste cariche sono puramente onorifiche.
Capitolo 4° - Nomine ai titoli e
funzioni - Ammissione de' Soci.
Alti Protettori - Essi saranno
nominati dietro presentazione dei Gran Maestri, del Presidente,
dei Grandi Uffiziali d'Onore e dei Grandi Uffiziali, dal Consiglio
della Società deliberando per voti.
Protettori - Le stesse formalità de'
precedenti.
Presidenti d'Onore - Idem.
Grandi Uffiziali d'Onore - Idem.
Offiziale d'Onore, delegato
corrispondente - Sarà nominato direttamente dal Grande Uffiziale
d'Onore. La sua nomina sarà ratificata dai Gran Maestri e dal
Presidente in esercizio.
Tesoriere - Sarà nominato dal
Consiglio d'amministrazione.
Medico - Idem.
Visitanti - Idem.
Gran Degnitari - Saranno nominati dal
Consiglio dietro presentazione de' Gran Maestri, Presidente,
Grand'Uffiziale d'Onore ed Uffiziale d'Onore.
Benefattori - Saranno nominati dietro
la presentazione di due Membri titolari, o dell'Uffiziale d'Onore.
Membri titolari partecipanti e non
partecipanti.
Saranno nominati dietro la
presentazione d'uno de' Membri del Consiglio d'Amministrazione.
Tutte le presentazioni dell'estero dovranno essere ratificate dal
Grande Uffiziale d'Onore.
Capitolo 5° - Diritto d'Ammissione
Articolo 6° - Alti Protettori
(Facoltativi) Dono volontario di Mille franchi. Protettori
(Facoltativi) Dono volontario di Cinquecento franchi.
Presidente d'Onore (Facoltativo) Dono volontario di Quattrocent
franchi. Grandi Uffiziali d'Onore (Facoltativo) Dono volontario di
Quattrocento franchi. Uffiziali d'Onore (Facoltativo) Dono
volontario di Trecento franchi. Gran Degnitari-Dono di Duecento
franchi. Membri benefattori-Dono di Duecento franchi. I membri di
questa categoria, meno gli Alti Protettori ed i Protettori,
dovranno inoltre al loro dono alla Cassa della Società, presentare
anche una nota d'azioni di coraggio e d'atti umanitari. Gli atti o
belle azioni saranno apprezzati dal Grand Uffiziale d'Onore per la
presentazione ed in seguito ratificati dal Consiglio
d'Amministrazione che ne farà il rapporto e stabilirà per la
nomina basata sopra i motivi di questo rapporto.
Membri titolari partecipanti - Dono di
Dieci franchi ed un franco per mese. Detti non partecipanti -
Venti franchi ed un franco per mese. La medaglia decorativa sarà
pagata al di fuori del diritto d'ammissione, che comprende la
consegna gratuita del diploma e degli Statuti della Società. Il
prezzo della medaglia decorativa e del nastro è di dieci franchi.
Articolo Addizionale - Al infuori di
queste condizioni la Società Umana, dietro la proposizione de'
Gran Maestri, del Presidente e del suo Consiglio, si riserva il
diritto di offrire graziosamente tutt'i titoli sopracitati, salvo
quello di Membro titolare partecipante, a tutt'i personaggi che le
ne sembreranno degni e sotto il patrocinio dei quali vorrà porsi.
Capitolo 6 - Invio dei Diplomi -
Articolo 7 - Sarà inviato a ciascun socio un diploma di membro
della Società. Questi diplomi saranno firmati dai
1° I Gran Maestri - 2° Il Presidente -
3° Un Vice-Presidente - 4° Il Segretario Generale - 5° Il
Grand'Uffiziale d'Onore - 6° L'Uffiziale d'Onore. Queste ultime
due firme avranno luogo solo per le promozioni all'estero.
Capitolo 7° - Medaglia della Società -
Articolo 9 - Sarà spedita una medaglia a ciascun Membro della
Società. Questa medaglia simile per il colore del nastro a quella
del Merito Civile essendo della dodicesima categoria di
quest'ordine (Categoria del Coraggio e della abnegazione) è
decretata della seguente forma: Una medaglia in argento contornata
d'una doppia palma verde (fondo a giorno) con un'ancora nel mezzo.
Per i Gran Maestri, è sormontata da una corona e da un anello
dovendo avere il nastro (si riferisce alla croce di Commendatore).
Per gli Alti Protettori, la stessa creazione. Per i Protettori,
senza corona, con rosetta alla bottoniera e con frangia d'oro. Per
i Presidenti ed i Presidenti d'Onore, in tutto uguale. Per i
Grandi Uffiziali d'Onore uguale con frangia d'argento. Per gli
Uffiziali idem, senza frangia. Per i Grandi Degnitari idem. Per i
Membri Benefattori la semplice medaglia con un nastro listato
d'argento. Per i Membri Onorari, Membri titolari partecipanti e
non partecipanti, simile con un semplice nastro. I Membri di
queste tre ultime categorie che risiedono all'estero porteranno
per decisione speciale con la medaglia della società un nastro
giallo e nero. Questa medaglia con il suo nastro (giallo e nero)
non potrà, come quelle delle Società dei Salvatori di Francia,
essere portata che nelle cerimonie relative ai Salvatori,
deputazioni e riunioni di Società di Salvatori.
Capitolo 8° - Delle Obbligazioni della
Società verso de' Soci.
Articolo 10 - La Società assicura a'
suoi Membri titolari partecipanti:
1 - Le cure de medico e le medicine. 2
- Una sovvenzione, in caso di malattia, fissata ad un franco per
giorno durante un trimestre, e cinquanta centesimi per il secondo
trimestre. 3 - E' necessario per ricevere la suddetta sovvenzione
che la malattia duri più di otto giorni. 4 - Se dopo lo spazio di
sei mesi il socio sarà ancora malato o incapace di lavorare, il
Consiglio Amministrativo gli accorderà una pensione annua di Cento
franchi sulla cassa: Vedi paragrafo: Invalidi dell'umanità. La
Società assicura inoltre ai membri titolari partecipanti una somma
determinata dal Consiglio, per i funerali del Socio decesso,
troppo povero perché la sua famiglia possa procedere a' suoi
funerali. Questa somma non sarà elargita che dietro domanda della
famiglia.
Articolo 11° - La Società dovrà,
appena avrà creata, per decisione del Consiglio, la Cassa dei
Malati, fondare in seguito una Cassa di benefici, per sollievo di
tutti gl'infelici della Repubblica. Appena questa Cassa
organizzata procederà sempre per la stessa via alla formazione
della Cassa degli Invalidi dell'Umanità. In caso di flagello o
d'epidemia, il Consiglio ha pieno potere di cercare il mezzo di
soccorrere d'urgenza gl'infelici e riparare al male. E' ben inteso
che i doni della Società saranno sempre proporzionati alle risorse
della Cassa Sociale senza impegnare per nulla la fortuna degli
amministratori nè quella dei Soci.
Capitolo 9° - Degli Obblighi de' Soci
verso la Società - Articolo 12: I Soci si obbligano (i titolari
partecipanti e non partecipanti) a pagare la loro quota mensile di
un franco. Gli altri Membri a compire con zelo e disinteresse le
funzioni che loro incombono per l'atto sociale, vegliare alla sua
gloria e concorrere alla sua prosperità con una propaganda onesta
e umanitaria. Il difetto di pagamento delle contribuzioni dei
Membri titolari partecipanti e non partecipanti, sarà punito allo
spirare di due mesi d'una multa di cinquanta centesimi ed allo
spirare dei tre mesi della espulsione di socio. Tutt'i Membri
espulsi dalla Società a qualunque grado appartenghino non possono
più portarne le insegne. Il socio non può essere espulso che per
decisione del Consiglio rappresentato dai Gran Maestri ai Grandi
Uffiziali d'Onore per l'estero, i quali ne daranno communicazione
officiale al Membro espulso. Allorchè un Membro titolare
partecipante o non partecipante sarà decesso, una commissione
delegata dal Presidente dovrà assistere ai funerali.
Articolo 13° - Qualunque Membro della
Società il quale dirà male della medesima o d'un Segretario che
cercherà di portare oltraggio al suo onore, alla sua probità o al
suo coraggio sarà dietro dimostranza fatta in regola, giudicato a
S. Marino dal Consiglio ed all'estero dal Grand Uffiziale d'Onore,
ed espulso dalla Società.
Capitolo 10° - Del fondo sociale e suo
impiego.
Articolo 14° - Il fondo sociale della
Società si compone: 1° - Delle sovvenzioni che possono essere
accordate dalla Repubblica. 2° - Delle quote mensili e de' diritti
di medaglia e diploma, regolati da un precedente articolo. 3° -
Dei diritti d'ammissione delle differenti classi dei membri della
società. 4° - De' doni e legati particolari. 5°- Delle
sottoscrizioni che possono essere fatte tanto a S. Marino che
all'estero. 6° - Dei fondi impiegati. 7° - De' prodotti delle
multe. 8° - Dell'interesse de' fondi impiegati.
Articolo 15° - Il fondo sociale sarà
applicato come segue: 1° - I fondi provenienti dalle Sovvenzioni
della Repubblica, dal prodotto delle contribuzioni, dai diritti
d'ammissione e di spedizione di medaglie e diplomi, da tutt'i
membri soscrittori, saranno impiegati al pagamento dei soccorsi di
qualunque specie accordati ai Membri titolari partecipanti. 2° - I
doni, legati, soscrizioni, aiuti inattesi, saranno impiegati a S.
Marino al soccorso degli infelici della Società ed alla erezione
della Cassa degli Invalidi dell'Umanità.
Capitolo 11° - Doni e Legati.
Articolo 16° - La Società può, a
datare dalla sua fondazione ricevere i doni ed i legati non solo
da tutt'i membri ma anche da tutte le nazioni e tutte le persone
straniere alla Società. Ciascun dono o legato fatto in queste
condizioni, sarà menzionato al processo verbale delle riunioni del
Consiglio. Il nome del donatore sarà proclamato in seduta pubblica
ed inciso in lettere d'oro sopra una tavola di marmo situata nella
sala delle sedute. Sopra questa tavola, sarà incisa l'iscrizione
seguente: Tavola d'Oro dei benefattori dell'umanità. La Repubblica
di S. Marino riconoscente.
Capitolo 12° - Delle Assemblee
Generali e delle riunioni del Consiglio Amministrativo.
Articolo 17° - La Società si riunirà
in Assemblea Generale e solenne al mese di Maggio di tutti gli
anni, in un locale ad hoc situato a S. Marino. In questa
seduta intenderà i rapporti sulla situazione e deciderà le
quistioni che gli saranno sottomesse dai Gran Maestri e dal
Consiglio. I Gran Maestri in esercizio nomineranno il Presidente
che nominerà gli altri funzionari d'officio. Gli antichi
funzionari renderanno i loro conti e rimetteranno il loro mandato
al nuovo Presidente, il quale approverà firmando, i rapporti e gli
atti dell'antica seduta. Il tutto sarà contrassegnato da' Gran
Maestri in esercizio. I Grand'Uffiziali d'Onore spediranno anche,
per questa seduta, un Rapporto sulla loro gestione il quale verrà
solo approvato da' Gran Maestri. I Grandi Uffiziali d'Onore
regoleranno con gli Uffiziali d'Onore delegati, il bilancio
dell'anno un mese avanti della grande seduta a fine di potere
ugualmente trasmettere la loro approvazione agli Uffiziali d'Onore
un mese dopo la grande seduta.
Articolo 18° - Il Consiglio
d'Amministrazione si riunirà ogni due mesi dietro la convocazione
del Presidente.
Capitolo 13° - Durata della Società.
Articolo 19° - La Società è fondata
per Novanta anni a partire dalla promulgazione de' suoi Statuti e
dal decreto officiale di fondazione. Gli statuti non porranno
essere modificati che tutti i dieci anni ed ancora dietro la
domanda de' Gran Maestri.
Capitolo 14° - Disposizioni Generali.
Articolo 20° - Tutte le funzioni
richieste dalla Società a suoi Membri sono gratuite. Non può farsi
eccezione che per il Segretario particolare della Società.
Articolo 21° - Ciascuna dimissione o
espulsione di Socio sarà inserita nel processo verbale e letta in
assemblea generale.
Articolo 22° - Qualunque grave
quistione fra i soci titolari partecipanti o non partecipanti sarà
decisa dal Consiglio il quale giudica definitivamente e senza
appello.
Capitolo 15° - Disposizioni
transitorie.
1° - Potrà essere creato un costume
officiale a S. Marino, solo per i Membri della Società. Questo
sarà facoltativo ai Membri stranieri di portarlo nelle grandi
cerimonie. 2° - Lo scioglimento de la Società non potrà aver luogo
che dietro l'iniziativa de' Gran Maestri, sostenuta dai due terzi
di tutti i membri del corpo sociale residente a S. Marino ed
all'estero. 3° - I presenti Statuti allorquando saranno stati
approvati dal Governo della Repubblica di S. Marino saranno
tradotti in francese e stampati in questa lingua per cura del
Grande Uffiziale d'Onore Gran Maestro Onorario di Francia. Le
spese di stampa saranno pagate dalla Cassa Sociale come anche le
stampe relative alla Società. 4° - Le spese di medaglie, diplomi
ed insegne saranno egualmente prelevate sul fondo sociale.
Modulo dell'obbligazione
Società Umana di San Marino
Il
sottoscritto...............................dichiara aderire in
tutto punto agli Statuti della Società Umana di San Marino, della
quale desidero far parte in qualità
di............................obbligandomi in caso d'ammissione a
conformarmi agli Statuti ed alle condizioni in essi stipulati.
Firma del Postulante
(porre il nome, pronome, titoli,
qualità, domicilio, luogo e data di nascita del postulante, come
anche gli atti umanitari compiuti.
Avviso
Il Postulante dovrà anticipatamente
versare nelle mani del Tesoriere, del quale la residenza gli sarà
indicata, i dritti d'ammissione. In caso di rifiuto della sua
candidatura questi dritti gli saranno integralmente rimborsati.
(AS, Cart., n° 172, b. 179/12)
APPENDICE N° 7
Lettera di Pasquale Greco alla
Reggenza - 8 settembre 1863
Ai Cittadini Rappresentanti la Repubblica di S. Marino
Cittadini Rappresentanti
Permettete ch'io offra in omaggio il
mio pensiero a Voi, veneranda reliquia del gran popolo Latino,
deputati al sacerdozio di conservare eternamente acceso sul
tripode della patria il fuoco sacro della libertà.
Fra le lotte che agitano il mondo
intero, Voi ingenue tribù di patriarchi, vivete lieti e
tranquilli, come chi à coscienza del dovere compiuto, come chi
scevro di ambizioni lavora per nobilitare l'istinto con la
beneficenza fraterna, non per degradarlo con l'egoismo genitore
d'ire, e di sociale dissoluzione.Io riverente ammiratore della
pacifica attività, nella quale prosperamente si svolgono le forze
di cotesta comunanza popolare , riposo spesso l'animo mio
contemplando i vostri ordini, e vi addito ai miei figliuoli, come
tipo esemplativo della virtù antica.
Voi mentre da un canto vi serbate
gloria d'una Nazione rinascente, date al mondo la prova più chiara
per convincerlo nel bisogno della libertà alla rigenerazione vera
e completa dei popoli.
Questa è stata per Voi la vera
sorgente del bene, come le nostre miserie ripetono la loro origine
dalla sua secolare assenza; ma ora che le cento città sorelle si
danno la mano per compiere l'Unità Nazionale sotto lo scettro
Augusto di Vittorio Emmanuele II, il popolo di S. Marino
insegnerà agli altri come la libertà vera, la libertà santa
rispondendo ai fini dell'umana ragione, ci darà forza e potere per
il cancellare le orme straniere, e ridonare all'Italia il suo
natio primato.
Sono ormai tre anni che battiamo la
via del bene, non si deve che percorrerla intera con costanza e
fermezza pari alla vostra, ed il Plebiscito della Nazione
addiverrà un irrecusabile fatto.
Frattanto sarei lietissimo, se Voi
Cittadini Onorandi, accettate di buon viso un pegno della mia
spontanea estimazione, in un piccolo materiale di novella maniera
d'illuminazione notturna, per usarlo anche solo, nelle più rimote
contrade della Città, ch'io oso offerire, per mezzo del
Concittadino Vostro onorevole Commendatore Carlo Dott. Venturini
Console di Tunisi in Ancona, al Governo della più antica e
veneranda Repubblica, in testimonio solenne della mia singolare
simpatia, affetto, ed ammirazione.
Sono indelebilmente per la vita
Di Voi
Cittadini Chiarissimi
Di Luce gli 8 Settembre 1863
Devotissimo e Sincero ammiratore
Pasquale Greco
(AS, Cart.)
APPENDICE N° 8
Protesta contro l'espulsione dei
rifugiati politici - 30 agosto 1874
Repubblica di S. Marino
30 Agosto 1874
Considerando, che le azioni di un
Governo libero e indipendente non debbono misurarsi dalla
piccolezza del suo territorio, nè dalla parvità delle sue forze,
ma dai diritti e dai doveri che devono tutelare le leggi, la
giustizia e le Convenzioni Internazionali.
Considerando, che i Reggenti la
Repubblica nel 14 Aprile 1874 chiamassero i Cittadini della
medesima a far causa comune col Governo e solennemente
dichiarassero che notati e lodati in tempi di furiosa tirannide
per coraggiosa abnegazione nel soccorrere alla sventura, anch'oggi
avrebbero mantenuto ad essa il sacro diritto di asilo.
Considerando, che i reati di stampa,
pei quali alcuni intemerati Cittadini del Regno d'Italia cercarono
rifugio su questo suolo, non siano enumerati fra i crimini
contemplati nell'ultima Convenzione fra i due Stati, i quali per
legge non possono negare il diritto di asilo ad emigrati politici,
massime a coloro che si trovavano, come nel caso concreto, al
possesso di regolari recapiti.
Considerando, che se da un lato la
Repubblica, scorata dalle inaudite vessazioni testè sofferte, sia
compatibile nello esercitare un regime di prudenza e di
circospezione, dall'altro non possa nè debba avere alcuna scusa
allorchè l'operato della medesima riveste il carattere di una
sommissione portata al suo ultimo grado, in guisa da dover rendere
la sua autonomia, la sua libertà e la sua indipendenza mancipia e
vassalla della Monarchia Italiana.
Considerando, che il Governo della
Repubblica coll'ordinare o permettere che i Militi della medesima
diano la caccia ad onesti Patrioti, rei soltanto di professare
quei principi pei quali questa Terra visse e si conservò
incontaminata per più di quattordici secoli, sia col perquisire le
case dei Cittadini, sia coll'arrestare individui senza alcun
ordine e senza mandato alcuno, confondendo cogli innocenti i rei,
cogli onesti i malfattori, da una parte si renda complice di
persecuzioni e tirannie, e dall'altra porga argomento a fomentare
il dualismo, la discordia e le ire tra i Cittadini di una stessa
terra.
Considerando, che il silenzio
importerebbe una tacita complicità, a rimuovere la quale è
giocoforza il far conoscere all'Italia, all'Europa la niuna
solidarietà col Governo della Repubblica.
I sottoscritti nel nome di liberi
Cittadini, per quell'amore che portano alla Terra natale, per le
sue libere istituzioni, per la sua indipendenza non mai
contaminata
Protestano
Contro lo sfratto dato nel termine di
24 ore ad integerrimi Cittadini del Regno d'Italia, -contro la
fede violata nei patti sanzionati colla Convenzione 27 Marzo 1872,
convalidata dal Proclama 14 Aprile 1874, -contro gli arbitrii
permessi o tollerati dal Potere, o Agenti del Potere, per
violazione di domicilio e integrità di persona; -contro la
eccessiva prostrazione al Governo del Re, la quale marca un passo
alla perdita della libertà; -contro il dualismo che si cerca
suscitare tra i figli di una patria comune; -ed infine contro
tutte quelle conseguenze che potrebbero derivare dall'essere noi
dagli Italiani segnati a dito quali strumenti di cieca tirannide,
persecutori ed oppressori dei nostri fratelli.
Amati Marino, Amati Salvatore,
Balducci Giuseppe, Balducci Ezio, Belloni Giuseppe, Belloni Luigi,
Belluzzi Antonio fu Giovanni, Belluzzi Belluzzo, Berti Francesco,
Burgagni Giovanni, Castelli Adamo, Ceccoli Erminio, Ceccoli
Ippolito, Ciavatta Elia, Corsucci Lorenzo, Fabbri Francesco,
Fabbri Ivo, Galassi Ciro, Gasperoni Sebastiano, Gasperoni Marino
di Gaspare, Ghironzi Nazareno, Giacomini Giuseppe, Giacomini
Romolo, Giacomini Remo, Giardi Giuseppe, Giardi Giovanni,
Giovannarini Felice, Giovannarini Clemente, Martelli Federico,
Martelli Giacomo, Martelli Valerio, Martelli Benedetto, Martelli
Lorenzo, Martelli Abele, Michetti Raffaele, Molari Antonio, Morri
Vincenzo, Morri Salvatore, Pezzi Luigi, Piva Giuseppe, Ravezzi
Luigi, Ravezzi Giuseppe, Reffi Inaco, Reffi Francesco, Rocchi
Luigi, Sanchioni Marino, Semprini Gaetano, Silvagni Cesare, Tini
Odoardo, Ugolini Antonio, Ugolini Mariano, Ugolini Marino,
Vagnetti Marino.
(AS, Cart., n° 302, b. 179/20)
APPENDICE N° 9
Istanza di Palamede Malpeli a
favore dei beni artistici - 24 aprile 1870
Serenissimo Consiglio
Se nei Cittadini è commendevole lo
illustrare le cose patrie, nei Governi, e specialmente nei
Nazionali, è sacrosanto dovere di curare le conservazione di
quelle cose che possono spettare alla Storia patria; quali sono i
documenti - i monumenti - le tradizioni.
Purtroppo i nostri Maggiori nei loro
costumi superlativamente patriarcali trasandarono con nostro danno
e vergogna, questo sacrosanto dovere. Non ricuperarono l'Archivio
dei primordii della Repubblica rimasto così vicino a noi, a
Ravenna, fino al principio del secolo presente:-tollerarono che
fosse atterrato l'antico nostro Tempio, monumento di libertà, di
storia italiana, di arte:-poco o nulla curarono gli Archivj dello
Stato:-lasciarono nelle private famiglie molti documenti di
pubblico interesse:-neglessero la conservazione di monumenti e di
oggetti d'arte:-lasciarono perdersi le tradizioni politiche e
storiche.
Ora pertanto che il nostro Governo è
tutto intento a dare il maggiore sviluppo alla Istruzione, che è
il principal cardine dello Stato, -ora che per benevoli simpatie è
stato fondato un Museo, una Pinacoteca, una Biblioteca, -ora che
la smania di tutto conoscere ha invaso il mondo, e tutti vogliono
parlare e scrivere di S. Marino, -il Governo della Repubblica non
può rimanersene più inerte, e l'interesse ed il decoro della
nostra Patria esige che sia nominata una Deputazione permanente,
con un assegno annuo, per rintracciare gli antichi documenti,
salvare dalla dispersione quelle poche notizie e memorie che pur
ci restano del nostro antico tempio distrutto (fra cui una pianta
topografica, ed un'armatura di un nostro celeberrimo cittadino)
-per rivendicare oggetti d'arte illegalmente alienati da Corpi
morali, e per sorvegliare alla conservazione di ogni altro patrio
monumento.
Il Ricorrente confida nella Sapienza
del Principe, e nella Santità della sua domanda, che i suoi voti
verranno esauditi.
San
Marino li 24 Aprile 1870
Palamede Malpeli
(AS, Istanze al Consiglio del 1870.)
APPENDICE N° 10
Istanza di P. Malpeli a favore
dell'istruzione femminile - 5 ottobre 1862
All'Eccellentissimo e Sapientissimo
Generale Consiglio Principe e Sovrano della Repubblica di S.
Marino.
Eccellenze
Il Consigliere Palamede Malpeli a nome
di molte Madri Sammarinesi fa rispettosa istanza alle EE.VV.
perché vogliano presentare al Generale Consiglio Principe e
Sovrano della Repubblica le loro umili suppliche tendenti ad
impetrare, oltre i già esistenti, ulteriori mezzi di educazione
per le loro figlie.
Confido che la Bontà Sovrana farà buon
viso alla dimanda, la quale non solo è giusta perché tutti i
Cittadini (in una Repubblica specialmente) hanno diritto al bene
dell'educazione e della istruzione, anche quelli che non sono
provvisti di mezzi di fortuna, e sono la maggior parte - ma la
dimanda è eziandio sommamente vantaggiosa alla Repubblica, perché
ognun sa che la donna in molti modi esercita un'influenza diretta
sui costumi del popolo, di cui la buona morale è quella che sola
conduce lo stato alla floridezza, alla gloria, alla felicità.
Qualora la massima venga accolta il
Sottoscritto si farà un dovere di presentare un dettagliato
progetto fondato sul principio; che il Governo non debba per
questa istituzione improntare danaro di sorta nè trovarne; e che
il metodo dell'educazione e dell'istruzione sia tale da raggiunger
lo scopo a cui è diretto; cioè la prosperità della Repubblica.
Pubblico Arringo li 5
Ottobre 1862
P. Malpeli
(AS, Istanze al Consiglio del 1862.)
APPENDICE N° 11
Istanza di P. Malpeli contro il
calo del numero dei consiglieri - 1871
Ora che questo consesso ha raggiunto
il suo numero costituzionale e che si può dire trovarsi
nell'esercizio legale della sovranità, fa d'uopo provvedere a che
per l'avvenire non si ricada in una condizione di cose contraria
alle leggi fondamentali della nostra Repubblica. Imperocchè si
dice nella Rub. III lib. 1°: Volentes Consilium magnum et
generale esse debere numeri praedicti, videlicet sexaginta
Consiliariorum: dictumque numerum augeri, vel diminui, non posse,
nec debere. Dalle quali parole risulta, che il Consiglio
Sovrano deve essere costantemente composto di sessanta Membri, e
che questo numero non va diminuito nè in diritto nè in fatto;
non posse nec debere. Cosicchè il Consigliere è fatto non dal
Consiglio, ma dalla costituzione; ed è necessario, come sono
necessari i Capitani Reggenti per la cui elezione non occorre
nemmeno, che il Consiglio si costituisca in seduta legale
ordinaria. E così nella Rub. immediatamente successiva si dice che
susseguita la morte o la cessazione di alcuno dall'uffizio di
Consigliere, si debba subito devenire alla nomina del successore;
e se ne stabilisce il modo.
Il non avere però osservata sempre
scrupolosamente questa prescrizione statutaria ha fatto nascere
inconvenienti ed incertezze, alle quali si credette riparare con
Decreti dettati forse dallo spirito dei tempi in cui furono fatti,
anzichè dallo spirito democratico delle leggi statutarie. Quei
Decreti che stabilirono in modo assoluto, che il Consigliere per
ritenersi eletto dovesse ottenere la maggioranza dei votanti,
hanno l'inconveniente di dare l'opportunità al Consiglio di
rendersi esclusivo, e di concentrare in pochi il potere
coll'escludere dal suo seno quell'elemento popolare, che col
progressivo succedersi delle generazioni rappresenta lo sviluppo
sempre maggiore delle idee e dell'umanità. Che se la conservazione
deve essere il nostro primo pensiero, dobbiamo però guardarci dal
confondere l'idea di conservazione con quella d'immobilità. La
prima è nell'ordine naturale; la seconda è contro quest'ordine
medesimo.
