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I Tempi di Palamede Malpeli

La RSM nell’età della Destra Storica

 

 

 

                                                                                                        

 

SOMMARIO

 

INTRODUZIONE

 

CAPITOLO   I° - GLI ULTIMI ANNI CINQUANTA

1) - I soliti problemi

2) - Il 1857

3) - Il 1858

4) - Il 1859

4.1) - L'ordine equestre di San Marino

4.2) - La prima Reggenza di Palamede Malpeli

 

CAPITOLO  II° - GLI ANNI SESSANTA

1) - I primi anni: i rapporti con il Regno d'Italia

2) - Gli altri fatti

3) - Una nuova coscienza

4) - Gli aspetti economici

5) - La Ia convenzione italo-sammarinese

6) - La vendita delle onorificenze

7) - Il 1863

8) - Il 1864

9) - Il 1865

10) - Gli ultimi anni: i rapporti esteri

11) - La politica scolastica

12) - I mutamenti della mentalità

13) - Qualche altro fatto ancora

 

CAPITOLO III° - GLI ANNI SETTANTA

1) - Gli aspetti economici

1.1) - La convenzione del 1872

1.2) - La ricerca di altri mezzi economici

1.3) - Ancora sulle onorificenze

2) - La politica estera: il blocco del 1874

2.1) - I rapporti internazionali

3) - La politica interna

 

CAPITOLO  IV° - L'AFFARE MALPELI

1) - Le accuse e la condanna

2) - La difesa

 

NOTE

 

APPENDICE DOCUMENTARIA

 

                              

 

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Introduzione

 

 

   Palamede Malpeli: chi era costui? E perché dedicargli un libro se la maggior parte dei Sammarinesi sicuramente non lo conosce? In realtà la figura di Palamede Malpeli è solo un pretesto per parlare di un periodo chiave della storia sammarinese, quello che ruota intorno all'unificazione italiana, periodo in cui la nostra piccola Repubblica è indotta a mutare tanti particolari della sua fisionomia usuale, fino ad allora saldamente ancorata al Medioevo, e ad immettersi ex abrupto sulla strada della Modernità.

   Nonostante ciò, tuttavia, è fuor di dubbio che Malpeli è un personaggio basilare del ventennio 1860-1880, per cui è praticamente impossibile parlare di tale fase storica senza parlare in qualche maniera anche di lui. Siamo negli anni in cui la Repubblica di San Marino deve destarsi bruscamente da un letargo plurisecolare, e fare i conti con realtà nuove e logiche assai diverse da quelle a cui era abituata. Scompare lo Stato Pontificio, che così a lungo l'aveva avvinta in spire ora più, ora meno strette, e appare improvvisamente all'orizzonte, quasi dalla sera alla mattina, uno Stato nuovo, il Regno d'Italia, che comincia ad intrattenere con San Marino rapporti a volte totalmente nuovi, a volte, invece, assai simili a quelli del passato. Deve cambiare la mentalità, perché ora non si può vivere ancora come un comune medievale, accontentandosi di una cultura fatta più di superstizioni che di nozioni, di un'economia che permette, quando lo permette, solo una sopravvivenza ai limiti dell'indigenza, di una classe politica che gestisce lo Stato praticamente armata solo di buona volontà e di nient'altro, di un'agricoltura arcaica, di strade disastrate ed impraticabili. Tutti i nodi rimandati di anno in anno, di decennio in decennio durante la prima metà dell'Ottocento, vengono tragicamente al pettine negli anni '50, e soprattutto negli anni '60, e allora ci si accorge di essere rimasti indietro di troppo, e che occorre affannarsi per recuperare il tempo perduto, e mantenersi al passo se non altro con il neo-Stato che ora circonda San Marino.

   Storicamente questi periodi di transizione sono ricchissimi sia di contenuti nuovi, perché tutti gli orizzonti sono aperti, tutte le speranze sono possibili e teoricamente realizzabili, sia di paure vecchie, perché accanto alla volontà di progredire e rinnovarsi permane cupo il terrore di abbandonare il noto per l'ignoto, di percorrere strade per cui ci si sente spesso impreparati ed inidonei. Questo dualismo fatto di volontà e paura, di entusiasmo ed angoscia, è facilmente rintracciabile negli anni che stiamo per esaminare, tanto che non sempre è chiaro dai documenti che ho consultato quanto si voglia progredire, e quanto invece perduri il desiderio di rimanere come si è sempre stati.

   Palamede Malpeli è invece da questo punto di vista sicuramente un personaggio nuovo, entusiasta ed innovatore, tanto innovatore da risultare alla fine spregiudicato, e tanto spregiudicato da dimostrarsi reo di colpe gravi, e da venir condannato ad otto anni di prigione. Anche questo è un rischio dei periodi di transizione: all'eccessivo conservatorismo è facile che si opponga un'euforia riformistica tanto sconsiderata ed esagerata da provocare guai e sconquassi profondi. Malpeli si trova ad operare in un ambiente tendenzialmente conservatore, perché alla conservazione del passato, e solo a quella, la vecchia oligarchia che governava lo Stato imputava la salvezza della Repubblica e della sua tanto decantata libertà ed indipendenza. Questi governanti molto più di Malpeli si sentono a disagio in questa nuova, vulcanica realtà in cui improvvisamente si trovano gettati dentro. Malpeli, invece, sa cavalcare la tigre fin da subito, e fin dalla sua prima Reggenza del 1859 dichiara ai quattro venti -e lo vedremo- che egli è figlio di tempi nuovi e più pragmatici; che non si sente affatto vincolato alla realtà ed alla mentalità del recente passato; che guarda con pietosa compassione gli uomini che avevano guidato fin lì la Repubblica. Costoro avevano fatto il loro tempo, ed ora bisognava avere il coraggio di attuare una svolta secca, senza ritorno.

   Anche Malpeli, però, conserva in sé forti contraddizioni, e questo sarà chiaramente visibile in tanti episodi che verranno descritti, e in particolar modo in quelli riguardanti il suo processo e la sua condanna. D'altronde anch'egli, per quanto innovatore, nasce e cresce a San Marino, per cui nonostante la volontà di apparire come il profeta del nuovo, rimane per molti versi invischiato nel vecchio. E' insomma per forza di cose un personaggio di transizione, non più del tutto membro della vecchia guardia e succube della mentalità che la permeava, ma non del tutto membro di quella generazione che saprà polemizzare tanto col vecchio da illudersi di poter attuare una democrazia effettiva, da poter sconvolgere totalmente un sistema oligarchico e patriarcale che a San Marino probabilmente dominava da sempre.

   Lo scontro tra vecchio e nuovo, tra conservatori e progressisti, in questi anni emerge netto nelle tante polemiche che si svilupperanno intorno ai diversi progetti che giungono a San Marino per istituire una casa da gioco.  Non a caso i problemi di Palamede Malpeli scaturiranno tutti da questa particolare innovazione che alcuni per il bene economico del paese avrebbero voluto creare, ed altri no per paura di aprire le porte a qualcosa di mefistofelico e rovinoso.

   Altro problema tipico di questi anni, e su cui ci fermeremo a lungo e dettagliatamente, anch'esso zeppo di risvolti morali, di entusiasmi e di angosce, è quello relativo alla vendita delle onorificenze e dei titoli nobiliari, una fonte economica inaspettata ed improvvisa che dalla seconda metà degli anni '60 in avanti rimpinguerà le usualmente vuote casse dello Stato sammarinese, permettendo finalmente la creazione di quelle tante infrastrutture già da tempo bramate, ma continuamente irrealizzate per la costante carenza di fondi.

   Senza elencare ad una ad una tutte le problematiche che verranno esaminate, invito il lettore ad iniziare la lettura: ho cercato di usare un linguaggio il più semplice possibile, così come avevo fatto nel mio lavoro su "Il delitto Bonelli" (in cui era stato particolarmente apprezzato); ed ho cercato di scrivere una storia scientificamente documentata, ma scorrevole ed interessante anche per chi non legge abitualmente questo genere. Poiché considero ciò che sto per raccontare come la prosecuzione della storia narrata ne "Il delitto Bonelli", partirò dal punto in cui lì mi ero fermato, cioè dagli ultimi anni '50. D'altra parte Malpeli diventa consigliere nel 1857, per cui anche in questo caso la narrazione della storia di questi anni coincide con la narrazione della vita politica di questo personaggio, che utilizzerò come filo conduttore per analizzare il periodo in questione.

   Sento il dovere, per concludere questa introduzione, di ringraziare gli enti (Cassa di Risparmio, Cassa Rurale di Faetano, Dicastero pubblica istruzione e cultura) che con i loro consistenti acquisti de "Il delitto Bonelli" hanno contribuito ad ammortizzare i costi avuti per la stampa di quel lavoro, così come ringrazio i tanti privati cittadini talmente generosi di apprezzamenti nei confronti di quella pubblicazione da pungolarmi a continuare le mie ricerche ed i miei studi.

   Mi auguro che anche il presente testo possa godere dello stesso trattamento, perché di argomenti sammarinesi degni di essere indagati e raccontati ve ne sono ancora un'infinità.

 

                                                                                                                                  Verter Casali

 

 

 

 

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capitolo I

 

GLI ULTIMI ANNI CINQUANTA

 

1 - I soliti problemi

 

    Gli anni immediatamente successivi all'assassinio del Segretario Giambattista Bonelli, e di quegli altri delitti di cui si è parlato nel precedente mio lavoro, (1) non sono molto diversi rispetto a quelli del periodo anteriore. I grossi problemi sono sempre quelli: polemiche con lo Stato Pontificio per i rifugiati politici in territorio, e per il ruolo della Repubblica di San Marino che si reputava totalmente autonoma, e quindi libera di fornire ospitalità a chiunque; una miseria diffusa a cui non si riusciva a fornire adeguata soluzione; una classe politica ostinata nella difesa dell'indipendenza del suo Stato, ma spesso sprovveduta e facilona; una situazione in eterna ebollizione ai confini con inevitabili ripercussioni interne.

    Una grossa novità però bisogna registrarla, perché è di fondamentale importanza per questi anni: i nuovi rapporti con Napoleone III,felicemente intrapresi e consolidati dalla Repubblica nel 1854, grazie all'apertura presso quella corte del primo consolato sammarinese, presieduto dall'avvocato Giovanni Paltrinieri. Costui, sebbene oggi sia pressoché dimenticato, è forse da annoverare tra coloro che più si sono distinti a favore della Repubblica, e che più hanno contribuito alla sua salvezza, perché è lui che mantiene ottimi rapporti con i Francesi, proteggendo così San Marino dai pericoli e dalle mire del Vaticano e del Granducato di Toscana; è lui che sa benignamente consigliare i governanti sammarinesi in questi anni in cui i mutamenti sono talmente rapidi ed improvvisi da trovarli spesso spiazzati. Ed alla Francia San Marino comincia a ricorrere sempre più spesso, vuoi per chiedere se era possibile inviare detenuti nelle sue colonie penali, (2) vuoi per felicitarsi con Napoleone per la nascita del figlio, (3) vuoi per donare medaglie onorifiche al suo ministro degli esteri. (4) E' ovvio che questi contatti rientrano nella solita logica di captatio benevolentiae che la Repubblica, vero vaso di coccio fra tanti vasi di ferro, teneva praticamente da sempre con i potenti. D'altra parte contatti simili sono facilmente riscontrabili anche con gli altri Stati vicini, quello della Chiesa primo fra tutti, ma anche il Granducato di Toscana e l'Impero Asburgico, sia in questi anni, sia in quelli precedenti, sia in quelli successivi.

     Diversamente non poteva fare, perché la sua sovranità più che da trattati e documenti inoppugnabili dipendeva dalla tradizione e dalla simpatia che aveva saputo e sapeva raccogliere. Tuttavia tra il '54 e il '55 s'instaura con la Francia un dialogo privilegiato, perché la Repubblica trova finalmente quel grande protettore che, contrariamente a quanto pretendeva il Vaticano, era disposto a donare la sua protezione senza condizioni, e garantendo nel contempo la sovranità ed indipendenza interna ed esterna dello Stato sammarinese. E così nel '55 le violente polemiche avute con la Santa Sede in precedenza si placano temporaneamente, anche se il problema dei rifugiati politici che le aveva scatenate rimane ben vivo. Per questo la Reggenza eletta nel semestre ottobre 1854 - marzo 1855 (Francesco Guidi Giangi-Pietro Barbieri) dichiara appena eletta, in data 14 settembre 1854, (5) che non aveva nessuna intenzione di assumersi tutta la responsabilità per i nuovi rifugiati che avessero voluto sostare in territorio in quel semestre, e che voleva nominata da parte del Consiglio una commissione "la quale indipendentemente dalla Reggenza deliberi sù tale emergente". Si decise che la Reggenza poteva avvalersi per fornire i permessi con cui sostare in territorio della consulenza del Congresso Affari Esteri, il quale per l'occasione venne allargato con l'aggiunta di due nuovi membri, precisamente Marco Tassini e Pietro Righi. Nella stessa circostanza venne stabilito che gli stranieri per godere dell'ospitalità sammarinese dovessero compilare un modulo, rispondendo a tutte le richieste sul loro conto, e in seguito attendere le deliberazioni adottate dal Congresso stesso. Il 17 ottobre il Congresso fece la sua prima relazione relativa ai rifugiati, (6) e nei mesi successivi si deliberò di non fornire per il momento più ospitalità a nessuno. La nuova Reggenza Gaetano Belluzzi e Francesco Rossini dovette ritornare sul problema il 29 maggio per chiedere al Consiglio come si doveva comportare nei riguardi dei rifugiati, visto che erano ormai trascorsi  i sei mesi stabiliti in cui non si doveva permettere la sosta in Repubblica a nuovi fuoriusciti. Il Consiglio in questa occasione stabilì di mantenere il veto all'ingresso di rifugiati finché non si fossero prese decisioni in contrario. (7)

    Come si può facilmente intuire, il problema dei rifugiati politici era  una sorta di patata bollente che nessuno voleva tenere tra le mani, e che nessuno sapeva raffreddare. Ma il '55 fu un anno tranquillo, in cui non accadde nulla di tanto grave da rivivificare le ansie degli anni precedenti, per cui questo maggiore controllo su chi entrava in Repubblica, e l'incontro avuto nel mese di giugno tra il Reggente Gaetano Belluzzi, recatosi a Roma per motivi personali, e le autorità pontificie, ripristinò una certa tranquillità, tanto che nella seduta consigliare del 24 giugno fu possibile affermare che i rapporti col Papato erano tornati ottimi. (8)

    Per fortuna. Infatti nella seconda metà dell'anno San Marino dovette affrontare un problema ben più micidiale di quello determinato dai rifugiati: un'epidemia di colera che nel giro di pochi mesi, precisamente fra agosto e ottobre, colpì 245 sammarinesi uccidendone un centinaio, e manifestando come la Repubblica fosse praticamente impotente e disarmata anche difronte a problemi di questo genere. (9)

    Coi mesi freddi il colera scomparve, ma ritornarono a galla le solite beghe col Vaticano; infatti nelle prime settimane del nuovo anno dalle zone limitrofe vennero avanzate molte richieste di arresto ed estradizione di ipotetici rifugiati nel territorio sammarinese, richieste che le locali autorità come sempre non poterono o non vollero esaudire. Questo fatto provocò di nuovo le polemiche del Delegato pontificio di Forlì il quale, con lettera dei primi di marzo, tornò ad accusare le autorità sammarinesi di non voler collaborare per arrestare i fuoriusciti. (10)

    Il governo sammarinese probabilmente aveva ormai capito che se voleva garantirsi contro le continue pressioni e le eventuali soverchierie del Vaticano, era indispensabile allacciare rapporti diplomatici anche con altre potenze oltre a quella francese, per poter così in qualche modo legittimare ufficialmente a livello internazionale, e non solo ufficiosamente com'era in pratica avvenuto fino al 1854, quella sovranità su cui lo Stato Pontificio aveva ancora tanto da ridire. Così quando agli inizi del '56 un certo marchese Giulio Cesare da Fasano di Genova avanzò richiesta alla Repubblica di poterla rappresentare come suo incaricato d'affari presso la corte di Torino, il governo iniziò immediatamente ad interessarsi se il Regno Sardo fosse disponibile ad accettare un suo rappresentante. (11) Venne incaricato a questo scopo l'avvocato Paltrinieri con lettera del 24 marzo, ed egli un mese dopo scrisse per comunicare d'aver ottenuto il permesso in via ufficiosa. (12) Il 12 maggio San Marino inviò un dispaccio ufficiale a Torino per chiedere il permesso di creare un consolato, proponendo ovviamente il marchese da Fasano; il giorno 23 giunse la risposta del ministro degli esteri Cavour in cui si accettava la richiesta. (13) In giugno fu spedito al marchese l'atto di nomina, e il diploma di patrizio sammarinese, ma in luglio Torino fece sapere che il marchese da Fasano non era più gradito come console, e che era necessario nominare altra persona. (14) La Repubblica si vide costretta ad incaricare ancora una volta Paltrinieri ad interessarsi alla questione; passarono però vari mesi prima che costui trovasse un uomo adatto: solo nel gennaio del '57 propose un nuovo nominativo,  precisamente Zenocrate Cesari di Osimo, al quale venne concesso l'exequatur nel mese di aprile come "Incaricato d'Affari Ufficioso". Essendo suddito sardo non avrebbe potuto ricoprire tale funzione, ma "per l'amicizia che il Re nutre verso l'unico ed antico avanzo delle Repubbliche Italiane", come specificò Cavour con sua lettera giunta il 6 aprile, fu permesso ugualmente. (15)

    Negli stessi mesi Paltrinieri si dovette occupare anche di un'altra questione per la quale polemizzò fermamente con San Marino, colpevole di una grossa gaffe nei suoi confronti, causata senza dubbio dalla sua inesperienza nei rapporti diplomatici. Con lettera datata 16 ottobre 1856 ebbe a dire:

     "I Giornali di Roma hanno pubblicato un conflitto importante che ha avuto luogo fra rifugiati pontifici e cittadini Sammarinesi. Molti Giornali d'Italia e di Francia ripetono questa notizia, ed io non ne so nulla, e non posso rispondere che evasivamente, o allegando ignoranza assoluta alle persone ed ai pubblici funzionari che mi chiedono su ciò schiarimenti. Ho pregato altre volte le SS.VV.Eccme di dare gli ordini opportuni alla Segreteria perché io sia immediatamente informato di tutti gli avvenimenti di una certa importanza, onde io possa, richiesto, darne conto a questo Governo: ma vedo con dispiacere che questi ordini sono stati dimenticati, e che la dignità della Repubblica resta sagrificata, dovendo io che la rappresento rispondere a queste Autorità che il Governo di Sammarino non mi ha fatto comunicazione alcuna in proposito. Trovo dunque indispensabile di rinnovare alle SS.VV. Eccme la preghiera di farmi sempre, senza dilazione alcuna, informare di quello che accade d'importante nella Repubblica, poiché realmente, dovendo in ogni circostanza allegare un'ignoranza inesplicabile in un rappresentante diplomatico della Repubblica stessa, la mia posizione restando compromessa nelle convenienze, non sarebbe per me lungamente tollerabile". (16)

    In realtà Paltrinieri aveva già avanzato lagnanze simili con lettera del 26 giugno 1854 per altri fatti, (17) ma evidentemente la Repubblica non se ne ricordava, o non reputava fondamentale comunicargli notizie dettagliate sull'episodio di cui egli chiedeva spiegazioni. Il fatto in questione era l'uccisione avvenuta in Borgo nella sera tra il 28 e il 29 settembre del rifugiato Archimede Chiesa di Cesena, ammazzato con un'archibugiata,  e il ferimento di Federico Vernocchi. (18) Cosa fosse successo le autorità sammarinesi non vennero mai a saperlo con precisione, e ovviamente neppure chi avesse provocato tali fatti di sangue. Tuttavia in questi anni in cui vi era la ferma convinzione tra gli Stati confinanti che all'interno di San Marino operasse indisturbata una setta mazziniana, qualunque fatto di sangue veniva naturalmente ricollegato a questo timore.

    Due giorni dopo, comunque, la Reggenza si affrettò a rispondere al suo rappresentante, comunicandogli gli ultimi fatti di sangue accaduti in Borgo, e precisandogli che si erano verificati "per cause totalmente particolari" tra alcuni dei pochi emigrati ancora tollerati in territorio; "però l'ordine pubblico e la pubblica quiete non vennero menomamente alterati -continuava la lettera-  e questo Tribunale Commissariale che nelle vie ordinarie procede alle dovute verificazioni, ha già in suo potere due dei maggiormente indiziati". Il fatto in questione in realtà non aveva nulla di politico, ed era del tutto simile a fatti analoghi che stavano succedendo un po' ovunque nello Stato Vaticano, anche se giornali come il "Diario di Roma", la "Gazzetta di Bologna" e il "Monitore Toscano" gli avevano dato un risalto eccessivo e fuorviante. (19)

    Paltrinieri ai primi di Novembre comunicò di aver ricevuto le informazioni richieste, e di aver fatto inserire un breve cenno sull' "Indipendence Belge" in cui venivano specificati i fatti così com'erano realmente avvenuti. (20) Ma il Vaticano non desisteva dal ritenere la Repubblica un covo di banditi e di rivoluzionari pronti a scatenare nuovi moti, tanto che ribadiva ancora con lettera giunta a San Marino il 22 novembre che secondo le informazioni in suo possesso esisteva all'interno di San Marino "un numero considerevole di fuoriusciti, dei quali esiste un Comitato". (21) La Repubblica rispose per l'ennesima volta che tali notizie erano infondate; ma sapendo che le sue assicurazioni non erano tenute in gran conto a Roma, s'industriò con maggior alacrità ancora  per procacciarsi alleati contro possibili persecuzioni, sollecitando Paltrinieri a trovare senza meno un incaricato per Torino, ed inviando un suo amico, il conte Pietro Rusconi di Padova, a rendere omaggio all'Imperatore austriaco che stava per recarsi a Venezia. Inoltre Paltrinieri il 27 novembre fu invitato ad impegnarsi per creare con il Papato, sotto la supervisione di Napoleone III, un concordato con cui regolare il diritto d'asilo e di estradizione. (22) 

    Il 1856 si chiuse in pratica con questi fatti e, come si può constatare, sebbene la situazione interna di San Marino non fosse più incandescente come nel '53 e '54, era ancora ben lontana da una definitiva normalizzazione. Lo si può chiaramente dedurre anche dal Decreto consigliare del 23 ottobre in cui si specificava che "nella attuale deplorabile scarsità di soggetti capaci a sostenere i pubblici Uffici, messa nella necessità di provvedere perché non debbano per l'avvenire rinnovarsi più quei tristi casi, nei quali talvolta questo Governo ebbe a trovarsi nel conferire le pubbliche cariche, le quali in addietro con danno della pubblica cosa, o furono dai candidati accettate sotto condizione o furono ricusate, ove nelle medesime non venne aderito, propone al Principe una legge che per l'avvenire valga a togliere efficacemente un così grave e scandaloso disordine. Il Consiglio Principe, nel riconoscere la saggezza della mozione fatta dalla lodata Reggenza, e penetrato della necessità della Legge proposta, decreta all'unanimità che per il tempo avvenire ogni cittadino debba accettare, ed assumere puramente e semplicemente, secondo gli statuti prescrivono, qualunque pubblico Ufficio al quale fosse nominato ed eletto, e che qualsivoglia condizione che il candidato si arrogasse di motivare, debba ritenersi per una di lui formale rinuncia all'Ufficio stesso". (23)

 

 

NOTE               APPENDICE

 

 

2 - Il 1857

                             

    Il 1857 fu per molti versi simile all'anno precedente. Nel mese di gennaio Paltrinieri espose ufficialmente al ministro degli esteri francese la volontà di San Marino di giungere ad un trattato di estradizione con la Santa Sede per risolvere una volta per tutte l'annosa polemica sui rifugiati. (24) Il ministro accettò senza problemi la mediazione propostagli, ma il Vaticano oppose un netto rifiuto: "Com'è già noto alle SS.VV.Eccme - scriveva Paltrinieri il 12 febbraio - il Governo Imperiale aveva, a mia instanza, offerto di concorrere co' suoi buoni uffici a facilitare la conclusione di una tal convenzione, ed era stato per ciò scritto al Conte di Rayneval (console di Napoleone a Roma -nda-) d'invitare il Cardinale Segretario di Stato ad inviare a tal uopo le necessarie instruzioni al Nunzio Pontificio in Parigi. La risposta dell'Ambasciator Francese mostra chiaramente che il Governo della Santa Sede rifugge dall'idea d'avere fra lui e la Repubblica dei mediatori, e dei mediatori potenti ed imparziali". In pratica Roma aveva rifiutato di sedersi ad un tavolo per esaminare il problema, perché "il Governo Pontificio non ammette che la Repubblica di Sammarino possa trattare con lui come da eguale a eguale e meno ancora che possa trattare colla mediazione di una terza potenza, o pel mezzo del Nunzio a Parigi. Se vuol negoziare deve farlo in Roma ove potrebbesi ancor meglio esaminare le quistioni relative all'affare", proseguiva sempre Paltrinieri citando quanto comunicatogli da Rayvenal. Il Vaticano basava tale sua richiesta "sulla circostanza importante ch'egli considera la Repubblica di Sammarino come formalmente posta, in forza di trattati speciali, sotto il protettorato della Santa Sede". "Non vi sarebbe dunque perciò eguaglianza perfetta d'uno Stato coll'altro -continua la lettera- quantunque ciò non attacchi in modo alcuno l'indipendenza interiore del territorio di Sammarino, la quale non debb'essere toccata. Ma ne risulta che le relazioni esteriori della Repubblica colla Santa Sede sono quelle di uno Stato protetto verso uno Stato protettore. La convenzione che potrebbe aver luogo non avrebbe dunque in alcun caso la forma di un trattato, ma ciò non impedirebbe la Repubblica di ottenere il fine principale che si propone".

    In definitiva il Vaticano, mantenendo la sua solita logica tesa a considerare la Repubblica di San Marino non uno Stato indipendente, ma solo una sua porzione territoriale che per elargizione godeva di qualche autonomia, voleva giungere a risolvere la questione dei rifugiati, ma solo se si riconosceva formalmente la sua potestà, solo se poteva vestire ancora una volta i panni di chi graziosamente concedeva qualcosa ad un suo subalterno. Lo Stato sammarinese ora però si sentiva come ai tempi di Napoleone I, quando in qualche maniera chi la circondava non si considerava il suo padrone. Napoleone III era lontano, ma era pur sempre avvertito come una grossa garanzia, e questo permetteva ai governanti sammarinesi di accentuare quella mentalità autonomistica, quel senso di sovranità secolare, che nel corso dell'Ottocento, sicuramente più che nei secoli precedenti, venne marcatamente sviluppandosi.  

   Paltrinieri concluse la sua lettera suggerendo di fornire una "energica risposta" allo Stato Pontificio, soprattutto col mostrare gli atti che San Marino sicuramente aveva nei suoi archivi a testimonianza della sua sovranità. Inoltre raccomandava l'invio immediato a Torino dei documenti per Zenocrate Cesari, il nuovo candidato al consolato presso quella corte che egli aveva suggerito circa un mese prima, (25) "perché gioverà moltissimo in ogni caso la ricognizione ufficiale di uno dei maggiori Sovrani d'Italia, sul quale la Repubblica potrà contare in appresso, ed avere da lui validissima protezione". (26)

    Nei giorni successivi San Marino fu bersagliato nuovamente da diverse richieste relative a presunti rifugiati, e da un'altra polemica, questa volta da parte del commissario pontificio di Bologna, per le solite accuse di scarsa collaborazione nella cattura dei ricercati. (27) Il 19 marzo Paltrinieri si rifece vivo chiedendo nuovamente la documentazione per sostenere la totale indipendenza sammarinese, e poter così redigere il trattato di estradizione. La Reggenza gli rispose solo il 17 aprile dicendogli che Roma non aveva alcun diritto a pretendere da San Marino "atti di vassallaggio", e ancor meno aveva il diritto di "ricusare l'alta ed imparziale mediazione della Francia". Non occorreva produrre documenti perché tante altre volte erano già stati divulgati, e il Vaticano li conosceva benissimo; tuttavia veniva spedita una lunga relazione in cui erano esposti tutti i motivi per cui San Marino si sentiva Stato indipendente e sovrano. (27a)

    Come si è già detto, negli stessi giorni fu comunicato da Torino che Zenocrate Cesari era stato accettato come "Incaricato ufficioso d'affari del governo di San Marino", per cui la Repubblica era riuscita nel suo intento di aprire un altro canale di dialogo tramite cui poter tenere ancora più testa al Vaticano. In realtà nell'immediato questo nuovo ufficio aperto presso la corte dei Savoia non gioverà più di tanto per sedare le polemiche con Roma; tuttavia si dimostrerà fondamentale da lì a qualche anno, quando i Savoia daranno vita alla graduale annessione dei vari Stati italiani, risparmiando proprio il minuscolo Stato.

    Le diatribe col Vaticano continuarono, e San Marino dovette accettare a denti stretti anche l'invio di carabinieri pontifici sul suo territorio in ausilio alle sue milizie, in quanto tra maggio e giugno si era formata una banda di malviventi, capeggiata proprio da un ex carabiniere pontificio, che scorazzava tra il territorio di San Marino e le zone limitrofe. Per poter eseguire perquisizioni minuziose attraverso tutto il territorio, Roma aveva offerto (ma si può pensare anche ad una sorta di imposizione) aiuto con l'invio dei suoi militi agli ordini, però, degli ufficiali sammarinesi. In una di queste perquisizioni, compiuta tra il 3 e 4 giugno, era morto accidentalmente anche un milite sammarinese, ma oltre a ciò non registriamo fatti particolarmente eclatanti degni di essere narrati. (28)

    La paura nei confronti di San Marino era sempre la stessa: si temeva che al suo interno operasse indisturbato un gruppo rivoluzionario e mazziniano, pronto a colpire nelle zone limitrofe appena ve ne fosse l'occasione. Lo stesso Cesari in una delle sue prime lettere inviate alla Repubblica, certamente non per caso,  scrisse:   " I movimenti di Genova vennero completamente vinti sul nascere. Può anzi dirsi, che fu un semplice conato. Però le cose erano preparate su vaste proporzioni, che fortunatamente non poterono svilupparsi per la vigilanza del Governo, e molto pel caso. Il movimento era Mazziniano, diretto a quanto pare da quest'uomo fatale alla povera Italia. Si guardino le SS.VV.Eccme dalle ramificazioni di questa setta, che pur troppo van mettendo qualche radice anche in mezzo a Stati retti a libertà, perché sanno, che la libertà è l'antidoto dell'anarchia". (29)

    Il 18 luglio è il ministro degli interni toscano a scrivere al commissario della legge Landi per comunicargli che, da  informazioni  in  suo  possesso, in territorio sammarinese vi era un deposito di armi pronto ad essere usato per "nuovi tentativi rivoluzionari", e che negli ultimi tempi si era di nuovo reso  "molto attivo il movimento di Emigrati Politici o manifesto, o clandestino, tanto che resta evidente, che hanno fra mano qualche grossa faccenda". Dalla lettera si capisce facilmente che tra lo scrivente, il cavalier Allegretti, segretario del Ministero dell'Interno, e Landi vi era un rapporto d'amicizia, e che si invitava in pratica il commissario a fare una spiata contro San Marino: "Affidato alla Sua amicizia, e all'affetto,  che anche lontano deve sentir la Patria, mi permetto incomodarla e domandarle, se sussistano quelle due capitali circostanze, o si abbiano costì altri sintomi di politiche agitazioni e riguardo alla Toscana, o al limitrofo Stato Pontificio. E' inutile, che Le aggiunga, che ogni relativa Sua confidenza rimarrà quanto alla origine nel più impenetrabile secreto, e riceverà a se stessa l'uso il più discreto e riservato". Ricevuta la lettera, il commissario, con grande onestà, la rese nota alla Reggenza "nella quale risiede la Somma degli affari Governativi estranei al mio Ministero di Giudice Civile e Criminale", come comunicò in seguito ad Allegretti. "Sono autorizzato a rispondere -proseguì ancora- che fin qui non consta affatto i depositi d'armi nel Territorio Repubblicano anzi si stima impossibile per la indefessa vigilanza interna attivata in modo specialissimo anche prima dell'ultima cospirazione in riguardo delle Bande ormai felicemente sbandate (le bande in questione erano due e formate da diversi malviventi che nei mesi precedenti avevano compiuto scorrerie sia in territorio sammarinese, che in quello limitrofo -nda-).(...) Non è vera l'affluenza di Emigrati Politici; solamente è cresciuto in questi giorni l'afflusso de Forestieri visitatori della Repubblica in grazia dei Bagni e del nuovo Teatro che poco fà si sono aperti nella vicina Rimini, ma questi Forestieri vengono, visitano le cose notevoli ed in breve ora tornano d'onde son venuti. Posso di certa scienza assicurare il Governo Toscano che quello Sammarinese appena sentito gl'ultimi movimenti politici forsennatissimi si è posto in attiva relazione con i suoi Consolati di Parigi e di Torino per evitare qualunque contracolpo, che mi ha chiamato ad una consulta di Stato per discutere un progetto meglio assicurante a legale permanenza di qualunque Forastiero passato a pieni voti nell'adunanza di Sabato mattina; che la Reggenza ed il Congresso degli affari Esteri composta da uomini affezionati all'ordine sentono la loro Dignità e sono impegnatissimi a mantenerla; anzi si sdegnerebbero altamente se gli agitatori che vanno in cerca di Anarchia meditassero di abusare della legittima libertà Sammarinese e da loro tenuta cara ed intangibile come retaggio del Santo Fondatore. Sanno benissimo che le mene rivoluzionarie furono scoperte dal Gabinetto Francese, e gloriosi della protezione di S.M. l'Imperatore Napoleone si guarderebbero bene da qualunque tolleranza. Ad abbondante cautela però la Reggenza ha comunicato anche più pressanti istruzioni al Comandante Generale delle Milizie perché faccia stare costantemente in guardia i suoi dipendenti". (30) Sebbene Landi, che era stato assunto come commissario solo da un paio di anni, avesse potuto rispondere confidenzialmente ad Allegretti in ben altra maniera, provocando chissà quali conseguenze, egli preferì assicurare che a San Marino tutto era tranquillo. E' quindi logico anche per noi credere alle sue affermazioni, valutando come gonfiate le paure della Toscana e di Roma, che verosimilmente doveva essere in questo periodo in stretta relazione col Granducato, forse con la mira di ridurre la Repubblica di San Marino, ritenuta dallo scampo di Garibaldi in poi un covo per sbandati, ad una maggiore sottomissione.

    Negli stessi giorni, probabilmente per questo motivo, fu inviato a Ravenna il conte Gaetano Belluzzi con l'incarico di ossequiare Pio IX in transito in quella città. Egli aveva già svolto un'ambasceria simile, quella volta in compagnia di Francesco Guidi Giangi, il 30 maggio a Pesaro, dove l'udienza col Papa era stata assai cordiale e completamente priva di polemiche e accuse. (30a) Nel secondo colloquio , invece, il Papa si dimostrò molto preoccupato per la questione dei rifugiati politici, e in seguito Belluzzi da un ulteriore incontro avuto col suo Segretario di Stato Monsignor Berardi, che fonti dell'epoca ci descrivono come molto ostile alla volontà e mentalità indipendentistica di San Marino, (31)  venne a sapere che se in qualche maniera la faccenda non si fosse risolta, vi era l'intenzione di attuare un altro intervento armato in Repubblica. (cfr. appendice n° 20 ) Simili affermazioni misero in grave allarme i governanti sammarinesi, i quali cercarono di prevenire possibili interventi contro la Repubblica scrivendo a Monsignor Berardi una lettera piena di buone intenzioni, e dichiarandosi disponibili ad esaminare subito con le autorità pontificie il problema, anche se non volevano assolutamente rinunciare alla promessa mediazione del governo francese. (app. 20) Così, appena tre giorni dopo, il 28 luglio, riscrissero a Paltrinieri il quale pur essendosi dimesso da console sammarinese già dal 19 aprile, perché nominato console francese a Parma, ancora era considerato, così come lo sarà fino alla sua morte, il miglior consulente dello Stato sammarinese. Egli rispose questa volta dalla sua nuova sede ribadendo che se si riusciva a porsi intorno ad un tavolo per creare il trattato di estradizione desiderato, egli avrebbe fatto di tutto perché la Francia aiutasse San Marino, purché tale incontro avvenisse a Roma come ideato fin da subito, e non a Bologna come avrebbero desiderato le autorità pontificie. (32) Il 10 agosto poi la Reggenza per esporre la sua versione dei fatti inviò un memoriale degli ultimi avvenimenti accaduti e delle nuove polemiche col Vaticano ai suoi quattro rappresentanti diplomatici, e cioè al nuovo console di Parigi avvocato Filippo Canuti, che per il suo passato politico non potrà ricevere l'exequatur dal governo francese e verrà da lì a qualche mese sostituito da Enrico D'Avigdor, (33) a quello di Torino Cesari, al suo rappresentante di Roma Alessandro Savorelli, ed all'amico Paltrinieri.  (cfr. app. n° 27)

    Tutte queste polemiche inoltre ebbero ripercussioni anche sui rapporti commerciali tra Santa Sede e San Marino, perché nei mesi di luglio ed agosto si discusse a lungo tramite una fitta corrispondenza intorno alla quantità di tabacchi spettante alla Repubblica, con il Vaticano da una parte che proponeva una quantità minima, e San Marino dall'altra che chiedeva invece un quantitativo superiore, indispensabile, secondo i suoi governanti, a coprire il semplice fabbisogno interno.

    Tale precaria e pericolosa situazione, che avrebbe potuto degenerare  per un nonnulla, indusse il Consiglio a rivedere la legge sull'asilo ai rifugiati del 28 agosto 1842, (34) e a promulgarne una nuova in data 4 agosto con norme più restrittive e severe. (app. 4) Fu in base a questa legge, comunque, che San Marino nell'ottobre di quell'anno si rifiutò di consegnare ai Papalini il rifugiato Matteo Mini, accusato di omicidio, perché l'assassinio commesso non era premeditato. Ci si limitò per questo a scarcerarlo, e ad espellerlo dal territorio sammarinese. (35)

  Nonostante quest'episodio che avrebbe potuto far surriscaldare ulteriormente gli animi, la legge del '57 ebbe invece il potere di normalizzare la questione dei rifugiati, anche se non si riuscì a giungere mai ad un trattato di estradizione col Vaticano per il fermo rifiuto di quest'ultimo a considerare San Marino uno Stato con piena sovranità. Le polemiche insorte sulla sede in cui incontrarsi per redigere il trattato (Roma voluta da San Marino e dalla Francia, Bologna voluta dalla Santa Sede), e il ruolo della Francia stessa nascondevano in realtà questa secolare diatriba che anche dopo l'unificazione italiana, precisamente nel 1865, tornerà puntualmente fuori, tanto che il Vaticano per l'ennesima  volta   si rifiuterà  di  essere sede di  un   consolato sammarinese. (36) Tuttavia nell'immediato la situazione si placò, anche perché nel 1858 la Repubblica consegnò ai carabinieri pontifici vari ricercati, e il Vaticano non ebbe più tanti motivi di contestare l'operato sammarinese. Il 1857 si può senz'altro considerare storicamente quindi come l'ultimo anno di gravi contese tra Stato pontificio e San Marino.

    Per concludere su quest'anno problematico, si può dire ancora che d'importante non accadde molto di più di ciò che si è già raccontato. Degna di nota può essere la legge ipotecaria sul bollo e registro promulgata il 26 marzo, (37) prima legge di questo tipo per San Marino; aveva lo scopo di mettere più ordine in un settore assai delicato della vita comunitaria, ed ancor più voleva fornire altri introiti fiscali ad uno Stato che, avendone pochi, sentiva l'esigenza di denaro per uscire da quella dimensione medievale in cui era ancora pienamente immerso, e che ormai avvertiva come arcaica e soffocante. Di economia parleremo lungamente più avanti; basti dire ora che questa legge, che entrerà in funzione praticamente il 7 gennaio del 1858 con l'apertura dell'Ufficio d'ipoteca, bollo e registro, non rimpinguerà più di tanto le casse dello Stato, e determinerà invece solo un leggero aumento degli introiti, piuttosto impercettibile rispetto alle enormi esigenze del momento.

    Questi bisogni impellenti erano causati soprattutto dalla mancanza di strade, perché quelle che vi erano o risultavano disastrate, o modeste, o insufficienti rispetto ad una popolazione in rapida crescita che capiva ormai che il suo futuro poteva dipendere in larga parte dai commerci, e quindi dai collegamenti con le zone limitrofe. Negli ultimi anni '50 si consolida gradualmente in ampie fasce della popolazione questa consapevolezza, e ancor più nel corso degli anni '60, periodo che io considero il punto di partenza per la formazione di un'embrionale forma di borghesia locale. Chi volesse leggere i verbali delle sedute consigliari di quest'epoca potrà facilmente constatare come in questi anni emerga una voglia di fare, un dinamismo del tutto assente fino ai primi anni '50, con una serie di richieste, puntualmente avanzate ai governanti, di chiaro sapore borghese. Più pressante di tutte è senz'altro la richiesta di strade, e in questi anni in particolare l'ultimazione della nuova strada di congiunzione tra Città e Borgo, strada iniziata fin dal lontano 1839, ma mai terminata per la costante carenza di denaro. Nonostante che la vecchia strada delle Piagge fosse ridotta "in stato pericoloso per gli uomini e per le Bestie", non si riusciva ad ultimarla, tanto che il 4 giugno, sempre del '57, si esamina in Consiglio un progetto di legge con cui i Sammarinesi compresi tra i 16 e i 60 anni, possidenti o coloni che fossero, dovevano "prestare annualmente una giornata gratis" per lavorare alle strade. Chi si rifiutava doveva stipendiare qualcuno al suo posto, ed inoltre veniva stabilita una tassa da pagarsi ogni ottobre in base all'estimo censuario e riservata esclusivamente alle strade. (38)

    E' chiaro che questa legge può considerarsi una sorta di grossolano tentativo di risolvere un problema sentito ormai come prioritario, senza avere in realtà i mezzi necessari per farlo. Non a caso la strada in questione verrà ultimata solo nel 1878 grazie a ben altri introiti rispetto a quelli che si voleva raccogliere nel '57, così come tutte le altre strade di cui già in questi anni si sentiva forte necessità, ma che potranno essere sviluppate e portate a termine solo negli ultimi trenta, trentacinque anni del secolo.

    Ultimo fatto degno di attenzione per quest'anno è l'iniziativa che emerse per opera di alcuni Toscani di voler scavare a Faetano una miniera, perché qui secondo loro vi potevano essere giacimenti di zolfo ed altri minerali. S'iniziò una fitta corrispondenza ancora rintracciabile nel Carteggio della Reggenza di quest'anno, nacquero speranze ed illusioni di poter trovare un'importante fonte di reddito, ma alla fine, dopo vari anni di discussioni intorno a questa possibilità, verrà lasciato cadere tutto sia per scarsa fiducia nei forestieri interessati, sia per timori vari legati alla mentalità pauperistica del ceto al potere, sia infine perché non vi era la matematica certezza che tale impresa potesse essere conveniente.

 

 

NOTE               APPENDICE

 

 

3 - Il 1858

 

    Il 1858 è certamente un anno molto più tranquillo di quelli precedenti, e pochi sono i fatti degni di menzione. Le polemiche con Roma  praticamente cessano del tutto, e quindi anche l'esigenza di stipulare trattati e definire le reciproche posizioni viene momentaneamente lasciata in sospeso. Il Consiglio non promulga alcuna legge, nè deve esaminare temi di particolare gravità o interesse. Le poche questioni che affronta riescono in genere ad essere solo preliminari, e non provocano durante l'anno riforme.

     Degna di qualche accenno può essere la proposta della Reggenza (Settimio Belluzzi-Giacomo Berti) presentata nella seduta consigliare dell' 11 marzo tendente a voler riordinare la Congregazione Agraria per "l'incoraggiamento della Agricoltura che costituisce la maggiore delle nostre ricchezze", e per "tener cura specialmente della buona direzione delle Acque", cura disattesa un po' su tutto il territorio. La proposta venne accettata e fu per questo nominata una commissione formata da 13 consiglieri per esaminare meglio il problema. Il 17 giugno la commissione portò in Consiglio un progetto che fu in massima parte accettato, ma che, da quanto mi risulta, per qualche motivo non fu mai trasformato in legge, nonostante che il Consiglio avesse deliberato in tale maniera.  (39) 

     Gli stessi Reggenti inoltre, sempre nella seduta dell'11 marzo, mostrarono "la convenienza e l'utilità che la pubblica Libreria fosse aperta almeno una volta alla settimana a comodo di chiunque". Il Consiglio fu d'accordo, e venne incaricato all'istante lo studente Federico Gozi, "giovane di buona indole, studioso e di felice speranza" di aprire la biblioteca una volta alla settimana. Per questa mansione avrebbe ricevuto un modesto compenso.

     In ottobre un altro fatto a cui si può brevemente accennare: il giorno 18 venne letto in Consiglio un progetto per la costruzione di un ospedale, istituzione che la Repubblica non aveva. In tale occasione si sottolineò la necessità di un simile servizio perché a San Marino esisteva solo un gruppo di "pietose donne" che accudiva come poteva gli ammalati, e che era stato affiancato nel 1839 dalla Congregazione di Carità "che portando i suoi soccorsi al domicilio degli infermi mirava allo scopo di temperare le loro angustie" con quei pochi scudi di rendita di cui poteva disporre.(40) Pure la creazione dell'ospedale tuttavia dovette aspettare tempi migliori, sempre per colpa della perenne mancanza di denaro, per cui anche questo progetto lo possiamo considerare solo preparatorio.

     Il 26 ottobre la nuova Reggenza (Filippo Belluzzi-Pasquale Marcucci) avanzò un'altra proposta interessante, e ormai ricorrente da parecchi anni: quella di compilare un "codice criminale che meglio risponda alle condizioni dei tempi", visto che gli Statuti del '600 a cui la Repubblica  ancora si richiamava erano indubbiamente per molti versi superati. Si suggeriva come giurista adatto a redigere questo lavoro il professor Luigi Zuppetta, il quale era stato proposto dall'incaricato di Torino Cesari, e sostenuto anche da Paltrinieri. Lo Zuppetta verrà poi assunto, ma la stesura del nuovo codice penale richiederà diversi anni, per cui anche in questo caso non possiamo per il momento registrare sostanziali novità nella situazione sammarinese.

 

4 - Il 1859

                                  

    Del 1859 dovremo parlare più a lungo, perché vi avvengono fatti assai importanti e degni di essere quindi attentamente analizzati. Tra l'altro è l'anno della prima Reggenza di Palamede Malpeli, ed anche su questo fatto dovremo spendere non poche parole.

    I primi mesi dell'anno non meritano particolare attenzione; non vi avviene nulla d'interessante, tranne il maltempo, assai piovoso e nevoso, che sempre determinava forti disagi sia per il paese che aveva vie di comunicazione facilmente deteriorabili, e già in larga parte deteriorate, sia per la sua agricoltura basata ancora su concezioni arcaiche, e strettamente vincolata al buon andamento delle stagioni. Degna di menzione può essere la proposta avanzata nel Consiglio del 10 aprile dalla nuova Reggenza (Giuliano Belluzzi, che era uomo di idee progressiste e riformiste, e Michele Ceccoli) di impiantare nel castello di Acquaviva una fabbrica per la lavorazione del cuoio. Egli invitava i "benestanti" della Repubblica a finanziare tale impresa sia per fare opera "filantropica", perché con essa si sarebbe dato lavoro ai tanti giovani disoccupati e si sarebbe fornito sicuramente qualche utile allo Stato che era bisognoso di denaro, sia per far opera "politica", perché avrebbe permesso a San Marino di creare un'industria in concorrenza con quelle delle zone limitrofe, e avrebbe contribuito a diminuire "il lagrimevole pauperismo, scatturigine di tutti i reati che (...) angustiano la nostra piccola società". Non bastava secondo la Reggenza creare un codice penale moderno (Zuppetta era arrivato a San Marino in febbraio e stava compilando tale codice con l'ausilio di una commissione locale da lui esplicitamente chiesta) (41) se non si estirpavano le cause prime dei delitti, ovvero proprio il pauperismo che costituiva senza dubbio "un insormontabile impulso alla infrazione della legge"; "la stessa inflessibilità e rettitudine della Magistratura -proseguiva la Reggenza- torna inefficace, laddove una Classe di Cittadini senta il diffetto del necessario per mancanza di lavoro". (42) Il Consiglio si dimostrò d'accordo su simile proposta, ed un paio di settimane dopo la cittadinanza fu avvisata con pubblico bando di tale iniziativa. (43) Nei mesi successivi si cercarono i finanziamenti per la fabbrica, anche tentando di coinvolgere, tramite il console sammarinese in Francia, uomini d'affari interessati, e adoperandosi per vendere le azioni della nuova industria. Nonostante ciò non si riuscì a portare a termine il progetto, pur dopo essere riusciti a vendere anche alcune azioni: infatti furono pochi i finanziatori dell'impresa, soprattutto per colpa della turbolenza dei tempi dovuta allo scoppio della seconda guerra d'indipendenza.

    Dei primi mesi dell'anno è anche la nomina del nuovo console sammarinese a Parigi, Enrico D'Avigdor, il quale venne accreditato alla corte di Napoleone III nell'ultima decade di febbraio, e fu ricevuto dall'Imperatore in persona nei primi giorni di marzo. Egli era stato proposto alle autorità sammarinesi dallo stesso Paltrinieri nell'ottobre dell'anno precedente, dopo che l'avvocato Canuti aveva dovuto rinunciare definitivamente, nel mese di settembre, a sostituire proprio Paltrinieri per l'ostilità manifestatagli dal Vaticano. (44) Balsimelli nel suo studio sulle rappresentanze diplomatiche sammarinesi (45) non tratta molto bene D'Avigdor; ed in effetti anch'io ho potuto constatare che a volte certi suoi comportamenti sembrano più da avventuriero che da diplomatico. Tuttavia egli divenne, in particolare nei primi anni '60, un corrispondente, e spesso un consulente fondamentale della Repubblica, capace anche di fornirle ottimi pareri, e di aiutarla ad uscire da quell' impasse di natura economica che la costringeva ad essere perennemente in uno stato di bisogno. E' chiaro che nel panorama sammarinese e rispetto alle locali consuetudini egli era, come lo sarà in minor misura pure Palamede Malpeli, una figura totalmente nuova, senz'altro molto disinvolta e forse addirittura spregiudicata, ma anche utile e stimolante per una realtà provinciale, conservatrice e chiusa in se stessa com'era ancora in questo periodo San Marino. Personalmente non mi sento né di condannarlo, né di esaltarlo: riconosco però il suo proficuo ruolo a vantaggio della Repubblica, anche se posso immaginare senza grosse difficoltà che non sia stato probabilmente mai del tutto disinteressato.

    La prima corrispondenza di un certo interesse di Avigdor è del 23 aprile, ed è strettamente legata a quanto stava succedendo in Italia dove, dagli accordi di Plombieres (20,21-7-1858) tra Francia e Savoia in poi, si era venuta preparando la guerra contro l'Austria. Nei mesi di febbraio e marzo l'Inghilterra aveva iniziato a svolgere un'opera di mediazione per sistemare in maniera pacifica la questione italiana, e sempre nel mese di marzo la Russia, stimolata in questo dallo stesso Napoleone, aveva proposto l'organizzazione di un congresso in cui discutere il problema. Avigdor scrive in proposito alla Reggenza, comunicando che, a suo parere, la Repubblica avrebbe dovuto farsi riconoscere anche dall'Inghilterra "onde avere una potenza di più, interessata a mantenere la sua esistenza", e che avrebbe dovuto chiedere a Cavour se reputava utile che San Marino fosse presente all'organizzando congresso. (app. n° 25) 

    La Reggenza gli rispose pochi giorni dopo, il 29 aprile, accettando i suoi suggerimenti, ed incaricandolo di recarsi in Inghilterra per conto di San Marino. (46) Il 27 però iniziò la guerra; Cesari da Torino scrisse per fornire qualche suggerimento alla Repubblica, visto che il progetto del congresso europeo era definitivamente tramontato. Egli proponeva di congratularsi con Minghetti, appena nominato segretario del ministero esteri, e di raccomandargli la protezione della Repubblica, dandogli magari anche un'onorificenza. Inoltre suggeriva l'invio di "un piccolo corpo di volontari da aggregarsi all' armata italiana"; "le cose d'Italia eccmi Signori -aggiungeva- prendono un imponente carattere a vantaggio di questo leale, e veramente nazionale Governo, e parmi quindi, che la nostra Repubblica possa liberamente far voti per la sua grandezza e prosperità". (47) Ovviamente la Repubblica si mantenne nella sua usuale politica della neutralità, e provvide a comunicare in data 14 maggio che l'invio di un corpo di volontari sarebbe stato senz'altro "un passo inconsiderato", e che quindi non l'avrebbe fatto. Ciò non toglie, tuttavia, che un cospicuo gruppo di giovani sammarinesi, approssimativamente una trentina, partisse per proprio conto per partecipare alla guerra, così com'era avvenuto anche in precedenza nel 1845 e nel 1848-49. (48)

    I tempi turbolenti suggerivano alle autorità sammarinesi non di alimentare l'incendio che stava divampando, ma di premunirsi ulteriormente contro qualunque mutamento fosse potuto accadere, per cui più che partecipare alla guerra, si preferì intrecciare amicizie e più fitti rapporti diplomatici con chi in seguito avrebbe potuto essere utile. Così, sempre nel mese di maggio, emerse l'intenzione di blandire ancora una volta la Francia, coll'offrire al principe imperiale il titolo di Generale onorario delle locali milizie, e venne contattata per la prima volta  l'Inghilterra tramite il console  Avigdor. Il 31 egli così scriveva: "Ho il piacere di annunciare alle SS.VV. II. che  i miei passi sono stati coronati da un pieno successo, e che sono stato ricevuto (...) non solamente come Incaricato d'Affari, ma come Inviato Straordinario e Ministro Plenipotenziario della Repubblica presso di S.M. la Regina Vittoria. Non mi resta ad aggiungere per più ampia informazione delle SS. VV. che questa particolarità, cioè che Lord Malmesbury (ministro degli esteri inglese -ndr) mi ha accolto colla massima benevolenza e m'ha ricolmo di cortesie e di gentilezze". La Reggenza gli rispose il 12 giugno felicitandosi per l'importante esito della missione, e comunicandogli la volontà di farsi rappresentare da lui anche "in qualche Stato della Germania, come in Prussia". (49)

    Negli stessi giorni la Repubblica tornò ad avere qualche problema col Vaticano, sempre pronto a tenerla sulle spine quando la situazione italiana era più effervescente e tumultuosa. Dopo varie lettere di lagnanze per i rifugiati che a detta dello Stato Pontificio avevano trovato dimora in Repubblica, una pattuglia di soldati svizzeri era penetrata in territorio senza il permesso delle locali autorità. Subito i Reggenti scrissero a Parigi e a Torino perché i loro rappresentanti informassero le corti francese e sabauda, ed il 14 giugno inviarono una solenne nota di protesta al Delegato di Forlì; ma come sempre non poterono far altro, e  dovettero rassegnarsi all'accaduto. (50)

    Nel mese di luglio la II guerra d'indipendenza venne ad interrompersi per l'armistizio di Villafranca firmato tra Napoleone e Francesco Giuseppe il giorno 11; tuttavia il processo da essa innescato continuava anche ad ostilità terminate. Intorno a San Marino dallo scoppio della guerra in poi si era venuta a determinare una situazione assai precaria e mutevole. Il 27 e 28 aprile era insorta Firenze e aveva cacciato Leopoldo II; il 1 maggio fu la volta di Maria Luisa di Borbone che per tre giorni dovette andarsene da Parma dove poté tornare, anche se  solo per un altro mese, grazie all'intervento a suo favore dell'esercito del ducato; dopo la battaglia di Magenta (4 giugno) è il duca di Modena Francesco V che se ne va lasciando il suo Stato praticamente in mano ai Piemontesi; il 12 a Bologna si svolge una dimostrazione popolare diretta dagli uomini della Società Nazionale che costringe il legato pontificio, cardinal Giuseppe Milesi Pironi Ferretti, ad andarsene: subito dopo viene costituita una giunta provvisoria di governo , il cui primo atto è l'invio a Cavour di un dispaccio in cui si offre la dittatura a Vittorio Emanuele II. Solo l'11 luglio però, a causa delle complicazioni diplomatiche che avrebbero potuto provocare un intervento piemontese nello Stato pontificio, viene inviato a Bologna con poteri di governatore Massimo d'Azeglio. Tra il 12 e il 22 giugno Ravenna, Forlì, Ferrara e tutte le altre città della zona insorsero senza spargimento di sangue, perché le truppe pontificie passarono dalla parte degli insorti, o si dispersero. Anche una parte delle Marche fino a Jesi e ad Ancona insorse, così come gran parte dell'Umbria. Il governo pontificio non assistette passivamente al frantumarsi del suo Stato: il 20 giugno Pio IX scomunicò gli insorti, e le sue truppe iniziarono una controffensiva che permise di rioccupare molte zone e città delle Marche e dell'Umbria. Rimasero però libere le legazioni fino a Cattolica, e al principio di luglio esse erano presidiate oltre che da forze volontarie locali, dalle truppe del generale Mezzacapo giunte dalla Toscana. Con la pace di Villafranca la delusione tra gli italiani fu tanta, così come la paura di ritornare alla situazione precedente lo scoppio della guerra. Ma la coscienza nazionale era ormai fortemente sviluppata nelle zone insorte, per cui non vi fu la restaurazione delle vecchie dinastie regnanti, come l'armistizio in parte prevedeva, ma una serie di plebisciti che determinarono nei mesi successivi l'annessione delle terre insorte al regno di Vittorio Emanuele II. Con la spedizione dei Mille del maggio 1860 si giunse all'unificazione di quasi tutta l'Italia.

    E San Marino? La Repubblica non poteva far altro che assistere passivamente al rapido evolversi degli eventi. Il 1 luglio la Reggenza inoltra le sue felicitazioni al governo provvisorio di Ravenna, il 13 stabilisce che "sia praticato un Atto di ossequio" a Massimo d'Azeglio a Bologna; sempre lo stesso giorno scrive al locale arciprete per dirgli che "non per cieco arbitrio, ma per prudenziali riflessi resta vietata al Sig. Arciprete Giannini, Uditore Vescovile la pubblicazione dell'Allocuzione di S.S.PP. Pio nono tenuta nel Concistoro secreto del 20 Giugno decorso"; il 14 scrive ad Avigdor comunicandogli che, contrariamente a quello che stava accadendo in Romagna, in territorio era tutto tranquillo; il 25 inoltra formale richiesta di scarcerazione per Trifone Pasqualini, detenuto per motivi politici fin dal 1854, (51) al regio commissario straordinario di Bologna, scarcerazione che viene concessa il 30. (52)

    Quanto stava accadendo in Italia aveva avuto quindi solo riflessi marginali in Repubblica, almeno all'inizio; ma anche con il nuovo Regno italiano ben presto iniziano polemiche, sempre per i soliti motivi che avevano così a lungo determinato attriti con il Vaticano: il ruolo di enclave che San Marino volente o nolente aveva. In agosto arrivano le prime richieste per la consegna di fuoriusciti; in ottobre da Bologna vengono lanciate accuse tendenti a sostenere che a San Marino si trovavano individui che invitavano i militari italiani alla diserzione, e che si esportavano a favore dello Stato pontificio cereali e vino; in novembre vengono perquisite numerose abitazioni alla ricerca di armi provenienti dalla Romagna, e che il governo regio assicurava essere qui nascoste; sempre nello stesso mese si fa seria l'ipotesi della creazione di dogane ai confini; in dicembre vengono richiesti altri rifugiati ancora. Il 26 ottobre la Reggenza aveva assicurato le autorità limitrofe che San Marino era neutrale,  che a parte qualche prete fuggiasco e qualche disertore non avevano dimorato in territorio altri individui ricercati, e che era improbabile che si rifornissero di cereali e vino i soldati pontifici. La situazione insomma non era tranquilla, ed in tempi in cui lo Stato sabaudo stava allargandosi di giorno in giorno dovettero sorgere non pochi dubbi sulla possibilità di potersi mantenere neutrali e anche indipendenti.

   D'altronde queste paure emergono nitide soprattutto negli anni successivi, e precisamente fino ai primi mesi del 1862 quando viene firmata la prima Convenzione italo-sammarinese, documento importante non solo per smussare i dissidi, ma soprattutto perché è il primo atto che sancisce in qualche maniera la sovranità di San Marino. Di tutto ciò parleremo meglio nel prossimo capitolo; ora sia sufficiente sapere che già durante la II guerra d'indipendenza il rapporto tra il neo Regno italiano e la  Repubblica non è del tutto pacato e lineare. Anche perché Zenocrate Cesari alla fine di luglio lascia il suo incarico per motivi personali, e il suo successore, l'avvocato Raffaele Consorti, potrà ricevere l'exequatur da Torino solo agli inizi di aprile del 1860, dopo non poche difficoltà e discussioni. (53)

 

 

NOTE               APPENDICE

 

 

4.1 - L'ordine equestre di San Marino

 

    Rimandando alle prossime pagine dunque l'esame dei problematici rapporti iniziali tra Italia e San Marino, analizzeremo ora altri avvenimenti importanti che si verificano nella seconda metà del '59, primo fra tutti l'istituzione di una decorazione ufficiale che tanti vantaggi diplomatici ed economici produrrà per San Marino. In verità la Repubblica disponeva fin dal 1852 di una "Medaglia del merito militare" distinta in tre gradi con cui premiava cittadini o stranieri che si erano resi particolarmente utili, o che le avevano prestato servizi degni di ricevere tale riconoscimento. Questa medaglia era stata all'epoca ideata e donata a San Marino da un suo estimatore toscano, il Duca di Bevilacqua, il quale nel 1857 aveva ben pensato di donare alla Repubblica una nuova decorazione    

"affinché tornasse al suo primitivo scopo tutto militare la medaglia ottagona da Esso donata anni indietro, e affinché la Repubblica stessa avesse così un più potente mezzo di eccitare la benemerenza, e venisse a ritrarre indirettamente dei non lievi vantaggi morali e materiali da ciò". (54) La Repubblica, non avendo in pratica altre maniere per manifestare la sua gratitudine a chi le faceva qualche favore, aveva utilizzato tale medaglia per diversi anni, senza badare troppo alla sua caratteristica militare. Nei secoli precedenti, quando non aveva medaglie da distribuire, in genere ricorreva all'assegnazione del patriziato, ma ora che i suoi orizzonti si erano notevolmente dilatati, e cominciava ad avere rapporti a livello internazionale, l'esigenza di onorificenze da distribuire senza troppi vincoli e problemi divenne sempre più pressante. Non a caso sono proprio i suoi nuovi incaricati e consoli, primo fra tutti Avigdor, a stimolarla nella creazione di medaglie simili a quelle che tutti gli Stati in quest'epoca distribuivano, e che erano molto ambite soprattutto tra i ceti medio-alti, cioè proprio tra coloro che più potevano essere utili alla Repubblica.