Può darsi però il caso, che nella
elezione di un nuovo Consigliere la Reggenza non credesse di usare
del suo diritto di proporre due Candidati, o ne nominasse un solo,
e che dietro a ciò il numero dei ballottanti fosse di due od anche
di uno solo. In questo caso si potrebbe ragionevolmente ritenere
pericoloso il principio della maggioranza relativa e non assoluta
dei voti. Poiché potrebbe essere portato a coprire il posto di
Consigliere un individuo qualunque, che non avesse potuto
conciliarsi se non che uno o due voti favorevoli. Come pertanto
non può farsi la nomina dei nuovi Capitani Reggenti quando
manchino almeno dodici nominatori, così noi riteniamo, che non
possa farsi una ragionevole elezione se non vi sono quattro
individui nominati. Ad ottenere il qual numero riteniamo doversi
ricorrere al solito sistema della estrazione dei nominatori,
quando questi spontaneamente non si presentassero.
Epperò noi proponiamo che sia sancita
la seguente dichiarazione autentica della Rub. 4^, lib. 1° degli
Statuti:
Il Generale Consiglio Principe e
Sovrano sarà mantenuto in diritto e in fatto nel numero di
sessanta Membri. Mancando uno di questi per morte, per ricevimento
di ordini Sacri, per degradazione, o per non accettazione, la
Reggenza, sotto pena di lesa costituzione, proporrà la nomina del
successore nelle forme prescritte dallo Statuto nella prima
Tornata Consigliare. Non sarà necessaria la maggioranza assoluta
di voti per il Candidato, ma semplicemente la relativa. Quando
però i nominati fossero, dietro astensione totale o parziale della
Reggenza, in numero minore di quattro, questo numero dovrà essere
raggiunto coll'estrazione a sorte dei nominatori, in mancanza di
proponenti volontari. La nomina a Consigliere per acclamazione, si
dichiara conforme allo spirito della costituzione.
(AS, Istanze al Consiglio del 1871.)
APPENDICE N° 12
Relazione sulla vicenda riguardante
il commissario della
legge. 11-5-1870
Ispettorato Politico nella Repubblica di S. Marino
S. Marino 11 Maggio 1870
Eccellenze
A seguito delle
requisitorie fattemi dalle EE.VV su quanto mi è dato riferire
intorno ai fatti di cui è stato passivo l'Illmo Sig. Commissario
della Legge. Per corrispondervi fedelmente mi sia permesso
rimontare al 1868. Fu in quell'epoca e precisamente dopo che
l'onore Giudicante pronunziò la Sentenza cella causa Casini
Filippi, che furono staccati libelli minatori contro di lui. Che
una mattina di Mercoledì fui chiamato nella sua residenza in
Borgo, e tutto indegnato mi narrò come fuori della porta della
rupe era stato colpito da una sassata che gli aveva amaccato il
cilindro. Mi disse pure come gli venivano fatte delle sgarbatezze
dal giovinastro Ceresa.
Ne qui si fermarono le cose perché
passata la causa in 2° e 3° grado si fecero molte dicerie contro
di lui, e cioè che avesse aizzato i soccombenti alla lite, non
mancando una maligna voce che diceva essere stato comprato
dall'oro dei Filippi. In questo tempo fu carcerato Pietro
Sabbatini per ferrimento semplice, e siccome il Sig. Commissario
lo abilitò alle difese a piede libero fuvvi qualche blaterone che
gridò contro di lui - e così quando fu condannato il giovinetto
Fantini detto Brusone fu staccato libello famoso che accusavalo di
avere condannato innocente Drusone, ingiustamente Casini. Le
EE.VV. poi sanno ciò che sia a suo riguardo accaduto dopo che
furono chiamate al supremo potere, e cioè come in una sera del
p°.p°. Aprile il Gend. Colombini venisse premurosamente ricercato
da un Cittadino perché avvertisse subito il Commissario a lasciare
subito subito S. Marino, avvegnachè in Borgo sollevò grave
malumore contro di lui. Come sia stato staccato un cartello
minatorio alla porta di sua casa che un altro fu trovato fra la
porta d'ufficio, che delle croci furono fatte su per la scala, che
una sassata fu tirata nel cuore della notte nella persiana dove
dorme, talchè venne scheggiata una stecca, e finalmente come nella
notte del dì fosse incendiato un petardo sotto le sue finestre, e
precisamente sullo scalino della porta d'ingresso.
Tutte queste cose non mancai riferirle
con prontezza alle Reggenze che si sono susseguite in questo
frattempo e da ognuna mi si fecero premure perché ne scoprissi gli
autori. Ma con mio grave dolore vidi che nulla hanno potuto la mia
buona volontà, paraliziata dai tristi che nascondendosi nelle
tenebre hanno commesso questi fatti deplorevoli da ingenerare
presso i cattivi il dispregio in questo magistrato, ed accrescere
l'agitazione in questa famiglia, ma che generalmente la pubblica
opinione condanna altamente.
Le EE. VV. ponno star certe che non ho
mai mancato e non mancherò mai di adoprarmi per lo scoprimento
degli autori di così tristissimi fatti, e come le dissi
verbalmente replico ora che la posizione di quest'autorità si è
fatta difficile e so ancora che autorevoli persone di ciò
penetrate lo abbiano consigliato ad abbandonare il suo Ufficio.
Questo è quanto posso dire in senso di
verità e pronto sempre agli ordini delle EE.VV mi onoro segnare
con profondo rispetto e considerazione.
(AS, Istanze al Consiglio del 1870.)
APPENDICE N° 13
Relazione di Palamede Malpeli
sull'arresto di rifugiati - 15 maggio 1874
Comando Superiore delle Milizie della
Repubblica di S. Marino
li 15 Maggio 1874
Eccellenze
Appena ricevuto il
Dispaccio delle EE.VV. dell'11 corrente alle ore 11.30 pom.
immediatamente abbassai gli ordini opportuni alla 1^. 2^. 5^. 7^.
Compagnia di questa legione di portarsi ai Quartieri e rilasciai
gli ordini d'arresto di tutti i 59 Individui descritti nell'elenco
unito al suddetto loro ossequiato Dispaccio.
Se non che, constandomi (come dirò in
appresso) che la maggior parte dei medesimi non era nè poteva
essere nel nostro Territorio, detti gli ordini più precisi alla 1^
e 2^ compagnia per l'arresto di quelli di cui si conosceva la
dimora, ed ingiunsi alla 5^ e alla 7^ di praticare in diversi
luoghi sospetti delle ricerche e delle perquisizioni per scuoprire
se veramente vi fossero altri inquisiti, disertori o refrattari di
leva latitanti.
Mentre però questo secondo tentativo
non ebbe alcun favorevole risultato, gli arresti ordinati alle due
prime Compagnie furono puntualmente eseguiti e la mattina del 12.
alle 6 antim. erano tutti consegnati in queste pubbliche Carceri,
ed affidati alla vigilanza della Compagnia di Rocca unitamente al
disertore Casadei Giovanni arrestato nei giorni precedenti.
Gli arrestati sono -
1 - Ugolini Luigi detto Stadera
2 - Crudi Antonio di Giovanni
3 - Guerra Antonio
4 - Trifoni Pietro di Pietro
5 - Giancecchi Gio.Battista fu
Bartolomeo
6 - Giancecchi Melchiorre di Tommaso
7 - Nanni Domenico di Antonio
8 - Pazzini Filippo di Sebastiano
9 - Cesarini Girolamo di Pietro
10 - Cesarini Adamo
id.
11 - Cesarini Giacinto o Enrico
id.
12 - Rossi Pietro di Fossombrone
13 - Roberti Filomena detto Calandrina
14 - Giorgetti Giovanni
Credo per mio debito di riferire alla
EE. VV. il resultato delle ricerche fatte sugli altri 48 individui
di cui non si è potuto eseguire l'arresto. Il Carpignoli Stefano e
il Giulianelli Luigi sono assenti dal nostro territorio. L'uno ha
famiglia alle Capanne e trovavasi a Monte Cerignone dai parenti:
ma il padre disse alla nostra forza che appena tornato si
costituirà da se; l'altro è cittadino originario di questa
Repubblica e trovasi attualmente a lavorare nella Maremma.
Il Masi Guglielmo di Perticara
dimorava in Borgo, ma saranno circa due mesi che è partito: ed è
voce abbastanza fondata che attualmente si trovi in Toscana.
Il Cannoni Eracliano non è mai
comparso in Repubblica almeno sotto questo nome. Pare però che un
Eracliano Costanzi da un 14 mesi a questa parte siasi fermato
qualche giorno nel nostro Territorio. Ma se ne sarebbe tosto
partito alla volta dell'America, ove sarebbe attualmente Custode
di un carcere a Buenos Ayres.
Il Gaspari Secondo fu visto molti mesi
addietro a Monte Giardino, ma (come tempo fa ebbi l'onore di
riferire all'EE.VV.) è fama sicura che siasi costituito da qualche
tempo a Forlì, per cui mi fa somma meraviglia di vederlo requisito
dal Procuratore Generale della Corte di Appello di Bologna.
Il Bernardi Federico, il Mengozzi
Pietro, il Masani Edoardo, l'Angeli Cristoforo non si sono visti
mai in Repubblica. Lo stesso si può dire dei Renitenti di leva
Parenti, Pazzaglia, Tosi, Carlini, Francia, Baldacci, Felici,
Lazzaretti, Tichi, Ciacci Eugenio, Nicolini, Baldacci Luigi,
Antonini, Astolfi, Bronzetti, Ciacci Giuseppe, Giovagnoli,
Barbieri, Rossi, Cenci, Antonini, Zangoli, Albini, Ghirardelli,
Ugolini non che dei disertori Emmanuelli e Sanoni. Esistono in
Repubblica alcune famiglie con alcuni dei sudd. Cognomi, ma non
combina su di nessun individuo il nome, la paternità e l'età. Mi
si fa credere poi che alcuni di essi sian morti da qualche tempo
nella Maremma.
Il Severi Pietro venne in questo Borgo
nel 7bre del 1871, e se ne partì li 18 Novembre successivo. Il
Masi Angelo fu inutilmente ricercato come le EE.VV. ben sanno.
Il Castagnoli Sante fu girovago fra i
due Stati sui confini di Serravalle, e ricercato dalla nostra
Polizia, riparò all'Estero da più di un Anno a questa parte.
Dicesi che se ne partisse in compagnia del Costanzi.
Il Fantini Agostino ha dimorato
qualche tempo presso la famiglia Cesarini, ove ha la sorella: ma
un testimonio oculare mi ha assicurato di averlo veduto negli
scorsi giorni in una casa fuori dei nostri confini.
Il Ridolfi Crescentino è morto e se ne
potrà aver la fede dal Municipio di Monte Grimano. Il Nanni
Domenico (forse Andrea) fratello dell'arrestato è ora servo alla
Dogana di Verucchio. Il Bianchi Luigi non è qui. Il nostro Bianchi
Luigi fu già arrestato all'Albereto, ed essendosi riconosciuto che
non vi era l'identità personale, fu rilasciato in libertà. Il
Zangoli Giuseppe pure non è in Repubblica, ma in una località del
Verucchiese detta Gualdo presso un tal Domenico Ghiotti. Il
Celli Agostino era quegli che alcune settimane fa era
energicamente inseguito dalle nostre forze a Pennarossa e a
Canepa, e che dovette lasciare la Repubblica. E che ciò sia vero
un testimonio oculare lo ha visto alcuni giorni in quel di S. Leo
sulla possessione di un tal Sabattini di Secchiano "la Cella" a
cavar piloni. Terminerò poi questo mio rapporto col far noto
all'EE.VV. che anche altre perquisizioni parziali non ebbero alcun
effetto. Egual risultato negativo ebbe una perquisizione fatta su
vasta scala nella giornata di oggi dietro alcune voci corse che
nelle località dette i Lagucci, Rancione e Piandavello si eran
visti degli individui con facce proibite: ma forse erano
esploratori! All'alba del giorno fu fatto improvvisamente occupare
da quattro Squadre della IV Compagnia la strada posta sulle alture
da Domagnano a Montelupo, mentre la V Compagnia occupava da un
lato un semicerchio che aveva per corda la suddetta strada, e
dall'altro cinque Squadre della I Compagnia e quattro Squadre
della II descrivevano un egual semicerchio includendo Piandavello.
Quattro Squadre poi della VI Compagnia colla nostra Gendarmeria
hanno perquisito minutamente tutte le Case, i Capanni e i Burroni
racchiusi nel terreno circondato.
Essendomi così assicurato con tutta la
diligenza di cui sono capace, e con tutto lo zelo da cui sono
animato, che nella nostra Repubblica non vi sono nè inquisiti, nè
disertori, nè renitenti di leva, ho creduto di desister per ora da
ulteriori perquisizioni, fino a che qualche sicuro indizio non
consigli di riprendere le operazioni, il che però non credo
possibile.
Dopo ciò non mi resta che rinnovare
alle EE.VV. gli atti della mia profonda devozione.
Gle P. Malpeli
(AS, Cart., b.179/20)
APPENDICE N° 14
Lettera di S. Belluzzi e P.
Tonnini alla Reggenza - 3 giugno 1874
All'Eccellenze Loro I Signori Capitani
Reggenti della Serenissima Repubblica di S. Marino
Roma 3 Giugno 1874
Eccellenze
Nell'accompagnare
all'EE.VV. la Nota originale che in data 1 Giugno corrente ci è
stata diretta da S. E. Il Ministro degli Affari Esteri del Regno
d'Italia in riscontro alle nostre due del 4 e del 20 Maggio
decorso sentiamo il sacro dovere di portare a Loro cognizione in
modo dettagliato, sebbene succinto, le gravi e più salienti accuse
che sono state portate al Governo del Re in questi ultimi tempi,
le quali mentre da un lato rivelano le varie difficoltà che
abbiamo incontrate per ristabilire i buoni ed amichevoli rapporti
fra il nostro Stato e quello del Re, ci hanno condotto nell'amara
ma purtroppo vera persuasione, che i nemici della nostra
Repubblica si sono adoperati a tutta oltranza per calunniarla col
pravo fine di perderla.
Rapporti a centinaja che formano un
grosso volume sono pervenuti al Ministero dell'Interno e custoditi
nella Divisione della Pubblica Sicurezza. In essi si narra che nel
Territorio della Repubblica hanno sempre trovato se non asilo,
facile ricovero e protezione gl'inquisiti del Regno d'Italia, e
specialmente delle vicine Provincie con manifesta violazione dei
Trattati esistenti fra i due Governi; che le Autorità della
Repubblica non solo non hanno spiegato e non spiegano la dovuta
energia per far cadere in mano della punitiva giustizia quelli che
si rifugiano nel Territorio Sammarinese, ma spingono la loro
indulgenza a favore dei proprj sudditi delinquenti fino al punto
di lasciarli tranquilli ed impuniti nello Stato vicino, sebbene i
loro Magistrati criminali ne inculcassero la domanda di
estradizione; che il Masi autore del recente omicidio commesso
nella vicina Rimini è fra gli ultimi che nella nostra Repubblica
ha trovato ajuto e favore manifesto per eludere le ricerche della
pubblica forza, e che il medesimo si trova tuttavia nascosto nel
nostro Stato per cura e favore de' suoi amici.
Fondandosi su tali risultanze il
Ministro dell'Interno dopo aver insistito presso il suo Collega il
Ministro degli affari esteri per la denuncia della Convenzione di
buon vicinato e di amicizia conchiusa il 27 Marzo 1872 tra la
Repubblica e S.M.Vittorio Emanuele, a noi apponeva che il Governo
del Re si era determinato alle misure eccezionali ai nostri
Confini non già soltanto per l'ultimo fatto del Masi, che doveva
riguardarsi come l'ultima goccia che aveva fatto traboccare il
vaso, ma per l'intollerabile sistema della Repubblica che non
datava da ora, e sosteneva il dilemma -o che il Governo della
medesima non vuole eseguire la Convenzione, o che gli mancano i
mezzi per farlo; che la Repubblica stessa è da riguardarsi come un
enclave pericoloso alla pubblica sicurezza nelle vicine
Provincie del Regno, ed essere giuocoforza che il Governo del Re
debba prendere sul di lei conto le dovute precauzioni. Insisteva
quindi per lo meno sulla istituzione nel Territorio della
Repubblica di una stazione mista di Carabinieri dei due Stati
coll'unica ed esplicita missione di occuparsi della vigilanza sui
malfattori del Regno che penetrassero in Repubblica, o per la
istituzione di un Consolato con guardie consolari, od anche
sull'obbligo per parte della Repubblica di accettare al suo soldo
pel servizio di polizia quel personale di cui dovrebbe incaricarsi
il Governo Italiano. Proposte tutte che noi senza esitanza
respingemmo perché altamente lesive l'onore, la dignità e la
indipendenza della Repubblica.
La fermezza del Ministro dell'Interno
in questi concetti non fu vinta neppure dai buoni offici di S.E.
il Ministro Vigliani, il quale dopo di avergli esposto di non
poter prestar fede a tante accuse, ne di convenire nelle opinioni
del suo Collega, doveva per quanto ci disse e con sommo nostro
dispiacere concentrarsi in quella riservatezza e in quei riguardi
voluti dalla speciale sua posizione di Ministro.
A tanta mole di accuse ed a sì
sconfinate esigenze prive dell'appoggio diretto del nostro
Consultore, comprenderanno l'EE.VV. quale e quanto esser dovesse
il nostro sconforto, e come amaro il dubbio a non riuscire nella
missione, di cui fummo onorati. Però ai momentanei abbattimenti
dell'animo subentrò la calma e la fermezza dei propositi, calma e
fermezza che ci venivano ispirate dalla bontà della causa che
avevamo a trattare, dall'appoggio della pubblica opinione che la
nostra Repubblica gode in tutta Italia, dall'ajuto di benevoli
personaggi che ci accordarono qui in Roma il loro favore, e sopra
tutto dalla lealtà ed onoratezza del Ministro degli affari esteri
Visconti Venosta e di pressochè tutto il personale del suo
Dicastero, appo il quale riescimmo ad ottenere un'argine contro
l'avversione troppo spiccata dei Burocratici dell'Interno.
Finalmente la procella che ne
minacciava e che fino a questi ultimi giorni sembrava che volesse
risorgere più minacciosa di prima si è dileguata per la efficace
interposizione a nostro favore del prelodato Ministro degli affari
esteri, alla quale hanno moltissimo contribuito la savia ed
energica condotta del nostro Governo, l'impegno patriottico col
quale lo hanno servito le nostre milizie col suo capo veramente
benemerite della Repubblica, la calma, la concordia e
l'abnegazione di tutti i nostri Concittadini in questi dolorosi
frangenti.
Ora non ci resta che a consolarci a
vicenda del ritorno dei buoni ed amichevoli rapporti fra la nostra
Repubblica ed il Governo vicino, ed a sperare che questo infausto
avvenimento rinvigorisca in tutti i Sammarinesi l'amore della
Patria che abbiamo l'obbligo santissimo di tramandare libera ed
indipendente ai più tardi nepoti.
Piaccia all'EE.VV. di gradire la
nostra devota ed affettuosa servitù e di accogliere il grido che
c'irrompe dal cuore di Viva il nostro Santo Protettore - Viva
la nostra Repubblica.
Gl'Incaricati
Settimio Belluzzi
Pietro Tonnini
(AS, Cart., b. 179/20)
APPENDICE N° 15
Lettera del Ministero degli Esteri
sulle riunioni mazziniane. 13-6- 1870
In alcuni giorni
del p.o mese di Aprile si osservò in S.Marino un insolito viavai
di persone, che poi si seppe che erano quasi tutte appartenenti
alle provincie di Romagna, tra le quali fu notato il già troppo
noto Eugenio Valzania di Cesena, ritenuto come capo del partito
mazziniano, e delle sette romagnole, per qualunque arrischiata
impresa da tentare.
Ora in S. Marino si è costituito da
qualche mese un Comitato, così detto della Repubblica
Universale e sembra che tutti i nuovi viaggiatori dello scorso
mese abbiano avuto relazioni piuttosto intime col suddetto
Comitato; ma s'ignora quali siano stati i discorsi tra loro
tenuti. I membri del suddetto Comitato sono tre e si chiamano:
Martelli Giacomo, Casali Ercole e Giovannarini Luigi, il primo dei
quali è persona accorta ed intelligente. Il dì 6 Maggio si recò
parimenti in S. Marino un romano, giovane di età, bene in arnese,
di modi e figura civile, che si trattenne ivi quattro giorni, ebbe
relazioni con quelli del Comitato e mostrò di spendere largamente.
Ma, oltre a costui, si sarebbe rifugiato in S. Marino, e si
troverebbe precisamente nascosto in casa di Marinelli del Cantone,
un individuo misterioso, che da taluni si ritiene un capo del
partito repubblicano, da altri un delinquente. Il dì 13 e 14 del
corr.te mese (maggio) si recarono anche in S. Marino due
giovinetti Forlivesi, che sono del partito. L'uno ha nome Piselli
Gemanico e l'altro Tomasari Giuseppe. Ora i due suddetti giovani,
recatisi a S. Marino, andarono in traccia di un loro amico, a nome
Capanna (anche del partito d'azione) il quale è maestro nel
ginnasio repubblicano. Il detto Capanna, al tempo in cui avvennero
i fatti di Pavia e di Brisighella, lasciò S. Marino, adducendo a
quel Governo doversi recare a Forlì a visitare la madre, che
giaceva a letto inferma. Gli emigrati attualmente conosciuti in
quella repubblica sono cinque: un tale di Cesena indicato col
sopranome di Tosetto, un certo Rossi di Pesaro, implicato nel
processo d'assasinio del delegato Sig. Ferro, avvenuto tre anni
fa; un tale di Forlimpopoli, che uccise un canonico a Forlimpopoli
(questi è il Bazzoli di Forlimpopoli e l'ucciso è il canonico
Giunta di detto Comune), un calzolaio di Ancona o di quelle
vicinanze, ed uno sconosciuto di Cesenatico.
(allegata a AS, Cart., n° 142,
b. 179/14)
APPENDICE N° 16
Articolo de "La Luce" di Trieste
(anno I, n° 2) - 23 aprile 1874
La Repubblica di S. Marino e il Governo Italiano
La vertenza sorta fra la Repubblica di
San Marino e il Regno d'Italia, ha dato occasione a disparati
giudizi, in generale però poco favorevoli al Governo Italiano, sia
per quella simpatia che desta sempre il più debole in lotta col
più forte, sia per altre ragioni che crediamo di non lieve
importanza. L'esistenza di quella piccola Repubblica data da
secoli, e in ogni tempo venne rispettata da tutti i Governi più o
meno rispettabili che si succedettero in Italia: perfino dal Papa!
Non era sicuramente il Governo Italiano che per primo doveva farle
affronto e minacciare quella innocua comunità nelle sue
repubblicane istituzioni. E' fatto incontrastato che la moralità
di quel piccolo Governo potrebbe essere d'esempio a molti Stati
grossi fra i quali mettiamo in prima linea l'Italia
Monarchico-Costituzionale: è noto come quei Capitani della
Repubblica respinsero sdegnosamente l'offerta di un rilevante
provento finanziario che aveva per condizione l'impianto di una
grande Casa di giuoco a somiglianza di quelle che arricchiscono il
Principato di Monaco. Su quel monte leggendario vivono
pacificamente circa 7.000 abitanti laboriosi, onesti, ossequienti
alle leggi semplici, giuste e morali che li reggono; gelosi della
forma repubblicana che li governa, e di conseguenza vergini ancora
da tutte quelle corruzioni ed immoralità, che un sedicente
progresso ne fece la base su cui si fondano molti governi forti e
potenti. Il Prefetto di Rimini, e più di lui le alte Autorità da
cui dipende, hanno commesso un'azione inqualificabile; nè vale il
pretesto che la Repubblica avesse dato asilo ad un malfattore
comune e si rifiutasse di consegnarlo alle Autorità italiane
secondo i trattati esistenti. Tutti sanno che verso il Governo
Italiano, San Marino si mostrò sempre accondiscendente, adempiendo
fino allo scrupolo i proprii impegni e dimenticando molte volte
certi soprusi che i diversi prefetti delle Romagne si sono
permessi in varie occasioni. Se il bandito ricercato dalla polizia
italiana si fosse veramente ricoverato nel territorio della
Repubblica, bastava un invito del Governo Italiano per ottenerne
l'estradizione, ma esso non si trovava sul suolo di S. Marino, e
lo provano le perquisizioni domiciliari dalla polizia italiana,
riuscite infruttuose, e con tanta bonomia tollerate dal Governo
della Repubblica. E dopo ciò perché far circondare di bajonette il
confine? Perché non dare una giusta soddisfazione ai Capitani
della Repubblica che, portatisi a Roma, sono costretti a correre
da Ercole a Pilato senza ottenerne alcuna? E dove sono questi
protettori della piccola Repubblica da cui sollecitarono titoli e
decorazioni, per fregiarne pomposamente il loro petto, e fra
questi il sig. Cantelli Ministro del Regno d'Italia? Oh! vi è a
scommettere uno contro mille, e si sarebbe sicuri della vincita,
che se si fosse trattato del Governo francese, i signori Ministri
Italiani avrebbero agito ben diversamente, e il Prefetto co' suoi
poliziotti e le bajonette, sarebbero rimasti ad una rispettosa
distanza dal Confine: i barbacani papalini, gli Antiboini, i
La-Gala informino. Il Governo Italiano può proprio andare superbo
della vittoria ottenuta da due battaglioni di truppe contro
quattro uomini e un caporale: può mettere quest'alloro di fronte
all'insuccesso di Custoza, alle acque di Lissa e allo stivale
d'Aspromonte! Ma forse il pretesto del malfattore fu un ritrovato
per dare il primo colpo alla povera e antica Repubblica e tentare
poi di annetterla al Piemonte. Fanfulla fu il primo
a dirlo e...si sa... alle Corti il consiglio del buffone è
sempre più ascoltato di quello di un ministro. Ciò però che
addolora si è il pensare che molti uomini del 48-49 si trovano ora
al potere e fanno mostra della più nera ingratitudine. Essi, dopo
aver dimenticato di essere stati repubblicani, dimenticano ancora
che qualcuno di essi, forse, in tempi ben più pericolosi, dalla
ospitale e piccola Repubblica, veniva accolto nudo, senza mezzi,
fuggiasco, inseguito dai soldati dell'Austria, e su quel libero
suolo, trovò pane, vesti, sicurezza, e protezione: dimenticano che
quei bravi Capitani della debole Repubblica risposero ad un
esercito austriaco che sarebbero piuttosto morti, sepolti sotto le
rovine della Repubblica, che consegnare un solo dei rifugiati. E
fra quei prodi vi era Garibaldi colla sua sposa, la povera Annita
morente per i lunghi travagli, le indescrivibili angoscie! E
l'Austria non azzardò d'invadere colla forza il territorio della
debole Repubblica, benchè avesse ben lauta preda a farvi! Essa,
l'Austria, la rispettò: e i nostri fratelli furono salvi, e fu
risparmiata la vita di Colui che dieci anni più tardi doveva
liberare, con un pugno di prodi, il Regno di Napoli! Quod non
fecerunt barbari, fecerunt Barberini. Ciò che non fece
l'Austria conquistatrice e dispotica nel 1849, lo fece il Governo
Italiano liberale e civile nel 1874!