    Nel 1857 dunque il Duca di Bevilacqua avrebbe voluto fare una sorpresa a San Marino col donare un primo gruppo di medaglie, tra l'altro già commissionate ad un orefice, la cui distribuzione avrebbe dovuto essere regolamentata da uno statuto, anch'esso già compilato da Oreste Brizi, amico del Duca e della Repubblica. Purtroppo nel mese di giugno il Duca morì all'improvviso, lasciando a mezz'aria la sua intenzione. In ottobre Brizi scrive alla Reggenza inviandogli il suo "Progetto di Statuto per la Stella d'Onore Sammarinese", e raccontando le intenzioni ormai irrealizzabili del defunto Duca. Egli sperava però che il progetto di statuto potesse essere utilizzato ugualmente da San Marino, che veniva invitato a realizzare a proprie spese le nuove medaglie, perché a suo giudizio era "assai bizzarra, o meglio ridicola, una medaglia del Merito coll'epigrafe Anzianità, e perché non produce gli effetti che produrebbe una decorazione di forma più graziosa epperciò più gradita, e meno comune coi tanti segni d'onore che oggigiorno veggonsi sul petto dei soldati di tutti i Paese". Tutti gli Stati civili ed anche tutte le Repubbliche del mondo, secondo Brizi, avevano le loro onorificenze da poter distribuire, "perché dunque non dee averne la Repubblica di San Marino, Stato sovrano quanto altri mai?". (55)

    Nell'immediato il governo sammarinese lasciò in disparte la proposta, tanto che in novembre si fece dono dell'onorificenza a Cavour, e ad altri due personaggi della corte torinese. (56) Ma i rappresentanti diplomatici della Repubblica iniziarono a criticare sempre più la vecchia medaglia militare, e a chiedere qualche onorificenza migliore per potere lavorare ancora più proficuamente a suo favore, e crearle nelle maniere più consone ed opportune nuovi amici e simpatizzanti. Il primo che ebbe a ridire sulla medaglia sammarinese fu l'avvocato Canuti con lettera del 20 dicembre 1857, in cui suggeriva di rimpiazzare la decorazione in uso con una croce di ordine cavalleresco. (57) Questa richiesta indusse i governanti sammarinesi a sottoporre la questione a Paltrinieri, anche perché nel frattempo un certo Sonino o Sonnino di Livorno aveva chiesto per sé il titolo di Barone di Casole. Con lettera dell'8 gennaio 1858, quindi, la Reggenza esponeva al suo amico e consulente il progetto del duca di Bevilacqua inviato da Brizi, dicendogli inoltre che, secondo il governo sammarinese, l'istituzione di un ordine cavalleresco "poco armonizzava" con la locale  Costituzione, e che era "desideroso di non discostarsi tanto dalla sua antica semplicità", per cui aveva rifiutato il proposito del duca, dimostrandosi disponibile solo a togliere il termine "anzianità" che tutte le sue medaglie riportavano. Inoltre sembrava ai più che non fosse il momento migliore per dar vita a simile innovazione, e che era senz'altro meglio "astenersi da tutto ciò che può far parlar di lui", cioè del governo sammarinese appunto. A proposito della domanda di Sonnino la Reggenza informava Paltrinieri che "fino a questo punto non sono mai stati conferiti titoli siffatti, i quali per avere origine dall'antico feudalesimo ci sembrano per ver dire poco adattabili fra Noi anche per non far cosa che potrebbe riescire discara a tanti distinti personaggi ascritti al nostro Patriziato i quali verrebbero (...? -parola incomprensibile-) in grado inferiore ove ci facessimo a dar vita ad una Casta novella". (58)

    In questa lettera più che in altri documenti di questi anni emerge il problema in cui si stava dibattendo la piccola comunità sammarinese. Per secoli essa era vissuta in disparte ed in silenzio, senza aver contatti al di là dello Stato pontificio, né dilemmi di natura diplomatica, né particolari esigenze oltre la sua sopravvivenza, e la strenua difesa di un'ipotetica libertà la cui conservazione probabilmente compensava interiormente le tante rinunce a cui si era costretti in suo nome. Ora invece i tempi erano cambiati, San Marino era diventato "internazionale", perché era rappresentato alla corte napoleonica, e stava progettando di essere presente anche in altri Stati. Ora non si poteva più vivere nascosti, com'era avvenuto praticamente da sempre, nè permettersi quella tragica povertà che pur era stata un buon deterrente per eventuali mire annessionistiche, nè quella vita semplice a cui la lettera ingenuamente tenta di richiamarsi. Il Medioevo era finito, e con esso tanti aspetti storici che anche la Repubblica di San Marino non poteva più permettersi.Analizzando i documenti di questo periodo mi sono meravigliato nel verificare che in questi anni non esiste praticamente un problema di una qualche importanza che i governanti sammarinesi riescono a risolvere autonomamente, senza cioè dover ricorrere al parere di qualche loro consulente. Questo può significare soltanto che essi vengono precipitati all'improvviso in una situazione a cui non erano minimamente preparati, e che sicuramente doveva suscitare ansie e patemi. L'epoca che stiamo analizzando con questo studio è tutta caratterizzata da questa angoscia legata alla consapevolezza che bisognava progredire, ma anche al tragico senso di star perdendo un'epoca idilliaca, quella dei patriarchi e della semplicità, quella in cui i problemi erano facilmente risolvibili con il richiamo alla prassi tradizionale.

    Nella lettera inviata a Paltrinieri tutti questi aspetti sono evidenti, ed egli in effetti nella sua risposta del 22 gennaio non respinge l'ipotesi di creare una onorificenza del tutto nuova, consigliando velatamente così la Reggenza a non temere di compromettere la semplicità repubblicana di cui San Marino andava fiero. "Quanto all'istituzione di un ordine Cavalleresco -disse- pare anche a me non essere il momento molto opportuno a ciò. So che questa idea è stata emessa da molti; riconosco i vantaggi che può trarre un Governo dalla distribuzione di tali onori rendendosi benevoli i capi od almeno gli ufficiali più influenti dei Gabinetti Esteri; ho riconosciuto per esperienza che uomini anche molto in alto collocati, coperti già da tutte le croci d'Europa fanno buon viso, o piuttosto ambiscono le decorazioni meno importanti. Non sarei perciò lontano dal amettere una certa utilità per la Repubblica nella istituzione di un ordine cavalleresco. Penso però che tale istituzione dovrebbe avere una forma diversa da quelle stabilite dal Governi Monarchici: per conseguenza, non Gran Maestranza, non titoli e gradi di Grandi Ufficiali, di Commendatori ecc.ecc. ma soltanto un ordine di Cavalleria con cavalieri di prima, di seconda, e di terza classe. Parmi che ciò non ripugni alla forma repubblicana considerando che la Repubblica Romana, la Veneta ed altre hanno pur esse avuto un ordine di Cavalieri. Il Sovrano del Paese, Il Consiglio Principe, sarebbe l'assoluto distributore di tali onori". Riguardo al costo della decorazione, Paltrinieri suggeriva di farlo pagare direttamente al decorato come spesa di cancelleria, e in quanto al titolo di barone richiesto da Sonnino egli affermò che "le sole Monarchie hanno accordato titoli di Barone, e non parmi conveniente per la nostra Repubblica di dare un simile esempio. L'istituire poi un Barone di Casole sarebbe proprio un tornare a vita le idee di feudalità". (59)

    Da questa lettera in poi il problema di istituire nuove onorificenze diventa ricorrente, ed i governanti sammarinesi entrano gradualmente nella logica di dover creare un ordine cavalleresco. Il 1° ottobre è Brizi a ritornare alla carica sul problema, inviando nuovamente al neo-Reggente Filippo Belluzzi un progetto di statuto per la nuova decorazione sammarinese, e per protestare per le varie onorificenze da lui richieste per conto di altri, e mai concesse dal Consiglio, anche se alcune sarebbero state ricompensate con donativi in denaro di non lieve entità. Brizi si stupiva profondamente del fatto che San Marino, pur in condizioni economiche assai misere, rifiutasse le cifre promesse (2.000 franchi), mentre altri Stati, e portava ad esempio la Grecia, tramite i loro rappresentanti diplomatici chiedevano senza problemi doni, ricompensandoli poi con decorazioni. San Marino non doveva vergognarsi di aver bisogno della generosità degli altri, perché Stati ben più grandi non si vergognavano di incassare denaro con le loro decorazioni. Inoltre l'essere  repubblica non doveva impedire di istituire un ordine cavalleresco, perché ordini simili l'avevano, o l'avevano avuto e li utilizzavano senza preoccupazioni tutte le repubbliche del mondo. (60)

    Il 30 giugno 1859, in piena guerra d'indipendenza, è Avigdor ad esercitare pressioni sulla Reggenza: "In vista delle circostanze che debbano verificarsi dopo la Guerra conviene di preparare anticipatamente tutti i mezzi di persuasione dei quali ciascuno Stato può servirsi. Fra quelli che la diplomazia usa sempre impiegare tengono un gran posto le decorazioni le quali lusingano l'amor proprio degli uomini, e soddisfano la loro ambizione. La Repubblica avendo la sua medaglia, io non voglio proporre ch'ella cambi, ma io raccomando alla di Lei attenzione la nota qui acclusa la quale credo essere nell'interesse del Governo di considerare attentamente. Anzi io la impegnerei a prevalersi della Sua giusta influenza per far passare la mia proposizione relativamente alla medaglia. Bisogna riflettere che in appoggio della loro forza materiale gli altri Stati d'Europa hanno il denaro, le influenze di parentela, i ranghi, i gradi, le posizioni che possono dare, e i titoli. La nostra republica non ha che la sua modesta medaglia, mentre ignoro s'ella possa accordare titoli. Conviene dunque sviare con abilità il (...?) di questa modesta decorazione nel servizio e la conservazione della republica". Avigdor proseguiva suggerendo di rendere più appariscente e importante la decorazione sammarinese, così che fosse più allettante nel caso qualcuno l'avesse voluta, e particolarmente apprezzata dopo che fosse stata ricevuta. (61)

    Tutti questi inviti non lasciarono più indifferenti le autorità sammarinesi, le quali in data 14 luglio assicurarono Avigdor che al più presto si sarebbe portato prima nel Congresso degli affari esteri, poi in Consiglio un progetto di modificazione delle vecchie decorazioni. (62) E così fu, perché appena un mese dopo il Consiglio istituì ufficialmente una nuova decorazione il cui primo esemplare nel suo massimo grado di Cavalier Gran Croce venne donato in tutta fretta, ovviamente per la situazione in cui si trovava l'Italia e per il peso che in questa situazione aveva la Francia, al figlio di Napoleone III. (63) Lo statuto del nuovo ordine equestre venne invece promulgato sette mesi dopo, il 22 marzo 1860, insieme a quello per la medaglia del merito militare e civile, e solo dopo tale data vennero consegnate altre onorificenze. (64) Anche su questo ritorneremo nei prossimi capitoli quando parleremo degli effetti economici determinati da questa innovazione, ma anche delle crisi morali sviluppatesi nei governanti della vecchia guardia, quelli cioè ancora vincolati alla logica della semplicità e della povertà.

 

 

NOTE               APPENDICE

 

 

4.2 - La prima Reggenza di Palamede Malpeli

 

    Per concludere il discorso sul 1859, ma anche per introdurre gli anni '60, occorre ora parlare di quel Palamede Malpeli che ci sta accompagnando fin dal titolo di questo testo, ma su cui ancora si è detto ben poco. Il semestre ottobre 1859 - marzo 1860 è quello della sua prima Reggenza, ed è sicuramente l'occasione migliore per presentarlo.

    Egli nasce il 10 marzo 1834 da Alberto e Marina Meloni, e viene adottato quattro anni dopo dal consigliere nobile, nonché membro tra i più influenti della locale oligarchia, Giuliano Malpeli, suo padrino, diventando a tutti gli effetti Palamede Malpeli. (65) Crescendo  compie studi superiori, senza però mai giungere a laurearsi, e si sposa con Silvia Braschi da cui avrà tre figlie (Marianna, Giuseppina, Antonietta), e da cui si separerà nel 1885. Il 24 giugno 1857 viene nominato consigliere, e due anni dopo, il 13 marzo 1859, viene proposto per la Reggenza, ma non riesce eletto. Diventerà invece Reggente nel semestre successivo in compagnia di Piermatteo Berti.

    Fin dall'inizio del suo mandato, manifesta tutto l'entusiasmo dei suoi 25 anni e della sua indole attraverso una lunga ed articolata relazione che egli espone al Consiglio in data 30 ottobre, e che fa verbalizzare, caso raro, all'interno degli atti consigliari. (66) Partendo dal desiderio di mostrare "le piaghe" che il Paese in quel periodo aveva, e la responsabilità in tale stato di cose del Consiglio, non solo per avanzare facili critiche, ma soprattutto per individuare rimedi, Malpeli compie un'attenta disanima di quello che a suo giudizio era da fare subito, prima che la Repubblica andasse del tutto in rovina. Dal quadro che ci dipinge la situazione era quasi disperata: "Le casse pubbliche prive del denaro necessario, il Governo gravato di qualche debito, le strade ridotte tutte a vergognosamente impraticabili, le torri, la rocca, le mura minaccianti ruina, i pubblici edifici crollanti, e venuti a tale stato, che né alla maestà del Principe convengono, né alla stessa povertà spartana potrebbero essere addicevoli. Il servizio di Polizia reso da una parte inutile ed illusorio, dall'altro non poco dispendioso; la macchina interna governativa quasi tutta in qualche disordine, le stesse famiglie soggette a risentire nella loro privata economia il disguido delle cose pubbliche: le leggi sapientissime, ma inosservate, l'elemento religioso indispensabile per ottenere l'ordine pubblico delle masse, ridotto in uno stato d'incuranza e di avvilimento; i Sammarinesi buoni per natura sedotti dal mal'esempio di qualche tristo, darsi in preda all'ozio, al giuoco, all'ubriachezza, sorgenti miserande di povertà, d'ignoranza, di litigi di continuo disordine. E ciò che è peggio si è che a questi mali, che ora deploriamo, la nostra più scelta gioventù si appiglia, in luogo di correre la via dell'educazione e dell'istruzione approfittando di quei sufficienti mezzi, che la cura dei nostri maggiori e dell'attuale governo ci fornisce nel Nobile Collegio Belluzzi, e nelle altre pubbliche guise d'insegnamento. E se pure qualcuno si confaceva a questa nobile palestra, spesso per povertà della propria famiglia è costretto a cercar fuori della patria quel pane, che questa forse non potrebbe dargli. Avegnachè è costretto ad accumulare due o più impieghi in uno stesso individuo, perché questi abbia modo di sostenere la vita. Egli è per questo motivo, o Sovrano Consiglio, che molti degli stessi cittadini forse scontenti del nostro Governo, ed anziché cooperare all'ordine ed al ben pubblico, sono primi promotori di disordine".

     L'immagine che emerge di San Marino all'interno della lunga relazione di Malpeli è quasi apocalittica, ma la fonte che ce la mostra, ovvero il Reggente nobile che parla dinanzi al Consiglio riunito, è quanto di più autorevole si possa ipotizzare, per cui questo doveva essere veramente l'aspetto della Repubblica in questi anni, anche se è logico supporre una certa enfasi legata alla giovane età del relatore. Ma cosa proponeva Malpeli per risolvere tutti questi guai? Molto semplice, almeno a dirsi: cambiare registro e porsi sulla via della modernità, e soprattutto reperire denaro, tanto denaro. "Coi denari si tolgono i debiti, si fanno le strade, si restaurano gli edifizii, si mantiene la vera polizia, -sentenzia il giovane Reggente- coi denari finalmente con saggezza impiegati si moralizza, e si fa felice un popolo". I metodi per procurarseli potevano essere diversi: Malpeli ne suggeriva sette che possiamo definire leciti e morali, ed indirettamente un ottavo, definito però "scandaloso e indecoroso", consistente nella vendita sistematica delle onorificenze che la Repubblica, come sappiamo, stava proprio in quei mesi istituendo. I modi leciti erano i seguenti:

1 - Riscossione dei crediti pubblici e dei canoni enfiteutici.

2 - Riscossione della cinquina sui beni acquistati in Repubblica da non cittadini senza preventivo permesso.

3 - Apertura della miniera di zolfo.

4 - Creazione di un catasto urbano.

5 - Stampa e vendita del nuovo codice penale.

6 - Istituzione di una tassa sui passaporti "distinti".

7 - Coniazione di moneta.

  Tralasciando l'analisi dettagliata delle singole voci (si veda direttamente il documento nella sua formulazione originale in appendice al n° 1), si può in questa sede dire che Malpeli era fermamente convinto che tutti i mali che travagliavano San Marino dipendessero esclusivamente dagli scarsi introiti della Repubblica, e che per questo occorreva attuare subito precise riforme di natura economica e fiscale per ricavare quelle poche migliaia di scudi in più con cui costruire o sistemare le strade e le infrastrutture in genere, saldare i debiti che la Repubblica aveva, fornire lavoro ai bisognosi ed eliminare alla fonte le endemiche cause del locale pauperismo. I tempi non erano più quelli degli "avi", sottolinea ripetutamente Malpeli facendo intuire così come molti consiglieri dovevano essere fermamente vincolati ad un becero conservatorismo: "Noi non nasconderemo a Noi stessi -precisa il Reggente- che molti di Voi, ragionevoli settatori del costume degli avi, non vi sentirete troppo inclinati a questo passo di progresso. Voi direte: di ciò non ebbero bisogno i nostri avi e la Repubblica è sempre esistita. Restiamo nella nostra povertà, e manterremo la nostra politica esistenza. Ebbene noi vi risponderemo: volesse il Cielo che la Repubblica si trovasse ora nello stato in cui era al tempo dei nostri avi. Allora la città era popolata da ricchi possidenti, alle casse pubbliche non mancava denaro, i cittadini educati a più severi costumi, amavano meno i comodi della vita. Maggiore era il numero degli uomini istruiti, perché maggiori i mezzi finanziarj. Minori erano le spese del governo, perché minori gli abusi, minori i bisogni, maggiore era la temperanza nei sudditi, perché minori idee di progresso e di civiltà, e diremo ancora di corruzione, esistevano fra noi. Ma ora il quadro è molto cangiato. Scarse sono ridotte le famiglie dei possidenti, che possano riversare sul popolo artigiano il denaro ritratto dalle loro rendite. Scarsissime le famiglie, che possano mettere nella via della vera dispendiosa istruzione i propri figli. Le casse pubbliche per i passati abusi, che ognuno conosce, sono in quello stato, che ognuno sa: il popolo, lo diremo pure, cresciuto con più rilassata educazione, sente bisogni, che pria non aveva, e dall'altra parte mancano le risorse alla sua infiacchita energia. Che anzi ringraziamo il Cielo, poiché ciò si verifica in molto maggiore proporzione in tutti gli altri siti. Questa è una legge del progresso, alla quale noi non ci possiamo opporre, rimanendoci stazionarj, perché legge da Dio impressa nella natura stessa delle cose allorché ad esse dette e vita e movimento. Ma i popoli degli altri stati mercè del progresso hanno nuove risorse, che noi ancora non abbiamo. La Repubblica pertanto deve per necessità progredire ancor essa, adottando quelle leggi e quei sistemi dal progresso condotti, non certo all'impazzata, ma dopo che la esperienza di qualche tempo ne abbia resa manifesta e la ragionevolezza, e la utilità. Nè noi pretendiamo infine colla nostra proposizione di rendere la Repubblica ricca e possente, perché noi allora mineremmo alla sua salute, ma solo di ridurre i suoi erarj a quel tanto che è indispensabilmente necessario, per soperire a principali urgentissimi bisogni dello Stato".

    Trovo questo documento assai rilevante, e penso che lo si possa comodamente porre al fianco di altri documenti simili,  altrettanto importanti, elaborati nelle prima metà del decennio, tutti tesi ad esigere profonde innovazioni politiche e sociali, di cui ho a lungo parlato nel "Delitto Bonelli". In altre parole si può senza dubbio dire che questa relazione si riallaccia a quella tradizione riformista e anche democratica di cui vi è ricorrente traccia in tutta la prima metà dell'Ottocento, e che si accentua maggiormente intorno al '48, fino a provocare profondi dissidi tra la popolazione, ed in particolare tra gruppuscoli di Sammarinesi formanti quasi dei partiti in embrione, dalla fisionomia ideologica non sempre ben definibile, ma comunque sempre presente e differenziante rispetto alla cultura dominante.

    D'altra parte anche Malpeli è di quella generazione nata intorno agli anni '30 che più di altre aveva già agitato fortemente le acque sammarinesi usualmente tranquille, arrivando addirittura a perpetrare l'assassinio di un Segretario politico. Il giovane Reggente appartiene però alla locale elite, e non ha bisogno di usare i feroci toni adoperati dai suoi coetanei o quasi nei primi anni '50. Può permettersi di rimanere nell'ombra finché non diventa appunto Reggente, e poi con linguaggio concreto e chiaramente positivista (Malpeli è di certo la prima figura d'inclinazione positivista, anche se non assolutamente materialista, che la storia sammarinese ci presenta), sciorinare una serie di critiche alla vecchia nomenklatura, rea di essere ancorata a modelli culturali arcaici e stantii. Le parole che utilizza non sono in realtà né violente, né particolarmente aspre, anche perché Malpeli usa tutte le astuzie possibili per lenirle e renderle meno pungenti ed offensive. Ma ad una gerontocrazia patriarcale com'era il governo sammarinese dovettero risuonare in maniera molto dura, e probabilmente provocare in diversi consiglieri parecchio disdegno. Malpeli è quindi una voce nuova alquanto stridula rispetto alle voci del passato, una voce che stigmatizza l'usuale conservatorismo della oligarchia dominante, nonché la sua proverbiale prudenza, per urlare che la situazione in cui versava il paese non era più quella in cui si trovava nel mitico tempo degli avi, tempo in cui tutti erano felici, laboriosi, e patriottici, ma in un'epoca nuova, in cui si muovevano da più parti aspre critiche all'operato dei buoni padri che gestivano la comunità, ed in cui ci si allontanava sempre più da quella cultura e da quei modelli che avevano costituito le fondamenta sulle quali era stata eretta l'antica società sammarinese.

    Malpeli aveva chiaramente capito che se non si diventava un po' più spregiudicati, abbandonando nel contempo un certo modo di gestire la società che affondava le sue origini sicuramente nel periodo medievale, si rischiava di compromettere la stessa sopravvivenza dello Stato, non tanto per i soliti motivi legati al pericolo di venir inglobati nello Stato pontificio, quanto per un probabilissimo collasso interno. Non aveva del tutto capito (ma d'altra parte questo era assai difficile per i suoi tempi in cui non si aveva un'esatta cognizione della consistenza numerica passata e presente della popolazione) che buona parte dei mali della comunità sammarinese si doveva ad un crescita repentina e sproporzionata dei residenti rispetto al loro trend secolare, e ovviamente rispetto alle misere e mal sfruttate risorse del territorio. (67)

    Ugualmente non gli doveva essere troppo chiara la profonda incidenza della nuova cultura risorgimentale su una fascia di gioventù che non accettava più un sistema politico e gestionale considerato primitivo e non confacente ai bisogni generali. Tuttavia pur senza riuscire a cogliere in tutto le cause dei locali problemi, era ben consapevole della necessità impellente di battere nuove strade, non solo perché i tempi lo richiedevano, ma soprattutto perché era la stessa struttura interna della società sammarinese ad essersi intimamente modificata nella sua mentalità, nella sua dimensione economica, nella sua fisionomia complessiva.

    Non sappiamo ancora per mancanza di studi specifici, così come non lo sapeva Malpeli, se realmente il tempo degli avi che il Reggente cita più volte fosse così idilliaco e felice com'egli afferma. Migliore doveva esserlo senz'altro, perché la popolazione era esattamente la metà rispetto a quella degli anni che stiamo esaminando, e lo Stato sammarinese poteva tranquillamente mantenere il suo aspetto medievale, con le sue poche famiglie latifondiste e abbienti che detenevano un potere assoluto sulla piccola comunità, e tutti gli altri succubi di questa situazione, fors'anche serenamente o meglio fatalisticamente. D'altra parte nel "Delitto Bonelli" credo di aver già sottolineato adeguatamente che nella prima metà dell'Ottocento questa realtà sociale già stava manifestando di essere al tramonto, e di non essere più accettata in particolare dalle generazioni più giovani.

    Ovviamente questa insoddisfazione cresce ancor più nella seconda metà del secolo scorso, e la relazione Malpeli ne è un chiaro sintomo. Sarebbe interessante sapere fino a che punto il giovane Reggente espone una verità storica e non solo un'opinione personale quando afferma che anche le famiglie patriarcali di Città che da sempre detenevano il potere politico, economico e culturale, avevano subito una sensibile mutazione, depauperandosi e non riuscendo più a sostenere economicamente la classe artigiana. Purtroppo in assenza di seri studi in proposito non sappiamo effettivamente quanto sia fondata tale affermazione, o quanto queste famiglie non riuscissero più a svolgere un simile servizio sociale perché la popolazione si era cospicuamente dilatata, e con essa certamente anche la classe operaia. E' vero però che nel corso dell'Ottocento diverse famiglie che da sempre comandavano a San Marino si estinguono, oppure espatriano e non curano più i loro interessi locali. Questo in una comunità povera e modesta deve avere senz'altro provocato ripercussioni.

    In attesa quindi che qualche studio specifico faccia maggiore luce su questo fondamentale problema storico, possiamo senz'altro ritenere che in parte i problemi sociali di San Marino dovevano essere legati alla crisi strutturale delle famiglie appartenenti all'oligarchia, in parte al boom demografico in corso, in parte alla nuova cultura più laica e più pragmatica che stava evolvendosi col Risorgimento, e che stava soppiantando quella precedente. Non è casuale che Malpeli sostenga che i valori religiosi, indispensabili "per ottenere l'ordine pubblico delle masse", fossero ormai ridotti in uno stato "di noncuranza e di avvilimento"; né può essere casuale tutto il discorso che svolge sulle nuove e più rilassate abitudini esistenziali dei Sammarinesi rispetto al passato. E' chiaro che Malpeli è il testimone della nascita di una nuova epoca, quella che da lì a poco avrebbe visto la fine di una Repubblica vincolata anima e corpo alla statica realtà dello Stato Pontificio, quella che era ormai ad un passo dalla fine del suo Medioevo.

 

 

 

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capitolo II

                    

                   

GLI ANNI SESSANTA

 

1 - I primi anni: i rapporti col Regno d'Italia

 

    Gli anni Sessanta ebbero inizio con la forte paura da parte dei Sammarinesi di perdere la loro indipendenza per colpa degli sconvolgimenti che stavano interessando l'Italia, e con la decisa volontà di attuare tutti i passi diplomatici necessari per conservarla. Alla fine del '59 aveva preso corpo tra le maggiori potenze europee l'idea di convocare un congresso internazionale in cui discutere la nuova fisionomia dell'Italia. I governanti sammarinesi, ben consci dell'importanza che avrebbe sicuramente avuto questo congresso anche per loro, decisero nell'ultima seduta consigliare del 1859, precisamente in data 29 dicembre, di voler ad ogni costo essere presenti a tale congresso,perché nel 1815, nel congresso di Vienna, la Repubblica era stata "dimenticata", e ciò le aveva causato enormi problemi con lo Stato Pontificio per le pretese di protettorato che quest'ultimo avanzava, e, in definitiva, perché la sua sovranità non era mai stata sancita ufficialmente in nessuna sede internazionale. (1) Probabilmente si pensava che la partecipazione a tale congresso sarebbe servita non solo per parlare in prima persona delle questioni sammarinesi, ma anche per avere finalmente una sorta di sanzione europea dell'indipendenza della Repubblica. Perciò si decise di nominare Avigdor come plenipotenziario di San Marino, con la funzione di partecipare al congresso (che però era ancora completamente da organizzare) qualora questo fosse stato convocato.

    Come si sa, questo congresso non ebbe mai luogo, perché nei primi mesi del 1860 con il ritorno di Cavour alla guida del governo piemontese, e la spedizione dei Mille, l'Italia divenne regno unitario sotto Vittorio Emanuele II, e l'idea federalista sostenuta dalle nazioni europee venne a tramontare. La Repubblica di San Marino dovette quindi percorrere altre strade per legittimare la sua sovranità, ed intavolare colloqui direttamente con il Regno italiano, senza poter usufruire dell' avallo di un congresso internazionale. Comunque la Repubblica aveva altre carte da poter giocare a sua difesa anche senza tale legittimazione, prima fra tutte quella legata alla sua condotta prudenziale e neutrale in nessuna occasione abbandonata, atteggiamento che se pur non le aveva consentito di salire mai sul carro del vincitore, non l'aveva nemmeno mai costretta a prostrarsi ai suoi piedi. Inoltre giocavano a suo favore il nome, le dimensioni microscopiche, la tradizione, la simpatia di tutti, in particolare di Vittorio Emanuele II che gliela testimonierà ripetutamente, e di Napoleone III. Tutti fattori che le venivano in aiuto, e che le permetteranno poi di notificare al pubblico nel mese di gennaio del 1860 "la vantaggiosa posizione in cui trovasi la Repubblica in faccia ai Governi Esteri, e gli elogi che la sua condotta politica ha saputo meritare". (2)

  In realtà questo proclama doveva essere più un tentativo di tranquillizzare gli animi che una realtà. Infatti quando fu emanato la situazione attorno ai confini sammarinesi era assai instabile e confusa per poter avere un'idea chiara di come sarebbe stata l'evoluzione degli eventi, e di chi sarebbe stato l'interlocutore, o gl'interlocutori, con cui affrontare il problema della posizione di San Marino all'interno del nuovo panorama politico che andava maturandosi. Solo nel mese di marzo infatti, precisamente nei giorni 11 e 12, in Emilia ed in Toscana si svolgono i plebisciti che permettono a queste due regioni di annettersi al Regno sabaudo. Le Marche, invece, vengono annesse solo con plebiscito del 21 novembre, per cui possiamo dire che è solo da questo periodo che San Marino comincia ad avere chiaro il nuovo quadro in cui si sarebbe verosimilmente venuto a trovare.

    Gli atti consigliari d'altronde ne sono una precisa testimonianza: solo nel Consiglio del 25 febbraio 1861 infatti la Reggenza afferma che San Marino non poteva più permettersi il lusso di rimanere indifferente difronte alla nuova realtà politica che si era consolidata al di là dei suoi confini, e propone di manifestare a Vittorio Emanuele II "parole sincere e di affetto", e di offrire al principe ereditario il Gran Cordone di San Marino, e a Cavour il titolo di Cavaliere di prima classe. (3) Questo fatto ci fa facilmente intuire che nel '60 il governo sammarinese verosimilmente attendeva l'evolversi degli eventi, con la sua solita prudenza e neutralità, forse nemmeno troppo convinto che sarebbe cambiata più di tanto  la situazione politica preesistente.

    Eppure i problemi con i nuovi funzionari del Regno italiano iniziarono fin da subito, tanto che il 7 gennaio 1860 l'Intendente di polizia di Cesena, avvocato Achille Serpieri, chiede alla Reggenza una copia della locale legge sui forestieri, copia che gli viene spedita immediatamente e da cui ricava, dopo averla letta, che occorreva stipulare appena possibile un trattato di estradizione. L'intendente era alle prese con un processo per omicidio, delitto che secondo le testimonianze raccolte era stato perpetrato a San Marino. Addirittura si sospettava che il cadavere dell'ucciso fosse stato occultato in una sepoltura improvvisata presso il "Gengone" in Borgo.  Proprio per verificare la veridicità delle testimonianze raccolte, egli si era recato a San Marino intorno alla metà di gennaio, e con l'ausilio del locale commissario della legge aveva svolto indagini e perlustrazioni per scoprire il cadavere, che però non si riuscì a trovare. (4)

    Al di là della vicenda, è interessante rilevare come fin dal suo primo consolidarsi il nuovo regno guardasse con rispetto lo Stato sammarinese, tanto da proporgli la stipula di un trattato (che diplomaticamente avrebbe avuto un valore immenso, visto che il Vaticano non aveva mai voluto creare trattati con San Marino). Tuttavia ancora una volta il primo abboccamento avviene per l'eterno problema dei rifugiati, e per il ruolo di enclave che lo Stato sammarinese volente o nolente assumeva. Le principali polemiche con il neo-Stato italiano nei suoi primi anni di vita avverranno proprio per questi motivi, anche se ora San Marino verrà investito di una sovranità mai riconosciutagli in precedenza dallo Stato della Chiesa.

    Nei mesi successivi le polemiche sui rifugiati continuarono, e San Marino tornò a comportarsi anche con il neo Stato come si era sempre comportato col Vaticano. Così il 25 gennaio invia rallegramenti ufficiali al Cavour, per il suo ritorno alla guida del governo piemontese, pregandolo di interessarsi affinché il nuovo console sammarinese Consorti potesse ricevere in fretta l'exequatur. (5) La preghiera determinerà effetti quasi immediati, poiché Consorti diventerà ufficialmente console ai primi di aprile. Negli stessi giorni San Marino complimenterà Vittorio Emanuele II, di passaggio a Bologna, tramite il suo rappresentante in questa città, marchese Francesco Albergati Capacelli. (6)

    Questa fine opera di captatio benevolentiae non risparmierà a San Marino le polemiche relative al suo ruolo di rifugio per i malviventi; così a metà maggio Cavour scrive una lettera accusatoria in cui si afferma che "i malviventi delle Romagne, ed i disertori del R.o Esercito trovano facile e sicuro asilo sul territorio di codesta Repubblica di S. Marino, e che non venendovi né invigilati né repressi, fanno liberamente scorrerie nei paesi confinanti, donde commessevi invasioni e reati, ritornano impunemente a ricettarsi nel dominio San Marinese. La stima che il Governo del Re professa per i Rettori di codesto libero paese, lo rende persuaso che tale abuso di ospitalità, avviene a loro insaputa, e contro alle loro intenzioni. Ma le S.S.V.V.Illme sentiranno, che per una parte la tutela che ci deve alla morale e quiete pubblica non consentirebbe al R.o Governo di rimanersi indifferente ad un fatto, da cui vengono minacciate le sostanze e le persone dei suoi sudditi, e che per altra parte la tolleranza, che continuassero a trovare sul territorio di S. Marino pubblici malfattori, non potrebbe a meno di nuocere alla riputazione della Repubblica, ed alle sue relazioni cogli Stati vicini. Ho pertanto intera fiducia, che fatte avvertite di questo stato di cose, le S.S.V.V.Illme vorranno prendere pronti e severi provvedimenti per andarvi al riparo, o niegando assolutamente l'ingresso sul territorio della Repubblica a malandrini e disertori, od almeno impedendoli rigorosamente, una volta che vi sieno penetrati, dall'uscirne a manomettere le proprietà dei paesi finittimi. Spero che i riscontri, che riceverò dalle S.S.V.V.Illme, daranno al Governo del Re piena sicurezza a questo riguardo". (7)

    Chi ha letto le lettere scritte da monsignor Bedini alla Reggenza, che ho riprodotto in appendice al "Delitto Bonelli", può riscontrare quante analogie vi siano con questa missiva di Cavour, anche se i toni ed il modo di rapportarsi nei confronti dello Stato sammarinese sono chiaramente diversi. Pure la risposta della Reggenza fu identica a quelle fornite in passato alle autorità pontificie: non vi erano malfattori in Repubblica, tutto era in realtà sotto controllo, e simili voci erano fatte circolare ad arte dai nemici di San Marino che tramavano a suo sfavore. (8) Tuttavia come sempre qualcosa di vero doveva esserci, sia perché fu ordinato immediatamente al comandante delle locali milizie di accentuare il controllo dei confini, sia perché arrivarono diverse lettere del generale Cialdini da Bologna in cui si continuava a sostenere quanto affermato da Cavour, ed in cui si diceva anche che i fratelli Polverini, insieme ad un non meglio definito Martelli, facevano propaganda contro l'esercito piemontese, invitando i soldati a disertarlo. Alla fine di maggio apparve sulla "Gazzetta del Popolo" di Bologna l'immancabile articolo denigratorio del seguente tenore: "La repubblica di S. Marino è il nido della reazione papalina: là si ricovrano tutti i mestatori austro-clericali, e di lassù vengono insinuazioni, e denaro per tentare delle diserzioni in mezzo alle nostre truppe. Quantunque repubblica, non ha avuto S. Marino né ha mai le più sincere tenerezze per quanto sa di patrio e di liberale? Crediamo che Cavour abbia fatto sentire la sua voce fra quei monti, e che si faccia senno; lo speriamo." (9)

    San Marino corse ai ripari smentendo ufficialmente le informazioni contenute nell'articolo, informando Avigdor in data 26 maggio delle ultime polemiche di cui era bersaglio, e raccomandandosi di "star in guardia, ed a promuovere di conservare la Repubblica nella grazia di Napoleone III". Avigdor si fece premura di rispondere col dire che si poteva senza dubbio contare sulla protezione dell'Imperatore, ma di evitare categoricamente che all'interno della Repubblica potessero svilupparsi partiti avversi alla situazione in atto. (10) Inoltre fu inviato il console Consorti presso Cavour. Costui relazionò sul suo incontro con lettera del 20 giugno, dicendo che il ministro gli aveva manifestato le sue ottime disposizioni verso il piccolo Stato, che "non solo non ha da temere dal Governo del Re, ma deve anzi aspettarsene simpatia, rispetto e protezione". (11)

    Ma di timori in realtà dovevano esservene tanti, e molto angosciosi. Lo si può dedurre da un fatto piuttosto inusuale nella tradizione sammarinese, e che verosimilmente non sarebbe avvenuto se il contendente fosse stato ancora lo Stato della Chiesa: l'arresto, non preventivamente richiesto, di due disertori dell'esercito sabaudo agli inizi di luglio, e l'offerta di consegnarli al Piemonte, anche senza un trattato di estradizione, purché ciò fosse richiesto "nelle vie officiali e diplomatiche". E' evidente la volontà di San Marino di voler trattare la questione da Stato a Stato, ma è anche evidente che i due disertori, consegnati il 1° agosto, venivano immolati per rasserenare Cavour, quasi fossero vittime sacrificali. L'effetto ottenuto fu però assai positivo, perché ai primi di agosto Cavour scrive per esprimere tutta la sua soddisfazione per l'avvenuta consegna, "ed assicura che mercè questo scambio di utili ed amichevoli servigi si avvantageranno d'assai le relazioni fra il governo di S.M. e quello della Repubblica". (12) Il 7 ottobre, per legittimare il proprio operato, fu promulgato da parte del Consiglio un decreto tramite cui si stabiliva che i disertori non dovevano essere considerati alla stregua di rifugiati. (13)

    I guai con l'Italia però non terminarono, sia perché vi furono sconfinamenti da parte dei bersaglieri, sia perché vennero attivate parecchie dogane intorno al territorio sammarinese con conseguenti difficoltà per i commerci, sia perché dopo l'annessione da parte piemontese anche dell'Italia centro-meridionale, cominciarono a circolare voci, puntualmente riferite ad Avigdor con lettera di novembre, tendenti a chiedere anche l'annessione del territorio sammarinese. "Amiamo di farle conoscere -gli fu scritto- che non mancano dei maligni che spargono voci contro questa Rep. addebitandole ch'essa dia ricetto ai disertori ed ai Coscritti dello stato limitrofo e che li fornisca di Fogli di via specialmente per Roma, e su queste false basi fondato il partito unitario va dicendo che il Territorio della Repubblica anderebbe incorporato al Regno Italiano. Noi non temiamo che si faccia ingiuria al voto del popolo Sammarinese ma crediamo che questo Monte dove è rimasto per tanti secoli il deposito della libertà italiana sarà conservato nella sua autonomia e indipendenza". (13a) A questo proposito egli si sentì in dovere di rispondere sollecitando la Reggenza "a procurare che il popolo Sammarinese conservi un vivo attaccamento alla propria autonomia e indipendenza". (14)         

    Simili esortazioni furono da lui avanzate anche in seguito, perché il 1861 fu problematico come il 1860. Infatti fin da gennaio scoppiò una polemica, fomentata da vari giornali del circondario, relativa ad undici-dodici "grandi casse" di armi dei garibaldini che si reputavano rimaste in territorio dal 1849. Agli inizi di febbraio Cavour ne chiese ufficialmente la consegna, ma la Reggenza gli rispose che erano state consegnate agli Austriaci già da parecchio tempo. (15) Inoltre si premurò di scrivere direttamente a Garibaldi affinché smentisse le false voci su tali armi.   (16) Garibaldi da Caprera rispose due settimane dopo, specificando che un cittadino sammarinese gli aveva scritto mesi addietro per comunicargli che all'interno del Convento dei Cappuccini e del Palazzo Pubblico si trovavano ancora molte armi, e per esortarlo "a procurarne il ritiro per utilizzarle a pro dell'Italia". Era stato proprio Garibaldi a comunicare la notizia al Ministro della guerra, e quindi ad essere la causa delle voci che avevano iniziato a circolare. Ovviamente la Reggenza, preoccupatissima di fornir ulteriori motivi di attrito al Regno sabaudo, s'industriò alacremente perché anche questo fatto venisse ridimensionato, per cui, dopo essersi informata dall'allora Reggente Belzoppi sullo svolgimento dei fatti, (si veda la sua risposta in app. n° 3 ), nei mesi successivi intrattenne in proposito un fitto carteggio con Torino. Alla        fine  riuscì a  convincere le  autorità  sabaude   che a San Marino non si  trovavano realmente più le armi garibaldine. (17) 

    Placata questa polemica, la situazione non tornò tuttavia tranquilla; anzi nel mese di aprile si fece più preoccupante, perché Cavour aveva rifiutato la nuova onorificenza che San Marino avrebbe voluto tributargli.

Non mi è stato possibile individuare con precisione la causa di questo rifiuto. E' probabile che sia dipeso dal particolare momento che i rapporti italo-sammarinesi stavano attraversando, cioè dalle polemiche in corso sui rifugiati, e anche sul contrabbando di sali, tabacchi e polvere pirica di cui veniva accusato San Marino. Avigdor in una sua lettera dei primi di maggio ebbe a dire che a suo parere il rifiuto delle decorazioni fosse "piuttosto l'effetto dell'orgoglio del Sig. Ministro che della cattiva sua volontà verso la Repubblica, e che questa non potrà ricevere alcun danno dal Governo di Torino fintanto che i cittadini non dimandino di far parte del Regno Italiano". (18) Altri motivi potrebbero essere quelli elencati da Federico Odorici, (19) ovvero le accuse che l'Italia rivolgeva alla Repubblica sammarinese, e precisamente: il rilascio, dietro compenso in denaro, di passaporti a renitenti e disertori, la consegna a costoro di abiti civili, l'ospitalità, sempre per denaro, di chiunque, malfattore o galantuomo che fosse, il rifugio a bande di delinquenti che così potevano attuare indisturbate razzie nelle zone limitrofe. Comunque sia, il gesto di Cavour destò immenso scalpore nel Consiglio del 21 aprile, e probabilmente la cittadinanza onoraria conferita a Garibaldi ed al presidente americano Lincoln negli stessi giorni fu una conseguenza diretta di queste tensioni, o almeno dovette sollecitarla.

    Ai primi di maggio fu comunicato a Torino l'arresto di un renitente di leva, un certo Giocondo Casali, e la volontà  di consegnarlo (cosa che fu fatta il giorno 25). Negli stessi giorni Consorti fu inviato presso Cavour per tentare di appianare le divergenze. Egli riuscì nel suo intento, e con lettera giunta il giorno 5 comunicò che il ministro si era dimostrato disponibile a ricevere le onorificenze prima rifiutate. (20) Il 12 è il conte Manzoni che scrive da Torino per dire che se la Repubblica avesse continuato a comportarsi come stava facendo, non avrebbe avuto nulla da temere dal Regno sabaudo. (21)

    Ormai la situazione stava volgendosi a favore della Repubblica, la quale diede incarico ad Avigdor di procurare presso un orefice di Parigi la croce tramite cui decorare Cavour. Ma il 6 giugno il ministro morì all'improvviso, lasciando così a mezz'aria il progetto sammarinese. Nei giorni successivi la Repubblica rimase in attesa dell'evolversi degli eventi, osservando "la più stretta neutralità", e badando che i suoi cittadini non dessero motivi al Piemonte di annettersela, così come continuava a ripetere Avigdor in quasi tutte le sue lettere. Alla fine di luglio vi fu il primo abboccamento tra lo Stato sammarinese, tramite il suo rappresentante Consorti, ed il barone Bettino Ricasoli che aveva sostituito Cavour. Per fortuna il nuovo ministro espresse subito la sua "grande benevolenza" per la Repubblica, dimostrando così di voler appoggiare rapporti amichevoli. (21) Però il problema dei disertori era ancora sentito come uno scoglio da superare. Infatti con lettera del 20 agosto Ricasoli sollecitò San Marino ad evitare l'ingresso in territorio dei ricercati, ed a provvedere alla loro eventuale espulsione qualora vi venissero trovati. (22) Una settimana dopo la Repubblica approvò una legge specifica sui disertori, (23) ne consegnò uno (Domenico Pinschi), e comunicò a Ricasoli l'impegno che stava usando per non scontentare il Regno d'Italia. Nei mesi successivi continuò poi a consegnare altri renitenti alle autorità piemontesi. (24)

    La situazione si calmò solo in parte, perché se con le nuove disposizioni il problema relativo ai disertori si poté considerare risolto, o in via di risoluzione, rimase vivo quello relativo al contrabbando di cui si accusava San Marino, e che lo aveva fatto circondare di dogane e posti di blocco. Alla fine di ottobre la questione esplose, perché il ministro delle finanze italiano comunicò la revoca della concessione fatta nell'ottobre del 1859 di 3000 libbre di tabacco e di 100 sacchi di sale in aumento alla quantità che la Repubblica già riceveva in precedenza. Inoltre si riservava di diminuire la quantità anche del vecchio contingente in caso fossero stati scoperti contrabbandi. (25) Nel mese di novembre si svolse un intenso lavorìo diplomatico per risolvere il delicato problema che andava a minare la fonte principale degli introiti statali. Alla fine anche questa grana si mitigò; però San Marino dovette comunicare il prezzo di vendita in Repubblica dei sali e dei tabacchi, il numero dei residenti, i sistemi usati per impedire l'esportazione, ovvero il contrabbando, di tali prodotti. Inoltre si dovette giungere alla conclusione che non era più procrastinabile la stipula di un trattato che regolasse con precisione i rapporti tra i due Stati. (26) Giunti a questa risoluzione, non fu però facile arrivare alla stesura del trattato, perché alla fine di novembre Ricasoli riscrisse un'altra lettera accusatoria con cui precisava che gli erano giunti rapporti in cui si continuava a sostenere che San Marino manteneva il suo vizio di dare prezzolata ospitalità ai renitenti di leva. Tale stato di cose avrebbe potuto sicuramente "nuocere ai buoni accordi esistiti finora tra i due Governi". (27) La lagnanza del ministro determinò subito un inasprimento delle sanzioni per i disertori rifugiati, e per chi forniva loro ospitalità. Inoltre furono all'istante annullati tutti i passaporti rilasciati al 30 novembre, e si chiese il permesso al vescovo di Rimini di poter perquisire tutti "i luoghi immuni" della Repubblica. In dicembre fu emanato l'ordine al capo delle milizie di arrestare all'istante tutti i disertori che fossero stati trovati sul territorio, insieme ai capifamiglia che li avessero ospitati. (28)

    Nonostante tutte queste precauzioni, e la periodica consegna di qualche disertore arrestato, nei primi mesi del 1862 le lamentele da parte dell'Italia continuarono, tanto che la Reggenza il 12 febbraio si rivolse ad Avigdor per comunicargli il "bisogno che potrebbe avverarsi d'invocare la protezione dell'Imperatore". "Si preghi a tener raccomandata la Repubblica -proseguiva- per modo che all'occorrenza possa sperare appoggio e difesa". (29) Pare che le lagnanze di Torino fossero anche alimentate da lettere anonime che di tanto in tanto venivano spedite da San Marino. Ai primi di aprile venne per questo arrestato il canonico ottantenne Annibale Righi, nella cui casa furono rinvenute alcune di tali lettere. (30) Ormai si era, tuttavia, nella fase di stipula della prima convenzione italo-sammarinese, sottoscritta il 22 marzo del 1862, (app. n° 31) per cui queste polemiche non incisero più di tanto su ciò che era il vero interesse delle autorità sammarinesi, cioè il riconoscimento ufficiale della sovranità del loro Stato.

 

 

NOTE               APPENDICE

 

 

2 - Gli altri fatti

                                 

    Prima di proseguire nell'esame di questi iniziali rapporti italo-sammarinesi, è il caso di tornare leggermente sui nostri passi, perché per parlare degli attriti tra il neo Stato italiano e quello sammarinese, siamo già arrivati nel pieno del 1862, tralasciando altri episodi degni di essere riferiti. Torniamo dunque al 1860.

    Negli ultimi mesi del '59 e nei primi mesi del '60 era Reggente nobile Palamede Malpeli dunque, che, come si è già visto, nell'assumere l'alto incarico aveva mosso precise accuse ai suoi colleghi governanti, e precisato alcune sue intenzioni per migliorare la situazione dello Stato sammarinese. Sul finire del suo mandato, per l'esattezza nelle sedute consigliari del 15 e del 22 marzo, (31) egli si sentì in dovere di presentare una sorta di consuntivo generale del semestre in cui aveva retto lo Stato, elencando ad una ad una le riforme in qualche modo legate all'impegno da lui profuso. Esordì con l'affermare che aveva avviato la riscossione dei crediti dello Stato, ma che tale operazione aveva potuto dare esiti solo parziali, perché molte famiglie erano debitrici da anni ed anni (per colpa dello Stato che aveva prestato i soldi, e poi non si era in seguito preoccupato di riscuotere annualmente le rate relative, maggiorate degli interessi), per cui il loro debito era cresciuto a dismisura, ed ora erano nell'impossibilità materiale di saldarlo. Il Consiglio decise di ridurre di un quarto il debito a coloro che non potevano pagare.

    Malpeli in seguito affermò che verso la metà del mese di febbraio aveva finalmente potuto far riaprire al pubblico un istituto da tempo auspicato: il monte dei pegni. Inoltre si era dato molto da fare per sistemare "la macchina governativa (...) la quale si trova ora in non poco disordine non tanto per la poca chiarezza che ogni Funzionario pubblico ha delle proprie attribuzioni, quanto per la confusione per mala consuetudine ingenerata per le attribuzioni dell'uno con quelli dell'altro". Perciò egli presentava alcuni progetti legislativi, e precisamente: un capitolato per i donzelli, un regolamento per lo spaccio dei tabacchi e per il compenso degli spacciatori, un regolamento per le segreterie di governo. Il regolamento per i donzelli serviva a specificare dettagliatamente le funzioni di questi due impiegati (uno addetto al Reggente nobile, l'altro al non nobile), nonché le loro paghe annuali (54 scudi cadauno più il vestiario). (32) Il secondo regolamento definiva con maggiore precisione i rapporti, gli onorari, e tutto quanto poteva riguardare l'importante settore dei tabacchi. (33) Il terzo, senz'altro il più importante, creava ufficialmente le figure dei tre Segretari di Stato (degli affari esteri, degli affari interni e della finanze), che ancor oggi sono ruoli fondamentali per la gestione politica della Repubblica. (34)

   Questo regolamento, scaturito senza dubbio dalla maggiore mole d'impegni politici che ora vi erano rispetto ai tempi precedenti, oltre che dalla volontà di professionalizzare maggiormente i vertici dello Stato, veniva a modificare sensibilmente l'usuale funzione delle due segreterie esistenti, (35) togliendo soprattutto spazio ed importanza alla figura del Segretario Generale, che fino ad allora era stato certamente il personaggio chiave del governo. Non a caso nel Consiglio successivo del 22 marzo l'ex Segretario Generale (ora Segretario degli interni) Innocenzo Bonelli, in carica dalla morte del fratello Giambattista nel 1853, espone una lunga lagnanza in cui afferma che già da tempo si sentiva tenuto in disparte dagli affari della Reggenza, che avvertiva una certa sfiducia nei suoi confronti, e che nessuno si prendeva ormai più cura di tenerlo informato sugli accadimenti più importanti della Repubblica. Inoltre riteneva che stessero lentamente togliendogli tutte le funzioni che gli spettavano per statuto, e che il nuovo regolamento per le segreterie era solo l'ultimo atto di questo piano tendente a ridimensionargli gradualmente i poteri. Tutto questo soprattutto perché era un Bonelli, apparteneva cioè ad una famiglia da tempo odiata da molti, anche tra chi risedeva in Consiglio.

    A questa violenta presa di posizione rispose la Reggenza col dire che, per quanto l' "arringo" di Bonelli fosse stato ingiurioso nei suoi confronti, nessuno aveva avuto intenzione di danneggiarlo, né tanto meno di esautorarlo. Anzi, andava senz'altro lodato per la "sua buona volontà, e la sua fedeltà", e quindi poteva tranquillizzarsi. (36)

    Se effettivamente esistesse odio nei confronti della famiglia Bonelli, o semplicemente sfiducia nei confronti di Innocenzo, non lo sappiamo con sicurezza. E' certo però che a prescindere dal personaggio che è rimasto direttamente coinvolto nella riforma, San Marino aveva bisogno di potenziare e soprattutto professionalizzare sempre più i suoi quadri dirigenti, non più idonei, e questo lo si avvertiva già da tempo, al drastico mutamento in corso nelle zone limitrofe a San Marino, ed anche nel panorama internazionale. La Repubblica aveva quindi l'effettiva esigenza di ristrutturarsi, soprattutto nella sua burocrazia di natura paesana e dilettantistica che, a quanto ci dice Malpeli, doveva essere soggetta a non poca confusione e approssimazione nel disbrigo delle sue funzioni. Tuttavia questa riforma, tanto moderna da essere tuttora in vigore, rimase per molto tempo ancora sulla carta, vuoi per le lagnanze di Bonelli e per quel becero conservatorismo che ostacolava sempre le innovazioni, in particolare quelle politiche, vuoi perché Malpeli da lì a qualche giorno dovette uscir di carica, e non poté quindi avere più il potere necessario per rendere concreti i suoi propositi. Ancora per anni, in realtà, ai vertici della Repubblica agiranno due e non tre Segretari.       

    Gli ultimi atti scaturiti da queste due sedute consigliari così importanti furono l'approvazione degli Statuti dell'ordine equestre di San Marino, e dello Statuto per la medaglia del merito militare e civile, (37) argomenti di cui si è già detto qualcosa, ma su cui torneremo fra non molto per concludere il discorso.

    La prima Reggenza di Palamede Malpeli venne a concludersi dunque con una serie impressionante di riforme. Impressionante soprattutto perché in genere a San Marino i tempi  per qualunque innovazione erano estremamente dilatati, soprattutto per colpa della sua struttura politica e dei modesti mezzi economici di cui disponeva. Però se ai vertici dello Stato saliva qualcuno particolarmente intraprendente e ambizioso, anche a San Marino era possibile attuare rinnovamenti. E' chiaro che non bisogna esagerare nelle lodi, nè esaltare troppo l'operato del Reggente, perché diverse riforme di quelle portate a termine erano in cantiere già da tempo, ed attendevano solo di essere finalizzate. Tuttavia l'entusiasmo di Malpeli, e la sua volontà di concretezza, furono senz'altro decisivi per la loro materializzazione, per cui occorre riconoscergli di certo dei meriti, primo fra tutti un coraggio giovanile e fors'anche incosciente, capace di permettergli di andar dritto per la sua strada, senza badare troppo all'ambiente in cui operava, ed alla logica ipercauta e conservatrice che lo permeava. Questa sua caratteristica che ora occorre guardare con favore e stima, dovremo purtroppo additarla con ben altri sentimenti fra qualche capitolo, quando esamineremo l'ingloriosa fine politica dello stesso Malpeli. Ma ora proseguiamo nel nostro studio.

    Oltre a quanto già detto, nei primi anni '60 non successe tanto altro degno di nota. Il 14 aprile 1860 morì Bartolomeo Borghesi all'età di 79 anni. Con lui se ne andava un altro oligarca della vecchia guardia, probabilmente il più influente tra tutti. Non è da tener in scarsa considerazione il fatto che in pochi anni i vecchi reggitori dello Stato (i Belzoppi, i Bonelli, i Borghesi, ecc.) fossero tutti scomparsi, soppiantati via via da nuovi personaggi (primo fra tutti Domenico Fattori) che di certo non avevano avuto ruoli fondamentali nel vecchio gruppo direttivo. Non che questi nuovi oligarchi si dimostreranno meno conservatori, o vincolati alla solita mentalità dei precedenti; anzi, per molti sarà vero l'esatto contrario. Tuttavia la loro ascesa al potere si può considerare senza dubbio il sintomo principale di una decadenza irreversibile di quelle famiglie nobili presenti da sempre ai vertici della Repubblica, e quindi anche  di un certo modo di concepire la sua gestione, ed il suo stesso modo di esistere. I tempi erano senz'altro maturi per radicali mutamenti, ma oltre a ciò occorre considerare quanto l'assetto interno di San Marino e la fisionomia del suo apparato politico stessero rapidamente cambiando. Un Palamede Malpeli sarebbe probabilmente stato schiacciato, o avrebbe trovato spazi assai più stretti in un governo presieduto dai Belzoppi, dai Borghesi o dai Bonelli, se non altro per le sue umili origini. Ora invece fin da subito diventa uno che conta; come Napoleone, diventato generale a 24 anni di età, perché la Francia ormai non aveva più generali.

    Nel mese di giugno si provvide a mettere in pratica la riforma delle Segreterie, anche se, come si è detto, ci si limitò a nominare due Segretari e non tre. Innocenzo Bonelli, che continuò a polemizzare a lungo, fu nominato Segretario degli Interni, e Domenico Fattori Segretario per gli Affari Esteri, ed anche per le Finanze. (38) Sempre nello stesso mese vi furono altri casi di colera, soprattutto a Serravalle.

    Nell'anno successivo praticamente non accadde nulla d'importante, a parte le polemiche con l'Italia di cui già si è detto. Degna di nota può essere la partecipazione della Repubblica all' "Esposizione generale artistica" di Firenze, svoltasi nel mese di settembre, a cui San Marino era stato invitato qualche mese prima. Fu in pratica la prima manifestazione internazionale a cui la Repubblica partecipò in qualità di Stato estero. Poiché il governo non possedeva nulla di originale da poter inviare in mostra, aveva fatto un invito pubblico a tutti i cittadini per raccogliere "qualsiasi cosa che volessero presentare". Alla fine s'inviarono a Firenze alcuni formaggi, e qualche bottiglia di vino, unici modesti prodotti che fu possibile rimediare. (39)

    Interessante è anche la proposta della Reggenza Belluzzi-Berti di "redigere uno stato nominativo individuale statistico delle famiglie tutte che compongono gli abitanti della Repubblica"; in altre parole di fare il primo censimento. La proposta nacque dal fatto che per ovviare al ricorrente problema del deterioramento delle strade si era stabilito di creare alcuni ispettori, che periodicamente le sottoponessero tutte a visita ed all'occorrenza intervenissero per farle ripristinare. Si pensò quindi che questi stessi funzionari, durante le loro ispezioni, potessero anche verificare la consistenza numerica della popolazione, e quindi si decise di procedere nominando come ispettori Palamede Malpeli e Costantino Bonelli, con la paga annua di 25 scudi. (40) In realtà si riuscirà ad attuare il primo censimento solo qualche anno dopo; tuttavia ci si era incamminati lungo la buona strada, perché sarà proprio Malpeli a portarlo a termine.

 

                                 

NOTE               APPENDICE

 

 

3 - Una nuova coscienza

 

    Da quanto risulta dai documenti pervenutici,la popolazione sammarinese era in questi anni piuttosto tranquilla, ed erano scomparse le forti tensioni che avevano caratterizzato i primi anni '50. Non vi sono tracce di contestazioni al governo, né polemiche di sorta. Ciò è dovuto probabilmente al fatto che in questo periodo in Repubblica non vi erano più rifugiati politici, e tutte le teste calde erano a combattere gli Austriaci, e a costruire l'Italia. Inoltre non si erano più determinate le condizioni ambigue e pericolose degli anni precedenti, quando le pressioni esercitate dallo Stato della Chiesa erano state tali da creare confusione ed angoscia nelle menti di chi governava, ed una situazione esplosiva tra tutti gli altri. Ora lo Stato di San Marino aveva i suoi problemi, ma era senz'altro meno compresso ed angustiato, ed aveva tante valvole di sfogo che nel '53 e '54 non aveva, come per esempio i suoi rappresentanti diplomatici, sempre pronti a consigliarlo, o ad intercedere in tempi rapidi in suo favore, o la nuova situazione politica attorno ai suoi confini che gli permetteva di non dover sottostare a diktat, o di prendere provvedimenti sgradevoli. Da qui l'assenza di critiche e proteste.

    Ciò non toglie, tuttavia, che richieste di stampo progressista e riformista giungessero periodicamente in Consiglio, in particolare sotto forma di istanza d'arengo. Così possiamo riscontrare parecchie richieste di natura sociale, tese a chiedere innovazioni di utilità comune, come l'apertura di un ospedale, la costruzione di strade per sviluppare i commerci (richiesta  rintracciabile quasi in ogni Consiglio), la creazione di un sistema di illuminazione notturna, l'apertura di scuole serali per gli operai, la sistemazione del Palazzo Pubblico per dare una sede adeguata ai vari uffici che stavano sviluppandosi, (41) la pubblicazione dei bilanci, l'istruzione per le donne ecc. ecc. Chi volesse esaminare gli atti consigliari di questo periodo, e raffrontarli con quelli degli anni precedenti, potrebbe facilmente rendersi conto di un dinamismo nella popolazione prima scarsamente individuabile, ed anche di una capacità di avanzare richieste, e quindi di sollecitare riforme, del tutto assente negli anni precedenti. In altre parole, gli anni '60 vedono la nascita  di una capacità critica nei confronti dei vertici dello Stato sammarinese prima pressoché inesistente. Con i moti risorgimentali, in definitiva, si sviluppa una coscienza nuova presso i giovani, che verosimilmente iniziano a svolgere anche un lento lavoro di sensibilizzazione presso la popolazione, una coscienza meno fatalista e meno vincolata alle logiche del passato, pronta a sentire le gravi carenze della comunità, e a rimarcarle ufficialmente con istanze rivolte al Consiglio o alla Reggenza.

    E' ovvio che questa coscienza si manifestava in maniera più o meno marcata in relazione a quanto accadeva in Italia ed in Europa. Si può citare ad esempio di quanto detto il problema che viene sollevato ed esaminato nel Consiglio del 26 aprile 1863. In quell'occasione viene presentata  un'istanza d'arengo firmata da Giuseppe Giacomini Giangi e da Luigi Tonnini, il primo consigliere, il secondo no, entrambi però reduci della I^ guerra d'indipendenza. "Tutti i Governi Civili -diceva- hanno riconosciuto la necessità d'incamerare i beni Ecclesiastici attesochè coll'andare del tempo queste mani morte si sarebbero appropriate di tutti i beni delle nazioni, avendo per istituto di solo acquistare e nulla alienare. La Repubblica nostra che per la naturale sua forma di reggimento deve essere più progressiva di qualsiasi altro Governo, vorrà forse non fare quello che oggi sta effettuando saviamente anche il limitrofo governo italico? Eccellenze a tutti sono note le vostre cure (...?) avete resa questa piccola Terra ed è perciò che i sottoscritti sono convinti che vorrete incamerare tutti i beni Ecclesiastici qualunque, e questi devolversi a pubblico vantaggio, piuttosto che lasciarli in mano di persone che hanno bisogni di essere libere da cure terrene per potere adempiere più esattamente le incombenze del loro Sacro ministero. La Vostra Sapienza o mio Principe Sovrano ben conosce che l'ospedale che Voi posciamente avete ordinato erigersi manca dei fondi necessari al suo mantenimento, qui mancano le Scuole una nel Borgo ed una per la Città per le fanciulle, un ricovero pei vecchi invalidi, qui mancano le strade tanto proficue per commercio. E di queste V.E. ne è convinto avendone già data iniziativa ma però coi mezzi ordinari ci vorrà molto tempo ad effettuarle. Infine mancano locali in Borgo per uso del Governo, il pubblico palazzo in Città ed altro, le quali cose tutte si potrebbero benissimo effettuare coi moltissimi beni Ecclesiastici. Ma perché Voi o Ecc.mo Principe Sovrano amate troppo i vostri Cittadini vorrete per certo ordinare l'incameramento dei detti beni a vostro onore, ed a beneficio dell'intera Repubblica". (42) Questa istanza oltre ad essere suggerita dall'evoluzione degli eventi, era strettamente legata alle carenze della Repubblica. Ma importante è sottolineare che ora i cittadini si permettevano di fornire consigli ai governanti, fatto che sarebbe stato probabilmente reputato inaudito solo pochi anni prima.

    Come ho già detto nel "Delitto Bonelli", il primo che aveva avuto il coraggio di intraprendere questa via era stato Giacomo Martelli nel 1850, con un documento dai toni ben diversi in verità. (43) Ora erano in tanti a pungolare con le loro richieste il governo, e questo può essere sintomo reale di un cambiamento di mentalità, e di un distacco meno abissale dei decenni precedenti tra governanti e governati. Il Consiglio comunque era ancora ben radicato in quella logica prudenziale ed attendista che da sempre lo aveva contraddistinto, per cui giudicò "attualmente inopportuna ed intempestiva" la richiesta, e la respinse. Il nobile Francesco Guidi Giangi, membro del Consiglio già da più di quarant'anni, volle anche esporre una sua allocuzione: "Io credo che sia opera di buono ed amoroso cittadino non solo il respingere, ma il respingere con disprezzo la petizione che tende a promuovere dal Generale Consiglio Principe lo incameramento di tutti i beni Ecclesiastici spettanti cioè ai Corpi Morali in generale istituiti ed eretti in questa Repubblica. Io qui non riguarderò la cosa sotto l'aspetto religioso. Non istarò a domandare ai petenti se in buona fede sono convinti che la maggioranza del nostro Popolo divide la loro aspirazione. Alzerò soltanto la questione politica e dirò che sarebbe somma nostra imprudenza disprezzare ciò che le nostre statutarie disposizioni inculcano di rispettare, proteggere e venerare; dirò che grande sarebbe la nostra temerità se oggi ci volessimo far giudici di questioni gravissime non ancora risolute da Popoli e da governi più potenti di noi, dirò che alla sua morale, alla circospezione, alla prudenza e sapienza civile degli antenati siamo debitori della conservazione dell'antichissima nostra Patria; che la prudenza ci fu sempre consigliata e raccomandata dai nostri Benevoli e che coll'abbandonare ad un tratto questa per noi sublime virtù (...?) alla nostra Repubblica e non sarà per noi se giungerà ai Posteri il prezioso retaggio che ci hanno lasciato i Padri nostri, e di cui dobbiamo essere gelosi custodi". (44)

    A parte alcune parole che non sono riuscito a decifrare, il senso del testo è lampante e si richiama alla solita litania di luoghi comuni che sempre venivano a galla quando si trattava di modificare lo statu quo: non tocchiamo niente del modus vivendi della nostra mitica Repubblica, altrimenti sarà lo sfacelo, e la colpa della sua distruzione ricadrà sulle nostre teste, perché non abbiamo saputo rispettare i nostri sacri statuti (risalenti al '600!), e la "prudenza e sapienza civile degli antenati". Questa era la logica dominante da sempre, questo il pensiero essenziale,  direi addirittura banale nella sua semplicità, che ostruiva qualunque innovazione. E' chiaro che nel caso specifico la cautela era necessaria poiché lo Stato pontificio, sebbene drasticamente ridimensionato, era ancora una realtà che poteva tornare ad avviluppare il territorio sammarinese, com'era già successo con il crollo di Napoleone. Tuttavia occorre leggere il pensiero di Giangi, che di certo poteva essere tranquillamente espresso da qualunque altro membro nobile del governo, in tutta la sua tragica estensione, e raffrontarlo con il discorso di Malpeli del '59, che critica questo ossessivo attaccamento al passato, ormai remoto, istigando nel contempo la Repubblica ad osare, a mettersi al passo coi tempi.

    Purtroppo ancora le forze riformiste presenti in Consiglio non avevano la possibilità di contrastare efficacemente le forze conservatrici, che potevano invece contare anche sui consiglieri popolani tradizionalmente vincolati al passato, perché erano numericamente scarse, e in età ancora giovanile. Però stava sviluppandosi qualcosa di nuovo, qualcosa che si originava soprattutto dal pessimo stato in cui si trovava la Repubblica, e dalle sue finanze sempre in bilico. Una migliore conoscenza di questi anni presuppone a questo punto qualche riferimento più approfondito a questo aspetto.

 

 

NOTE               APPENDICE

 

 

4 - Aspetti economici                                  

 

    Problemi economici di una certa consistenza iniziano per lo Stato di San Marino sul finire degli anni '40, in corrispondenza con la I^ guerra d'indipendenza, e con lo scampo di Garibaldi. Non che prima si navigasse nell'oro, perché in realtà la miseria e gli scarsi mezzi per farvi fronte erano una costante della piccola comunità. Tuttavia la Repubblica aveva entrate consolidate, dovute soprattutto al guadagno che realizzava tramite la vendita di sali e tabacchi, che le permettevano una certa serenità economica, ed un andazzo piuttosto regolare. Le entrate erano misere, ma anche le uscite erano sempre molto contenute, per cui anche se il paese non progrediva e manteneva un aspetto piuttosto modesto ed anche arcaico, nemmeno regrediva più di tanto. Un sistema economico così bilanciato entrava in crisi però ogni qualvolta emergeva un imprevisto di un certo peso. Il Risorgimento, i problemi con lo Stato pontificio, il rifugio dato a tanti individui, il mantenimento in armi delle milizie cittadine furono gl'imprevisti che misero in crisi nel volgere di breve tempo le finanze sammarinesi, così come l'aumento della popolazione ne incrinò piano piano la struttura sociale. Per questo tra il 1848 e il 1850 si studiano modi nuovi per poter far fronte ai problemi economici emersi, e nel marzo del '50 la commissione preposta espone una importante relazione tramite cui fornisce suggerimenti per eliminare i problemi di bilancio. (45) In sintesi si può dire che venivano leggermente aumentate le entrate, e soprattutto si cercava di contenere fortemente le uscite tagliando ulteriormente i già miserrimi stipendi di alcuni funzionari statali (ricordarsi in proposito di quanto dirà Malpeli nella sua relazione del '59). E così le uscite che negli anni precedenti si aggiravano intorno ai 5 - 6.000 scudi annui, divengono 4.110 difronte a 6.382 scudi d'entrata. Siamo dinanzi a bilanci assai modesti, corrispondenti grosso modo al valore di qualche casa, o allo stipendio di una ventina di medici; tuttavia questa era la consistenza delle entrate sammarinesi negli anni in questione, per cui si capisce come il paese non avesse le possibilità materiali di costruire strade, né altro. La riforma del '50 non produsse negli anni successivi i benefici sperati, e puntualmente riemersero grossi problemi economici, soprattutto negli anni 1853-1855, per colpa dei fatti delittuosi accaduti, e delle loro conseguenze politiche e sociali. Si dovette ricorrere ripetutamente per vari anni ai prestiti bancari;  ancora nei primi anni '60 lo Stato si trova in una seria condizione di bisogno, e di dipendenza da tali prestiti. E questo nonostante una oculata e parsimoniosa gestione economica nella seconda metà degli anni '50. Ma esaminiamo i bilanci, così le cifre fotograferanno la situazione molto meglio di quanto possa fare io con le parole.

    Gli anni 1854-55, e 1855-56 registrano bilanci con cifre piuttosto elevate rispetto alla norma: nel primo verifichiamo 9.549 scudi in entrata e 9.094 scudi in uscita; nel secondo 9.688 scudi in entrata, e 9.490 scudi in uscita. Non disponendo delle cifre degli anni '51-'52, '52-'53, '53-'54, che non sono riuscito a reperire, non so se tali somme siano imputabili ad un trend di questi anni particolarmente irrequieti, o se invece caratterizzano solo gli anni in esame. E' certo però che rispetto agli ultimi anni '40, ed anche agli ultimi anni '50, le cifre in questione sono molto più elevate, e si devono in genere ad una maggiore incidenza di alcune spese, come quelle militari per esempio, su cui in tempi più tranquilli si avevano risparmi, o quelle relative alla beneficienza, anche queste minori quando la situazione era normale. Nel bilancio del 1854-55 le spese militari (scudi 913), di polizia (scudi 973) e di beneficienza pubblica (scudi 760) ammontano a quasi un terzo di tutte le spese. L'istruzione pubblica  (592 scudi), pur essendo una spesa non da poco per le possibilità dell'epoca, aveva invece un'incidenza minore.  Per le riparazioni e manutenzioni (71 scudi), e per le strade (48 scudi) non si spendeva quasi nulla; da qui certamente le tante lagnanze che in questi anni giungevano in proposito in Consiglio. D'altra parte le entrate erano pressappoco sempre le stesse, per cui le maggiori uscite potevano essere permesse solo tramite economie sulle altre voci di bilancio. Anche gli stipendi dei pochi impiegati di cui lo Stato disponeva non pesavano più di tanto sul bilancio: nello stesso anno il costo imputato alla voce "magistrati ed impiegati governativi" ammontò ad appena 462 scudi, e la voce "impiegati dell'economato" registrò un costo di appena 123 scudi. Siamo in definitiva ancora difronte ad una realtà assai modesta, che definirei di Stato-famiglia, priva di una burocrazia efficiente, di entrate adeguate, e di quant'altro potesse servire per un effettivo salto di qualità.

    Volendo ora analizzare le entrate, verifichiamo 2228 scudi ricavati dalla vendita del sale, 1700 dai tabacchi, 500 dall'imposta prediale, 249 dalla tassa sui generi di consumo, 160 da interessi da capitale, 3.775 da un insieme di entrate registrate sotto la voce "prodotti diversi".

    Nell'anno seguente le cifre rimasero più o meno le stesse, con un forte aumento però della voce "spese diverse" (5.270 scudi contro i 918 dell'anno precedente), ed un calo delle spese di polizia (887 scudi), e militari (475 scudi). I costi per gl'impiegati rimasero pressoché invariati, così come quelli per le riparazioni. Diminuirono i soldi stanziati per la beneficienza (297 scudi), per l'istruzione (430 scudi), mentre aumentarono di poco quelli per la manutenzione delle strade e dei corsi d'acqua (249 scudi). Nelle entrate vi fu un sensibile aumento per i sali (2.676 scudi), e per i tabacchi (2.264 scudi); l'imposta prediale fece incassare 800 scudi, e gli altri introiti rimasero ai livelli dell'anno precedente, eccetto i "prodotti diversi" che calarono a 2.501 scudi.

    L'anno successivo é caratterizzato in generale da una forte riduzione del giro di denaro, perché registra solo 4.632 scudi in entrata, e 4.624 scudi in uscita. E' l'ultimo anno in cui San Marino ha bilanci riportanti cifre così modeste. Quasi invariati rimangono i costi per gli uffici pubblici, per l'istruzione pubblica e per tutte le altre voci di bilancio. Vi è un calo immenso però delle "spese diverse", ora ammontanti a soli 443 scudi.

     Gli ultimi anni '50 vedono bilanci con cifre abbastanza simili e costanti, anche se le uscite a volte sopravanzano le entrate: l'anno 1857-1858 registra 6.044 scudi in entrata e 5.827 in uscita; il 1858-1859 6.296

in entrata e 6.397 in uscita, il 1859-1860 6.344 scudi in entrata e 6.380 in uscita, il 1860-1861 6.382 scudi in entrata e 6.399 in uscita. Come si può capire direttamente, vi era in questi anni la categorica necessità di mantenere i bilanci entro certi livelli, e probabilmente si facevano salti mortali per riuscirvi. Lo strumento che ancora  consentiva di farlo era l'indebitamento con le banche del circondario, e la restituzione graduale del denaro maggiorato di qualche interesse (in genere il 6-8%). Questo costringeva la Repubblica a starsene costantemente in uno "stato umiliante", come ebbe a dire Malpeli nel Consiglio del 29 dicembre del 1859, (46) ma le permetteva di andare avanti ancora, anche se a passi piccolissimi, e con la necessità di fare economie su tutto, compreso l'essenziale. Negli ultimi anni '50 la Repubblica si era indebitata per più di 4.000 scudi, però in parte era riuscita a calare il suo debito grazie ad una sana e proficua amministrazione dei sali e tabacchi ad opera di Francesco Guidi Giangi, l'addetto a tale mansione. Nei primi mesi del 1860 il debito era tornato a crescere a 3.200 scudi circa, perché se n'erano spesi 537 per acquistare una casa in paese. Si sperava di poter azzerare tale debito nel giro di cinque o sei anni con gli utili forniti dai tabacchi (circa 500 scudi annui), tuttavia é evidente lo stato di perenne precarietà economica in cui il governo sammarinese versava, ed il continuo bisogno di sperare che non vi fossero inciampi, che tutto andasse secondo le aspettative.

   Inoltre questo "stato umiliante" impediva qualunque investimento produttivo, e quindi qualunque possibilità di evoluzione e di crescita. Se per esempio esaminiamo il bilancio del 1860-61 troviamo cifre molto simili a quelle degli anni precedenti: le spese di polizia e sanità erano ancora elevate (914 scudi), così come quelle militari (943 scudi); la beneficienza rimaneva sui suoi soliti livelli (400 scudi), così come la manutenzione delle infrastrutture (209 scudi), l'istruzione pubblica (481 scudi) e il costo dell'economato (146 scudi). Un aumento delle spese lo registriamo nella voce "magistrati ed impiegati" (740 scudi), e per la manutenzione delle acque e delle strade (958 scudi). C'è da dire, però, che questo bilancio è l'ultimo del suo genere, perché dall'anno successivo i bilanci della Repubblica iniziano a lievitare con costanza anno dopo anno. Infatti nell'anno amministrativo 1861-62 troviamo 8.082 scudi in uscita, e 7.807 in entrata; l'anno dopo addirittura 12.082 scudi in entrata, e 11.890 scudi in uscita. Le spese maggiori in quest'anno furono per le voci "magistrati ed impiegati" (1.274 scudi), "acque e strade" (1.726 scudi), "spese militari" (1.780 scudi). La pubblica istruzione ricevette 522 scudi, la beneficienza 533, la manutenzione delle infrastrutture 603, la sanità (ora scissa dalla voce "polizia") 738, la polizia 479. In quell'anno vi furono ingenti introiti grazie ai sali (3.741 scudi), ai tabacchi (3.141), ai "prodotti diversi" (3.405 scudi), mentre le altre voci di entrata della Repubblica registravano come sempre cifre molto minori (301 scudi per l'imposta dei generi di consumo, 267 dal bollo e registro, 392 dall'imposta prediale).

    Negli anni seguenti l'aumento delle cifre a bilancio fu ancora più accentuato: nel 1863-64 annotiamo 12.622 scudi in entrata e 12.281 scudi in uscita, nel '64-'65 14.136 scudi in entrata e 13.580 scudi in uscita, nel '65-'66, il primo bilancio in cui si ragiona in termini di lire e non più di scudi (1 scudo = 5,32 lire), 99.961 lire in entrata (cioè 18.790 scudi), e 90.424 (16.997 scudi) in uscita. Gli anni immediatamente successivi registreranno cifre simili a queste, tranne il 1869-70 (187.765 lire in entrata e 186.206 in uscita), il '70-'71 (131.499 in entrata e 127.537 in uscita), ed altri anni ancora con bilanci compresi tra le 150 e le 250.000 lire. (46a)

    In altre parole, dalla metà degli anni '60 San Marino raddoppia, triplica, a volte quadruplica i suoi bilanci, dando il via ad un'opera di ristrutturazione interna mai realizzata prima, e che analizzeremo bene fra qualche pagina, quando ritorneremo anche a parlare dei bilanci a cui ora abbiamo appena accennato. Ma come riesce ad aumentare così tanto e così in fretta il suo giro di denaro? Il motivo principale è senz'altro di natura morale e teorica, perché i governanti sammarinesi riescono ad abbandonare quella mentalità pauperistica ed isolazionistica che li aveva contraddistinti da sempre. Questo dev'essere stato lo scoglio più difficile da superare. I motivi concreti furono invece soprattutto due: il canone doganale che la Repubblica iniziò a percepire dall'Italia dal mese di ottobre del 1862, e la vendita delle onorificenze che iniziò con sistematicità poco dopo. Parliamo quindi di questi due fondamentali argomenti della storia sammarinese, perché è grazie a loro che la Repubblica entra oggettivamente nella Modernità.

 

 

NOTE               APPENDICE

 

 

5 - La Ia convenzione italo-sammarinese                                  

 

    Qualche pagina addietro abbiamo parlato dei problemi emergenti tra San Marino ed il Regno italiano, man mano che questo andava espandendosi su tutti i territori della penisola, e della necessità che emerse subito di stipulare un trattato che regolamentasse i rapporti tra i due Stati. Da quanto ho potuto intuire dai documenti analizzati, non vi fu da parte italiana mai la seria volontà di non considerare San Marino alla stregua di Stato sovrano ed indipendente, sia per i motivi che ho già detto, sia per i motivi che "legavano le mani al nuovo stato", come ha acutamente sottolineato Garosci, (47) e cioè il suo nome di Repubblica che le creava forti simpatie tra i gruppi risorgimentali, portandola ad essere nel contempo "bandiera polemica contro la soluzione dinastica"; il suo legame con Napoleone; la politica non troppo intransigente verso la Sinistra ed il Partito d'azione che viene attuata dopo la morte di Cavour. Personalmente aggiungerei che fu di certo assai importante per il mantenimento dell'indipendenza anche la coscienza che della loro sovranità avevano i Sammarinesi di ogni ceto, e quindi l'assenza di richieste di annessione o plebiscito. Non a caso Avigdor più volte scrisse ai Reggenti di stare attenti soprattutto a frenare queste istanze nel caso fossero emerse, perché contro una richiesta, per esempio di plebiscito popolare, scaturita direttamente dai cittadini, la Francia avrebbe potuto fare ben poco, così come, aggiungo io, il Partito d'azione o qualunque altro estimatore della Repubblica.

    Se quindi non abbiamo tracce di una volontà annessionistica nei confronti di San Marino, ve ne sono moltissime che ci permettono di capire che il piccolo Stato era comunque una grana per il neo regno, soprattutto per la funzione di enclave che volontariamente o no continuava ad esercitare. Occorreva perciò trovare soluzioni efficaci e soddisfacenti per entrambe le parti. La convenzione del 1862 è la risposta a questi problemi: da una parte l'Italia accetta di rinunciare per sempre ad aspirazioni annessionistiche nei confronti di San Marino, fornendo alla Repubblica nel contempo il primo riconoscimento ufficiale della sua sovranità, ed anche la possibilità di ricavare utili economici da questo nuovo rapporto; dall'altra ha dal rispetto del minuscolo simulacro del suo glorioso passato un ritorno propagandistico e quindi politico enorme, e la garanzia di avere un qualche controllo sull'operato della Repubblica. Il compromesso viene rapidamente raggiunto, quindi, perché risulta conveniente ad entrambe le parti.  

    Nonostante che di trattato tra San Marino e Italia si parlasse fin dal gennaio del 1860, la concreta volontà di stipularlo maturò solo dal dicembre del 1861, quando, tramite lettera, il ministro Ricasoli manifestò il suo compiacimento per gli ultimi provvedimenti (di cui già si è parlato nel I paragrafo di questo capitolo) assunti da San Marino contro i rifugiati in territorio, ed affermò di essere disponibile a redigere un trattato. (48) Nelle settimane successive vi furono ulteriori problemi sia per i rifugiati, sia per il contrabbando di cui si è detto; tuttavia nel mese di gennaio la Repubblica affidò al conte Luigi Cibrario, suo consultore dal 1859 e cittadino onorario dal 1860, nonché "tradizionalista piemontese romanticamente rivolto verso il passato", come lo definisce sempre Garosci, (49) la cura dei suoi interessi nella stipula del trattato. (50) Quest'uomo sarà fondamentale per la redazione del trattato, e negli anni successivi sostituirà degnamente come consulente l'avvocato Paltrinieri, morto improvvisamente nel giugno del 1860. Cibrario tra la fine del mese di gennaio, e gli inizi del mese successivo prese le informazioni necessarie per siglare la convenzione, e nella seconda metà di febbraio fu raggiunto a Torino da Settimio Belluzzi che aveva il compito di aiutarlo. (51) Costui poi relazionerà con diverse lettere sullo svolgimento dei colloqui, (52) finché con lettera giunta in Repubblica il 16 marzo comunicherà trionfante che col "nuovo Trattato rimarrà inviolata ed integra la indipendenza e la sovranità della Repubblica", (53) facendo capire che ormai si era alla conclusione. In effetti verrà firmato pochi giorni dopo, il 22 marzo.

    La convenzione veniva a regolarizzare i rapporti per quanto concerneva eventuali problemi di carattere giudiziario e penale (articoli 1-13), per la consegna dei disertori (articoli 14-20), per i beni di manomorta (art.21), per i passaporti (art. 22), per la libera circolazione delle merci (art. 23), per la monetazione (art. 24), per la salvaguardia dei diritti d'autore (art.26), per la coltivazione di tabacco, che la Repubblica vietava, così come aveva fatto altre volte dietro insistenza dello Stato pontificio (art. 27), per l'assegnazione di sale e tabacco (art.28). Essa si chiudeva con due articoli tramite cui si stabiliva che la Repubblica "per la conservazione della sua antichissima libertà ed indipendenza" si affidava all' "amicizia protettrice" del Regno italiano, rifiutando a priori quella eventuale di altre potenze (art.29); e che   avrebbe avuto valore decennale, salvo l'insorgenza di eventuali problemi nel frattempo. (app. n° 31) Non ho parlato deliberatamente dell'articolo 25 perché merita soffermarvisi maggiormente per un'analisi più approfondita. Vi si prevedeva la rinuncia della Repubblica al "libero transito (...) per gli articoli coloniali, merci ed altri generi qualunque" in cambio di un compenso in denaro da parte italiana. In pratica veniva a sacrificare un suo diritto sovrano, che mai però aveva potuto esercitare in passato, e che sicuramente non era in grado di esercitare in tempi brevi neppure da lì in poi, per una cifra che sarà piuttosto considerevole se rapportata ai tempi ed ai suoi introiti abituali. In altre parole era riuscita per la prima volta nella sua storia a vendere a caro prezzo qualcosa che in quel momento per lei non aveva praticamente alcun valore, operazione che ripeterà quasi subito con la vendita dei titoli onorifici. L'Italia avrebbe dato come compenso per tale rinuncia la ragguardevole cifra di 19.080 lire annue tramite tre rate quadrimestrali, ovvero una somma pari a più della metà della cifra costituente il bilancio dello Stato sammarinese.

    Una vera manna piovuta inaspettatamente dal cielo, quindi, che creò ovviamente grandi aspettative nella popolazione, e che fece intravedere ai governanti la fine di quel lungo tunnel buio di natura finanziaria in cui la Repubblica da tempo si trovava. La prima rata del canone doganale venne pagata alla Repubblica nei primissimi giorni di ottobre, ed il giorno 11 dello stesso mese venne subito presentata un'istanza d'arengo da parte di Marco Tassini con cui si chiedeva che quei soldi fossero utilizzati per ricostruire il Palazzo pubblico. Un'altra istanza fu invece presentata da Palamede Malpeli: "Tutti i Cittadini -diceva- in una Repubblica specialmente hanno diritto al bene dell'Educazione e della istruzione, anche quelli che non sono provvisti di mezzi di fortuna, e sono la maggior parte", per cui chiedeva che questo problema fosse risolto prioritariamente. (app.n° 10) Ma le esigenze della Repubblica, tante volte necessariamente trascurate, erano un'infinità, per cui il Consiglio sentenziò che i soldi provenienti dall'Italia venissero utilizzati per il rifacimento delle strade; agli altri problemi si sarebbe cercato di fornire rimedio successivamente. (53a)

    La scelta di costruire strade era certamente intelligente, perché avrebbe permesso di sviluppare i commerci, e di fornire alla popolazione possibilità di lavoro. Nella seduta consigliare del 30 aprile 1863 si sottolinea proprio questo aspetto, affermando che la creazione di nuove vie di comunicazione era fondamentale. In particolare era necessaria e urgente una strada che collegasse Mercatino Conca con Rimini, via San Marino. "Aprendo una comunicazione diretta tra il Monte Feltro e  la Città di Rimini, -si disse- tutti i prodotti del Monte Feltro stesso, e principalmente la legna dovrebbero necessariamente fermarsi sulla nostra Piazza, la quale perciò acquisterebbe importanza anche pel commercio dei cereali". Ma la situazione era tanto critica che ogni soldo incassato era già speso in anticipo. E così fu anche per la prima rata italiana, subito consumata per acquistare i tabacchi per il 1863, perché lo Stato non aveva altri fondi a sua disposizione. (54) Il 2 giugno il Congresso economico espose al Consiglio che per quell'anno non si potevano sistemare le strade perché le pubbliche casse erano completamente vuote. L'unica soluzione al problema era l'accensione di un nuovo debito di 4.000 scudi, debito che venne infatti contratto. (55)

    Insomma, nonostante i nuovi introiti, la fine del tunnel era solo apparentemente vicina, perché il canone doganale, che pur sembrava tanto ingente, si perdeva in realtà come una goccia nello sterminato mare dei bisogni della Repubblica. Si cominciarono a cercare dunque anche altre vie, perché la volatilizzazione del denaro di provenienza italiana probabilmente fece comprendere che per fare le strade, le scuole, i palazzi, gli asili, e tutto quanto mancava a San Marino erano indispensabili entrate colossali. Non si volle accettare, per motivi morali, l'idea d'impiantare in loco un casinò, come già aveva  proposto un anno prima un certo signor Fossard. (56) Si cominciò invece a pensare seriamente alla stampa di francobolli, (57) all'impianto della famosa miniera di Faetano, (58) alla coniazione di monete, (59) ed alla creazione di una lotteria internazionale, idea suggerita da Avigdor. (60) Si scrisse anche a Cibrario per manifestargli il bisogno di nuove strade e per chiedergli se poteva domandare alle autorità torinesi un anticipo di 36.000 lire del canone dovuto. Egli rispose che ciò era impossibile. (61)            

  

 

6 - La vendita delle onorificenze                                

 

    Ma la vera miniera d'oro di cui la Repubblica disponeva già da qualche anno, e che non era stata ancora nè esplorata, nè sfruttata, era l'ordine equestre istituito nel 1860, e la possibilità di creare e vendere titoli nobiliari. Avevamo sospeso il discorso in proposito proprio con la promulgazione dello statuto; riprendiamo da lì il nostro esame. Nei primi giorni del 1860 la Repubblica era intenzionata ad offrire medaglie del suo nuovo ordine ad alcune personalità europee, e precisamente a Lord Palmerstone, primo ministro d'Inghilterra, ed al conte Alessandro Walewski, figlio naturale di Napoleone I, ed eminente personaggio politico francese. Avigdor, tuttavia, per vari motivi sconsigliò tale omaggio, (61a) cosicché fino al 22 marzo non vennero assegnate altre medaglie, oltre a quella già donata ad Eugenio Bonaparte. Da tale data però, che precede di poco un periodo di forti polemiche con Cavour, come abbiamo visto, l'assegnazione di medaglie diventa sistematica e cospicua.

    L'ordine equestre disponeva di cinque gradi, e precisamente: Cavalier Gran Croce, Cavalier Grand'Ufficiale, Cavalier Ufficial Maggiore, Cavalier Ufficiale e Cavaliere. L'unico organo che aveva facoltà di assegnare i titoli era il Consiglio; il primo grado veniva conferito "ai Sovrani, ai membri delle Famiglie regnanti, agli alti funzionari d'uno Stato, e straordinariamente anche a quelli, i quali abbiano per servigi straordinari altamente meritata una tale ricompensa". Il secondo grado veniva conferito "d'ordinario ai Diplomatici ed agli Uffiziali Generali"; il terzo "ad ogni altra classe di persone"; il quarto ed il quinto venivano assegnati per "ricompensare i segnalati servigi resi all'umanità, alle scienze, alle arti". (62)

    In definitiva San Marino disponeva ora di un importante strumento per blandire i potenti, o ringraziare chi gli avesse reso dei servizi, ma disponeva anche (però ancora non lo sapeva) di una merce che costava poco, e poteva rendere tanto. Consultando l' "Indice alfabetico dei Decorati dell'Ordine Equestre" conservato nell'Archivio pubblico di San Marino (63) si può fare un'interessante statistica: nel decennio 1860-1870 San Marino distribuì più di 800 decorazioni, ed altrettante nel decennio successivo, arrivando alla decorazione n° 1.261 nel dicembre del 1880. Nell'ultimo ventennio del secolo l'assegnazione di onorificenze calò sensibilmente, perché al 21 agosto 1900 si era arrivati alla consegna della decorazione n° 1774. Nel primo ventennio del secolo nuovo il calo continuò, tanto che l'ultima decorazione che risulta distribuita nell' "Indice" fu la n° 2.134 in data 31 agosto 1922.

    Volendo ora esporre qualche numero relativo agli anni in esame, possiamo constatare che nel 1860 vennero in tutto distribuite 24 decorazioni, nel '61 furono 18, nel '62 furono 40, nel '63 ancora 18, tra il '64 e il '65 poco più di 100. Nei primi cinque anni di vita, in definitiva, vennero mediamente distribuite 40 - 42 decorazioni all'anno. Nella seconda metà degli anni '60, invece, tale media viene stravolta, perché tra il 1866 e il 1869 vengono conferite circa 500 decorazioni, e precisamente: una sessantina nel 1866, 130 nel 1867, 160 nel 1868, 140 nel 1869. E' ovvio che questi numeri non si riferiscono solo a potenti blanditi, o amici ricompensati, ma anche a tutti coloro che pur senza avere particolari rapporti con San Marino, volevano ricevere una sua decorazione, e quindi erano disposti a "rendergli servigi", per usare le parole dello statuto, in altra maniera. Per questo motivo negli anni in questione la Repubblica cominciò a ricevere donativi da tutte le parti: arrivarono mobili, quadri, statue, libri, attrezzi chirurgici, damigiane di vino, invenzioni stranissime, e oggetti degni di un museo delle curiosità. Naturalmente chi li donava aveva la segreta speranza, spesso alimentata dai rappresentanti sammarinesi sparsi in Italia ed Europa che fungevano da intermediari (probabilmente non sempre disinteressati), di ricevere una decorazione. Ma cominciò ad arrivare anche denaro in quantità, tanto che ad un certo punto si stabilirono i prezzi delle decorazioni ed anche dei titoli nobiliari di cui parleremo fra breve.

    Ma quante decorazioni vennero distribuite per motivi politici, e quante per cause più venali? In parte ce lo dice Palamede Malpeli tramite una sua relazione del 1872 in cui si descrivono i benefici portati alla Repubblica dall'Ordine equestre fino a quel momento. Mi si perdonerà se la esamino fin d'adesso, ma è importante per capire a fondo la questione di cui stiamo parlando. In quell'occasione Malpeli, che era alla sua quarta Reggenza, aveva presentato in Consiglio un nuovo progetto per il conferimento dei titoli, contenente una statistica (aveva il pallino per le statistiche) relativa ai titoli conferiti fin lì. Egli aveva contato 880 onorificenze distribuite (numero che posso confermare) di cui 1/12 (cioè circa 73) per servizi importanti, 2/12 (146) per meriti personali e "visite politiche", 3/12 (220) per donativi ricevuti, 6/12 (440) per raccomandazioni ricevute. Queste raccomandazioni erano in genere quelle avanzate dai rappresentanti politici di San Marino che a quest'epoca saranno sparsi un po' ovunque. Alcune economicamente non rendevano nulla a San Marino, ma in genere la maggior parte fruttavano denaro, perché i raccomandati  inviavano soldi o doni al momento della loro richiesta, oppure in seguito come ringraziamento per il titolo ricevuto.

    In definitiva possiamo ritenere che la maggioranza delle onorificenze distribuite aveva portato alla Repubblica un utile tangibile e non solo politico. E Malpeli ce lo conferma ampiamente: "Nell'interno fu osservato da alcuni che l'Istituzione dell'ordine è stata causa di demoralizzazione perché i decorati avendo procurato degli utili materiali hanno accresciuto le inoneste esigenze di una certa parte della nostra popolazione; hanno dato campo alla maldicenza di attaccare la fama di quei Cittadini che potevano aver mano in questi negozi, e così hanno dato luogo a lagnanze, a consorterie, a discordie, e ad inimicizie cittadine". "In quanto all'Estero poi, si dee osservare che qualche volta l'ordine non fu troppo ben collocato, per essere stati ciecamente alle raccomandazioni avute specialmente da certi ciarmudori (?) esteri che avevano fatto del nostro Ordine stesso un ramo di speculazione a nostro discapito materiale e morale." Tuttavia l'ordine aveva permesso di farsi molti amici, nonché di

ricevere tanti benefici concreti: "Ci si permetta solo di accennare come l'Ordine abbia potentemente influito alla erezione ed ampliazione dell'Ospedale che fu poi corredato anche di una farmacia e di molti utensili e macchine scientifiche, e di ferri chirurgici, somme rispettabili si son messe a parte per la pubblica istruzione, e per la dotazione di un Asilo infantile. Si è costruito in gran parte il Teatro del Borgo, e si sono messe in serbo somme pel Teatro di Città. Si son potuti condurre a buon porto molti pubblici lavori, sempre mercè oblazioni avute, parte della strada di Gualdicciolo, la Piazza del Borgo, il Muraglione fuori Porta S. Francesco, il restauro della Rocca e delle mura castellane e i fondi per far la nuova lastricatura del Pianello. Si è potuto coll'ordine restaurare questa Sala Consigliare, fornir di mobili e di orologi, si è rinnovata la macchina alla Torre del Pianello, ampliare ed alzare la Casa del Commissario, e quella dell'Ispettore in Borgo, si è potuto provvedere ai bisogni della rimonta e del Quartiere della Guardia del Principe, ed anche già della Milizia. Si sono estinti dei debiti pubblici: si è provveduto ai bisogni di qualche Chiesa: si è restaurato il pregevolissimo quadro attribuito a Giulio Romano, cosa al certo di non lieve momento. Oltre tuttociò chi potrebbe enumerare le opere di pregio, di cui è stata considerevolmente arrichita la nostra Biblioteca; gli oggetti antichi, i gioielli, le medaglie, le monete, i bronzi, i vasi, le armi antiche e moderne, gli oggetti di curiosità regalati al nostro Museo; i quadri di valore, le statue, i bassorilievi per la Pinacoteca, e un rispettabile incipiente Gabinetto di Storia naturale. Noi crediamo di non andare errati dicendo che tutto ciò comprese le sovvenzioni avute in danaro rappresenta un valore di Settantamila scudi d'argento."

    I vantaggi sopravanzavano quindi di certo gli svantaggi, imputabili solo "alla mancanza d'esperienza, d'avvedutezza in noi, e di leggi o di regolamenti opportuni". Un errore fondamentale fatto fin lì era stato quello di distribuire le onorificenze "ad occhi chiusi", senza curarsi troppo di svolgere indagini preliminari sul richiedente. Tale difetto era senza dubbio da eliminarsi per primo. Inoltre bisognava definire con una certa meticolosità quali servizi andassero ricompensati con decorazioni, ed i valori minimi dei "donativi". Malpeli suggeriva un minimo di 1.200 lire per ricevere il grado di Cavaliere, 1.500 per quello di Cavalier Ufficiale, 2.500 per quello di Commendatore e 4.000 per il titolo di Grand'Ufficiale. Il Gran Cordone doveva essere assegnato solo per ragioni di "alta politica". Alla fine il Consiglio approvò tale progetto accettandolo come "regolamento disciplinare" in materia. (65)

    In effetti negli anni precedenti si era spesso proceduto a caso nella distribuzione dei titoli, senza preoccuparsi troppo di chi li riceveva, e senza regole fisse che determinassero con precisione quali dovessero essere i "servigi resi" meritevoli di essere premiati. In genere nella seconda metà degli anni '60 occorrevano intorno alle mille lire per ricevere un grado, ma ne sono stati distribuiti anche con cifre minori, ed anche come ricompensa ad oggetti di scarsa importanza e costo. Probabilmente da ciò l'invio di doni anche strampalati.

    Ma torniamo al 1860 per riprendere il nostro discorso. Le prime onorificenze distribuite servirono alla Repubblica soprattutto per scopi politici, per cui non determinarono introiti economici. D'altra parte le cifre che abbiamo visto dei bilanci di questi primi anni '60 parlano chiaro. La loro lievitazione dovette dipendere più dal canone doganale (lire 19.080 = scudi 3.586) che da altro. La prima onorificenza conferita per motivi pratici, invece, dovette essere quella assegnata al professor Pasquale Greco di Lecce in data 25 ottobre 1863. Costui aveva offerto alla Repubblica 12 lampioni insieme a 600 litri d'olio per alimentarli (si veda la sua lettera in appendice al n° 7, assai interessante per capire il mito che permetteva alla Repubblica di avere stima ed amici). San Marino non disponeva ancora di illuminazione notturna, per cui la Reggenza comunicò la generosa offerta al Consiglio del 20 agosto di quell'anno. Al suo interno nacque però una discussione, perché il dono era sicuramente generoso, ma il sistema d'illuminazione avrebbe poi richiesto un lampionaio che lo accudisse per tutto l'anno, determinando quindi un aggravamento del già barcollante bilancio. Alla fine si decise di accettare l'omaggio, e di impiantare i lampioni parte in Città, parte in Borgo. Il giorno 25, appunto, fu conferito al professor Greco il grado di Cavaliere ufficiale dell'Ordine equestre, ed a Raffaele Boni di Ancona, che aveva provveduto gratuitamente all'installazione, la cittadinanza onoraria. (66) Greco nell'ottobre del 1865 per confermare la sua simpatia, e ringraziare ulteriormente la Repubblica, donò altri sei lampioni, più 1.000 lire.

    I soldi cominciano ad affluire qualche tempo dopo, precisamente durante la seconda Reggenza (guarda caso) di Palamede Malpeli avvenuta dall'ottobre del 1864 al marzo del 1865. Il 15 novembre del 1864 è Michele Saba di Alessandria d'Egitto che dona alla Repubblica 1.000 lire da elargire a favore del costruendo ospedale; gli viene concessa la cittadinanza onoraria. Il 15 dicembre è un certo Santi Giubilei che dona 400 lire per il titolo di cavaliere che aveva già ricevuto; nella stessa occasione l'avvocato Traversi, console sammarinese a Milano dall'anno prima, paga le matrici delle nuove monete che la Repubblica stava per coniare (di cui parleremo fra non molto). Il commendator Corinaldi invia addirittura 5.000 lire a favore dell'erigendo ospedale. Insomma é da questo momento che vengono accantonate le barriere morali che avevano impedito alla Repubblica di attuare certe speculazioni in nome di una probità che si richiamava direttamente al mitico tempo degli avi.           Personalmente reputo Malpeli il principale artefice interno di questa storica svolta, ma pesanti influenze si dovettero probabilmente anche al Cibrario e naturalmente ad Avigdor. Cibrario nel mese di febbraio del 1865 scrisse due lettere al Reggente Malpeli, relative alla situazione economica sammarinese, assai interessanti e sicuramente influenti. (app. n° 18 e n° 23) Egli dopo aver stigmatizzato il locale sistema economico, che nonostante le maggiori entrate dovute al canone italiano ancora era assai vacillante ed insufficiente, giunse a dire: "Bisogna che qualcuno o per ignoranza sperda, o per malizia rubi il pubblico denaro". Nella seconda lettera affermò, invece, che a San Marino non si aveva "un'idea chiara dell'ordine e dell'importanza dei titoli di nobiltà", per cui aveva preparato una "memoria", che allegava, in cui forniva le informazioni secondo lui indispensabili per schiarirsi le idee in merito. Questa memoria è senz'altro il primo "prezzario" dei titoli e delle onorificenze sammarinesi.

    La Repubblica, comunque, iniziò pure un'altra prassi in questi anni che si dimostrerà anch'essa assai redditizia: l'assegnazione di titoli nobiliari. Colui che instradò la Stato sammarinese lungo questa via fu il conte Avigdor, il quale con lettera del gennaio 1861 chiese per sé il titolo di Duca d'Acquaviva come riconoscimento per i tanti servizi svolti fin lì a favore della Repubblica. (67) Avevamo già visto in precedenza che una richiesta simile (il titolo di Barone di Casole per Sonnino di Livorno) era stata rigettata perché considerata non confacente ad una costituzione repubblicana. Erano nel frattempo passati però tre anni, e si erano verificati tanti fatti nuovi, per cui ora la richiesta di Avigdor ebbe un'altra attenzione, pur se ancora in mezzo a mille perplessità. Tramite lettera scrittagli l'11 febbraio del 1861 la Reggenza gli comunicava che vi erano difficoltà a conferirgli il titolo richiesto, e domandava di "fornire degli esempi di altre Repubbliche Democratiche aventi titoli Feudali". (68)  Avigdor rispondeva assai risentito un mese dopo, il giorno 11 marzo: "Le onorifiche ricompense sono le uniche colle quali il Governo Sammarinese possa premiare i servigi che gli si rende, e quando i detti sono resi col disinteresse che porti, meritano qualche cosa eccezionevole. Non m'appartiene di fare panegirici, dell'operato mio per la Repubblica, ma appartiene meno ancora al Governo di San Marino, di non istimare dei sacrifici di tempo e di borsa, che niun'altro avrebbe fatto in mia vece, e ch'oggi giorno sommano senza esagerazione, ad una somma non minima dei 20.000 franchi. (...) In tutte le antiche repubbliche, eccezioni somiglianti hanno luogo, soprattutto quando trattasi del titolo di Duca, che è intieramente Italiano, o piuttosto dell'antica Roma, e che aveva esistenza molto prima delle feodali istituzioni. Non vi è Governo che non ricerchi rimmunire dei segnati serviggii, e pertanto, non vi è agente diplomatico, che operi sacrifizii, tali sono quelli che faccio giornalmente io medesimo, del tempo mio e della mia borsa, e che replico sono di tale importanza, che mi sarebbe difficile il continuarli, se in contraccambio non avessi la convinzione, che giustamente sono apprezzati a Sammarino. Del resto, un'eguale titolo non ha bisogno d'essere pubblicato, ed è sufficiente che siami conferito con diploma, purché attenda l'opportuno momento, per io parlarne senzacchè il governo di Sammarino, sia minimamente compromesso. Sembrami del resto che la condotta mia, fin qui, ha dovuto dar prova al Sovrano Consiglio Principe, che ben ho saputo aggiungere ad una sufficiente intelligenza, molte prudenza". (69)

    La paura di perdere il proprio rappresentante in Francia in un momento tanto delicato della storia italiana e sammarinese deve aver indotto i locali governanti a superare i loro pregiudizi di natura repubblicana, per cui con lettere del 10 aprile Avigdor venne avvisato che il Congresso per gli affari esteri aveva dato il suo benestare per il conferimento del titolo, e che la Reggenza stava per presentare la richiesta in Consiglio. (70) Il 21 dello stesso mese il Consiglio accordò il titolo richiesto, ed il 23 si scrisse ad Avigdor per dirgli che era stato promosso al grado di Cavalier Gran Croce dell'Ordine di San Marino, e che gli era stato conferito il titolo di Duca d'Acquaviva "con la riserva che la pubblicazione di tale atto straordinario e singolare e la spedizione del Diploma debba essere fatta nella circostanza solenne in cui la Repubblica potrà inaugurare la sua rappresentanza ufficiale presso la Corte di Torino". (71) In altre parole, il titolo veniva assegnato, ma Avigdor doveva industriarsi in tutte le maniere per appianare le forti divergenze che in quel momento sussistevano con Torino, e per reperire un rappresentante sammarinese presso quella corte. Questi sarebbero stati i "servigi" eccezionali che avrebbero giustificato il conferimento del titolo di duca. Il 30 aprile Avigdor risponde mostrandosi poco soddisfatto per le condizioni postegli, (come farà anche con lettere successive). Tuttavia alla fine afferma che avrebbe cercato "il mezzo più prudente affinché la Repubblica sia rappresentata a Torino senza svegliare la suscettibilità del Re d'Italia". (72) L'11 maggio è la Reggenza a scrivergli: "Il Generale Consiglio conosce da lungo tempo con quanto ardore Ella si adoperi costantemente pel benessere della nostra Repubblica; sa benissimo quanta sollecitudine Ella abbia posta in tutte le missioni che le vennero affidate; e dal passato traendo argomento per l'avvenire ha lui profonda convinzione, che in lei non verrà meno giammai l'interessamento che ha sempre preso per le cose nostre. Non poteva quindi supporre senza offesa alla propria coscienza e senza far torto a V.S.Illma, che Ella avesse mestieri di eccitamenti di forza alcuna per operare con tutta alacrità a vantaggio di questa Repubblica. Ma trattavasi di decretare un distintivo di onore non mai conferito in tanti secoli di politica esistenza, e trattavasi di creare un fatto tutto nuovo, e se non continuerà, certo poco (...?) alle Costituzioni del Paese: era quindi necessario giustificare presso la posterità questo atto straordinario ed inusitato; bisognava che apparisse dai libri Consiliari che il Senatoconsulto venne fatto per una occasione solenne e faciente epoca nei Fasti Repubblicani, sì che i posteri non s'avvisassero di imitare questo esempio, nè sorgesse in alcuno la speranza di conseguire simile onore se non all'occorrenza di avvenimenti al tutto straordinari e di natura conforme a quello onde nel verbale della Seduta Consiliare resta motivato il Senatoconsulto sopradetto. E poiché molto rare per non dire impossibili saranno le occasioni simili a quella in cui la Repubblica nostra verrà formalmente riconosciuta dal Re d'Italia, così ne sembra che da ciò si debba trarne un argomento di maggior decoro per V.S.Illma, la quale avrà conseguito un titolo d'onore che altri non potrà ottenere e che rimarrà nella famiglia di Lei come fatto eccezionale ed unico nella Storia Sammarinese, e come memoria di un avvenimento felicissimo per la Repubblica". (73)

   Insomma, la Repubblica conferiva tale titolo in via del tutto eccezionale, e con la speranza, quasi con la certezza, che un simile fatto non dovesse più ripetersi. Ma si era aperto uno spiraglio mai prima aperto nella storia della Repubblica, si era creato un precedente di cui sarebbe stato difficile dimenticarsi. E Avigdor non se ne dimenticò: due anni dopo egli per la prima ed unica volta nella sua vita fece personalmente visita a San Marino, precisamente ai primi di ottobre del 1863. In quell'occasione fu accolto molto bene, come un personaggio importante per la Repubblica; e sempre in quell'occasione deve aver avanzato richiesta in modo informale per un titolo di Baronessa di Faetano ad una sua cugina, la signora Maria Carolina Payart de Fitz-Jamese. Tornato in Francia, ufficializzò la sua richiesta con lettera del 23 ottobre, e nel Consiglio del 7 dicembre fu deciso di conferirle non il titolo richiesto, ma quello di Duchessa di Faetano. (74) Il 30 gennaio 1865, durante la Reggenza di Malpeli, vennero conferiti altri due titoli: conte di Montecchio a Stefano Accard, che dal giugno di quell'anno diventerà Incaricato d'affari presso la corte italiana; contessa di Fiorentino alla signora Bianca Platt. Il 25 luglio dello stesso anno venne insignito del titolo di Duca di Casole Francesco Girolamo Leonardo, barone di Montmartre di Boisse. Il 29 gennaio 1866 venne assegnato un titolo di marchese ad Ernesto Deville di Parigi, il 15 gennaio 1867 un titolo di conte a Domenico Giulio Fauchè, il 31 agosto 1868 il titolo di contessa di Montalbo alla signora Giuseppina Benoit Coffin Chevalier, un altro titolo di conte a Francesco Houssaye, sempre di Parigi, il 22 giugno del 1869.

    I primi titolati sono tutti francesi, e questo fa legittimamente supporre che Avigdor avesse un certo peso nella loro assegnazione. Solo dal 26 febbraio 1870 vengono assegnati titoli a personaggi di altre nazionalità. In quella data ricevette il titolo di barone il danese Zottlieb Abrahamson Zedalia, ed il torinese Francesco Ayrino. Da quest'anno, inoltre, il conferimento di titoli nobiliari diventa più frequente. Nel decennio 1870-1880 registriamo infatti 33 titoli distribuiti (16 baroni, 8 duchi, 5 conti, 3 marchesi, 1 visconte). Dal 1881 al 1899 ne vengono conferiti 19 (9 baroni, 8 conti, 1 marchese, 1 duca), di cui 9 nel primo decennio, e 10 nel secondo. Dal 1900 al 1931 solo 7 (4 conti, 2 marchesi, 1 barone), più un predicato nobiliare. (75)    

    Diversi di questi titoli furono assegnati per benemerenze, ma la maggior parte furono conferiti per motivi venali, e dietro esborso di cifre anche molto elevate. La prima traccia che ho trovato di questa prassi risale al dicembre del 1865, quando Avigdor offre a nome di Ernest Deville di Parigi 5.500 lire da utilizzarsi a favore dell'ospedale. Come ringraziamento un mese dopo gli viene conferito il titolo di marchese. (76) Ma già nel '64 vi sono tracce all'interno degli atti consigliari dell'arrivo di doni in denaro o in oggetti, per cui direi che sono questi gli anni in cui i governanti si rendono conto che per poter rispondere ai bisogni della Repubblica, la via più rapida, più facile e più conveniente era quella legata alla vendita delle onorificenze, dei titoli nobiliari, della cittadinanza e del patriziato, ed anche dei consolati che cominciarono a sorgere dovunque.

    Ho parlato di vendita, ma in realtà all'epoca si preferiva parlare di omaggi, donativi, generosi regali, ecc. Un pizzico di ipocrisia serviva probabilmente a giustificare, o meglio a rendere meno abietto alla coscienza, un traffico che dai più doveva essere considerato immorale, e contrario alla sana tradizione tramandata dai padri. Ma il bisogno aguzza l'ingegno, per cui quando ci si accorse che le onorificenze sammarinesi erano ambite, si accantonò il passato, e si azzittirono i tradizionalisti, arrivando addirittura a stabilire nel maggio del 1866 che nessuna onorificenza doveva essere conferita ad offerte inferiori alle 1.000 lire, cifra assai ragguardevole per l'epoca, visto che il medico primario della Repubblica percepiva come stipendio annuale 1.500 lire. (77) Le cifre relative ai titoli, poi, erano elevatissime, anche se nei primi anni i governanti sammarinesi non sempre capirono quanto la gente fosse disposta a spendere per diventare Duca di Ca' Chiavello, o Marchese di Gorgascura. Negli anni '70, invece, i prezzi dei titoli divennero assai esosi. Nel 1869, per esempio, Francesco Houssaye "donò" 10.000 lire per diventare conte; nel '70 Gustavo Testa pagò 12.000 lire il titolo di marchese; nel '72 la signora Rosina Carolina di Hetschendorf sborsò 22.000 lire per diventare duchessa di Lesignano; 18.000 lire spese l'inglese Giorgio Cockle il 17 gennaio del 1877 per diventare Marchese di Montecarlo; ben 60.000 lire (la "madre" di tutti i donativi diremmo certamente oggi) la signora Maria Antonietta Andrè di Parigi per il titolo di Duchessa. Con questi soldi si avviarono i lavori per il nuovo Palazzo pubblico. (78)   

Tutti i titoli, comunque, procurarono introiti per San Marino, variando da  un prezzo minimo di 6-8.000 lire per un titolo di barone, alle somme di cui si è detto.

    Se rapportiamo poi queste cifre agli stipendi che la Repubblica pagava ai suoi funzionari, ci possiamo rendere conto ancora meglio della loro entità. Nel '75 il commissario della legge, che era l'impiegato con lo stipendio più alto, percepiva 2.400 lire all'anno, paga che gli verrà aumentata alla fine del decennio fino ad arrivare a poco più di 3.000 lire. Il professore di fisica e chimica nelle scuole superiori riceveva 1.420 lire (1.700 nel 1880). Un medico, sempre nel 1880, guadagnava 2.000 lire, e il chirurgo 2.500; l'ispettore di polizia 1.500 lire; i maestri ricevevano dalle 800 alle 1.300 lire in base alle classi in cui insegnavano. Con le ingenti entrate delle onorificenze, insomma, San Marino potè creare o terminare quelle infrastrutture di cui sentiva l'esigenza nei decenni precedenti, e dare temporaneamente lavoro alla sua popolazione in pieno boom demografico. Ma su questi aspetti torneremo al momento opportuno. Ora possiamo tornare ad esaminare gli altri fatti successivi al 1862.

 

 

NOTE               APPENDICE

 

 

7 - Il 1863

 

    Il 1863 è un anno in cui non avviene nulla di particolarmente interessante e degno di nota. Per dovere di cronaca si può dire che, grazie alla convenzione dell'anno precedente, le polemiche con Torino si attenuarono di molto, ma non cessarono. L'attrito si riaccese soprattutto per colpa di un disertore arrestato dai carabinieri del Regno nel dicembre del '62, mentre se ne andava tranquillamente in giro per l'Italia munito di un passaporto sammarinese vendutogli da un fabbro locale per 7 scudi e mezzo. (79) Proseguirono quindi le richieste di arresto di disertori ritenuti in territorio sammarinese, e le lettere di lagnanze e di proteste. Nel mese di luglio, poi, il sottoprefetto di Rimini avvisò la Reggenza  che circolavano voci inclini a sostenere che membri del Partito d'azione, nascosti a San Marino, stavano tramando rivoluzioni e massacri a danno delle Marche e della Romagna. (80) La Repubblica per questo dovette di nuovo garantire la massima vigilanza al suo interno, e continuò a procedere a sistematiche perquisizioni nelle case sospette.

    Si possono citare ancora i tentativi fatti dai governanti per trovare nuovi sistemi per incamerare denaro, ed in particolare l'avvio di seri progetti per stampare francobolli, e coniare moneta. Quest'ultima possibilità era prevista dall'articolo 24 della Convenzione del 1862, mentre per i francobolli occorreva fare una convenzione specifica con l'Italia, per cui la loro realizzazione venne rimandata ad un secondo momento. In maggio, invece, la Repubblica diede disposizioni al suo neo-  console a Milano, avvocato Traversi, affinché s'interessasse di verificare se era possibile coniare tra le 30 e le 50.000 lire di moneta, e quanto se ne poteva ricavare. Traversi rispose durante l'estate che l'utile sarebbe stato circa la metà del valore coniato. Tuttavia il ministro degli esteri italiano in ottobre non si dimostrò contento del progetto, per cui tentò di dissuadere i governanti sammarinesi. Iniziò sul problema un fitto carteggio: alla fine si giunse al compromesso di coniare 14.000 lire di monete di rame da 5 centesimi (280.000 pezzi) presso la regia zecca di Milano. (81) Le monete furono coniate però un anno dopo, e costarono allo Stato sammarinese 8.000 lire circa.

    Un altro interessante progetto scaturito in quest'anno, anch'esso legato all'impellente bisogno di denaro, fu quello proposto da Avigdor nel mese  di novembre. Egli suggerì di creare un "prestito-lotteria simile a quelli delle città libere dell'Alemagna e della Svizzera", cioè una specie di lotteria internazionale tramite cui la Repubblica potesse guadagnare un bel po' di denaro. Questa idea gli era nata vedendo lo stato delle strade sammarinesi e del locale Palazzo pubblico durante la visita che aveva compiuto a San Marino un mese prima, ed ascoltando le lagnanze dei Sammarinesi intorno alle loro necessità, ed all'impossibilità di farvi fronte. Tornato a Parigi, si era messo subito in contatto con alcuni suoi amici banchieri (Wertheim e Gumpert di Amsterdam), ed aveva elaborato un progetto secondo cui sarebbero state emesse 300.000 cartelle a nome della Repubblica, da vendersi a 20 franchi ciascuna. Ovviamente ognuno avrebbe ricevuto da simile operazione un utile: San Marino avrebbe conseguito subito 250.000 franchi, e tanti altri soldi in futuro (riporto il progetto iniziale in appendice al n° 28). (82) Leggendo la lettera di Avigdor si avverte una fretta di concludere la faccenda che lascia ipotizzare un notevole interesse a che il progetto andasse in porto. Ma i governanti sammarinesi, abituati a muoversi da sempre coi piedi di piombo anche per questioni molto più irrisorie, contattarono Cibrario, Spanna (Incaricato d'Affari a Torino al posto di Consorti) ed altri per verificare se effettivamente la Repubblica avrebbe ricevuto tutti i vantaggi economici decantati da Avigdor. In gennaio Cibrario rispose illustrando i pericoli legati al progetto di lotteria, ed accludendo una lettera di un esperto da lui consultato (Joseph Antoine Cotta) che molto esplicitamente gli aveva espresso queste parole: "Dall'esame delle carte communicate bisogna ben credere che si faccia un gran conto sull'imbecillità dei Rappresentanti la Repubblica di San Marino", spiegando perché, secondo lui, vi erano diversi inghippi e problemi da approfondire meglio all'interno del progetto. (83)        

    Da qui iniziò un fitto lavorìo che coinvolse un po' tutti, perché si voleva realizzare l'idea, ma nello stesso tempo si aveva paura di un'infinità di problemi più o meno reali. Il provincialismo, l'impreparazione,l'emarginazione e la secolare chiusura dei Sammarinesi  in questo problema traspaiono netti. Per tutto il 1864 si continuò a lavorare sulla questione elaborando ulteriori progetti, scrivendo decine e decine di lettere a destra ed a manca, arrivando più volte sul punto di concludere la trattativa. Alla fine, però, non si giunse a nulla, soprattutto per la paura di impegolarsi in un affare troppo innovativo, ed anche per la scarsa fiducia dei Governanti sammarinesi, in genere per natura sempre molto diffidenti di tutti, nei loro interlocutori. "Il nostro Governo ha compreso benissimo questa operazione -si scrisse ad Avigdor nell'ottobre del '64- ma V.S.Illma e la Commissione delle Finanze (l'organo sammarinese preposto a seguire e realizzare il progetto) non s'intenderanno mai intra loro in questo negozio. Ecco la ragione: V.S.Illma ha veduto questo affare sotto il punto di veduta politico-finanziario; il Congresso al contrario lo vede principalmente sotto il punto di veduta politico-morale. In conseguenza è molto difficile da una parte soddisfare le mire della speculazione bancaria, ed accordare dall'altra parte la guarentigia che la Repubblica pretende nell'interesse suo proprio, e nell'interesse dei portatori delle Cartelle. Le operazioni bancarie reclamano la confidenza reciproca, ma la Repubblica per questo caso peculiare non accorderà mai la sua confidenza ad alcuno; non ai suoi cittadini stessi". (84)

 

8 - Il 1864

                                

     Del 1864 abbiamo già detto qualcosa, ma altro si può dire ancora. Continuarono le polemiche tra San Marino ed Italia per colpa dei rifugiati: la Repubblica continuava ad essere accusata di interessarsi poco al problema, e di offrire scarsa collaborazione. Il prefetto di Forlì avrebbe voluto fornire qualche carabiniere per aiutare a controllare il territorio, ma San Marino, così come aveva già fatto in passato con lo Stato pontificio, non era disposto ad accettarli all'interno dei suoi confini. In agosto successe un fatto sanguinoso che rischiò seriamente di compromettere i rapporti tra i due Stati: la sera del 24 venne ucciso a Cerasolo un milite, e feriti altri due. Autori di tali delitti erano ritenuti certi Patrignani, Giorgi e Ceccarelli, sospettati di essere nascosti all'interno della Repubblica. In effetti tre giorni dopo Patrignani e Giorgi furono momentaneamente fermati a San Marino, ma non poterono essere in quell'occasione arrestati perché due giovani del luogo (Domenico Gasperoni e un non meglio definito Zonzini) li avevano difesi con forza, aiutandoli così a liberarsi dalla custodia dei militari che li avevano presi, e a fuggire. Gasperoni e Zonzini vennero per questo arrestati, ma anche Patrignani e Giorgi per fortuna furono ricatturati in fretta. Il 15 settembre vennero consegnati ai carabinieri italiani.

    Nello stesso anno riemerse ancora una volta la richiesta, sempre da parte di una società francese, di poter installare nei confini sammarinesi, vicino a Valle Sant'Anastasio, uno stabilimento termale con sala di lettura, di conversazione, "di gioco di pallina e del 30-40". Un casinò, in definitiva, che avrebbe fruttato a San Marino 34.500 franchi francesi all'anno. Dapprima si chiese un'opinione in merito al Cibrario; poi, nel Consiglio del 4 settembre, si respinse la richiesta con queste motivazioni: "Il Consiglio riconoscendo che la virtù è il fondamento principale della Repubblica, e trovando che il progetto rinchiude in sé dei principi d'immoralità, e contrari anche alla sana politica, la rigettò sdegnosamente, avuto riflesso ancora che i giochi d'azzardo sono proibiti dalle nostre leggi". (85) Poveri ma belli, si potrebbe sintetizzare.

    Il 1864 è anche l'anno della seconda Reggenza di Palamede Malpeli, il quale, come aveva già fatto in precedenza, si sente in dovere di elaborare ed esporre davanti al Consiglio un'articolata relazione di natura economico-finanziaria per rimarcare i mali della Repubblica, e proporre dei rimedi (si veda app. n° 2). In sostanza egli venne a ribadire lo stato di bisogno perenne in cui si doveva dibattere la Repubblica per colpa delle scarse entrate e delle molte uscite. Inoltre si dimostrava convinto che per progredire era impellente costruire nuove strade, sistemare le mura, così come si doveva senz'altro ricostruire il Palazzo pubblico, ridotto "in uno stato disdicevole alla stessa spartana semplicità" che da sempre era un vanto sammarinese. I tempi erano cambiati rispetto al recente passato, ripeteva di nuovo, e le spese erano lievitate enormemente. Non erano di molto cambiati i vecchi sistemi di gestione amministrativa, invece, e questo determinava notevoli scompensi economici, ed un'amministrazione facilona e poco oculata. Soprattutto i lavori pubblici rappresentavano un'immensa piaga: "In questo ramo di pubblica amministrazione si cammina a tentoni, a capriccio, senza unità di principio, senza vedute generali, senza un'ordine prestabilito, senza un nesso logico tra le diverse operazioni, senza buoni metodi di esecuzione; ma tante volte per liberarsi da una pressione, per favorire un interesse, per servire a poco ragionevoli esigenze. Qui tornerò a ripeterlo, è necessario di stabilire principj generali, unità di operazione, ed amministrazione ben definita". Insomma, la situazione era assai precaria, e richiedeva rapidi interventi risanatori. Per Malpeli era indispensabile realizzare "un sistema d'amministrazione più buono", e "trovare i mezzi per accrescere le rendite dello Stato fino a quella proporzione che è necessaria per sopperire a quelle spese che sono imposte dalla necessità dei tempi". Per quest'ultimo aspetto suggeriva di riordinare soprattutto il sistema fiscale, ritoccando anche vari tributi.