APPENDICE N° 17
Lettera della Reggenza ai parroci
della Repubblica - 23 maggio 1874
Ai Revdi Parrochi della Repubblica e
specialmente a quello di Serravalle
23 Maggio 1874
Revdo Signore
Preghiamo V.S.Revda che domani
dall'Altare voglia diriggere ai suoi popolani alcune parole di
conforto e di consiglio presso a poco del seguente tenore:
"Come i nostri antenati ebbero di
quando in quando a passare per tempi difficili e pericolosi, così
ora anche a Noi dio ha voluto mandare i giorni del dolore e della
prova. Sì, miei cari, questi per noi sono giorni di prova, la
quale se riusciremo a superare, come ne abbiamo ferma fiducia,
diventeremo migliori all'interno e più rispettati al di fuori.
Voi lo sapete, uno dei nostri
principali doveri è l'amare la patria, e noi Sammarinesi a
preferenza di qualunque altro popolo possiamo andar superbi di
amar la patria intensamente e profondamente, tutti, poveri e
ricchi, abitanti della città e delle campagne.
Però non basta amare il proprio paese
e le proprie leggi con tutto l'animo, ma in questo amore bisogna
essere concordi, bisogna cioè che in ogni tempo, ma specialmente
adesso, adoperiamo tutti quanti gli stessi mezzi, e tutti teniamo
la stessa condotta. Certi espedienti che saranno pur suggeriti
dall'amor di patria, saranno stimati da taluno adatti a liberarla
dallo stato presente; ma, credetelo, sarà più dannoso che utile
quello che si farà, se non ci poniamo in cuore di fare ognuno
sacrifizio del nostro proprio modo di vedere e di giudicare; se
non uniamo la nostra azione a quella della maggioranza
intelligente ed esperimentata, se in una parola non dipendiamo in
tutto e per tutto dal nostro Governo. I nostri antenati videro
talvolta calpestato e profanato il suolo della patria da
soldatesche straniere. Noi, grazie a Dio, non siamo a questo
estremo, nè dobbiamo temere di venirci. Però stiamo attenti,
perchè ora piuttosto che alla libertà, si attenta al nostro onore;
si spargono sul conto nostro delle calunnie, si dice che noi siamo
ricettatori di malviventi, e col danno che si reca ai nostri
commerci si mette a tortura la nostra pazienza, e si tenta di
gittar fra di noi la discordia. Ah! cittadini, guardatevi da una
tale sventura. Forse qualche maligno vi sussurrerà all'orecchio,
che a questi mali ha colpa quello o quell'altro cittadino, forse
azzarderà anche di dirvi, che se volete accomodar tutto, dovete
sforzare il Governo ad agire diversamente da quello che fa, forse
avrà perfino il coraggio di eccitarvi ad insorgere contro i vostri
fratelli. Cittadini! Voi siete di proverbiale buona fede, e di
patriarcale semplicità; perciò guardatevi da questi maliziosi
consigli; non vi affratellate con forastieri, siate prudenti nel
dimandare e nel rispondere, e soprattutto nell'affermare quello di
cui non siete sicuri. I vostri consiglieri, la speranza vostra e
il vostro conforto siano i migliori e i più sacri vostri
concittadini, e segnatamente gli uomini onesti che reggono a capo
del Governo.
Sì, stringiamoci al Governo, non
pretendiamo di saperne più di esso, rispondiamo soltanto quando
siamo chiamati, non c'impacciamo di quello che non ci spetta,
perdoniamo a vicenda i nostri errori, sosteniamoci l'un l'altro
con carità cittadina, e l'unico nostro intendimento, sia quello di
salvare la Repubblica.
E la Repubblica non correrà nessun
pericolo, se ci asterremo dalla codarda maldicenza, dagli
ingiuriosi sospetti e dal cieco fanatismo, ed in quella vece
fiduciosi nella nostra innocenza ci ameremo di scambievole amore,
e manterremo quella calma dignitosa e tranquilla che è propria di
un popolo che si sente forte nei propri diritti, ed è da lunghi
secoli educato alla libertà."
E con questo accolga i sensi della
nostra particolare considerazione.
(AS, Cart., b. 179/20)
APPENDICE N° 18
Lettera del Cibrario al Reggente
Palamede Malpeli - 6 febbraio 1865
Eccellenza
Vostra Eccellenza
ha fatto un opera buona chiamando l'attenzione del Consiglio
Sovrano sulle condizioni finanziarie della Repubb. Esse mi
sembrano molto gravi, e se non si ha senno e braccio per
migliorarle trascineranno (?) esse e l'indipendenza Sanmarinese in
una certa rovina. Conviene anzitutto sapere e conoscere fino
all'ultimo soldo quali sieno veramente le entrate della Repubb. e
ciò si otterrà mediante minute verificazioni dei registri dei
contabili, e mediante indagini presso i privati debitori, affine
di confrontare le quietanze coi registri, e vedere se vi fossero
stati introiti non registrati, ma sottratti dai contabili.
Niuno dovrebbe maneggiare danaro della
repubb. senza dar una cauzione in beni, in danaro, o in cartelle
di un debito pubb. e ciascun contabile dovrebbe assolutamente
obbligarsi sotto grave pena, e specialmente della sospensione
dell'ufficio, o della destituzione e rendere alla fine d'ogni anno
i suoi conti ad una commissione che tenga le veci di corte dei
conti, inserendovi i mandati di pagamento come debite quietanze
dei percipienti, ecc. ecc.
Niun mandato dee spedirsi se non v'è
fondo perciò nella categoria apposita del bilancio. Nè dee
spedirsi se non v'è annesso un titolo che lo giustifichi; nè dee
pagarsi senza il visto d'un ufficio di controllo, o riscontro, che
riconosce se tutto è regolare.
Non capisco poi come vi possano essere
dei censi che non fruttano. V'è un catasto a S. Marino?...Conviene
farsi presentare i titoli di possesso, e riconoscere a quali
condizioni posseggono i censuari.
La vendita di fondi urbani passivi è
indispensabile e debb'essere pronta, e così quella di fondi
rustici di tenue provento. I capitali ritratti non debbono
consumarsi ma convertirsi in acquisto di cartelle del gran libro
d'Italia che fruttano il 7%.
Ai contabili si debbono fare
improvvise verificazioni di cassa, come si fa dappertutto, per
riconoscere se i fondi pubblici esistenti in cassa, rispondano
alla somma della quale (...?) da caricamento il registro degli
introiti.
Non la finirei più se dovessi dire
solo la centesima parte degli avvedimenti cui si debba aver
l'occhio se si vogliono sinceramente finanze ben ordinate. Ma dopo
ciò torno alla questione già fatta, e rimasta sempre senza
risposta.
Prima del 1862 le repubb. tirava
innanzi colle sue rendite ordinarie che sommavano all'incirca a
40.000 lire italiane.
Da quell'anno in virtù della convenz.
22 marzo la repubb. ricevè dall'Italia lire 18.000 annue e le sue
condizioni finanziarie sono sempre peggiori. Bisogna che qualcuno
o per ignoranza sperda, o per malizia rubi il
pubblico danaro.
Le mando l'assegno di l. 3.000 sulla
tesoreria di Pesaro, offerta dai fratelli Giuseppe Lancia e
Vincenzo Lancia per l'asilo infantile da fondarsi. V.E. non
dimentica che questi due ricchi negozi ciò fanno colla fondata
speranza d'esser fatti caval.i ufficiali di S. Marino.
Gradisca le proteste della mia
particolare considerazione.
Cibrario
(AS, Cart., n°
246, b. 179)
APPENDICE N° 19
Legge che istituisce la
Commissione di Soccorso - 15-9-1874
Dalla seduta consigliare del 6 settembre 1877.
Tenore
della Legge regolamento della Commissione di Soccorso.
Il Generale
Consiglio Principe e Sovrano della Repubblica di S. Marino
Considerando esser sommamente
necessario che i fondi destinati alla Pubblica Beneficenza siano
distribuiti con prudenza e con giustizia, affine di sovvenire
opportunamente al vero bisogno, e di non fomentare l'accatonaggio,
od altri disordini; Considerando che attualmente la distribuzione
di questi fondi partendo da diversi centri, manca di quell'unità
di direzione che è indispensabile ad ottenere l'effetto
desiderato; Volendo provvedere definitivamente alla sistemazione
di questo ramo di pubblico servizio;
Ha decretato e decreta
art.1 - E' istituita una Commissione
di pubblica Beneficenza, i cui Statuti, trascritti qui in calce,
avranno piena forza di Legge.
art.2 - Le istanze o le richieste per
Limosine, o soccorsi, o sussidi sia temporanei, sia vitalizi per
titolo di miserabilità di malattie, di viaggi, di emigrazione, di
disgrazie domestiche, o di calamità pubbliche, non potranno essere
ricevute dall'Eccma Reggenza sotto qualsivoglia colore, quando
pure fossero dirette al Consiglio Principe, o al Congresso
Economico di Stato; ma dovranno essere intestate e dirette al solo
Presidente della Commissione di Pubblica Beneficenza.
art.3 - Il Generale Consiglio Principe
e sovrano dichiara che d'ora in avanti non risponderà alle istanze
suddette quand'anche gli venissero presentate.
art.4 - E' tolta ogni facoltà alla
Eccma Reggenza ed al Congresso Economico di accordare sovvenzioni
a senso dell'art. 2 sotto pena dell'immediata rifazione all'Erario
pubblico delle somme sovvenute, da parte di quei membri che
avessero autorizzata questa opera illegale, per la quale saranno
responsabili insieme ed in solido.
art.5 - La presente Legge dovrà
considerarsi come costituzionale o statutaria, e non potrà perciò
esser derogata che colla maggioranza dei due terzi dei voti.
Regolamento per la Commissione di Pubblica Beneficenza.
art.1 - La Commissione di soccorso per
gli infermi nominata dal Principe Consiglio li 28 Settembre 1872 è
costituita in Ente Morale dipendente dal Consiglio Principe e
Sovrano, ed assume il nome di Commissione di Pubblica Beneficenza.
Suo scopo è quello di procurare alle Classi povere i mezzi di
sussistenza in caso d'impedimento al lavoro per vecchiaia o per
infermità.
art.2 - Essa resta composta come è
attualmente di venti membri, i quali hanno diritto di sostituire
altri a quelli, che per morte o per non essere intervenuti a tre
adunanze consecutive cessano di farne parte. Non possono far parte
della Commissione persone illeterate. L'adunanza è legale se
v'intervengono dieci membri.
art.3 - L'amministrazione è regolata
da un Presidente, il quale viene eletto annualmente alla metà di
Settembre dal Principe Consiglio fra i membri della Commissione;
ed entra in carica il 1° di Ottobre. Sue attribuzioni sono quelle
di convocare le adunanze e di presiedere ad esse: dirige e
sorveglia la retta, prudente, e giusta distribuzione dei soccorsi;
firma e bolla le ricette, e comunica all'occorrenza col Governo.
art.4 - La Commissione elegge nel suo
seno alla metà di Settembre di ogni anno un Segretario, il quale
ha l'obbligo d'invitare le adunanze dietro ordine del Presidente
con appositi avvisi da spedirsi a mezzo di un bidello; di
assistere alle adunanze e stenderne i verbali; trascrivere e
firmare i rescritti, e redigere il rendiconto annuale
dell'Amministrazione. In mancanza del Presidente, egli ne fa le
veci.
art.5 - Nomina parimenti un Cassiere,
il quale ritira anticipatamente dalla Cassa pubblica la rata
mensile di soccorso; ed un vice-cassiere, il quale ajuta nella
distribuzione a comodo dei poveri il Cassiere principale, a cui
rimette il mensile resoconto. Il Cassiere è in obbligo di
registrare su apposito libro tutte le bollette che paga, e mandare
ogni mese il Bilancio di Cassa al Presidente. Esso provvede
d'accordo col Presidente al rinvestimento fruttifero di quei fondi
di Cassa che potessero rimanere dall'annua somma che somministra
il Governo, non che di quelle qualunque private elargizioni che
potessero a questo Ente morale venire fatte, le quali ultime però
non potranno dimettersi senza speciale rescritto della
Commissione.
art.6 - Nomina pure annualmente due
verificatori-distributori, l'uno in Città, l'altro in Borgo, i
quali verificano il bisogno dei poveri, assegnano una sovvenzione
in danaro o in generi, e ne rilasciano bolletta.
art.7 - La Commissione di Beneficenza
riceve annualmente dal Governo in tante rate mensili anticipate
pagabili dalla Cassa Generale al Cassiere della Commissione L.
7.000 non aumentabili; più riceve dall'Ospedale della Misericordia
L. 150 annue per i medicinali. Questi proventi certi possono
essere aumentati dalle largizioni private.
art.8 - Le pensioni e sovvenzioni
mensili, annue, e vitalizie accordate fino ad oggi dal Consiglio
Principe, passano a carico della Commissione di Beneficenza; a
meno di quelle pel mantenimenti dei dementi e per l'Ospedale.
art.9 - Le sovvenzioni mensili ed
annue accordate fino qui dal Consiglio agli orfani saranno dalla
Commissione corrisposte fino agli anni 14 inclusivi per gli uomini
e 15 per le donne: per cui col presente Regolamento si dichiarano
decaduti dal diritto di pensione quegli orfani che hanno raggiunto
la detta età. Per l'avvenire poi se si verificasse l'esistenza di
qualche orfano indigente privo di Congiunti obbligati a
sovvenirlo, e da tutti abbandonato, la Commissione sussidierà a
seconda del bisogno, e fino alle età suindicate.
art.10 - La Commissione non assegnerà
per l'avvenire pensioni vitalizie, nè temporanee: ma sovverrà
soltanto con sussidi a seconda del bisogno, e per quanto è
necessario.
art.11 - I sussidi vengono accordati
in generi, denari, e medicinali a quei poveri e malati, che non
potranno essere ammessi all'Ospedale. Le ricette pei medicinali ai
veri poveri dovranno essere firmate e bollate dal Presidente a
volta per volta. Resta così abolita la nota dei sovvenuti in
medicinali esistente presso la Farmacia; nota che dovrà senz'altro
ritirarsi dal Presidente della Commissione.
art.12 - I poveri esteri che cadono
malati in Repubblica potranno essere sovvenuti per il puro
bisogno; ma sarà obbligo del Verificatore-distributore di fare
rapporto al Presidente della Commissione, della data sovvenzione,
perché questi alla sua volta preghi l'Eccma Reggenza affinchè a
senso della legge 6 Marzo 1876 provveda alla consegna alle
autorità Estere del sovvenuto e sua famiglia indigente.
art.13 - E' proibito alla Commissione
di dare sovvenzioni per titolo di casa agli'inquilini poveri, e
molto più di pagarle al padrone della casa pigionata.
art.14 - La Commissione può anche
tenere biancheria di dosso e di letto da somministrare ai poveri
in caso di malattia e di gravi bisogni. Le dette biancherie però
dovranno avere una marca, ed essere restituite al Custode nominato
dalla Commissione, appena cessato il bisogno.
art.15 - Il Presidente presenterà ogni
anno al Consiglio Principe nel mese di Ottobre il Resoconto annuo
dell'Amministrazione; ed il Consiglio nominerà un suo membro per
la verifica delle condizioni dell'Amministrazione, e per conoscere
se è stato rettamente osservato il presente Regolamento.
Approvato che sarà il Resoconto dal
Consiglio Principe, sarà cura del Presidente di renderlo di
pubblica ragione.
L'Eccma Reggenza però può in ogni
tempo far procedere alla verificazione dello stato di Cassa della
Commissione.
art.16 - Il presente Regolamento
quando più non corrispondesse all'intendimento della Istituzione
può essere modificato dalla Commissione stessa. Le dette
modificazioni dovranno essere però approvate da quattordici Membri
componenti la Commissione, ed in seguito dovranno avere la
Sanzione Sovrana.
art.17 - Col presente Regolamento, il
quale anderà in vigore il 1° Ottobre 1877, s'intende derogare al
Regolamento di Carità approvato dal Principe Consiglio li 28
Settembre 1872.
S. Marino li 15 Settembre 1877
I Capitani Reggenti
Innocenzo Bonelli
Andrea Barbieri
(AS, Atti, vol. SS, n° 42.)
APPENDICE N° 20
Lettera di Gaetano Belluzzi alla
Reggenza - 25 luglio 1857
Eccellenze
Portatomi qui per ossequiare il
Pontefice Pio IX N.S., è meraviglioso che nella udienza avuta mi
preoccupasse ogni tema di discorso intratenendomi unicamente su la
Repubblica di Sammarino. Furono tanto solenni le parole del
Pontefice ed espressamente pronunciate, da tenermi obbligato di
parteciparle subito alle Eccellenze Vostre. Prese Egli pertanto a
dire che niun calcolo avessimo fatto della forza armata offerta,
che a nulla montava che avessimo l'alta sua protezione, e che
all'occasione non ce ne giovassimo. Indi in via d'apostrofe
aggiunse: e perché non venire a Bologna ora che siamo sì presso?
Parlò degli emigrati e mostrò stargli molto a cuore di finirla su
questo punto con la Repubblica. Mi rimbeccò le parole dette in
deputazione a Pesaro, che le Autorità Pontificie curassero di non
lasciarsi sfuggire i prevenuti, e disse, ma come fare? Mostrò
conoscere che la Repubblica aveva nello Stato Ecclo. tanti
ufficiali da farne un esercito, e che aveva in Ravenna stessa un
Console. Senza che io faccia pompa del mio contegno dirò
brevemente che a tutte le proposte del Pontefice io diedi
rispettose sì ma le più opportune risposte e tali da mettere in
buona vista la Repubblica. Ma le assertive non bastano: vi
vogliono fatti, e di questi il Papa ed il suo governo sono
informatissimi. Ho dovuto convincermi di ciò dall'abboccamento
procuratomi in seguito presso M. Berardi Segrio di Stato presso S.
Santità in viaggiando. Questi mi assicurò che nè il Pontefice nè
il Suo Governo hanno la menoma idea d'immischiarsi nell'interno
regime della Repubblica nè menomamente disturbare la libera azione
di codesto Governo, e ne riconoscono pienamente la indipendenza:
ma che l'affare de' rifugiati richiama tutta l'attenzione del
Pontefice, che non può sopportare che i Suoi Stati sieno
disturbati dalle mene dei rifugiati in Sammarino: mi aggiunse
infine che nel tempo stesso che parlavamo i rifugiati in Sammarino
tenevano corrispondenze secrete coi Sudditi Pontificj e che ne
conosceva le continue spedizioni di messi, e le intelligenze sui
complotti che si fanno costà entro. Riferisco puntualmente tutti
discorsi tenutimi da M. Berardi, e benchè ne sieno spiacevoli le
espressioni, non voglio occultare cosa alcuna alle EE.VV. per
norma. Esposti così i discorsi del Sommo Pontefice e
l'abboccamento avuto con M. Berardi lascio considerare alle Eccze
Vostre quale sia il meglio da farsi per la Repubblica. In quanto a
me sono abbondantemente compensato se vorranno prendere in grado
il pensiero che mi sono preso della comunicazione per il ben
essere sempre di codesto Stato. E con questo ho l'onore di
protestarmi con la più profonda stima e venerazione.
Delle Eccellenze Vostre
Ravenna 25 Luglio 1857
P.S. Mercoledì p.v. io sarò a Rimini.
Aggiungo sul colloquio con M. Berardi che disse che se non si
provvedeva avrebbe fatto un intervento con l'intelligenza delle
potenze.
Devmo Obbmo Ser.
Gaetano Belluzzi
Minuta allegata alla lettera di
Belluzzi
Le cose narrate dal Sig. Conte
Belluzzi richiamarono tutta l'attenzione dei Sigg. Congregati, i
quali dopo vari ragionamenti abbracciarono il partito proposto dal
Sig. Conte di scrivere egli stesso una lettera privata a M.
Berardi per informarlo dello stato delle cose, e per distruggere
se fosse possibile la sinistra prevenzione del Pontefice e del suo
Governo contro la nostra Repubblica. In seguito di che a richiesta
del med. Sig. Conte Belluzzi furono per sommi capi indicate dalla
stessa Congregazione le cose che dovevano formar soggetto della
lettera, e delle quali egli prese i debiti appunti. La sostanza si
fu:
che il Governo di Sammarino era
disposto a fare colla S.Sede un Trattato di estradizione anche in
Roma col concorso però di un Rappresentante della Francia; che nel
frattanto stava rivedendo la legge già esistente sui forastieri
per farvi quelle modificazioni che fossero richieste dai tempi;
che attualmente in Repubblica si trovavano due soli emigrati
politici, un Mazzotti di S. Arcangelo e un Valzania di Cesena, ed
in quanto ai confugiati per delitti comuni parecchi ve n'erano di
vecchia data, pochissimi di data recente e questi in linea di
accomodamento. Che il Governo della Rep.a aveva un Ispettore di
Polizia ed alquanti Gendarmi sussidiati dai militi del Paese; che
ad un bisogno poteva armare quanti uomini volesse poiché nel
nostro Paese ogni onesto cittadino è soldato. Che dentro l'anno
corrente erano stati consegnati dal nostro Governo alla Forza
Pontificia quattro malfattori, ed era stata dispersa una banda di
assassini guidata da un tal'Angelo Benedetti, il quale fù
arrestato sul confine dai Gendarmi del Papa in seguito alla fuga
datagli dalle nostre Milizie. Che questi fatti mostrano
apertamente che al Governo di Sammarino non manca ne' suoi bisogni
la Forza e non è soggetto molto meno ad intimidazioni come osserva
Mons. Berardi. Che finalmente il Governo Pontificio poteva mandare
persona onesta ed intelligente per conoscere la verità delle cose
esposte.
(AS, Cart., b.175, n° 625.)
APPENDICE N° 21
Lettera di Settimio Belluzzi e
Pietro Tonnini alla Reggenza - 21-5-1874
Eccellenze
E' più facile che l'EE.VV. possano
comprendere di quello che noi possiamo esprimere con quanto zelo e
con quanto premura continuiamo l'opera nostra perché codesto
povero Paese sia liberato dall'anormale e straziante situazione in
cui si trova. Noi abbiamo dovuto ogni giorno più toccare con mano
le tendenze ostili ed i tenaci propositi del Ministero
dell'Interno, nel quale hanno fatto capo le più nere calunnie, e
vorremmo che l'EE.VV. ed i nostri Concittadini andassero persuasi
che a togliere gli effetti non poteva essere lavoro da compiersi
in breve spazio di tempo. Per fortuna nostra e della Repubblica
nel Ministero degli Esteri troviamo tendenze e sentimenti affatto
opposti, ed ora una volontà decisa a voler metter fine ad uno
stato di cose che non può essere ulteriormente tollerato. Di
queste buone disposizioni d'animo del Ministro degli Esteri
abbiamo prova non dubbia nell'invito che or ora ci ha fatto di
presentarci domani al tocco al suo Dicastero. Il nostro cuore è
quindi aperto alle più lusinghiere speranze, e voglia Iddio che
non abbiano ad andare deluse. Qui retro troveranno l'EE.VV.
trascritto il tenore della seconda Nota che facemmo ieri pervenire
al Ministero degli Affari Esteri. Anche in questo incontro
rinnoviamo all'EE.VV. le proteste della nostra distintissima
considerazione.
Lettera acclusa alla
precedente scritta al Ministro Visconti Venosta
Roma 20 Maggio 1874
Eccellenza
Ci facciammo sollecciti di portare a
cognizione dell'Eccellenza Vostra che in seguito a domanda di
estradizione ultimamente fatta dal Regio Procuratore Generale alla
Corte di Appello di Bologna trovasi sostenuto nelle carceri della
nostra Repubblica tal Luigi Ugolini, detto Stadera, di Monte
Colombo imputato di omicidio, come pure dietro recente richiesta
di estradizione del Regio Prefetto di Forlì si trovano custoditi i
fratelli Cesarini Girolamo (disertore) Adamo ed Enrico o Giacinto
(renitenti) figli di Pietro, e finalmente dietro requisitoria del
Regio Sotto-prefetto di Urbino sono agli arresti Giancecchi
Melchiorre, Giancecchi Battista, Crudi Antonio, Trifoni Pietro
dichiarati renitenti nel 1862, nonchè Nanni Domenico renitente del
1863 e Pazzini Filippo del 1866.
Il Governo della Repubblica mentre ha
voluto dare una prova della sua lealtà al Governo del Re col fare
eseguire l'immediato arresto dei suddetti individui non crede di
poterne effettuare la consegna alle Autorità del Regno senza che
prima sia stata accertata la loro posizione giuridica. L'Ugolini
Luigi detto Stadera, trovasi ricoverato nel Territorio della
Repubblica fino dall'anno 1851, e le Autorità della medesima lo
ammisero al benefizio dell'asilo dietro informazioni che
l'omicidio di cui veniva imputato si riteneva commesso al seguito
di provocazione. Fù richiesto dalle Autorità del Regno nell'anno
1863, ed il Governo della Repubblica con sua Nota del 16 Luglio di
detto anno significava al Ministro degli affari esteri , che
credeva di mancare alla pubblica fede coll'arrestare e consegnare
un individuo preesistente in Repubblica da undici anni avanti alla
stipulazione del Trattato. Pel silenzio di S.E. il Ministro degli
Esteri l'Ugolini continuò la sua dimora nella Repubblica, ed ora
il Governo della medesima crede doversi esaminare e risolvere la
questione se di detto inquisito si debba o nò effettuare la
estradizione.
I fratelli Cesarini figli di Pietro
sebbene siano nati ed abbiano dimorato nel Regno Italiano
sostengono di essere originarj della Repubblica di S. Marino, e vi
è luogo a credere che si appongano al vero, tanto più che da tempo
remoto posseggono stabili nel nostro Territorio.
Vi ha pur luogo a credere che trovinsi
nella stessa categoria i renitenti Giancecchi Melchiorre,
Giancecchi Battista e Pazzini Filippo. I renitenti poi Crudi
Antonio, Trifoni Pietro e Nanni Domenico avrebbero un domicilio in
Repubblica di oltre un decennio anteriormente all'epoca in cui
furono inscritti nei Registri di Leva, e si troverebbero garantiti
dall'Art. 5 della Convenzione 22 Marzo 1862, e dall'Art. 10
dell'altra Convenzione 27 Marzo 1872.
Sul conto anche dei suaccennati
individui ora richiesti come Renitenti lo stesso Governo della
Repubblica trova giusto e conveniente che prima di devenire ad
atti ulteriori sia appurata la loro condizione di originarietà e
di domicilio. Noi preghiamo l'E.V. a voler notificare queste
nostre informazioni al Governo del Re e di interessarlo a prendere
col nostro gli opportuni concerti per devenire alla soleccita
soluzione delle proposte questioni.
Troviamo poi opportuno dichiarare
all'E.V. che le ricerche ultimamente fatte in larga scala dalle
nostre Forze hanno escluso la presenza nel Territorio della
Repubblica di altri individui, sia della classe dei delinquenti,
sia dei renitenti alla leva e disertori, e rafforzate quindi le
assicurazioni che avemmo l'onore di dare all'E.V. colla nota del 4
corrente.
Ora non ci resta che pregare di nuovo
l'E.V. a far sì che il Governo del Re colla soleccitudine voluta
dalla gravità del caso accolga le nostre domande già fatte in
detta Nota, ed aggradire i nuovi atti della nostra distintissima
considerazione.
Gl'Incaricati della Serenma
Repubblica di S. Marino
Settimio Belluzzi
Pietro Tonnini
(AS, Cart., b. 179/20, n° 100.)
APPENDICE N° 22
Discorso di Palamede Malpeli
nell'arengo del 5 aprile 1868
Parole dette dall'Eccellentissima
Reggenza della Repubblica di S. Marino
nell'Arringo Generale del 5 Aprile 1868.
Cittadini Sammarinesi!