    Il Consiglio fu solo in parte d'accordo con Malpeli, perché "opinò non doversi per ora pensare ad aumentare le Tasse, doversi affrettare il miglioramento del sistema d'amministrazione, non doversi in questo mezzo fare la menoma spesa senza il permesso del Consiglio, ed occuparsi della liquidazione dei crediti pubblici e dell'affrancamento delle Enfiteusi". (86) In pratica non si vollero modificare le cose più di tanto. Probabilmente fu questo atteggiamento che indusse lo Stato sammarinese ad incamminarsi lungo la strada della vendita delle onorificenze.

 

9 - Il 1865

 

    I primi mesi del 1865 vedono ancora Reggente Palamede Malpeli, e come già era successo alla fine della sua prima Reggenza, egli volle lasciare un'importante riforma, probabilmente a testimonianza del suo attivismo: il primo censimento della popolazione sammarinese. Come avevamo già visto, fin da qualche anno prima si era pensato a Malpeli per censire i Sammarinesi; tuttavia egli non si era poi dedicato a tale compito. Nella seduta consigliare del 15 dicembre 1864 come Reggente presentò invece un regolamento tramite cui eseguire il censimento, (87) e nei giorni successivi fece distribuire a tutti i capifamiglia della Repubblica una scheda riportante alcune richieste a cui si doveva rispondere. Entro la fine dell'anno le schede compilate vennero restituite, ma sorsero problemi con le parrocchie di Fiorentino, Chiesanuova e Montegiardino dove alcune "voci sinistre" avevano istigato i residenti a non fornire le informazioni richieste, perché altrimenti avrebbero potuto subire tristi conseguenze da parte del governo. I principali propagatori di tali informazioni furono i due parroci delle località in questione, probabilmente indispettiti perché il censimento toglieva al clero l'esclusivo controllo del numero dei parrocchiani. Simile comportamento riuscì ad ottenere un boicottaggio da parte dei loro parrocchiani del censimento; per questo però vennero perseguiti penalmente per "sedizione e ribellione". Alla fine dovettero pagare una multa piuttosto salata, soprattutto Don Antonio Micheloni, parroco di Montegiardino: egli fu condannato all'esborso di 250 lire, cifra che in seguito gli verrà per metà condonata. I loro parrocchiani, per non subire anch'essi problemi di natura legale, si decisero in un secondo momento a fornire le informazioni richieste. (88)

    Il censimento del 1865 rappresenta un fatto assai importante, perché finalmente vengono raccolti dati precisi sulla popolazione sammarinese, anche se con un po' di buona volontà e di esperienza in più si sarebbe potuto far ancora meglio, ed essere quindi addirittura più precisi. La popolazione  ammontava  a 7.080 individui, con una densità di 131 abitanti per  kmq. Malpeli si rallegrava di tali cifre, a suo giudizio elevate ed in forte crescita rispetto al passato, perché erano indice di sviluppo e progresso dell'agricoltura e del commercio. In realtà non sappiamo con precisione se l'aumento demografico così marcato della prima metà dell'Ottocento (è stato stimato che il numero dei Sammarinesi sia più che raddoppiato in questo lasso di tempo) sia dipeso dai fattori di cui ci parla Malpeli, o da altro. Personalmente studiando questo periodo non ho avuto sentore di uno sviluppo dei commerci o dell'agricoltura tali da giustificare un aumento così vistoso dei residenti. Anzi, con la carenza di strade che vi era, direi proprio che il periodo in questione doveva essere in genere piuttosto sottosviluppato in questi due settori, per cui ritengo che cause più verosimili del boom demografico possono essere altre, in particolare un miglioramento delle condizioni sanitarie (la Repubblica disponeva di tre medici, e fin dall'inizio del secolo attuava vaccinazioni sui bambini), e forse l'introduzione di alimenti, come la patata per esempio, facilmente coltivabili, e particolarmente adatti ad eliminare le carestie di cui abbiamo tracce sempre più esigue man mano che ci avviciniamo alla metà del secolo. Ma questi problemi vanno analizzati più attentamente se si vogliono certezze, per cui preferisco soprassedere.     

    Malpeli proseguiva affermando che la popolazione era composta per il 78% da Sammarinesi originari, e per il 22% da forestieri immigrati, residenti per lo più nelle parrocchie di Serravalle, Domagnano, Acquaviva e Chiesanuova, ovvero "su quel tratto di Territorio che è più fertile, ed ha il clima più temperato". L'istruzione aveva bisogno di essere maggiormente curata un po' in tutte le parrocchie, soprattutto quella femminile. I centri rurali avevano una percentuale assai elevata di analfabeti. "Per ora non ci minaccia la terribile piaga del pauperismo", proseguiva il Reggente, tuttavia occorreva potenziare l'agricoltura a vantaggio del "Proletariato", cioè dei non possidenti, perché grazie all'agricoltura questo ceto poteva continuare a vivere bene, ed a svilupparsi. "A questo fine la compilazione di buone Mappe consorziali, la redazione di una ragionata legge forestale, l'istituzione di un Comitato Agrario composto dei principali Possidenti della Repubblica per procurare la coltivazione di molti dei nostri terreni quasi abbandonati, e promuovere il miglioramento dei sistemi agrarii, il procurare un'istruzione primaria in ciascuna Parrocchia per farsi strada al dirozzamento del popolo, e a spogliarlo dei funesti pregiudizi, specialmente in Agricoltura", erano indispensabili, sentenziava Malpeli. Inoltre occorreva "cominciare a pensare seriamente alla grave necessità, troppo ormai sentita d'istruire e di moralizzare la Donna; infine cooperare tutti, prima coll'esempio, e poi col proporre premii ed incoraggiamenti: poiché sono queste i principali mezzi per ottenere l'intento". (89)

    Con queste gravi parole Palamede Malpeli terminava il suo secondo mandato reggenziale. Per il 1865 non rimane tant'altro da dire. Proseguirono periodicamente anche durante quest'anno le polemiche con l'Italia per via dei rifugiati, perché ancora non si credeva nella piena capacità collaborativa da parte sammarinese nel puntuale disbrigo del problema. (90) Nello stesso anno, inoltre, la Repubblica tentò di creare anche a Roma un Incaricato d'affari ufficiale, così come aveva ormai in varie altre città, essendo morto il suo vecchio rappresentante Savorelli. Ma nonostante che lo Stato pontificio fosse ormai tramontato, il cardinale Antonelli respinse categoricamente la richiesta, perché ancora si rifiutava di riconoscere "il carattere di un'assoluta e indipendente Sovranità" allo Stato sammarinese. (91)

    Altri fatti degni di nota possono senz'altro essere l'apertura dell'ospedale e la promulgazione del codice penale. Di un ospedale in cui ricoverare gli ammalati, e tramite cui fornire sollievo ed aiuto soprattutto ai più poveri, si sentiva l'esigenza già da molto tempo. In passato San Marino aveva posseduto simili istituti, tanto che il Malagola ne ha trovato tracce fin dal XIV secolo; (92) tuttavia per qualche motivo, probabilmente di natura finanziaria, ebbero sempre vita discontinua. Negli anni che stiamo esaminando San Marino forniva modeste sovvenzioni per le medicine per i più bisognosi, e stipendiava tre medici a beneficio della popolazione. Esisteva poi una Congregazione di carità istituita nel 1839 "che portando i suoi soccorsi al domicilio degli infermi mirava allo scopo di temperarne le angustie"; ma i suoi fondi erano assai miseri (45 scudi all'anno), per cui anche l'aiuto che poteva fornire era modestissimo. (93) L'idea d'istituire un ospedale prese vita nel 1855 con la lettura in Consiglio di un progetto in proposito, anche se di tale desiderio si trovano diverse tracce per tutta la prima metà del secolo scorso. (94) Ma la perenne mancanza di denaro non permise mai di realizzarla appieno fino agli anni in questione, quando i donativi ricevuti in cambio di titoli onorifici fornirono un fondamentale aiuto. L'apertura dell'ospedale fu comunicata durante la seduta consigliare del 5 settembre del 1865, ed in quell'occasione ne fu letto anche lo statuto. Tale evento coincise con lo scioglimento della Congregazione di carità, i cui compiti dovevano per il futuro essere eseguiti dall'ospedale stesso. (95) Un paio di anni dopo esso fu arricchito da una farmacia donata interamente da Domenico Giulio Fauchè, nominato conte di Omagnano il 15 gennaio 1867. (96) Egli si raccomandò che i malati più poveri ricevessero gratuitamente i farmaci.

    Per quanto riguarda il nuovo codice penale si può dire che anch'esso fu un'esigenza di cui si trova traccia per tutta la prima metà dell'Ottocento, scaturita direttamente dal periodo del dominio napoleonico in Italia. San Marino dipendeva ancora dai suoi statuti secenteschi, ovviamente arcaici in tanti loro aspetti, ma non riusciva a trovare il sistema per ammodernare il suo sistema legislativo, soprattutto perché non aveva il denaro necessario a stipendiare specialisti del settore. Nel 1858, grazie ai suggerimenti ed all'intercessione di Zenocrate Cesari, incaricato d'affari per San Marino a Torino, e dell' avvocato Paltrinieri, fu assunto come commissario della legge Luigi Zuppetta, il quale giunse a San Marino ai primi del 1859. Oltre a svolgere il mestiere di commissario, venne incaricato di redigere anche il codice penale con l'aiuto di una commissione appositamente nominata. La promulgazione del codice penale avvenne il 15 settembre 1865. (97)

    Per chiudere il discorso sul 1865, si può ancora raccontare un interessante  fatto accaduto in luglio. Circa alla metà di tale mese cominciarono a circolare per il paese dei "Fogli di umore politico" tendenti ad esaltare il Papa, ed a sobillare la popolazione contro il governo italiano. Responsabili di tali azioni risultarono alcuni  cappuccini, e soprattutto i frati del convento di Santa Maria di Valdragone. La vicenda intimorì notevolmente i governanti, sempre preoccupati delle possibili ritorsioni da parte italiana, e la popolazione che di Stato pontificio ne aveva probabilmente avuto abbastanza, tanto che molti abitanti di Città e Borgo cominciarono ad organizzarsi per invadere i conventi. Tale pericolo fu scongiurato perché gli ottimati della Repubblica si riunirono subito in congresso straordinario per prendere decisioni in proposito. Mentre erano in riunione, una numerosa folla aspettò all'esterno del palazzo in cui si trovavano per conoscere le loro decisioni; ovviamente per placare gli animi dovettero essere risolute: venne deciso di espellere tutti gli ecclesiastici coinvolti. Il 30 luglio si scrisse al Padre generale dei Servi di Maria a Roma per comunicare che contro i frati del Convento di Valdragone "si sono grandemente eccitati gli animi dei Sammarinesi perché gli hanno veduti occuparsi di cose che stanno fuori del chiostro, ed operare in opposizione al principio di neutralità e di prudente riserva che ha sempre professato la Repubblica nello intendimento di conservare colla purezza de' suoi costumi, e colla santità delle sue leggi la sua Indipendenza e la sua vera libertà". Egli non poté far altro che prendere atto dell'accaduto. (98)

 

 

NOTE               APPENDICE

 

 

10 - Gli ultimi anni: i rapporti esteri

 

    Gli ultimi anni Sessanta furono senz'altro meno densi di problemi dei precedenti, per cui la loro analisi non ci richiederà troppo tempo, né eccessiva fatica. Con l'Italia i rapporti si normalizzarono, ma le polemiche a proposito dei rifugiati continuarono, anche se in maniera più sporadica. Alla fine del 1865 lo stesso Cibrario redarguì la Repubblica in proposito:  "Il diritto d'asilo è quasi sempre illusorio quando non si ha una forza bastante per farlo rispettare", ammonì; l'Italia aveva "considerato come sua gloria non solo rispettare, ma innalzare, constatare ed illustrare la Sovranità assoluta, e l'indipendenza della Repubblica di San Marino", e tale generosità imponeva ai Sammarinesi assoluta correttezza e rispetto della convenzione. (99)

    Nel '66 la situazione rimase piuttosto tranquilla, ma nel '67 riscoppiò una polemica dai toni accesi, perché l'Italia aveva chiesto l'estradizione di un certo Sellari, e la Repubblica non l'aveva eseguita. Cibrario scrisse: "Ho trovato il ministro irritatissimo per la negata estradizione del Sellari; qui tutti i consultori della Corona sono di parere che la Repubblica ha violata la Convenzione del 22-3-62, in conseguenza del che una formale protesta contro la Repubblica fu deliberata in consiglio dei ministri". Egli suggeriva di usare estrema cautela con l'Italia, perché c'era il reale pericolo di compromettere i rapporti, e di far impugnare o addirittura annullare la convenzione. "Sarebbe ormai tempo che la Repubblica rinunziasse all'errore di credere che l'onor suo consista nel concedere asilo ai malfattori -proseguiva- prima di tutto io credo che il diritto d'asilo concesso a malfattori ordinarii non può far onore a chi lo concede anche quando è forte come l'Inghilterra e l'America e può farlo rispettare. Ma qui non siamo nel caso; e siamo nell'altro caso di un diritto a cui si è rinunziato da uno stato debole in corrispettivo d'un obbligo uguale di consegna assunto da uno stato forte; quindi tale obbligazione bilaterale dev'essere dai due lati scrupolosamente rispettata". La Repubblica si allarmò tanto da inviare nel mese di giugno Settimio Belluzzi e Pietro Tonnini a Firenze per chiarirsi con i governanti italiani.(100) Il colloquio risolse la questione Sellari, ma da ora in poi i rapporti con l'Italia diverranno più tesi, e tutti i pretesti saranno buoni per polemizzare con San Marino.

    Un'altra occasione di contrasto capitò subito: questa volta il motivo scatenante fu la distribuzione di onorificenze da parte sammarinese che, come si è detto, in questi anni cominciò ad assumere proporzioni ingenti. Con lettera del 16 luglio il Ministro degli esteri affermava: "Da alcun tempo è stato conferito un gran numero di decorazioni di San Marino a cittadini italiani. Fra coloro che vennero per tal modo insigniti dell'onorifico distintivo, vi sono persone le quali sembrano meno qualificate per ottenere l'onore che loro venne impartito. Si aggiunge per ultimo che il Regio Governo ebbe in mano le prove giudiziali che la concessione dell'ordine Sanmarinese formò per parte di persone estranee al Governo della Repubblica oggetto di palese mercimonio". Vi era una legge, proseguiva la lettera, che impediva ai cittadini italiani di fregiarsi di ordini stranieri senza il preventivo permesso dello Stato. "Egli vedrebbesi nella necessità di non più aderire alle domande di coloro che verrebbero decorati dell'Ordine di San Marino -si conclude- se, come già si pratica con altri Governi, non si concertassero anche con codesta Repubblica provvedimenti atti ad impedire consimili abusi. Potrebbe il Governo di San Marino indirizzarsi a questo Ministero degli Affari Esteri per conoscere se nulla si opponga a che tale o tal altro suddito italiano venga decorato". (101) Ovviamente venne subito consultato Cibrario intorno alla questione. Egli disse che San Marino in fondo si stava comportando con le sue decorazioni come facevano tanti altri Stati, però in maniera troppo ingenua e facilona: "Chi più intriga, e dispensa con più larga mano incensi alla Repubblica non è sempre il più degno d'ottenerne la confidenza", disse; "non bisogna permettere che ogni uomo rivestito di qualche titolo sonoro, comprato a Gerusalemme o dal principe Gonzaga (condannato per truffa dal Tribunale della Senna nel 1853) s'arroghi la facoltà di chieder croci per sé o per altri". Occorreva, insomma, che San Marino stesse molto attento nel consegnare onorificenze, e che le desse con maggiore parsimonia. (102)

    Tutta la faccenda era nata per colpa di un certo Andreucci che aveva venduto ad un altro, senza alcun permesso, un'onorificenza ricevuta dalla Repubblica. San Marino dovette procedere alla revoca del titolo dato ad Andreucci (fu il primo caso simile mai verificatosi per la Repubblica), ed a scusarsi con l'Italia per l'accaduto, promettendo per il futuro maggiore attenzione. La questione si placò in parte solo alla fine di settembre, perché fino a quel momento il ministero degli esteri italiano bloccò ai suoi cittadini i permessi per potersi fregiare delle decorazioni sammarinesi. (103) Tuttavia la faccenda delle decorazioni lasciò strascichi polemici anche negli anni successivi. Nel gennaio del '68 Cibrario comunicò che per colpa delle stesse la simpatia che vi era per San Marino presso il ministero degli esteri si era mutata in "sentimento contrario", e che era stata approvata una deliberazione tendente "a non approvar mai nissuna concessione di decorazioni" sammarinesi; "è perciò che nei cartoni ministeriali vi è un monte di ricorsi di R. sudditi per aver la facoltà di fregiarsi della croce e della medaglia, che rimangono inesauditi". Questa situazione si era venuta a creare perché si accusava la Repubblica di vendere la maggior parte delle sue onorificenze (dietro compenso che variava dalle 300 alle 1.500 lire), e non di distribuirle per meriti particolari. Inoltre venivano spesso assegnate "a persone indegne", ed a volte gl'intermediari si facevano pagare per la loro raccomandazione. Cibrario avvisava d'aver difeso la Repubblica col sostenere che i soldi incamerati venivano utilizzati a favore di opere pie, e di bisogni reali della Repubblica; tuttavia l'acredine persisteva. "Non vorrei che questa antipatia per San Marino generasse più amari frutti quando si tratterà di rinnovare la convenzione. Bisogna badarci e seriamente!!!", aggiungeva esplicitamente. Era poi indispensabile usare grande circospezione anche nella creazione di nuovi consoli e incaricati, perché San Marino "non avendo commercio, non ha, propriamente parlando, diritto di nominarne nessuno come non ha diritto di dar gradi nelle sue truppe a cittadini del Regno. Queste distinzioni sollevano gare e gelosie, e le consolari fanno godere alcuni Italiani di esenzioni cui non hanno diritto, poiché non hanno nessuna vera funzione consolare". Insomma, se la Repubblica "non avesse istituito ordini e decorazioni sarebbe stato certamente miglior partito". Bisognava stare molto attenti, terminava Cibrario, ed evitare di nominare altri consoli. (103) Naturalmente San Marino cercò di seguire il consiglio del Cibrario per quanto gli era possibile, e per quanto gli permettevano le sue finanze che ora, con i nuovi introiti, cominciarono a funzionare assai meglio. Vi fu un'ultima lagnanza italiana per colpa di una onorificenza conferita da San Marino nel 1869 a Mohamed Pascià, primogenito del vicerè d'Egitto, (104) ma la faccenda piano piano si sgonfiò, e San Marino potè continuare senza troppi patemi questo suo nuovo commercio.

    Nello stesso anno ebbe problemi analoghi con la Francia dove era stato deciso di sospendere i permessi di portare le decorazioni sammarinesi, perché era in atto un'inchiesta contro un certo Rayna per vendita delle medesime. (105) Anche qui, però, la situazione tornò in fretta alla normalità, senza particolari conseguenze degne di essere annotate. E' chiaro che tutti questi guai con le onorificenze si dovevano all'inesperienza sammarinese in questo ramo, e direi in qualunque tipo di commercio, ma anche alla spregiudicatezza dei tanti personaggi sinistri che cominciavano a ruotare intorno alla Repubblica, probabilmente consapevoli dei vantaggi morali e soprattutto materiali che potevano ricavare da questo rapporto, e che erano prodighi di consigli e di aiuti apparentemente generosi e gratuiti. La Repubblica si era trovata da un giorno all'altro gettata dentro una realtà internazionale a cui non era di certo abituata. I suoi consulenti, incaricati, consoli o "amici" che fossero, erano in genere individui che si autoproponevano, quasi sempre  senza chiedere alcun compenso, anzi, donando anche del denaro, per l'ambizione di un titolo, o per poter frequentare ambienti che senza la carica di provenienza sammarinese sarebbero stati loro vietati, o di difficile accesso. Lo stesso Avigdor, che pur tanto aiuto ha fornito alla Repubblica in questi anni così difficili ed innovativi, non doveva essere proprio un sant'uomo, ed in varie occasioni ho potuto verificare direttamente l'uso disinvolto che egli ha fatto dei suoi poteri di console. Come quando contrasse un debito a nome della Repubblica di cui essa non sapeva nulla, o quando egli con molte probabilità falsificò per motivi che non conosciamo, ma sicuramente legati ad interessi personali, un diploma annesso ad un'onorificenza destinata ad un certo Scipione Gemond. (105a) Il Cibrario, subito consultato,consigliò machiavellicamente alla Repubblica di non approfondire troppo la questione, né di fare la voce grossa, perché se i sospetti che si avevano fossero risultati fondati "essa si troverebbe, attesa la qualità del personaggio, i servizi che ha reso e che può rendere ancora in maggiore imbarazzo di prima". "Dalle notizie che si hanno -seguitava- si valgano i moderatori della cosa pubblica per procedere in questa sorta d'affari colla massima circospezione; ma non cerchino di veder troppo chiaro e di lasciar conoscere che vogliono veder ben chiaro. Vi sono delle persone che i governi qualche volta lascian fuggire per evitare l'imbarazzo maggiore di farli prigioni". (106) I governanti sammarinesi in effetti chiesero spiegazioni ad Avigdor con lettera del 12 maggio, ed accettarono a denti stretti le giustificazioni che egli cercò di dare con lettera di qualche giorno dopo. Ed anche questa faccenda si concluse.

    Per ultimare il discorso relativo alle polemiche con l'Italia, si può ancora dire che nel mese di agosto del 1867 alcuni giornali di Bologna accusarono la Repubblica di essere un comodo rifugio per i membri del Partito d'azione che qui tenevano periodiche riunioni. Tali voci furono seccamente smentite tramite articoli fatti pubblicare da San Marino sul Monitore ed il Corriere dell'Emilia, sempre di Bologna. (107) Di voci simili, comunque, dovremo riparlare anche negli anni '70.

 

11 - La politica scolastica

 

    Un altro importante fatto di questi anni fu la ristrutturazione del sistema scolastico, e l'avvio di una politica della scuola tendente ad una sempre maggiore acculturazione della popolazione. Fin dal XV secolo si hanno notizie dell'opera di un maestro a San Marino, e quindi di una qualche forma di attività scolastica; tuttavia fondamentale per l'evoluzione di questo settore fu l'istituzione del Collegio Belluzzi alla fine del '600, istituto che però non sempre potè operare con continuità, e che per lunghi periodi dovette rimanersene chiuso. (108) Nel corso della prima metà dell'Ottocento si fecero sforzi notevoli per tenere aperto il collegio, e mantenere un sistema scolastico superiore, utile soprattutto a formare le nuove classi dirigenziali. La scarsità di denaro, però, provocò grossi danni anche in questo campo, per cui il Collegio funzionò a singhiozzo. Le uniche scuole che operavano con una certa regolarità, invece, erano quelle elementari; ma esse erano aperte solo nei Castelli più urbanizzati, ovvero in Borgo, dove disponevano però solo delle prime due classi, ed in Città, dove di classi ve n'erano cinque. Nei Castelli rurali non esistevano scuole statali, e l'istruzione era demandata ai parroci, ed a maestri improvvisati. Questa situazione ovviamente determinava tassi di analfabetismo elevatissimi, soprattutto nelle campagne, ed il censimento del 1865 in parte può confermare queste affermazioni. (109) Gli anni che stiamo esaminando sono quelli della legge Casati in Italia, e vedono un grande dibattito sulla necessità di acculturare la popolazione, dibattito a cui non fu estraneo lo stesso Cibrario, ministro della cultura presso i Savoia dal 1852 al 1855, ed autore nel 1854 di un progetto scolastico per il riordinamento della pubblica istruzione italiana che è considerato il fondamento della legge Casati stessa. Ovviamente la Repubblica sammarinese ha sempre subito profonde influenze da quanto le accadeva attorno, e così dovette essere anche per il problema scuola. Inoltre la questione era uno dei cavalli di battaglia preferiti da Palamede Malpeli, il quale sosterrà ripetutamente, insieme ad altri progressisti di cui si possono trovare diverse istanze presentate al Consiglio sull'argomento, il bisogno di scuole femminili, tecniche, serali per gli operai e di un asilo per bambini in età prescolastica. Tutto questo fervore aveva determinato già nel 1864 l'ammodernamento del sistema didattico nelle due scuole elementari esistenti. In Borgo in realtà già s'insegnava secondo la nuova didattica, grazie all'opera del giovane maestro Federico Martelli. In Città, invece, si dovette pensionare l'anziano maestro Nicola Giannini, e sostituirlo con Federico Gozi, assai più giovane, con l'obbligo d'istruire i bambini con il sistema usato in Borgo. Il suo stipendio fu di 52 scudi annui. (110) Nel 1865 è Serravalle che presenta un'istanza al governo per poter avere una scuola elementare che funzionasse con regolarità: il 5 settembre comunica che, per l'aumento della sua popolazione, molti fanciulli erano lasciati a se stessi, e per strada; chiedeva un contributo per creare una scuola, perché per simile istituto, gestito fino a quel momento dal parroco, aveva a disposizione solo 64 lire annue. Il Consiglio rispose che l'iniziativa era lodevole e degna di essere sviluppata, però non poteva in quel momento fornire alcun contributo. Se volevano una scuola, dovevano autotassarsi. (111) Così in effetti fu, perché nel Consiglio del 28 dicembre dello stesso anno Serravalle comunicò di aver deliberato di mettere una tassa sull'estimo censuario dei fondi rustici con cui poter aprire la scuola. Un anno dopo, il 27 ottobre, il Consiglio approvò i maestri per Serravalle (i nobili Belluzzo Belluzzi e Maddalena Angeli), e diede il permesso di aprirle con la condizione che seguissero gli stessi programmi e sistemi didattici delle scuole di Città e Borgo.(112) Il 5  novembre, infine, Ermenegildo Stambazzi, i cui ideali progressisti devono aver avuto un gran peso nella creazione della scuola di Serravalle, inviò alla Reggenza nella sua qualità di capitano di quel castello il "capitolato della scuola maschile e femminile di Serravalle". (113)

    Nel 1867 fu avviato un progetto di ristrutturazione del sistema scolastico tramite la lettura in Consiglio di un programma per le "pubbliche scuole riunite nella Repubblica di San Marino e del Nobile Collegio Belluzzi", progetto che dipese prevalentemente dall'attivismo di Palamede Malpeli. (114) Il progetto prevedeva la riapertura del collegio Belluzzi, chiuso ormai dagli anni '50, l'attivazione di un asilo per bambini in età prescolastica, di un biennio elementare di scuola femminile, di un biennio di scuola tecnica. Inoltre prevedeva quattro anni di scuola elementare, quattro anni di ginnasio, due anni di liceo. Per concretizzare questo progetto furono presi contatti immediati con gli eredi Belluzzi, onde poter sottoscrivere una convenzione per riaprire il Collegio; ma le trattative andarono abbastanza per le lunghe, sia perché Gaetano Belluzzi sottopose la riapertura del Collegio ad una serie cospicua di condizioni, tra cui l'acquisto di Palazzo Begni dove il Collegio avrebbe dovuto trovare nuova sede, e con esso le scuole, sia perché l'acquisto del palazzo, di proprietà di due famiglie (Arcajani ed Angeli) richiese una lunga e polemica trattativa, anche se lo Stato aveva i soldi grazie ai tanti donativi ricevuti in favore della pubblica istruzione. (115) Nell'agosto del 1868 si giunse ad espropriare il palazzo perché le trattative non avevano condotto ad una soluzione meno drastica del problema. (116) Il 10 novembre dello stesso anno fu divulgato un pubblico bando in cui si comunicava che due giorni dopo sarebbero state aperte le scuole pubbliche sottoposte al regolamento disciplinare sanzionato nel Consiglio del 16 maggio 1867. "Concittadini! -diceva il bando- Il vostro Governo dal canto suo non risparmia cure e spese per migliorare e sviluppare sempre più la pubblica morale e la pubblica istruzione, persuaso che così facendo tutelerà potentemente l'indipendenza, la libertà e la prosperità politica della diletta nostra Repubblica. Ma è indispensabile altresì che Voi pure dal canto vostro secondiate e corroboriate con unico spontaneo concorso gli sforzi del vostro Governo, curando che i vostri figli vadano regolarmente alla scuola, e non perdano poi nel seno della famiglia quello che nella scuola è stato loro insegnato con tanta fatica. Si ricordino i genitori che nell'onestà, nel senno, nella prudenza, nella generosità, nell'amor patrio della crescente generazione sta riposta la salute della Repubblica, e che noi faremo applicare rigorosamente le sanzioni degli Statuti e del Codice Penale a quei Padri che trasandassero l'adempimento del sacro dovere di educare ed istruire la lor prole". (117)

    Con questa innovazione la Repubblica tentò di mettersi al passo con quanto nella scuola stava accadendo in Italia, anche se non introducendo l'obbligo scolastico permarrà ancora a lungo il grave problema dell'analfabetismo. Negli anni successivi vi sarà anche un tentativo di creare scuole serali per i lavoratori, così come puntualmente richiedevano i soliti pochi riformisti attraverso istanze al Consiglio. Alla fine del 1871 si giunse anche ad approvare un regolamento per la loro istituzione, (117a) ma da quanto mi risulta, esse non entrarono mai in funzione, probabilmente perché non vi era una vera volontà governativa di istituirle, nè di stanziare grosse cifre per la loro realizzazione, come si può dedurre dalla richiesta fatta ai maestri nel 1870 di prestarsi gratuitamente per tale iniziativa. (118) E' facile poi che il progetto non sia andato a buon termine anche per il disinteresse della popolazione, a cui verosimilmente non doveva importare più di tanto di alfabetizzarsi. 

    Sempre a proposito di scuola posso aggiungere che in questi anni si comincia a sentire l'esigenza di un fondo di denaro da distribuire, sotto forma di assegno di studio, agli studenti universitari,o di altre scuole,  costretti a recarsi presso gl'istituti italiani. Ugualmente lo Stato sammarinese avvia pratiche con il ministero della cultura italiana per facilitare l'iscrizione degli studenti locali alle università ed alle scuole d'Italia. Per quanto riguarda l'assegno di studio si può dire che San Marino anche negli anni precedenti cercava di aiutare con qualche cifra quei pochi studenti che proseguivano i loro studi dopo il liceo, anche perché nel corso della prima metà del secolo più volte era sorto il timore che in futuro non vi fossero persone troppo qualificate per starsene ai vertici dello Stato, e per gestirlo. Ma il denaro era scarso, e quindi i contributi miseri ed estremamente contati. Nel 1865 Aurelio Muccioli e Camillo Bonelli, studenti in legge, ed Ulisse Balsimelli, studente in musica, sono costretti a contendersi un contributo, di cui prima godeva uno studente in medicina ritiratosi, tramite una specie di esame preliminare in filosofia, matematica, fisica ed eloquenza. Alla fine Bonelli rinunciò, e credo anche Balsimelli, per cui il denaro forse andò a favore di Muccioli, anche se in ottobre vennero assegnate 250 lire pure a Balsimelli. (119) Questo problema diventerà molto più pressante negli anni '70 e nei primi anni '80, verosimilmente perché sono questi gli anni in cui numericamente crescono gli studenti, sia per la maggior regolarità delle scuole sammarinesi, sia perché il ventennio che stiamo esaminando è di relativo benessere, e quindi può aver permesso ad un maggior numero di famiglie di far studiare i propri figli. Inoltre penso che la maggior floridezza della pubblica economia deve aver stimolato i Sammarinesi ad avanzare con più facilità richieste di aiuto nei confronti del governo: da qui l'esigenza di regolamentare anche i sussidi agli studenti,fatto che avvenne con legge del 28 marzo 1887. (120)

    Un ulteriore problema di questi anni legato alla scuola fu il riconoscimento del diploma rilasciato dal liceo sammarinese, e la conseguente possibilità di iscriversi alle università italiane. La questione nacque ufficialmente nel 1869 (anche se vi sono sue tracce fin dal 1863) quando il Ministero degli esteri italiano scrisse che non vi sarebbero stati problemi d'iscrizione alle università per gli studenti sammarinesi "ove non vi facessero alcun ostacolo troppo gravi differenze fra gli studi secondari che costà compiono e quelli dei nostri Licei". Nei giorni successivi si inviò al ministro la documentazione necessaria a comprovare che il liceo sammarinese aveva programmi analoghi a quelli italiani. Finalmente il 28 novembre del 1870 il Ministero della Istruzione Pubblica italiano deliberò che i Sammarinesi potevano iscriversi liberamente alle università di tutt'Italia. (121)  

 

NOTE               APPENDICE

 

 

12 - I mutamenti della mentalità

 

    Gli anni che stiamo esaminando vedono anche la lenta trasformazione della mentalità, che da esclusivamente rurale passa ad essere anche commerciale, e quindi proto-borghese, con diversi tentativi da parte dei più intraprendenti tra la popolazione di avviare lavori nuovi, come l'apertura di una miniera di carbon fossile o l'apertura di una fabbrica di fiammiferi, (122) nonché le prime forme di associazionismo tra operai per motivi di lavoro, fenomeno sicuramente importante per lo sviluppo della nuova mentalità, e per la creazione di una coscienza di classe che negli anni '70, '80 e '90 si svilupperà sempre più. La prima traccia che ho potuto trovare di quest'ultima prassi risale al 23 giugno 1863, giorno in cui il Consiglio esamina una innovativa richiesta presentata da V. Angeli, M. Amati, G. Giacomini, E. Ceccoli, E. Casali, E. Reffi, L. Muccioli, tutti fabbricanti di carte da gioco. Costoro chiedevano di potersi riunire in cooperativa per evitare la reciproca concorrenza, e che il Consiglio non desse per qualche tempo altri permessi per tale tipo di lavoro. Il governo accettò "in via d'esperimento" entrambe le istanze, e riconcesse il medesimo monopolio anche quattro anni dopo, quando la stessa società ripresentò domanda analoga. (123) Queste concessioni suscitarono la rabbia di altri due che, in nome della libera concorrenza, avrebbero voluto intraprendere lo stesso mestiere, (124) ma il Consiglio lasciò la privativa al gruppo di cui si è detto.

    Nel 1869 registriamo la costituzione di un'altra nuova "Società di Capi Scarpellini", composta da dieci artigiani, la quale tramite Palamede Malpeli e Giuliano Belluzzi, che non a caso erano entrambi di tendenze progressiste, inoltra una petizione affinché fosse proibita l'apertura di altre cave di pietra oltre a quelle già esistenti, che era ovviamente la richiesta di una sorta di monopolio, ed un prestito di 5.000 lire da rendersi in cinque anni. (125) "L'attuale misera condizione degli Scarpellini -dissero- per la deplorevole gara di mestiere esistita fra loro: il falso e dannoso sistema (che ne era la conseguenza) di scavare la pietra, fin qui tenuto; l'avvilimento e deperimento seguitone di questa industria la quale è la prima e naturale del paese; sono queste le chiare e fortissime ragioni che debbe indurre l'animo del Principe a favorire questa Società, la cui costituzione darà per sicuro risultato il miglioramento della privata condizione di molti individui; il ristabilimento della buona armonia e della pace fra i medesimi; l'incremento delle risorse economiche del paese, unico mezzo per prevenire la piaga funestissima del pauperismo".Il Consiglio accettò solo la seconda domanda. Alcuni di questi scalpellini (Balsimelli Tommaso, Giuseppe e Pietro, Mariotti Mansueto) qualche mese dopo avanzarono istanza per ottenere lavoro, e provvedere così "al sostentamento delle proprie famiglie". (126) Il Consiglio nominò una commissione per esaminare la richiesta: il 5 maggio 1870 essa sottolineò che il lavoro mancava per colpa dei "tempi, della libera concorrenza, e specialmente del Credito"; "se poi la seconda istanza si fondasse sul supposto principio del diritto al lavoro -aggiungeva- andrebbe respinta, poiché le così dette organizzazioni industriali etc; furono il frutto delle aberrazioni di quegli intelletti esclusivamente politici, che sovraposero alla vera scienza economica un principio rivoluzionario che scalza direttamente il principio dell'associazione dei piccoli capitali e della libera concorrenza, che è il gran dogma della moderna Società e senza di cui non è possibile la novità o la libertà nel commercio, nelle industrie, nel lavoro medesimo. Del resto quando il nostro Governo avrà bisogno pei suoi pubblici lavori dell'opera degli Scarpellini terrà in calcolo la domanda fatta dai medesimi". (127) Direi che queste affermazioni sono piuttosto interessanti, e probabilmente sono un chiaro indicatore di un'evoluzione in atto delle mentalità. Forse sono il segno anche di un'embrionale forma di politicizzazione che stava cominciando a farsi strada tra qualche operaio, e di cui chi era ai vertici dello Stato aveva timore. E' chiaro, comunque, che siamo verosimilmente difronte ai primi passi di un processo nuovo, che veniva letto con estremo sospetto dalla vecchia classe dirigente, pronta a concedere lavoro, facendolo cadere dall'alto, ma non a darlo perché rivendicato dal basso. Degna di attenzione per il mutamento di mentalità che abbiamo individuato è anche la richiesta presentata al Consiglio del 15 aprile 1867 d'istituire una camera di commercio, e di creare un codice commerciale, istanza che verrà da ora in poi presentata con relativa frequenza. La domanda era stata presentata da tre progressisti del Borgo, vero focolaio del riformismo sammarinese, e cioè Ermenegildo Stambazzi, Francesco Fabbri Natalucci, Marino Amati. (127a)

    Un'altra forma di associazionismo che fa la sua prima apparizione a San Marino in questi anni è quella a sfondo mutualistico-umanitario. Pietro Franciosi ci dice che fin dai primi dell'Ottocento esisteva in Repubblica una "Commissione di Soccorso" con il compito di sussidiare i poveri e gli ammalati a domicilio. Nel 1830, poi, con decreto del 14 marzo, essa divenne "Commissione di Beneficienza" composta da dodici individui, più o meno con gli stessi scopi. (128) Nel 1839, come già si è detto, si stabilì di creare una "Congregazione di Carità" per "la mancanza di ogni istituto di beneficienza", (129) frase che fa pensare che anche la Commissione di Beneficienza, come tutti gli istituti sammarinesi in questo periodo, non aveva vita costante, né operava con regolarità. Tutte queste forme di assistenzialismo erano sempre vincolate alla volontà più o meno illuminata di qualche membro del Consiglio, così come la distribuzione di sovvenzioni o anche di pensioni, che avveniva sempre in modesta misura, e ad personam. Negli anni '60 questa logica comincia a modificarsi, ed i Sammarinesi cominciano anche qui ad aggregarsi autonomamente, fino a fondare nel 1876 la Società Unione e Mutuo Soccorso. Proprio a proposito di questa società occorre sviluppare un discorso, e retrodatare la sua origine, perché fino ad oggi la si è ritenuta figlia degli anni Settanta, (130) mentre in realtà la sua nascita è più legata alla seconda metà degli anni '60. Infatti fin dal novembre del 1866 erano stati inviati alla Reggenza documenti e lo Statuto della Società nazionale di mutuo soccorso di Milano dal cavalier Paolo Stanpa, suo presidente. Egli pregava che tale materiale venisse divulgato "affinché anche i Sammarinesi possano godere della benefica istituzione". (131) La Reggenza (Melchiorre Filippi-Domenico Fattori) provvide prima a chiedere informazioni sulla Società al suo console Traversi; (132) risultando queste estremamente positive,  fece in seguito opera di divulgazione del materiale affidatole. Un mese dopo scrisse al cavalier Stanpa per comunicargli che sette Sammarinesi erano interessati ad iscriversi, e precisamente E. Stambazzi, notaio, P. Dal Monte Casoni, medico, F. Bucchi, chirurgo, M. Fattori, maestro, F. Venturini, commissario, F. Montanari, ispettore delle strade, D. Fattori, segretario degli esteri e delle finanze.  Costoro vennero accettati dalla Società di Milano, la quale chiese alla fine di dicembre se si poteva reperire qualcuno che la rappresentasse in Repubblica. Si offrì immediatamente Palamede Malpeli, il quale assunse gratuitamente l'ufficio di delegato della Società a San Marino. (133) Per assenza di documenti, non sappiamo se questo primo gruppo abbia fatto opera di proselitismo in Repubblica, né se la Società di Milano abbia svolto una qualche ulteriore attività in loco. E' chiaro che i primi sette iscritti dovettero aderire all'iniziativa più per simpatia, o per moda, che per altro. Tuttavia non credo che il fatto sia privo di significato, né che in qualche maniera non abbia influito sulla Società di Mutuo Soccorso che si costituirà nel 1876 addirittura con 129 iscritti. Si può dire ancora che un progetto per costituire una "Società Umana" tutta sammarinese fu presentato in Consiglio già nel maggio del 1869, ma esso fu lasciato cadere nel nulla dagli organismi governativi. (134)  "Lo scopo di questa società è di aiutare tutti gl'infelici, sia in caso di malattie, di disgrazie, di ruine o di morte - si legge nel suo statuto presentato alla Reggenza nel mese di marzo-. (135) Questa società accorda gratuitamente ai malati, le cure del medico, le medicine, e di più un assegnamento individuale d'un franco per ciascun giorno di malattia; provvede alle spese funerarie dei soci poveri; e distribuisce, quando le circostanze lo esigono, de' soccorsi al domicilio. Una parte del fondo sociale è consagrata a creare delle pensioni per gli associati poveri". Si prevedeva che la Società Umana dovesse aver vita per un minimo di novant'anni. (app. n° 6) 

 

 

NOTE               APPENDICE

 

 

13 - Qualche altro fatto ancora

 

    Prima di parlare degli anni Settanta, occorre enumerare ancora pochi fatti degni di non essere trascurati. Del 1865 abbiamo esposto già gli avvenimenti principali. Per il 1866, invece, possiamo ancora accennare alle conseguenze provocate sugli ordini religiosi presenti a San Marino da una legge relativa ai beni ecclesiastici varata in Italia. Il 7 luglio fu promulgata dal parlamento italiano questa legge che prevedeva la requisizione a favore del demanio dei beni delle congregazioni e degli ordini religiosi. Fu emanata nel tentativo di sanare il deficit del bilancio dello Stato; in pratica veniva a togliere ogni riconoscimento giuridico ai gruppi religiosi, a cui lo Stato s'impegnava però di versare una cifra annua per il culto. I fabbricati dei conventi e dei monasteri soppressi erano assegnati ai comuni e alle provincie che ne facevano domanda per la creazione di scuole, asili, ospedali e opere di beneficienza. Libri ed opere d'arte venivano invece destinati a biblioteche e musei pubblici. Ovviamente questa legge avrebbe dovuto incidere anche sulle proprietà italiane degli ordini religiosi che avevano sede a San Marino; tuttavia così non fu grazie all'articolo 21 della convenzione del 1862. Il 30 luglio la Reggenza scriveva al Ministero degli esteri per rammentargli tale comma, (136) ed il 31 furono spediti presso gli uffici del registro di Forlì e di Pesaro Palamede Malpeli e Pietro Tonnini per volturare a favore di San Marino le proprietà delle locali corporazioni religiose. Questo fatto ebbe anche il consenso di tali corporazioni perché ovviamente si sentivano più garantite dal governo sammarinese che non da quello italiano. Tre anni dopo (non conosco i motivi che fecero trascorrere tanto tempo) la Reggenza emanò un decreto con cui si stabiliva che i beni di mano morta appartenenti agli istituti religiosi sammarinesi e situati in Italia fossero intestati al governo della Repubblica. (137)   

    Del 1867 è anche un'altra relazione di Malpeli, questa volta critica nei confronti del fisco sammarinese. (app. n° 24) Egli sosteneva che le locali tasse non erano applicate e ripartite equamente, perché "la massima parte del peso delle Tasse viene sopportato dai Possidenti e dalla Classe più povera e meschina; mentre la classe mezzana formata dagli Artisti e dai Coloni ne è quasi totalmente esonerata". Secondo Malpeli questo ceto era benestante e piuttosto agiato, tanto che poteva permettersi cibi raffinati, lusso nel vestiario e perdite al gioco. Ma in proporzione pagava ingiustamente meno tasse degli altri ceti, per cui bisognava provvedere, perché lo Stato con una politica fiscale più equa, ed un'amministrazione delle tasse più sana avrebbe potuto gestire un bilancio annuale in pareggio, anche senza dover far conto sui soldi che arrivavano in maniera imprevedibile. "Così senza aumento delle Tasse esistenti, ma col solo coordinarle fra loro per renderle giuste, si può giungere a far sì che siano sufficienti a sopperire ai bisogni ordinari dello Stato, anche quando i Proventi straordinari venissero a mancare". Occorreva sistemare in fretta l'apparato fiscale, perché le nuove spese varate dal governo, in particolare quelle legate al rifacimento delle strade, fondamentali "per lo sviluppo dell'Agricoltura, delle Arti, del Commercio e della Ricchezza pubblica in generale",presupponevano bilanci consolidati su cui poter sempre far affidamento. Suggeriva quindi modificazioni e riforme sostanziali delle tasse in vigore, e l'istituzione del Catasto Urbano "non solo per quel modico Provento che ne potrà venire alla Cassa pubblica, ma molto più perché i Cittadini possano con sicurezza e speditezza commerciare le loro proprietà urbane, lo che attualmente riesce lungo, difficile e costoso". Malpeli terminava la sua relazione specificando ancora una volta i bisogni della Repubblica, quelli che già in altre occasioni egli aveva rimarcato, e cioè le strade, il Palazzo pubblico, e l'istruzione, ed esortando a provvedervi con intelligenza, "imperocchè se la conservazione, la sicurezza e la tranquillità degli altri Stati dipende ordinariamente dal numero e dalla disciplina degli Eserciti; la conservazione, la sicurezza e la tranquillità del Nostro Stato dipende esclusivamente dal sapere e dalla prudenza de' suoi Magistrati, dall'esercizio disinteressato delle virtù cittadine da parte di tutti noi, dalla stima e dalla simpatia che deve riscuotere il nostro Paese da tutti gli Onesti del Mondo non solo per le sue istituzioni politiche, ma molto più per le doti di mente e di cuore che debbono fregiare gli Uomini che ne siedono al Governo". Il Consiglio prese atto dei suggerimenti, e subito deliberò di abolire la tassa di famiglia, e di ridurre ad una solo tributo le tasse ordinarie, straordinarie e stradali. Quest'ultima imposta avrebbe dovuto essere di 6 lire per ogni 100 scudi di estimo, e sarebbe stata riscossa in due rate annuali, una in luglio ed una in dicembre. (138) Inoltre il 18 giugno dell'anno successivo fu varato un "Regolamento per la Conservazione del Catasto rustico e urbano", un "Regolamento delle Leggi relative al Bollo, Registro, Ipoteche e Censo", una "Legge addizionale sul Bollo, Registro, ecc.", tutte leggi di certo legate alle esternazioni di Malpeli dell'anno prima, ed alla sua terza Reggenza, sostenuta tra l'aprile ed il settembre del 1868. (139)      

    Nell'assumere questo incarico, precisamente in data 5 aprile, Malpeli aveva esternato alcune sue idee, seguendo una prassi per lui ormai consolidata, ma questa volta l'aveva fatto non all'interno del Consiglio, bensì nell'Arringo, cioè in occasione della presentazione da parte della cittadinanza delle petizioni al governo. Questo perché il suo messaggio era rivolto più alla popolazione, che ai governanti. (cfr. app. n°22) Egli in quell'occasione disse che il bene della Repubblica richiedeva anche qualche sacrificio personale, e che per un miglioramento complessivo occorrevano soprattutto tre cose: lo sviluppo della pubblica istruzione e la conservazione della pubblica morale; una distribuzione più razionale dei lavori pubblici; "impedire lo sfacelo economico delle famiglie per la soverchia suddivisione degli assi e dei privati patrimoni, o per l'estinzione di quelle abbastanza agiate, che sono le fonti, da cui può e deve emanare la prosperità politica ed economica di un piccolissimo stato". Per l'esame dettagliato di queste affermazioni, e delle idee del Reggente rimando direttamente al documento in appendice. E' chiaro, comunque, che Malpeli, sicuramente più appariscente ed ambizioso di tutti gli altri oligarchi, e probabilmente più entusiasta, quando si metteva in testa qualcosa utilizzava tutti i mezzi a sua disposizione per realizzarla, approfittando soprattutto dei semestri in cui era Reggente per raggiungere i suoi fini. All'epoca il Reggente nobile aveva grandi poteri, e direi anche una grande libertà d'azione. Da qui il frenetico attivismo che abbiamo registrato in concomitanza di tutte le Reggenze di Malpeli, attivismo presumibilmente frenato e circoscritto solo dalla breve durata della carica che non poteva permettere di fare più di tanto.

    Sempre alla terza Reggenza di Malpeli si devono altre iniziative, come l'inizio delle trattative per l'acquisto di Palazzo Begni, "per provvedere seriamente alla pubblica Istruzione, ossia alla sistemazione di un buon Collegio e di buone Scuole", di cui si è già detto qualcosa, e l'idea di coniare altre monete, d'argento e di rame, per colmare il passivo di 8.127 lire del bilancio 1-4-67/31-3-68. (140) Vennero per questo intraprese le trattative con l'Italia, ma alla fine non furono coniate monete d'argento, ma solo 30.000 lire (600.000 pezzi) di monete in rame da 5 centesimi, emesse però nel 1869. (141)

    Proprio durante la trattativa intorno alle monete, nel 1868 il Ministro delle finanze d'Italia avanzò alla Repubblica la proposta di aderire ad un organismo internazionale, la "Convenzione Monetaria" stipulata tra Italia, Francia, Svizzera e Belgio, che le avrebbe potuto fornire dei vantaggi, e avrebbe sicuramente legittimato ancor più la sua sovranità. (142) L'invito naturalmente destò nei governanti sammarinesi grande entusiasmo, perché finalmente la Repubblica avrebbe potuto essere garantita nella sua autonomia da un organismo internazionale, e non solo dall'Italia (in cui, tra l'altro, la fiducia non era ancora proprio totale). Ma l'euforia ben presto si trasformò in avvilimento, poiché agli inizi del '69 si diffuse la voce che la Francia e la Svizzera non volevano la Repubblica nella Convenzione, voce che divenne ufficiale nel mese di aprile. (143) I governanti sammarinesi interpretarono tale diniego come un misconoscimento della sovranità del loro Stato. Cibrario con lettera del 19 aprile comunicò, invece, che "il rifiuto deriva unicamente dalla poca sua importanza economica, dalla sua esigua popolazione, inferiore a quella di alcuni borghi cospicui d'Italia e di Francia; dal fatto di essere chiusa entro al Regno d'Italia". Egli proseguiva rassicurandoli che se realmente non fosse stata ritenuta sovrana, la Francia non ne avrebbe mai accettato i suoi rappresentanti diplomatici. Inoltre affermava che la sua indipendenza era stata sancita ufficialmente dalla convenzione con l'Italia, in fondo la "sola potenza che poteva avere, se non qualche diritto, almeno qualche interesse a contestarla". (144) Io credo, inoltre, che gli Stati europei non avessero nessuna convenienza ad accettare nei loro organismi una Repubblica che verosimilmente sarebbe stata la miglior alleata dell'Italia, la quale non a caso era colei che l'aveva invitata ad entrarvi, e faceva pressioni perché venisse accettata all'interno della Convenzione. Per questo la faccenda terminò con un nulla di fatto, e San Marino dovette attendere ancora parecchio tempo prima di poter far parte di organismi internazionali.

    Economicamente gli ultimi anni '60 sono senz'altro più floridi degli anni precedenti per i motivi di cui si è già parlato. Tuttavia proprio le maggiore entrate indussero a svolgere alcuni di quei lavori prima sempre rimandati, per cui vi furono ancora problemi di natura finanziaria, anche se nei documenti pervenutici non si avverte più l'angoscia di prima, certamente perché le numerose entrate straordinarie legate alle onorificenze che arrivavano puntualmente favorivano la tranquillità. I bilanci degli anni che vanno dal 1865 al 1869 si mantengono tutti tra le 85-100.000 lire, con un sensibile aumento rispetto a quelli degli anni precedenti. Prendendo a campione il bilancio del 1868-69 (entrate lire 86.246, uscite lire 85.370) verifichiamo che la voce "lavori pubblici" rappresentava l'uscita maggiore (27.297 lire), poi in ordine venivano "Forza pubblica" (8.390 L.), "Amministrazione finanze" (7.868 L.), "Istruzione pubblica" (7.315 L.), "Ministero della Reggenza" (7.206 L.), "Amministrazione della Giustizia" (7.120 L.), "Salute pubblica" (5.053 L.), "Beneficienza pubblica" (4.598 L.), "Industria e Commercio" (1.956 L.), "Culto" (1.294 L.), a cui occorre aggiungere 7.267 lire di rimanenze passive. Le entrate erano date da: "Prodotti dei generi di Regia" (54.461 L.), "Prodotti diversi" (19.297 L.), "Imposte dirette" (4.304 L.), "Imposte indirette" (1.762 L.), "Prodotti dei beni della Camera" (1.936 L.), più 4.484 lire di rimanenze attive. Il sale (36.432 L.), ed i tabacchi (17.396 L.) fornivano ancora le entrate maggiori. La tassa prediale procurava 500 lire al mese, la tassa urbana 101 lire, sempre al mese, l'ufficio ipoteche aveva dato in tutto l'anno 1.121 lire, ed i proventi della carta bollata ammontavano complessivamente a 493 lire. La voce "Prodotti diversi" registrava 19.297 lire.

    Dall'anno successivo i bilanci sammarinesi hanno un altro imponente balzo in avanti superando di parecchio le 100.000 lire, tranne l'anno 1871-72 in cui il bilancio registra 95.268 lire in entrata, ed altrettanti in uscita. Nel 1869-70, invece, registriamo 187.765 L. in entrata, e 186.206 L. in uscita. L'istruzione pubblica tanto sostenuta da Malpeli cominciò ad essere il costo principale del bilancio con 70.671 lire spese; subito dietro venivano i lavori pubblici con 50.376 L., poi l'amministrazione delle finanze con 24.341 L. Le altre voci registrarono più o meno costi simili a quelli che abbiamo visto per il bilancio precedente. Per le entrate si può dire che i sali (31.968 L.) ed i tabacchi (19.353 L.) incassarono circa gli stessi soldi dell'esercizio precedente, così come la tassa sui fondi rustici, quella sui fondi urbani, e le altre entrate che abbiamo analizzato per il bilancio 1868-69. Il vero incremento alle entrate fu portato dalla voce "Prodotti diversi" con 122.577 lire, di cui 72.000 L. incassati come donativi per onorificenze varie, e 30.000 L. dovute alla nuova moneta di cui si è detto. La vendita dei titoli nobiliari e delle decorazioni cominciava in definitiva a fornire denaro in ingenti quantità, e questo denaro andava poi ad alimentare le uscite, in particolare i lavori pubblici, per le strade in costruzione, e la pubblica istruzione in cui avviene un aumento del personale e degli stipendi. (145) Negli anni '70 questa tendenza all'aumento generalizzato delle entrate e delle uscite proseguirà, ma di ciò parleremo meglio nel prossimo capitolo.

    Possiamo concludere questo nostro lungo discorso sugli anni '60 accennando ancora ai rappresentanti diplomatici che San Marino aggiunge a quelli di cui si è già detto negli ultimi anni di questo decennio, ed ai lavori pubblici che avvia o porta a compimento. Riguardo al primo argomento, si può senz'altro affermare che per tutti gli anni in questione i rappresentanti principali di San Marino furono Avigdor e Cibrario, a cui si ricorreva in continuazione per qualunque consiglio, e di cui l'Archivio conserva una cospicua ed articolata corrispondenza. Tuttavia la volontà autonimistica sammarinese aveva indotto i governanti della Repubblica fin dagli ultimi anni '50 ad ipotizzare la possibilità di aprire consolati, o di nominare incaricati un pò in tutta Europa, e non solo. Inoltre questi suoi funzionari non percepivano stipendi, nè avevano costi particolarmente gravosi, perché rappresentare San Marino, il cui mito doveva essere più che mai fulgido in questo periodo, era di estremo prestigio, e probabilmente era un buon lasciapassare. Anzi, questi personaggi erano spesso disposti a pagare di tasca propria, o comunque a rendere servizi di un certo peso per ricevere qualche incarico dal Consiglio; per cui negli anni in esame assistiamo ad un proliferare di questi rappresentanti, anche se l'Italia non sempre si dimostrava soddisfatta di questa prassi, in particolare per i rappresentanti esteri. Oltre a Torino, dove nel 1863 la Repubblica aveva ben quattro funzionari (un incaricato d'affari, un console generale, un consultore ed un viceconsultore), erano parecchie le città italiane con incaricati sammarinesi: Napoli ebbe un consolato dal 1869, Venezia dal 1867, così come Mantova, Milano e Genova dal 1863, Firenze dal 1870, anche se rappresentanti sammarinesi erano presenti in questa città già da parecchi anni. Inoltre vi furono incaricati a Bologna, Rimini, Ravenna, Roma. All'estero San Marino ebbe un rappresentante a New York dal 1863, un console a Bordeaux dal 1865, uno a Vienna dal '67, uno a Nizza dal '68, uno a Marsiglia dal '69, e a Rouen dal '70. Diversi di questi consolati vennero distribuiti dietro versamento di denaro; in altre parole vennero letteralmente comperati da chi poi divenne console. E' sicuramente il caso del consolato di Vienna assunto dal signor Coloman Koenig nel '67 dietro versamento, o meglio "donativo", di 10.000 fiorini, e nonostante il parere contrario del Cibrario, che in una lettera del 2 aprile ebbe a dire che era un ebreo privo di risorse, senza padre, ed anche "scemo". (146) E' il caso anche del consolato di Nizza, affidato al nipote di Avigdor, Alberto, grazie ad un donativo di 1.500 lire. (147) Ugualmente avvenne per il consolato di Marsiglia, andato a Leon Chave per 1.300 lire. (148) 3.000 lire, invece, furono sborsati da Scipione Gemond (quello del diploma falso) per il consolato di Rouen; costui però sembra che fosse una persona veramente per bene. (149)

    Insomma possiamo dire senza paura di essere smentiti che sul finir degli anni Sessanta San Marino aveva consoli che gli procacciavano utili direttamente, con denaro e donativi vari forniti di persona, ed indirettamente, fungendo da intermediari per chi voleva qualche sua decorazione. Non bisogna però essere troppo drastici, e pensare che questi individui fossero solo degli opportunisti, o che la Repubblica desse via con eccessiva facilità cariche di una certa importanza. E' chiaro che quasi tutti questi rappresentanti avevano voluto la loro carica non certo per semplice amore verso San Marino, ma verosimilmente per interessi personali. Ma su ognuno la Repubblica aveva svolto indagini preliminari, fornendo la patente di console solo dopo aver raggiunto una certa sicurezza sull'insignito. Inoltre i consoli cercavano anche d'impegnarsi a favore della Repubblica con quei pochissimi servizi che le potevano rendere. Coloman, per esempio, che sarà console a Vienna fino al momento della sua morte avvenuta nel 1911, a parte una breve parentesi nel 1876, quando lascerà temporaneamente l'incarico perché coinvolto in un fallimento, di sua iniziativa s'interessò subito per stipulare un trattato commerciale con l'Austria. Ma il progetto non ebbe seguito perché Cibrario, interpellato in proposito, ebbe a dire: "Fare un trattato di commercio quando non si ha commercio, e farlo con una potenza di 1° ordine è un volersi coprire di ridicolo". Inoltre il commercio sammarinese era protetto e garantito dall'Italia, la quale passava alla Repubblica un canone doganale calcolato generosamente su 9.000 residenti, mentre si sapeva che la popolazione era di molto inferiore. (150) Queste parole possono dare anche un senso alle critiche mosse da Cibrario a Coloman di cui si è detto; cioè ritengo che lascino intravedere un certo fastidio da parte italiana (Cibrario era pur sempre un ex ministro di Vittorio Emanuele) per questa volontà internazionalistica di San Marino, la cui indipendenza era tollerata e "protetta", come specificava la convenzione del '62, ma presumibilmente anche molto vigilata.

    Per quanto riguarda i lavori pubblici, si può dire che questi sono anni in cui avvengono diversi restauri, ma soprattutto si costruiscono strade il cui grande costo eleva di parecchio la spesa di questa voce, tanto che Malpeli, nel suo "Rapporto" che riproduco in appendice (n°24) affermò che senza questa spesa i lavori pubblici avrebbero inciso solo per 20.000 lire all'anno. Le strade in questione erano quella detta "dell'ospedale", cioè la strada di collegamento tra Borgo e Città attraverso le Piagge, la strada di Gualdicciolo, la strada tra Serravalle ed il confine. La strada dell'ospedale era già stata avviata dal 1839, ma i grandi costi ne avevano rallentato parecchio la costruzione. Gli introiti degli anni che stiamo esaminando furono fondamentali per la sua ultimazione avvenuta, da quanto ci dice Balsimelli, nel 1876. (151) Il progetto della strada per Gualdicciolo  fu presentato invece nel Consiglio del 27 ottobre 1866, e prevedeva due possibilità: una strada con un costo di 28.928 lire, ed un'altra con un costo di 41.242 lire. (152) Credo che sia stato scelto quest'ultimo progetto; tuttavia nel corso della sua esecuzione i costi dovettero dilatarsi di parecchio, anche perché nel 1868 ci si accorse che il tratto costruito fin lì (dal Borgo al ponte di Ca' Martino) era stato fatto non "colla dovuta solidità", e richiedeva continui lavori di ripristino per via del terreno franoso su cui la strada si sviluppava. Si decise di modificare in parte il progetto iniziale, e si comunicò che per portare a compimento la strada occorrevano 48.116 lire, che credo si aggiungessero ai costi sostenuti per il tratto già edificato. (153) La strada Serravalle-confine già esisteva, tuttavia nel 1866 si decise di apportarvi alcune modifiche. Il costo del lavoro ammontò a più di 16.000 lire. Di questi stessi anni dev'essere anche la tanto bramata strada per Montelicciano, nonostante che Balsimelli affermi che dovette essere costruita tra il 1870 ed il 1874. (154) Deduco questo dall'assunzione di tre cantonieri avvenuta nel Consiglio del 25 maggio 1870, uno per la strada di Gualdicciolo, uno per la strada di Città-Borgo, ed uno proprio per la strada di Montelicciano. (155) E' chiaro che la custodia di questa strada presupponeva che la strada già vi fosse, o almeno che fosse qualcosa  più di un sentiero. Comunque il discorso sulle strade sammarinesi andrebbe rifatto in maniera molto più analitica, perché le informazioni  attualmente disponibili sono frammentarie e a volte poco precise. Sempre nella stessa seduta vennero nominati anche tre ispettori delle strade.

    Con questo argomento possiamo chiudere il lungo discorso svolto sugli anni '60, discorso però necessario, e di cui andrebbero ulteriormente e spesso singolarmente indagate quasi tutte le tematiche, perché è indubbiamente uno dei periodi più importanti di tutta la storia sammarinese. Passiamo ora all'analisi degli anni '70 che richiederà di certo meno tempo.

 

 

 

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capitolo III

 

GLI ANNI SETTANTA

                         

  I - Gli aspetti economici

 

    Come già si è anticipato, gli anni Settanta vedono ancora una politica economica da parte dello Stato sammarinese tesa alla creazione di infrastrutture, e resa possibile grazie soprattutto agli enormi introiti legati alle onorificenze, introiti che in questo periodo vengono accettati assai più facilmente di prima, senza particolari problemi di natura morale, o di altro genere. I bilanci del periodo sono i seguenti: (1)

 

1870-1871 - Entrate L. 131.499  Uscite L. 127.537

1871-1872 -  =    L.  95.268     =    L.  95.268

1872-1873 -    =    L. 165.321    =    L. 157.286

1873-1874 -    =    L. 183.868    =    L. 171.841

1874-1875 -    =    L. 164.541    =    L. 159.392

1875-1876 -    =    L. 264.713    =    L. 256.965

1876-1877 -    =    L. 228.357    =    L. 200.677

1877-1878 -    =    L. 189.936    =    L. 165.444

1878-1879 -    =    L. 147.538    =    L. 138.215

1879-1880 -    =    L. 125.979    =    L. 122.306

1880-1881 -    =    L. 228.138    =    L. 205.508

1881-1882 -    =    L. 179.591    =    L. 176.564

1882-1883 -    =    L. 166.266    =    L. 156.005

1883-1884 -    =    L. 162.660    =    L. 173.164

1884-1885 -    =    L. 193.204    =    L. 189.937

 

    Sono arrivato fino al 1885 per mostrare come anche i primi anni '80 registrino cifre simili agli anni precedenti; ma avendo voluto legare il nostro discorso a Palamede Malpeli, ci fermeremo nella nostra analisi al momento della sua ignominiosa uscita di scena, cioè al 1879-1880. Parliamo dunque dei bilanci fino a tale momento.

    Come si sarà constatato direttamente, le cifre riportate documentano quanto sia aumentata da un decennio all'altro l'entità dei vari bilanci, tanto che decuplicano rispetto a quelli dei primi anni '60. Le spese reali che incidono più di tutte su questi bilanci sono quelle imputabili alla pubblica istruzione, in costante crescita per tutto il decennio, ed ai lavori pubblici, che riportano invece alti e bassi in base agli anni. La pubblica istruzione registra un sensibile aumento dei costi a partire dall'anno amministrativo 1872-1873, con una spesa complessiva di 17.881 lire (l'anno precedente era stata di L. 12.413). Grosso modo questa cifra rimarrà abbastanza costante anche negli anni successivi, con un lieve aumento di anno in anno, fino ad arrivare al costo di L. 21.800 nel 1878-79. Gli anni immediatamente seguenti vedranno un ulteriore suo sensibile aumento (L. 25.481 nel '79-'80, L. 29.160 nell' '80-'81).

    Le cifre relative ai pubblici lavori invece sono più incostanti, con una spesa minima di 20.685 lire nel 1876-77, ed una massima di lire 52.179 nel '74-'75. Complessivamente nel decennio 1871-1881 lo Stato di San Marino spende 343.398 lire nei lavori pubblici, con una media quindi di più di 34.000 lire annue. Le altre uscite sono notevolmente più basse: le spese per l'ufficio della Reggenza ruotano intorno alle 8-9.000 lire annue; quelle per l'amministrazione della giustizia anche sono mediamente di 9.000 lire all'anno; la forza pubblica riporta un costo medio di poco più di 13.000 lire annue; la sanità intorno alle 8.100 lire; il culto solo 1.100 lire. La voce "Industria" riporta spese che variano tra le 2.120 lire e le 3.795 lire per gli anni 1871-1878, poi raddoppia negli anni '78-'81, con cifre comprese tra le 6.566 lire, e le 7.905 lire. Infine la "Beneficienza" tende a crescere nel corso del decennio, andando dalle 7.337 lire del 1871-72, alle 12.284 lire del '78-'79. I due anni successivi riportano costi intorno alle 11.000 lire.

    Per quanto riguarda le entrate, si può dire che le imposte dirette rimasero identiche per tutto il decennio, registrando sempre l'introito di 7.218 lire annue, composte da 6.000 lire ricavate dalla tassa prediale più 1.218 lire fornite dalla tassa urbana. Le imposte indirette procurarono mediamente tra le 5 e le 6.000 lire annue, eccetto nel 1871-72 quando fornirono eccezionalmente 14.204 lire. Queste imposte erano costituite da una decina di tasse che procuravano introiti assai diversificati. Se esaminiamo come campione l'anno 1874-75, verifichiamo che le imposte indirette fornirono 4.493 lire, e precisamente: 5 L. grazie alla tassa sui bacchi da seta; 50 L. con la tassa sulle bilance del pesce;altre 50 L.con i dazi del bollo dei pesi e misure; 160 L. per l'appalto del posteggio e del porticato; 618 L. con la carta bollata; 1.052 L. con le tasse sulle carni; 2.558 L. grazie alle ipoteche. Anche negli anni seguenti i ricavi maggiori per questa voce si ebbero sempre con le ipoteche, e la tassa sulle carni. I "Prodotti dei Beni della Camera" diedero sempre introiti insignificanti di poche centinaia di lire.

    I proventi maggiori si ebbero ancora con la vendita dei sali e tabacchi, e con i "Prodotti diversi", cioè soprattutto i "donativi" legati alle onorificenze. Nei dieci anni in esame i "Generi di Regia", cioè appunto i sali e tabacchi, incassarono 559.286 lire, ovvero la media di quasi 56.000 lire all'anno, con punte minime di 39.357 L. nel '74-'75, e massime di 74.157 L. nel '76-'77. In genere i sali incassavano molto più dei tabacchi (L. 30.144 contro L. 16.032 nel '73-'74; L. 26.448 contro L. 12.534 l'anno dopo). Tuttavia vi sono anche anni in cui tale tendenza si ribalta (nel '76-'77 i tabacchi incassano L. 44.253 contro le 29.904 L. del sale; l'anno successivo vengono incamerate L. 41.125 sempre grazie ai tabacchi, e L. 31.344 tramite il sale).

    Per quanto riguarda la voce "Prodotti diversi", possiamo dire che subisce sbalzi notevoli per tutto il decennio, andando dalle 29.508 L. del 1871-72, alle 191.906 lire del 1875-76. Ovviamente questo dipende dal fatto che questa voce di bilancio comprendeva pochi introiti costanti, come i proventi doganali pagati dall'Italia, per esempio, e molti introiti disparati, e legati ai bisogni del momento. In altre parole possiamo dire che se serviva denaro per ultimare una strada, ed arrivavano donativi per comperare qualche titolo, a volte questi soldi non venivano messi a bilancio, e finivano nel cosiddetto "Fondo di Riserva" fruttifero creato fin dai primissimi anni del decennio; ma a volte venivano utilizzati per pagare le spese che il bilancio normale non avrebbe potuto coprire. Volendo anche qui fare qualche esempio, possiamo dire che nel 1873-74 ben 86.000 L. ricevuti come donativi andarono a finire nella voce "Prodotti diversi" (che in quell'anno registrò un totale di L. 114.035). L'anno dopo su 101.591 L. di cifra complessiva, 20.107 L. furono ricavate da donativi nuovi, e 30.000 L. prelevate dal fondo di riserva; 22.000 L. furono invece i soldi forniti dal canone doganale. L'anno dopo ancora su 191.906 L. messe a bilancio, 15.000 L. si dovettero alle nuove monete coniate, ma ben 138.000 L. dipesero da una serie di "donativi" arrivati per i soliti motivi. Saltando al 1880-81 vediamo che questa voce registrò L. 150.127, di cui 85.400 L. arrivate sotto forma di donativi, e 13.300 L. come interessi sui soldi depositati nel fondo di riserva. In quell'anno eccezionalmente furono incassate grazie al canone doganale italiano quasi 43.000 L., e altre 3.274 L. tramite la vendita dei francobolli che, come vedremo, San Marino inizierà a stampare in proprio.

    Mi scuso di tutte queste cifre che possono aver appesantito la lettura di queste ultime pagine, tuttavia è grazie a loro che si può capire con maggiore facilità e oggettivamente il rapido cambiamento in atto nella Repubblica di San Marino, cambiamento legato per buona parte alle ingenti somme di denaro che in questo decennio più che in altri la Repubblica riuscirà a guadagnare. Poichè questi soldi iniziarono ad affluire in maniera sempre più consistente, si cominciò a pensare alla creazione di un deposito fruttifero presso qualche banca italiana, così da ricavare anche interessi a vantaggio dello Stato. La prima volta che si pensò a questa possibilità fu alla fine del 1870, quando la Reggenza suggerì di mettere a frutto  presso qualche banca 20.000 lire da poco donate in cambio di onorificenze. Il motivo era che la Repubblica aveva ancora problemi a far quadrare i propri bilanci, nonostante fossero aumentati gl'introiti, per cui occorreva trovare altre forme di far denaro. (2) Probabilmente in quell'occasione non se ne fece nulla, poiché nel 1872 la proposta venne nuovamente avanzata, dopo che nella seduta consigliare del 30 gennaio venne addirittura approvato un regolamento specifico per la gestione di tali soldi, perché erano insorti problemi che in futuro si volevano evitare. (3) Nel Consiglio del 25 luglio di quell'anno, invece, si disse che il Congresso Economico, dietro parere dei consoli Traversi (di Milano) e Broccoli (di Napoli), (4) aveva suggerito di depositare i soldi in eccedenza, cioè quelli provenienti dalle onorificenze, nelle casse di risparmio italiane, così da ricavarne interessi annui. Nell'occasione si stabilì inoltre che i relativi libretti di risparmio avrebbero poi dovuto essere conservati in una "Cassa a tre chiavi, una delle quali sia consegnata alla Reggenza pro tempore, l'altra al Cassiere Generale, e la terza ai Sindaci del Governo".

     In definitiva possiamo affermare che ora la Repubblica, di certo per la prima volta nella sua storia più recente, aveva mezzi economici tali da entrare nella logica dell'investimento e del profitto. E questi mezzi nel corso degli anni '70 si ampliarono sempre più, fino ad arrivare ad un totale di 243.194 lire nel marzo del 1879, (5) e lire 284.544 nel gennaio del 1880, ultimo dato di cui dispongo. (cfr. app. n° 5) I soldi provenienti dall'Italia come canone doganale, e dalla vendita delle onorificenze cominciarono dunque ad essere sempre più fondamentali per l'economia sammarinese, ed a permettere allo Stato di far fronte all'evoluzione dei tempi, e dei bisogni locali.

     Ovviamente non poterono risolvere tutti i mali: gli atti del Consiglio sono zeppi di richieste di sovvenzioni di ogni genere, soprattutto da parte delle donne che, in particolare quando rimanevano vedove, avevano poche possibilità di procacciarsi il pane quotidiano, e dovevano quindi vivere ai limiti dell'indigenza. Un'altra categoria con problemi identici erano gli anziani, che ben difficilmente riuscivano in età lavorativa a risparmiare tanti soldi da poter essere autonomi anche in età avanzata. Chi volesse toccare con mano questa tragica realtà può consultare presso l'Archivio di Stato la serie delle "Istanze al Consiglio" di questi anni, sempre stracolma di richieste di aiuto economico, e di elemosina di Stato. Vi è una differenza, però, rispetto ai decenni precedenti: il Consiglio tende per quanto gli è possibile ad esaudire le petizioni, ed a fornire aiuti molto più di prima, e ciò naturalmente perché ora può permetterselo. Nel Consiglio del 28 settembre 1872 si parla del problema delle tante richieste di aiuto economico che in ogni seduta dovevano essere vagliate, e si vuole determinare una regola "per la distribuzione dei sussidi a quelle persone indigenti che continuamente ricorrono al Principe con istanza". Alla fine venne riproposta l'istituzione di una Congregazione di Carità che, come si è già detto, era stata soppressa nel 1865. Secondo la proposta originale, questo organismo avrebbe dovuto avere a sua disposizione ben 150 lire al mese, invece delle 50 lire di cui poteva in precedenza disporre la Reggenza per gli stessi scopi, perché si era appurato che i poveri erano aumentati. Il Consiglio stabilì di ripristinare la Congregazione, composta da otto membri per Città, ed otto per Borgo, però con sole 100 lire al mese di fondi a disposizione. (6) Questa soluzione non risolse del tutto il problema; negli anni successivi il Consiglio dovette elargire di tanto in tanto anche altri soldi, e qualche volta sentì pure il bisogno di favorire con aiuti in denaro  l'emigrazione di chi si recava fuori San Marino nei mesi invernali per cercar lavoro. (7) Nel 1877, poi, venne varata una legge che istituiva una "Commissione di Pubblica Beneficienza" in sostituzione della "Commissione di Soccorso" che era stata creata il 28 settembre 1872, con l'incarico principale di dirigere e sorvegliare "la retta, prudente, e giusta distribuzione dei soccorsi" ai bisognosi. Essa disponeva di un cospicuo contributo governativo di 7.000 lire, più 150 lire fornite dall'ospedale per i medicinali. (app. n° 19) Questa legge fu alla base della "Legge sulla pubblica beneficienza" promulgata il 21 aprile 1887. (8)

    Ma i nuovi introiti sammarinesi permisero anche altre riforme di natura economica, come l'abolizione della tassa sul pane, avvenuta dal 1 agosto 1872, perché colpiva soprattutto il povero. (9) Solo Serravalle la volle mantenere, ovviamente col permesso del Consiglio "fermo sempre nella massima di non voler menomamente disporre delle rendite che appartengono ai Castelli", perché sostenne che senza questa tassa non avrebbe potuto far fronte alle sue esigenze economiche annuali. (10) Anzi, si può aggiungere che proprio da questo problema di natura fiscale sorse la questione se Serravalle, Montegiardino e Faetano "dovessero mantenersi tuttavia nella condizione di non potere aspirare ai pubblici uffici, o se non piuttosto, come è richiesto dai principi di eguaglianza fra i cittadini di una Repubblica, non dovessero essere parificati agli altri nel godimento ed esercizio di tutti i diritti politici, cancellando così ogni traccia dell'annessione dei suddetti Castelli allo Stato della Repubblica". La Reggenza (Settimio Belluzzi-Francesco Marcucci) dichiarò che avrebbe studiato il problema, ed in seguito presentato un progetto. Così fu. Nel Consiglio del 30 agosto 1873 essa dichiarò che non doveva esserci "disuguaglianza per gli uomini della Repubblica nell'esercizio dei diritti politici", per cui propose il seguente decreto: "Gli uomini dei Castelli e delle Parocchie di Serravalle, Faetano, Montegiardino e Fiorentino hanno eguali diritti politici che godono gli uomini delle ville, e come questi possono essere nominati ed eletti a Consiglieri del Gran Consiglio dei LX". Il Consiglio approvò, annullando così le differenze che sussistevano tra gli abitanti di questi Castelli, e gli altri. (11) Questa riforma suscitò in seguito ripensamenti sulla giustizia della divisione in tre ceti dei consiglieri, così come stabilivano gli Statuti secenteschi. La questione sorse il 28 agosto del 1875,perché erano stati eletti come consiglieri di II ceto Antonio Mularoni e Lorenzo Valli, i quali però non avevano residenza nè in Città, nè in Borgo. La Reggenza (Palamede Malpeli-Luigi Pasquali) era dell'avviso che l'antica norma non doveva più rispettarsi, visto che erano stati ammessi ai benefici politici anche i residenti dei Castelli periferici. "Dopo breve discussione sul proposito -venne verbalizzato- il Consiglio Sovrano ritenuto l'insorto incidente di molta importanza in quantoche trattasi di dare la giusta interpretazione alle costituzioni fondamentali della Repubblica rimise la questione al Congresso Economico di Stato (...) riservandosi in seguito a ciò di emettere la risoluzione con piena cognizione di causa". (12) La questione in seguito fu lasciata cadere; solo agli inizi del secolo nuovo si potrà assistere all'abolizione dei ceti.

    Tornando ora ai problemi economici, si può ancora dire che oltre alla tassa sul pane, venne abolito anche il Biribisso, un gioco d'azzardo che da moltissimo tempo veniva praticato in Repubblica, e che forniva allo Stato, che concedeva il monopolio del gioco a qualcuno, un introito fiscale annuo. (13) Probabilmente si volle rinunciare a questo provento  sempre per motivi di carattere sociale.

 

 

NOTE               APPENDICE

 

 

1.1  - La convenzione del 1872

 

    Altri fatti economici degni di essere annotati sono senz'altro quelli legati al rinnovo della convenzione con l'Italia avvenuto nel 1872. Come si è visto, già da tempo si aveva sentore di un qualche mutamento nei rapporti tra Italia e San Marino alla scadenza del periodo di dieci anni stabilito dalla prima convenzione. Nei primi anni '70 i motivi di attrito con l'Italia non vennero a meno, sia perché San Marino nel 1870 richiese inutilmente un aumento del contingente di sali e tabacchi che riceveva per convenzione, sia perché l'Italia richiese inutilmente di poter applicare tasse su alcuni prodotti che la Repubblica avrebbe potuto esportare. Nel febbraio del '70 la Repubblica richiese al ministro Sella tramite Cibrario che il quantitativo di sale venisse aumentato da 73.000 Kg. ad 80.000, ed il tabacco da 6.750 ad 8.000, poiché le quantità che riceveva non bastavano più a causa dell'aumento della sua popolazione. (14) In giugno il ministro degli esteri italiano scrisse per chiedere alla Repubblica di derogare all'articolo 23 della convenzione, permettendo così allo Stato italiano di applicare tasse su farine, polveri da sparo, birre ed "acque gazose" eventualmente esportate da San Marino. Questo naturalmente avrebbe comportato l'apertura di dogane attorno al suo confine. (15) La richiesta provocò ansia tra i governanti sammarinesi, i quali si decisero a rispondere solo il 22 luglio, dopo aver ampiamente dibattuto tra loro il problema, e aver chiesto consigli al Cibrario ed altri.

    "L'Eccellenza vostra -venne risposto- facendo appello ai principi di equità ed ai sentimenti di amicizia che formano la base dei rapporti fra il Governo Sammarinese e l'Italia mette in campo delle considerazioni dedotte dallo spirito della Convenzione, e specialmente da ciò che fu scritto nell'esordio della medesima volendo inferire dalle parole ivi inscritte che la Convenzione fu stipulata con lo scopo di fare alcune concessioni di favore ai Sammarinesi e che (...?) fu per parte del Regno d'Italia un vero atto di particolare liberalità da non ritirarsi mai dal concessionario a danno del Concedente. Il Governo della Repubblica non può ammettere un siffatto principio, il quale tende a distruggere la natura di quel Contratto essenzialmente sinallagmatico perché diretto al vantaggio reciproco di ambe le Parti Contraenti, e non di una soltanto. Ciò risulta evidentemente da tutti gli articoli che lo costituiscono, e che in gran parte sono conformi a quelli che dalla Sardegna furono concordati con altre Potenze. Se taluno di essi può e deve dirsi molto utile alla Repubblica, questa dal canto suo ha rinunciato a molti diritti ed a molti vantaggi, e si è caricata di obblighi che non trovano il loro corrispettivo in quelli assunti dal Governo Italiano. Che se nel proemio della Convenzione furono inserite alcune parole di riconoscenza della Repubblica verso il Re d'Italia, ciò deve considerarsi come un atto di riguardo del debole verso il potente vicino, che non isdegna di venire a patti con lui e di stabilire di comune accordo delle norme regolatrici dei doveri e dei diritti reciproci, ma non si deve mai interpretare nel senso che il vicino piccolo abbia ricevuto dal grande un benefizio a titolo gratuito. E se anche si volesse supporre per un istante che quello fosse un benefizio, parrebbe strano che la Repubblica dovesse poi rimanerne spogliata senza alcuna sua colpa o demerito. Se il Governo della Repubblica acconsentisse oggi a rinunciare al diritto di libera circolazione nel Regno italiano delle sue farine e delle sue polveri da fuoco per la ragione che questi due generi sono in esso colpiti da una tassa Governativa, domani potrebbe trovarsi costretta, per essere consegnate, a fare altrettanto di altri prodotti, che al Governo del Re piacesse di tassare, e così l'articolo 23 sopracitato rimarrebbe interamente distrutto, ed ammesso una volta il principio che un patto stipulato possa rescindersi perché una delle Parti Contraenti non vi trova più il suo tornaconto, ne conseguita che nessuna Convenzione può dirsi un fatto serio, e che la fede dei Trattati diventa una cosa illusoria". La lettera continua col dire che San Marino produceva farina e polvere sufficienti a soddisfare solo i bisogni interni, e quindi i produttori italiani di tali merci non dovevano preoccuparsi di una  concorrenza a prezzi più bassi. Infatti la polvere pirica veniva trattata nell'unico stabilimento locale preposto a tale funzione che vi era, e dava all'erario sammarinese "la miserabile somma annuale di lire cinquecento". "Quanto alla farina noi diremo, che se egli è vero che nella stagione invernale alcuni sudditi Italiani delle campagne limitrofe vengono a macinare il frumento ed il granturco ai nostri mulini o per ragione di commodità o per mira di risparmio, non è men vero d'altra parte che nell'estate i Sammarinesi sono costretti per difetto di acqua nei mulini interni di ricorrere ai mulini esteri, di guisa che se in una stagione l'erario italiano subisce una perdita sulla tassa del macinato, nell'altra ne resta compensato largamente. Ed appunto perché non venisse precluso l'adito a questa compensazione a favore del Governo del Re, la Repubblica fino dall'epoca della imposizione della tassa sul macinato rigettò le istanze di alcuni cittadini speculatori, i quali volevano attivare nel nostro territorio dei mulini da grano a vapore colla fondata speranza, che i forastieri vi sarebbero accorsi per non pagare la tassa dovuta al loro Governo. Quest'atto di riguardo verso il Governo del Re fu suggerito alla Repubblica da quel sentimento di leale amicizia e di sincera gratitudine che gli professa, e dal vivo suo desiderio, che per fatti dei Sammarinesi le Finanze italiane non avessero mai a soffrire alcun detrimento". Tra l'altro la farina prodotta in loco non copriva neppure il fabbisogno interno, per cui la Repubblica non poteva di certo esportarla. "Non abbiamo nessuna fabbrica né di pasta, né dei birra né di altri liquori -si aggiungeva ancora-; per provvedersi di questi prodotti, e specialmente delle paste delle quali si fa quà un uso grandissimo, i Sammarinesi ricorrono alla città di Rimini, e così vengono a pagare alla Finanza Italiana somme considerevoli". "Quando il Governo del Re insistesse nella pretesa di riscuotere le tasse sul macinato per le farine che provengono dal territorio Sammarinese, parrebbe logico e giusto che il Governo stesso avesse a restituire le tasse che riscuote per le farine che escono dal Regno ed entrano nel territorio suddetto, e quello che si dice per le farine e loro derivati, dicasi ancora per la birra, per gli alcool e per le acque gazose. In questo caso l'Italia non avrebbe che a perdere, essendo di gran lunga maggiori le quantità che esporta per la Repubblica di quelle che riceve dalla medesima. Dopo la Convenzione la situazione della Repubblica venne aggravata coll'aumento dei dazi sul caffè, sul pepe e sulle droghe nonchè sui dazi di esportazione, ma essa non se ne dolse mai, e nella sua lealtà si fece un dovere di restarsene silenziosa". Per tutti questi motivi la Repubblica non era disponibile a soddisfare le pretese avanzate, e si rimetteva al giudizio delle autorità italiane per sapere se il suo atteggiamento era giusto o sbagliato. (16) In novembre giunse la risposta: l'Italia accettava le argomentazioni sammarinesi, quindi rinunciava a persistere nelle sue richieste. Nel contempo, però, non concedeva alcun aumento di sali e tabacchi. (17)

    Evidentemente il governo italiano aveva mal digerito il rifiuto sammarinese. Pochi mesi dopo, in effetti, il Ministro degli esteri comunicò che soprattutto per le mutate esigenze fiscali italiane, la convenzione del '62 avrebbe dovuto essere rivista. (18) Così fu. Il 27 marzo 1872 il plenipotenziario sammarinese Paolo Onorato Vigliani, che dal maggio del '71 aveva sostituito Cibrario, morto il 1 ottobre 1870, firmò a Roma per conto della Repubblica la seconda convenzione con l'Italia. (app. n° 32) Prima di giungere alla firma vi furono polemiche tra i due Stati perché San Marino continuava ad essere accusato di dare ospitalità a cospiratori mazziniani; ma di ciò si parlerà diffusamente più avanti.  Comunque si può dire fin d'adesso che queste accuse probabilmente avevano più lo scopo di permettere all'Italia di far la voce grossa al tavolo delle trattative che non altro. La convenzione del 1872 come impostazione generale è simile a quella di dieci anni prima, e dedica parecchi articoli alle questioni giudiziarie e d'estradizione. Ma ora vi erano problemi di natura economica e fiscale che nel '62 erano meno sentiti, come si è detto, per cui su questi aspetti l'Italia volle maggiori garanzie, e modificò il vecchio articolo 23 in questa maniera: "I prodotti, generi, bestiame, manifatture e merci di uno dei due Stati potranno liberamente circolare nell'altro, salvi soltanto i generi di privativa dei due Governi e quelli la cui produzione o fabbricazione sia attualmente o sia per essere in uno dei due Stati sottoposta a tassa. Questi generi venendo introdotti in quello dei due Stati dove siano soggetti a tassa saranno considerati di contrabbando" (art. 32). Ovviamente le novità presenti in tale articolo si dovettero a tutte le polemiche di cui si è detto, polemiche però che si quietarono solo in parte, perché già nel dicembre dello stesso anno l'Italia lamentava un contrabbando di farina e polvere pirica, ed aumentava la vigilanza attorno ai confini. (19) La Repubblica, comunque, ricevette dalla nuova convenzione anche diversi benefici, in quanto le fu concesso un aumento annuo di 5.000 kg. di sale e di 250 kg. di tabacco. Anche il canone doganale fu aumentato di quasi 3.000 lire, passando ora a 22.000 lire annue. In definitiva San Marino riuscì a conseguire anche da questa convenzione un discreto guadagno economico.

    I maggiori introiti non eliminarono ancora, però, l'approssimazione ed il dilettantismo con cui spesso si amministrava la finanza pubblica. San Marino passò nel giro di pochissimo tempo da esigenze assai modeste, ad esigenze di uno Stato con ambizioni di modernità, e con utili notevolmente aumentati, soprattutto se li poniamo in relazione agli incassi ed ai bilanci abituali. E' ovvio che i governanti sammarinesi, avvezzi da sempre ad una gestione patriarcale del loro Stato, quasi fosse una sorta di grande famiglia, vennero colti piuttosto impreparati da questo repentino mutamento, e non sempre riuscirono in tempi brevi ad acquisire le competenze per amministrare le novità nella dovuta maniera, e con la dovuta abilità. Da qui, come si è detto, l'ossessiva esigenza di consultare i loro rappresentanti italiani quasi per qualunque bisogno. Vi sono episodi contenuti negli Atti consigliari che si possono citare a sostegno di quanto affermato, come la vicenda di cui troviamo tracce nella seduta consigliare del 30 gennaio 1872. In quell'occasione si esamina un problema legato alla figura di Pietro Borghesi, cassiere e custode dei fondi di riserva, ovvero di quei soldi provenienti soprattutto dalle onorificenze. Da quanto ho potuto capire, costui era morto senza lasciare disposizioni ai suoi famigliari intorno ai soldi in questione, cosicché quando gl'incaricati del governo si presentarono per reclamarli, non vennero subito riconsegnati, perché non vi erano documenti che comprovassero con esattezza come stavano le cose. "I suddetti signori (Gaetano Simoncini cassiere generale, e Filippo Belluzzi cassiere dei tabacchi) -si legge- però a motivo di alcuni indugi frapposti dagli eredi medesimi, non hanno potuto finora compiere che solo in parte il loro mandato (cioè la riscossione dei denari) anche perché a motivo dei nostri antichi sistemi patriarcali non esisteva un serio controllo in mano del Governo delle Casse suddette, da poter stabilire anche senza l'intervento degli Eredi e dei registri tenuti dal fu signor Pietro, il vero e certo ammontare delle somme esistenti". (20) Dopo lunga trattativa, di cui si può conoscere qualcosa grazie ad alcune lettere sulla questione conservate in Archivio, lo Stato potè rientrare in possesso di tale denaro; tuttavia non sapremo mai se i soldi alla fine restituiti furono tanti quanti quelli consegnati.

     Un altro episodio che può documentare lo stesso tipo di faciloneria è quello legato alla lagnanza di Gaetano Simoncini il quale, nella sua qualità di cassiere generale, nel febbraio del 1873 dichiara che era per lui assai difficile riscuotere sia i crediti che aveva lo Stato nei confronti dei cittadini, sia le tasse. Ho potuto verificare che questo problema è abbastanza ricorrente dal 1848 in poi, e che lo Stato per negligenza spesso non si curava più di tanto di riscuotere i suoi crediti. Lo stesso Palamede Malpeli nella sua relazione del 1859, d'altra parte, aveva stigmatizzato questo comportamento. "Il Consiglio decretò per l'avvenire -si legge nei verbali- di regolare meglio l'amministrazione della Cassa Generale e incaricare il Cassiere di esigere per l'anno corrente tutti i crediti del Governo, lasciando addietro gli arretrati". Nella stessa seduta consigliare, poi, si provvide a cambiare il cassiere generale (ora Settimio Belluzzi), e a nominare Melchiorre Filippi cassiere dei tabacchi. Si provvide anche a decretare la redazione di un regolamento per la cassa generale, opera a cui avrebbero dovuto dedicarsi proprio Settimio Belluzzi insieme al Deputato degli esteri e delle finanze Domenico Fattori. (21) Un mese dopo il regolamento era pronto, e stabiliva le seguenti norme: il pubblico cassiere aveva il compito di pagare le somme preventivate e di riscuotere i crediti; poteva rifiutarsi di pagare le somme in eccesso rispetto a quelle preventivate; doveva essere il depositario di una delle tre chiavi della cassaforte insieme ai Reggenti ed al sindaco di governo; doveva essere aiutato da un collaboratore da lui scelto; restava in carica un anno (da aprile a marzo), ma poteva essere rieletto; alla fine del suo mandato doveva sempre rendere conto dei soldi amministrati; il suo ufficio si trovava presso il Palazzo pubblico, e doveva rimanere aperto dalle 10 alle 13 di ogni lunedì, giovedì e sabato; percepiva 500 lire all'anno, ma doveva pagarvi anche il suo aiutante. (22)

    Si fece qualcosa anche per l'eterno problema dei debiti che non venivano saldati: nel Consiglio del 30 agosto 1873 fu promulgata una "Legge di procedura sommarissima nelle cause civili di Mano-Regia", con cui si stabilivano regole, tempi e sanzioni precise per i morosi. (23) Dal 1° ottobre 1875, inoltre, tutte le casse dello Stato vennero riunite nella Tesoreria generale. (24) Queste riforme devono aver prodotto effetti benefici, perché negli anni successivi non ho più individuato nei documenti che ho analizzato il rifiorire dei problemi che le avevano determinate.

                               

1.2 - La ricerca di altri mezzi economici   

                                

    Oltre a quanto detto, vi sono anche altri fatti di natura economica a cui merita accennare. Con il canone doganale, e la vendita delle onorificenze San Marino trovò il sistema di evolversi; tuttavia non per questo si rifiutò di esaminare pure altre possibilità di aumentare  i propri introiti. Anche il decennio che stiamo esaminando vide la presentazione  da più parti alle autorità sammarinesi di parecchi progetti d'installazione di una casa da gioco (tra il 1873 ed il 1878 ne ho contati sei), (24a) tuttavia ci si rifiutò sempre di aderire a queste richieste, sebbene in alcuni casi fossero assai vantaggiose, per questioni di natura morale, ed anche per paura di eventuali ripercussioni sui rapporti con l'Italia.  Nel settembre del 1879, poco prima che scoppiasse l'affare Malpeli di cui si parlerà fra breve, legato anch'esso all'impianto di una casa da gioco, il governo sammarinese fece divulgare sui giornali francesi, austriaci ed italiani il seguente testo: "Circola da qualche tempo e con insistenza la voce, che il Governo della Repubblica di San Marino abbia acconsentito alla fondazione di una casa da giuoco nel suo territorio. Il sottoscritto (cioè ogni console della Repubblica -nda) è autorizzato a smentire formalmente una simile diceria sparsa forse ad arte e con fini non onesti. Il Governo di San Marino conosce troppo bene che una casa da giuoco disgregherebbe la base su cui posano le sue libere istituzioni". (25) Questa fu sempre la posizione mantenuta dalla Repubblica da poi che negli anni precedenti erano iniziate a giungere richieste in proposito (come esempio si veda una di queste proposte in app. n° 26).

  Analogamente vennero presentate richieste per creare lotterie internazionali legate alla Repubblica, così come a suo tempo aveva sognato Avigdor. Una proposta simile, che prevedeva per la Repubblica un guadagno netto di 250.000 lire, giunse nel '71 per opera di un certo ingegner Giovanni Carlo Landi. Dopo lunga discussione, il Consiglio non approdò a nulla, per cui la lasciò decadere. (26) Nel 1875 arriva una proposta identica da parte della Duchessa di Faetano (la nipote di Avigdor di cui si è detto), che tornava anche a riproporre progetti per la mai realizzata miniera di zolfo di Faetano. (27) Le fu risposto molto esplicitamente che, in base alle esplorazioni svolte, non era certo che a Faetano vi fosse zolfo; per la lotteria, invece, esistevano difficoltà di realizzazione emerse anche in passato. Inoltre ora la Repubblica economicamente si trovava in condizioni notevolmente migliorate, per cui non aveva bisogno di avventurarsi in tali esperienze. (28) Un'altra proposta analoga fu avanzata da Palamede Malpeli nell'arengo di aprile del 1873. Egli suggeriva di utilizzare le 22.000 lire provenienti dall'Italia come garanzia di un'emissione fatta dalla Repubblica di "cedole di tesoreria" da una lira ciascuna, rimborsabili dopo dieci anni. Il progetto prevedeva un utile di circa 120.000. (app. n° 29) Fu istituita una commissione per valutare l'idea, tuttavia essa non andò mai in porto. (29)

    Nella seconda metà degli anni '70 più volte emerse l'ipotesi di stampare carta moneta locale, e nel 1880 venne presentato al Consiglio anche un progetto dettagliato in proposito dal Reggente Settimio Belluzzi; (app. n° 5) ma anche questa impresa non fu mai realizzata, soprattutto per l'avversione dell'Italia all'idea. Nel 1877 Malpeli tornò alla carica con un progetto di lotteria  per reperire fondi con cui ampliare l'ospedale (prevedeva l'emissione di 24.000 cartelle da una lira, ed una durata di dodici anni), ma anche questa proposta fu lasciata decadere, probabilmente per "l'antipatia" nei suoi confronti da parte dei "Vecchi Conservatori", come lascia intuire un'altra sua istanza  dell'ottobre 1878. (30)

    Non vi furono solo progetti rimasti sulla carta: nel 1875 vennero stampate altre monete, questa volta da 10 centesimi, per un valore complessivo di 15.000 lire, e costate allo Stato lire 7.495,45. (31) Sempre nel 1875 nacque l'intenzione di produrre francobolli, e si presero i primi contatti per verificare la realizzabilità del progetto. (32) In un primo momento l'Italia non si mostrò molto propensa all'idea, ed affermò che avrebbe fabbricato francobolli per la Repubblica, ma le avrebbe fornito solo un 20% di utile sulla loro vendita, così come già faceva per i francobolli  che le aveva passato fino a quel momento, e come era previsto dalla convenzione postale che era stata sottoscritta dai due Stati il 7 febbraio 1865. (33) Dopo lunghe discussioni, durate per tutto il 1876, nel febbraio del 1877 si giunse finalmente alla formulazione di una bozza di contratto con la "Regia Officina delle Carte-Valori" per la stampa di 500.000 francobolli (300.000 da 20 centesimi, 100.000 da due centesimi, 60.000 da 10 centesimi, 25.000 da 30 centesimi, 15.000 da 40 centesimi) al costo di due lire per ogni 1.000 francobolli stampati, più 2.500 lire per le matrici. (34) Nel mese di marzo venne stipulata tra Italia e San Marino una nuova convenzione postale, sostitutiva di quella precedente, il cui articolo 8 prevedeva l'obbligo di usare per la corrispondenza in partenza da San Marino i francobolli locali. (35)  Nel mese di luglio dello stesso anno tutti i francobolli furono consegnati, ed il 1° agosto venne emanato un pubblico editto in cui si specificava l'obbligo di usarli. (36)

    Facendo il confronto tra costi e ricavi, si può facilmente capire quanto fosse conveniente e lucroso per San Marino prodursi i francobolli, per cui è evidente che si era trovata un'altra apprezzabile strada per far denaro. E' bene sottolineare però che la vendita di francobolli in questi primi anni determinò incassi importanti, ma certamente non alla stregua degli altri introiti di cui si è detto: tra il 1877 ed il 1878 lo Stato incassò grazie a loro 3.966 lire; nel '78-'79 3.544 L.; nel '79-'80 4.022 L.; nell' '80-'81 3.274 L. (37) Da quanto ho potuto verificare, credo che la Repubblica abbia iniziato a ristamparli dal 1880, anno in cui si accertò che stavano per finire i valori da 2 centesimi. (38)

 

 

NOTE               APPENDICE

 

 

3 - Ancora sulle onorificenze

                               

    Per concludere questo nostro discorso di carattere economico, possiamo aggiungere qualcosa a quanto già si è detto intorno alle onorificenze. Diverse pagine addietro avevamo visto la nascita di tale innovazione, i suoi primi passi, la sua evoluzione fino al 1872 quando Malpeli in Consiglio aveva sostenuto che era ora di regolamentare con norme abbastanza precise, e prezzi minimi, l'assegnazione delle decorazioni. Avevamo visto anche i problemi nati dalla loro distribuzione con l'Italia e la Francia, problemi che però dovettero risolversi abbastanza in fretta, visto che negli anni '70 non emergono più. Probabilmente ci si rese conto  che la Repubblica non aveva tante  strade alternative per far fronte ai suoi bisogni materiali, e che la vendita delle onorificenze era in fondo una soluzione meno nefasta di altre per incamerare denaro in tempi brevi; credo sia per questo che non ho trovato più tracce di traumi morali, o di polemiche relative alla questione, anche se qualche consigliere ostile a tale prassi doveva sicuramente esserci ancora.

    A questo proposito si può accennare alle poche polemiche in riguardo reperite per questi anni: nella seduta consigliare del 17 luglio 1875 si esaminano due richieste per titoli nobiliari avanzate dal Conte Ferdinando Maria Filippo de Gontant Biron, che offriva 20.000 lire per un titolo di duca, e da Antoine Schinedler, che offriva 8.000 lire per un titolo di Barone. Contrariamente a quanto successo in altre occasioni in cui i soldi offerti permettevano con facilità l'acquisizione di titoli, in tale seduta alcuni consiglieri, con Federico Gozi in testa, contestarono la prassi di vendere simili titoli. Antonio Belluzzi dichiarò inoltre che si doveva sospendere la vendita anche dei titoli equestri. Il Consiglio decretò la sospensione temporanea delle onorificenze, "finché non sia stata discussa la materia sulla convenienza e moralità di tali onorificenze, e non vengano stabilite norme politiche che regolino la soggetta materia". (39) Con precisione non so se tale deliberazione abbia realmente determinato una breve sospensione della distribuzione delle onorificenze, o se fuori dall'aula consigliare si sia trovato il mezzo di tranquillizzare i consiglieri contestatori. E' certo però che fin dal Consiglio successivo del 28 agosto riprese l'assegnazione di onorificenze, e che i due personaggi la cui richiesta aveva destato il vespaio divennero fin dalla seduta in cui si era esaminata la loro domanda effettivamente duca e barone. Un'altra traccia che permette di cogliere che vi era qualche ostilità nei confronti del commercio di decorazioni da parte di qualcuno l'ho trovata in una lettera scritta il 14 novembre 1878 dalla Reggenza (Camillo Bonelli-Pietro Berti) al barone Morin: tra le altre cose riportava che "la Reggenza sente viva ripugnanza a proporre al Consiglio onorificenze a qualunque specie e per qualunque persona". (40)

    Nonostante queste voci dissenzienti, la pratica non si arrestò, anche perché non credo potesse realmente arrestarsi, viste le improrogabili esigenze in cui lo Stato ormai si era venuto a trovare. Anzi, nel gennaio del 1877 vennero addirittura ritoccati i prezzi delle onorificenze, elevandoli rispetto a quelli voluti da Malpeli nel 1872. La Reggenza (Settimio Belluzzi-Michele Ceccoli) disse che da tempo vi era al di fuori del Consiglio un mormorio contro la pratica di distribuire decorazioni; per questo era dell'avviso che occorreva rivedere nuovamente le norme in merito, di certo per limitarne l'assegnazione. Proponeva perciò di alzare ulteriormente il loro prezzo, ed adeguarlo a quello delle onorificenze conferite dall'Italia. "Ora si è costituita una corrente non tanto in seno al Consiglio, quanto fuori -è verbalizzato- da rendere chiunque persuaso che i temperamenti presi nel 1872 non hanno pienamente raggiunto lo scopo che la Reggenza Malpeli colla sua relazione, ed il Consiglio colla sua deliberazione s'erano proposti". Il Reggente proseguiva dicendo che "fino al 1861 le tradizioni dei Padri nostri erano ancora nella memoria di tutti, e la severità dei principii repubblicani nel cuore di ogni ceto di cittadini". Però gli avvenimenti politici italiani insieme ad "altre ragioni di Stato" ed alla "salute della Patria" avevano indotto il Consiglio a conferire ad Avigdor nel 1861 il titolo di duca, e ad iniziare una pratica innovativa per la Repubblica. "Il General Consiglio si esprimeva che al conferimento di detto titolo nobiliare si era determinato per la specialità delle circostanze, e per la salute della patria per essere comune la convinzione che il conferimento di tali onorificenze non è negli usi nostri, e non armonizza alla nostra costituzione politica". Negli anni successivi però "stretti da bisogni materiali, scarsi di mezzi per potervi soperire, stimolati e pressati da persone influenti, cominciarono fra noi a tornare gradite le offerte che venivano fatte da coloro che desideravano di ottenere di somiglianti titoli, la severità Repubblicana si raddolcì, ed il Generale Consiglio quando per una offerta, quando per altra o maggiore o inferiore, non mai eguale, conferì a molte persone di ambo i sessi, sempre però rispettabili parecchi e diversi titoli nobiliari. La Reggenza oggi non potrebbe proporre come vorrebbe al Generale Consiglio un temperamento radicale sulla soggetta materia, che le toglierebbe inconvenienti di una specie ne potrebbe produrre altri; si limita quindi a proporre alla Sanzione Sovrana una norma, di cui si deplora la deficienza, che regoli i detti conferimenti, gli renda meno frequenti, e per conseguenza più reputati e stimati". In definitiva la Reggenza suggeriva di aumentare ancora i prezzi dei gradi dell'ordine equestre, e di stabilire ufficialmente quelli nobiliari.  Per i primi proponeva di conferire il Gran Cordone solo per "ragioni di alta Politica", mentre il titolo di Cavaliere doveva essere assegnato con una contribuzione minima di 4.000 lire, quello di Cavalier Ufficiale con 5.000 lire, quello di Cavalier Ufficiale Maggiore con 7.000 lire, quello di Grand'Ufficiale con 10.000 lire. Per i titoli nobiliari indicava un contributo di 25.000 lire per il titolo di Barone, 35.000 per diventare Conte, 45.000 per il titolo di Marchese, e 60.000 lire per essere nominato Duca, sempre che il titolo non venisse conferito esclusivamente per motivi politici. La nuova normativa del regolamento disciplinare fu discussa ed infine approvata. (41)

    Sebbene abbia potuto verificare che negli anni successivi furono distribuiti titoli anche a prezzi inferiori di quelli previsti da quest'ultima riforma, essi rimasero in vigore per dodici anni, fino alla seduta consigliare del 14 novembre 1889. (42) In tale occasione si decise di ridurre il costo del titolo di Cavaliere a 2.000 lire, di Cavalier Ufficiale a 2.500, di Cavalier Ufficial Maggiore a 3.000, e di Grand'Ufficiale a 5.000 lire. Ugualmente si abbassarono i costi per un titolo di Barone, ora di 10.000 lire, di Conte, ora 15.000, di Marchese, ora 30.000, e di Duca, ora di 50.000 lire. Perché queste riforme? Evidentemente quella del 1877 fu indotta dalla grande richiesta di titoli che il Consiglio doveva costantemente esaminare, mentre la riforma del 1889 presumibilmente doveva dipendere dall'abbassamento di tale richiesta, e dal bisogno che comunque la Repubblica aveva di vendere le sue onorificenze. D'altra parte esaminando gli elenchi dei titolati si può facilmente verificare che il momento buono per l'assegnazione di titoli nobiliari, quello cioè in cui ne vengono conferiti di più, è proprio dal 1870 all'agosto del 1877, periodo in cui ne vengono distribuiti 29. Negli anni successivi, diciamo fino alla riforma del 1889, ne vengono distribuiti solo 13. Dopo tale riforma, tuttavia, la vendita di tali titoli non torna ad aumentare, verosimilmente perché man mano che ci si avvicina al secolo nuovo tende a calare l'interesse nella gente per simili onorificenze, e per la nobiltà in generale. Le decorazioni dell'ordine equestre, invece, hanno un calo meno marcato, ma sempre piuttosto incisivo. Infatti tra il 1870 ed il 1877 ne vengono conferite circa 400, oltre alle 700 distribuite nel decennio precedente; tra il '78 e l'89 circa 360; nell'ultimo decennio del secolo, invece, solo 175 circa. Questa diminuzione avrà notevoli ripercussioni negative sull'economia dello Stato sammarinese, e contribuirà non poco a determinare quella crisi economica che caratterizzerà San Marino sul finir del secolo. Ma questa è una storia che merita una trattazione a sè, per cui ora non mi è possibile parlarne esaurientemente.

 

2 - La politica estera: il blocco del 1874

 

     Gli anni '70, pur non registrando un'attività diplomatica frenetica come quelli precedenti, vedono ugualmente la Repubblica proseguire nel consolidamento delle sue relazioni e delle sue amicizie internazionali. Dei rapporti con l'Italia si è già detto qualcosa, almeno fino alla nuova convenzione del 1872. Essi non furono mai del tutto tranquilli, soprattutto nella prima metà del decennio, perché San Marino veniva accusato di essere un ricettacolo di mazziniani, di disertori, e di delinquenti in generale, così come veniva incolpato di contrabbando e di altro ancora. Fin dal maggio del '70 il Ministero degli Esteri italiano aveva scritto una lettera in cui si diceva: "E' stato riferito al Regio Governo che da qualche tempo si tengono nel territorio di codesta Repubblica convegni di capi ed affigliati della fazione mazziniana, e vi si raccolgono, in numero insolito, individui sospetti e compromessi". Le autorità sammarinesi venivano pregate di eseguire più controlli, perché si temeva per la sicurezza del Regno. (43) La Reggenza rispose che tali informazioni le parevano infondate, tuttavia avrebbe provveduto ad aumentare la vigilanza. (44) Come controrisposta le fu inviata una settimana dopo una relazione in cui si ribadiva che in quel periodo vi era a San Marino "un insolito viavai di persone", tra cui il famigerato Eugenio Valzania, tutte romagnole, e tutte mazziniane. Diceva inoltre che in Repubblica si era costituito da qualche mese un "Comitato della Repubblica Universale", fondato da Giacomo Martelli, Ercole Casali e Luigi Giovannarini, che teneva le relazioni con questi mazziniani d'Italia. Venivano fornite anche altre notizie a sostegno delle paure che si avevano. (cfr. app. n° 15) La Reggenza riscrisse il 23 giugno sostenendo che era quasi impossibile che avvenissero simili riunioni, ma precisando anche di aver dato "le disposizioni più opportune perché non si fermino nella Repubblica individui sospetti". (45)

    Momentaneamente la controversia si placò, anche perché nel frattempo scoppiò quella relativa all'aumento del contingente dei sali e tabacchi, ed alle tasse che voleva applicare l'Italia di cui già si è detto. Tuttavia un anno dopo fu il console Ugolini da Rimini che si mise in comunicazione coi Reggenti per dire che gli risultava essere avvenuto a San Marino un convegno di Repubblicani presieduto da un certo Ingegner Cortellazzi, e con la presenza pure di qualche Sammarinese, tra cui Giacomo Martelli. "Scopo del convegno sarebbe stato stabilire gli accordi per creare in San Marino un centro del partito ultra che dovrebbe avere ramificazioni nel Regno d'Italia". (46) Gli fu risposto immediatamente che era vera la venuta a San Marino di Cortellazzi, qui giunto per la prima volta nella sua vita con lettera d'accompagnamento di Valzania per Martelli, il quale lo avrebbe dovuto accompagnare in una visita turistica del paese. Egli aveva alloggiato alla locanda Michetti dove aveva incontrato Martelli e qualche altro Sammarinese. Però era falsa l'informazione sul convegno, perché in realtà vi era stata solo una discussione politica tra Martelli e Cortellazzi, in quanto il primo si era reso portavoce di posizioni mazziniane, mentre il secondo sosteneva animatamente le teorie dell'Internazionale. La voce della cospirazione politica era stata fatta circolare ad arte dai nemici della Repubblica. Giacomo Martelli, il cui nome emergeva ogniqualvolta venivano inoltrati rapporti all'Italia, non era in verità iscritto a nessuna associazione estera. "Egli al pari di altri pochissimi sanmarinesi trova buoni i principi di Mazzini, ma è un galantuomo, ed un cittadino affezionato al suo Paese. Egli per niuna cosa del mondo procederebbe ad atti che potessero danneggiare la patria sua". (47)

    Ancora una volta le spiegazioni fornite dalle autorità del Titano attenuarono apparentemente le contestazioni italiane. Tuttavia ormai l'Italia stava entrando nella logica che già aveva a lungo caratterizzato lo Stato Pontificio; la Repubblica di San Marino, cioè, era sempre più ritenuta un'enclave su cui si poteva esercitare solo un controllo parziale, potenzialmente pericolosa per il fisco italiano, e dove trovavano facile rifugio politici, disertori e delinquenti in genere. Senz'altro vi doveva essere anche qualche dubbio sulla buona fede dei locali governanti.

    Tali tensioni si concretizzarono nel 1874 con il blocco del territorio sammarinese da parte delle truppe italiane iniziato tra la fine di marzo, ed i primi di aprile. Il casus belli fu la non consegna di un ricercato per omicidio su cui ci fornisce preziose informazioni una lettera del console Albergati di Bologna datata 20 marzo: "La penosa vertenza sarebbe questa; certo Masi Angelo di Rimini musicante colpevole di omicidio di una guardia di pubblica sicurezza, e feritore di un altra si sarebbe riparato nel territorio Sammarinese, e mentre si nega l'esistenza dell'imputato in S.Marino si sa che fu ricoverato prima presso il proprietario Ricci, e nei giorni 17 e 18 corrente fu veduto in allegra brigata bagordare a Mongiardino ove abita una di lui sorella. La notte del 16 una comittiva si portò da Sammarino al Confine ed ivi si fermò, a eccezione di uno che s'inoltrò nel territorio Italiano ove incontrata una patuglia di R. Carabinieri prese la fuga ma ragiunto dopo breve corsa cadevan a terra tutti due ed ebbe il fugiasco una leggiera ferita alla testa. Si ritiene positivamente che il detto fugiasco venisse per riconoscere se quel posto era guardato giacchè è indubitato che il Masi si trovava in quella comittiva e che lo si voleva far evadere. Altri particolari potrei aggiungere ma stimo meglio il tacere. Io non mi permetterò che di ricordare i vigenti trattati i quali dimenticati ne potrebbero venire serie conseguenze". (48) Due giorni dopo gli fu risposto che era vero che Masi aveva trovato rifugio tra i confini sammarinesi, ma non lo si era consegnato solo perché non si era riusciti a catturarlo. Erano anche state perquisite varie abitazioni alla presenza del sottoprefetto di Rimini, che era in compagnia di un rappresentante della pubblica sicurezza, ma inutilmente. Tale fatto aveva avuto ripercussioni negative sulla popolazione "la quale non poteva vedere con indifferenza l'intervento della polizia estera in casa propria". La lettera continua smentendo alcuni fatti riferiti da Albergati, e comunicando che erano stati inviati a Roma Settimio Belluzzi e Pietro Tonnini per conferire con le autorità italiane, per sapere "il motivo di una tale condotta ostile della quale non erasi avuta alcuna communicazione", e per tentar di ripristinare la normalità. (49)

    Ma l'Italia questa volta era veramente inviperita, per cui la situazione rimase incandescente per diversi mesi. Il 9 aprile la Reggenza scrisse al Ministro degli esteri per lamentarsi dei modi strani usati dalle milizie italiane dislocate ai confini verso i Sammarinesi, a cui venivano richiesti con meticolosità i dati anagrafici, ed a cui era impedito l'ingresso in Italia se sprovvisti di passaporto. A Torello, poi, "con inaudito disprezzo del nostro governo" ad alcuni erano addirittura stati strappati i documenti. Non si riusciva a capire i motivi di tali atteggiamenti. (50) La cause del grave dissidio vennero conosciute il giorno dopo grazie ad una lettera scritta da Roma dal console Broccoli: l'Italia era convinta che nel territorio sammarinese dimorassero parecchi rifugiati (circa 75); voleva evitare in qualunque maniera che costoro potessero fuggire, o che ne potessero entrare altri; aveva dato ordine ai carabinieri collocati ai confini "di regolarsi sotto la loro personale responsabilità in quel modo e con quei mezzi che meglio crederanno valevoli a raggiungere l'obbiettivo". Inoltre precisava che il blocco sarebbe stato senz'altro mantenuto fino al momento in cui la Repubblica non avesse più avuto al suo interno simili individui, e che "anche raggiunto un tale scopo è intendimento del R. Governo richiedere una maggiore garanzia per l'avvenire, affinchè non si rinnovi questo stato di cose. Su questo punto pare inevitabile la denuncia e revisione del trattato del 1872". (51)

  La situazione era quindi assai pericolosa perché l'Italia non transigeva. Questo suo atteggiamento divenne ovviamente anche bersaglio di critiche feroci di chi per motivi ideali e non si schierava col più debole. (app. n° 16) Tuttavia a San Marino destò notevole preoccupazione, tanto che nel Consiglio dell'11 aprile Palamede Malpeli si rese promotore di una proposta di legge che prevedeva di affidare la direzione della locale polizia ad un Sammarinese, stabiliva sanzioni penali per i Sammarinesi che davano rifugio agli inquisiti, ai condannati ed ai renitenti di leva, ed infine imponeva di sciogliere "temporaneamente tutte quelle Società Sammarinesi che hanno un colore politico". Il Consiglio accettò di studiare una legge per i primi due punti, mentre per il terzo "si riservò di deliberare (...) in altra Seduta, e quando la questione sarà maturamente considerata". (52) Vedremo fra breve che i rifugiati di cui l'Italia aveva così tanta paura non erano solo i delinquenti comuni, ed i renitenti, ma anche i politici.

    Nel frattempo a Roma Belluzzi e Tonnini cercarono tra la fine di aprile ed il mese successivo di appianare i dissidi, ma l'impresa non fu affatto facile per la scarsa disponibilità al dialogo delle autorità italiane. Tra l'altro mentre i due delegati sammarinesi stavano lavorando, era giunto a Roma un certo Guerra, ex brigadiere dei gendarmi sammarinesi, il quale aveva fatto un rapporto assai velenoso su San Marino, affermando tra le altre cose che "la forza armata della Repubblica non è libera di compiere il proprio dovere, per la prepotenza dei partiti". Disse pure "che vi sono in Repubblica due Governi, quello in Città, che fa poco, e quello in Borgo che fa tutto, e quest'ultimo composto di elementi Mazziniani". Anche per questi motivi l'Italia aveva l'intenzione di creare "un'Ufficio internazionale di Carabinieri" ai confini sammarinesi, così come aveva ai confini austriaci e svizzeri. (53) Per tranquillizzare le autorità italiane, alla fine di aprile San Marino creò un articolo aggiuntivo al codice penale con cui venivano inasprite le pene per chi forniva ospitalità ai rifugiati, e ripristinò le sue milizie. (54)

    Ma tutto fu inutile, certamente perché l'Italia non si accontentava più di simili iniziative, mentre voleva un controllo diretto sull'operato dei Sammarinesi. Con lettera del 1° maggio il console Broccoli avvisò che il Ministro degli interni (Girolamo Cantelli) era deciso a porre ai confini sammarinesi un ufficio di carabinieri, e dentro la Repubblica "un'agente politico e consolare italiano". "Pare che non ammetta discussione sul rifugio dei malfattori in Repubblica -proseguiva- e sull'appoggio che vi trovano per parte di alcuni potenti del Borgo, senza che il Governo vi metta mano". (55) Nel mese di maggio i toni si esasperarono ulteriormente tanto che Belluzzi e Tonnini da Roma consigliarono di arrestare tutti i rifugiati in Repubblica, anche quelli che vi si trovavano anteriormente alla convenzione del 1862, e che per questo non erano mai stati consegnati all'Italia. In questa maniera il governo sammarinese avrebbe dato prova di lealtà verso l'Italia, e non vi sarebbero stati più appigli per mantenere il cordone. (56) Il 9 maggio arrivarono richieste di estradizione per 46 individui da parte delle prefetture di Forlì, di Urbino e di Ancona. Il giorno dopo fu quella di Bologna che ne chiese altri 10. (57) Sempre il 10 maggio giunse un'altra lettera di Belluzzi e Tonnini in cui si comunicava che l'Italia non aveva intenzione di annettersi San Marino, e che la situazione stava evolvendosi con estrema lentezza perché essa si era compromessa ormai tanto da non poter recedere dalle sue posizioni, ed anche perché i due delegati sammarinesi avevano "respinto energicamente ogni proposta che officiosamente ci è stata fatta lesiva l'onore, la dignità e la indipendenza del nostro Paese". (58)

    Negli stessi giorni fu inviato a Roma anche Domenico Fattori. Da qui scrisse subito una lettera in cui invitava la Reggenza a far arrestare tutti i rifugiati. (59) Così fu: l'11 maggio essa decretò "di far arrestare e tradurre nelle Carceri della Rocca tutti i malfattori e renitenti di leva e disertori che si trovano nella Repubblica", ammontanti a 59 individui. (60) Il 12 scrisse ai suoi delegati a Roma comunicando che nella notte erano stati arrestati 14 individui, e che si stavano continuando le perquisizioni per trovarne altri. (61) Questi 14, comunque, furono gli unici arrestati che si ebbero. (cfr.app. n° 13) A Roma Belluzzi e Tonnini intanto continuavano a darsi da fare per giungere ad un accomodamento, ma l'ostilità, soprattutto del Ministro degli interni Emilio Visconti Venosta, era assai profonda,e non permetteva d'intravedere una soluzione in tempi rapidi. Per fortuna il Ministro degli esteri si stava dimostrando meno ostico e più conciliante (cfr.app.n° 14 e 21), però la paura era tanta, così come tante dovevano essere le posizioni assunte dai cittadini. Per sensibilizzare la popolazione, e creare così quella compattezza necessaria a superare il grave momento, si pensò bene di coinvolgere anche i parroci della Repubblica. (cfr.app. n°17)

    La crisi in realtà verrà appianata soprattutto grazie all'opera di Belluzzi e Tonnini che il giorno 24 riusciranno ad avere un colloquio con il Ministro degli esteri e degli interni insieme. Grazie a questo incontro le posizioni si ammorbidiranno, ed in data 26 i due incaricati comunicheranno che il blocco militare stava per essere tolto. (62) Scrissero ancora varie lettere in cui riassumevano  un'altra volta i motivi di quanto successo, e comunicavano l'impegno a favore della Repubblica del Ministro Visconti-Venosta, il quale aveva ottenuto l'eliminazione del blocco, ma esortava di accettare a San Marino un consolato italiano per evitare che in futuro potessero ripetersi fatti così spiacevoli. (63) Il 9 giugno la Reggenza comunicò al Consiglio che il "disgustoso incidente" con l'Italia era ormai concluso, e decretò un triduo di ringraziamento a San Marino perché la Repubblica si era salvata ancora una volta. (64)

    Quali le conseguenze concrete del blocco? In pratica la Repubblica dovette accettare le condizioni dell'Italia, aprendo un consolato al suo interno, e rinforzando i suoi sistemi di controllo con l'assunzione di cinque o sei gendarmi. Il primo console italiano a San Marino fu Ambrogio Mariani, nominato con patente regia del 19 luglio. Costui rimarrà nella Repubblica fino al gennaio del 1876, quando verrà sostituito da Giulio Cesare Lossada. L'assunzione dei gendarmi, che si andavano ad aggiungere ai due di cui lo Stato sammarinese già disponeva, fu deliberata nel Consiglio del 13 settembre. Essi giunsero in Repubblica il 1° novembre ed andarono ad incidere per circa 3.000 lire sul bilancio dello Stato. (65) Ma non finì qui, perché nel corso della seconda metà del '74 continuarono ad arrivare richieste di estradizione di individui spesso dimoranti da tantissimi anni a San Marino coi quali le autorità sammarinesi non sapevano come comportarsi. Vi fu anche un fatto di natura politica che merita di essere raccontato, se non altro perché permette d'intuire (anche se nel mio "Delitto Bonelli" ciò è già chiaramente emerso) quanto importante fosse il Borgo come ritrovo di rifugiati politici, e perché proprio il Borgo ha fornito il nucleo principale del movimento riformista che porterà all'Arengo del 1906.