Egli è con vera soddisfazione
dell'animo nostro che tornando per la terza volta al governo
dell'amata nostra Patria, troviamo la tranquillità più
desiderabile all'interno, le relazioni più soddisfacenti
all'estero, e la stima e la simpatia verso il nostro paese
diffondersi per quasi tutto il mondo e concorrere al sempre
maggiore consolidamento e alla prosperità materiale e morale della
Repubblica.
Se questo stato di cose ci rende per
ora da una parte più facile l'esercizio del nostro mandato e il
compimento dei molti e gravi doveri del nostro ministero, non
rallenteremo dall'altro l'usato zelo, ed approfitteremo di queste
favorevoli circostanze di tempo per migliorare sempre più la
pubblica cosa. E questo compito ci riescirà tanto più facile
inquantochè Noi, eletti da voi medesimi ad esecutori della vostra
stessa volontà che avete incarnata nelle leggi dello stato, non
dubitiamo non siate per accordarci la vostra efficace
cooperazione, senza la quale ogni nostro sforzo riescirebbe vano
od almeno infruttuoso. E questa cooperazione, siamo certi, Voi ce
l'accorderete specialmente coll'amare e difendere l'integrità
dell'antichissima Costituzione dello stato, col rispettarne ed
osservarne le leggi, e coll'evitare finalmente per parte vostra
che il vostro governo debba trovarsi in contestazioni o in falsa
posizione coi governi amici. Questo Noi vi chiediamo in nome della
nostra Libertà ed Indipendenza, la cui preziosa conservazione,
quanto debba a tutti noi star a cuore, non è chi non comprenda.
Nessuno esiti pertanto a compiere anche il sacrifizio di qualche
momentaneo privato interesse in vista di un tanto scopo,
avvegnachè questo sacrificio ne verrà ampiamente compensato dalle
condizioni economiche del nostro paese, che se non sono cattive,
ciò deriva unicamente dalla nostra libera esistenza politica da
tanto tempo consolidata.
La quale condizione per render vieppiù
avvantaggiata e migliore, crediamo di ben apporci, se diciamo
abbisognare oggi principalmente di tre cose: la prima - sviluppare
la pubblica istruzione e conservare la pubblica morale: la seconda
- prescrivere una norma al pubblico lavoro, e curarne una
razionale distribuzione: la terza - cercare il modo d'impedire lo
sfacelo economico delle famiglie per la soverchia suddivisione
degli assi e dei privati patrimoni, o per l'estinzione di quelle
abbastanza agiate, che sono le fonti, da cui può e deve emanare la
prosperità politica ed economica di un piccolissimo stato, qual'è
il nostro.
Allo sviluppo della pubblica
Istruzione debbe provvedere specialmente il governo; e lo farò;
curando che questo sviluppo sia relativo e proporzionato ai reali
bisogni esistenti nel popolo per non portare una perturbazione
nell'equilibrio sociale delle classi. - Alla conservazione poi
della pubblica morale consacreremo ogni nostro studio, mentre ci
rivolgiamo precipuamente ai Ministri del Vangelo, perché vogliano
potentemente ajutare l'azione del governo. Ci rivolgiamo ai
Ministri del Vangelo, pregandoli di continuare ad astenersi dalle
passioni politiche, confortandoli ad adempiere il loro santo e
sublime ministerio eminentemente civilizzatore e pacificatore
delle moltitudini, servendosi di un unico mezzo -l'amore;
ricordando loro che le loro parole saranno sempre vuote di senso e
inefficaci ad ottenere resultati pratici, se non andranno unite
all'esempio di una vita intemerata, passata nell'esercizio delle
più belle virtù, cui nè il probo nè il malvagio istesso ha mai
mancato di tributare ammirazione e rispetto.
A conseguire il regolare andamento e
la sociale utilità nel pubblico lavoro non solo dovrà attendere il
governo, ma vi dovrà anche concorrere il discreto cittadino,
l'onesto artigiano. Il pubblico lavoro è, come l'istruzione, uno
dei fattori della civiltà. Imperocchè il lavoro nobilita l'uomo
col toglierlo all'ozio, padre di ogni vizio e di ogni corruzione
fisica e morale, e col renderlo uguale ed indipendente cogli altri
suoi simili, mentre lo fa camminare a fornte alta, contento di
mangiare in mezzo all'amata sua famigliuola un pane guadagnato
dall'onorato sudore della sua fronte, e condito dalla tranquillità
della coscienza. Ma guai, se il pubblico lavoro prende nella
pratica un altro indirizzo! Guai, se questo diviene un mezzo di
speculazioni inoneste, un mezzo per estorcere danaro dal pubblico
erario; un mezzo all'artigiano per ispiegare pretese ingiuste o
pericolose, per soddisfare ad illecite passioni, per fomentare il
lusso, la crapula, il vizio; invece di promuovere l'amore alla
famiglia, la pubblica moralità, il risparmio pei giorni del verno
inoperoso, delle disgrazie impreviste, della tarda vecchiezza! Il
pubblico danaro è sudore, è sangue del popolo; perché esso è che
lo paga sia direttamente, sia indirettamente. Guai a coloro, che
lo malversassero: guai a coloro, che non si fanno scrupolo di
voler per sè di questo sangue più di quello che ne siqa loro
equamente dovuto! Al governo dunque spetti di stabilir norme per
la buona amministrazione del pubblico lavoro e per il
conseguimento dell'utile sociale, che dal lavoro stesso devesi
attendere: ma al discreto cittadino e all'onesto operaio
raccomandiamo di non abusarne.- A tutti finalmente consiglieremo
la temperanza nei desiderii di pubbliche opere, di non volerne
intraprendere troppe in una volta, di saper dare la giusta
preferenza a quelle, che sono d'immediata utilità o di assoluta
necessità su quelle, che servono solo all'esteriore abbellimento o
ad una commodità maggiore.
Ad impedire, per ultimo, lo sfacelo
economico delle famiglie per la soverchia suddivisione dei privati
patrimoni o per l'estinzione di famiglie agiate, possono solamente
i Cittadini stessi trovar modo; poiché se il Governo intervenisse
direttamente negli interessi delle famiglie medesime, ne
violerebbe la libertà del domestico santuario. I mezzi, che a
raggiungere questo fine furono altra volta impiegati dalle passate
legislazioni, sono oggi riprovati dallo sviluppo della Civiltà e
del Progresso. Pertanto non ci resta che raccomandare la nostra
causa al tribunale della pubblica Opinione e al suo severo e
potentissimo giudizio, lasciando ad essa il compito di venire per
diverse vie in aiuto dell'interesse generale dello stato. Avversi
all'aristocrazia ignorante e ricca, che suole esser anche
prepotente, non possiamo però non desiderare con tutte le nostre
forze l'aristocrazia del sapere. Però la scienza, il senno
pratico, la reputazione e la stima della Società e del gran Mondo,
non si acquistano oggi a buon mercato, ed a ciò si richieggono
molti e molti mezzi, di cui solo i facoltosi possono disporre. E
di uomini modestamente ricchi, ma saggi, prudenti e disinteressati
ha tanto maggiormente bisogno la nostra Repubblica, inquantochè la
storia, l'esperienza e la ragione sono là per mostrarci che il
nostro Stato non si reggerà mai colla forza delle armi, ma colla
sola forza morale. La quale non solo gli viene determinata dalla
Bontà ed Antichità della sua Costituzione e dalle savie sue leggi;
ma eziandio in gran parte dal senno, dalla prudenza, dal
disinteresse, dalla grandezza d'animo de' suoi Magistrati, a cui,
senza tali doti, a nulla varrebbero le arche ricolme d'oro a
fronte di quei pericoli che potessero minacciar la Repubblica; o a
fronte di quei Potenti, che talora possono preporre al diritto la
forza, alla giustizia l'usurpazione, far del male come del bene. -
Curi dunque ogni Padre di famiglia d'informare l'animo a questi
sentimenti, seppur gli cale di perpetuare sè stesso nella propria
discendenza, di lasciare una memoria cara e benedetta, di legare
il nome e l'esistenza della sua Famiglia ai destini della
Repubblica, di adempiere ad uno dei principali suoi doveri verso
la Patria. Sì, o Signori; uno dei principali doveri dell'agiato
cittadino sammarinese è quello di crescere e lasciare alla Patria
eredi, non solo forniti di censo, ma, ciò che più importa, onesti,
istruiti, devoti alla libertà. Non troveranno pace nel sepolcro le
ceneri di colui, che, vivendo una vita egoista, avrà affidato al
caso l'esito della sua successione. Aiutiamoci dunque a vicenda,
studiamo sempre il modo di migliorare le condizioni delle nostre
famiglie e di quelle dei nostri amici, d'incoraggiare le nuove che
sorgono, di favorire l'impianto di altre, poiché faremo opera
eminentemente patriottica.
Noi vi preghiamo ardentemente, o
Concittadini, di ritenere che ci sono state dettate da un sincero
interesse del pubblico bene le parole, che abbiamo avuto l'onore
d'indirizzarvi in questo giorno, in cui la sapienza della nostra
Costituzione fa qui periodicamente ragunare insieme da tanti
secoli tutti i Padri di famiglia, perché Governanti e Governati
s'intendano fra loro, si communichino vicendevolmente i loro
desiderj ed i loro bisogni, e così si stringano sempre più quei
vincoli d'amore, che legano tutti noi a questa Patria invidiata.
(stampato presso la Tipografia G.
Vitali)
APPENDICE N° 23
Lettera del Cibrario al Reggente
Palamede Malpeli - 15-2-1865
Eccellenza,
Mi pare abbastanza regolare il
bilancio che V.E. mi ha gentilmente comunicato, il quale comprende
le spese ordinarie, mancandovi affatto la parte straordinaria per
cui del resto non vi sarebbero fondi.
Parmi d'aver udito che, cresciute le
entrate, s'accrebbero gli stipendi degli Impiegati, senza
riflettere che il servizio dello Stato, non occupando che una
piccola parte del loro tempo, essi non hanno come altrove il
diritto di vivere interamente sulla provvigione.
Similmente si debbono riconoscere e
far pagare i censi dovuti, non permettere l'usurpazione dei beni
della repubb. e rivendicarli con rigore. Ma forse accade costì ciò
che altre volte veggiamo nei piccoli paesi, esser cioè spesso
deputati ad amministrare gli averi della repubblica i debitori
della repubblica i quali certamente non si curano di far pagare
agli altri ciò che essi medesimi non hanno volontà di soddisfare.
Ma la prima regola di un comune ben ordinato è che mai niun
debitore del medesimo possa aver ingerenza nella sua
amministrazione. Questa è regola fondamentale ed elementare,
la quale so non essere costì applicata. Come va che niun
Sammarinese ha instituito mai nè letti per infermi, nè scuole, nè
altre opere di beneficenza? E i fondi che si mandano ora per lo
spedale e per l'asilo d'infanzia come e da chi s'amministrano? Non
vi sarebbe da sperar anche da una soscrizione per azioni di 5 lire
annuali fatta dalla repubblica stessa? Essendomi accorto che costì
non si ha un'idea chiara dell'ordine e dell'importanza dei titoli
di nobiltà ho steso una memoria da conservarsi nell'ufficio della
Reggenza per informazione del Governo.
V.E. avrà veduto che son riuscito a
far dare alla repubblica il titolo di Serenissima che non ebbero
mai altre repubbliche fuorchè quelle di Genova e di Venezia. Ora
ho proposto un cambio di decorazioni per far riconoscere
solennemente dal Regno d'Italia anche l'Ordine di S. Marino.
V'era una gran difficoltà; ed è che i
Reggenti tornando dopo sei mesi alla vita privata non possono
naturalmente aspirare a gradi elevati, mentre i nostri
plenipotenziari hanno un grado elevato permanente. Questa volta ho
circuito la difficoltà persuadendo a Cerruti e Barbavera (?), cui
toccava la gran croce, di preferire il patriziato. Si daranno dal
Re a V.E. e al suo collega due croci d'uffiziale, e una di caval.
al Dr. Bonchi.
Al Dr. Fattori decorato di fresco non
si può dar nuova decorazione, ma passato l'anno sarà forse fatto
anch'egli uffiziale. La repubb. darà a sua volta due croci
d'uffiziale e due di cavaliere a chi sarà proposto. Risparmiando
le gran croci di Cerruti e Barbavera ho fatto una economia per la
repubb., come lei fa del resto sempre protestando a chi fa offerte
anche notevoli agli ospizi di S. Marino che la repubb. non usa
mandar la croce. Qualche volta la do io stesso, altre volte la
lascia comprare dagli aspiranti. Ma ora per le croci di
grand'uffiz. al barone Carlo Ferrero, convien che la repubb. gli
mandi anche la croce, perché questi è quello che va alla pesca dei
benefattori per gli spedali ed asili San Marinesi; ha già fatto
dar molto, e col tempo farà dar ancor più. Si tratta dunque di far
una spesa riproduttiva, e perciò (...?).
Nota acclusa alla lettera
1° - Principe.
2° - Duca (a Napoli questo titolo
primeggia quello di Principe)
3° - Marchese
4° - Conte
5° - Visconte
6° - Barone
7° - Nobile
8° - Cavaliere (questo titolo si da in
Piemonte ai nobili ereditari ed ai
secondogeniti
dei titolati)
I duchi e principi portano corone
d'oro smaltata e gemmata con cinque fioroni. I marchesi corona
simile con tre fioroni e due triangoli di perla. I Conti corona
simile con nove perle. I visconti sono pochissimi in Italia.
Usavan tre perle sul cerchio d'oro. I baroni un cerchio d'oro
attorniato diagonalmente da tre o quattro giri di piccole perle. I
nobili ereditari un cerchio d'oro con cinque perle; o con tre
punte di lancia e due perle.
La repubblica debbe, a parer mio,
proceder assai raramente a concessione di titoli; e quando ha
distinti servigi da rimunerare può far conti e baroni, ma
non disporre che molto ancor più di rado di titoli superiori.
Parmi che farebbe assai bene a
stabilire per la spedizione dei diplomi di nobiltà, ed anche per
quelli di patriziato e di cittadinanza tasse di cancelleria
applicabili allo spedale ed all'asilo d'infanzia. Per esempio:
1 - Pel titolo di duca o
principe..........L. ital. 1.000
2 - Pel titolo di
marchese.................
700
3 - Per quello di
conte....................
500
4 - Per quello di
barone...................
300
5 - Per quello ereditario di
cavaliere.....
100
6 - Pel patriziato
Sanmarinese.............
50
7 - Per la
cittadinanza....................
20
Nulla vieta che in caso di benemerenze
particolari la Repubb. dispensi dalla tassa.
Torino 15 febbrajo 1865
L. Cibrario consultore.
(AS, Cart., n° 255, b. 179)
APPENDICE N° 24
Rapporto di Palamede Malpeli alla
Reggenza - 1867
Eccellenze!
Nell'atto che presento all'EE.VV. il
Rendiconto generale dell'Esattoria tenuta dal fu Sig. Agostino
Giacomini dall'anno 1854 al 1857, e susseguentemente dal Sig.
Giuseppe fratello di lui fino a tutto l'anno p°p° 1866; mi son
permesso di accompagnare questo stesso Rendiconto con un mio breve
Rapporto sulle Tasse attualmente in vigore nella nostra
Repubblica. Vogliano le EE.VV. far buon viso a questo mio umile
lavoro, che ho intrapreso per corrispondere come meglio per me si
poteva alla fiducia che le stesse EE.VV. si degnarono riporre in
me coll'incaricarmi della suddetta Revisione.
Nel medesimo tempo è stato mio
divisamente di chiamare l'attenzione del mio Governo e de' miei
Concittadini sopra alcuni fatti, che a proposito di Tasse,
meritano di essere ponderati seriamente. Trattandosi però di un
argomento così delicato, mi sento il bisogno di premettere che non
intendo di proporre che si aumentino le Tasse. E ciò, non già
perché io creda che nella nostra Repubblica si paghi troppo; ma
perché so che una gran parte di libertà è il pagar poco: ed io
faccio i più sinceri auguri ai miei Concittadini ed a me stesso,
che la Repubblica possa continuare a mantenere l'equilibrio nelle
sue finanze, senza dover mai ricorrere ad aumenti di Tasse. Ciò
che io mi propongo di far conoscere con questo mio scritto si è;
che le Tasse della nostra Repubblica attualmente non sono
applicate e ripartite con giustizia. E il chiedere che a ciò
sia provveduto, è un diritto che ha ogni cittadino specialmente in
uno Stato retto con istituzioni repubblicane.
Qual cosa infatti più ragionevole che
ognuno a seconda della propria condizione, ed a seconda dei
vantaggi diretti ed indiretti che riceve dallo Stato, contribuisca
alle spese necessarie per la conservazione e la prosperità dello
Stato medesimo? Lo Stato, specialmente il nostro, è una Società di
Famiglie, come la Famiglia è una Società d'Individui: e lo Stato
come la Famiglia ha i suoi bisogni e perciò le sue spese, mentre
lo Stato come la Famiglia fa godere ai suoi membri i vantaggi del
vivere sociale. Per parte dello Stato questi vantaggi sono di due
specie, civili e politici: imperocchè lo Stato non solo veglia con
ogni mezzo a guarentire la vita, l'onore, le sostanze e gli altri
diritti naturali ed acquisiti dei cittadini; non solo si carica
della pubblica Istruzione, dei pubblici Lavori, della pubblica
Salute, della pubblica Beneficenza e di ciò che può favorire lo
sviluppo delle Arti, del Commercio e del pubblico Bene in
generale, ma ancora somministra sotto certe condizioni il
godimento di alcuni diritti molto preziosi, quali sono il poter
conseguire pubblici Impieghi, far parte del Consiglio Sovrano,
dell'Arringo generale ecc.ecc. Ciò posto, esaminiamo
tranquillamente se quel principio di giustizia superiormente
enunciato, sia a tutto rigore applicato fra noi: vediamo se il
sistema delle nostre Tasse stia in relazione proporzionata coi
bisogni dello Stato e coi vantaggi che ne riceve proporzionalmente
ciascun cittadino a seconda della sua condizione. Per ottenere
più facilmente quest'intento facciamoci ad analizzare le Tasse ora
esistenti.
Noi abbiamo tre tasse dirette, la
prima delle quali ripartita in tre diversi modi; ed abbiamo
altresì diverse tasse indirette, le quali possono distinguersi
pure in tre specie. -La prima tassa diretta è la Fondiaria o
Prediale, che vien pagata generalmente tutta dai Possidenti:
poiché sebbene questi abbiano il diritto di farsene rimborsare una
metà dai rispettivi Coloni, tuttavia il Decreto del Principe non
essendo su questa materia assolutamente precettivo, viene seguita
dai più l'antica consuetudine derogando al Decreto stesso sia
tacitamente sia esplicitamente. Questa prima tassa diretta grava
l'Estimo Rustico della Repubblica ascendente circa a 112 mila
Scudi Romani, e come ognuno sa si suddivide in ordinaria, che si
paga in Dicembre, ed è ragguagliata a 47 centesimi di Scudo per
ogni cento scudi di estimo: quindi in straordinaria che si paga in
Luglio ragguagliata al 0,40; più in stradale ragguagliata al 0,20%
e che si paga unitamente alla straordinaria - in totale dunque Sc.
1.07 per ogni cento sull'Estimo rustico suddetto. - La seconda
Tassa diretta è la Tassa di Famiglia, che è di otto bajocchi
romani per ogni fuoco, e questa deve pagarsi da tutte le famiglie
del Territorio, escluse quelle di Montegiardino. Questa Tassa ha
sempre fruttato poco all'Erario pubblico, ed il suo provento è
andato sempre diminuendo, ed eccone le cause. 1° Essendo mancato
al Governo fino agli ultimi tempi lo Stato Civile delle Famiglie,
la Segreteria Generale dell'Interno non ha potuto mai dare
all'Esattore l'elenco delle famiglie stesse, com'era questi in
diritto di pretendere. 2° Dietro ciò l'Esattore non si è dato gran
cura di riscuotere questa tassa, e una tale noncuranza si è andata
sempre aumentando per la natura medesima delle cose. 3° Per causa
poi della stessa picciolezza della Tassa l'Esattore non può avere
nè il suo tornaconto nè la convenienza di procedere ad
oppignorazioni contro i morosi. 4° Finalmente l'esazione forzosa
di questa Tassa quantunque minima, si renderebbe vessatoria
rispetto a quelle famiglie miserabili dell'infima classe, composte
forse di uno o due individui mendicanti. Dietro tutto ciò che cosa
è accaduto? Che la Tassa di Famiglia l'hanno pagata solo alcuni
Possidenti, perché questi andando a pagare la Prediale l'Esattore
ha potuto esigerla dai medesimi in quella circostanza. L'argomento
più stringente poi si è che questa Tassa nei tredici anni ultimi
non ha dato che la miseria di 1.600 Lire. - La terza ed ultima
Tassa diretta è quella della Breccia, poiché ogni Possidente è
obbligato di far portare da un luogo stabilito tanti metri cubi di
breccia sulle Strade Consolari secondo il riparto fatto in base
del tornaturato del rispettivo possedimento. Questa Tassa vien
pagata per tal modo in parte dal Possidente perché somministra le
bestie da trasporto, ed in parte dal Colono perché v'impiega
l'opera manuale.
In quanto poi alle Tasse indirette,
che come dissi, riduco a tre specie, esporrò brevemente che
appartengono alla prima, i dazi di consumo esistenti sul pane,
sulla carne, sul pesce; alla seconda, il Bollo, il Registro, il
Caposoldo, le Cinquine ecc.; alla terza, i Generi di Privativa o
di Regia, cioè il sale, il tabacco e le polveri zulfuree. E tutti
questi generi sono vere tasse, poiché vendendosi ad un prezzo
superiore a quello di fabbrica, in fin dei conti, come ognun sa,
sono i Consumatori Statisti ed Esteri quelli che le pagano.
Ciò premesso, io torno al mio quesito:
1° Le nostre Tasse sono esse ripartite ed applicate con
giustizia? 2° Sono esse in relazione proporzionata coi
bisogni della Stato e coi vantaggi che ciascun Cittadino riceve
dallo Stato medesimo? - Vediamolo.
Chi ha tenuto dietro all'esposizione
da me fatta qui sopra facilmente si accorgerà che la massima parte
del peso delle Tasse viene sopportato dai Possidenti e dalla
Classe più povera e meschina; mentre la Classe mezzana formata
dagli Artisti e dai Coloni ne è quasi totalmente esonerata.
Imperocchè i Possidenti non solo pagano tutte le tre tasse dirette
(esclusa la semplice opera dei Coloni nel trasporto delle
breccie), ma concorrono eziandio a pagare la maggior parte delle
tasse indirette dei dazi di consumo, del bollo e registro, dei
generi di privativa ecc.; mentre da un altro canto il dazio di
consumo sul pane che si vende ai pubblici spacci aggrava proprio
quei miserabili che son costretti a comperarlo, perché vivendo
alla giornata, come suol dirsi, non hanno il modo di mettere coi
risparmi tanto assieme da provvedersi di 40 libbre di farina per
fare il pane al forno per conto proprio. E questa tassa di consumo
il povero la paga esuberantemente non già a favore del solo
Governo che ne riscuote la minima parte, ma specialmente a favore
dei Fornai, poiché questi utilizzano e sul peso che è sempre
scarso, e sul prezzo di tariffa (poiché nei riparti gli Edili
debbono tener conto del dazio imposto), e sulla quantità dello
smercio, che è certamente maggiore di quella che dal Governo vien
calcolata nell'assegna. Chi è pertanto che non vede una doppia
ingiustizia nel dazio sul pane, genere di primissima necessità,
infino a che saranno esenti dal dazio le farine che si vendono
agli spacci e il vino ed altri generi che sono di secondaria
necessità per la vita? Chi è che non vede che la classe media è
esonerata quasi del tutto dai dazi di consumo, che fra le nostre
tasse si può dire sia la sola che la colpisce? Non spendono forse
molti più nel vino che nel pane? Questa classe è composta di
Artisti a cui non manca mai, anche in quest'anno difficile, un
sufficiente lavoro ben retribuito; e di Coloni che coltivano
Poderi abbastanza fertili, generalmente parlando. E che questa
classe sia abbastanza agiata ne è prova il lusso con cui gli uni
si nutrono, gli altri si vestono, e gli altri e gli uni non di
rado stravizzano nel gioco e nella crapula. -Seguitando, vogliam
far rilevare l'ingiustizia di altre Tasse. Oggi infatti la Tassa
di Famiglia, oltrechè non è generale per tutto il Territorio è
divenuta una vera ingiustizia per quei pochissimi che pagandola
adempiono al dovere di buoni cittadini. Così pure non è giusto il
metodo dell'attuale riparto delle Breccie, perché questa tassa non
è nè generale, nè uguale. Non è generale perché fino ad ora sono
stati tassati solo i Possidenti di quelle Parrocchie per le quali
passa la Strada Consolare, la quale non è ad esclusivo vantaggio
di quei Possidenti ma di tutti i Cittadini dell'intero Stato: non
è poi uguale, perché può succedere che se due di queste Strade
Consolari entrino in una stessa Parrocchia, il Possidente che ha
un terreno in quella, resta gravato con due riparti sul terreno
medesimo. Finalmente ora che l'Ufficio del Registro è in piedi da
molti anni, è ingiusta in quanto al tempo in cui si esige la Tassa
di Caposaldo; e su ciò non ho d'uopo di spender parole, poiché
tutti reclamano contro questo avanzo del medio evo.
Dopo tuttociò, qual meraviglia se le
Tasse nella Repubblica non sono in relazione proporzionata coi
bisogni dello Stato, e coi vantaggi che ciascun cittadino ne
riceve? il conto che più sotto presenterò in cifre tonde per
tenermi sulle generali mi dispensa dallo spiegar qui più
chiaramente questa seconda parte del quesito che io faceva più
sopra. Dirò solamente che ognuno sa che le tasse indirette di
terza specie sono quelle che sopperiscono nella massima parte ai
bisogni dello Stato; ma che non dobbiamo eziandio dimenticarci che
alcuni anni sono, se non sopraggiungevano dei forti proventi
straordinari, la nostra Repubblica si sarebbe trovata in assai
cattive acque per causa dei debiti che aveva dovuti contrarre in
altri tempi disgraziati; per causa di una Amministrazione incerta;
per causa finalmente dei grandi ed urgenti bisogni che aveva di
pubblici lavori.
Oggi dunque che le nostre finanze sono
in uno stato soddisfacente; oggi che si sono introdotti notevoli e
proficui miglioramenti nel pubblico servizio e specialmente in
quello delle Finanze stesse, non tralasciamo di far opera da saggi
e previdenti Amministratori col procurare l'assetto regolare e
definitivo delle finanze medesime; affinchè per qualunque siasi
evenienza, per qualunque fortuita cessazione di quei prodotti
straordinari sui quali oggi contiamo, la nostra Repubblica non
abbia mai a risentirne alcuna scossa profonda. Ciò che può farsi
bene in tempi normali riesce certamente meno bene quando la
necessità ci pigli per la gola. Molte ed importanti opere
pubbliche ci restano e a fare e a compiere; nè si possono
aggiornare a tempo indeterminato. In ogni modo poi assicurare
l'avvenire delle nostre finanze vuol dire assicurare in gran parte
la conservazione della nostra politica esistenza: lo che deve
stare in cima a tutti i nostri pensieri. La Storia c'insegna che
la rovina finanziaria degli Stati precedette la perdita della loro
indipendenza.
Il calcolo che io faccio in cifre
tonde è il seguente. Occorrono:
1° Al Ministero dell'Eccma Reggenza
per le spese di rappresentanza L.5400;
2° Per l'Amministrazione della
Giustizia L. 6.000;
3° Per il mantenimento della Forza
Pubblica L. 8.200;
4° Per il servizio
dell'Amministrazione delle Finanze, quando saranno estinti i
tremila e quattrocento scudi di debito rimasto, la spesa potrà
ridursi a L. 6.500;
5° Per la salute pubblica L. 4.800;
6° Per la Istruzione pubblica L.