    Nel mese di agosto la Reggenza, anticipando intelligentemente la sottoprefettura di Rimini, diede ordine all'ispettore politico sammarinese di provvedere allo sfratto di sette rifugiati politici (Morri Ferdinando, Laghi Mariano, Lettimi Lodovico, Borzatti Antonio, Ottaviani Attilio, Bagli Pellegrino, Renzetti Cajo), tutti dimoranti nell'albergo Michetti in Borgo. (66) Il 19 agosto costoro scrissero alla Reggenza per protestare contro tale ordine, perché non erano delinquenti, ma solo accusati di reati minori. La protesta non scaturì effetto, perché tra il 25 ed il 28 agosto vennero tutti allontanati dalla Repubblica. (67) L'11 settembre la sottoprefettura di Rimini richiese l'arresto degli individui in questione, tutti rei di "cospirazione diretta a cambiare la forma di Governo" italiano. Una settimana dopo la Reggenza scrisse al console Mariani, ancora dimorante a Rimini perché a San Marino non si era riusciti a trovargli casa, per comunicargli che i ricercati erano fuori territorio, e non erano più rientrati. Comunque la Repubblica non si riteneva obbligata a consegnare i rifugiati politici, perché i reati di natura politica non erano previsti dalla convenzione. (68) Il 20 s'inviò una lettera al consultore Vigliani, in quel momento Ministro di grazia e giustizia, per illustrargli l'atteggiamento tenuto coi rifugiati politici, e per dire che la Repubblica "vorrebbe sostenere i suoi diritti, e non vorrebbe fare per conto altrui e per un obbligo che si tenta d'imporgli, e che crede di non avere ciò che è disposto a fare per conto proprio e per un riguardo allo Stato vicino". (69) Vigliani approvò il comportamento dei governanti sammarinesi. (70)

    Chi non approvò, invece, fu un gruppo di 53 cittadini, tra cui molti nomi di progressisti che già conosciamo, i quali in data 30 agosto divulgarono una vibrata protesta "contro lo sfratto dato nel termine di 24 ore ad integerrimi Cittadini del Regno d'Italia; contro la fede violata nei patti sanzionati colla Convenzione 27 Marzo 1872, convalidata dal Proclama 14 aprile 1874; contro gli arbitrii permessi o tollerati dal Potere, o Agenti del Potere, per violazione di domicilio e integrità di persona; contro la eccessiva prostrazione al Governo del Re, la quale marca un passo alla perdita della libertà; contro il dualismo che si cerca suscitare tra i figli di una patria comune; ed infine contro tutte quelle conseguenze che potrebbero derivare dall'essere noi dagli Italiani segnati a dito quali strumenti di cieca tirannide, persecutori ed oppressori dei nostri fratelli". (cfr. app. n° 8)

    Ma San Marino non poteva far altro che cercar di assecondare l'Italia, salvando per quanto possibile la sua dimensione di Stato sovrano. Per questo non consegnò i politici, anche se come abbiamo visto li espulse; però dovette consegnare nel mese di ottobre tre renitenti catturati dietro richiesta, più un disertore arrestato per caso (Pietro Ercolini). (71) Il console Mariani espresse alla Reggenza la sua soddisfazione "per la prova di esatto adempimento dei patti internazionali contratti, fornita specialmente coll'arresto e consegna dell'Ercolini". (72)

    Con l'apertura del consolato si quietarono di colpo tutte le tensioni ed i dissidi con l'Italia, per cui nella seconda metà del decennio non vi fu praticamente nulla relativo a questo argomento degno di essere narrato. San Marino si guardò bene dal riprovocare le ire dello Stato confinante; anzi, quando vi fu l'occasione, fece di tutto per dimostrargli la sua  rettitudine e fedeltà. Nel 1875, per esempio, alcuni Sammarinesi (Giulio Magnanelli ed Augusto Bruschi) offesero verbalmente il segretario del console Mariani. La Reggenza li fece arrestare senza indugio, imprigionandoli per più di due settimane. (73) Un fatto analogo accadde nel novembre del 1880, quando ad essere ingiuriati furono il figlio del console, ed un funzionario del consolato. (74) Questi episodi possono lasciar intendere che non tutti i Sammarinesi accettarono volentieri le novità imposte dall'Italia. D'altra parte la mentalità fieramente indipendentistica che doveva caratterizzare larghe fasce di popolazione probabilmente faceva vedere il console come una sorta di spia, ed il consolato come un corpo estraneo introdottosi brutalmente nella Repubblica  senza chiedere permesso a nessuno. I governanti sammarinesi comunque capirono che la sanzione ufficiale della sovranità del loro Stato aveva un prezzo da pagare: il consolato faceva parte di questo prezzo, così come la rinuncia a certi diritti.

    Sempre nel 1875, nel mese di novembre, l'Italia si preoccupò perché aveva saputo che si stava per impiantare in territorio sammarinese una distilleria di alcool, prodotto che era soggetto a forti dazi, e di cui quindi si temeva l'esportazione, e ovviamente il contrabbando. Il console Mariani, facendosi portavoce del Ministro delle finanze e degli esteri, con lettera del 22 novembre chiese quali garanzie potesse fornire la Repubblica all'Italia per evitare il possibile contrabbando di liquori, specificando inoltre che se tali garanzie non fossero state convincenti, il Regno italiano avrebbe attivato una "cinta daziaria" ai confini, e ciò avrebbe determinato l'estensione di eventuali provvedimenti di natura doganale "anche sulle farine, le polveri piriche e tutti gli altri generi colpiti all'interno del Regno di tassa di fabbricazione, non avendo più ragione di sussistere le tolleranze concordate per tali generi con le appendici alla Convenzione di buon vicinato". (75) Ovviamente la Repubblica per evitare un tale pericolo preferì vietare l'impianto della distilleria.

    Anche quando morì Vittorio Emanuele II (9 gennaio 1878), che era sempre stato un grande estimatore ed amico del piccolo Stato e da esso aveva ricevuto nel 1870 il Gran Cordone, (76) la Repubblica si preoccupò di essere presente ai funerali con ben tre inviati (Domenico Fattori, Palamede Malpeli, Pietro Tonnini). Costoro ebbero colloqui assai cordiali con l'allora presidente del consiglio Depretis, e col ministro della giustizia Mancini. Il 21 gennaio furono ricevuti anche dal nuovo re Umberto, e dalla regina. (77)

 

 

NOTE               APPENDICE

 

 

2.1 - I rapporti internazionali

 

    Nel decennio San Marino continuò anche a mantenere i suoi contatti con le potenze estere, cercando, quando possibile, anche di rinsaldarli. Il sistema fu quello già sperimentato negli anni precedenti, ovvero l'apertura di consolati, ed il conferimento di onorificenze ai personaggi più eminenti. Nel 1870, grazie all'interessamento del console Coloman, si volle assegnare il Gran Cordone all'arciduca austriaco, nonché principe ereditario, Rodolfo d'Asburgo. Come segno di riconoscenza l'Austria nel mese di agosto insignì i Reggenti del titolo di commendatore. (78) Nel giugno del 1872 si vollero conferire onorificenze all'imperatore tedesco Guglielmo I, al principe ereditario Federico Guglielmo, a Bismarck, ed allo stesso ambasciatore tedesco a Roma. Per la consegna furono inviati nella capitale Settimio Belluzzi, Palamede Malpeli e Pietro Tonnini. (79) Nel 1876 il Gran Cordone fu donato al presidente della Francia Patrice Mac-Mahon. (80)

    A proposito della Francia si può dire che la guerra franco-prussiana del 1870, e la sconfitta di Napoleone III privarono per vari anni la Repubblica del loro potente protettore, poiché i rapporti con lo Stato francese poterono essere riallacciati solo nel '75. Non a caso fu proprio in questo lasso di tempo che l'Italia potè agire come agì nei confronti di San Marino. La Repubblica fu informata di quanto stava succedendo in Francia da Avigdor che continuò a tenere contatti, e che nel settembre del '71 si fece avanti come console sammarinese anche con Adolphe Thiers, neo-presidente francese che coprirà tale carica fino al 1873. Egli professò tutta la sua stima per il minuscolo Stato, ma niente più. (81) Nel mese di dicembre, sempre del '71, Avigdor morì, ed anche questo dovette contribuire non poco a raffreddare i rapporti con la Francia, la quale tuttavia dopo la sconfitta di Sedan non poteva di certo essere più lo spauracchio degli anni precedenti, e quindi l'importante protettore su cui tanto si faceva affidamento.

    La Repubblica non si perse d'animo, e s'industriò di trovare altre potenti amicizie: si rivolse ovviamente ai tedeschi ed ai prussiani; ai vincitori, cioè, che potevano sostituire degnamente la Francia imperiale. Si è già detto delle onorificenze a Bismark ed alle altre autorità di questi Stati. Posso aggiungere che San Marino fece anche dei passi agli inizi del 1873 per creare un suo incaricato in Prussia, tentativo che fallì perché la Prussia comunicò che avrebbe accettato un simile funzionario solo se l'Italia non avesse protestato. Naturalmente i governanti sammarinesi si sentirono offesi per lo scarso rispetto dimostrato alla sovranità del loro Stato, e troncarono le trattative. (82)

    Per tornare al discorso che stavamo conducendo sulla Francia, si può aggiungere che i rapporti poterono essere pienamente riallacciati nel momento in cui la Repubblica riuscì a nominare un nuovo incaricato d'affari in quello Stato, cioè nel 1875, quando tale funzione venne assegnata al conte Carlo De Bruc, che fino a quel momento era stato console sammarinese a Lione. Fu De Bruc a ripristinare un dialogo con le autorità francesi, e nel Consiglio del 9 ottobre 1875 tale riavvicinamento fu solennemente annunciato tra la soddisfazione generale. (83) Negli anni successivi De Bruc continuò a lavorare a favore di San Marino, mantenendo importanti contatti con le massime autorità francesi, e determinando il conferimento del Gran Cordone a Mac-Mahon di cui si é detto. Il presidente gradì tanto l'onorificenza da organizzare all'Eliseo alla fine del '76 un pranzo ufficiale di ringraziamento a cui presenziarono molti diplomatici europei. In quell'occasione fece tale sfoggio del Gran Cordone, mettendolo addirittura più in mostra di altre onorificenze di cui era ornata la sua giacca, da invogliare molti diplomatici a richiedere a De Bruc titoli e decorazioni sammarinesi. Il lungo elenco di queste richieste è verbalizzato negli Atti del Consiglio nel verbale della stessa seduta, di cui si è già parlato, in cui si decise di aumentarne i costi. (84) E' logico ipotizzare che furono anche tutte queste richieste a provocare l'innalzamento dei loro prezzi, ovvero che le onorificenze sammarinesi seguivano ormai la logica di mercato di qualunque altra merce.

    Per ultimare il discorso sulla politica estera sammarinese, si può dire che furono diversi i consolati aperti nel decennio: nel 1872 in Svizzera; nel '76 si riuscì finalmente ad avere un incaricato sammarinese a Roma; nel'77 si aprirono consolati ad Atene, Montevideo ed in Spagna; nel 1882 divenne console a Trieste Silvestro Pepeu. Poiché tali consolati non furono coinvolti in fatti particolarmente degni di essere narrati, né li determinarono, si rimanda al testo di Francesco Balsimelli "Storia delle rappresentanze diplomatiche e consolari della Repubblica di San Marino" per eventuali altre informazioni.

 

3 - La politica interna

                                                                    

    Prima di chiudere questo capitolo per parlare dell'affare Malpeli, si possono fornire altre notizie di qualche interesse storico relative alla vita interna della Repubblica nel decennio che stiamo esaminando. Partendo dal 1870, si può dire che in quest'anno scoppiò una grossa grana legata al commissario della legge Federico Venturini, il quale voleva dimettersi ed abbandonare in fretta la Repubblica perché perseguitato da anonimi che non lo volevano più a San Marino. Dai rapporti che ho letto (ne riproduco uno in app. n° 12), emerge che l'odio nei confronti del commissario era nato da una sentenza da lui pronunciata nel 1868 in un processo (Casini contro Filippi), sentenza non gradita a qualche Sammarinese che, da quanto ho potuto capire, si sospettava facesse parte di quel gruppo mazziniano di Borgo che faceva capo a Giacomo Martelli. Il commissario da quella sentenza in poi era stato oggetto di scherno, di accuse attraverso il solito sistema dei libelli diffamatori affissi lungo il Paese, di lanci di pietre, di minacce di morte e di altro ancora, tanto che egli scrisse alla Reggenza in data 12 aprile 1870 : "Non basta che da due lunghissimi anni abbia dovuto farmi della mia casa una specie di carcere per sottrarmi agli altrui insulti, e conservarmi quel grado di rispetto necessario all'esercizio delle mie funzioni: mi si continuano iniqui oltraggi, mi si contrasta il notturno riposo, e si richiede il mio allontanamento siccome mezzo di mia salvezza. Alcuni rispettabili Cittadini commossi da sì ostinata persecuzione, son venuti essi pure a consigliarmi la partenza, timorosi di lamentare deplorevoli mezzi. In vista di tali cose non può esservi Autorità o Governo che voglia costringere un uomo a perdurare in uno stato di vita che è la negazione della vita stessa. Nessun impiegato al cospetto di tante enormenze potrebbe più sentire il coraggio del suo dovere, ed io dichiaro d'averlo perduto". (85)

    Dalle parole di Venturini si avverte l'ansia in cui ormai si trovava, ansia forse legata anche ai suoi cattivi rapporti con Giacomo Martelli, col quale per motivi che ignoro aveva litigato. Di questo litigio ho trovato alcune tracce, tra cui una relazione in cui si dice che la Reggenza stessa si era adoperata per riconciliare Venturini con Martelli. Sempre nella stessa relazione si afferma che "Martelli gode un esteso favore ed è molto amato ed ascoltato dalla maggior parte della gioventù del paese come rappresentante di principii liberalissimi repubblicani". Inoltre egli aveva intensi contatti con Rimini, dove si recava spesso per frequentare un gruppo repubblicano chiamato "Associazione democratica universale". (86) Come interpretare tutto ciò? La vicenda è interessante e meriterebbe ulteriori indagini; comunque mi sembra d'aver capito che la parte progressista della gioventù si era schierata contro Venturini, perchè lo si accusava di aver amministrato senz'equità la giustizia in varie occasioni, ma soprattutto nel processo Casini-Filippi. E' probabile che il commissario, che non si sentiva colpevole di questa accusa, imputasse invece la persecuzione a cui era soggetto ai suoi cattivi rapporti con Martelli, e quindi con il gruppo repubblicano di cui era l'indiscusso capo. Comunque sia, venne ordinata un'indagine che si concluse nel mese di giugno, e che non riuscì a scoprire gli autori della persecuzione. Venturini se ne andò via per sempre da San Marino.

    Il 1870 fu anche l'anno della presa di Roma attraverso la famosa breccia di Porta Pia. Questo fatto ebbe ripercussioni anche sui riformisti sammarinesi che certamente furono spronati dalla definitiva scomparsa  dello Stato della Chiesa, e da Roma capitale d'Italia, ad inoltrare istanze tendenti a chiedere migliorie della situazione sociale di San Marino. In effetti negli anni '60 vi sono rarissime tracce dell'attività di questi progressisti, che pur vi erano anche se non in numero rilevante, e di cui abbiamo seguito le prime tracce ricostruendo gli omicidi di cui si è parlato nel "Delitto Bonelli". Invece negli anni '70 queste tracce sono più evidenti ed anche più frequenti.

    Nel '70, dunque, è l'avvocato Ermenegildo Stambazzi di Borgo che nell'arengo di ottobre afferma che l'unificazione italiana doveva stimolare anche San Marino a "migliorare le proprie condizioni morali, materiali e politiche". "Circondati da una Nazione che tra breve non mancherà di rendersi emula della Roma antica, ragion vuole che noi la seguiamo nel cammino della Civiltà e del perfezionamento -disse- e non dare all'Europa il brutto spettacolo che un governo Repubblicano lasci desiderare la bontà delle istituzioni, e le migliorie di cui va fornita una Monarchia Costituzionale". Perciò egli proponeva diverse riforme, e precisamente: la promulgazione di un codice civile, di procedura civile e commerciale; la sistemazione della pubblica istruzione che doveva essere resa obbligatoria; la creazione di scuole serali a beneficio della classe operaia "le quali potranno essere sorgenti di buoni Padri di famiglia, di operosi cittadini, e di ottimi Magistrati, che uniti alle classi agiate nel buon volere e nell'onestà diano opera a tramandare ai più tardi nepoti il retaggio degli avi"; l'abolizione dei comuni interni: "quest'opera medievale che per la stessa sua origine e impronta si traduce in manifesto spregio alle leggi di uguaglianza, anima e vita dei Governi della Repubblica"; infine modificazioni alla costituzione: "Nè vi suoni sinistramente all'orecchio se mi permetto dire parola sulle nostre Sante Costituzioni le quali in grandissima parte vanno mantenute, come quelle che ci serbarono invidiati per oltre quindici secoli. Ma col sincero affetto di figlio della Repubblica ed ossequiante alle sue leggi fondamentali mi parebbe mancare ai doveri di onesto cittadino se vi nascondessi che lievi modificazioni potrebbero adottarsi in quella parte che mal risponde allo sviluppo intellettuale e politica del tempo presente, al rapido incedere nel quale a tutti gli Stati è pur di mestieri chinare la fronte, e cedere almeno in parte alla sua giusta esigenza". Stambazzi concludeva così: "Al patrio (...?) dei Signori componenti il Consiglio dei Sessanta, alla loro perspicacia di avvedutezza io affido interamente sì delicata tesi, e solo amo di far presente che il ritegno di por mano a quest'opera non degeneri in immaginarie apprensioni ed (...?) troppo generalizzate per non incappare in quella cieca ammirazione del passato che un illustre Pubblicista Inglese del giorno, chiamò la paralisi degli uomini di Stato quando invecchiano". (87)

    L'analisi delle richieste venne rimandata ad una seduta successiva, ma nel Consiglio del 30 ottobre furono esaminate altre istanze di componenti del gruppo riformista di Borgo. La prima, firmata Felice Giovannarini (fratello di quel Marino condannato per l'assassinio del Segretario Bonelli) (87a), Ercole Casali, Federico Martelli (l'uccisore di Gaetano Angeli), Giuseppe Giacomini, M. Martelli, E. Reffi) diceva: "Considerando non esservi cosa più proficua all'industria del commercio quanto la pronta comunicazione del pensiero e della parola", visto che lo Stato era privo di ferrovia e telegrafi, e che "il corso postale nel Borgo rimane arbitrariamente e dispoticamente inceppato", arbitrariamente per colpa degli impiegati che non avevano un orario ben definito per svolgere il loro lavoro, "dispoticamente dagli Esecutori del Potere i quali si credono nel diritto di esercitare una inquisizione passando in rassegna tutte le lettere che pervengono ai Cittadini della Repubblica", era indispensabile trovare rapidi rimedi a tutti questi problemi. Questo modo di procedere poteva andar bene "in mezzo alle barbarie dell'evo medio", ma non "al presente in piena luce del diecianovesimo secolo". Inoltre i firmatari dell'istanza protestavano per la mancanza di un pubblico macello, e per la macellazione all'aria aperta delle bestie; nonché per la scarsa cura riservata alla pubblica igiene. Chiedevano anche la redazione di un orario preciso per l'apertura delle poste, e che le lettere ed i periodici venissero lasciati in Borgo "a disposizione degli individui a cui sono diretti", ovvero che non venissero sottoposti a verifica da parte delle autorità.

    Nella stessa seduta consigliare venne esaminata un'altra interessante istanza di Giacomo Belloni. Egli diceva che l'unificazione italiana costringeva anche la Repubblica a mutare le sue leggi, perché erano paradossali, per esempio, i privilegi che ancora esistevano a San Marino per gli ecclesiastici (citava il privilegium fori), ed offensivi per la "costituzione repubblicana che ci guida, perché la prima legge di una Repubblica dev'essere quella che esclude i privilegi e libera riconosce la Chiesa in mezzo allo Stato, come questo in mezzo a quella". Belloni quindi istigava ad eliminare le leggi che creavano disuguaglianza, ed a considerare i preti alla stregua di tutti gli altri cittadini. Inoltre chiedeva che venisse istituito anche il matrimonio civile, che si rendesse obbligatoria la pubblica istruzione, e che s'istituisse la scuola femminile presso le suore così come da tempo si stava studiando. Anche tutte queste istanze furono demandate alla commissione che doveva analizzare le richieste di Stambazzi.(88)

    Le risposte vennero fornite quasi un anno dopo, il 31 agosto del 1871. (89) La commissione suggerì di redigere effettivamente un codice di procedura criminale, ed un codice commerciale, ma di rimandare la creazione di una camera di commercio a dopo la compilazione del codice civile. Nell'attesa si potevano applicare le procedure degli atti mercuriali e di fiera, aggiungendo solo qualche norma relativa alle cambiali. In questa maniera la camera di commercio sarebbe stata rappresentata direttamente dal commissario della legge. Per quanto riguardava la scuola, la commissione era dell'avviso di non istituire ancora la scuola dell'obbligo, ma solo di dar vita ad "eccitamenti governativi" in proposito, cioè istigare le famiglie a mandare i loro figli a scuola. In seguito la commissione affermò che la scuola superiore sammarinese avrebbe dovuto impartire quegli insegnamenti che permettessero ai suoi diplomati di accedere senza difficoltà alle università italiane, e che il riordinamento della pubblica istruzione sarebbe potuto avvenire solo dopo l'apertura del Collegio Belluzzi, frase che fa capire che ancora non si era potuto aprire al pubblico questa istituzione. Inoltre riteneva indispensabile attivare anche una scuola tecnica (segno che anche questa riforma prevista già dal 1867 non era andata ancora in porto) per coloro che non volevano proseguire gli studi classici, "e che vogliono dedicarsi alle arti e mestieri". Per quanto concerneva le scuole serali, si auspicava che il Consiglio desse rapida esecuzione ad una sua delibera del 23 ottobre 1870 che ne prevedeva l'avvio "coll'assegnare l'opportuno locale e fondi per le spese dei lumi, libri e quanto altro necessario e col fare appello ai Cittadini capaci e specialmente ai Maestri perché vogliano prestarsi gratis". Sull'abolizione dei comuni la commissione sentenziava di essere favorevole ad "eguagliare gli abitanti dei Comuni a tutti gli altri Cittadini nel godimento dei diritti civili", ma di non essere d'accordo "a che si debbano abbolire i Comuni col centralizzare la loro amministrazione con quella del Governo e a privarsi della loro Magistratura". Il Consiglio in quest'occasione tuttavia non volle modificare nulla in quanto "i comunisti non avendo mai fatta alcuna rimostranza è a ritenersi essere contenti della loro posizione". La proposta di apportare modificazioni alla costituzione fu rigettata con sdegno come del tutto "inammissibile"; si accettò invece di apportare miglioramenti al servizio postale di Borgo, anche se si stabilì di mantenere la prassi di poter aprire la corrispondenza da parte della Reggenza. Infine la commissione invitò il Consiglio a creare un macello pubblico, e a considerare gli ecclesiastici alla stregua degli altri cittadini. Per quanto concerneva il matrimonio civile, la commissione suggeriva di introdurlo nel momento in cui fosse stato redatto il codice civile, ma il Consiglio respinse questa proposta, e con essa il matrimonio civile stesso. (90)

   Sempre del 1870 è un'interessante istanza di Palamede Malpeli, presentata nell'arengo di aprile, critica nei confronti dei patriarchi del passato che nessuna cura avevano dedicato alla salvaguardia dei documenti, monumenti e tradizioni locali, e tesa a chiedere la creazione di "una Deputazione permanente, con un assegno annuo, per rintracciare gli antichi documenti". (app. n° 9) Di quest'anno è anche l'avvio definitivo delle scuole per fanciulle ad opera delle monache clarisse, anche se non so con precisione in che giorno abbiano effettivamente iniziato le lezioni. L'istituzione di questa scuola era un vecchio chiodo fisso di Malpeli, il quale fin dai suoi primi anni di consiglierato aveva inoltrato istanze al governo per la loro attivazione. (app.n°10) La questione però si trascinò a lungo senza poter trovare soluzione, finché non si pensò di utilizzare le monache come insegnanti di tale scuola. Nel giugno del '70 si presero contatti col vescovo del Montefeltro per sottoporgli l'idea, e nel mese di luglio egli diede il suo benestare. (91) Ma come sempre succedeva a San Marino, dove il sistema di governo assembleare era spesso più un ostacolo alle riforme che uno stimolo, la questione per qualche motivo venne lasciata in disparte, finchè Malpeli il 13 settembre diede le sue dimissioni da Deputato agli studi, perché il governo non aveva preso deliberazioni sul progetto. (92) Questo fatto dovette stimolare una soluzione del problema: infatti nel mese di ottobre il vescovo riscrisse per comunicare che le monache avrebbero svolto le loro lezioni in via sperimentale per tre anni. Nel mese di dicembre, infine, fu approvato dal Consiglio un capitolato relativo alla scuola per fanciulle, in cui si specificava che le scolare dovevano essere istruite soprattutto nella dottrina cristiana, nella lettura e scrittura, nelle prime operazioni di aritmetica, nel cucito e nei tipici lavori femminili. (93)  

    Del '70 è pure un importante comunicato pubblico di Giacomo Martelli contro il locale sistema politico, importante perché è sempre stato considerato come la prima palese contestazione all'oligarchia al potere. Eccone il testo:

Ai signori componenti il Consiglio dei LX della Repubblica di S. Marino               

   Nella seduta Consigliare del 31 passato Luglio, il sottoscritto veniva proposto a Consigliere della Repubblica; assoggettato quindi a secreto scrutinio si aveva sei palle bianche contro il numero di trenta votanti. Fin qui niuna meraviglia, poiché l'oligarchia che predomina nel Consiglio Principe e Sovrano ha bisogno per sostenersi di due puntelli, vale a dire che vi sia da un lato una casta privilegiata dispotica-aristocratica, e dall'altro una mandra di schiavi ignoranti docilmente pieghevoli al cenno di essa. Quello che reca meraviglia si è, che non ostante le protestazioni, tanto pubbliche, quanto private, di non voler essere non solo candidato, ma di non accettarne l'incarico neppure dopo la elezione, si voglia assoggettare un Cittadino a subire uno schiaffo, una repulsa, un ingiurioso confronto. Ebbene, una volta per sempre, sappia il Consiglio dei LX, che il sottoscritto non solo non ambisce di essere Consigliere, ma non vuole assolutamente esserlo, poiché si crederebbe coperto di vergogna e di disonore entrando in quell'aula, che per ischerno chiamasi della Repubblica. Repubblica...! mai nome così sacrosanto venne profanato da sessanta lingue più impure. Sappia una volta per sempre il Consiglio dei LX, che lo stesso sottoscritto accetterà un tale mandato allora soltanto che i Consiglieri verranno eletti per suffragio universale: la loro durata, lungi dall'essere a vita, sarà circoscritta entro un spazio di tre anni: e le porte della Sala Consigliare saranno aperte pubblicamente al popolo. Sappia infine il Consiglio dei LX che chi scrive sentirebbe onta e disdoro di porre il piede in una Camera, sulle cui pareti sta scritto -istruzione negletta, e quella poca, o in mano di preti, o d'ignoranti - non scuole serali, non istruzione obbligatoria - in pieno vigore il diritto Canonico - disprezzata la morale pubblica, la pubblica igiene - non strade, non commercio, non telegrafi - gl'impieghi concessi a pochi privilegiati, non per merito, ma per nobiltà di natali e, per soprassello, resi ereditarii - dilapidazione delle pubbliche sostanze - non eque imposte sui censimenti, tassata al contrario la miseria - tasse dei Tribunali insopportabili, vessatorie - monopolio di denaro sulle elargizioni che provengono dall'estero - mercimonio di croci, nastri, e ciondoli - non pubblico rendimento di conti - dispoticamente intralciato il corso postale - le terre dello Stato infeudate col nome di Principi, di Duchi, di Marchesi - prostrata, vilipesa, ed avvilita la dignità Sovrana, e quella dei suoi Rappresentanti - promossi al Potere gl'ignoranti, gli analfabeti - insomma una Repubblica di nome, e nella sostanza un dispotismo il più ributtante, una tirannia la più codarda, un assolutismo tale da invidiare il Croato ed il Cosacco. Ed ora giudichino i Cittadini, se potesse rendersi solidale di tante turpitudini.

   S. Marino li 6 agosto 1870

                                                                                             Il Cittadino

                                                                                      Giacomo Martelli          

 

    La presa di Roma, quindi, aveva ridestato quella volontà riformistica che già si era manifestata con forza dopo il 1848. I riformisti nel periodo di cui stiamo trattando dovevano essere pochi, e  addirittura pochissimi quelli oltranzisti e radicali. Tuttavia è difficile pensare che Martelli fosse una voce isolata; cioè che non fosse l'esponente più carismatico, ed anche più acculturato, di un gruppo desideroso di eliminare quanto di arcaico avvertiva nella situazione socio-politica sammarinese. Furono costoro sicuramente i primi maestri della nuova generazione che combatterà a fine secolo per il suffragio universale, e che promuoverà la convocazione dell'arengo nel 1906. Palamede Malpeli capì che le istanze del 1870 potevano sottintendere discorsi pericolosi, e desideri che avrebbero sconvolto la fisionomia patriarcale della Repubblica se si fossero concretizzati. Anch'egli era contro il sistema patriarcale in auge, ma fino ad un certo punto. Ne contestava la mentalità pauperistica e isolazionistica; ne contestava gli aspetti arcaici e sostanzialmente antiborghesi; ne contestava la fiacca ed il dilettantismo; ma non arrivava a contestare il sistema costituzionale che lo perpetrava, quel sistema che permetteva anche a lui di essere un nobile padre-padrone del Paese. In fondo la sua critica non riusciva a cogliere le reali e remote cause del sistema stesso, ma si limitava agli effetti più superficiali e appariscenti. D'altronde è difficile per chiunque osteggiare la mentalità dominante, e gli stereotipi che fanno apparire la realtà sotto un unico aspetto, mostrando nel contempo come folle tutto ciò che non ha quell'aspetto. Ancora più difficile e folle doveva esserlo per Malpeli che era un gerarca del Paese, e poteva avere tutto da rimetterci in un ipotetico sconvolgimento politico-sociale del sistema sammarinese. Da qui un suo intervento nel Consiglio del 31 ottobre 1871, mentre era Reggente, teso a criticare la cattiva abitudine di non rimpiazzare immediatamente i posti vacanti di consigliere, cioè di non curare che il loro numero fosse costantemente di 60, così come era previsto dagli statuti. Egli affermò in tale occasione che era assai pericoloso lasciar diminuire il numero dei consiglieri: "A chi ben legga lo Statuto e ne comprenda lo Spirito non sarà difficile il convincersi che quest'assemblea deve costantemente essere composta di sessanta individui, perché a sessanta individui la Costituzione ha affidato la rappresentanza del Popolo, e l'esercizio della Sovranità, per cui mancandone uno solo, il popolo non vi è pienamente rappresentato, e quindi l'assemblea non è più costituzionale, non è più legalmente Sovrana. Gladstone, il primo uomo politico che sia ora rimasto all'Inghilterra, si mostrò assai lieto nei passati giorni, perché era stato eletto deputato alla Camera dei Comuni un tale (...?) Irlandese patrocinatore dell' Home Rule  (autonomia rivendicata nei confronti della Gran Bretagna -nda-). Sarà, disse il ministro Inglese, un immenso vantaggio trattare questa questione alla presenza dei principali suoi avvocati. Questa è la maniera di procedere colle difficoltà che s'incontrano. La Camera è il luogo dove sono meno pericolose le idee violenti. E' un grande vantaggio pel pubblico quando i Campioni di idee impraticabili vengano davanti ai Rappresentanti della Nazione. E il saggio Ministro Inglese terminò dichiarando che farebbe di tutto perché quel deputato venisse eletto,ed esporebbe alla Camera la sua idea. Fate adunque tesoro, o Signori, di questi insegnamenti nella nomina dei nuovi Consiglieri, se vorrete prevenire nuove domande di riforme alla Costituzione, e nuove richieste di altri provvedimenti legislativi, che per lo meno hanno adesso la pena di essere fuori di tempo". (94)

    Per questi motivi egli dichiarava che avrebbe presentato al Consiglio un progetto per completare il numero di 60 consiglieri, ed in cui avrebbe sottolineato "la politica necessità che nella nuova nomina i sigg.i Consiglieri tengano presente il bisogno che l'insieme del Consiglio si mantenga l'espressione fedele dell'opinione della volontà e della tendenza della maggioranza, senza impedire però alla minoranza di potersi esplicare legalmente nell'esercizio de' suoi diritti politici, affine di non esporre il governo a pericolose forze interne". Sono riuscito a ritrovare il progetto in questione, chiaramente scritto da Malpeli, anche se non è stato firmato. (95) Qui egli continua nella sua polemica di cui già si è anticipato qualcosa, dicendo che lo Statuto era stato redatto con "spirito democratico", e che tale spirito doveva sempre essere salvaguardato, anche se in passato alcuni decreti lo avevano fortemente ridimensionato. "Quei Decreti che stabilirono in modo assoluto, che il Consigliere per ritenersi eletto dovesse ottenere la maggioranza dei votanti, hanno l'inconveniente di dare l'opportunità al Consiglio di rendersi esecutivo, e di concentrare in pochi il potere coll'escludere dal suo seno quell'elemento popolare, che col progressivo succedersi delle generazioni rappresenta lo sviluppo sempre maggiore delle idee e dell'umanità. Che se la conservazione deve essere il nostro primo pensiero, dobbiamo però guardarci dal confondere l'idea di conservazione con quella d'immobilità. La prima è nell'ordine naturale; la seconda è contro quest'ordine medesimo".

    Queste parole del Reggente Malpeli avrebbero comodamente potuto trovar posto in un qualunque scritto dei riformisti dei primi del Novecento, quando si discuteva la partecipazione del popolo alla vita politica tramite elezioni, o altri sistemi ancora. Ma Malpeli è un uomo della generazione precedente, dell'epoca della Destra Storica, e la possibilità di chiamare i Sammarinesi alle urne per rendere veramente democratico il Consiglio della piccola Repubblica non gli passa di certo neppure lontanamente per il cervello. Invece pensa a qualche altro modesto espediente utile a far sì che il Consiglio fosse sempre composto da 60 membri, tra cui anche quelle poche voci dissenzienti che potevano esservi (ovvero i "Campioni di idee impraticabili", come li chiama), non tanto per poterne sfruttare la vis polemica, quanto per poterle meglio controllare e tacitare. Ma di mettere in discussione il sistema cooptativo in auge dalla seconda metà del Cinquecento non se la sente proprio.(cfr.app.11) Il fatto è comunque importante perché testimonia che fin dai primi anni '70 era già iniziato, o meglio riiniziato, visto quanto era successo nei primi anni '50, un processo di contestazione all'oligarchia al potere, e che vi era qualche consigliere (come minimo Malpeli, ma forse anche altri rimasti anonimi), che già da questo periodo invitava a correre ai ripari prima che la situazione potesse diventare incontrollabile.

    Per il resto degli anni Settanta non ho trovato altre tracce di contestazione politica, o di richieste di riforme costituzionali, che ricominceranno invece nel decennio successivo con la stampa dei primi giornali locali, e con la maturazione di quella generazione nata da chi aveva partecipato al Risorgimento, o che era comunque imbevuta di dottrine e teorie riformiste, figlie dei tempi nuovi. Le istanze che si possono incontrare, invece, sono di carattere sociale, e mirano ad ottenere concrete migliorie per la piccola comunità. Le più frequenti sono quelle relative alla creazione di altre scuole elementari anche in quei Castelli dove non vi erano, alla promulgazione di codici civili e commerciali, al miglioramento del sistema stradale (anche se questo tipo d'istanza diminuisce notevolmente rispetto al decennio precedente), al miglioramento della situazione igienica, alla creazione di un cimitero per la zona di Città e Borgo.

    Per quanto riguarda il problema della scuola elementare, si può dire oltre a quanto già si è detto che l'istituzione della scuola elementare a Serravalle stimolò anche altri Castelli sammarinesi a volere un simile servizio. Una richiesta di tal genere avanzata nel novembre del '73 da alcuni abitanti di Acquaviva indusse il Consiglio a decretare l'estensione a tutte le parrocchie sammarinesi  dell'istruzione primaria. Per realizzare questa fondamentale riforma si decise d'imporre la tassa che Serravalle già stava pagando per mantenere le sue scuole, cioè una percentuale dello 0,50 % sull'estimo di tutto il territorio. Fu incaricato il Congresso economico di elaborare un progetto in merito. (96) Per motivi che andrebbero indagati, il progetto non riuscì a concretizzarsi. Negli anni successivi Acquaviva tornò ad avanzare la stessa richiesta, a volte insieme a Faetano, finché nel 1878 il Consiglio tornò a ribadire che bisognava redigere un progetto per impiantare le scuole elementari su tutto il territorio. (97) Questa volta si riuscì a stendere il progetto, ed a presentarlo nel Consiglio del 29 settembre, sempre del 1878: in pratica si tornava a proporre la vecchia idea di tassare ulteriormente l'estimo dello 0,50%, solo però delle parrocchie interessate, ovvero le due di cui si è detto. (98) La proposta anche in questa occasione non scaturì effetti. Acquaviva negli anni successivi non si arrese: nell'ottobre del 1881 tornò alla carica per chiedere al governo un sussidio in denaro con cui stipendiare un maestro che evidentemente aveva reperito in maniera autonoma. Il Consiglio si disse disposto ad elargirlo, ma solo dopo aver saputo chi era l'insegnante, e dietro preventiva approvazione. (99) Ancora una volta il problema rimase insoluto, tanto che un anno dopo sempre Acquaviva tornò alla carica per gli stessi motivi. (100) Anche in quest'occasione non si riuscì ad istituire la tanto desiderata scuola, cosicché per limitare il discorso al periodo che stiamo esaminando, e quindi chiuderlo, si può affermare che nei primi anni '80 le uniche scuole elementari che vi erano a San Marino erano in Città, Borgo e Serravalle, anche se altri Castelli premevano per la loro istituzione. Inoltre solo le scuole di Città avevano un corso di studi fino alla quinta classe; Borgo riuscirà ad istituire la quarta e la quinta elementare solo nel 1892, periodo in cui si potrà estendere l'insegnamento elementare a quasi tutto il territorio.

    Per quanto concerne le rimanenti istanze, si può dire che un altro problema sentito come urgente era quello legato al bisogno di un codice civile,  commerciale, e di procedura penale. Anche su tali questioni si possono reperire lungo tutto il decennio diverse richieste, presentate in genere dai pochi avvocati del Paese, ma anche da altri. Nell'ottobre del '73, a titolo di esempio, Menetto Bonelli tornò a richiedere, come già aveva fatto in passato, la "pronta compilazione del Codice di Procedura Penale, perché la procedura attuale, essendo esclusivamente inquisitoria, non corrisponde più all'esigenza dei tempi che corrono". Federico Gozi, invece, chiese la rapida attivazione del codice commerciale che egli dichiarò essere già stato redatto dal commissario Giuseppe Giuliani. (101) Negli anni successivi simili richieste continuarono, e nel 1878 si pose mano alla redazione del codice civile, delegando a tale mansione il giudice Cataldi, il quale nel dicembre di quell'anno domandò al Consiglio varie informazioni (il matrimonio doveva essere civile o ecclesiastico, quali erano le idee della Repubblica sui diritti civili rispetto al culto, ecc.) per poterlo stendere. Negli anni successivi alcune delle riforme così insistentemente richieste vennero realizzate. Agli inizi del 1878 fu promulgato il codice di procedura penale insieme ad una serie di "Disposizioni Disciplinari pel tribunale commissariale". (102) Nel 1882 poi venne emanato il codice cambiario, (103) mentre un codice civile non fu mai promulgato.

    Passando ora brevemente alle richieste di natura igienica, posso affermare che il Paese fino a questi anni non deve aver curato più di tanto tale problema, anche se vi erano disposizioni statutarie molto rigide e precise sul tema. Infatti vi sono ripetute tracce che parlano di animali macellati praticamente sugli usci di casa, di assenza totale di grondaie e pluviali alle abitazioni, e quindi di ricorrente inquinamento delle acque potabili contenute nei pozzi e soprattutto nelle cisterne del Pianello, di immondizia raccolta a caso lungo le strade e negli angoli, di acque sporche gettate sovente dalle finestre, di un enorme problema per Città legato al seppellimento dei cadaveri, ecc. ecc. Il quadro che emerge, in definitiva, è quello di una realtà assai squallida e dimessa, dove solo la buona volontà dei singoli riusciva a volte a supplire ad una legislazione arcaica e carente, non certo all'altezza dei tempi nuovi e dei numeri nuovi della popolazione, e ad una probabile assenza di controlli. Nel decennio in esame qualcosa per migliorare la situazione igienica fu fatta, anche se leggendo i numeri de "Il Giovane Titano", uno dei primi giornali sammarinesi uscito tra il 1881 ed il 1883, si capisce che ancora tanto restava da fare. (104) Il primo passo fu senz'altro l'istituzione di due posti da "pubblici scopatori", cioè da spazzini, uno per Città ed uno per Borgo, avvenuta con l'approvazione di un capitolato tra la fine del 1871, e l'inizio dell'anno successivo. Essi venivano a percepire 30 centesimi al giorno ciascuno, più si potevano tenere lo sterco raccolto, ed avevano diritto anche alle multe elevate contro chi avesse commesso infrazioni relative alla nettezza urbana. Prima della loro nomina si decise di incaricare addirittura la Reggenza di fare un sopralluogo alle vie di Città per accertarsi delle condizioni generali della pubblica igiene. (105)

    Ma il vero problema di natura igienica che negli anni '70 emerge lampante è quello legato alla mancanza di un cimitero idoneo a ricevere i morti del Castello di Città, e per la cui creazione furono avanzate lungo tutto il decennio, in particolare nella sua seconda metà, abbondanti richieste. Per la verità, occorre dire che questo problema era già emerso anche molto prima, tanto che nella seduta consigliare del 26 giugno 1822 i Reggenti avevano sottolineato che "nel cimitero di questa Chiesa Plebale rimangono insepolte le ossa dei defunti concittadini in maniera che si sono vedute frequentemente trasportare altrove dai cani". S'invitava vivamente il Consiglio a voler provvedere a tale stato di cose "il quale dovrebbe raccapriciare anche le più barbare e selvaggie nazioni". Il Consiglio deliberò subito la costruzione di un nuovo cimitero in luogo da stabilirsi. (106) Credo che questa decisione non abbia trovato concreta esecuzione; infatti tre anni dopo si torna sul problema per stabilire di seppellire le ossa dei morti in "due o tre grandi e profondi sepolcri" presso la Chiesa del Crocefisso. (107) Non mi è possibile dire se per un certo periodo sia realmente stato creato un cimitero in tale sito. Di certo con l'edificazione della nuova Pieve tra il 1826 ed il 1838 si dev'essere pensato anche a creare nuovi spazi in cui seppellire i cadaveri, tant'è che la questione non emerge più fino agli anni che stiamo analizzando. Nel settembre del 1865, però, Gaetano Belluzzi, presidente della commissione preposta alla pubblica sanità, avvisa che le "arche" della Chiesa di San Pietro dove venivano sepolti i morti erano piene, e che secondo la commissione non era igienico seppellire i nuovi cadaveri nelle sepolture poste sotto l'atrio della Pieve. (108) Che soluzioni siano state trovate dopo tale denuncia non mi è possibile dire (molti degli argomenti affrontati in questo mio lavoro meriterebbero senz'altro di essere ulteriormente esplorati, tra cui questo); tuttavia ho reperito un altro documento, un'istanza d'arengo del 1878 o 1879 firmata Luigi Tonnini, da cui emerge che i cadaveri in quel periodo probabilmente venivano sepolti ancora in anfratti posti vicino alla Pieve. Dato il suo interesse, la si riporta per intero:

"Eccellentissima Reggenza - Presso i popoli più barbari, come sarebbero quelli della razza etiopica, ed i Papuas della Nuova Guinea, presso gli individui più scettici di questo secolo scettico, esiste uno di quei sentimenti innati nell'uomo, che ci spinge a conservare nel miglior modo convenevole le reliquie dei defunti. Ed è un sentimento innato, che ci fa altamente ammirare la civiltà greca, per esempio, al vedere tanta pompa nelle esequie di un uomo fino dai remoti tempi di Troja. Ed ora, seguendo sempre gli uomini l'impulso di questo sentimento, non avvi alcun paese presso i popoli civili, dove non sia una terra che accolga nel suo grembo materno le disciolte ossa dei trapassati, sia pure questa terra circondata di canne. Al contrario presso di noi che viviamo in mezzo ad un popolo altamente civile, in un secolo illuminato, checchè ne dicano alcuni, i defunti cacciati su di una chiamerò barella, quantunque la chiamino bara, sulle spalle di quattro monatti sono trasportati, talvolta colla faccia scoperta (spettacolo che vi induce ribrezzo nell'anima) ad una chiesa. La maggior parte sono portati alla chiesuola detta di S. Pietro, e poi sono buttati in un baratro, ove si sfracellano tanto che ai topi ed ai vermi non rimane travaglio onde decomporli. Si dice (bella ragione invero!) che i morti non sentono nulla; ringrazio chi mi dà cotesto avviso; ma deve essere questo il rispetto da usarsi a chi un giorno ebbe vita come noi? E poi (possono sembrare idee di anima piccola, ma mi si lasci esprimerle) è conveniente che alle ossa di un galantuomo si attacchi la putredine che corruppe la carne di un uomo disonestamente vissuto? Ugo Foscolo inorridiva pensando che forse le ossa di Parini sarebbero state insanguinate dal mozzo capo di un ladro che lasciò sul patibolo i delitti. E Foscolo aveva ragione. In fine quando quegli orridi sepolcri sono pieni si vuotano, e la polvere dei defunti da molto tempo, viene in parte dispersa per le gradinate delle chiese contigue, ed i vuotatori vanno a scherzare coi trapassati non ancora decomposti, come i becchini nel cimitero dell'Amleto di Shakespeare. Questi sono tutti gli inconvenienti che ho voluto enumerare per ciò che riguarda il seppellimento della maggior parte dei morti. Alcuni privilegiati sono sepolti a parte, ma la morte non pareggia tutte le erbe del prato? Non ci sarebbe bisogno che io ora proponessi un rimedio a questi inconvenienti, giacchè tutti sanno che esso consiste nella costruzione di un Campo santo, unico luogo dove i defunti possano dormire in pace sotto una zolla di terra. E giacchè un tale piamente lasciava morendo un legato che servisse a questo scopo, io non so perché cotanto si indugi. Così chi ha perduto un congiunto gli potrà pregar pace, perché sa le ossa di lui esser distinte dalle altre, e così coloro che cessano di esistere riposeranno meglio, avvegnachè il sonno della morte sia men duro all'ombra d'un cipresso e dentro un'urna confortata di piante." (109)

    Il riferimento che fa Tonnini al lascito per la costruzione del cimitero riguarda una cifra messa per testamento a disposizione per quest'opera e per un asilo da parte di Marco Tassini, morto da quanto mi risulta nel 1870. Per vari motivi, tuttavia, fu possibile dar inizio ai lavori per il nuovo cimitero solo nel 1887, ed essi proseguirono a lungo, tanto che in un documento riportato dal Matteini, (110) un articolo dell' Illustration di Parigi del 30 ottobre 1897, risulta che i cadaveri venivano ancora sepolti nel vecchio sito. L'autore dell'articolo, infatti, scrisse che "da secoli, gli avanzi dei Sammarinesi s'ingolfano nelle profondità insondabili delle viscere del Titano, divorante, come Saturno, i suoi propri figli. Ma, malgrado la capacità del mostro, l'amministrazione della città ha finito per impensierirsi degli inconvenienti che potrebbero risultare alla lunga, da questo modo d'inumazione un pò sommaria e ha stabilito fuori delle mura, sopra una piccola eminenza, a Montalbo, un vero Cimitero". Da questo documento sembrerebbe, insomma, che presso la Chiesa di San Pietro esistesse un'apertura che permetteva l'accesso ad una delle tante cavità naturali del monte Titano: lì venivano gettati i cadaveri. Non è del tutto chiaro, però, se è vero, come dice l'articolista, che si sarebbe potuto continuare ancora a lungo in questa prassi, se non fossero sopraggiunti nei governanti scrupoli per motivi d'igiene, oppure perché non ce ne stavano più, come ebbe a dire Gaetano Belluzzi, ed anche Tonnini il quale parla della periodica necessità di servirsi di "vuotatori". Propenderei comunque per questa seconda ipotesi, perché nel Consiglio del 13 settembre 1894 si torna a ribadire che i sepolcri, questa volta si dice della Pieve, erano pieni, e che si era dovuto seppellire il corpo di Serviglio Vagnini, verosimilmente il primo ad avere simile trattamento, nel recinto del nuovo camposanto. (111) Anche Matteini conferma simile ipotesi. "In verità -egli afferma- le spoglie giacevano in tombe e ossari collettivi, resi possibili dalla barriera compatta della pietra. Ciò è certificato dal ritrovamento durante il restauro della chiesetta di S. Pietro (1940), di oltre trecento cadaveri. Va aggiunto -prosegue- che si continuò a seppellire nella Chiesa di S. Francesco fino al 5 novembre 1908". E' probabile, quindi, che si potè arrivare fino alla fine del secolo scorso prima di utilizzare l'area di Montalbo (e non al 1908 come egli sostiene) perché periodicamente venivano vuotate parzialmente o totalmente le fosse presenti presso la Pieve,  capaci di contenere diverse centinaia di corpi,  e poi riempite di nuovo. Così avrebbe senso anche ciò che ci dice Tonnini.

    Possiamo chiudere questo capitolo accennando ai lavori pubblici svolti nel decennio, ed a pochi altri fatti di cui ancora non si è fatto menzione. Tralasciando di dire dei lavori di minore entità, che venivano spesso autorizzati dai Reggenti senza tanti preventivi, e per motivi svariati, primo fra tutti quello legato alla necessità di dar lavoro agli artigiani locali, si può senz'altro affermare che anche in questo decennio i lavori che più incisero sui bilanci furono ancora quelli relativi alle strade. Oltre a quelle di cui già si è parlato, non vennero costruite tante altre strade nuove; tuttavia avvennero in molte delle strade che già esistevano opere di ripristino e di allargamento. Inoltre in questi anni si cambiò mentalità anche in questa materia, cercando di eliminare i vecchi vizi che avevano portato tutte le strade della Repubblica a trovarsi negli anni precedenti in uno stato pietoso. In passato vi era un controllo piuttosto approssimativo del sistema viario, ed il riattamento delle strade era in genere affidato a chi abitava nei pressi delle zone da riparare. I modesti bilanci non permettevano stanziamenti sostanziosi per tali lavori, per cui si andò avanti come si potè, probabilmente accontentandosi di strade appena percorribili. La consuetudine di far lavorare gratuitamente alle strade i cittadini per qualche giorno all'anno, oppure di contribuire con una cifra pari al costo delle giornate se non si poteva o voleva lavorarvi, rimase pure negli anni che stiamo studiando, anche se appare ovvio che senza gl'introiti di cui si è detto, e fidandosi solo dell'opera gratuita dei cittadini, o di quanto lo Stato poteva permettersi di stanziare, non si sarebbe potuto provvedere al bisogno nel modo in cui i tempi e la popolazione richiedevano. In questo periodo, invece, oltre alle solite commissioni o ispettori di natura politica preposti al controllo delle varie strade, che in passato, come tantissimi altri organismi nati in seno al Consiglio, il più delle volte combinavano ben poco, vennero stipendiati alcuni cantonieri preposti al controllo delle varie strade. Costoro, oltre allo stipendio annuale, potevano ricevere, se lo meritavano, anche premi di vario livello e natura dipendenti dal modo in cui avevano saputo accudire la loro strada. Inoltre quasi annualmente il loro lavoro veniva verificato dagli "ispettori delle strade", che poi relazionavano dettagliatamente in Consiglio. Si possono vedere molte di queste relazioni direttamente verbalizzate negli Atti del Consiglio. Di tre di questi nuovi funzionari (preposti alle strade di Montelicciano, Gualdicciolo e Città) abbiamo già parlato qualche pagina fa. Altri cantonieri vennero assunti durante il decennio: alla fine degli anni Settanta ve ne sono sette che costano allo Stato complessivamente 3.858 lire, e che puntualmente vengono "rifermati", cioè confermati dal Consiglio ogni anno, così come succedeva ai due "pubblici scopatori", ed a quasi tutti gl'impiegati dipendenti dallo Stato che si fossero comportati correttamente e con professionalità. In caso contrario non venivano rifermati, cioè erano licenziati seduta stante. Da quanto ci dice Balsimelli, (112) il cui interessante e per il momento unico studio sulle strade andrebbe rivisitato ed ampliato con altri apporti documentari, due furono le strade costruite, o meglio sistemate ed ampliate negli anni '70, cioè quella per Montegiardino, ultimata circa verso il 1874, e la consolare Borgo-Serravalle decretata nel 1879, ed edificata tra il 1880 e il 1882. In realtà altre dovettero essere le strade riassestate negli stessi anni, perché nel gennaio del 1873 risultano esservi già cinque cantonieri: uno per la strada di Città, uno per quella di Gualdicciolo, uno per Serravalle, uno per la strada di San Giovanni, ed uno per la strada di Faetano. A questa data per qualche motivo che non conosco non risulta più esservi il cantoniere per la strada di Montelicciano di cui si è detto. (113) Due mesi dopo vengono nominati altri due cantonieri: uno per la nuova strada di Montegiardino, ed uno per quella di Ventoso, anche questa definita nuova. (114) Come ho già detto, se si sente l'esigenza di stipendiare questi funzionari, è logico pensare che le strade che dovevano accudire erano nuove, o tirate a nuovo, per cui verosimilmente nel periodo di Palamede Malpeli furono queste le strade costruite dallo Stato sammarinese.

    Un altro lavoro d'ingenti proporzioni, reso possibile anch'esso dai nuovi introiti dello Stato, fu il teatro Concordia di Borgo inaugurato nel 1872. Già un anno prima avrebbe potuto essere terminato se non fossero finiti i soldi a disposizione per la sua realizzazione. Nell'ottobre del '71, infatti, si comunica che occorrevano ancora 10.000 lire per la sua ultimazione, e per reperirle si propone l'assegnazione di alcune onorificenze a persone che le avevano richieste. (115) Nel '73, invece, si  lavora alla selciatura del Pianello, ed all'edificazione di un pelatoio in Borgo. Anche in questo caso i soldi messi a disposizione terminano, tuttavia ora non vi sono i problemi del passato, quando la fine dei soldi segnava ineluttabilmente la sospensione, a volte lunghissima, dei lavori. Ora infatti con i nuovi introiti, ed i fondi di riserva che determinano, la Repubblica può continuare i lavori avviati fino alla loro conclusione. Così succede anche in questo caso, perché vengono prelevate 15.000 lire dal deposito fruttifero di 35.000 lire che lo Stato sammarinese aveva a Rimini. (116) Nel '78 venne deliberato un altro lavoro di un certo peso: il rifacimento della piazza del Borgo per un costo preventivato di 15.000 lire. In definitiva si può dire che negli anni in questione fu messa in circolazione una quantità notevole di denaro, che sicuramente andò ad incidere positivamente su tutta la società sammarinese.

    Inoltre nel 1875 si cominciò a sentire l'esigenza del telegrafo, e qualche anno dopo di un collegamento più rapido con Rimini del postiglione che da lunghissimo tempo era il principale contatto con tale città. Nel luglio del '79 furono presentati in Consiglio due progetti, uno per l'impianto del telegrafo, l'altro per l'istituzione di un servizio di diligenza. (117) Da quanto mi risulta, il servizio di diligenza era già stato attivato da qualche mese, precisamente tra febbraio e marzo. Il telegrafo, invece, iniziò ad operare nel 1880, anno in cui vennero assunti quattro impiegati (due telegrafisti a 500 lire di stipendio annuo per uno, più un fattorino con stipendio di 60 lire annue, ed un "guardafilo" con stipendio di 100 lire). Il suo regolamento fu promulgato il 15 febbraio 1881, ed in tale occasione venne nominato come suo direttore Domenico Fattori con stipendio di 150 lire annue. I telegrafisti invece erano Giovanni Bonelli e Giuseppe Crinelli, che avevano imparato il mestiere tramite un corso precedentemente seguito a Bologna. (117a)  

    Negli stessi anni tornò a sentirsi il bisogno di un veterinario pubblico, impiegato di cui la Repubblica aveva potuto disporre fino al 1850 quando si decise di eliminare tale costo per esigenze di risparmio. Nel marzo del 1881 fu assunto Luigi Spadazzi di Santarcangelo con 500 lire di paga annuale. (118)

    Ultimissimo fatto degno di essere annotato per questi anni, anche se esistono già diversi studi in merito, (119) è la fondazione nel 1876 della Società Unione Mutuo Soccorso di San Marino, gruppo che risulterà fondamentale negli anni successivi come definitivo coagulante della crescente classe operaia locale. La Società nacque come trasformazione di un precedente gruppo fondato nel 1874, la Società Unione, che aveva però solo scopi di natura ricreativa. Tra il maggio e il giugno del '76 maturò la decisione di mutare fisionomia e funzione, ed il 30 giugno venne divulgato un manifesto in cui si annunciava la trasformazione, e si invitava ad aderire all'iniziativa. "A tutti incombe il dovere di sovvenirsi scambievolmente nei giorni della sventura, -vi si legge- e a tutti si fa appello perché concorrano a questo nobile fine. Molti sono i vantaggi che la Classe Operaia risente dalle Società di Mutuo Soccorso, e ne fa fede il loro numero, e la floridezza e il favore di cui esse godono dovunque. Anche fra noi l'onesto e laborioso Operaio non sarà costretto nella sventura stendere la mano all'altrui generosità, ma sarà orgoglioso di raccogliere i frutti del suo risparmio. Per tal modo si nobilita in faccia a sè ed agli altri, sviluppando anche in se stesso il giusto sentimento della solidarietà". S'iscrissero nel primo anno 129 soci.

 

 

NOTE               APPENDICE

 

 

 

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capitolo IV

 

L'AFFARE MALPELI

 

1 - Le accuse e la condanna

 

    Siamo giunti alla fine di questa storia, e quindi alla fine delle vicissitudini politiche di Palamede Malpeli, il quale, come già si è anticipato, è costretto ad uscire di scena per motivi penali negli ultimissimi mesi del 1879. Come si sarà verificato direttamente, questo personaggio è stato un perno fondamentale del ventennio che abbiamo preso in esame. La sua figura, così evolutiva ma anche conservativa, polemica e nello stesso tempo accomodante, futurista ma realmente mai del tutto staccata dal passato, di certo è assai emblematica e caratteristica del periodo esaminato. Non credo si possa imputare a Malpeli di non aver amato sinceramente ed anche con slancio eccessivo il suo Paese. Non vedo altre spiegazioni per il dinamismo che esplica continuamente come Reggente, come consigliere, ed anche come semplice cittadino. Tutto il suo riformismo era senz'altro legato al sentimento profondo che nutriva per la sua piccola comunità, così come in passato tale sentimento era da tutti manifestato soprattutto con un orgoglioso, quanto spesso becero, conservatorismo. Ma in passato la vita stessa della Repubblica probabilmente non poteva essere preservata diversamente, così come ai tempi di Malpeli era necessario evolversi e sapersi adattare ai rapidi mutamenti dell'Italia e del mondo.     

    L'importanza di Malpeli nella modesta storia di San Marino sta tutta qui, nella sua capacità di cogliere, cioè, fin dagli ultimi anni '50 questo bisogno di evolversi, di non perdere l'appuntamento col futuro della Repubblica, rimanendo troppo invischiati nel passato. E' ovvio che Malpeli non era solo, perché di certo altri consiglieri altrettanto riformisti, anche se meno appariscenti, lo hanno appoggiato nella sua attività politica, o addirittura gli hanno aperto la strada, o gliel'hanno terminata. Ma l'entusiasmo di Malpeli, la sua cieca fiducia nel progresso materiale, le sue convinzioni legate al bisogno di creare concretamente tutti i mezzi possibili per stare meglio, e per fare star meglio i ceti meno abbienti di San Marino, non sono rintracciabili con la stessa forza, e con la stessa continuità in nessuno degli altri progressisti che pur vi erano nello stesso periodo sia dentro il Consiglio, sia fuori. Non ho riportato tutte le istanze che ho trovato di Malpeli, perché i documenti che ho riprodotto sono più che sufficienti per capire il personaggio. Per dovere di cronaca devo dire però che egli periodicamente avanzava richieste al Consiglio, in genere sotto forma di istanza d'arengo, tendenti a chiedere miglioramenti in campo scolastico, sicuramente il problema che più gli premeva, e che più permette di capire l'indole dell'uomo, nelle infrastrutture, nella legislazione, ecc. ecc. In quei settori, cioè, che a suo giudizio dovevano fare un repentino salto di qualità per consentire l'evoluzione di tutti. Soprattutto il denaro era per lui un'esigenza primaria per essere felici, come d'altra parte ci ha detto fin dalla sua prima Reggenza. E proprio il denaro è stato invece la causa della sua rovina politica e sociale. Veniamo ora al racconto dei fatti che lo hanno rovinato, e che lo hanno fatto passare erroneamente alla storia solo come  personaggio negativo  di cui non meritava conservare memoria.

    Si comincia ad aver sentore della brutta faccenda in cui si andrà a cacciare Malpeli già nel 1878, quando egli inoltra al Consiglio una lettera datata 26 maggio in cui afferma che "per liberare il mio patrimonio da tutte quante le passività che lo gravano, e che ne rendono difficile l'amministrazione, mi sono determinato di alienare tre corpi di terra". Era fortemente indebitato, insomma, e necessitava di denaro. Avvisava di aver già trovato alcuni compratori esteri; ma aveva voluto proporre i suoi beni prima allo Stato. Il Consiglio, disponendo del denaro del fondo di riserva, e temendo la vendita ad estranei, decise di acquistare i capitali, deliberando di pagare subito 6.000 lire in acconto, e dando così un aiuto anche ad uno dei suoi più noti rappresentanti. (1) Fu nominata una commissione per valutare i terreni, comprensivi anche di case, bestiame e raccolti, e nel Consiglio del 22 settembre 1878 ne  fu approvato l'acquisto per un totale di 144.166 lire. I soldi si sarebbero prelevati dai fondi di riserva, e dai fondi per la beneficienza (sempre rimediati soprattutto grazie alla vendita delle onorificenze). (2)

     Con questa deliberazione la situazione finanziaria di Malpeli tornò apparentemente alla normalità, e le acque probabilmente gli si calmarono, tanto che nell'arengo di ottobre egli si sentì ancora in vena di presentare una serie di istanze, ed il 30 settembre diede alle stampe un "Progetto di programma definitivo dell'insegnamento scolastico che s'imparte in questo Nobil Collegio Belluzzi". Essendo i due documenti assai interessanti, soprattutto per capire ulteriormente l'uomo, merita senz'altro riprodurli. Il programma per le scuole è in appendice, al numero 30, mentre qui di seguito sono riportate le richieste di ottobre:

"Per l'Arringo Generale del 13 Ottobre 1878

Eccellenze

Come nell'ordine fisico dal contrasto di due opposte forze si genera l'armonica rotazione dei mondi nello spazio; così nell'ordine politico dal contrasto ben combinato di due forze o partiti (la conservazione e il progresso) risulta lo sviluppo regolare e proficuo dell'amministrazione della pubblica cosa. Sogliono essere conservatori i vecchi, progressisti i giovani: ma quando gli uni e gli altri hanno per sostrato la lealtà e la buona fede e per fine il pubblico bene, la divergenza delle opinioni non altera l'unione e la concordia degli animi, -di cui nulla è più salutare in una Repubblica. E' dunque su questo terreno che la fredda esperienza dei vecchi deve incontrarsi colle generose aspirazioni dei giovani, e la difficile prudenza di quelli colle facili iniziative di questi. Perocchè non difficil cosa è il conservare, ma progredire con senno è della più grande difficoltà; progredire con frutto è della più alta importanza, essendo il progredire neccessità per continuare ad esistere. Mi gode perciò sommamente l'animo, e mi congratulo colla Repubblica e co' miei Concittadini tutte le volte che un Elemento giovane, che abbia dato di sè buone prove, subentra al reggimento della cosa pubblica. E in questo giorno, e in questo Arringo, concessone dai patrii Statuti, sia dunque lecito anche a me (sebbene divenuto per avventura meno atto o meno utile), sia lecito anche a me d'incoraggiare e spingere le EE.VV. ad alcune iniziative, di cui alcuni fra i vostri Antecessori, non si mostrarono troppo caldi, -non starò certo indagando per qual movente. Mi permetto dunque di ricordare all'EE.VV. che la buona memoria di un nostro generoso Concittadino, il Cav. Tassini, lasciò due legati per due Istituzioni, la cui mancanza si fa troppo sentire in un paese libero e civile. L'una di esse già da cinque anni avrebbe dovuto avere il suo compimento, se il nostro Governo avesse mostrata un po' più di attività a risolvere le difficoltà che si frapposero per via: -l'altra che dovrebbe aver vita fra due anni richiederebbe che findora si dia mano a spianare gli ostacoli che si prevede sorgeranno non piccoli a ritardare di molto il godimento di quei non lievi vantaggi, che tutti se ne ripromettono. Mi sia permesso in secondo luogo di richiamare l'attenzione dell'EE.VV. sulla neccessità di restaurare questo pubblico Palazzo, o almeno di rendere più capace quest'aula; non chè di ampliare i locali del pubblico Museo, della Biblioteca e dell'Archivio. Però sopra e prima di ogni altra cosa io supplico le EE.VV. a voler chiamare l'attenzione del Generale Consiglio Principe sulla neccessità omai generalmente sentita della istituzione del telegrafo. Si crede troppo lontana dal vero l'opinione di coloro, che ritengono il telegrafo cosa di lusso, di superfluità, o al più di complemento. Oggi il telegrafo è ridotto una neccessità della vita civile. Si è detto di volerlo legare e subordinare al compimento e miglioramento della nostra rete stradale come cosa più utile; -e sia! Ma perché questo stesso divisamento è caduto in dimenticanza o si vuol portare alle calende greche? E' un fatto che la nostra rete stradale è incompleta poichè alcuni punti importantissimi del nostro confine non sono in buona communicazione col nostro centro politico e commerciale: cosichè mentre ai nostri confini si lavora attivamente dai limitrofi Comuni ad aprir nuove strade, noi siamo minacciati per la nostra indolenza di rimaner tagliati fuori dal giro commerciale a causa delle nuove communicazioni più commode, e di perdere così in gran parte, per lo sviato commercio, i vantaggi delle somme egregie spese fino ad ora nelle nostre strade consolari. E' ormai un anno che fu presentato dagli Ingegneri il nuovo tracciato a correggere la via di Rimini per Serravalle. Perché è lasciato là in dimenticanza? Sarebbe per avventura ciò avvenuto perché la gravezza della Spesa ha spaventato qualche mente timida, gretta e digiuna dei veri principj economici, e che non vede altro mezzo per tradurre ad effetto quest'opera pubblica che spendervi direttamente quelle poche diecine di migliaia di lire che formano i fondi di riserva dello Stato? Convengo anch'io che sarebbe imprevvidenza e stoltezza l'esaurire in quest'unico lavoro (mentre abbiamo tanti altri bisogni) quel poco di danaro che si è riuscito a metter da parte: -ma che? Uno Stato come il nostro che si trova in buone condizioni economiche generali; che non ha debiti; che non ha tasse o quasi; che gode una pace secolare, un credito indiscutibile, non potrà fare ciò, che sanno fare con vantaggio altri Stati, anzi altri comuni che si trovano in condizioni per trenta volte inferiori alle nostre? Ma che? I nostri uomini di finanza vorranno dare una prova d'ignorare e di ripudiare per soverchio ottimismo quei mezzi universalmente riconosciuti salutari, giusti, onorifici e sicuri a raggiungere uno scopo di tanta utilità pubblica e privata? Rinuncerò qui a ripetere un mezzo altre volte suggerito, che non è andato a versi dei Vecchi Conservatori, perché dispero di vincere la loro antipatia per esso, sebbene non giustificata. Ma voglio solo ricordarne uno alle EE.VV. che per la sua volgarità non può non essere accettato. Premesso che si debba una buona volta completare il concetto della nostra rete stradale principale, affinchè da essa possiamo ricavare tutti quei vantaggi commerciali che ci sono consentiti dalla nostra posizione topografica; e stabilito bene questo concetto; facciansi subito redigere o completare i relativi Piani di arte. Inutile è dire che in questo concetto deve entrare come parte principale la nuova linea di Serravalle. Contemporaneamente deesi ricercare un Appaltatore ben conosciuto per capacità, onestà e mezzi; ed allargargli l'intero lavoro a prezzo ragionevole, ed alle due seguenti condizioni capitali: I° che tutto il lavoro debba esser terminato e consegnato in cinque anni. II° che il relativo pagamento debba farglisi in rate uguali semestrali in un quindicennio. A formare poi questa rata semestrale straordinaria si dovrebbe  I° impiegare il frutto annuo dei fondi di riserva; II° prelevare per la somma mancante una tassa di consumo sul vino e sulle farine, e un bollo sulle cambiali: sui quali tre articoli oggi non esiste alcun peso. Senza che mi dilunghi ad esporre le ragioni di convenienza per porre questi balzelli, dirò solo che è un'ingiustizia che già non ci siano specialmente in relazione ad alcuni altri generi gravati. E terminerò dicendo che nei primi cinque anni a diminuzione della rata da pagarsi nel tempo susseguente, si può con tutta giustizia applicare anche ai Coloni una tassa di opere gratuite a vantaggio dell'appaltatore, come oggi generalmente si usa. E facendo voti che da queste mie parole possa uscirne qualche buon frutto, rinnovo all'EE.VV. i miei voti di prosperità per la Repubblica nostra". (2a)

  Pare strano che un uomo così preoccupato del benessere e dell'evoluzione del suo Paese potesse da lì a qualche mese intrigare contro lo stesso, e compiere azioni non autorizzate e che potevano sicuramente nuocergli. Eppure fu così. Nella primavera del 1879, infatti, alcuni finanzieri austriaci pensarono bene di proporre alla Repubblica l'istituzione di un casinò, così come in passato, come abbiamo visto, avevano proposto tanti altri. "Quel piccolo stato libero ed autonomo -recita la fonte da cui sto attingendo- (3) posto nel cuore d'Italia a breve distanza dal mare, e da una cospicua città fra ridenti dintorni in ubertosissimo suolo si mostrava agli speculatori assai acconcio all'infame scopo, non avvisandosi essi che i reggitori e cittadini, meno compiacenti che altri, tanto l'avrebbero combattuto quanto è loro a cuore la libertà e l'autonomia, ch'essi ben sanno non potersi conservare senza la scorta di severi costumi".

    In effetti fin dai primissimi anni '60  San Marino aveva ricevuto proposte analoghe, ma le aveva sempre respinte con ribrezzo, rifiutandosi perfino di leggerle in Consiglio. Evidentemente i finanzieri austriaci (Alfredo Osiecki, Arturo Reischritter, Ottocar Prochazka) non lo sapevano, o pensavano di poter aggirare gli eventuali ostacoli, per cui quando subodorarono la possibilità di un cospicuo affare, si misero in contatto con un loro amico residente a Roma, il conte Ladislao Kulczycki, per vedere se egli aveva la possibiltà di entrare in rapporto con la Repubblica. Costui in effetti non aveva relazioni dirette con San Marino, ma conosceva qualcuno che le aveva, cioè il cavalier Domenico Peria Correnti, amico appunto di Palamede Malpeli. A questo gruppo di individui, tutti ansiosi di spartirsi una torta che prometteva essere succulenta, si aggiunse anche Francesco Krieghammer, segretario personale di Prochazka. Egli durante l'estate del '79 dimorò a San Marino, ed insieme a Malpeli cercò di pianificare la faccenda. "Le difficoltà a vincere erano tutte di ordine morale: innanzi tutte, e che tutte le comprende, la virtù del popolo, del Consiglio, e dei suoi Reggitori nei vari ordini e nelle varie funzioni. Ad eluderla si aveva in animo di suscitare con grandi lavori e con la prospettiva di larghissimi lucri il favore del popolo, e di mascherare dapprincipio lo scopo degli intraprenditori. Si sarebbe aperto un vasto stabilimento termale con sale da danze, da lettura, da conversazione, da concerti e da giuoco: con un riparto dei proventi in opere di beneficenza; si sarebbe anche istituita una Banca con facoltà di emissione; tracciate tramvie; derivate acque; creati gazometri e stazioni telegrafiche con evidente universale vantaggio. Creata così l'aura popolare, lo stabilimento termale senza grave difficoltà, e forse cambiando solo il nome, si sarebbe convertito in un casino del trenta, e quaranta, e della roulette con tutto lo splendore onde va tristemente adorno l'altro del Principato di Monaco, contro il quale pur oggi si elevano le proteste di tutto il mondo civile, che ne reclama la distruzione".

    Per ottenere il suo scopo, Malpeli il 1° settembre aveva stipulato un compromesso d'acquisto di vari terreni di Acquaviva, di proprietà di Silvestro e Sebastiano Masi. Inoltre più o meno nello stesso periodo aveva contrattato l'acquisto di tutte le cave di pietra della Repubblica, sia per reperire senza problemi il materiale che serviva per costruire le infrastrutture necessarie, sia per attirarsi le simpatie della classe operaia. Questa è almeno l'opinione espressa nel documento da cui sto ricavando le mie informazioni, ma è anche l'opinione che subito emerse nel  Consiglio del 1° novembre 1879, il primo in cui si iniziò a discutere la questione. (4) In tale seduta si disse, appunto, che essendo in quel momento carente il lavoro per gli scalpellini, Malpeli aveva cercato di attirarli alla sua causa comprando la loro pietra a condizioni assai vantaggiose per gli stessi. Per dar piena esecuzione all'intero progetto, però, vi era anche necessità di procacciarsi ulteriori finanziatori. Questo compito se l'era assunto il Prochazka, il quale alla fine era riuscito a trovare alcuni capitalisti francesi interessati all'affare. Costoro, però, prima di sborsare qualunque somma, vollero essere sicuri che lo Stato sammarinese fosse totalmente d'accordo sull'impianto del casinò. Pare che Malpeli già nel mese di giugno avesse loro scritto assicurandoli che il governo era pienamente consenziente; tuttavia essi non si fidarono di simili assicurazioni, e pretesero un atto di concessione ufficiale firmato da almeno 20 consiglieri, o dai Segretari degli esteri e degli interni.

    A questo punto Malpeli dovette muoversi diversamente: dapprincipio, circa intorno alla metà di ottobre, tentò di coinvolgere nell'affare i due Segretari (Domenico Fattori e Giuliano Belluzzi), senza però riuscirvi. Poi, visto il suo fallimento, pensò bene di creare da solo il documento richiestogli, falsificando la firma dei due segretari renitenti. Nel frattempo si era sparsa la voce che la Repubblica di San Marino stava per impiantare una casa da giuoco, anche se ancora erano ignote le macchinazioni di Malpeli. Il 25 settembre venne inviato al Duca De Bruc (incaricato d'affari a Parigi), a Coloman (console a Vienna), al Conte Edoardo Gay (console a Torino), a Leone Chave (console a Marsiglia) il testo che ho già riprodotto qualche pagina fa, da inserirsi sui giornali della loro zona; nei primi giorni di ottobre diedero comunicazione di aver eseguito l'ordine. (5) L'otto ottobre arrivò anche la lettera di Coloman, il quale confermò d'aver fatto pubblicare la smentita, ma aggiunse anche di essere a conoscenza fin da molto prima dei traffici tra Malpeli e gli speculatori austriaci, e di essersi stupito che la Repubblica non si fosse fatta viva con lui per chiedere notizie sugli stessi. Doveva avvisare però che essi erano "spiantati che fecero tante volte naufragi nel mare burrascoso della vita". Egli era in grado di suggerire altri individui, decisamente più seri e corretti, che di certo non avrebbero "in nessuna guisa compromesso i principi dello Stato" qualora si fosse voluto creare il casinò. (6)

    Ma la Reggenza era già da qualche giorno alle prese con la faccenda creata da Malpeli, per potersi preoccupare di quanto suggeriva Coloman. Probabilmente la grana scoppiò negli ultimi giorni di settembre, perchè in data 27 venne inviata dalla Reggenza una convocazione a Malpeli per via di "un affare di somma importanza e di grandissima urgenza". (7) Egli però non si trovava a San Marino, ma era in viaggio per Parigi. Coloman, che tramite telegramma del 29 avvisava le autorità di ciò, diceva anche di aver saputo che Malpeli vi andava con pieni poteri per trattare la creazione di una banca sammarinese. Invitava inoltre Fattori a Venezia per un colloquio sulla faccenda. Gli fu risposto in giornata che era del tutto falso che Malpeli avesse simili poteri, e che l'incontro a Venezia era impossibile. (8) In seguito Malpeli tornò a San Marino ed ebbe sicuramente colloqui con Fattori e con le altre autorità locali, le quali, di certo bonariamente, pensavano che la questione potesse fermarsi lì. In realtà Malpeli non desistette, ma chiese al gendarme Domenico Mondini, suo subalterno in quanto in quel momento era ancora il capo delle locali milizie, di far apporre su due certificati di nascita suoi e di un membro della sua famiglia le firme dei due Segretari. Ma leggiamo direttamente la "Sentenza": "Avendo per avventura il sig. Belluzzi fatto osservare che la firma del suo collega non era a quell'atto necessaria, replicò il Mondini esser desiderio del Malpeli che vi fosse apposta anche l'altra. Furono infatti le fedi presentate al Comm. Fattori che non avendo in ufficio il sigillo, mandò lo stesso Gendarme a prenderlo in casa. E questi era di ritorno dall'aver eseguita la commissione quando gli si fè incontro il Malpeli e nel sollecitarlo pel disbrigo di quella bisogna, saputo che appunto era per portare al Comm. Fattori il sigillo, che nella sua custodia aveva fra le mani, arditamente glie ne fece richiesta. Nell'animo del buon soldato tenzonarono certo il rispetto al Comandante delle Milizie con la gelosia dell'incarico affidatogli. Se non che con garbo facendo a quello comprendere che non poteva egli prestarsi alla richiesta, lo pregò a volersi recare in Segreteria:ciò che appunto il Malpeli voleva scansare. Ond'è che postosi un dito alla fronte, quasi preso da una nuova e diversa idea, si ritirò dicendo che avrebbe rimediato in altra guisa. E' lecito argomentare che quelle due firme e quei due suggelli servissero di esemplare a quella falsificazione, alla quale si accingeva".

    In definitiva Malpeli stava cercando il modo di creare il documento richiestogli dai finanzieri francesi. Il 19 ottobre questo documento fa la sua prima apparizione, perché Malpeli lo presenta al console italiano Lossada, con la richiesta di legalizzare le due firme che lo siglavano, ovviamente quelle dei due Segretari di Stato. Lossada in seguito dirà di aver legalizzato il documento in data 25. "La buona fede del Console fu certo sorpresa e dalla qualità della persona che a lui si presentava, e dalla parvenza materiale del documento: come è pur ragionevole il dedurre che egli non avesse nè agio, nè voglia, come non ne aveva il dovere, non pur di leggere il contesto dell'atto stesso, ma di considerarne la perversa natura; dal che forse un sospetto gli sarebbe balenato alla mente". Fatto sta che egli lo legalizzò, rendendolo così valido a tutti gli effetti. Questo è il documento in questione:

"CONCESSIONE DI S. MARINO

 

comando superiore delle milizie

della

Repubblica di S. Marino

 

In Nome di Dio e della Serenissima Repubblica di S. Marino

Noi Generale Palamede Malpeli, comandante le Forze Militari della Repubblica, Ministro di Polizia a vita, e Ministro Plenipotenziario della Serenissima Repubblica accordiamo e concediamo a Sua Eccellenza il Barone Ottocar Prochazka I. R. Tenente Maresciallo al servizio di Sua Maestà l'Imperatore d'Austria per la durata di cinquant'anni partendo dalla data della presente concessione, con privilegio esclusivo ed irrevocabile, il diritto di creare sul territorio della Repubblica uno Stabilimento di bagni di acque minerali e comuni con un Casino, nel quale saranno delle sale di lettura, di conversazione, come pure sale per feste da ballo, concerti, giuochi ecc. alle seguenti condizioni:

1° I terreni necessari per costruire il detto Stabilimento saranno comprati dal concessionario a suo talento, ed il sottoscritto promette il suo concorso ed appoggio per detta acquisizione. Il Concessionario avrà diritto di costruire dappertutto, ove credesse utile, ed avvantaggioso per la Società imprenditrice, dei Tramways, delle Strade, delli acquedotti, dei gazometri, e delle stazioni telegrafiche.

2° Alla espirazione della presente concessione tutte le costruzioni, come pure tutti gli stabilimenti di ogni specie saranno unitamente ai terreni proprietà del concessionario, ovvero de' suoi rappresentanti, mentre i lavori di stabilità, i Tramways, gli acquedotti, le officine a gas, ed i telegrafi faranno ritorno e resteranno di proprietà della Repubblica.

3° Durante tutta la durata della presente Concessione, saranno stabiliti dei giuochi di casino, e resta inteso ed espressamente convenuto che fra questi giuochi saranno compresi il Trente, Quarante, la Roulette, il Baccarat, e tutti gli altri giuochi accettati nei Casini e Circoli d'Europa. Le regole dei giuochi saranno fissate dal Concessionario, e comunicate a Sua Eccellenza il Ministro di Polizia, il quale avrà diritto di far sorvegliare i detti giuochi da un Commissario nominato da lui ad hoc. Questo Commissario avrà uno stipendio annuo da parte del Concessionario di franchi 4000. Ogni adulto potrà avere accesso nel Casino, e nelle sale dei giuochi; il giuoco però resta interdetto agli abitanti della Repubblica di S. Marino, e dei distretti limitrofi del Regno d'Italia.

5° (sic) Il Concessionario ed i suoi rappresentanti dovranno pagare agli stabilimenti di beneficenza ed alle Scuole della Repubblica una somma annuale del 5% dell'utile netto proveniente dall'esercizio della presente Concessione. Questo pagamento avrà luogo ogni anno all'epoca in cui sarà fatto e stabilito il bilancio. In seguito di tale pagamento il Concessionario, ossia i suoi rappresentanti, saranno liberi ed esenti da ogni altra imposta o carico di qualsiasi specie.

6° Sua Eccellenza il Barone Ottocar de Prochazka avrà la facoltà di cedere e trasferire ad altre persone la presente Concessione con tutti i benefizi e carichi della medesima e di formare quella società che egli giudicherà conveniente.

                                                                    S. Marino 2 Settembre 1879

                                                                         G.le Palamede Malpeli

                                         

Repubblica di S. Marino li 3 Ottobre 1879

Letta ed approvata la presente Concessione

Il Segretario di Stato per l'Interno

G. Belluzzi

Il Segretario di Stato per gli Affari Esteri e Finanze

D. Fattori

Visto per l'autenticità delle firme dei Signori Giuliano Belluzzi Segretario di Stato per l'interno, e D. Fattori Segretario di Stato per gli Affari Esteri e Finanze

Il R. Console G. C. Lossada"

 

    Con tale atto Malpeli il 20 o 21 ottobre si recò a Rimini dove si trovavano Prochazka e Krieghammer, e dove giunsero i capitalisti francesi (Enrico Cauveau, Saverio Girardin, Emilio Catelain, ed un certo ingegner Daru). Soddisfatti dell'atto, i Francesi si dichiararono disposti a finanziare l'impresa con un esborso di 400.000 lire, di cui 80.000 furono consegnate subito a Malpeli ed al suo socio austriaco, 40.000 sarebbero state date dopo pochi giorni a Parigi, ed il rimanente in tre anni tramite varie rate. Qualche giorno dopo il gruppo si riunì nuovamente presso i Masi di Acquaviva per concludere l'acquisto dei loro terreni alla presenza di un avvocato (Ermenegildo Stambazzi) e di un ingegnere (Francesco Montanari). Fu convenuto l'acquisto per 130.500 lire, ma durante la stipulazione dell'atto sorse un dissidio tale intorno alla caparra da mandare a monte tutta la trattativa. La compagnia si sciolse probabilmente con l'intesa di trovare altri terreni, poiché nei primi giorni di novembre vennero pagate dai Francesi le 40.000 lire pattuite, e circa nello stesso periodo apparve su vari giornali la pubblicità dell'erigendo casinò che si annunciava aperto per la primavera del 1880. Tutte queste voci misero in allarme le autorià sammarinesi che, come si è detto, il 1° novembre riunirono il Consiglio per esaminare il problema. In tale occasione si provvide a sospendere Malpeli dalle sue cariche di comandante delle milizie e di sindaco di governo, e si decise la diffusione di questo editto per avvertire la cittadinanza dell'accaduto:

"Cittadini,

In vicine e lontane contrade circola da più mesi la voce, che sul territorio di questa Repubblica sia per aprirsi una casa da giuoco. Il Governo scosso dal timore che questa nostra diletta patria potesse anche per un momento perder la fama della sua antica moralità, che la tiene sicura all'interno e rispettata al di fuori, ha fatto smentire pei giornali la falsa notizia, ma questa ogni giorno ha preso più consistenza per l'opera di taluni corifei della bisca, che con insistenza inaudita cercano guadagno a spese del nome onorato della Repubblica. Il Governo interprete dei sentimenti della universalità dei cittadini ed esecutore fedele della volontà del Consiglio Principe e Sovrano, non si allontanerà menomamente dai precedenti decreti, che hanno rigettato altre volte con isdegno siffatte proposte, e quindi chi ama la patria e desidera la tranquillità e la conservazione di essa, si unisca al Governo e non si lasci adescare da promesse ed offerte pericolose e fallaci.

Cittadini,

Non è la prosperità materiale che mantiene incolumi i liberi stati; vi vogliono le grandi virtù di puri e fieri Repubblicani; quella abnegazione che nella povertà sa rifiutare le ricchezze, quella fortezza che sa farsi incontro ai pericoli, e quella magnanimità che sa respingere con disprezzo chiunque si faccia ardito di corrompere il popolo e di attentare alla pubblica salute. Guardatevi adunque da quelli che non condividono queste nostre opinioni: il Governo è con voi e per voi, come voi dovete essere col Governo e pel Governo, se vogliamo vivere concordi e tramandare ai nostri figli salvo e intemerato questo sacro retaggio di libertà."

    Le voci relative al fatto ed ai provvedimenti presi dal governo sammarinese giunsero anche in Francia, ed i capitalisti che avevano finanziato l'impresa cominciarono a capire il raggiro in cui erano caduti. Si misero per questo sulle tracce di Malpeli (che nel frattempo aveva versato 1.500 lire ai capicava Luigi Tonnini e Francesco Della Balda per l'acquisto della pietra) e Prochazka per recuperare il loro denaro, recupero che alla fine riuscì solo in modesta misura (sembra per 36.000 lire). Anche i Segretari sammarinesi ovviamente si decisero a denunciare Malpeli, contro cui fu emanato mandato di cattura e richiesta di estradizione. Non si riuscì però mai ad arrestarlo. Invece vennero arrestati il 13 marzo 1880 a Vienna Prochazka e Krieghammer: essi in seguito non vennero riconosciuti colpevoli di aver falsificato il documento esaminato, per cui furono prosciolti da ogni addebito.

    Diversa sorte toccò al Malpeli: gli furono riconosciuti i reati di tentata corruzione (per cui fu condannato ad un anno di prigionia), e di contraffazione di firme e di pubblici sigilli (per cui fu condannato ad altri sette anni). Inoltre fu interdetto in perpetuo dai pubblici impieghi, dall'amministrazione dei suoi beni per tutto il periodo della pena, dall'esercizio dei diritti politici per quattordici anni. Ugualmente gli fu proibito di far uso di titoli  nobiliari, e di riceverne, sempre per quattordici anni. Venne infine condannato a risarcire tutte le spese ed i danni economici a lui imputabili.

    Furono fondamentali per la determinazione della condanna alcuni fatti, e precisamente: la deposizione di Fattori, alcuni documenti sequestrati nelle dimore di Prochazka e Krieghammer, alcune loro dichiarazioni alle autorità inquirenti, la perizia calligrafica sul documento incriminato da parte di un esperto di Bologna (Gaetano Beccari). Fattori dichiarò che Malpeli gli aveva offerto del denaro per coinvolgerlo nell'affare, ma che aveva rifiutato con sdegno per non essere complice in una questione tanto sporca ed illegale. Nettissima fu anche la falsificazione di firme e di sigilli dello Stato, testimoniata sia dal perito calligrafo, sia da alcune dichiarazioni dei soci di Malpeli e dei suoi finanziatori, sia da documenti scritti dallo stesso Malpeli, e finiti nelle mani delle autorità giudiziarie. Il più importante è sicuramente quello inviato da Malpeli ai capitalisti francesi il 9 dicembre 1879: "Il mio Governo in seguito a rapporti ha aperto un'inchiesta contro di me: mi ha sospeso dalle mie dignità: mi ha accusato di abuso di ufficio e di furto. Il popolo attonito attende una soluzione! Voi avete una Concessione firmata da me, che è stata buona per trovare dei capitali, e per formare una società, ma non è buona per andare a S. Marino. Ora dunque vi restano due cose a scegliere: o che voi andiate a S. Marino per mostrare la Concessione ai Capitani Reggenti, ed allora tutto è terminato per me. La concessione non è né vera né valida per S. Marino: io sarò giudicato e condannato subito ai lavori forzati. O che voi chiudiate la concessione nel vostro burò, ed allora l'inchiesta contro di me non ha più alcuna base; l'accusa cadrà; io riprendo il mio posto, il mio grado, la mia autorità; il mio potere sarà molto aumentato, ed il popolo che mi è affezionato sempre, si dichiarerà solennemente per me, ed io sarò il padrone della situazione. Dunque, o Signori, a voi la scelta. La mia posizione, la mia fortuna, la mia reputazione, il mio onore e quello della mia famiglia, la mia libertà, la mia vita stessa, tutto è in vostre mani. Parlate ed io sarò annientato. Ma se voi provvedendo anche ai vostri interessi mi assicurate che niuno vedrà mai la Concessione, allora io vado a S. Marino a trionfare dei miei nemici, e l'affare riuscirà, e voi trionferete anche di ogni difficoltà. Attendo la vostra risposta: la morte o la vita!".

    In un'altra lettera di pari importanza scritta due giorni dopo a Chauveau, Malpeli in pratica confessa di aver falsificato il documento:

"Vengo a confidarvi tutta la mia posizione, nella quale per la felicità del mio paese io mi sono posto. La Concessione è stata fatta da me, e per darle un più gran valore io ho avuta la cattiva idea d'impegnare gli altri Ministri, senza prevenirli. Io sono dunque responsabile di tutto ciò che i giornali annunciano. Per evitare un processo e la mia rovina io m'impegno a restituire e far restituire tutte le somme che sono state versate da voi, e vi offro a dare una garanzia ipotecaria sulla mia proprietà".

 

 

NOTE               APPENDICE

 

 

2 - La difesa                                                                

 

    Con prove tanto schiaccianti a sfavore dell'imputato, ed altre ancora da me non citate, ma riportate in appendice alla "Sentenza Malpeli", il giudice Enrico Kambo non ebbe problemi ad emettere giudizio di condanna in data 18 luglio 1881. Tuttavia Malpeli non se ne stette tranquillo e silenzioso nel suo nascondiglio a subire il verdetto, e divulgò un opuscolo indirizzato al Consiglio, stampato presso una tipografia di Genova, in cui esplicava le sue ragioni. (9) Egli criticò il sistema con cui si era giunti alla sua condanna con argomentazioni per la verità piuttosto insulse e direi anche grette, non certo degne di quel Palamede Malpeli conosciuto in precedenza. Probabilmente la situazione in cui si era venuto a trovare lo aveva messo in ginocchio anche psicologicamente. Di certo doveva sembrargli strano l'essere finito nella polvere pur vivendo in un Paese, anzi ai vertici di un Paese, dove in genere tutto si poteva risolvere bonariamente e senza subire grossi traumi, specie per gli oligarchi che comandavano. Ma leggiamo direttamente alcuni stralci di questo suo opuscolo:

"Eccellenza! Sul cadere del 1879 una Lettera di un tal Stubenrank, uomo pregiudicato e di nessuna reputazione nel suo paese, mi denunciava al mio Governo come autore di una Concessione per un Casino di giuoco a S. Marino: e la Reggenza d'allora, con un procedere abbastanza singolare negli annali della nostra politica interna, me assente e inconsapevole, portò l'accusa innanzi all' E. V. e ne ottenne l'immediata mia sospensione dall'ufficio di Comandante Superiore delle Milizie, e l'ordine di un'Inchiesta sul fatto addebitatomi, commettendola al Commissario della Legge, l'egregio Avvocato Giacomo Reggiani. Così una tale Inchiesta, che, allo stato delle cose, non poteva essere che di natura assolutamente politica, veniva affidata ad un Uomo quasi nuovo fra noi, estraneo ai nostri sistemi tradizionali di governo, ed ignaro (per così esprimermi) della nostra vita politica di famiglia: - veniva affidata ad un Magistrato non cittadino, cui (perché appunto tale) il senno dei nostri Maggiori si asteneva per regola di chiamare a parte nelle cose di governo fino ad impedirgli il libero accesso nello stesso Archivio giudiziale. In questa scelta non mancò dunque da parte di chi la propose un fine preconcetto a mio svantaggio: ma all'E. V. così piacque e così pur sia".

    Malpeli prosegue facendo un rapido accenno al modo in cui era stato querelato dai Segretari sammarinesi, ed affermando che a quel punto l'inchiesta da politica era stata trasformata dal commissario della legge in penale. Qui egli aveva qualcosa da ridire attraverso tre "rimostranze": "1° - Il Commissario della Legge essendo stato incaricato dall'E. V. di un'Inchiesta sul mio operato, non poteva di sua propria autorità, anche dietro la querela dei Segretarii, cambiar natura all'Inchiesta convertendola in Processo penale, senza averne prima riportata l'autorizzazione esplicita dalla stessa E. V. II° - I Segretarii dell'Interno e degli Esteri non potevano adire il Commissariato della Legge per dar querela al Comandante Superiore delle Milizie, sebbene sospeso dal suo ufficio: ma dovevano rivolgersi direttamente all'E. V. se volevano ottenere che fosse data una forma più rigorosa di Procedimento contro l'ex Comandante medesimo. III° - Nel caso presente poi il Commissario della Legge poteva tanto meno (dopo accettate le due querele) dedicarsi alla redazione di un Processo penale, mentre uno dei Segretarii querelanti era suo congiunto in affinità, e legato con lui anche con vincoli di ufficio, essendo questi suo immediato inferiore gerarchico come Cancelliere del Tribunale Commissariale". Insomma Malpeli sosteneva di aver ricevuto un grosso torto, e per questo chiedeva al Consiglio "che sia dichiarato di niun valore legale il Procedimento Penale condotto a compimento contro di me: salvo al medesimo il suo valore come Inchiesta ordinata dall'E.V.".

    Egli proseguiva argomentando le sue tre contestazioni: "Sul primo motivo. Sebbene la denunzia dello Stubenrauk non avesse dovuto avere alcun valore dopo le ripetute smentite che il Governo della Repubblica, saggiamente operando, aveva fatto inserire contro le dicerie dei giornali sull'impianto di un Casino di giuoco; pure quella lettera ebbe la ventura di trovar terreno favorevole, e fu il punto d'appoggio per l'emanazione del Decreto della mia sospensione e dell'Inchiesta sul mio operato. L'E.V. in questa circostanza volle certamente dare l'esempio di una deliberazione energica passando sopra a certi riguardi personali, che altre volte si sono usati verso cittadini, e che ora potevano usarsi anche al Malpeli. Ma nello stesso tempo l'E.V. non potè al certo dimenticare che il Cittadino accusato era il Comandante Superiore delle Milizie, una delle prime Autorità della Repubblica; che l'accusa di aver tentato di erigere un Casino di giuoco servendosi dei mezzi che gli procurava il suo ufficio, non apparteneva ai tribunali ordinarii, ma interessava direttamente l'alta ragione di Stato; e che quindi il giudicarne apparteneva esclusivamente alla Suprema Autorità Sovrana. Dai termini stessi di quel Decreto risulta che l'Inchiesta doveva aver per obbietto l'appuramento e la constatazione dei fatti da parte dell'Incaricato dell'Inchiesta, e il successivo Rapporto all'E.V. dei Risultati ottenuti per quelle Determinazioni che alla Medesima sarebbero piaciute. Così essendo le cose, il Commissario, dietro la querela dei Segretarii, avendo convertita l'Inchiesta in Processo, ha sorpassato i limiti del mandato ricevuto dall'E.V. e credendo possibile d'immedesimare in una sola le due diverse autorità che rivestiva in quel momento, ha snaturato il fine propostosi dall'E.V. nel suo Decreto. La qual cosa Egli non poteva fare per le due seguenti ragioni. La prima si è che nell'Inchiesta in proposito il fatto principale politico preso di mira era e doveva essere il tentativo della erezione di una Casa di giuoco: questo ne era lo scopo. I fatti incriminabili che si fossero potuti incontrare per via non potevano essere riguardati che come mezzi adoperati per raggiungere lo scopo suddetto. Ora, quando il Commissario della legge convertiva l'Inchiesta in Processo, invertiva l'ordine della sua Missione; snaturava il fine della medesima dandole un diverso indirizzo; cambiava l'apprezzamento dei fatti poiché faceva dei mezzi il fine, e del fine un mezzo. Imperocchè in simili casi la ragione penale debbe cedere il luogo e subordinarsi all'alta ragione politica: e questo procedere trova il suo pieno riscontro nella pratica delle più civili nazioni dei due mondi, specialmente in quelle rette a sistema rappresentativo. Nella Storia dei Parlamenti si trova spesso l'applicazione di questo principio; e ne abbiamo degli esempi così recenti e conosciuti, che credo superfluo il citarli. La seconda ragione poi si è che in base alle nostre Leggi Statutarie (a cui certamente l'E.V. non ebbe in animo di derogare col Decreto dell'Inchiesta) se io come Cittadino debbo riconoscere l'autorità del Commissario della legge nei miei affari privati; però come comandante Superiore delle Milizie non riconosco nel Commissario stesso che un'altra Autorità a me uguale in altro ramo di pubblica Amministrazione, che non ha alcun diritto di sindacato sulle mie azioni, ne può ex se chiamarmi a rispondere per abuso d'ufficio senza capovolgere tutta l'armonia del sistema amministrativo politico. Per la qual cosa nel caso presente essendo io accusato, non come privato cittadino, ma come pubblica Autorità Superiore per abuso d'ufficio (sebbene ora sospeso dall'ufficio stesso) riconoscer debbo ed assoggettarmi al signor Avvocato Giacomo Reggiani Commissario della legge come Incaricato speciale dell'E.V. a redigere un'Inchiesta a carico del Comandante Superiore delle Milizie: ma non debbo più riconoscere questa sua Autorità quando invece vuol procedere contro di me in virtù della sua ordinaria giurisdizione per fatti compiuti come Comandante Superiore, lasciando la forma d'Inchiesta e sostituendovi quella di Processo penale. -Nel difendere questo mio diritto più che difendere me stesso, credo di dover difendere i diritti e le prerogative dell'alto Grado di Generale Comandante, che mi venne affidato. E per queste due ragioni insisto perché sia dichiarata la nullità del Procedimento come Processo penale. Vengo al secondo motivo, che cioè i Segretarii non potevano adire il Commissariato della Legge per dare querela al Comandante Superiore, ma dovevano rivolgersi direttamente all'E.V. se volevano che fosse data una forma più rigorosa di Procedimento contro l'ex Comandante medesimo; altrimenti dovevano limitarsi a comparire innanzi all'Incaricato dell'Inchiesta per emettere tutte quelle Proteste e fare tutte quelle domande che avessero creduto del caso a garantimento del loro onore e del loro interesse. Quello che più sopra ho ragionato sulla natura speciale dell'Inchiesta e sulla incompetenza del Giudice Ordinario, si applica a fortiori rispetto ai Segretarii; per cui mi dispenso dal ripeter qui gli argomenti già sviluppati. E pel fatto dell'opposizione delle firme falsificate, mentre riconosco nei Segretarii il diritto di chiamarmi a rispondere delle conseguenze del fatto stesso verso di loro in via civile, nego ai medesimi il diritto di chiamarmi in giudizio penale, senza la preventiva ed espressa autorizzazione dell'E.V. Passo al terzo motivo di nullità, e cioè l'affinità del Giudice Processante con uno dei querelanti, e le loro relazioni di ufficio. Questo motivo basta accennarlo, essendo chiara la legge. -L'essere il Giudice Processante marito della Sorella della nuora di uno dei Querelanti, il Nob. Giuliano Belluzzi: l'essere questi nella sua qualità di Cancelliere del Tribunale il primo dipendente in ordine gerarchico dal Giudice sunnominato: l'essere inoltre lo stesso figlio del Querelante il marito della Cognata del Giudice ed insieme anch'Egli Sostituto Cancelliere: oltre a ciò la ben nota influenza esercitata dai Cancellieri fin dall'epoca del Petri di buona memoria: la sostituzione fatta (anche questa con altro Parente) per mostrar di salvare le apparenze legali nell'ufficio di Sostituto; -sono questi altrettanti fatti che costituiscono nell'avvocato Reggiani l'incompetenza personale a procedere nella mia Causa in qualità di Giudice Ordinario. Nè mi si opponga che l'E.V. abbia sanate implicitamente le irregolarità della Procedura coll'approvazione dei successivi provvedimenti in ordine al Processo stesso. Io invoco in ogni caso che sia tenuta a mio riguardo la stessa condotta che fu osservata in favore del fu Consigliere Francesco Valli, quando all'epoca del primo Censimento sollevò contro di me, Reggente in quel tempo, la stessa eccezione: -vertenza non mai risoluta malgrado le mie reiterate istanze! E tutto ciò senza pregiudizio degli altri motivi intrinseci di nullità, che potessero emergere dalla tela del Processo in parola, allorquando il medesimo mi venisse fatto ostensibile: fra i quali motivi mi piace fin da ora rilevar il seguente; e cioè, la nomina d'un Procuratore Fiscale Estero, fatta senza le indispensabili formalità di legge. A questo punto l'E.V. mi permetta uno sfogo troppo giusto al mio dolore. La suggestione data all'E.V. di nominare nella Causa un Procuratore Fiscale Estero (sebbene io ignori da chi provenga) si velava dell'ipocrito manto della convenienza di usare imparzialità verso di me, mentre ciò non era in fatto che un colpo mortale preparatomi dai miei implacabili avversarii, come vengo a dimostrare. Il Cittadino della Repubblica, come è soggetto alle sue leggi, così ha diritto a quelle guarentigie che gli vengono dalle medesime: -guarentigie, di cui non può essere privato senza commettere atto ingiusto, tirannico, odioso. I Patrii Statuti prescrivono (e ben a ragione) che il Procuratore Fiscale non solo sia cittadino, ma che sia inoltre cittadino originario. Egli è il Rappresentante e il Custode delle Leggi, il Difensore della dignità e dell'onore del proprio paese. Per lunga esperienza sappiamo che solamente un Cittadino e un Cittadino originario può comprendere l'importanza e la responsabilità di questo delicatissimo mandato. E venendo al mio caso dirò che come non vi era ragione sufficiente per nominare un Fiscale estero, così trattandosi di una determinazione che è contraria ad una legge fondamentale dello Stato, e che priva un Cittadino di una guarantigia costituzionale, doveva per legge essere presa con due terzi di voti segreti, sotto pena di nullità. E vaglia il vero. Non si correva il pericolo che il Fiscale nominato nel seno dell'E.V. potesse dare a supporre di essere animato da qualche parzialità a mio favore. Infatti fra gli Onorevoli Membri che compongono quest'Alto Consesso io non conto alcun Parente; fra di essi nessuno né in Senato né in Piazza ha preso le mie parti: nessuno in due lunghi anni ha inviato all'esule una sola parola di conforto o di speranza, o di compatimento. Incredibile, ma vero! Credo che in nessun incontro siasi verificato meglio che in questo l'antico adagio: Si fortuna perit, nullus amicus erit. Ma neppure eran da temersi altri inconvenienti. In questo Augusto Consesso di Cittadini integerrimi, di persone dotte ed onorande, era mai possibile che non vi fosse un sol uomo capace di praticar la giustizia, di rappresentare la legge? Era mai possibile che non vi fosse alcuno che avesse la coscienza pura e il coraggio di scagliare la pietra? Oh no, vivaddio! Il Senato della mia Patria è ancor composto di uomini onesti, osservatori sinceri della libertà e della giustizia. E' da questi che io ho il diritto di essere conosciuto e giudicato e non da un Estraneo. La nomina di un Fiscale estero non ha esempio nei nostri annali ed io protesto formalmente contro la fina arte ed ipocrita, che mi toglie i miei Giudici naturali e mi trascina innanzi a chi non sa ch'io mi sia; che cosa abbia fatto nella mia carriera politica; nè può farsi un concetto di me, che sotto la sinistra luca di un infausto Processo. Per le quali cose tutte insisto presso l'E.V. perché voglia dichiarare in via di giustizia, nullo ne' suoi effetti giuridici e legali il Processo penale compiutosi a mio carico sulla querela dei Segretarii dell'Interno e degli Esteri, dovendo al medesimo rimanere l'unico suo valore d'Inchiesta e di Rapporto, secondo il Decreto dell'Eccellenza Vostra".

    In questo modo Malpeli conclude la prima parte del suo esposto; ma ha ancora qualcosa da aggiungere per "mettere i fatti succeduti sotto la loro vera luce", e fornire la sua versione della vicenda. Così tentava di recuperare presso la popolazione quell'immagine  di sè che ormai sentiva irrimediabilmente perduta, ed a cui teneva di certo moltissimo. "Adesso che dopo due anni io posso sperare che l'effervescenza degli animi si sia alquanto calmata; che il timore dei pericoli minaccianti la patria sia svanito; che il desiderio in alcuni di veder demolita ed annientata la mia qualunque influenza, può dirsi pienamente soddisfatto; adesso mi è dato sperare eziandio che si vorrà prestar fede alle mie parole con pacato animo e con serenità di giudizio. Non proposito di rivincite, non desiderio di riprendere un posto nel mio paese, ma solo il dovere di lasciare un buon nome alla mia famiglia, mi ha determinato a rompere il mio silenzio, ed indirizzare dal luogo del mio esiglio all'E.V. e ai miei Concittadini la mia ultima parola di  difesa e di preghiera". A sua difesa Malpeli citava un colloquio intorno al casinò da lui avuto con Antonio Modoni agli inizi del 1879, da questi in seguito casualmente riportato in un suo libro (Sul Titano. Note di un Alpinista, Imola 1879). In quell'occasione Malpeli avrebbe sostenuto che San Marino non avrebbe mai accettato l'impianto di un casinò "a prezzo di vedere trasformata la nostra pacifica Repubblica in un covile di immoralità e di sventure domestiche", dimostrando quindi, poco prima che scoppiasse la grana che lo aveva visto come principale protagonista, di sapere che era impossibile una simile speranza, per quanto conveniente fosse per le finanze locali, e di essere concorde nel non voler una simile struttura all'interno della sua patria. Ma allora perché tutte le macchinazioni di cui si era reso responsabile? Ecco le sue spiegazioni: "Io dirò schiettamente la verità all'E.V. e ai miei Concittadini, colla fiducia che se nei presenti e nei passati tempi la Storia perdonò ad uomini di governo i tradimenti, gli spergiuri, le spogliazioni, gli assassinii commessi sotto l'egida dello scopo del pubblico bene o della pubblica salute; anche a me, che non son creduto reo di tanto, non vorrà mancarmi la generosità degli Onesti, i quali non vorranno farmi troppo carico, o imperdonabile peccato del Piano, che io aveva escogitato a comune vantaggio di questo Popolo, e a cui detti mano per tradurlo ad effetto, ma impegnandovi esclusivamente la mia personale responsabilità, come vado ad esporre. Il 1° Aprile 1879 una persona di qualche qualità si presentava a me, facendomi una delle solite proposte per erigere a S. Marino un Casino di giuoco. Detti la medesima risposta negativa, che veniva riportata dal Cav. Modoni. Ma insistendo il Proponente in un modo veramente unico, e considerando meco medesimo la necessità nel nostro popolo di approfittare di una qualche risorsa finanziaria, mostrai di arrendermi alle sue sollecitazioni, e gli promisi il mio appoggio e la mia opera. Qui spiegherò il mio pensiero, il mio Piano e i miei reconditi intendimenti. In questa leale spiegazione sta, o Eccellentissimo Consiglio Principe e Sovrano, la mia accusa ed insieme la mia difesa. -Proposi meco medesimo d'incoraggiare e favorire con tutti i mezzi che erano in mio potere l'impianto della Società speculatrice fino al momento che questa sarebbe arrivata al punto di aprire al pubblico le sue sale. Allora con un'abile diversione e con una ritirata a tempo, io mi sarei dimesso dal mio ufficio; ed avrei lasciata libera, anzi avrei aiutata l'azione governativa a fermare la Società speculatrice nel suo cammino, e a volgere a totale beneficio del paese i Capitali spesi ed impiegati da lei-. E' chiaro infatti che la Società speculatrice, tenendosi nei limiti della stretta legalità, avrebbe potuto per un lasso di tempo di almeno due anni, spendere ed impiegare nei preparativi moltissime somme nel nostro territorio coll'acquistare terreni, erigere stabilimenti, costruire alberghi, aprir strade ed altro. Giunto poi il termine fatale, e mancando lo scopo del giuoco; tutti i vantaggi ottenuti sarebbero rimasti senza molta difficoltà al paese. Così, non molto tempo fa succedeva in Ispagna, quando gli speculatori Dupressois e C. vollero avventurarsi in base ad una Concessione data loro da Don Carlos; e che poi non fu riconosciuta dal Governo presente. Forse alcuno taccerà il mio Piano di mala fede; ma oltrecchè quest'accusa non poteva ricadere sul Governo di S. Marino ma solo sulla mia persona; non credo poi che una Società di speculatori siffatti meritasse di esser trattata con tanti scrupoli. Fine ultimo poi del mio Piano, era quello di dare in questo modo una tal terribile lezione agli speculatori delle Case di giuoco, da liberare per sempre nell'avvenire la Repubblica dalle loro insistenti domande. Io so bene che in questi casi la sola riuscita giustifica l'ardimento dei mezzi e porta al trionfo; come l'insuccesso o la sconfitta porta al biasimo e alla ruina. E il biasimo e la rovina son toccati a me: inutile che io (e forse qualche altro) ora rimpianga le cause fatali che l'hanno prodotti. Tuttavia l'E.V. ha ora in mano il filo di Arianna per adentrarsi nell'esame del mio Processo; per dare ad alcuni atti che sembrarono troppo irritanti il loro vero valore; per mettere i fatti sotto la loro vera luce e per escludere tutto ciò che fu il portato della sovra-eccitazione degli animi. Né io farò qui la storia delle lunghe trattative, in cui fui ingolfato da esperti mestatori; non enumererò le diverse fasi che dovetti attraversare fino a conceder cose che non erano certamente nelle mie previsioni, poichè la esposizione dettagliata ne sarebbe assai lunga e mancante di una utilità relativa: ma mi restringerò solamente a scagionarmi delle accuse che mi si rivolsero con tanta imponenza di forme e che non riguardano che i mezzi da me posti in opera per tradurre ad effetto il mio Piano prestabilito. -Queste accuse si riassumono nelle seguenti:

I° L'apposizione delle firme falsificate dei Segretari dell'Interno e degli Esteri ad un Atto di Pseudo-Concessione firmato da me;

II° La truffa di una somma di danaro in danno di alcuni Banchieri Francesi, in seguito di detto Atto: e

III° La tentata corruzione del Segretario degli Esteri.

Vengo alla  prima accusa. La falsificazione delle firme dei Segretarii e dei relativi Sigilli sull'atto di Pseudo-Concessione da me firmato, è il fatto più saliente di cui vengo imputato in ordine all'impressione che ha prodotto e all'importanza che gli si è voluto attribuire: ma non è certo il fatto che importi la maggiore responsabilità in ordine a tutta questa vertenza, poiché (mi giovi ripeterlo) non debbonsi scambiare i mezzi col fine; né far prevalere quelli a questo. Epperò volendo e potendo io giustificare per quanto è dato a me il mio operato, dirò alla bella prima; -che io ho ritenuto di non aver incontrata alcuna responsabilità penale, a stretto rigore di legge, consentendo che fossero apposti sigilli e firme falsificate ad un atto, che era esso pure nullo e di niun valore, perché non redatto secondo le consuete firme legali e costituzionali-. Ed invero un Documento falso perché possa essere considerato come tale, suppone l'esistenza possibile di un Documento identico vero e valido. Ma nel caso presente, ammesso anche pel momento che vi fosse un altro identico Documento colle firme vere dei Segretarii, non per questo il Documento stesso avrebbe diritto ad un grado solo di più di valore. E ciò per l'evidentissima ragione che un Decreto Sovrano deve portar la firma dei Capitani Reggenti e quella del Segretario del Consiglio, e riferirsi al Senato-Consulto relativo. Ogni altra forma non è né costituzionale, né legale. Impertanto la Pseudo-Concessione data da me al Barone Maresciallo Prochazka era un atto di niun valore legale in se, ed era quindi cosa affatto indifferente e secondaria la verità delle firme apposte in fondo al Documento. Quest'atto potrebbe paragonarsi ad un Biglietto di Banca fatto in modo cervellotico, e firmato da altre Autorità che quelle del Direttore e del Cassiere della Banca stessa. Non per questo un tal Biglietto potrebbe dirsi falso. Esso è semplicemente senza valore. Ben altrimenti però si sarebbe dovuto considerare la cosa, se invece dell'apposizione delle firme falsificate dei Segretarii, fossero state apposte le firme false dei Reggenti sotto un Atto redatto come di uso. In questo caso si sarebbe trattato veramente di un caso di falso propriamente detto ed in tutto il significato legale della parola: ma nel caso in quistione gli estremi del falso non esistono, non potendosi sceverare la quistione della nullità dell'atto da quello della falsità delle firme in esso esistenti. Ed a maggior sostegno della mia tesi, mi giova richiamare quella Sentenza emessa da quel celeberrimo Criminalista che fu il Prof. Giuliani, nostro Giudice di Appello, nella Causa penale contro un tal Balducci estero, imputato di aver smaltito sul territorio sammarinese alcuni Biglietti falsi della Banca Nazionale Italiana. Il Magistrato dichiarò non farsi luogo a procedere contro il Balducci per la ragione che i Biglietti della B.N. non erano stati riconosciuti legalmente dal Governo della Repubblica. Ora che si sarebbe mai detto se altri avesse voluto sceverare la quistione della falsità dei Biglietti, da quella della falsità delle firme esistenti nei Biglietti stessi, per farne contro il Balducci un titolo speciale di reato? Dichiaro però che con ciò non intendo di esonerarmi dalla responsabilità che ho per quel fatto incontrato verso i Segretari abusando del loro nome: ma questo non può uscire dalla linea civile, come sopra ho detto.

Altra accusa è quella di tentata corruzione del Segretario degli Esteri. A questa non ha che a rispondere poche parole, parendomi di non poter credere a me stesso che il Segretario degli Esteri -il Commendator Domenico Fattori- abbia potuto lanciare a Malpeli una tal specie di accusa!....Certo non nego che nel colloquio tutto confidenziale avuto con lui, gli espressi le mie viste politiche e parte dei miei intendimenti, e lo domandai se avesse voluto unirsi a me nell'affare; ma la conversazione fu ben lungi dal degenerare in tentativo di corruzione. E' vero che in simili casi il pubblico funzionario ha diritto alla piena fede, ma però ad una condizione sanzionata dalla giurisprudenza pratica, che cioè questo pubblico Funzionario non deve porre tempo in mezzo a denunziare il colpevole alla competente Autorità, affinchè questa possa raccogliere tutti i possibili elementi di prova in presenza quasi del reato, elementi che col porre tempo in mezzo, facilmente possono svanire. Il Comm. Fattori avrebbe dunque mancato allora al suo dovere, e la sua tardiva dichiarazione non ha che il torto di un caso ripensato, e il merito del calcio dell'asino a chi è caduto.

La terza accusa che mi si è fatta è quella di truffa di danaro a danno dei Banchieri concessionarii. Anche a ribattere quest'accusa sarò breve, esponendo a mia difesa la mancanza di due elementi neccessarii a stabilire la truffa. Il primo è quello di un mezzo sufficientemente ragionevole a produrre la truffa: il secondo è la mancanza di querela che in ogni peggior caso i Banchieri non potrebbero rivolgere legalmente che contro il solo Barone Prochazka. Manca, dico, il mezzo sufficiente a produrre la truffa. -Presso il R° Notaio, Cav. Casaretto di Rimini esistono documenti (cui fin da ora autorizzo il lodato Notajo a rendere ostensibili a chiunque) in virtù dei quali i Signori Banchieri Francesi dichiarano che le somme da me ricevute erano state improntate verso la semplice promessa verbale con cui m'impegnavo presso il mio governo ad ottener loro una Concessione per l'impianto di un Casino di giuoco. E ciò sta in perfetta armonia coi fatti. Imperocchè i Banchieri ben sapevano per mezzo di una mia lettera scritta a loro durante le trattative e che deve esistere in atti, che vera Concessione non poteva essere data se non dal Consiglio Principe e Sovrano e con Senato-Consulto firmato dalla Reggenza: sapevano benissimo che l'Atto firmato da me, e di cui gli avrei messi in possesso aveva un valore molto relativo: ma essi sapevano pure che sebbene quest'atto non formasse in loro fondamento sicuro a diritti per venire a S. Marino, speravano però di regolarizzarlo in seguito, ed intanto serviva al loro intento questo simulacro di Concessione per avere in mano un documento di apparenza legale allo scopo di costituire e montare una Società di Capitalisti, di trovare insomma gli Azionisti soscrittori, come in effetto li trovarono. Essi furono tratti solamenti in inganno sulla veridicità delle firme del Segretarj, la qual cosa non può qualificarsi rigorosamente per inganno, sia perché la firma dei Segretarii vera o falsa che fosse non dava o non toglieva il valore intrinseco a quella Pseudo-Concessione: sia perché essi essendo venuti più volte sopra luogo potevano e dovevano accertarsene personalmente se avessero attaccato un pregio così capitale alle firme dei Segretarii. In quanto poi al secondo elemento neccessario, la querela; questa non vi è (che io mi sappia), nè vi potrebbe essere, perché la legge non può accordare questo diritto fra complici in cause immorali, quali sono appunto quelle per titolo di giuoco. Esistono sentenze del Prof. Giuliani che confermano questo assioma. E tutto ciò senza pregiudizio di molte altre ragioni che potri produrre per annullare la querela e l'accusa. Del resto ognuno sa stragiudizialmente che io sebbene non obbligato per legge, ma per solo sentimento di delicatezza ho restituito in massima parte il denaro ricevuto, ed avrei rimborsato a quei Signori anche il resto, se un Decreto di questa Autorità giudiziaria (che dal lato della giustizia lascia molto a desiderare) non vi avesse posto un ostacolo insormontabile. -Palamede Malpeli fu più volte truffato; ma non fu mai un truffatore!...

A queste tre accuse risultanti dal Processo debbo aggiungerne un'altra non meno grave, che so venirmi fatta da diversi Cittadini; di aver cioè tentato di corrompere e dominare la classe degli Artigiani, aizzandola contro il Governo o contro le persone che lo compongono. Quest'accusa non è esatta, ed è per lo meno azzardata e maligna: ed io sento tanto più il bisogno di purgarmene, inquantochè ho la convinzione che il Processo intentatomi sotto la forma estrinseca di Processo per reati comuni, non è in sostanza che un mezzo per velare una Persecuzione politica, per annientare per sempre la mia qualunque reputazione ed influenza nel mio paese. Questa è la solita arte dei Partiti. Chi non poteva tollerare in me qualche pò di spirito innovatore e le simpatie per la Classe degli Artieri e degli Operai; chi non divise con me le fatiche e i dispendii per la salvezza della patria durante il memorando cordone militare, ma si ritrasse lungi prudentemente sui monti a vederne la fine; chi ebbe invidia o sdegno di veder la sua firma sulle frontiere non ottenere rispetto come la mia; chi aveva il peso della gratitudine per qualche servigio ricevuto, non poteva non augurarmi un passo falso, non poteva non desiderare una rivincita per mostrare alla pubblica opinione che ben altri erano i veri sostenitori della Repubblica. Durante tutto il tempo delle trattative col Barone Prochazka nessuno degli uomini di governo che mi si professavano amici (neppure quei due primari Cittadini coi quali l'E.V. mi associò per darne pubblica testimonianza con speciale Senato-Consulto di onore per gl'importanti servigi resi al paese); nessuno ebbe per me una parola, un consiglio, un avvertimento. Ma succeduta la crisi, tutti sorsero compatti per far eco alle accuse contro di me, per aggravarle innanzi al pubblico mettendomi in mala fama; per contribuire a moltiplicare gli atti odiosi che si ripeterono in gran numero contro di me. Ma tornando all'accusa dichiaro all'E.V. e agli uomini di governo, che se l'idea di utilizzare il favore del popolo poteva entrare nei miei calcoli a conseguire il fine propostomi; io sapeva del pari che il Patriottismo del Popolo Sammarinese è a tutta prova; e che questo Patriottismo lo avrebbe appunto arrestato là ove era d'uopo di fermarsi.Ne abbiamo avuto un esempio tanto calzante nel fatto della emigrazione, che credo ben fatto dispensarmi dal farne l'applicazione al caso presente! Confermerò per ultimo questa mia dichiarazione col far osservare che nel fatto non ha mai approfittato di questo mezzo, perché avendo potuto impadronirmi delle Cave per conto mio nel modo il più facile, non volli farlo ad onta degli altrui suggerimenti; e che le somme che sborsai in acconto ai capi-cave in luogo di restituirle ai Francesi, furno sborsate in seguito di un intrigo ordito da quegli stessi, che mi hanno accusato, La qual cosa è pubblica e notoria.

Fin qui la mia difesa. Ora non mi resta che innalzare un umile preghiera al mio Principe; all'esaudimento della quale subordino rispettosamente la domanda in via di giustizia nella prima parte di questa memoria. Chieggo l'Amnistia contemplata dagli art. 104 e 105 del Codice Penale: quell'Amnistia che fu proposta già anche dalla Francia nella Repubblica di Andorra, per fatti consimili, ma molto più gravi. Imploro quest'atto di Sovrana Clemenza più che per me, per l'onore della mia famiglia e per le mie figlie principalmente. In quanto a me, ferro già rotto e reso inutile per l'avvenire, soscrivendo fin d'ora ciecamente alle condizioni a cui piacesse all'E.V. di subordinare l'Amnistia per l'interesse e pel decoro della Repubblica; sarò sufficientemente soddisfatto se potrò nella pace e nell'oscurità terminare l'ultimo periodo di una vita, che fu piena di così amare delusioni. Voglia l'E.V. benevolmente ricordarsi, quando dietro le sue più vive istanze sul principio dei miei studi universitarii, fui costretto ad accettare l'ufficio di Consigliere, e poi subito a rinunciare anche ai tre anni di proroga, per assumere la suprema Magistratura della Repubblica in difetto di altri cittadini eleggibili. Dall'avere interrotta la carriera degli studi derivò la serie di tutti i miei guai privati e pubblici. Che l'E.V. me ne voglia benevolmente tener conto!...Il Maresciallo Barone Prochazka, che fu parte principale di questo Dramma, venne assoluto dal Giurì del suo Paese. Credo che a chi mi conosce un poco, io possa liberamente colla certezza di ottener fede, che il Maresciallo fu assai più colpevole di me, e che io non fui che una vittima dei suoi intrighi e del suo egoismo. Che Egli fosse colpevole, fu pure il giudizio della stampa italiana che assistè al suo Dibattimento a Vienna, come può leggersi nei Giornali di quell'epoca. Eppure i Giurati assolsero unanimamente il Maresciallo! Perché? E' questa una domanda a cui il Patriottismo di ogni buon cittadino può dare un'equa e conveniente risposta. E anch'io voglio sperare, e credo di poter sperare con più fondamento in questo Patriottismo da parte dei Membri del Sovrano Consiglio; i quali oggi, dopo due anni, vorranno anteporre a qualunque considerazione, la magnanimità e la clemenza nel giudicarmi: e non vorranno esser inferiori ai Giurati Austriaci nel mostrarsi gelosi della loro dignità, nel mostrarsi corrivi e sensibili verso chi ha pur reso qualche servigio alla Patria!".

    Mi scuso per la lunghezza del documento e per non averlo riassunto, ma non ho voluto rischiare di snaturarlo, perché le vive parole di Malpeli sono senz'altro più esplicite di qualunque riassunto che se ne poteva fare. Come si sarà constatato direttamente, le argomentazioni che Malpeli porta a sua discolpa sono piuttosto fragili, e scaturite verosimilmente dal fatto che argomentazioni più robuste non ne aveva. Egli non discute mai la sua colpa, che quindi è da ritenersi inconfutabile, ma il modo in cui lo si era incolpato ed infine incriminato. Personalmente questo suo ultimo scritto mi ha fornito l'impressione di un uomo disarmato e distrutto, ormai disposto ad arrampicarsi sugli specchi pur di produrre qualche beneficio alla sua causa. La scusa poi di aver fatto tutto per dare una lezione memorabile agli speculatori è addirittura squallida ed indegna di una mente che in altre occasioni si era dimostrata fin troppo sottile.

    Ecco, direi proprio, invece, che Malpeli si è cacciato nel guaio di cui si è parlato plausibilmente per troppa sottigliezza, per eccessivo machiavellismo. Egli era ai vertici della Repubblica già da vent'anni, e sapeva bene come andavano qui le cose: San Marino era un paesotto gestito familiarmente da sereni patriarchi che accomodavano con bonarietà i problemi man mano che sorgevano, senza drammi né inutili ostentazioni, senza proclami né focose arringhe politiche. La sua tranquillità era data proprio da questo sistema di conduzione casalingo che stava bene un po' a tutti, e da cui tutti avevano sicuramente qualcosa da guadagnare. Certo più di tutti i patriarchi stessi, che pilotando la piccola barca a turno avevano la possibilità di solcare tutti i mari senza troppe interferenze e controlli.

    Non mi si fraintenda: non voglio dire tramite metafora che chi governava era dedito a costanti ruberie, o comunque a curare principalmente i propri interessi e basta. Non ho le prove per farlo, mentre vi sono innumerevoli prove che ai vertici della Repubblica si son sempre trovate persone pronte ad adoperarsi in tutte le maniere a suo vantaggio. Ma se anche si trovassero le prove, non mi scandalizzerei più di tanto, soprattutto in un periodo come quello che stiamo finendo di esaminare. Voglio dire invece che il sistema politico sammarinese, che in fondo era da sempre nelle mani di pochi individui che si controllavano a vicenda, ma che potevano al bisogno anche tutelarsi a vicenda, sicuramente poteva favorire pensieri perversi in menti che, a forza di ragionare in termini familiari e casalinghi, avessero perso del tutto di vista anche quel minimo di equità ed onestà politica che comunque andava garantita, anche in un sistema come quello di cui stiamo dissertando.