6.600;
7° Per il Culto L. 1.000;
8° Per i Lavori pubblici, quando
saranno esauriti i lavori di nuove strade (lo che potrà essere
forse fra 7 anni), la spesa potrà ridursi a L.20.000;
9° Per l'Industria, il Commercio, le
Poste L. 1.900;
10° Per la Beneficenza pubblica L.
3.600. In totale dunque la spesa annua normale potrà col tempo
restringersi a Lire sessantaquattromila. -Passiamo ora all'esame
delle rendite che sono:
1° Le Tasse dirette in L. 6.700;
2° Le Tasse indirette di prima e
seconda specie in L. 3.400;
3° Le Tasse indirette di terza specie
(generi di privativa) in L. 47.000;
4° Dei Proventi diversi, fra cui anche
quelli della Posta in L. 2.000;
in totale dunque L. 59.100.
Paragonando pertanto le rendite colle
spese rimarrebbe un disavanzo di L. 4.900; al quale disavanzo ed
alle maggiori spese, che oggi si sostengono dal Governo
specialmente nei lavori pubblici, provvede al presente la
Corrisposta che riceviamo dal Governo Italiano in forza della
Convenzione 22 Marzo 1862. Ma, come ognun vede, per ottenere il
pareggio del nostro Bilancio (senza dover calcolare su mezzi
straordinari) ci occorrono altre cinque o sei mila lire di rendita
annuale. Come io pensi che questa si possa conseguire, io vado
subito ad esporre.
Per aumentare le rendite annue del
nostro Stato di cinque o sei mila lire, secondo me non si deve far
altro che togliere le ingiustizie che superiormente ho dimostrato
esistere nel sistema delle nostre Tasse. Io credo che dietro i
rilievi da me fatti ognuno sarà persuaso della necessità di un
riordinamente nelle Tasse medesime sul principio di una
eguaglianza relativa di contributo secondo le diverse classi della
Società. Il Possidente dovrà esser sempre il più gravato perché
gode maggiori diritti; ma il povero deve essere meno gravato
dell'Artigiano e del Colono. Così senza aumento delle Tasse
esistenti, ma col solo coordinarle fra loro per renderle giuste,
si può giungere a far sì che siano sufficienti a sopperire ai
bisogni ordinari dello Stato, anche quando i Proventi straordinari
venissero a mancare.
Io qui non intendo di redigere uno
Schema di Legge da presentarsi al Principe; ma è mio solo
intendimento di accennare alle principali idee che potrebbero
secondo il mio avviso servir di base ad un tale lavoro. E
cominciando dalle Tasse dirette esporrò come in riguardo alle tre
Tasse prediali oggi si renda assolutamente inutile la triplice
distinzione fra le medesime; poiché lo Stato avendo caricato il
suo Bilancio di spese gravi impostegli per la maggior parte dalla
necessità e dal progresso dei tempi, non può assolutamente pensare
a riduzione di tasse. Così pure i lavori di strade intrapresi
dalla Stato per lo sviluppo dell'Agricoltura, delle Arti, del
Commercio e della Ricchezza pubblica in generale sono di tale
natura che le somme prelevate sotto questo titolo sull'Estimo
rustico è tanto tenue che non basta nemmeno alla spesa di
ordinaria manutenzione di una sola strada. Per le quali cose io
propongo che le tre Tasse siano fuse in una sola, pagabile per
maggior comodità dei Possidenti in due o tre rate uguali ed in
quei tempi dell'anno che presentano ai Possidenti stessi maggior
facilità e comodità di pagarle. Così l'Ufficio del Catasto invece
di tre laboriosissimi riparti per ogni anno ne farebbe uno solo: e
questo per maggiormente ancora semplicizzarlo, e per far conoscere
a primo colpo d'occhio al contribuente se la tassa gli è stata
rettamente applicata in proporzione dell'Estimo, propongo che
questa dovesse essere nella proporzione di 1, 12, 8%, poiché a
moneta nuova importerebbe L. 6 per ogni cento scudi di Estimo.
Questo aumento insensibilissimo di meno di 6 centesimi, fatto
unicamente per togliere l'incomodissima ed oscura proporzione che
ora di eseguisce sull'1, 07%, credo che non potrà certamente
trovare ostacolo alcuno; perché da una parte non migliora che di
poche lire le condizioni dell'Erario pubblico, e dall'altra non
aggrava i Proprietari, ma anzi si risolve a loro vantaggio.
Venendo poi alla seconda Tassa
diretta, quella di Famiglia, io ne propongo l'assoluta abolizione;
e confido che il Principe vorrà indursi a ciò in vista delle
ragioni di giustizia che più sopra ho esposte.
Contemporaneamente però faccio voti
perché sia messo subito in attività il Catasto Urbano, non solo
per quel modico Provento che ne potrà venire alla Cassa pubblica,
ma molto più perché i Cittadini possano con sicurezza e speditezza
commerciare le loro proprietà urbane, lo che attualmente riesce
lungo, difficile e costoso. -In egual modo relativamente alla
terza Tassa Diretta,, alla Tassa delle Breccie, io faccio i più
caldi voti perché sia sollecitata la compilazione di una legge sui
lavori pubblici, la quale classificando le strade Consolari e le
Vicinali, dia campo ad un solo contributo di Breccia per tutto lo
Stato, e renda questa tassa uguale e generale. Questa legge potrà
eziandio vedere il modo di utilizzare l'opera dei Coloni (che sono
esenti da ogni tassa) a vantaggio dei pubblici lavori specialmente
di Strade. E ciò si potrà conseguire con tanta maggior facilità,
in quanto la somministrazione in natura è il meno odioso sistema
di tassazione.
Passo alle Tasse indirette. Questo è
quel cespite di rendita che non essendo stato sfruttato dalla
Repubblica è in grado di riuscire di grande giovamento alla
Finanza pubblica e di supplire quasi da sè solo alla somma da me
richiesta di 5 o 6 mila lire per il pareggio ordinario del
Bilancio. E non occorre che io dica come le Tasse indirette siano
quelle che vengono pagate con minor difficoltà dal Popolo; sia
perché il pagarle o no è cosa che dipende dalla sola volontà del
Consumatore, sia perché non si pagano ad un Esattore governativo,
ma colano mediatamente nella Cassa pubblica. Su queste Tasse
dunque conviene al Governo di portare tutta la sua attenzione.
E cominciando dalla prima specie, dai
Dazi di consumo, io credo che il Governo non commetterà
ingiustizia, anzi farà atto di vera giustizia distributiva se
lasciando l'attual dazio sul pane sottoporrà pure a dazio
ragionevole le farine che si vendono ai pubblici spacci, e
decreterà che sia messo in attività il dazio sulla vendita del
vino già altre volte decretato. Così pure io credo che sia tempo
di rivedere la tariffa del dazio sulle carni, perocchè i prezzi
della medesima sono troppo antichi; e di devenire all'erezione di
un Pelatojo pubblico, che servirà mirabilmente a migliorare
l'andamento di questo ramo di pubblico servizio, oltre ai vantaggi
che ne ritraranno la morale e l'igiene pubblica. Non entro qui a
discorrere del modo di tradurre ad atto pratico tutti questi
provvedimenti, quantunque non ignori le difficoltà che dovranno
superarsi. Riserbandomi di esporre le mie idee a tempo opportuno,
seguo a ragionare della seconda specie delle Tasse indirette, il
Bollo, Registro etc. Sta bene ed è nell'interesse della Repubblica
che queste Tasse siano miti, ma la mitezza non deve poi esser
ridicola. E di tal genere è il prezzo della nostra Carta Bollata,
che conviene assolutamente aumentare anche perché, cambiatosi il
sistema monetario, i rotti rimasti sono precisamente ridicoli. Il
prodotto poi della stessa Carta Bollata potrà aumentarsi col
prescriverne più largo l'uso, e coll'estendere il diritto di bollo
anche alle carte da gioco, cosa politica ed utile sotto tutti i
rapporti, e non gravosa certamente ai Fabbricatori che se ne
rivalgono sul Consumatore. Anche in quanto al Registro il sistema
attuale di tassazione merita di essere riveduto, e coll'aggiungere
alcune tasse che mancano e coll'aumentarne ragionevolmente alcune
altre, ad esempio quella fissa di registro che è di 53 Centesimi!!
Questo pure è il luogo di accennare ad un bisogno generalmente
sentito, provvedere al quale non solo riescirebbe di grande
vantaggio ai cittadini ed ai forastieri che commerciano nel nostro
Stato, ma tornerebbe di non lieve profitto per l'Erario pubblico.
Intendo parlare dell'Istituzione del Tribunale Commerciale. Ma su
ciò non mi fermerò più a lungo, giacchè posso sapere che da altri
sarà chiamata l'attenzione del Governo su questo tema, e sarà
svolto l'argomento ex-professo. Tralascierò pure di esaminare le
Tasse indirette di terza specie, perché il loro maggiore o minore
provento dipende da ragioni provenienti da un ordine d'idee molto
diverse da quelle che hanno relazione col presente ragionamento.
Solamente dirò che posso assicurare i miei Concittadini che il
prezzo del Sale e del Tabacco bisogna che stia sempre in certa
relazione con quello del limitrofo Regno Italiano. Perocchè questo
è l'unico modo per ottenere che il contingente dei Sali e Tabacchi
assegnato alla Repubblica, possa bastare al consumo della nostra
Popolazione. Ogni altro progetto non sarebbe nè serio, nè pratico:
è una quistione stata profondamente studiata sotto tutti gli
aspetti.
Mi si permetta infine di accennare ad
alcune migliorie che crederei necessario introdurre nel sistema di
riscossione della Tassa prediale. Del modo di riscuotere le altre
Tasse oggi sarebbe inopportuno il trattare, dopo ciò che ho fatto
osservare qui sopra. Io vorrei che il riparto del Contributo
sull'Estimo anzichè fosse scritto dall'Ufficiale del Catasto sopra
un quiderno a parte, fosse messo da lui sulle Bollette madri di un
Bollettario che a quest'effetto legato e controllato gli verrebbe
rimesso dalla Segreteria delle Finanze e che poi verrebbe passato
all'Esattore. Ad ogni bolletta madre dovrebbero poi essere unite
due o tre bollette figlie a seconda del sistema di pagamento che
verrà addottato. Oltre di ciò vorrei che le partite di Estimo
risultanti inferiori nel complesso ad uno Scudo Romano fossero
esenti da tassa: e vorrei infine che nascesse la prescrizione
biennale a sfavore dell'Esattore ed a favore del Governo sulle
rate non riscosse. Poiché quantunque l'Esattore debba versare a
determinate epoche nella Cassa Generale l'intero ammontare della
Tassa scossa o non scossa; tuttavia è il supremo interesse del
Governo che le Tasse siano pagate dai Cittadini puntualmente,
essendo il non pagarle il primo atto di ribellione contro le
Costituzioni dello Stato. Queste ed altre considerazioni, che mi
riserbo di presentare a suo luogo, sono state da me stimate di
pratica utilità nel fare la Revisione dell'Esattoria, e perciò
spero che il Principe le vorrà approvare per norma
dell'Amministrazione dell'anno corrente.
Io nutro ferma fiducia che nessuno
sconoscerà la giustizia e l'utilità delle mie proposizioni; e
vorrà convincersi che solo la giustizia e l'utilità della diletta
nostra Repubblica sono state il mio movente. La Repubblica ha
molti ed urgenti bisogni, fra i quali ricorderò il compimento
della rete delle sue strade interne -il ristauro del Pubblico
Palazzo- e sopra tutto il provvedere più largamente alla pubblica
Istruzione e all'Educazione del Popolo. Imperocchè se la
conservazione, la sicurezza e la tranquillità degli altri Stati
dipende ordinariamente dal numero e dalla disciplina degli
Eserciti; la conservazione, la sicurezza e la tranquillità del
Nostro Stato dipende esclusivamente dal sapere e dalla prudenza
de' suoi Magistrati, dall'esercizio disinteressato delle virtù
cittadine da parte di tutti noi, dalla stima e dalla simpatia che
deve riscuotere il nostro Paese da tutti gli Onesti del Mondo non
solo per le sue Istituzioni politiche, ma molto più per le doti di
mente e di cuore che debbono fregiare gli Uomini che ne siedono al
Governo. In questo modo la nostra Repubblica sarà eterna.
Rammentiamoci degli Avi nostri, e
troveremo nella nostra Storia che essi pagarono Tasse gravosissime
e quasi incredibili per sostenere e salvare la Repubblica in mezzo
alle guerre del medio-evo, a cui presero parte luminosamente.
L'amor patrio non venga meno in noi; e pensiamo ai nostri figli, i
quali non solo hanno il diritto di ricevere da noi il retaggio
della libertà, ma hanno eziandio il diritto che noi stessi li
educhiamo per disporli ad esser capaci di conservare questo
prezioso tesoro ai più lontani nipoti. Oggi la nostra Repubblica
riscuote la stima e la simpatia dell'universale: facciamo che ne
divenga sempre più degna.
S. Marino 11 Marzo 1867
Comm. P. Malpeli
(stampato a Rimini, presso la
Tipografia dei fratelli Albertini)
APPENDICE N° 25
Lettera di d'Avigdor alla Reggenza
- 23 aprile 1859
Illustrissimi Signori,
Ho l'onore di confermare alle
SS.VV.II., il mio dispaccio sotto la data del 8 aprile. Col
corriere del 21 di questo mese ho indirizzato alle SS.VV.II. il
numero del Monitore di quel giorno, affinchè si trovino in grado
di giudicare a qual punto sia arrivata la quistione Italiana.
Rimarcheranno, che lo scopo principale del proposto congresso sarà
quelo di creare una confederazione fra tutti gli Stati Italiani.
Ad esempio di ciò che si fece per la confederazione Germanica,
egli è probabile che anche i più piccoli Stati potranno entrare in
siffatta confederazione, mi sembra quindi che si debba dal Governo
della Repubblica prevedere il caso, in cui possa essere di lui
quistione. Reputo inutile l'insistere sovra il grande interesse,
che deve avere il Governo Sammarinese di trovarsi preparato a
qualunque evento; vale a dire a difendere la propria esistenza
avanti al Congresso, se per azzardo venisse attacata; a poter far
parte della confederazione, ove questa confederazione fosse
costituita. Tutte queste decisioni dovrebbero essere prese seconda
che le circostanze lo esigessero; però colla ferma risoluzione di
non mischiarsi a simili discussioni, se per buona ventura
la Repubblica non ci fosse chiamata.
Ciò nulla meno le attuali circostanze
debbeno aver svegliato l'attenzione delle SS.VV.II. le quali non
ignorano quello che si fece in occasione del trattato del 1815.
Converebbe quindi prevedere il caso in cui nel futuro congresso
avesse a trattarsi dei destini di Sammarino, e procedere con
quella prudenza e quella saggezza, le quali furono sempre
l'appannaggio dei Governanti della nostra cara Repubblica, e le
quali io mi studierò d'imitare nell'eseguire le istruzioni, che le
SS.VV.II. si compiaceranno di trasmettermi.
Nel caso presente mi pare che due
misure di precauzione fossero da addottarsi; le quali misure in
ogni caso potrebbero soltanto tornare utili alla Repubblica di
Sanmarino, senza poter mai esserle di nocumento alcuno. 1° - Il
Governo della Repubblica dovrebbe cercare di farsi riconoscere
dall'Inghilterra onde avere una potenza di più, interessata a
mantenere la sua esistenza. Per raggiungere questo scopo, io mi
offro alle SS.VV.II. per conferire a quest'oggetto
coll'Ambasciatore Inglese a Parigi. Gli presenterei la
proposizione come un desiderio del Governo di San Marino di far
pervenire a S.M. la Regina d'Inghilterra l'omaggio della Sua
rispettosa stima, mandando a Londra per questa missione un Inviato
Estraordinario. Non dubito un solo momento, che Lord Cowley non
accolga questa proposizione con tutto il favore ch'essa merita, e
nel caso di accettazione le SS.VV.II. non avrebbero che a spedirmi
le lettere credenziali, di cui io manderei loro il modello, onde
fossero presentate a S.M. la Regina Vittoria. Per tal mezzo,
difesa dalla Francia e dall'Inghilterra, la Repubblica non avrebbe
più nulla a temere, mentre poi ella avrebbe dato un'attestato
publico di stima a S.M. la Regina d'Inghilterra.
Nell'atto che le SS.VV.II.
comunicheranno questa proposizione al Consiglio Generale potranno
ancora assicurarlo, che attesa la mia convinzione, che il Governo
di San Marino non potrebbe far fronte a tutte le spese
estraordinarie di una simile missione sosterrei per conto mio
quelle che la Repubblica crederebbe di non dover incontrare; il
che sarebbe per me una nuova occasione di provarle il mio
attacamento.
2° Si dovrebbe far chiedere al Sig.
Conte di Cavour, per mezzo del nostro Console Generale di Torino,
se crede necessario, che la Repubblica insista per essere
rappresentata al Congresso come tutti gli altri Stati Italiani.
Siccome questa ammissione darebbe una voce di più al Piemonte, con
ciò penso che la nostra proposizione sarebbe accolta con una certa
premura dal Signor Conte di Cavour, particolarmente se si faccia
ben osservare, che per tal guisa noi potrevanno far cosa giovevole
al Piemonte.
Insomma però io sommetto tutte queste
considerazioni alla saviezza delle SS.VV.II. pregandole di bene
osservare, che il mio modo di agire non ha altro movente che la
preoccupazione, che mi domma, pegli interessi e per l'avvenire
della nostra cara Repubblica. Per cui, se mai Elleno pensassero
essere cosa più savia di rimanere nello statu quo, senza
fare cosa alcuna, io m'uniformerei alla loro volontà.
Nell'aspettazione di una sollecita
risposta prego le SS.VV.II. di accogliere la nuova assicurazione
di alta considerazione con cui mi dico
Delle Signorie Vostre Illustrissime
Parigi 23 Aprile 1859
L'obbmo, Devmo e Servidore
d'Avigdor
Risposta della Reggenza spedita il
29-4-1859
Illmo Signore
Il Dispaccio di V.S.Illma del 23
cadente che col n° del Monitore Universale del giorno 21 ci recò
la posta di jer sera è per noi una nuova e solenne testimonianza
del caldo affetto che Ella nutre per questa Repubblica.
Nell'assicurarla pertanto di esserne estremamente sensibili, non
possiamo che pienamente seguire il prudente e salutevole di lei
consiglio nell'evento che sulle cose d'Italia possa convocarsi un
congresso e venga dall'Austria pur anche accettata la quarta delle
proposizioni fatte dal Governo Britanico. E poiché in questo caso
come sempre l'appoggio d'Inghilterra unito alla protezione di
Francia ed al favore di Sardegna renderebbero sicura la Repubblica
da qualunque attacco che sulla piena sua indipendenza ed assoluta
sovranità potrebbe farsi specialmente da Roma, a non perdere un
tempo che in questi supremi momenti è prezioso, risolviamo di
mandarle firmati due fogli in bianco ond'Ella possa valersene per
stendervi le lettere di credenza da presentarsi a S.M. la Regina
Vittoria dopo di avere conferito col suo ambasciatore costì
residente nel modo significatoci.
Ancor noi abbiamo per fermo che il
Nobile Lord Cowley accoglierà favorevolmente la di lei
proposizione, come del pari siamo convinti che la di lei
commissione in Inghilterra, ad eseguire la quale con tanta
generosità Ella si offre, verrà coronata di un esito il più
felice. Però non possiamo trascurare di pregarla a fare in
quest'incontro le pratiche opportune per stabilire anche presso il
Governo di S.M. la Regina Vittoria un Incaricato d'affari della
Repub. sul che attenderemo sue lettere prima di farne oggetto di
proposta a questo Gen. Consiglio Principe. Del resto oggi stesso
scriviamo al nostro Console ed Incaricato d'affari a Torino sulla
interpellanza che saggiamente Ella consiglia di fare al Conte di
Cavour; e nel rinovare alla S.V.Illma le attestazioni della più
sentita nostra gratitudine ce le proferiamo pieni di stima
affettuosissima e distinta.
P.S.
Il Catolico nel n° 2848 degli 8
cadente parla di disturbi nati in questa Repub. mentre attualmente
non vi si gode che la più quieta tranquillità e l'ordine pubblico
il più perfetto. Stampandosi il predetto giornale a Genova abbiamo
commesso al nostro Console ed Incaricato d'affari in Torino di
smentire tanta calunnia. La S.V.Illma potrà fare altrettanto anche
costì ove lo creda.
(AS, Cart., n° 290, b.177)
APPENDICE N° 26
Proposta di Luigi Tanfani per
creare un casinò - 17 agosto 1874
Illusmo Sig. Comm. Filippo
Belluzzi Capitano Reggente della R.S.M.
La prego di portare il più serio esame
sopra il qui unito Schema di Contratto, (il quale non avrà vigore
che quando le parti si troveranno d'accordo,) e di volere
appoggiare in Consiglio la mia Domanda. I Vantaggi che offro alla
Repubblica sono tali da non farmi dubitare, sia per essere accolta
la mia domanda favorevolmente. A Lei, (Come Presidente degli
Spettacoli, senza obbligo di occuparsene), o ai suoi Eredi saranno
pagate dalla Banca per 50 anni Lire Dodicimila all'anno, senza
pregiudizio dei due articoli segreti del Contratto, e senza che da
altri si sappia per evitare gelosie. in attesa dei suoi Caratteri
ho il piacere di essere
Della V. Illma
Obb. Servo
Luigi Tanfani
P.S.
Ho rimesso ad ogni Consigliere una
copia del solo Contratto perché venga appoggiato
Progetto di Contratto da Sottoporsi
all'accurato esame dei Signori Componenti il Governo e Consiglio
della Repubblica
Signori
Luigi Tanfani come Rappresentante una
Società di Capitalisti la quale dispone di 15 Milioni di Lire,
domanda al Governo della Repubblica il Terreno necessario per
fabbricarvi, entro il periodo di un'anno con privativa
dell'Esercizio per 50 anni.
1° Un grandioso Stabilimento di Bagni
Feroterapici, alla sorgente sotto il Borgo, nel luogo denominato
Calintufo, l'acqua della quale, come da recente analisi
Scentifica, contiene in gran copia sostanze Magnesio Ferruginoso.
2° Un grand'Hotel con tutti i comodi,
il lusso e l'eleganza desiderabili, onde attirare nel Territorio
della Repubblica quell'eletta schiera di Forestieri, che ogni anno
si portano nelle fresche regioni della Svizzera, a rendere ad Essi
il soggiorno delizioso.
3° Un grandioso Caffe con Sale di
Biliardo all'uso di Parigi.
4° Per divertire e distrarre la grande
quantità di Forestieri che accorrerà da ogni parte nel Territorio
della Repubblica, fabbricherebbe un vasto Locale con Sale di
convegno serale, Sale da ballo, Sale da Musica, nelle quali ogni
giorno sarà dato Concerto dalle 2 alle 4 e dall'8 alle 10
pomeridiane con libero accesso al Pubblico; Sale di lettura di
Libri e di tutti i giornali Esteri e Italiani, e Sale di Gioco:
Alle quali per ragione di Ordine Pubblico e Moralità sarà
interdetto l'accesso ai sudditi della Repubblica, senza uno
speciale permesso del Governo e di un Commissario della medesima
il quale si porrebbe d'accordo con la Direzione del Casino. Dico
ragione di Moralità perché so che il Governo della
Repubblica, ha rifiutato altri sotto questo titolo, una
concessione consimile, però molto diversa nello scopo, avendo per
obiettivo di istituire una vera e propria Casa di Gioco, offrendo
alla Repubblica un compenso in denaro, mentre noi con decoro si
offre Ricchezza e Prosperità alla Repubblica, non potendosi
chiamare Immorale un gioco limitato, in un Locale privato tenuto
per solo passatempo: E se fosse ritenuto come immorale (benchè in
proporzioni più grandi) non esisterebbe tutt'ora a Laxon nella
Repubblica Svizzera, in una Repubblica dei Pirinei ai confini
della Francia, nel Principato di Monaco, nel core della Francia,
senza contare il Gioco del Lotto tenuto dal Governo Italiano al
quale gioco non concorre che il Povero.
5° Costruirebbe un gran Tiro al
Piccione all'uso Inglese con concorso (...?) settimanale con
premi.
6° Creerebbe vasti Giardini in diversi
parti ove i concorrenti potessero passeggiare la mattina al
coperto del Sole.
7° Stituirebbe le Corse dei Cavalli
all'uso Inglese, con forti premi, nelle Praterie sottoposte al
Borgo a tergo della Città, le quali verebbero accomodate all'uopo,
pagando un congruo fitto del Terreno ai Proprietari.
In correspettivo di tale Concessione
Luigi Tanfani si obbligherebbe, in
proprio e per conto della Società Suddetta
1° Ad ultimare tutte le Strade già
decretate dal Governo della Repubblica, nonché il riordinamento
della Città.
2° Ad istituire una Banca con un
Capitale di L. 500 mila, assumendosi il servizio di Tesoreria, per
conto del Governo della Repubblica, aprirebbe una Cassa di
Risparmio, una di Credito Ipotecario, nonchè una Azienda di Resti:
Accorderebbe un credito ai Possidenti nella Repubblica, i quali
volendo potrebbero entrare in partecipazione con azioni in tutte
queste imprese. Si impiegherebbero nei suddetti Istituti e
Stabilimenti, a preferenza i nativi del Paese.
3° Illuminerebbe a gaz la Città, il
Palazzo del Governo, tutti i suddetti Stabilimenti, il Teatro, e
tutte le Strade che metterebbero in comunicazione detti Locali,
dai Bagni alla Città.
4° Attiverebbe il Teatro, alternando
la Prosa con l'Opera in Musica, sempre con compagnie di primo
ordine, per attirare un gran concorso da tutte le Città adiacenti
cominciando da Ancona.
5° Unirebbe con strade ferrate e
telegrafo la Repubblica con la gran rete ferroviaria telegrafica
Italiana; e curerebbe che la linea ferrata che da Arezzo dovrà
congiungere alla linea ferrata dell'Adriatico traversi il
Territorio della Repubblica.
6° Doterebbe il Collegio Convitto di
L.10 mila annue per avere ancora buoni Maestri, e richiamare dal
di fuori Giovani Convittori. Tuttociò porterebbe lustro e
ricchezza al Paese.
7° Aprirebbe una gran Fabbrica di
Mobili all'uso di Parigi, nella quale impiegherebbe la gioventù
disoccupata e
8° introdurebbe e ingrandirebbe
l'Ospedale rendendolo sufficiente ai bisogni del Paese, con una
dotazione annua di Lire Ventimila.
9° Passerebbe al Governo per essere
distribuito ai Poveri del Paese incapaci al Lavoro annue Lire
Ventimila.
10° Attiverebbe un regolare servizio
d'Omnibus i quali oltre andare alla Stazione della Ferrovia ogni
arrivo e partenza dei Treni, terrebbero in continua comunicazione
tutti i detti Locali.
11° S'obbligherebbe pagare la
Gendarmeria e la Guardia Municipale.
12° Si obbligherebbe rilasciare nel
libero possesso della Repubblica tutti i detti Immobili alla fine
dei 50 anni di esercizio.
13° Fabbricherebbe garantandola per
conto della Repubblica, Carta Monetata per quella Somma che il
Governo crederà necessaria.
Articoli Segreti
Ad ogni Consigliere e suoi Eredi, come
Membro Onorario della Società, sarà pagata dalla Banca l'annua
somma di Lire Duemilaquattrocento per la durata di 50 anni. Ad
ogni Capitano Reggente, che viene creato ogni sei mesi oltre la
detta Somma come consigliere, saranno pagate dalla Banca Lire
Mille al mese fino che resterà in carica.
Firenze 17 Agosto 1874
Luigi Tanfani
(AS, Cart., b. 179/20)
APPENDICE N° 27
Lettera della Reggenza a Canuti,
Cesari, Savorelli, Paltrinieri. 10-8-1858
Illmo Signore
Era ben naturale che dopo gli ultimi
attentati rivoluzionari i Governi d'Italia aumentassero le loro
precauzioni e vigilanza.
Così facemmo noi in più modi
1° Chiamando al nostro servizio
permanente in qualità d'Ispettore Politico un'ufficiale Toscano
che per non breve tempo appartenne al Corpo di Gendarmeria.
2° Accrescendo di altre teste
parimente con Gendarmi Toscani aspettati qua fra breve il nostro
Presidio di pubblica sicurezza.
3° Tenendo attive in numero maggiore
del consueto le nostre milizie cittadine le quali com'è
generalmente noto si compongono di tutta la popolazione maschile
tranne i decrepiti i fanciulli e gli ecclesiastici.
4° Sanzionando nel Generale Consiglio
un'appendice alla Legge preesistente sui forestieri e
sui ricettatori per essi.
5° Ordinando infine la più scrupolosa
sorveglianza sul mantenimento dell'ordine pubblico.
Tutto ciò facemmo unicamente a maggior
cautela del futuro non già perché in addietro sia stato mai
difetto di misure preventive. Mentre noi davamo opera a questi
miglioramenti tutt'altro avremmo aspettato che di sentirci
proporre una guarnigione di truppa romana come se nell'animo di S.
Santità (che facevaci a tal uopo invitare a Bologna) coi nostri
mezzi ordinarj non bastassimo a noi. Di più dopo che il Pontefice
sinistramente informato parlando in Ravenna con un nostro
concittadino si era rammaricato seco di supposti complotti che qui
si facessero da forestieri, M. Berardi Vice Segretario di Stato
riprodusse le medesime lagnanze e disse senza mistero che
avrebbe procurato un'intervento col concorso delle altre Potenze.
Noi mandammo immediate giustificazioni
e confidiamo che ci abbiano riposto in quella buona armonia che
vigeva in prima, e che il Papa aveva anche dimostrata, in Pesaro
pochi giorni prima ai nostri inviati a complimentarlo era lo
stesso cittadino che poco dopo sentì in Ravenna. Fin qui però non
ci è venuta risposta alcuna e siamo nell'incertezza se i nostri
(...?) abbiano distrutto la mala prevenzione nata così
d'improvviso e non sappiamo come, nel cuore del Pontefice.
Frattanto come V.S.Illma potrà
immaginare non abbiamo accettato l'invito di un congresso a
Bologna, per più ragioni cioè
1° Per non manomettere la dignità
della nostra antica legittima ed assoluta indipendenza.
2° Per non far mossa senza la
intelligenza della Francia della quale nell'Augusto Imperatore
S.M. Napoleone III godiamo la protezione.
3° Per non alterare lo spirito
pacifico e tranquillo di questi abitanti senza causa ne vera ne
verosimile.
Infatti tutti sanno ormai che in
questi ultimi avvenimenti i dominj Pontificj sono rimasti
onninamente illesi, e noi possiamo solennemente protestare, che
nel Territorio della Repubblica ne prima ne poi nulla fu ordito
contro la quiete e la sicurezza dei vicini Governi; anzi in questi
ultimi mesi il nostro ha molto giovato (con le proprie forze) al
Governo Papale disperdendo un'orda di facinorosi, rigetta dalle
Provincie Romagnole, alcuni dei quali gli sono stati formalmente
consegnati ed altri innalzati fino alla frontiera sono caduti in
potere dei Gendarmi Romani.
Se non potemmo accettare (e non lo
dovevamo) l'invito sud. abbiamo però fatto sapere a S. Beatitudine
che siamo sempre apparecchiati a ricever quà la visita di un
diplomatico quando Le piaccia d'inviarlo a sincerarsi sul vero
stato delle cose. Che presentemente non sono qui che due soli
emigrati Politici Mazzotti e Valzania di vecchia data i quali si
comportano a dovere e che siamo pronti a trattare in Roma con
l'intervento dell'Ambasciatore Francese, secondo l'iniziativa
presa benignamente dal Gabinetto Imperiale, la conclusione del
concordato per la estradizione dei delinquenti con utilità quasi
esclusiva del Governo di S. Santità poiché il numero dei nostri
che potrebbero occorrerci di requisire sarà sempre piccolissimo.
Abbiamo voluto dare a V.S.Illma questi avvisi in tutta
riservatezza, all'unico scopo che se ne giovi prudentemente presso
l'inclito Governo ove rappresenta la nostra Patria, non tanto per
chiarire qualunque inesatta relazione dei fatti nostri che fosse
pervenuta, o pervenisse, quanto perché sostenga sulla verità
candidamente espostale e per la pura giustizia il nostro buon
nome, e difenda da qualunque attacco la invulnerabilità delle
nostre prerogative; le quali siamo intimamente convinti che da
cotesto Governo imparziale ed illuminato saranno fatte rispettare.
Ci sia cortese di un suo gentile riscontro, e creda alle proteste
di somma stima, che le fanno i
Capitani Reggenti
(AS, Cart., n° 637, b.
175)
APPENDICE N° 28
Proposta d'Avigdor per creare una
lotteria internazionale - 1863
Il Sig. Duca
d'Acquaviva incaricato d'affari della Repubblica di S. Marino
dimorante a Parigi 20 Cours la Reine stipulante in nome della sud.
Repubblica in virtù dei pieni poteri a quest'effetto conferitigli,
i quali poteri riconosciuti in buona e dovuta forma sono annessi
al presente atto da una parte; ed i Signori Wertheim e Gompert
Banchieri dimoranti in Amsterdam colla faccoltà d'unirsi ad una o
più altre case bancarie, senza però potersi mai spogliare della
loro principale e solidaria responsabilità nel presente contratto,
hanno stipulato di comune accordo i seguenti articoli
Art.1 Il Governo della Repubblica di
S. Marino s'impegna di creare trecento mille obbligazioni parziali
da venti lire nuove ciascuna conformemente ad una modula, che è
stata stabilita fra le parti contraenti, e di cui un'esemplare
rivestito della firma dei sottoscritti è annesso al presente atto.
Le obbligazioni da emettersi saranno munite dello Stemma della
Repubblica a bollo fresco, e firmate da due delegati della
Commissione delle Finanze di S. Marino e controfirmate per
l'autenticità da due notaj di S. Marino stesso. Le spese di ogni
sorta per la fabbricazione, per l'emissione, pel collocamento
delle azioni, i fondi pel servizio dei premi e le spese per
l'estrazione di essi sono a carico esclusivo dei Banchieri
contraenti; senza che pel fatto dell'autorizzata creazione di
detto prestito ne derivi ora nè poi alla Repubblica alcuna
responsabilità.
Art.2 Le dette obbligazioni non
saranno fruttifere; ma daranno soltanto diritto agli azionisti,
che le acquisteranno, a quel premio che la sorte destinerà nelle
estrazioni periodiche, che si faranno in Amsterdam, come in
appresso sarà più chiaramente spiegato.
Art.3 Il Governo della Repubblica di
S.Marino cede e trasmette la proprietà ed il libero godimento
delle dette trecento mille obbligazioni a disposizione della casa
bancaria summenzionata sola e unitamente ai suoi eventuali socii
con facoltà d'alienarle e negoziarle sì come giudicherà
conveniente. In conseguenza il pagamento delle medesime azioni e
dei premi sarà a privativo carico e pericolo della stessa casa
bancaria, senza alcuna responsabilità della Repubblica.
Art.4 La casa bancaria sopra enunciata
contrante d'altra parte, accetta la cessione, la trasmissione
delle suddette trecento mille obbligazioni, e s'impegna in
corrispettivo come prezzo di questa cessione: 1° Di acquistare una
iscrizione sul gran libro del debito nazionale d'Italia
dell'ammontare di tre millioni quattrocento mille lire nuove,
capitale nominativo di rendita al cinque per cento e di far
intestare le relative cartelle alla Repubblica di S. Marino che ne
diverrà proprietaria coll'annotazione bensì dell'usufrutto per
anni settanta a favore della detta casa bancaria d'Amsterdam
Wertheim e Gompert. Gli interessi annuali di 170 mille lire nuove
sono e resteranno specialmente affetti ed assegnati
irrevocabilmente e senza riserva al rimborso di tutte le trecento
mille obbligazioni per ordine di estrazione in settant'anni,
nonchè al pagamento dei rispettivi premii, come dal piano di
ammortizzazione già ammesso e controfirmato dalle due parti
contraenti. 2° Di pagare una somma di quattrocento mille franchi
in contanti al Governo della Repubblica di S. Marino all'atto che
saranno consegnate alla Ditta bancaria le trecento mille
obbligazioni, come in appresso sarà più ampiamente spiegato.
Art.5 Le trecento mille obbligazioni
create, debitamente bollate e firmate a S. Marino saranno dal
rappresentante del Governo della Repubblica messe in potere dei
Banchieri contraenti appena essi giustificheranno il deposito del
capitale in rendita italiana con iscrizione al grande libro, di
tre milioni quattrocento mille franchi, ed il versamento delli
quattrocento mille franchi alla Legazione Sammarinese in Parigi,
la quale s'incarica di farli avere al Governo della Repubblica di
S. Marino secondo le istruzioni che riceverà dal medesimo.
Art.6 Le stipulazioni del primo
paragrafo del 4° articolo saranno notificate in nome ed a spese
della Repubblica per cura dei Banchieri sottoscritti nella forma
legale al Ministro delle Finanze a Torino dall'amministrazione del
debito pubblico Italiano.
Art.7 Affinchè rimanga sempre ferma la
debita garanzia sul pagamento delle obbligazioni, che verranno
estratte a sorte nelle epoche stabilite ai Banchieri contraenti
non sarà permesso dal Governo della Repubblica di ritirare i
frutti annuali della rendita iscritta al gran libro del debito
pubblico italiano se non dopo eseguite le varie estrazioni annuali
dei premii, e pagate le obbligazioni favorite dalla sorte in un
coi premii relativi.
Art.8 Dopo il rimborso integrale del
sud. prestito in settant'anni, che verrà giustificato nei modi
legali e di pratica il sud. capitale di tre millioni quattrocento
mille lire nuove iscritto al gran libro sopra nominato apparterà
ipso facto definitivamente e senza riserva coi suoi
interessi in appresso decorrendi alla Repubblica di S. Marino come
un bene libero e proprietà incontestabile.
Art.9 L'estrazione delle obbligazioni
avrà luogo in Amsterdam per cura dei Banchieri sottoscritti e si
farà in presenza dei Notaj Signori Lomorse e Biesman Simons l'uno
di Amsterdam e l'altro di...........o dei depositarii
eventuali dei loro archivi ed in
presenza di un delegato speciale del Governo della Repubblica di
S.Marino per ciò che riguarda le serie, i numeri, e le epoche
delle estrazioni conformemente al piano qui unito e menzionato a
tergo delle obbligazioni, per l'osservanza delle quali estrazioni
nei tempi stabiliti i Signori Banchieri contraenti assumono tutta
la legale responsabilità. Il rimborso delle obbligazioni favorite
dalla sorte, avrà luogo sei mesi dopo l'estrazione delle serie in
Amsterdam, a Torino e Francoforte al corso della giornata ed a
scelta dei portatori delle cartelle premiate. Le obbligazioni
rimborsate verranno annullate apponendovi un bollo esprimente la
parola annullata in inchiostro rosso e la controfirma dei
suddetti Notaj o loro legittimi successori; quindi saranno rimesse
contro quietanza a cura dei Banchieri contraenti alla Reggenza del
Governo della Repubblica unitamente ad un esemplare dei giornali
officiali delle dette Città contenente la pubblicazione dei numeri
usciti.
art.10 La Repubblica di S.Marino
s'impegna a non contrarre nel periodo di dieci anni consecutivi a
datare da oggi alcun prestito della natura del presente senza
l'assenso dei sottoscritti Banchieri o loro successori.
art.11 La presente convenzione sarà
fatta in doppio originale e sottomessa alla ratifica preventiva
del Gran Consiglio della Repubblica di S. Marino, e dietro la di
lui funzione suprema l'esemplare di questo contratto sarà rimesso
a Sua Eccellenza il Sig.Duca d'Acquaviva munito di una spedizione
autentica del Senato consulto di approvazione. La ratifica poi
debitamente legalizzata sarà scambiata in Amsterdam entro quindici
giorni con quella deposta nelle mani dei Signori Wertheim e
Gompert Banchieri e ciò coll'intermediario della Legazione
Neerlandese di Parigi.
(AS, Cart., b. 179/5, senza
protocollo nel 1863.)
APPENDICE N° 29
Proposta Malpeli - 1873
Alle Eccellenze loro
Nobile Commendatore Settimio Belluzzi-Signor Francesco Marcucci
Capitani Reggenti della Repubblica di San Marino.
Eccellenze!
Io prego le EE.VV. di presentare una
mia proposta finanziaria al Generale Consiglio Principe e Sovrano,
la quale non avendo per solo movente l'utile pubblico, ma eziandio
il privato interesse, trova ragion sufficiente di comparire nella
presente solenne occasione del pubblico Arringo semestrale.
Le EE.VV. hanno dato molte volte
luminosissime prove quanto stia Loro a cuore il miglioramento
della nostra pubblica finanza, e più volte hanno ancor mostrato la
necessità di alcuni temperamenti che ne assicurino la floridezza
avvenire. E questo è il desiderio vivissimo di ogni Patriota, che
la conservazione della nostra antichissima libertà ed indipendenza
pone in cima di ogni suo pensiero:-questo è il desiderio di ogni
Cittadino che vuole assicurare allo Stato lo sviluppo regolare e
progressivo delle sue condizioni morali e materiali proporzionate
ai tempi nuovi:-questo è il desiderio che io formulava fin dall'11
Marzo 1867 in un mio Rapporto sulle tasse già pubblicato per le
stampe. Mentre pertanto colgo questa congiuntura per rendere le
più vive grazie al Serenissimo Consiglio perché fece allora buon
viso ad alcune di quelle mie proposte (le quali apportarono poi
buoni frutti), ma sia lecito ora di far voti che anche le altre
possano venire opportunamente adottate.
Oggi dunque facendo seguito ad esse,
aprirò un mio pensiero , il quale sebbene io abbia da lungo tempo
maturato e giudichi coscienzosamente vantaggioso ed opportuno alla
Repubblica, pur tuttavia per la somma reverenza che io porto alla
Maestà del Principe e ai distinti meriti personali delle EE.VV. si
presenta innanzi a Voi umile e peritoso.
Se non che, per meglio aprirgli la
strada, mi si permetta di chiamare l'altrui attenzione sopra
alcuni fatti utili per ben conoscere il tema da me impreso a
trattare. Questi fatti desunti, come da lor fonte naturale, dal
Bilancio dello Stato, (che si esercitò nel decennio corrispondente
a quello in cui ebbe vigore la Convenzione 22 Marzo 1862) ci
rilevano che la Parte passiva di esso Bilancio equilibrandosi
annualmente colla Parte Attiva del medesimo l'Esito pareggiò
perfettamente l'Incasso e la media annua di questo e di quello fu
di Lire 96,830. Rilevano pure che negli ultimi sette Anni di esso
decennio, se in ogni Rubrica aumentarono le Entrate e le Spese,
queste furono straordinariamente maggiori nell'amministrazione
delle finanze, nell'Istruzione pubblica e nei Lavori pubblici,
mentre quelle furono straordinariamente maggiori nei Prodotti
diversi. La qual cosa vuole interpretarsi così; che il Governo
della Repubblica nel suddetto tempo ha estinto tutto il suo debito
pubblico e privato; che ha curato largamente lo sviluppo della
pubblica istruzione e delle pubbliche comodità; mentre ha potuto
far fronte a tuttociò in forza di un progressivo aumento delle sue
rendite, e specialmente delle rendite straordinarie.(1) Questo
stesso fenomeno si è riprodotto nel primo anno testè compiutosi
del secondo decennio, poiché le spese sono state di L. 157.286,70
e le Entrate di L. 165.321,91. (2)
Però se molto è stato fatto, se a
molti bisogni pubblici si è provveduto; molto ancora resta a
farsi; molti nuovi e non preveduti bisogni sorgono di giorno in
giorno. In conseguenza di tuttociò la mente dei Reggitori della
pubblica cosa rifacendosi sopra se stessa in occasione della
discussione del Bilancio-Preventivo per il corrente Esercizio, è
stata presa da ragionevole timore di non adoperare prudentemente
seguitando a percorrere una via, che ancor sembra seminata di
fiori, ma che può non esser scevra di pericoli; ed ha domandato a
sè stessa, se non sia più assennato consiglio rallentare in tempo
e moderare una corsa, che si è fatta forse troppo precipitosa e
cieca. Epperò lo attendersi con ogni cura ad un Bilancio fondato
su redditi certi ed ordinarii, -migliorare quanto si può i
pubblici servizii, -procurare al paese sicuri guadagni; sono
queste le vitali questioni, che non solo i Governanti ma eziandio
tutti i Cittadini debbono meditare, e alla lor buona soluzione con
tutte le forze contribuire. Ciò premesso, eccovi Eccellenza come
natural conseguenza la mia Proposta.
La Repubblica di S.Marino percepisce
ogni Anno dal Regno italiano in rate trimestrali posticipate in
forza dell'Art. 34 della Convenzione nuovamente stipulata fra li
due Stati li 27 Marzo 1872 la somma di italiane Lire 22 mila in
moneta d'oro e d'argento. Propongo che di queste Lire 22 mila,
appena riscosse, rata per rata, e per nove anni consecutivi ne sia
creato un deposito fruttifero ad interesse composto presso un
solido Istituto di credito. Il qual deposito sia con solenne
Senato-Consulto dichiarato inamovibile ad esclusiva e piena
guarentigia della operazione seguente, e cioè: che il Governo
della Repubblica, e per esso la Tesoreria Generale dello Stato,
emetterà per i suddetti nove anni consecutivi, in nove serie, le
predette L.22 mila annue per mezzo di Cedole di Tesoreria da una
Lira ciascuna, aventi corso legale e coattivo nel Territorio
Sammarinese, e rimborsabili tutte esattamente dalla Tesoreria
suddetta, mediante il suddetto deposito, dopo dieci anni dalla
emissione della prima serie, e cioè dal 10 Agosto al 31 Settembre
1883.
L'utile finanziario che si propone
questa operazione è duplice: esso promana dal cumulo dei frutti di
10 anni, e dalla quantità di quelle Cedole che non verranno più
presentate al Cambio. Quest'utile senza tema alcuna di errare,può
calcolarsi a 120 mila lire almeno, nette da spese.(3) La chiarezza
e la semplicità dell'operazione proposta mi dispensa dal farne
l'apologia. Mi occuperò piuttosto di confutare le obbiezioni che
le si fanno, e che possono ridursi a tre specie: 1. Sulla
convenienza, 2. Sulla circolazione, 3. Sulla falsificazione.
1° Sulla Convenienza - Mi si dice "Un
Governo ricorre al mezzo del corso forzoso della carta quando è
quasi fallito; quando il suo credito compromesso non gli permette
di tentare altre operazioni di Prestito: ma il Governo di S.Marino
non si trova in questa cattiva condizione di cose; non deve dunque
ricorrere ad un mezzo così umiliante, così contrario alla sua
dignità morale e politica." Mi si permetta di rispondere a chi
ragionasse così, che forse ei non conosce ben addentro la vita
economica degli Stati, mentre un tal ragionamento si basa sopra un
falso supposto; si basa cioè sull'abuso che altri fece di una cosa
buona, per poi dedurne che il far quella cosa è male, solo perché
altri ne abusò. Infatti l'invenzione della Banconota è una delle
più utili conquiste della scienza economica, e si conserverà
sempre tale finchè la Banconota rappresenterà o un dato valore
reale equivalente, o il credito stesso di chi la emette entro quei
dati limiti però, che sono prefiniti dalla scienza medesima, e che
non si violano mai impunemente. Ora quando un Governo per mancanza
di mezzi pecuniarii proprii, snaturando l'essenza della Banconota,
e violando apertamente i principii sanciti dalla scienza
economica, ottiene un intento che dalla sola necessità potrà
scusarsi, egli certamente abusa di un mezzo cotanto utile alle
transazioni commerciali. Ma il caso nostro è ben diverso. Le
Cedole, che io propongo di emettere, rappresentano alla pari un
valore vero e reale in oro e argento depositato ed intangibile. Il
Governo non le emette per poter spendere una somma che non
avrebbe; non le emette nemmeno ricorrendo al credito nello stretto
senso della parola: ma gira dirò così una merce a lunga scadenza,
senza supporti, allo scopo di ottenere un vantaggio agli interessi
pubblici e privati. Imperocchè queste Cedole apparterebbero
piuttosto a quella specie di valori pubblici, che circolano in
ogni Stato ben ordinato, sotto il titolo di Buoni del Tesoro,
Cartelle del debito pubblico, Cedole o cuponi, Libretti di
Deposito o di Risparmio, Polizze di Pegno ecc.ecc. - E queste
cedole che io propongo, non sono esse forse di miglior natura di
quelle Cartelle, che qualche Anno fa il Governo della Repubblica
aveva consentito di emettere per un Prestito-lotteria di Sei
milioni di Lire in numero di 300 mila da Lire 20 ciascuna,
rimborsabili in gran parte alla pari dopo 70 Anni ?!!
Ho detto che il Governo emetterebbe
queste Cedole allo scopo di ottenere un vantaggio agli interessi
pubblici e privati: e ho detto ciò a disegno; poiché io vado anche
più oltre, e sostengo che la Repubblica facendo questa emissione
non solo non offende la propria dignità, come fin quì son venuto
dimostrando; ma fa cosa conforme alla dignità stessa, esercitando
un suo diritto a tutela degli interessi offesi de' suoi Cittadini.
E ne do la prova.
Quando un Governo emette della moneta
cartacea a corso forzoso, la moneta metallica, e specialmente la
fina, suole sparire dalla circolazione per i motivi che tutti
conoscono. Ora questo fenomeno che nel 1866 avvenne nel Regno
italiano, che aveva dovuto ricorrere ad un tal malaugurato
espediente, per la brevità dei nostri confini racchiusi in quello,
si estese anche nel nostro Stato, sebbene politicamente
indipendente, e senza che allora vi si fosse potuto o saputo
mettere riparo. Il nostro Stato dovette pertanto subire, senza sua
colpa, il contracolpo di quella fatale misura finanziaria del
Regno Italiano con tutte le conseguenze che ne derivarono. Anzi
queste conseguenze furono molto peggiori per noi, perché non solo
fummo in brevissimo tempo privati di tutta la moneta fina
metallica circolante sul nostro mercato, e dovemmo sostenere
l'agio ognor crescente; ma restammo anche privi del beneficio che
la legge del corso forzoso accordava al debitore, anullando i
patti, anche fossero stipulati, di pagare in oro e argento; legge,
che per ragioni politiche non poteva dalla Repubblica imitarsi. E
così noi ci trovammo d'allora in poi in una condizione tutta
anormale; nella necessità cioè di subire tutti gli effetti funesti
della legge del corso forzoso, senza goderne i privilegi; di non
aver moneta legale circolante (se si esclude qualche po' di rame),
e coll'obbligo di pagare i nostri impegni in moneta fina d'oro e
d'argento, la quale non è nemmeno reperibile nel nostro Stato a
forte agio, se non si torna ad importarla dal di fuori. (4)
Che però, stringendo l'argomentazione,
io dico alla mia volta, provveder molto poco alla propria dignità
quel Governo che tollera uno Stato di cose profondamente lesivo
degl'interessi dei proprii Amministrati; e dover egli occuparsi
sollecitamente di un provvedimento. Quale provvedimento nel caso
nostro non potendo essere per ora il far coniare della moneta
nostra propria d'oro e argento, perché verrebbe subito esportata,
non ci rimane se non che procurare di sostituire ad una carta
moneta non nostra, che circola abusivamente, sostituire, dissi,
una moneta nostra propria della stessa natura, ma di miglior
risma. La quale se non porterà altro buon frutto, conseguirà
almeno quello di esonerare in tutto o almeno in parte i Cittadini
dall'enorme agio, a cui per nessuna ragione sono tenuti di
sottostare. Imperocchè quantunque possa osservarsi che queste
Cedole di Tesoreria circoleranno per qualche tempo senza
interesse, sono però rimborsabili in oro e argento e perciò
miglioreranno di assai le condizioni della circolazione; e ritengo
che i Cittadini alla fin fine non possano dolersi di dovero
sostenere la cicolazione di un capitale infruttifero dello Stato
anche come una tassa, che essi possono pagare senza alcun
incomodo, e senza che se ne addiano. (5)
2° Sulla Circolazione - Si domanda da
alcuni "Quando si sarà coniata questa carta, sarà essa ricevuta di
buona voglia all'interno? Sarà poi ammessa alla circolazione
fiduciaria del commercio estero?" Risponderò a queste quistioni,
abbenchè molto complesse, col domandare alla mia volta per quali
ragioni la cartamoneta del Governo della Repubblica di S.Marino
non dovrà essere ricevuta di buona voglia dalla generalità? Una
Cedola è pressapoco una Cambiale: ora una Cambiale non suole
trovare chi ne accetti la girata in commercio per diversi motivi;
o perché la Persona del Debitore non riscuote simpatia; o perché
non è solvibile per mancanza di capitali o di credito; o perché
sebbene abbia credito si teme che ne abusi o non sia preciso ne'
suoi appuntamenti. Ma nel caso nostro io credo che si abbiano
ragioni più che d'avvanzo per ritenere tutto il contrario. La
Repubblica di S.Marino in primo luogo è un Governo simpatico ai
più, e farei opera perduta addurne le tante prove che ne ha avute
da ogni parte. La Repubblica di S.Marino in secondo luogo
garantisce con altrettanto capitale in moneta sonante di oro e di
argento depositata presso un solido istituto di credito
l'ammontare della intera emissione. La Repubblica di S.Marino in
terzo luogo ha testè rinnovata una solenne Convenzione di amicizia
e commercio col Regno Italiano mediante la quale viene consolidata
sempre più la sua politica esistenza indipendente e libera da
quindici secoli. La Repubblica di S.Marino in quarto luogo ha il
suo Bilancio annuo in pari, dopo aver estinto tutto il suo debito
privato e pubblico: non ha gravati i Cittadini con tasse: le
condizioni economiche del paese sono buone: non ha bisogno nemmeno
di ricorrere al credito, che conserva perciò tutto intero. La
Repubblica di S.Marino finalmente ha dato prove in ogni incontro
di voler mantenere il suo Governo sulla pratica della più severa
moralità, sulla esatta osservanza della data fede, sulla più
sincera lealtà. (6) Non posso pertanto trovare un sol motivo per
dubitare che le Cedole sammarinesi saranno rifiutate dal commercio
in generale. E se ben vi ricorda, anche quando furono emessi per
la prima volta i nostri soldi, eravamo fortemente preoccupati dal
timore che rimanessero entro la cerchia dei nostri confini, perché
ai medesimi non si estendeva il beneficio della stipulazione
dell'Art. 24 della prima Convenzione: ma non solo sparvero allora
le 14 mila Lire emesse; ma sparvero quasi interamente altresì le
30 mila della seconda coniazione; e l'Industria e il Commercio
estero le rese utili anche in altri modi, tantochè oggi un soldo
del primo conio si paga 50 centesimi. Io poi domanderò se uno solo
dei requisiti, che avrebbero le nostre Cedole, potrebbe essere
vantato da certi Biglietti che pur tutto dì vediamo in
circolazione, emessi da certi Istituti morali o di credito dei
Paesi limitrofi? -A disegno poi ho proposto che la nostra Cedola
sia di una Lira
poiché la carta di piccolo taglio, di
cui si sente il difetto e il bisogno nel piccolo commercio
giornaliero, trova più facile smaltimento. (7)
L'obbiezione però non è esaurita e si
soggiunge "Questa carta moneta dopo 9 anni ascenderà a 198 mila
lire; ora questo ammasso di cartamoneta è eccessivo se dovesse
rimanere nello Stato anche per una sola buona parte, perché
porterebbe seco i noti inconvenienti nella circolazione; e
specialmente ne risentirebbero danno quei negozianti che
esercitano sulle nostre piazze il piccolo commercio. Perocchè
dovendo essi andare all'estero per le provviste all'ingrosso, non
avrebbero naturalmente nei loro tiratoi altra moneta che la
sammarinese, che forse non potrebbero spendere fuori." -Questa, è
un obbiezione della quale non dissimulo l'importanza: ma credo di
avervi in parte già risposto e in parte vi risponderò
concludentemente.
Nel Regno Italiano, in cui la
circolazione della cartamoneta comincia ad avvicinarsi al termine
massimo, di soli biglietti della Banca Nazionale (non compresi
quelli a corso legale e fiduciario di cento altri Istituti) ne
circolano per un miliardo e 300 millioni, e cioè alla ragione di
L. 48 per ogni abitante: mentre nel nostro Stato, e solo
nell'ultimo Anno della emissione, si avrebbero solamente L. 22 per
testa, differenza inferiore alla metà. Non vi è dunque buona
ragione per ritenere a priori un pericolo che manca di dati
statistici per provarlo, e che cento altre ragioni in adietro
adotte mostrano insussistente. E in quanto alla seconda parte
della obbiezione (ammessa anche per un momento e non concessa
l'ipotesi, che queste Cedole restin tutte entro lo Stato nostro)
io dimostrerò che la emissione delle medesime pei primi cinque
anni non porterebbe alcun inconveniente, quando anche le casse
pubbliche credessero di farne il cambio in epoche determinate.
Imperocchè il giro annuo di Tesoreria, come si è detto in
principio, ascende circa a 100 mila lire tanto per la parte
passiva quanto per l'attiva, cioè è quasi cinque volte maggiore
della somma annua che si emetterebbe. Che però se contro tutte le
probabilità, per un fenomeno che sarebbe unico nella storia
economica, e non decifrabile con plausibili ragioni, le nostre
Cedole venisero rigettate tutte disdegnosamente dal commercio
estero entro i nostri confini, l'operazione che io propongo potrà
tuttavia sempre farsi sicuramente almeno per i detti cinque anni:
scorsi i quali il Governo della Repubblica potrà (se ciò crederà
opportuno) ritirare e pagare le Cedole in circolazione. Ma torno a
ripetere, che io considero sempre questo caso moralmente
impossibile.
3° Sulla falsificazione. Si obbietta
ancora: "Le Cedole emesse potrebbero falsificarsi, e allora come
rimediare alle funeste conseguenze che ne deriverebbero?"
Tralascerò dal far osservare che questa obbiezione viene ad
ammettere la bontà della mia proposta; perché nessuno, per fine di
lucro, si metterebbe a falsificare della cartamoneta, che non
avesse un corso ben assicurato. Ma piuttosto dirò che nessun
dovere può esistere nella Repubblica di riconoscere e rimborsare
le cedole false. Indipendentemente poi da questo, i temuti
pericoli della falsificazione, sono a chi ben consideri, più
immaginari che reali: 1° perché nella fabbricazione dei Biglietti
da una Lira, quando il guadagno debba venire esclusivamente dalla
circolazione, questo è in una misura ben tenue, come insegnano i
Finanzieri: 2° perchè, un tal guadagno sarebbe poi nullo nel caso
presente trattandosi di una piccola emissione, come è la nostra:
3° perché la falsificazione sarebbe avvertita con estrema facilità
per le medesime ragioni: 4° finalmente perché, quando la cedola
fosse incisa bene in rame, e non in litografia, riesce quasi
impossibile il contraffarla con qualche esattezza. Che se ad onta
di tuttociò, la falsificazione si verificasse in qualcuna delle
nove serie, sarebbe facilissimo al Governo ritirare la serie
falsificata nella emissione annuale della successiva, bastando
introdurre nella stessa matrice qualche variante, oltre al mutare
continuo per ogni serie i colori del fondo della Cedola.
Eccellenze! Questa è la proposta che
io sottometto all'esame della pubblica Opinione e all'illuminato
giudizio delle EE.VV. e del Generale Consiglio Principe e Sovrano.
Che se il desiderio di migliorare la pubblica finanza dei miei
Concittadini sul come risolvere il problema delle pubbliche
finanze, che racchiude in se i più vitali interessi della
Repubblica e nostri. (8)
NOTE
1) Le Spese e le Entrate effettive dal
1° Aprile 1862 al 31 Marzo 1872 sono state anno per anno come
segue:
1862-63 Esito L.
63.257,94 Introito L. 64.278,10
1863-64
= L. 65.339,96 =
L. 66.134,68
1864-65
= L. 72.249,05 =
L. 73.395,83
1865-66
= L. 90.424,26 =
L. 93.689,05
1866-67
= L. 92.935,53 =
L. 86.581,73
1867-68
= L. 89.716,45 =
L. 87.780,91
1868-69
= L. 85.370,43 =
L. 84.998,84
1869-70
= L.186.206,79 =
L.186.888,90
1870-71
= L.127.537,48 =
L.129.941,36
1871-72
= L. 95.268,44
= L. 94.616,89
Totale L.968.306,33
L.968.306,29
Nei primi tre anni del suddetto
decennio i Bilanci essendo impiantati secondo l'antico sistema
comunale non somministrano a prima vista un'idea distinta della
Spese e delle Entrate secondo la diversa loro natura. Mi limito
pertanto a dare un Riassunto delle une e delle altre per l'ultimo
settennio secondo la classificazione adottata dal 1865 in poi.
Titolo delle Rubriche
Totale dei 7 anni
Media Annuale
PASSIVO
1-Minist.della Reggenza
L. 57.590,93
L. 8.229
2-Amminist. Giustizia
L. 57.025,66
L. 8.146
3-Forza pubblica
L. 59.096,21
L. 8.442
4-Amminist. Finanze
L.136.364,33
L.19.480
5-Sanità pubblica
L. 37.124,39
L. 5.303
6-Istruzione pubblica
L.120.379,36
L.17.197
7-Culto
L. 12.035,25
L. 1.719
8-Lavori pubblici
L.217.846,33
L.31.120
9-Agricol.Indust.Commercio
L. 15.059,82
L. 2.151
10-Beneficenza pubblica
L. 32.974,04
L. 4.710
Rimanenze passive
L. 21.963,06
L. 3.166
ATTIVO
11-Prodotti Beni Ecc.Camera
L. 3.324,84
L. 495
12- =
Generi di Regia L.364.185,20
L.52.026
13- =
Tasse dirette L.
38.057,15
L. 5.435
14- =
Tasse indirette L. 31.375,44
L. 4.482
15- =
Diversi
L.308.019,38
L.44.002
Rimanenze attive
L. 42.863,88
L. 6.123
2) Anche in quest'anno il Governo ha
sostenuto da una parte gravi spese straordinarie nella costruzione
di nuove strade e nella fondazione di un Collegio-Convitto; mentre
ha avuto d'altra parte la rendita pure straordinaria della
liquidazione decennale della quota convenuta col Regno Italiano
sui diritti doganali.
3) Incominciando ad immobilizzare col
1°Maggio 1873 L.5.500, e seguitando per ogni trimestre, coll'annua
ragione composta del 6%, si avranno al 1° Agosto 1882 L.267.977,
le quali continuando a fruttare fino al 1° Agosto successivo 1883,
epoca della estinzione daranno
L. 284.055
Dalle quali detratta la vera sorte di
L. 198.000
Resteranno di fruttato libero
L. 86.055
Ed a queste aggiungendo il 20% di
Biglietti (minimum assegnato
dalle Statistiche)che non verranno più
presentati al cambio in L. 39.600
Si avrebbe un utile di
L. 125.655
da cui sarebbe solo a detrarsi la
spesa della fabbricazione delle Cedole.
4) Questo grave onore per i Cittadini
di S.Marino si verifica specialmente per contratti di vendita o di
mutuo stipulati anteriormente al 1866. Se il Creditore disdice il
suo credito, il povero Debitore bisogna che oggi abbuoni a quello
il 12% almeno sull'intera somma. Il Governo che si fa complice,
per così dire, di queste nuova specie d'usura non fa che
contribuire sempre più al disesto economico delle famiglie dello
Stato, che in generale non sono molto agiate. Eppure in un piccolo
Stato, come è il nostro, la condizione economica delle famiglie ha
un'azione diretta sulla finanza pubblica per le ragioni che ognuno
indovinerà. Io credo quindi che il Governo debba avere il massimo
interesse di curare che le famiglie non si rovinino; che le poche
fortune del paese restino frazionate fra i più; che tutto non vada
a finire nelle mani degli strozzini:e che la proprietà fondiaria
possa equamente riscattarsi dai vincoli ipotecarii. E si noti, a
questo proposito, che i Sammarinesi non hanno neppure il beneficio
di un Istituto di Credito fondiario, che i Regnicoli pur hanno e
godono.
5) Dietro tutto ciò sarà facile
comprendere il senso vero di quella Lettera del Conte Cibrario, la
quale ad alcuni parve poco ragionevole, quando consultato sulla
convenienza di far battere moneta fina nostra propria, sconsigliò
il Governo da un tal divisamento.
6) La Repubblica di S.Marino in questi
ultimi tempi non solo ha resistito con plauso universale alle
replicate tentazioni fattele di grasse speculazioni poco morali;
ma che il Governo appaltava; e che si giuocava in occasione delle
fiere e delle principalissime Feste dell'anno.
7) Si potranno in seguito emettere
Cedole anche di maggior taglio, se l'esperienza mostrerà ciò
opportuno.
8) Essendo già sotto i torchi la
presente mia proposta, è stato presentato al Governo della
Repubblica un Progetto finanziario del Signor Andrea Boassi. Pel
sincero desiderio del pubblico bene non esito a dichiarare che se
la suddetta mia proposta dovesse impedire l'attuazione del
Progetto Boassi io sarei ben lieto di cedere a quest'ultimo la
preminenza. Imperocchè il Progetto Boassi fondato sopra un
concetto semplice e chiaro non solo favorirebbe largamente lo
sviluppo degli Interessi privati e l'utile pubblico; ma avendo (a
mio credere) trovato un modo facile e piano di risolvere
praticamente uno dei più ardui ed importanti problemi economici,
non poca gloria ne verrebbe alla nostra Repubblica dell'aver dato
vita ad un tal sistema, il quale (come suole accadere alle
migliori Invenzioni) dovrà lungamente combattere coi Privilegi dei
grandi Interessi che ne resterebbero spostati, prima di ottenere
un completo trionfo.
Aprile 1873 Palamede Malpeli
(stampato a Rimini, presso la
Tipografia Albertini)
APPENDICE N° 30
Programma scolastico proposto da
Palamede Malpeli - 1878
Alle Eccellenze dei Signori Capitani
Reggenti della Repubblica di S.Marino
ed ai Nobili
Signori Componenti la Commissione dei pubblici Studi.
Nella ferma fiducia che il Governo
metterà tutto l'impegno per ottenere dal Generale Consiglio
Principe e Sovrano i fondi necessari per l'onorario di un Terzo
Insegnante per le Classi Elementari, poiché questo provvedimento è
reclamato da ben sentita necessità, ho creduto che sia giunto
finalmente il tempo opportuno a presentare un Progetto di
PROGRAMMA DEFINITIVO dell'insegnamento scolastico che s'imparte in
questo Nobil Collegio Belluzzi.
Mi si permetta però di lasciar da
parte per un momento la qualità di Deputato degli studii, affinchè
questo mio lavoro di privata iniziativa non abbia alcuna apparenza
ufficiale, e quindi possa essere liberamente discusso e giudicato.
In questo Progetto ho avuto in mira:
1 - Di risolvere, in modo per noi
pratico e scientifico insieme, l'eterna quistione del biforcamento
degli studii dopo il Corso Elementare, col fare di tutti i Corsi
un insegnamento seguito:
2 - D'impartire tutto questo
insegnamento con Dieci Insegnanti, poichè sarebbe vano sperare in
un aumento di personale, avuto riguardo alle somme egregie che già
il Governo spende per la pubblica Istruzione (il Bilancio dello
Stato assegna più di un quinto delle sue Entrate per la pubblica
Istruzione), e al non largo numero di Alunni che possono
frequentare le nostre scuole:
3 - Di evitare la necessità di
aumentare i locali ora assegnati per le scuole; locali, ai quali
non si potrebbe provvedere se non fuori e lontano dal Collegio.
4 - Di fare in modo che gli Alunni che
si dedicano agli studii classici possano compiere a 18 anni il
Corso mezzano: e gli altri che si dedicano alle arti e ai mestieri
possano lasciare a 12 anni le scuole con una istruzione non monca,
e perciò non dannosa.
5 - Di tenerci lontani dal servilismo
della imitazione che ci farebbe adottare anche gli errori altrui;
ma di coordinare gl'insegnamenti in modo da mettere gli Alunni a
portata dei moderni sistemi seguiti altrove:
6 - Di avviare l'istruzione, che si dà
quì, allo scopo vero dell'educazione degli Alunni, procurando che
risponda allo spirito della nostra politica Costituzione ed alle
condizioni morali ed economiche del popolo Sammarinese.
Guidato da questi criteri, vengo senz'altro al Progetto di
PROGRAMMA
per il Corso scolastico Elementare e
Mezzano del Nobile Collegio Belluzzi nella Repubblica di S. Marino
Questo Corso si distingue in
1° Corso Elementare;
2° Corso Elementare di Complemento, o
Tecnico;
3° Corso Ginnasiale;
4° Corso Liceale.
1 - Corso Elementare
Questo Corso si divide in tre Classi,
e dura tre anni. La prima composta di due Sezioni o Periodi, si
percorre in un anno, e corrisponde a quella del Programma
italiano. In questa Classe, e nella seguente, i Passaggi da una
Sezione all'altra superiore si possono fare alla fine del primo
quimestre. - La seconda Classe pure si suddivide in due Sezioni e
si percorre in un anno. Insegnare a legger bene, ma bene...,
l'esercitare nella nomenclatura e nel mandare a memoria brevi e
utili cose, apprendere i numeri ed i primi elementi del carattere,
formano i compiti esclusivi del Maestro in questa scuola. - La
terza Classe non si suddivide in Sezioni, e si percorre pure in un
anno. Vi s'insegna sempre la lettura corrente e a senso, -la
scrittura per imitazione-i principii elementari di Grammatica
italiana-le prime quattro operazioni d'aritmetica.
2 - Corso Tecnico
Quest'insegnamento durerà tre anni e
s'impartirà, a norma del relativo Orario, per ore e per materie
distintamente e gradatamente dai rispettivi Professori a classi
riunite; e cioè:
I. Scuola. Corso completo di
Grammatica Italiana ed Elementi di composizione.-Storia (Storia
Patria e Moderna per fatti o Uomini principali in ordine
cronologico inverso)-Geografia dell'Italia ed Europa;
II. Scuola. Calligrafia;
III. Scuola. Aritmetica e
Computisteria;
IV. Scuola. Nozioni elementari e
facili di Scienze naturali relative alle industrie, e di Geometria
applicate ai mestieri; (starà nella discrezione del Professore di
proporzionare questo insegnamento allo sviluppo intellettuale
degli Alunni, e di farlo servire anche di preparazione a quello
che poi dovrà dar loro nel Liceo.)
V. Scuola. Disegno elementare;
VI. Scuola. Lingua francese.
Dopo il secondo anno di corso l'Alunno
che essendosi distinto per diligenza e profitto volesse dedicarsi
agli studii classici, potrà chiedere di passare al Ginnasio.
Ritenuto poi che lo studio di tutte le suddette materie sia
indistintamente obbligatorio per tutti, e così pure siano
obbligatori gli esami annuali relativi; pure, non farà diffetto
per passare al Ginnasio il non aver superato i cinque punti negli
esami di Disegno e di Francese.
3 - Corso Ginnasiale
Questo insegnamento dura quattro anni,
e sarà impartito da due soli Professori; uno per la Classe
inferiore, l'altro per la superiore. Le Classi però saranno
suddivise in due Sezioni ognuna: in esse l'insegnamento principale
sarà quello della lingua latina. Vi si aggiungerà a corredo lo
studio della Storia e della Geografia. Eccone la ripartizione:
1^ Sezione - Etimologia latina;
2^ Sezione - Parte inferiore e media
della Grammatica;
3^ Sezione - Parte superiore della
Grammatica e Prosodia;
4^ Sezione - Precetti di Elocuzione.
Nelle prime due Sezioni si esigerà
alternativamente ogni anno lo studio della Storia Greca e Romana,
e la Geografia dell'Asia e dell'Africa. Nelle ultime due quello
della Storia dell'Evo-medio e della Geografia dell'America e
dell'Oceania. Nella 2^ Sezione s'incomincerà pure lo studio del
Greco da proseguirsi nelle sezioni seguenti.
4° - Corso Liceale
Quest'insegnamento durerà tre anni;
s'impartirà (come il tecnico) per ore e per materie
alternativamente, come all'Orario qui appresso e comprenderà
I. La letteratura italiana e latina-La
Storia della Letteratura-La Grammatica Greca-La Storia e la
Geografia antica:
II. Gli Elementi delle Scienze
naturali; -Fisica, Chimica e Storia;
III.La Filosofia;
IV. Le Matematiche Elementari.
Si dovrà però osservare nello studio
delle materie l'ordine o la disposizione seguente, secondo i
gruppi assegnati a ciascun Professore.
(a) Nel 1° e 2° anno. Precetti di
Oratoria e Poetica e di Eloquenza-Storia della Letteratura-La
Grammatica Greca-La Storia e la Geografia antica. Nel 1° e 2°
anno. Elementi di Fisica e Storia naturale.
(b) Nel 2° e 3° anno. Filosofia. Nel
2° e 3° anno. Algebra e Geometria.
(c) Nel 3° anno.Elementi di
Chimica.Nel 3° anno.Logaritmi e Trigonometria.
L'insegnamento poi delle materie così
distribuite, deve per risparmio di tempo esser comune agli Alunni
riuniti (come si vede qui sopra) di 1° e 2° anno, o di 2° e 3°
anno, potendosi dare alternato annualmente senza gravi
inconvenienti. Ora passo agli Orarii. Si calcola, come si è detto,
sopra 10 insegnanti, e cioè:
1. Maestro di 1^ Classe Elementare,
2. =
= 2^ =
=
3. =
= 3^ =
=
4. =
= Lingua italiana, Storia e Geografia nel Tecnico,
5. Professore della Classe Ginnasiale
inferiore,
6. =
= =
= superiore,
7. =
di Letteratura Liceale,
8. =
di Filosofia e Morale,
9. =
di Scienze naturali nel Liceo, di Nozioni Scientifiche, di
Disegno e Francese nel Tecnico,
10. =
di Matematica nel Liceo, di Nozioni Scientifiche, di
Aritmetica e
Computisteria, e di Calligrafia nel Tecnico.
Il tempo delle lezioni è di due ore e
mezzo la mattina nei mesi di Novembre, Dicembre, Gennajo, Febbrajo
e Marzo dalle 9 ant. alle 11:30. E' poi di tre ore nei quattro
mesi successivi, e comincia dalle 8:30 ant. Nel pomeriggio il
tempo delle lezioni è sempre di due ore, a cominciare dalle ore 2
pom. nei primi quattro mesi; dalle 2:30 in Marzo; dalle 3 in
Aprile; dalle 3:30 in Maggio; e dalle 4 in Giugno e Luglio.
Le Classi Elementari e le Ginnasiali
occupano di seguito, la mattina e la sera, tutto il tempo
superiormente assegnato; per cui s'impiegano per l'insegnamento
relativo in ogni settimana (5 giorni di scuola) ore 22:30 nel
primo quimestre; e ore 25 nel secondo quadrimestre. Per le Classi
Tecniche, a cui l'insegnamento è contemporaneo ed anche comune
secondo la discrezione del Professore, propongo il seguente Orario
(per settimana.)
Lunedì-Giovedì-Sabbato:
Mattina: Lingua Italiana, Storia e
Geografia.
Sera: Nozioni Scientifiche o Lingua
Francese e Disegno.
Martedì-Venerdì:
Mattina: 1^ metà di scuola: Lingua
Francese e Disegno. 2^ metà di scuola: Calligrafia,Aritmetica e
Computisteria,Nozioni di Geometria applicata ecc.
Sera: Calligrafia e Computisteria e
Nozioni di Geometria applicata ai mestieri.
Così il tempo per i singoli
insegnamenti sarà ripartito dai Professori nel modo seguente
(sempre per settimana).
Nel 1° Quimestre: Lingua Italiana Ore
5,30 - Storia e Geografia Ore 2 - Lingua Francese Ore 3 - Nozioni
ecc. Ore 3 - Disegno Ore 2,45 - Aritmetica e Computisteria ecc.Ore
4,30-Calligrafia Ore 2 per un totale di Ore 22,45.
Nel 2° Quadrimestre: Lingua Italiana
Ore 6,30 - Storia e Geografia Ore 2,30 - Lingua Francese Ore 3 -
Nozioni ecc. - Ore 2 - Disegno Ore 4 - Aritmetica e Computisteria
ecc. Ore 5 - Calligrafia Ore 2 per un totale di Ore 25.
Le Classi Liceali finalmente potranno
seguire il seguente Orario.
Lunedì-Giovedì-Sabbato:
Mattina: 1^ metà di scuola:
Letteratura ecc. al 1° e 2° Corso. 2^ metà: Matematiche al 2° e 3°
Corso; Chimica al 3° Corso.
Sera:1^ metà: Matematiche al 2°e
3°Corso. 2^ metà: Greco al 1° e 2° Corso.
Martedì-Venerdì:
Mattina: 1^ metà: Letteratura ecc. al
1° e 2° Corso. 2^ metà: Scienze Naturali al 2° e 3° Corso.
Sera: 1^ metà: Scienze Naturali al 2°
e 3° Corso. 2^ metà: Greco al 1° e 2° Corso.
Le Lezioni di Filosofia al 2° e 3°
Corso riunito si faranno in ogni giorno di Scuola, a norma del
Calendario scolastico, dalle 7,45 alle 8,45 nel primo quimestre, e
dalle 7,15 alle 8,15 nel secondo quadrimestre. Così, riepilogando,
il tempo per ogni singolo insegnamento liceale, viene computato
come segue, sempre per settimana;
Nel 1° Quimestre: Letteratura ecc. Ore
6,15; Greco, Storia e Geog. Ore 5;
Scienze Naturali Ore 8,15; Matematiche
Ore 9,15; Filosofia Ore 5; per un totale di Ore 33,45.
Nel 2° Quadrimestre: Letteratura ecc.
Ore 7,30; Greco,Storia e Geog.Ore 5;
Scienze Naturali Ore 9,30, Matematiche
Ore 10,30; Filosofia Ore 5; per un totale di Ore 37,30.
Il criterio intelligente e pratico
delle Onorevoli Persone, alle quali mi sono rivolto, mi ha
permesso di aver tracciate qui le sole linee principalissime di
questo insieme; e mi dispensa dallo spiegare più a lungo le
ragioni di singoli ordinamenti, le quali, credo, emergono
abbastanza lucide e giustificate. Ma fin quì il mio Progetto non
si è occupato che dell'istruzione. Però istruzione disgiunta da
educazione, anzi non subordinata a lei come a suo fine, è per
sentimento di migliori, più di danno che di utile. Se pertanto
l'educare fu in ogni tempo la principal cura di ogni Governo e di
ogni Popolo colto e civile, oggi questo bisogno è di supremo
momento - oggi che una scoraggiante Filosofia tiene scetticamente
il campo in mezzo a noi. Ma se questa Filosofia può essere
tollerata negli Accademici che dal dubitare traggono argomento di
studio, non può essere permessa nella scuola al Maestro, che
dovendo insegnare per educare tenere menti coll'esempio e colla
voce, più che discutere deve credere, cioè profondamente sentire
le verità che insegna. Egli non può avere intorno ai supremi veri
fondamentali opinioni sue proprie o diverse dal Corpo insegnante,
il quale è il Sacerdote della civiltà, depositario della coscienza
pubblica e dei suoi principii di fede, che questi deve trasmettere
religiosamente intatti alla generazione che ne tien dietro.Non è a
lui solo che spetti il cambiarli o modificarli.
Per noi Sammarinesi poi il mantenere
l'educazione dei giovanetti nella severa religione degli Avi è
quistione altissima di conservazione di libertà d'indipendenza!
Quattordici secoli sono là per affermare che politica e religione
distinte fra loro, ma non bruscamente separate, hanno risoluto uno
dei più ardui problemi politici e sociali, tenendo cementato
solidamente questo antico edificio di libertà.
Propongo pertanto che l'educazione
morale e religiosa sia direttamente inculcata nelle Classi
Elementari, seguitando nei Maestri l'obbligo dell'insegnamento
giornaliero di quel libro piccolo di mole, ma grande
d'insegnamenti, che è la Dottrina Cristiana, in cui, che ben vi
legge per entro, trova il secreto della felicità pubblica e
privata. Alla prima Classe le Preghiere vocali: alla seconda le
prime due Parti del Catechismo: alla terza le ultime due.
Nelle altre scuole non può esigersi
l'insegnamento educativo diretto; ma sì l'indiretto. I Professori
nelle loro lezioni e nei loro discorsi non solo si dovranno
astenere dall'estrinsecare quei dubbii che sono stati risollevati
da una troppo leggera Filosofia; ma dovranno sempre ricordarsi che
la scuola è pei giovani la palestra della vita; sceglieranno o
proporanno per libri di lettura e di studio quelli che meglio
rispondono a questo scopo; lo stesso intendimento avranno
nell'assegnazione dei temi dei componimenti: ed approfitteranno in
fine delle molteplici circostanze nella loro relazione cogli
Alunni per istillare nei loro cuori la pratica del sentire
delicato ed onesto, del pensar retto, dell'operar conseguente:
dai quali tre elementi uniti risulta l'educazione perfetta.
Piacerebbe finalmente a me che a fin
d'anno fosse assegnata in premio una Medaglia di Oro a
quell'Allievo, che avesse pubblicamente serbata sugli altri
un'esemplare condotta civile, morale e religiosa.
E con ciò ho finito. Aspetto con
premura il vostro giudizio, e i vostri saggi provvedimenti pel
prossimo anno scolastico.
S. Marino 30 Settembre 1878
Palamede Malpeli
(stampato a Rimini, presso la
Tipografia Albertini)
APPENDICE N° 31
Convenzione Italia - San Marino 22
marzo 1862
Art.1 - Le sentenze dei tribunali del
Regno d'Italia avranno esecuzione nella Repubblica di S.Marino; e
quelle dei tribunali della Repubblica avranno esecuzione nel Regno
d'Italia, senza che sia necessario alcun giudizio di delibazione.
Art.2 - Gli atti pubblici fatti nel
regno d'Italia avranno effetto nella Repubblica, e quelli fatti
nella Repubblica avranno effetto nei regii Stati, senza che sia
necessario l'intervento dell'autorità giudiziaria.
Art.3 - Le citazioni e le intimazioni
di sentenze e di atti giudiziarii fatti nei due Stati
nell'interesse dei cittadini dei due Paesi si eseguiranno nei modi
prescritti dalle leggi di procedura del luogo a semplice richiesta
della parte interessata.
Art.4 - Gli inquisiti dalle autorità
giudiziarie del regno d'Italia per crimini ivi commessi, venendo
arrestati nel territorio della Repubblica si rinvieranno dal
tribunale del luogo d'arresto al tribunale procedente, a semplice
richiesta. Lo stesso avrà luogo per gl'inquisiti dalle autorità
giudiziarie della Repubblica.
Art.5 - Sono eccettuati dalla
estradizione di cui all'articolo precedente i cittadini attivi e
quegli altri cittadini che fossero domiciliati da un decennio
nello Stato a cui si fa la domanda.
Art.6 - La naturalizzazione posteriore
al commesso reato non farà eccezione alla regola della convenuta
consegna.
Art.7 - I tribunali dei due Stati
s'intenderanno obbligati a prestare scambievolmente l'opera loro
per tutti quegli atti che possono interessare la giustizia
punitiva.
Art.8 - Se il delinquente o il
condannato sarà cittadino dello Stato presso cui si è rifugiato,
dovrà essere punito del suo proprio Governo secondo le leggi
patrie ed il sistema di prove ivi vigente. A tale effetto dovranno
gli agenti dell'altro Governo comunicare gli atti del processo che
si fosse formato e copia della sentenza se il reo sia già stato
condannato. Qualora poi si trattasse di un fatto atroce e
gravemente perturbante la pubblica tranquillità tra i sudditi di
ambedue i Governi, si concerterà fra i due Governi, presa
cognizione del fatto, la consegna dei rei al giudice del luogo del
delitto all'effetto dei confronti ed esami necessarii alla
compiuta prova del medesimo, e si restituiranno poi per essere
giudicati nello Stato cui appartengono.
Art.9 - Venendo una delle parti
contraenti a richiedere l'altra per la consegna d'individui non
cittadini, nè domiciliati, rei di delitti commessi fuori dai
rispettivi Stati, pei quali sia luogo a procedere nello Stato
richiedente, si riservano i Governi di accordare o no tale
consegna, avuta considerazione ai concordati vigenti con altre
potenze ed alla qualità e circostanze del delitto.
Art.10 - Il Governo che giusta i
precedenti articoli sarà richiesto della consegna d'un qualche
condannato o delinquente non potrà fargli grazia, nè concedergli
salvo-condotto od impunità, eccettuati quei salvo-condotti che si
concedono per la prova di altri delitti secondo le regole e
pratiche criminali. Questi salvo-condotti però e quelli pure che
fossero altrimenti conceduti agl'inquisiti dovranno essere
ritirati e di nessun valore, venendo i medesimi dall'altro Governo
giustamente reclamati.
Art.11 - Saranno pure consegnati il
denaro e tutti gli effetti che si troveranno presso gl'inquisiti e
che saranno stati alienati, se potranno rinvenirsi, ed ogni altra
cosa che abbia relazione o possa servire di prova al delitto
commesso, come pure le copie dei processi che si fossero compilati
prima della consegna degl'inquisiti, corrispondendo per questo la
sola mercede della scrittura.
Art.12 - Ritrovandosi presso degli
inquisiti effetti appartenenti a cittadini del Governo richiesto,
dovranno loro restituirsi senza veruna spesa, dopo averne
giustificata la proprietà, e quando non saranno più necessari alla
prova del delitto.
Art.13 - Le spese pel mantenimento
degl'inquisiti dal momento del loro arresto sino a quello della
consegna saranno a carico del Governo richiedente.
Art.14 - Tutti i militi sì di fanteria
che di cavalleria, artiglieria, treno e di qualunque altro corpo
delle truppe sì di terra che di mare di Sua Maestà Italiana, e
così pure qualunque individuo delle truppe della Repubblica di San
Marino, i quali, disertando dal servizio del Governo cui
appartengono, si rifugiassero negli Stati dell'altro, dovranno
essere immediatamente arrestati, anche senza speciale richiesta, e
restituiti con le armi, cavalli, equipaggio ed ogni cosa che
avranno seco loro asportato nella diserzione.
Art.15 - Non avrà luogo per altro la
consegna di quei disertori che fossero cittadini attivi dello
Stato in cui si sono rifugiati.
Art.16 - Tutte le Autorità civili e
militari dei due Governi saranno tenute d'invigilare attentamente
sui disertori dell'altro Stato che s'introducessero nelle loro
giurisdizioni, e di prendere colla maggiore celerità gli opportuni
concerti a questo fine, e specialmente acciocchè i militari non
muniti di passaporto o foglio di via non trovino asilo negli Stati
dell'altra parte e siano immediatamente arrestati.
Art.17 - Il mantenimento dei disertori
e dei cavalli sarà corrisposto secondo i regolamenti che sono in
vigore nei rispettivi dominii.
Art.18 - Ogni individuo d'un Governo
che indurrà in qualunque modo un soldato dell'altro a disertare
sarà castigato con due mesi d'arresto ed una multa di lire 50
italiane, senza pregiudizio di quell'aumento di pene, cui
potessero dar luogo le circostanze aggravanti del delitto.
Similmente quelli che daranno scientemente ricetto ad un disertore
incorreranno la pena di un mese di carcere: ed in tempo di guerra
quell'altra più grave che le circostanze del delitto possono
meritare.
Art.19 - Resta vietato ai sudditi
rispettivi di comprare dai disertori delle truppe dell'altro Stato
vestiarii, cavalli e qualunque altra parte del loro equipaggio.
Questi effetti, dovunque trovati, saranno sempre considerati come
cose rubate, e restituiti al corpo cui apparterà il disertore. I
trasgressori di quest'articolo saranno inoltre puniti con una
multa di 100 lire italiane, quando per la qualità degli effetti
rubati o altrimenti sia dimostrato che fosse loro nota la
provenienza degli effetti stessi.
Art.20 - Tutte le disposizioni
relative ai disertori sono comuni anche ai giovani compresi nella
leva militare, ed a quelli che in qualunque modo sono costretti di
prestare allo Stato un servizio personale, i quali per sottrarvisi
si rifugiassero dagli Stati dell'una in quelli dell'altra parte
contraente.
Art.21 - I beni di mano-morta, cioè
istituti religiosi, parrocchie, confraternite, congregazioni e
corporazioni s'intendono appartenere a quello dei due Stati, nel
quale essi istituti e congregazioni si trovano eretti.
Art.22 - S'intenderà cessato l'obbligo
del passaporto per i cittadini che viaggiano dall'uno all'altro
Stato.
Art.23 - I prodotti, generi, bestiami,
manifatture e merci d'uno dei due Stati potranno liberamente
circolare nell'altro, salvo soltanto i generi di privativa dei due
Governi.
Art.24 - Le monete, che la Repubblica
di San Marino credesse col tempo di dover coniare, potranno aver
corso nel regno d'Italia, purché siano ragguagliate al sistema
decimale ed abbiano lo stesso titolo e peso di quelle regie.
Art.25 - Invece del diritto del libero
transito invocato dalla Repubblica di San Marino per gli articoli
coloniali, merci ed altri generi qualunque, e coll'intento di
semplificare le operazioni nell'interesse dei due Governi, il
Governo d'Italia assume l'obbligo di abbuonare alla Repubblica di
San Marino una quota del prodotto netto delle sue dogane, desunta
dalla media che paga ciascun cittadino del regno e proporzionata
al numero degli abitanti di S.Marino, il qual numero s'intenderà
fissato per gli effetti del presente atto a nove mila anime.
Art.26 - La Repubblica aderendo
pienamente ai principi del Regno d'Italia rispetto alla proprietà
letteraria, assume l'obbligo d'impedire nel suo territorio ogni
riproduzione delle opere dell'ingegno o dell'arte pubblicate in
esso regno.
Art.27 - La Repubblica assume pure
l'obbligo d'impedire nel suo territorio la coltivazione del
tabacco.
Art.28 - Il Governo di S.M.
somministrerà alla Repubblica al prezzo di costo annualmente nella
città di Rimini settantatrè mila chilogrammi di sale bianco di
Cervia e chilogrammi seimila settecento cinquanta di tabacco
estero d'ogni qualità, sia sciolto, sia sotto forma di corda, di
bastoni e di zigari.
Art.29 - La Repubblica di San Marino
avendo tutto il fondamento di confidare che non le verrà mai meno
l'amicizia protettrice di S.M. il Re d'Italia per la conservazione
della sua antichissima libertà ed indipendenza, dichiara che non
accetterà quella di un'altra potenza qualunque.
Art.30 - I presenti capi d'accordo
avranno vigore per dieci anni a far capo dalla data dello scambio
delle ratificazioni, e s'intenderanno rinnovati di anno in anno se
non sono denunciati da una delle parti contraenti sei mesi prima
della scadenza. Lo scambio delle ratifiche avrà luogo a Torino nel
termine di giorni quarantacinque dalla data della presente
convenzione.
APPENDICE N° 32
Convenzione Italia - San Marino
27 marzo 1872
Art.1 - Le Sentenze delle Autorità
Giudiziarie del Regno d'Italia in materia civile e commerciale,
passate in giudicato, avranno esecuzione nella Repubblica di San
Marino, e quelle delle Autorità Giudiziarie della Repubblica
avranno esecuzione nel Regno, secondo le norme di procedura
stabilite dalla rispettiva legislazione.
Art.2 - Gli atti pubblici fatti nel
Regno d'Italia avranno effetto nella Repubblica, e quelli fatti
nella Repubblica avranno effetto nel Regno, in conformità
dell'articolo primo.
Art.3 - Le citazioni e le intimazioni
di sentenze e di atti giudiziari fatti nei due Stati
nell'interesse dei cittadini dei due Paesi, saranno eseguite nel
modo prescritto dalle leggi di procedura del luogo, a semplice
richiesta della parte interessata.
Art.4 - Gli atti di morte dei
cittadini di uno dei due Stati, morti nel territorio dell'altro,
saranno spediti, senza spesa, debitamente autenticati, alle
Autorità competenti dello Stato d'origine. Saranno pure spediti
senza spesa gli atti di nascita e di matrimonio, richiesti dalla
Autorità competente. I privati però che facciano richiesta di atti
di stato civile, dovranno sopportarne le spese.
Art.5 - I cittadini italiani nella
Repubblica e i cittadini sammarinesi nel Regno godranno
reciprocamente del beneficio dell'assistenza giudiziaria come i
nazionali, purché si uniformino alla legge vigente nel luogo ove
l'assistenza è domandata. In tutti i casi, il certificato
d'indigenza deve essere rilasciato, a chi domanda l'assistenza,
dall'Autorità della sua residenza abituale, debitamente
legalizzato dall'Autorità competente. Potranno anche essere
chieste informazioni alle Autorità dello Stato, a cui appartiene
chi ha fatto la domanda. I cittadini italiani nella Repubblica, e
i cittadini sammarinesi nel Regno, ammessi al beneficio
dell'assistenza giudiziaria, sono dispensati di pieno diritto da
ogni cauzione o deposito, che, sotto qualunque denominazione,
possa essere richiesto agli stranieri, che patiscono contro i
nazionali, secondo la legislazione del luogo ove l'azione sarà
introdotta.
Art.6 - Le autorità giudiziarie del
Regno e quelle della Repubblica corrisponderanno direttamente fra
loro per tutto ciò che si riferisce alle rogatorie in materia
civile e commerciale, riguardanti citazioni, notificazioni, o
consegna di atti, giuramenti, interrogatori, dichiarazioni, esami
di testimoni, perizie ed altri atti d'istruzione; o riguardanti i
provvedimenti per la esecuzione dei giudicati, di cui nell'art.1,
ovvero garanzie provvisorie. L'Autorità del luogo, in cui si deve
eseguire la rogatoria, provvederà alla esecuzione e trasmetterà
gli atti relativi a quella di cui le pervenne la richiesta. Le
spese occorrenti per l'esecuzione delle rogatorie sono a carico
dello Stato richiedente; quelle riguardanti i provvedimenti per
l'esecuzione dei suddetti giudicati sono a carico delle parti
interessate.
Art.7 - Il Governo Italiano e quello
della Repubblica si obbligano di cercare, catturare e consegnarsi
i delinquenti condannati o imputati dalle rispettive Autorità
giudiziarie di uno dei seguenti crimini o delitti, consumati o
tentati:
1°
Parricidio,infanticidio,assassinio,avvelenamento,omicidio
volontario;
2° Percosse e ferite volontarie,che
hanno prodotto la morte o una malattia o un'incapacità al lavoro
per oltre trenta giorni; ovvero che abbiano prodotto la
mutilazione o privazione dell'uso di un membro o di un organo, o
di altra infermità permanente;
3° Ferite e percosse contro pubblici
uffiziali nell'espletamento delle loro funzioni; ribellione;
4° Bigamia, ratto, stupro violento,
prostituzione o corruzione di minori per parte dei parenti, o di
altri incaricati della loro sorveglianza; attentato al pudore con
o senza violenza;
5° Aborto, rapimento, esposizione,
occultamento o soppressione dell'infante; sostituzione
dell'infante ad un altro o supposizione d'infante di una donna che
non ha partorito;
6° Incendio volontario;
7° Guasto o distruzione volontaria di
una strada ferrata o di apparecchi telegrafici ed ogni fatto
volontario, da cui è derivata o poteva derivare una lesione
corporale ai viaggiatori od agli impiegati di una strada ferrata;
8° ogni distruzione, guasto o
deterioramento volontario della proprietà mobile o immobile, che
superi il valore di lire duecento;
9° Associazione di malfattori,
estorsione violenta, rapina, furto qualificato ed ogni altro furto
superiore alla somma di lire duecento;
10° Sequestro o illegale detenzione di
persona;
11° Minacce di offese alle persone o
di danno alle proprietà, fatte con armi, ovvero con intimazione di
dare o di depositare in un designato luogo una somma, o di
adempiere altra condizione;
12° Contraffazione o alterazione di
moneta o di carta monetaria; introduzione e smercio fraudolento di
monete false o falsificate; come pure di carta monetata falsa o
falsificata;
13° Contraffazione di rendita ed
obbligazione dello Stato, di biglietti di banca, o di ogni altro
effetto pubblico equivalente a moneta; introduzione ed uso di
questi titoli contraffatti;
14° Contraffazione di atti sovrani, di
sigilli, di punzoni, bolli, marche dello Stato e delle
Amministrazioni pubbliche, ovvero autorizzate dai Governi
rispettivi; ed uso di questi oggetti contraffatti;
15° Falso in iscrittura pubblica o
autentica, privata, di commercio o di banco; ed uso di dette
scritture false o falsificate;
16° Falsa testimonianza, falsa
perizia, subordinazione di testimoni, di periti e d'interpreti;
calunnia, falsa denunzia;
17° Sottrazioni commesse da uffiziali
o depositari pubblici; corruzione o concussione;
18° Bancarotta fraudolenta e
partecipazione ad una bancarotta fraudolenta;
19° Baratteria;
20° Abuso di confidenza;
appropriazione indebita; truffa e frode. Per queste infrazioni
l'estradizione sarà accordata se il valore del danno superi le
lire duecento.
Art.8 - La domanda di estradizione
sarà fatta direttamente dall'Autorità giudiziaria competente
all'Autorità giudiziaria dell'altro Stato, esibendo una sentenza
di condanna, od un atto di accusa, un mandato di cattura od ogni
altro atto equivalente al mandato, nel quale dovrà essere indicata
la natura e la gravità dei fatti imputati, nonchè la disposizione
di legge penale applicabile ad essi. Gli atti saranno rilasciati,
o in originale, o in copia autentica, dall'Autorità giudiziaria
competente del Paese che domanda l'estradizione. In pari tempo si
faranno conoscere i contrassegni personali del delinquente
domandato, se sarà possibile e ogni altra indicazione atta ad
accertarne l'identità.
Art.9 - Nei casi urgenti, e
specialmente quando vi sia pericolo di fuga, tanto l'Autorità
giudiziaria, quanto l'Autorità politica dei luoghi limitrofi, sono
autorizzate a domandare l'arresto del condannato o imputato, salvo
di presentare nel più breve tempo possibile il documento, giusta
il precedente articolo.
Art.10 -Sono eccettuati
dall'estradizione i cittadini attivi e i cittadini che da un
decennio sono domiciliati nello Stato a cui si fa domanda.
Art.11 - La naturalizzazione
posteriore al commesso reato non impedirà la estradizione del
delinquente.
Art.12 - Se il delinquente sia
cittadino dello Stato dove si è rifugiato, sarà quivi sottoposto a
giudizio, secondo la legislazione ivi imperante, a richiesta
dell'Autorità giudiziaria o del Governo, nel cui territorio
commise il reato.A tale effetto saranno comunicati dalla Parte
richiedente gli atti di procedimento che fossero stati compilati,
e, se il delinquente sia stato condannato, la copia della
sentenza.
Art.13 - Se per un processo compilato
in uno dei due Stati contraenti fosse necessario di confrontare
l'imputato con delinquenti detenuti nell'altro Stato, oppure
ottenere prove e documenti giudiziarii da questo posseduti, ne
sarà chiesta la consegna. Compiuto l'oggetto per il quale la
consegna ebbe luogo, sarà restituito l'imputato, e i documenti
consegnati.
Lo stesso avverrà nel caso in cui in
un reato avranno avuto parte cittadini dei due Stati i quali siano
poi ritornati nel rispettivo territorio.
Art.14 - Se una delle Parti contraenti
richiederà all'altra la consegna di un delinquente, non suo
cittadino nè domiciliato, che abbia commesso il reato nel
territorio di un terzo Stato, o contro del quale procede
l'Autorità giudiziaria dello Stato richiedente, il Governo
richiesto si riserva di accogliere, o no, la domanda, prendendo in
considerazione i trattati vigenti con altri Stati. In caso di
concorso di domande di estradizione, fatte dallo Stato ove avvenne
il reato, e da quello in danno di cui fu commesso, il Governo
richiesto si riserva di valutare le circostanze del reato, e
quindi di preferire l'una all'altra domanda.
Art.15 - Il Governo, che giusta i
precedenti articoli, sarà richiesto della consegna di un qualche
condannato o delinquente, non potrà fargli grazia nè concedergli
salvacondotto, o impunità, eccettuati quei salvacondotti che si
concedono per la prova di altri delitti secondo le regole e
pratiche criminali. I detti salvacondotti o quelli che fossero per
altri fini conceduti, rimangono di nessun valore, quando
gl'inquisiti o condannati vengono dall'altro Governo condannati.
Art.16 - Saranno pure consegnati il
danaro e tutti gli oggetti che si troveranno presso i delinquenti,
o che saranno stati alienati, se potranno rinvenirsi, ed ogni
altra cosa che abbia relazione o possa servire di prova al delitto
commesso; come pure le copie degli atti che sieno stati compilati
prima della consegna dei delinquenti, corrispondendo per questi il
solo costo della scrittura.
Art.17 - Ritrovandosi presso i
delinquenti oggetti appartenenti a cittadini del Governo
richiesto, dovranno essere loro restituiti senza veruna spesa,
dopo averne giustificata la proprietà, e quando non saranno più
necessari alla prova del reato.
Art.18 - Non sarà accordata
l'estradizione, se, incominciato il procedimento, o dopo la
condanna, il delinquente abbia prescritto l'azione penale o la
pena, secondo la legislazione dello Stato richiesto.
Art.19 - Le Autorità giudiziarie dei
due Stati sono obbligate a prestarsi scambievolmente per
l'esecuzione di rogatorie in materia penale, giusta l'art.6, parte
1^ e 2^.
Art.20 - Saranno a carico dello Stato
richiedente tutte le spese, che occorreranno nel territorio dello
Stato richiesto pel mantenimento e trasporto di delinquenti, di
danaro od altri oggetti e per atti eseguiti in forza dell'art. 19.
Art.21 - I due Governi si obbligano di
comunicarsi reciprocamente e senza spesa le sentenze di condanna
per crimini o delitti di ogni natura, pronunciate dalle Autorità
giudiziarie rispettive contro i cittadini dell'altro Stato. La
comunicazione sarà fatta direttamente tra le dette autorità
giudiziarie dei due Stati, inviando una copia della sentenza di
condanna divenuta irrevocabile.
Art.22 - Tutti i militi, sì di
fanteria che di cavalleria, artigleria, treno e qualunque altro
corpo delle truppe, sì di terra che di mare, di Sua Maestà
italiana e così pure qualunque individuo delle truppe della
Repubblica di S.Marino, i quali disertando dal servizio del
Governo cui appartengono, si rifugiassero negli Stati dell'altro
dovranno essere immediatamente arrestati, anche senza speciale
richiesta, e restituiti con le armi, cavalli, equipaggio ed ogni
cosa che avranno seco loro asportato nella diserzione.
Art.23 - Non avrà luogo per altro la
consegna di quei disertori che fossero cittadini attivi dello
Stato in cui si sono rifugiati.
Art.24 - Tutte le Autorità civili e
militari dei due Governi saranno tenute d'invigilare attentamente
sui disertori dell'altro Stato, che si introducessero nella loro
giurisdizione, e di prendere colla maggiore celerità gli opportuni
concerti a questo fine, e specialmente acciocchè i militari non
muniti di passaporto o foglio di via in regola non trovino asilo
negli Stati dell'altra parte contraente, e siano immediatamente
arrestati.
Art.25 - Il mantenimento dei disertori
e dei cavalli sarà corrisposto secondo i regolamenti che sono in
vigore nei rispettivi domini.
Art.26 - Ogni individuo di un Governo,
che indurrà in qualunque modo un soldato dell'altro a disertare,
sarà punito colle pene stabilite dal Codice penale militare del
Regno d'Italia, al quale la Repubblica si dichiara disposta a
confermare la sua legislazione nel senso di non sancire pene
inferiori. Questa disposizione si applica anche a coloro che
daranno scientemente ricetto a un disertore.
Art.27 - Resta vietato ai sudditi
rispettivi di comprare dai disertori delle truppe dell'altro Stato
vestiarii, cavalli e qualunque altra parte del loro equipaggio.
Questi effetti, dovunque trovati, saranno sempre considerati come
cose rubate, e restituiti al Corpo cui apparterrà il disertore.
Art.28 - Tutte le disposizioni
relative ai disertori sono comuni anche ai giovani compresi nella
leva militare, ed a quelli che in qualunque modo sono costretti di
prestare allo Stato un servizio personale, i quali, per
sottrarvisi si rifugiassero dagli Stati dell'una a quelli
dell'altra parte contraente.
Art.29 - Ciascuno dei Governi
contraenti provvederà, a condizione di reciprocità affinchè i
sudditi indigenti dell'uno dei due Stati che fossero colpiti sul
territorio dell'altro da una malattia qualunque, e che avessero
per conseguenza bisogno d'assistenza e di trattamento, siano
curati negli ospedali rispettivi nello stesso modo dei nazionali
indigenti fino al momento in cui potranno rientrare nel loro Paese
senza pericolo per la loro salute o per quella degli altri. Il
rimborso delle spese occorse pel mantenimento, il trattamento o la
sepoltura d'un indigente, non sarà esigibile, nè dal Governo, nè
dal Comune, nè da altra cassa qualunque del paese a cui esso
appartiene. I Governi contraenti si riserbano tuttavia il diritto
di reclamare il rimborso delle spese sostenute, nel caso in cui
l'individuo stesso assistito, oppure le persone, segnatamente i
parenti, che gli debbono gli alimenti, fossero in grado di
soddisfare le spese fatte per lui dall'ospizio che l'ha raccolto.
I due Governi contraenti si obbligano reciprocamente a rendere in
tal caso eseguibile la domanda di rimborso con tutti i mezzi che
sono in loro potere, e secondo le norme che sono in vigore negli
Stati rispettivi.
Art.30 - I beni di manomorta, cioè
istituti religiosi, parrocchie, confraternite, congregazioni e
corporazioni, si intendono appartenere a quello dei due Stati, nel
quale essi istituti e congregazioni si trovano eretti.
Art.31 - S'intenderà cessato l'obbligo
del passaporto per i cittadini che viaggiono dall'uno all'altro
Stato.
Art.32 - I prodotti, generi, bestiame,
manifatture e merci di uno dei due Stati potranno liberamente
circolare nell'altro, salvi soltanto i generi di privativa dei due
Governi e quelli la cui produzione o fabbricazione sia attualmente
o sia per essere in uno dei due Stati sottoposta a tassa. Questi
generi venendo introdotti in quello dei due Stati dove siano
soggetti a tassa saranno considerati di contrabbando.
Art.33 - Le monete coniate e da
coniarsi dalla Repubblica di San Marino continueranno ad avere
corso nel Regno d'Italia, purché siano ragguagliate al sistema
decimale e abbiano lo stesso titolo e peso di quelle Regie.
Art.34 - Invece del diritto del libero
transito spettante alla Repubblica di San Marino per gli articoli
coloniali, merci ed altri generi qualunque, e coll'intento di
semplificare le operazioni nell'interesse dei due Governi, il
Governo d'Italia, assume l'obbligo di abbuonare alla Repubblica di
San Marino una quota del prodotto netto delle sue dogane, desunta
dalla media che paga ciascun cittadino del Regno, e proporzionata
al numero degli abitanti di San Marino, il quale numero
s'intenderà fissato, per gli effetti del presente atto, a novemila
anime. La detta quota sarà pagata al Tesoriere o ad altro Delegato
speciale della Repubblica nella città di Rimini.
Art.35 - La Repubblica, aderendo
pienamente ai principi del Regno d'Italia rispetto alla proprietà
letteraria, assume l'obbligo d'impedire nel suo territorio ogni
riproduzione delle opere dell'ingegno o dell'arte, pubblicate in
esso Regno.
Art.36 - La Repubblica assume pure
l'obbligo d'impedire nel suo territorio la coltivazione del
tabacco.
Art.37 - Il Governo di Sua Maestà
somministrerà alla Repubblica, al prezzo di costo, annualmente
nella città di Rimini, settantotto mila chilogrammi di sale bianco
di Cervia e chilogrammi settemila di tabacco estero di ogni
qualità, sia sciolto, sia sotto forma di corda, di bastoni e di
sigari. Il prezzo di costo sarà determinato ogni anno sulla base
di quello che risulterà pagato nell'anno precedente. Quando per
qualche fabbrica o manifattura nuovamente introdotta nel
territorio della Repubblica occorresse maggiore quantità di sale,
il Governo Regio si obbliga di rilasciarlo a quel prezzo di favore
a cui si rilascia nelle fabbriche o manifatture nazionali. Si
obbliga pure di rilasciare a prezzo di favore il sale pastorizio.
Art.38 - La Repubblica di San Marino,
avendo tutto il fondamento di confidare che non le verrà mai meno
l'amicizia protettrice di S.M. il Re d'Italia per la conservazione
della sua antichissima libertà ed indipendenza, dichiara che non
accetterà quella di un'altra potenza qualunque.
Art.39 - I presenti capi d'accordo
avranno vigore per dieci anni a far data dallo scambio delle
ratificazioni, e si intenderanno rinnovati di anno in anno se non
sono denunciati da una delle Parti contraenti sei mesi prima della
scadenza. Lo scambio delle ratifiche avrà luogo a Roma nel termine
di giorni trenta dalla data della presente Convenzione.