    Io penso che Malpeli sia caduto in questo inghippo: sentendosi apprezzato ed ascoltato da tutti, innovatore, destinato a salire ancora la gerarchia del potere sammarinese, credette ad un certo  punto di essere libero di muoversi come voleva, perché comunque avrebbe fatto bene, comunque alla fine le cose si sarebbero accomodate per il meglio. Di certo a spingerlo lungo questo pericoloso cammino erano state le personali esigenze economiche che lo pressavano sempre più. In una lettera dell'8 settembre 1879 scritta a Prochazka lo dice chiaramente: "Io trovo nelle sue parole ch'Ella ha forte necessità di fare quest'affare; e per essere sincero dirò che io pure mi son messo in quest'affare disgraziatissimo per rimediare ad un mio bisogno".(10) Ma a dargli la fiducia che tutto sarebbe andato poi bene, che avrebbe risolto la questione familiarmente con gli altri oligarchi, era il sistema di cui si è detto, la mentalità che dominava la locale classe politica ed in cui lo stesso Malpeli, per quanto innovatore, beatamente si crogiolava. Anche a sostegno di ciò si può produrre un brano di pugno del Malpeli: "Allorchè il Barone Prochazka mandò il Sig. Correnti a S. Marino per trattare con me la creazione di un Casino con giuochi io gli risposi:-Bisogna entrare qui per la finestra: non si può entrare per la porta. Il Consiglio Sovrano non darà mai delle concessioni: ma noi abbiamo qui una grande libertà, e una grande tolleranza. Bisogna dunque creare uno stabilimento serio industriale, o commerciale per nascondere l'affare sotto un nome legale; bisogna guadagnare il popolo coi lavori, col denaro, con il benessere materiale perché nel nostro paese il popolo ha un potere reale più forte del potere legale del Gran Consiglio; la Polizia qui è debole, e la Polizia è nelle mie mani. Questo è l'unico mezzo per giungere a far l'affare: questo è il tallone di Achille". (11)

    Malpeli è dunque scivolato per colpa di un grave errore di valutazione, per eccessiva ambizione, ed anche per quella spregiudicatezza dal sapore provinciale che lo ha sempre caratterizzato. Egli non fu mai amnistiato, anche se nella seduta consigliare del 18 marzo 1882 la sua pena detentiva fu commutata in dodici anni di esilio. (12) Ebbe anche dopo la condanna chi simpatizzò per lui, tanto che nel 1881 vi fu qualcuno che imbrattò molti muri del paese con la scritta W P. Malpeli. (13) Ebbe comunque sicuramente contro i giovani redattori dei primi giornali usciti a San Marino, ovvero La Repubblica di San Marino, uscito per la prima volta nell'ottobre del 1881, ed Il Giovane Titano, pubblicato per la prima volta l'8 maggio 1881. Entrambi questi periodici contengono articoli che sparano a zero su Malpeli. La Repubblica di S. Marino del marzo 1882 (anno I, n. 6) ci informa anche della sorte di Malpeli dopo la sua fuga: "Il Sig. Palamede Malpeli, che fu arrestato due mesi or sono a Genova, perché coinvolto in un processo per dolosa spedizione di un titolo di rendita italiana, stato rubato ad un Banchiere di Alessandria, fu in questi giorni assoluto. Secondo i trattati, egli sarà presto consegnato al Governo Sammarinese, perché si proceda contro di lui a senso delle nostre leggi".      

    In realtà Malpeli non tornò più a San Marino. Secondo notizie che ci fornisce Nevio Matteini, egli da esiliato trovò lavoro come maestro elementare a Rossano Calabro, in provincia di Cosenza. (14)

    Non so con precisione quando sia morto, né dove.

 

 

 

NOTE

 

 

Capitolo I

 

1) V. CASALI, Il delitto Bonelli, San Marino 1992.

2) Archivio di Stato della R.S.M. (da ora AS), Atti del Consiglio Principe (Atti), vol. NN n° 37, b.20, seduta del 1-2-1855.

3) AS, Protocollo generale del Carteggio della Reggenza (Prot.)1854-59, lettera del 21-3-1855.

4) Ibid., lett. del 4-3-56.

5) AS, Atti, vol. NN n° 37, sed. del 14-9-54.

6) Ibid., sed. del 17-10-54.

7) Ibid., sed. del 29-5-55.

8) Ibid., sed. del 24-6-55.

9) cfr. P.P.GUARDIGLI, Terre e Torri, pp. 127-133.

10) AS, Prot., lett. del 9-3-56.

11) AS, Atti, sed. del 14-2-56.

12) AS, Prot., lett. del 24-3-56 (n° 295), lett.del 3-4-56, lett. 26-4-56.               

13) Ibid., lett. 12-5-56 (n° 318), lett. 23-5-56.

14) Ibid., lett. 30-7-56, 16-6-56.

15) Ibid., lett. 19-1-57, 9-2-57, 6-4-57.

16) AS, Carteggio della Reggenza (Cart.), b.174, lett. n° 386.

17) cfr. V. CASALI, op. cit., p. 220.

18) cfr. AS, Atti Criminali 1856, b. 706/25.

19) AS, Cart., b. 174, lett. n° 386.

20) AS, Prot., lett. dell' 8-11-56.

21) Ibid., lett. del 22-11-56.

22) Ibid., lett. del 26,27,28-11-56, e del 1,8,9,-12-56.

23) AS, Atti., sed. del 23-10-56 e anche T. GIANNINI, M. BONELLI, (a cura di), Raccolta delle leggi e decreti della R.S.M., Città di Castello 1900, p. 7. Questo decreto di certo scaturì dalla rinuncia alla carica reggenziale di Marco Tassini, e dalle condizioni dettate da Giambattista Braschi. cfr. V. CASALI,  op. cit., pp. 154-160.

24) AS, Prot., lett. dell' 8-1-57.

25) Ibid., lett. del 19-1-57, 9-2-57.

26) AS,  Cart., b.174, lett. n° 472 A.

27) AS, Prot., lett. del 20-2, 24-2, 21-3-57.

27a)AS, Cart., n° 523, b. 174. La relazione dovrebbe essere quella che ho già citato nel "Delitto Bonelli" (p.102). cfr. AS, Cart., b. 169.

28) Su tutto ciò si veda il Carteggio della Reggenza di questo periodo, e in particolare la lettera di Marco Tassini del 23 giugno.

29) AS, Cart., b. 175, lett. n° 608 dell'11-7-57.

30) AS, Cart., b. 175, lett. del 18 e 20 luglio.

30a) Ibid., relazione del 4-6-57.

31) cfr. AS, Cart., lett. n° 560 del 19-5-57. Questa lettera venne scritta alla Reggenza dal rappresentante sammarinese a Roma Alessandro Savorelli, il quale comunicò che monsignor Berardi era "sommamente avverso agli indipendenti diritti del nostro Stato", e aveva frapposto mille ostacoli alla nomina di un Incaricato ufficiale di San Marino presso la Santa Sede.

32) AS,  Cart., b. 175, lett. del 2-8-57, n° 630.

33) cfr. AS, Cart., b. 175, 176, 176/2, lett. del 5-10, 14-10-57, 22-1, 24-9, 29-10-58. Fu il Vaticano ad osteggiare con forza la nomina a console di Canuti, perchè egli era un "emigrato politico dello Stato Romano".

34) La legge è verbalizzata in : AS, Atti, vol. MM n° 36, sed. 28-8-42.

35) cfr. AS, Cart., b. 175, lett. 30-10, 31-10, 3-11, 10-11-57.

36) AS, Cart., lett. n° 43 del 28-4-65.

37) AS, Atti, vol. NN, n° 37, sed. del 26-3-57. La legge è reperibile in: Raccolta delle leggi..., cit..

38) Ibid., sed. 4-6-57; sullo sviluppo delle strade sammarinesi cfr. anche: F. BALSIMELLI, Superstites Viarum, in: Annuario del Liceo-Ginnasio Governativo e Scuola Media, n. X, 1967-68.

39) AS, Atti, vol. OO, n° 38, sed. dell' 11-3, 17-6-58.

40) Ibid., sed. 18-10-58.

41) cfr. AS, Atti, vol. OO, n° 38, sed. del 17-2-59.

42) Ibid., sed. del 10-4-59.

43) AS, Prot., lett. del 23-4-59.

44) Su tutto ciò si veda Prot. e Cart. di questi anni.

45) F. BALSIMELLI, Storia delle rappresentanze diplomatiche e consolari della Repubblica di San Marino, Urbania 1975.

46) AS,  Cart., b.177, lett. n° 290.

47) Ibid., lett. n° 298.

48) Elenco dei volontari sammarinesi che presero parte alle guerre e ai movimenti insurrezionali per l'indipendenza italiana, riprodotto in Il Delitto Bonelli, cit.

49) AS, Cart., b. 177, lett. n° 323.

50) Ibid., si vedano le lettere del 22-4, 30-4, 25-5, 30-5, 14-6-59.

51) cfr. Il Delitto Bonelli, cit., p. 213 e segg.

52) AS, Cart., cfr. le lettere alle date indicate.

53) Su tutto ciò si consulti: AS, Cart., lett. del 30-7, 19-10, 11-11, 16-11-59, 8-1, 30-1, 4-2, 5-4-60.

54) Lettera di Oreste Brizi del 6-10-57 introduttiva al "Progetto di Statuto per la Stella d'Onore Sammarinese", contenuta in AS, Registri dei conferimenti di nobiltà, cittadinanza, ecc., b. 30-30/2.

55) Ibid.

56) AS, Prot., lett. del 7-11-57.

57) AS, Cart., b.176, lett. n° 727.

58) Ibid., lett. n° 743.

59) Ibid., lett. n° 758.

60) AS, Cart., b. 176/2, lett. n° 114.

61) Ibid., b. 177, lett. n° 334.

62) Ibid., lett. del 14-7-58.

63) AS, Atti, sed. del 13-8-59; cfr. anche Registri dei conferimenti..., cit., b. 30 e 30/2.

64) Lo statuto è reperibile in T. GIANNINI, M. BONELLI, op. cit., p. 631 e segg. Dopo Eugenio Bonaparte i primi a ricevere onorificenze sammarinesi furono: il Duca di Brabante (principe ereditario del Belgio), Enrico D'Avigdor, il Visconte di Friant (capitano di Napoleone III), un certo Armaud, segretario del ministro degli affari esteri francese; costoro vennero decorati tutti in data 22 marzo 1860. Il 18 giugno vennero conferite altre onorificenze ancora di cui una (cavalier gran croce) al ministro delle finanze francesi Achille Fould.

65) cfr. AS, Atti, vol. LL, n° 35, sed del 13-3-38. Ulteriori notizie su Giuliano Malpeli sono reperibili in IVO BIAGIANTI, Rapporti di produzione nelle campagne in età moderna, p. 115 e segg., in AAVV, Il territorio e la gente della Repubblica di San Marino-secoli XIV/XIX, Ancona 1993.

66) AS, Atti, sed. del 30-10-59. Malpeli è il primo politico sammarinese che mostra particolare desiderio e cura di lasciar stampate le sue idee.

67) Il primo censimento sammarinese è del 1865, per cui per gli anni precedenti vi sono solo stime relative alla popolazione. In base a queste è stato tuttavia calcolato che per secoli il numero dei Sammarinesi è rimasto scarso e stazionario, tanto che negli ultimi decenni del Settecento la locale popolazione è stata valutata intorno alle tremila unità circa. Ai tempi del primo censimento, invece, il numero dei residenti cresce enormemente fino ad arrivare alla cifra di 7.080 individui censiti. Per ulteriori dati cfr. UFFICIO STATALE DI STATISTICA (a cura di), Dinamica demografica ed evoluzione sociale nella Repubblica di San Marino, San Marino 1975; ed anche P. MALPELI, Rapporto sul censimento della popolazione fatto al general Consiglio Principe e Sovrano, 14 marzo 1865, Rimini 1865.

 

 

Capitolo 2

 

 

1) AS, Atti, vol. OO, n. 38, sed. del 29-12-1859.

2) AS, Prot., lett. del 6-1-1860.

3) AS, Atti, vol. OO, n. 38, sed. del 25-2-1861.

4) AS, Prot., lett. del 7-1, 17-1, 19-1, 25-1-1860.

5) Ibid.

6) Ibid., lett. dell'8-5-1860.

7) AS, Cart., lett. n° 32, b. 178.

8) AS, Prot., lett. del 21-5-1860.

9) AS, Cart., lett. n° 40 e 53, b. 178.

10) AS, Prot., lett. del 26-5 e del 16-6-1860.

11) Ibid., lett. n° 71.

12) Ibid., lett. del 2-7, 11-7, 13-7, 24-7, 9-8-1860.

13) AS, Atti., vol. OO, n. 38, sed. del 7-10 e 20-12-1860.

13a) AS, Cart., b. 178, n° 57, lett. del 23-11-1860.

14) AS, Prot., lett. n° 82 del 13-1-1861.

15) Ibid., lett. n° 101 del 4-2-1861.

16) Ibid., lett. del 30-1-1861.

17) Ibid., lett. del 4-2, 8-2, 11-2, 25-2, 22-3-1861.

18) Ibid., lett. n° 32 del 5-5-1861.

19) F. ODORICI, Il Conte Luigi Cibrario, e i tempi suoi, Firenze 1872.

20) AS, Prot., lett. n° 33 del 5-5-1861.

21) Ibid., lett. del 12-5-1861.

22) Ibid., lett. n° 135.

23) AS, Atti, vol. OO, n. 38, sed. del 26-8-1861.

24) cfr. Prot. del periodo.

25) Ibid., lett. del 31-10-1861.

26) cfr. Prot. del periodo.

27) Ibid., lett. n° 85 del 26-11-1861.

28) cfr. Prot. del periodo.

29) Ibid., lett. 202 del 12-2-1862.

30) Sulla vicenda si veda F. BALSIMELLI, Storia delle Rappresentanze...,   

    cit., p. 82 e segg.

31) cfr. AS, Atti, vol. OO, n. 38.

32) Lo si veda in T.GIANNINI-M.BONELLI (a cura di), Raccolta delle leggi e   

decreti della R.S.M., Città di Castello 1900, pp.44-46. I donzelli dovevano essere eletti dal Consiglio, e rimanevano in carica un anno, salvo riconferma. Dovevano servire e seguire i Reggenti, tenendosi sempre però "ad una conveniente e rispettosa distanza". Il donzello del Reggente nobile aveva anche la funzione di "pubblico trombetta", cioè di leggere sulla piazza di Città e su quella del Borgo, gli editti o bandi pubblici, e altri compiti ancora. Percepiva per questo altri sei scudi all'anno.

33) Ibid., pp.64-65.

34) Ibid., pp.24-26.

35) Sulle Segreterie di Stato prime di questa legge si veda: C.MALAGOLA,

    L'archivio governativo della R.S.M., San Marino 1981, (ristampa), pp.  

    112-115.      

36) cfr. AS, Atti, vol. OO, n.38, sed. del 22 marzo 1860.

37) cfr. T.GIANNINI, M.BONELLI, op. cit., pp. 631-636.

38) AS, Attic, vol. OO, n.38, sed. del 18 giugno 1860.

39) cfr. AS, Atti, vol.PP, n.39, sed. del 2 gennaio 1862; e anche, Prot., lettere dell'8-12-60, 20-11-61.

40) cfr. AS, Atti, vol. OO, n.38, sed. del 12-5-61, Prot., lett. del 28-5-

    1861.

41) Sul problema della ricostruzione del Palazzo pubblico si veda: V.CASALI, San Marino e il suo nuovo Palazzo Pubblico: storia di un'esigenza secolare, in La Repubblica di San Marino e i segni carducciani, San Marino 1993.

42) AS, Atti, vol. PP, n.39, sed. del 26-4-1863.

43) Il documento è riprodotto in Il delitto Bonelli, cit., pp. 126-129.

44) AS, Atti, vol. PP, n.39, sed. del 26-4-63.

45) cfr. Il delitto Bonelli, cit., pp. 63-67.

46) cfr. AS, Atti, vol. OO, n.38, sed. del 29-12-59.

46a) per tutti questi dati cfr. AS, Conti Consuntivi dello Stato 1853-1864, Conti Consuntivi dello Stato 1865-1874, Conti Consuntivi dello Stato 1874-1885.

47) A. Garosci, San Marino, Mito e storiografia tra i libertini e il Carducci, Ed. Comunità, Milano 1967, pp. 313 e segg.

48) cfr. AS, Prot., lett. del 10-12-1861.

49) A.Garosci, op.cit.

50) sul Cibrario si veda: F.ODORICI, op.cit., M.ARZILLI, Il Conte Luigi Cibrario nei rapporti italo-sammarinesi, in "Libero Orizzonte", a.III, n.5/6, 31-12-1962.

51) cfr. AS, Prot., lett. del 16-2-62, n° 207.

52) Ibid., lett. del 27-2-62, n° 218, del 2-3-62, n° 221, del 5-3-62, n° 225, del 10-3-62, n° 228, del 16-3-62, n° 232, del 16-3-62, n° 233, del 18-3-52, n° 236, del 20-3-62, n° 239, del 20-3-62, n° 240.

53) Ibid., lett. n° 232.

53a) cfr. AS, Atti, vol. PP, n. 39, sed.dell'11-10-1862.

54) Ibid.

55) Ibid., sed. del 2-6-1863.

56) cfr. AS, Prot., lett. del 31-7-1862, n° 121.

57) Ibid., lett. del 9-1-63.

58) Ibid., lett. del 29-3-63.

59) Ibid., lett. del 25-5-63.

60) Ibid., lett. del 10-11-63, n° 32.

61) Ibid., lett. del 28-4-63, n° 28, e dell'1-5-63, n° 32.

61a) Ibid., lett. del 24-1-60, n° 238.

62) Lo statuto è riportato da T.GIANNINI, M.BONELLI, op.cit.

63) AS, Indice alfabetico dei Decorati dell'Ordine Equestre, b. 30/2.

64) cfr. T.GIANNINI, M.BONELLI, op.cit.

65) cfr. AS, Atti, vol. RR, n° 41, sed. dell'11-1-1872.

66) AS, Atti, vol. PP, n° 39, sed. del 20-8, 25-10-1863.

67) AS, Prot., lett. del 17-1-1861.

68) Ibid.

69) Ibid,, lett. n° 132 B.

70) Ibid.

71) Ibid.

72) Ibid., lett. n° 32.

73) Ibid., lett. n° 38.

74) AS, Atti, vol. PP, n° 39.

75) cfr. V.SPRETI, C.FACCHINETTI PULAZZINI, La nobiltà e gli ordini equestri della R.S.M., Milano 1935.

76) cfr. AS, Prot., lett. del 21-12-1865, e del 30-1-1866.

77) Ibid., lett. del 20-5-1866.

78) cfr. V.CASALI, San Marino e il suo nuovo Palazzo Pubblico..., cit.

79) cfr. AS, Prot., lett. del 12-12-1862.

80) Ibid., lett. del 9-7-62, n° 100.

81) Ibid., lett. del 25-5, 9-8, 14-10-1863. 

82) Sulla lotteria cfr. AS, Prot., degli anni 1863-1864, e Atti, sed. del 2-6-63, 16-11-63, 5-3-64, 23-6-64.

83) AS, Carteggio, lett. n° 119 del 16-1-64.

84) Ibid., lett. n° 33 del 26-10-64.

85) AS,  Atti, vol. PP, n° 39.

86) Ibid., sed. del 15-12-64.

87) Ibid.

88) Ibid., sed. del 30-1-65, 30-3-65, 29-4-65, e anche Prot., del periodo.

89) cfr. AS, Atti, sed. del 16-3-1865. La relazione fu pubblicata qualche anno dopo. cfr. P.MALPELI, Rapporto sul censimento della popolazione, Rimini 1869.

90) cfr. AS, Prot., lett. del 2,3,8,16,17 agosto.

91) Ibid., lett. del 28-4-65, n° 43.

92) C. MALAGOLA, L'Archivio governativo della R.S.M., (ristampa) San Marino 1981.

93) AS, Atti, vol. ii, n° 35, sed. 11-3-37, e 14-3-39.

94) Ibid., vol. NN, n° 37, sed del 6-11-55.

95) Ibid., vol. PP, n° 39.

96) Ibid., vol. QQ, n° 40, sed. dell'11-3-67.

97) Il codice è pubblicato in T. GIANNINI, M. BONELLI,op. cit. Per le informazioni fornite sullo Zuppetta cfr. AS, Atti, vol OO, n° 38, sed. del 26-10-58, 17-2-59.

98) AS, Cart., lett. n° 186 del 19-7-65, e del 30-7-65.

99) Ibid., lett. n° 24 dell'8-10-65.

100) Ibid., lett. n° 78 del 12-5-67; cfr. anche lett. del 17-5-67, 10-6-65 e 17-6-65.

101) Ibid., lett. n° 186 del 16-7-67.

102) Ibid., lett. n° 203 del 21-7-67.

103) Ibid., lett. del 23-7, 10-8, 18-9, 29-9-67.

103a) Ibid., lett. n° 182 del 25-1-68.

104) Ibid., lett. del 25-5-69.

105) Ibid., lett. n° 211 del 9-2-69.

105a) Ibid., lett. n° 67 del 6-5-67, n° 74 del 10-5-67, n° 85 e mezzo del 17-5-67.

106) Ibid., lett. n° 79 del 12-5-67.

107) Ibid., lett. n°242 e mezzo del 17-8-67, n° 245 e mezzo del 21-8-67.

108) Sulla vita del collegio si veda soprattutto C. BUSCARINI,  Il Ginnasio Liceo Statale di San Marino ad un secolo dalla sua erezione, in Annuario del Liceo, a.s. 1979-1980, San Marino 1982.

109) I "letterati", secondo il censimento del 1865, ammontavano ad 862 individui, di cui 605 uomini, e 257 donne. La stragrande maggioranza di costoro (387+211) erano della parrocchia della Pieve, cioè di Città e Borgo, e della parrocchia di Serravalle (99+22). cfr. Rapporto sul censimento..., cit.

110) cfr. AS, Atti, vol. PP, n° 39, sed. del 10-4, e 15-9-1864. Purtroppo non è specificato in cosa consistesse il nuovo metodo didattico.

111) Ibid., sed. del 5-9-1865.

112) Ibid., sed. del 28-12-1865, e del 27-10-1866.

113) AS, Prot., lett. del 5-11-1866.

114) AS, Atti, vol. QQ, n° 40, sed. del 16-5-67.

115) Su tutta la polemica si veda AS, Cart. del periodo. Le richieste avanzate da Belluzzi si trovano nella lettera n° 198 del 10-8-1868. La proposta di acquistare Palazzo Begni viene avanzata dal Reggente Malpeli nella seduta consigliare del 13-8-1868.

116) cfr. AS, Atti, vol. QQ, sed. del 31-8-68.

117) cfr. AS, Cart., lett. n° 68 del 10-11-1868.

118) cfr. AS, Atti, vol. QQ, sed. del 31-8, e del 20-11-71. Già nel 1863 Ciro e Giuseppe Guardigli avevano chiesto l'istituzione di scuole serali "a pro degli artisti e del povero", e Marino e Domenico Fattori si erano offerti gratuitamente per tale compito. L'iniziativa, però, non ebbe seguito. cfr. Atti, vol. PP, sed. del 7-12-63.

119) Ibid., vol. PP, n° 39, sed. del 26-8, e 23-10-65.

120) cfr. T.GIANNINI, M.BONELLI, op.cit.

121) cfr. C. BUSCARINI, Il Ginnasio Liceo..., cit.

122) cfr. AS, Atti, vol. PP, n° 39, sed. del 7-12-63.

123) Ibid., sed. del 23-6-63, e vol. QQ, sed. del 16-5-67. La seconda volta fu concesso un monopolio per sei anni.

124) cfr. AS, Istanze al Consiglio, 1863.

125) AS, Atti, vol. QQ, sed. del 4-12-69.

126) Ibid., sed. del 26-4-70.

127) Ibid., sed. del 5-5-70.

127a) Ibid., sed. del 15-4-68.

128) P. FRANCIOSI, Istituti di beneficienza e previdenza in DE LIVIERI DI VALDAUSA, Libro d'oro della R.S.M., Foligno 1914.

129) AS, Atti, vol.LL, n°35, sed.del 14-3-1839.

130) cfr. P.P.Guardiglia, S.Nespolesi, La Società Unione Mutuo Soccorso, in AA.VV. Storia illustrata della Repubblica di San Marino, S.Marino 1985.

131) AS, Prot., lett. dell'11-11-67.

132) Ibid., lett. del 15-12-67.

133) Ibid., lett. n° 127 del 16-12-66, lett. n° 149 del 25-12-66, lett. del 27-12-66, lett. n° 174 del 6-1-67.

134) AS, Atti, vol. QQ, sed. del 25-5-69.

135) AS, Prot., lett. n° 267 del 4-3-1869.

136) AS, Prot., lett. n° 223 del 30-7-1866. Il contenuto della lettera è succintamente riassunto nel Protocollo, ma essa non è presente tra il Carteggio..

137) AS, Prot., lett. n° 225 del 31-7-1866, n° 236 del 3-8-1866; lett. del 16-11-1869.

138) AS,  Atti,  vol. QQ, sed. dell'11-3-67.

139) cfr. T. GIANNINI, M. BONELLI, op. cit.

140) AS, Atti, sed. del 13-8-68.

141) Sulla monetazione sammarinese cfr. M. ZANOTTI, C. BUSCARINI, Monete e medaglie commemorative della R.S.M., S. Marino 1982.

142) AS, Prot., lett. n° 48 del 31-10-1868.

143) AS, Prot., lett. n° 1 del 2-4-1869, n° 16 del 13-4-1869.

144) Ibid., lett. n° 32 del 19-4-1869.

145) cfr. AS,  Conti consuntivi 1865-1874.

146) AS, Prot., lett. del 24-1, 8-2, 12-2, 17-3, 1-4, 2-4, 28-4, 1-5-1867.

147) Ibid., lett. del 15-6, 2-7-1868.

148) Ibid., lett. del 31-8-69.

149) Ibid., lett. del 20-1, 9-4-1870.

150) AS,  Cart., lett. n° 87 del 2-6-1868.

151) F. BALSIMELLI, Superstites Viarum, in Annuario del Liceo-Ginnasio governativo e Scuola Media, n.X, a.s. 1967-68.

152) AS, Atti, vol. QQ, sed. del 27-10-1867.

153) Ibid., sed. del 13-8-1868.

154) F. BALSIMELLI, op. cit.

155) AS, Atti, vol. QQ, sed. del 25-5-70.

 

Capitolo 3

 

 

1) Per tutti questi dati cfr. AS, Conti consuntivi dello Stato 1865-1874,

   e  Conti consuntivi dello Stato 1874-1885.

2) AS,  Atti, vol. QQ, sed. del 28-11-70.

3) I problemi furono quelli di cui si parlerà fra qualche pagina, legati alla morte di Pietro Borghesi. cfr. AS, Atti, vol. RR, n° 41, sed. del 30-1-72 e del 25-7-72.

4) cfr. AS, Prot., del 1872 per la corrispondenza avuta con i consoli e con le banche in realzione agli investimenti che si volevano fare.

5) AS, Atti, vol. SS, n° 42, sed. del 10-3-1879.

6) Ibid., vol. RR, n° 41, sed. del 28-9-72.

7) Il 14 settembre 1873 si stabilì di aiutare l'emigrazione invernale stanziando 100 lire, essendovi in quell'anno molti che avevano la necessità di recarsi fuori confine per cercar lavoro. Il 15 marzo dell'anno successivo, però, ci si rese conto che tale cifra era del tutto insufficiente. cfr. Atti, vol. RR, n° 41.

8) cfr. T.GIANNINI, M.BONELLI,  op.cit.

9) cfr. AS, Atti, vol. RR, sed. del 25-7-72.

10) Ibid., sed. dell'8-5-73.

11) Ibid.

12) AS, Atti, vol. SS, sed. del 28-8-75.

13) AS, Atti, vol. RR, sed. del 25-7-72.

14) AS, Prot., lett. del 17-2-1870.

15) Ibid., lett. n° 164 del 26-6-1870.

16) AS, Cart., lett. n° 215 del 18-7-1870.

17) Ibid., lett. n° 77 del 10-11-1870.

18) AS, Prot., lett. del 4-4-1871.

19) Ibid., lett. del 5-12-1872.

20) AS, Atti, vol. RR, n° 41.

21) Ibid.

22) Ibid., sed. del 27-3-73.

23) cfr. T.GIANNINI, M.BONELLI, op. cit.

24) AS, Atti, vol. SS, n° 42, sed. del 28-8-75.

24a) cfr. AS, Prot., lett. del 27-11-73, 4-3-74, 24-4-75, 26-9-75, 13-5-  

     77, 11-10-78.   

25) AS, Cart., lett. 219 del 25-9-1879.

26) AS, Atti, vol. RR, sed. del 14-6-71.

27) AS, Prot., lett. del 10-6-75.

28) Ibid., lett. del 15-6-75.   

29) AS, Atti, vol. RR, sed. del 29-4-73.

30) Ibid., vol. SS, sed del 24-4-77.

31) AS, Prot., lett. del 3-7-1875.

32) Ibid., lett.del 14-12-1872.

33) Ibid., lett. del 24-1-1876.

34) AS, Cart., lett. n° 137 del 17-2-77.

35) Entrambe le convenzioni sono riprodotte in M. ANTONIETTA BONELLI, I rapporti convenzionali italo-sammarinesi, Verucchio 1985.

36) Per ulteriori notizie cfr. F.FILANCI, A. GLARAY, Il servizio postale della Repubblica di San Marino, 1977.

37) cfr. AS, Conti consuntivi dello Stato 1874-1885.

38) cfr. AS,  Atti, vol. TT, n° 43, sed. del 13-5-80.

39) Ibid., vol. SS, n° 42.

40) AS,  Cart., lett. n° 46 del 14-11-1878.

41) AS, Atti, vol. SS, n° 42, sed. del 4-1-77.

42) Ibid., vol. UU, n° 44.

43) AS, Cart., lett. n° 114 del 29-5-70.

44) Ibid., lett. n° 119 del 2-6-70.

45) Ibid., lett. n° 158.

46) Ibid., lett. n° 4 dell'1-10-1871.

47) Ibid., lett. n° 13 DEL 2-10-71.

48) Ibid., lett. n° 249 del 20-3-1874.

49) Ibid., lett. n° 250 del 22-3-74.

50) Ibid., lett. n° 7 del 9-4-74.

51) Ibid., lett. n° 12 bis del 12-4-74.

52) AS, Atti, vol. RR, sed. dell'11-4-74.

53) AS, Cart., lett. n° 47 del 29-4-74.

54) AS, Atti, vo. RR, sed. del 26-4-74.

55) AS, Cart., lett. n° 51 del 1-5-74.

56) Ibid., lett. n° 61 del 6-5-74.

57) Ibid., lett. n° 65,66,67.

58) Ibid., lett. n° 71.

59) Ibid., lett. n° 72 bis dell'11-5-74.

60) Ibid., lett. n° 72 ter.

61) Ibid., lett. n° 78.

62) Ibid., lett. n° 100, 114, 121.

63) Ibid., lett. n° 148 del 1-6-74.

64) AS, Atti, vol. RR, sed. del 9-6-74.

65) cfr. Prot. e Atti del periodo.

66) AS, Cart., lett. n°258 del 19-8-74.

67) Ibid., lett. del 19 e 25-8-74.

68) Ibid., lett. del 19-9-74.

69) Ibid., lett. n° 289.

70) Ibid., lett. del 23-9-74.

71) Ibid., lett. n° 39 del 23-10-74.

72) Ibid., lett. n° 53 del 29-10-74.

73) AS, Prot., lett. del 28-2-75.

74) Ibid.

75) Ibid.

76) Sull'argomento cfr. Atti e Prot. del periodo.

77) AS, Prot., lett. del 13, 17, 21-1 e 9-2-78.

78) cfr. Prot., lett. del 12, 26-5 e 9-8-70.

79) cfr. Prot., lett. del 9 e 18-6-72.

80) Ibid., lett. del 5-10-76.

81) Ibid., lett. del 2-9-71.

82) Ibid., varie lettere di febbraio e marzo 1873.

83) Atti, vol. SS, sed. del 9-10-75.

84) Ibid., sed. del 4-1-74. E' verbalizzata anche la relazione di De Bruc.

85) cfr. AS, Istanze al Consiglio del 1870.

86) Ibid.

87) AS, Atti, vol. QQ, sed. del 23-10-70.

87a) Sviluppando i miei studi per il presente testo, mi sono imbattuto in alcune informazioni su Marino Giovannarini che mi erano ignote quando ho scritto "Il delitto Bonelli", e che riporto ora. Egli rimase in carcere nell'Isola d'Elba fino al febbraio del 1862, poi venne trasferito a Genova. Qui rimase imprigionato fino al 1866 quando gli fu concessa la grazia a condizione che se ne andasse via per sempre da San Marino e dall'Italia. Scelse come luogo d'esilio Alessandria d'Egitto: il 14 settembre fu inviato a Brindisi, e da qui il 30 s'imbarcò. Probabilmente per qualche anno se ne stette in esilio, ma nel 1870 risulta a Dijon a combattere al fianco di Garibaldi. Nel '72 infine viene imprigionato nuovamente a Roma per smercio di moneta falsa.

88) AS, Atti, vol. QQ, sed. del 30-10-70.

89) Ibid., vol. RR, n°41.

90) Ibid.

91) AS, Prot., lett. del 19-6, 11-7, 13-9, 25-10-70.

92) Ibid.

93) AS, Atti, vol. QQ, sed. del 6-12-70.

94) Ibid., vol. RR, sed. del 31-10-71.

95) E' nella serie delle Istanze al Consiglio.

96) Ibid., sed. del 17-11-73.

97) Ibid., vol. SS, sed. del 22-9-78.

98) Ibid., sed. del 29-9-78.

99) Ibid., vol. TT, n° 43, sed. del 22-10-81.

100) Ibid., sed. del 6-11-82.

101) Ibid., vol. RR, sed. del 13-10-73.

102) cfr. M. BONELLI, T. GIANNINI, op. cit.

103) Ibid.

104) La raccolta è reperibile presso la Biblioteca di Stato.

105) AS, Atti, vol. RR, sed. del 20-11-71, 11-1-72.

106) AS, Atti, vol. KK, n° 34, sed. del 26-6-22.

107) Ibid., sed. del 1-9-25.

108) AS, Istanze al Consiglio.

109) Ibid.

110) N. MATTEINI, La Repubblica di San Marino nella storia e nell'arte, San Marino 1988.

111) AS, Atti, vol. VV, n° 45.

112) F. BALSIMELLI, Superstite viarum, cit.

113) AS, Atti, vol. RR, sed del 27-1-73.

114) Ibid., sed. del 30-3-73.

115) Ibid., sed. del 31-10-71.

116) Ibid., sed. del 13-10-73.

117) Ibid., vol. TT, sed. del 1-7-79.

117a) Ibid., sed. del 15-2-81.

118) Ibid., sed. del 24-3-81.

119) Si rimanda all'ultimo uscito: P.P. GUARDIGLI, S. NESPOLESI, La Società Unione Mutuo Soccorso, in AA.VV., Storia illustrata della Repubblica di San Marino, vol.2°, S. Marino 1985.

 

 

CAPITOLO 4

 

 

1) AS, Atti, vol. SS, sed. del 26-5-1878.

2) Ibid.

2a) AS, Istanze al Consiglio 1878.

3) Sentenza Malpeli con alcuni Documenti, S. Marino 1881.

4) AS, Atti, vol. TT. n° 43.

5) AS, Prot.

6) Ibid., lett. n° 18 dell'8-10-79.

7) Ibid., lett. del 27-9-79.

8) Ibid., lett. del 29-9-79.

9) P. MALPELI, Al Generale Consiglio Principe e Sovrano della Repubblica

   di S. Marino, Genova s.d.

10) In Sentenza Malpeli..., cit.

11) Ibid.

12) AS, Atti, vol. TT, n° 43.

13) Il Giovane Titano, anno I, n° 12, 3-4 settembre 1881.

14) N. MATTEINI, Il giornalismo nella Repubblica di San Marino, San Marino

    1967.

 

 

 

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          TORNA

 

APPENDICE DOCUMENTARIA

 

INDICE DEI DOCUMENTI IN APPENDICE

 

N°  1 - Relazione di Palamede Malpeli - 1859

N°  2 - Relazione di Palamede Malpeli - 1864

N°  3 - Lettera di D.M.Belzoppi alla Reggenza - 8/2/1861

N°  4 - Legge sul diritto d'asilo - 4/8/57

N°  5 - Progetto per carta moneta - 8/1/80

N°  6 - Statuto della Società Umana di San Marino - 1869

N°  7 - Lettera di Pasquale Greco alla Reggenza - 8/9/63

N°  8 - Protesta contro l'espulsione di rifugiati politici - 30/8/74

N°  9 - Istanza di Palamede Malpeli a favore dei beni artistici - 24/4/70

N° 10 - Istanza di Palamede Malpeli sull'istruzione femminile - 5/10/62

N° 11 - Istanza di P. Malpeli contro il calo dei consiglieri - 1871

N° 12 - Relazione sulla vicenda del commissario della legge - 11/5/70

N° 13 - Relazione di P. Malpeli sull'arresto di rifugiati - 15/5/74

N° 14 - Lettera di S.Belluzzi e P.Tonnini alla Reggenza - 3/6/74

N° 15 - Lett. del Ministro degli Esteri sulle riunioni mazziniane-13/6/70

N° 16 - Articolo de La Luce di Trieste - 23/4/74

N° 17 - Lettera della Reggenza ai parroci della Repubblica - 23/5/74

N° 18 - Lettera di Cibrario al Reggente P. Malpeli - 6/2/65

N° 19 - Legge istitutiva della Commissione di Soccorso - 15/9/77

N° 20 - Lettera di Gaetano Belluzzi alla Reggenza - 25/7/57

N° 21 - Lettera di S.Belluzzi e P.Tonnini alla Reggenza - 21/5/74

N° 22 - Discorso di Palamede Malpeli nell'arengo - 5/4/68

N° 23 - Lettera di Cibrario al Reggente Palamede Malpeli - 15/2/65

N° 24 - Rapporto di Palamede Malpeli alla Reggenza - 1867

N° 25 - Lettera di d'Avigdor alla Reggenza - 23/4/59

N° 26 - Proposta per casinò di Luigi Tanfani - 17/8/74

N° 27 - Lett.della Reggenza a Canuti,Cesari,Savorelli,Paltrinieri-10/8/58

N° 28 - Proposta di d'Avigdor per lotteria internazionale - 1863

N° 29 - Proposta Malpeli - 1873

N° 30 - Proposta Malpeli per programma scolastico - 30/9/78

N° 31 - Convenzione Italia-San Marino - 1862

N° 32 - Convenzione Italia-San Marino - 1872

 

 

APPENDICE N° 1

 

RELAZIONE DI PALAMEDE MALPELI NEL CONSIGLIO DEL 30 OTTOBRE 1859

 

Fedeli al nostro giuramento, fedeli alla coscienza del nostro ministero, fedeli alla voce della Patria, noi siamo indotti ad assumere innanzi a voi un linguaggio forse fuori dell'ordinario, poichè come noi condanniamo e dichiariamo pessimo quel cittadino, o quell'oratore, che in faccia ai forastieri, o ai profani sveli con maledica lingua le piaghe del proprio paese, altrettanto crediamo che noi chiamati al governo di questo stesso paese, ci troviamo nell'obbligo di manifestare le piaghe medesime senza velo alcuno agli occhi del Sovrano, benchè ciò riesca forse rincrescevole; ad imitazione del medico pietoso, che adopera amari medicamenti a sanare l'infermo, o veramente ad imitazione di quel leale amico, che difende a spada tratta l'amico quantunque colpevole in faccia a tutto il mondo, ma acremente lo rimprovera, gli fa conoscere le sue colpe, e lo corregge quando a viso a viso gli ragiona.

Se spassionatamente riguardiamo al passato, vi fu tempo non lontano, in cui l'aver la repubblica continuato la sua politica e potenza, parve miracolo; nè si saprebbe a chi attribuirlo, se al grande prestigio, che presso i lontani ha il nome di questa nostra Repubblica, fondata, come dicesi da un Santo, onorata da tutti i Regnanti, rispettata da grandi guerrieri, coronata dall'imarcescibile ghirlanda di quindici secoli, o veramente alla nostra singolare pietà, o Cittadini, corroborata dalla protezione ed assistenza innegabile di Dio, e del nostro grande Protettore S. Marino. Noi non sapremmo certamente a quale di queste due cagioni la Repubblica debba principalmente la sua salute; la Repubblica che dai mentovati luttuosi interni sconvolgimenti, incominciò ora soltanto a respirare e tranquillarsi; non solo per le attuali a noi propizie circostanze politiche ma molto più per la rara saggezza delle ultime benemerite Reggenze giovate dai consigli salutari del nostro cavaliere comendatore Borghesi, che da un lato formando il principale oggetto della nostra venerazione, e della nostra gratitudine, è dall'altro lo splendore e l'ammirazione di tutta l'Europa scientifica. Nulladimeno questa cara patria, risente ancora tutte le funeste conseguenze del disordine e ne fan fede le Casse pubbliche prive del denaro necessario, il Governo gravato di qualche debito, le strade ridotte tutte a vergognosamente impraticabili, le torri, la rocca, le mura minaccianti ruina, i pubblici edifici crollanti, e venuti a tale stato, che nè alla maestà del Principe convengono, nè alla stessa povertà spartana potrebbero essere addicevoli. Il servizio di Polizia reso da una parte inutile ed illusorio, dall'altro non poco dispendioso; la macchina interna governativa quasi tutta in qualche disordine, le stesse famiglie soggette a risentire nella loro privata economia il disguido delle cose pubbliche: le leggi sapientissime, ma inosservate, l'elemento religioso indispensabile per ottenere l'ordine pubblico delle masse, ridotto in uno stato di noncuranza e di avvilimento; i Sammarinesi buoni per natura sedotti dal mal'esempio di qualche tristo, darsi in preda all'ozio, al giuoco, all'ubriachezza, sorgenti miserande di povertà, d'ignoranza, di litigi di continuo disordine. E ciò che è peggio si è che a questi mali, che ora deploriamo, la nostra più scelta gioventù si appiglia, in luogo di correre la via dell'educazione e della istruzione approfittando di quei sufficienti mezzi, che la cura dei nostri maggiori e dell'attuale governo ci fornisce nel Nobile Collegio Belluzzi, e nelle altre pubbliche guise d'insegnamento. E seppure qualcuno si consacra a questa nobile palestra, spesso per povertà della propria famiglia è costretto a cercar fuori della patria quel pane, che questa forse non potrebbe dargli. Avegnachè è costretto ad accumulare due o più impieghi in uno stesso individuo, perchè questi abbia modo di sostentare la vita.

Egli è per questo motivo, o Sovrano Consiglio, che molti degli stessi cittadini sono scontenti del nostro Governo, ed anzichè cooperare all'ordine ed al bene pubblico, sono primi promotori di disordine. Noi, ve lo ripeteremo, fedeli al nostro giuramento, fedeli alla coscienza del nostro ministero, fedeli alla voce della Patria, ed aggiungeremo pur anco fedeli alla voce della progrediente civiltà, ci siamo risoluti di porre sotto gli occhi vostri, o Sovrano Consiglio, le necessità ed i disordini dello stato, per potere e alle une e agli altri applicare quei provvedimenti, che la Patria da Noi altamente, e da lungo tempo reclama. Protestiamo però avanti voi, o Sovrano Consiglio, che noi non vogliamo arrogarci il vanto di essere stati primi a chiamarvi a provvedere ai tanti bisogni della Patria nostra. Non mai che anzi il merito dell'iniziativa si deve tutto ai nostri benemeriti ed illustri Antecessori. In fatti a null'altro attendevano, che a provvedere ai bisogni della Patria, quando gli esimi e benemeriti nostri Signori Avvocato Filippo Belluzzi, e Giuliano Belluzzi si adopravano l'uno nel far riconoscere officialmente l'indipendenza della Repubblica alla corte di Francia, e più tardi l'altro a quella d'Inghilterra; quando veniva eletto per cura dell'uno l'esimio Prof. Zuppetta a compilare il Codice Penale, e più tardi per cura dell'altro il Civile; quando da questo si tentava e s'incominciava ad introdurre nei Cittadini lo spirito di progresso nel commercio, coll'aprire una soscrizione di Azionisti per l'installazione di utili opifici; quando finalmente a decoro ed utile della Repubblica si istituiva il nuovo Ordine Araldico di San Marino, e se ne fregiava il Principe Imperiale di Francia e gli si conferiva il grado di Generale Onorario delle nostre milizie dietro proposto dell'Egregio nostro Comandante Generale Marco Tassini. Noi adunque non facciamo che seguire l'esempio dei nostri antecessori, e da questo esempio animati, alziamo più forte la voce, o Sovrano Consiglio, non despota, ma padre amoroso dei nostri sudditi, che vi applichiate oggi più seriamente a ciò che da Voi aspetta la Repubblica, a quegli energici provvedimenti cioè, che occorrono per rendere felici i vostri sudditi. Ma quale saranno questi provvedimenti? Siamo al secondo punto della questione. Noi abbiamo portato sotto i vostri occhi il male; ma ciò a qual'utile, se Voi e Noi non ci occuperemo della medicina per esso? Medicina tale però, che solo potrà ovviare ad una parte del male, perchè sarebbe una follia il pretendere che possa rinvenirsi sulla terra un governo privo di ogni inconveniente. Discutiamo.

Diversi sono i mezzi a seconda della diversa natura delle cose che si vogliono fare. Altri sono i mezzi che adopera il Sacerdote per convertire il peccatore, altri quelli che adopera il medico per guarire l'infermo, altri quelli che adopera un padre di famiglia per sistemare la casa, altri finalmente quelli che adopera un Sovrano per la retta amministrazione del suo regno. Il Sacerdote ha la parola divina, il medico le medicine, il padre di famiglia la domestica economia, e il sovrano che avrà? Il Sovrano, lo diremo con un motto francese, il Sovrano ha l'oro e l'argento: L'argent fait tot. Coi quattrini si ottiene ogni cosa, come dice un illustre scrittore, "i denari sono per uno stato come il sangue per il corpo". Coi denari si tolgono i debiti, si fanno le strade, si restaurano gli edifizii, si mantiene la vera polizia, coi denari finalmente con saggezza impiegati, si moralizza, e si fa felice un popolo. Ma alcuno dirà: se poc'anzi si è detto che le casse pubbliche sono esauste, e se il denaro è il mezzo principale per un governo, come faremo noi dunque a tirare innanzi? Vi confessiamo la verità, che ormai il tirare innanzi nel presente anormale stato di cose (che certo non esisteva al tempo de' nostri avi) se non sarà del tutto impossibile, sarà molto difficile. Ma senza perderci di coraggio, osserviamo se vi sia qualche mezzo lecito pel governo di rimpinguare l'errario, esaminando le proprie risorse. Se i nostri Toscani udissero qualche proposizione, affaccerebbero subito il progetto di distribuire a prezzo le nostre decorazioni: ma quanto ciò sia scandaloso e indecoroso per noi, e per la nostra dignità non fa mestieri il dimostrarlo: avvegnachè una tale quistione venisse già acclamata e sostenuta con tanta ragione e con tanta saggezza dal benemerito nostro Concittadino Nob. Sig. Settimio Belluzzi nel tempo che Egli degnamente sedeva su questo stesso Seggio sul quale oggi noi ci troviamo. Noi vi presentiamo o Sovrano Consiglio i sette titoli seguenti:

 

1-Riscossione dei crediti pubblici, e riscossione dei canoni enfiteutici.

2-Riscossione della cinquina sui fondi dei forastieri, che hanno acquistato beni stabili senza permesso.

3-Catasto Urbano.

4-Apertura delle Miniere Solfuree.

5-Stampa dei nuovi codici nostri.

6-Tassa sui passaporti distinti.

7-Coniazione di certa quantità di moneta.

 

Veniamo ora ad un peculiare sviluppo di ciascuno di questi titoli.

Ci si presenta il 1° Titolo. Riscossione dei crediti pubblici. Questa piaga fatale, e dirò quasi vergognosa, e che lo adivenne anche più coll'averla tante volte rimestata, non solo è nello interesse del governo il cicatrizzarla una volta, ma lo è molto più nello interesse dei particolari medesimi. Ciò non ha bisogno di dimostrazione per la parte dell'interesse del Governo, il quale per questo titolo può calcolare un danno di dodicimila scudi circa, ma interessa sommamente eziandio alle particolari famiglie debitrici di accomodare una tale partita; imperocchè quantunque esse famiglie sieno oggi giorno si può dire ritenute in buona fede, tuttavia la natura di questo debito porta con sè una certa tal quale macchia, di cui sarà sempre impresso il nome delle famiglie medesime. Il popolo le accenna a dito, e se giungesse mai il momento, che Dio tenga lontano, di estrema carestia, o di supremi bisogni, la plebe sollevandosi farebbe segno del suo furore principalmente le famiglie dei pubblici debitori. Fate dunque, o Sovrano Consiglio, che sia giunto il tempo di finirla una volta sulla questione di questi crediti. I debitori imitino il Nobile Sig. Francesco Guidi Giangi, il quale quantunque il Governo non avesse mai potuto produrre l'istromento di creazione del suo censo, volle tuttavia con patriottico generoso esempio riconoscersi spontaneo debitore, e dopo avere pagati annualmente e puntualmente i frutti del capitale, lo estingueva ultimamente nelle nostre mani sotto la cessata Reggenza. Noi siamo di parere, o Sovrano Consiglio, che non si debba ricorrere alle controversie del Foro in simile materia (parlando sempre dei debiti controversi) se non quando ogni altro mezzo di concigliazione sia esaurito; ma invece venire coi debitori a quella qualsiasi transazione suggerita dall'equità e dal decoro. E noi vi chiediamo o Sovrano Consiglio, che su questo particolare ne accordiate la vostra benigna approvazione. Forma come appendice di questo titolo la riscossione dei canoni enfiteutici. Ciò non ha mestieri di dilucidamento, ma solo di un vostro risoluto decreto in proposito, o Sovrano Consiglio. La somma che potrà dare questa partita è calcolata a cinquecento scudi circa ed anche più.

Segue il 2° Titolo. - Riscossione della cinquina sui fondi dei forestieri, che hanno acquistato beni stabili senza permesso. Ciò che abbiamo detto dei canoni enfiteutici, lo ripeteremo per questo titolo, invitando il Consiglio Sovrano a pronunziarsi o per l'abolimento di detta legge conforme al voto provocato dall'Avv. Salvagnoli, o per la rigorosa osservanza della medesima. La somma che potrà scaturire da questo titolo è calcolato per quello che ora è noto a circa scudi cento.

Cade a commento il 3° Titolo. - Catasto Urbano - Si stabiliva al certo una nuova era di progresso e d'incivilimento nella nostra Repubblica, quando con vostro decreto, o Sovrano Consiglio, si apriva il 7 gennaio 1857 l'Ufficio delle Ipoteche, Bollo, e Registro. Noi non faremo qui l'apologia di questa istituzione, perchè troppo nota ad ognuno. Ma questa istituzione medesima rimaneva tutt'ora per noi imperfetta, mancandovi la redazione del Catasto Urbano. Per cura della cessata Reggenza s'iniziava quest'importante lavoro, e la Reggenza attuale non tralascerà al certo di continuare in queste pratiche, e di usare di tutti quei mezzi che sono in suo potere, perchè il detto Catasto venga attivato nei primi del venturo anno 1860 prima che spiri l'ultimo termine perentorio per la iscrizione, e trascrizione dei titoli anteriori. Esso ha due fini: quello di porgere il mezzo ai creditori di assicurare i loro crediti; e l'altro di mostrare in modo approssimativo il capitale stabile urbano di ciascun possidente. In conseguenza di quest'ultima nozione la Reggenza sarebbe di avviso, che abbolita ogni altra tassa, sia straordinaria, sia testatica, s'istituisse una sola tassa ordinaria, calcolata proporzionatamente al solo estimo urbano e rustico di ciascuno, pagabile in quattro rate trimestrali, e per ciò più facilmente riscuotibile. I vantaggi, che ne vengono al Governo da questo nuovo sistema sono fondati o Sovrano Consiglio sui principi dell'uguaglianza e della equità, e sono così evidenti e ragionevoli che non hanno bisogno di spiegazione e di raccomandazioni. Non si può precisare la somma, che ne verrà di utile al Governo da questa istituzione, ma certamente è una somma non lieve; poichè aprirà due fonti d'utile, l'una per parte della nuova modica tassa, l'altra per parte dell'Ufficio delle Ipoteche e Registro.

Ma senz'altro passiamo al 4° Titolo - Apertura delle Miniere Solfuree. Eccoci ad un tema la cui proposizione a Voi, o Sovrano Consiglio, è da molti reclamata, e da altri forse, diciamolo sinceramente, in qualche parte avversata. Noi non faremo che esporre genuinamente i fatti.

Nel Settembre del 1857 alcuni Toscani, che, a parlar schietto non godono ora la più vantaggiosa opinione presso gran parte dei Sammarinesi, trovandosi a diporto in questa Repubblica, osservarono come in alcuni punti e specialmente burroni presso Faetano, il terreno indicasse l'esistenza di vene minerologiche e metallurgiche. Ripatriando portarono seco alcuni pezzi campioni, per farli analizzare da un esperto chimico, il Professor Mari di Crema, il quale ottenne che il primo campione fruttava il 36% di Zolfo, il 28 di ferro, il 36 di ganza. Il secondo il 35 di zolfo, il 27 di ferro ed il 38 di ganza; ed il terzo il 55 di zolfo, il 45 di ferro. Dietro i quali favorevolissimi risultati indirizzarono una Supplica o Memoria a questo Sovrano Consiglio, in data di Livorno 5 Ottobre 1857, nella quale chiedono, che sia loro concesso il gius privilegiato, privativo, ed esclusivo, di esplorazione e di escavazione assicurando la partecipazione sugli utili annuali del 5% al Governo, e del 5% ai proprietarii rispettivi dei fondi. Ed inoltre assicuravano d'impiegare per l'escavazione gran parte degli Operai Sammarinesi. Prima di presentare La petizione a voi, o Sovrano Consiglio, la Reggenza d'allora credè opportuno di consultare in proposito il Congresso Economico, il quale nella sua seduta 19 ottobre (detto anno) trovò accettabile in massima il progetto, ma ritovò necessario di attingere notizie sul modo che sogliono tenere gli altri Governi nel fare queste concessioni, ed osservò che sarebbe stato conveniente un deposito di denaro per parte della Società Conduttrice prima di por mano alle esplorazioni, per assicurare ai proprietari dei fondi l'indennità dei danni, e la restituzione in pristinum dei terreni, sui quali si fossero praticati infruttosamente gli assaggi. Noi non sapremmo abbastanza commendare questa risoluzione del Congresso Economico, come quella che porta l'impronta della prudenza e del discorrimento di cui son dotati i membri del Congresso medesimo. Però noi non potremmo approvare egualmente la risoluzione del detto Congresso nella sua tornata del 13 Aprile 1858, nella quale fra le altre cose stabilivasi di far venire dalla Perticara il Rossini al fine di praticare delle esplorazioni in proposito sui nostri terreni. Noi siamo in dovere di giustificare questa nostra proposizione. Facciamo osservare in primo luogo come una regolare esplorazione in proposito, non sia l'opera del momento, e della portata di ogni Ingegnere; ma opera lunga e difficile, e che solo può iniziarsi da una società intraprendente, che in vista di un grande, ma sempre futuro ed incerto guadagno, si risolve a gettar via qualche migliaia di scudi. Che se poi in secondo luogo l'opera del Rossini doveva limitarsi solo ad una superficiale esplorazione, allora questa sarebbe stata una ripetizione del lavoro fatto fare dai sulodati Toscani, nè si sarebbe conseguito punto il fine che si proponeva il Congresso Economico, quello cioè di conoscere i prodotti sperabili come specificatamente si legge negli atti di detto Congresso. Ma questo traviamento forse deriva dal non aver ben calcolata l'importanza della questione presa dal lato politico. Vi siano o no le miniere, al nostro governo poco deve importare per ora. Noi abbiamo -parte per poca volontà di lavorare, -parte per mancanza di lavoro e di occupazione- una quantità di gente, e specialmente di gioventù di ogni classe oziosa e senza impiego, per cui si dà al giuoco o al ladroneggio per sostentarsi, e chi senza darsi totalmente in preda al vizio, conduce una vita di stento, maledicendo al Governo, che non gli somministra il modo di guadagnarsi il pane. Per ovviare a questo inconveniente fa d'uopo, che si apra un ramo d'industria, ove tutti quanti possano trovarvi un pane ed un impiego adattato alla loro diversa posizione sociale. A noi dunque principalmente importa che, non potendolo noi a motivo dell'insufficienza del nostro errario, altri se vuole venga a comerciare ed a lasciare il proprio denaro nella Repubblica, venga a somministrare il modo di guadagnarselo a buona parte del nostro popolo proletario, che continuamente chiede pane e lavoro, venga ad accrescere le risorse economiche tanto del governo, quanto dei proprietarj di quei fondi, che saranno occupati, e che per la più parte sono ora burroni totalmente infruttiferi. Se le miniere non si trovano, non solo nulla noi non avremo rimesso, ma saremo ancora giustificati innanzi al popolo, che ce ne fa adebito, e la somma spesa per le esplorazioni dalla Società intraprenditrice, sarà stata spesa con utile degli artisti, e dei lavoranti del nostro paese. Se poi l'escavazione avrà luogo, allora i proprietarj dei fondi, ed il governo percepiranno per un dato tempo un utile da stabilirsi sui guadagni della Società deliberataria, e trascorso questo, il Governo stesso potrà approfittare delle Miniere, in quel modo che gli sembrerà più vantaggioso. Intanto per cura delle passate Reggenze sono stati provvisti i capitolati d'apalto di alcune miniere principali, intanto alcune Società si sono presentate per ottenere la concessione in discorso, e principalmente la Società delle Miniere Solfuree di Romagna. Intanto (lo ripeteremo), il popolo ad alta voce reclama pane e lavoro. Che il governo adunque conceda per anni 52 il diritto di esplorare, e di escavare le Miniere che posano sul suo territorio, con diritto di privativa, ed esclusiva a quella società, che non per asta, ma per concorso sarà da maggiorità di voti dal Sovrano Consiglio dichiarata deliberataria.

Che la Società faccia presso il governo un deposito in denaro di scudi mille durante i lavori di esplorazione, all'effetto di cui sopra dicemmo.

Che la Società sia tenuta nello spazio di un anno dalla concessione, di intraprendere i lavori di esplorazione, i quali non dovranno durare più di diciotto mesi.

Che la Società a quest'epoca debba dichiarare definitivamente di accettare o no le miniere, ed accettandole obbligarsi di intraprenderne l'escavazione entro sei mesi.

Che la Società degli operai, che Ella impiegherebbe, due terzi debbano essere sudditi Sammarinesi: e degli impiegati che terrà un terzo pure debba essere Sammarinese, col diritto al governo, o ad una sua comissione di approvare individualmente quelli che la Società crederà di occupare nella escavazione in discorso.

Che la Società corrisponda in due rate al governo sugli utili annuali immediati dell'escavazione il 5% ed egualmente il 5% ai rispettivi proprietarj dei fondi, ed a garanzia di tutto ciò, come pure di tutti quei danni, che per qualsiasi cagione ne potessero venire alla parte Finanziaria e Politica del governo a causa dell'apertura di dette miniere, lascierà e terrà senza interruzione un deposito nelle mani del governo di scudi trecento, per tutto il tempo della escavazione suddetta.

Che la Società tenga in piena e giornaliera attività i suoi lavori.

Che la Società non possa sotto qualsiasi titolo richiedere o sperare dal governo compenso alcuno, anche per disgrazie meramente fortuite.

Che la Società debba rendere al governo tutto ciò di prezioso che nella escavazione potesse rinvenire estraneo alle Miniere.

Che la Società non debba guastare strade, o disturbare il corso naturale dei fiumi senza l'ordine espresso del governo, e a quella condizione, che esso le imporrà per riparare i danni, che ne potessero venire.

Che la Società non possa trasmettere ad altre Società questo suo diritto, senza il consenso del Governo, e a quelle condizioni che al governo stesso sembreranno opportune.

Che la Società perderà ogni diritto alle Miniere per una sola contravenzione a qualunque delle suddette condizioni.

Che la Società prenderà a suo carico tutte le spese dell'atto giuridico relativo.

Che finalmente il governo formi una Commissione da riformarsi o rinnovarsi di tre in tre anni, composta della Reggenza pro-tempore presidente, dei Sindaci Vice-Presidenti, di un dottore in Legge, di un Procuratore, di un Perito-Ingegnere, di un Computista Segretario, col diritto e l'obbligo a tutti e singoli suoi membri di sorvegliare continuamente tanto le esplorazioni, che le escavazioni, perchè non si frangano i patti del presente capitolato, nonchè d'intervenire in tutti gli affari della Società relativi alle nostre miniere.

Con queste principali condizioni, senza le altre accessorie da aggiungersi, la Repubblica, o Sovrano Consiglio, può essere tranquilla: e previa la pubblicazione del Capitolato, può aprire i concorsi sospirati. Tuttavia Noi non nasconderemo a noi stessi, che molti di Voi, ragionevoli settatori del costume degli avi, non vi sentireste troppo inclinati a questo passo di progresso. Voi direte: di ciò non ebbero bisogno i nostri avi e la Repubblica è sempre esistita. Restiamo nella nostra povertà, e manterremo la nostra politica esistenza. Ebbene noi vi rispondiamo: volesse il Cielo che la Repubblica si trovasse ora nello stato in cui era al tempo dei nostri avi. Allora la città era popolata di ricchi possidenti, alle casse pubbliche non mancava danaro, i cittadini educati a più poveri costumi, amavano meno i comodi della vita. Maggiore era il numero degli uomini istruiti, perchè maggiori i mezzi finanziarj. Minori erano le spese del governo, perchè minori gli abusi, minori i bisogni, maggiore era la temperanza nei sudditi, perchè minori idee di progresso di civiltà, e diremo ancora di coruzione, esistevano fra noi. Ma ora il quadro è molto cangiato. Scarse sono ridotte le famiglie dei possidenti, che possano riversare sul popolo artigiano il denaro ritratto dalle loro rendite. Scarsissime le famiglie, che possano mettere nella via della vera dispendiosa istruzione i propri figli. Le casse pubbliche che per i passati abusi, che ognuno conosce, sono in quello stato, che ognuno sa: il popolo, lo diremo pure, crescendo con più rilassata educazione, sente bisogni, che pria non aveva, e dall'altra parte mancano le risorse alla sua infiacchita energia. Che anzi ringraziamo il Cielo, poichè ciò si verifica in molto maggior proporzione in tutti gli altri siti. Questa è una legge del progresso, alla quale noi non ci possiamo opporre, rimanendoci stazionarj, perchè legge da Dio impressa nella natura stessa delle cose allorchè ad esse dette e vita e movimento. Ma i popoli degli altri stati mercè del progresso hanno nuove risorse, che noi ancora non abbiamo. La Repubblica pertanto deve per necessità progredire ancora essa adottando quelle leggi e quei sistemi dal progresso condotti, non certo all'impazzata, ma dopo che la esperienza di qualche tempo ne abbia resa manifesta e la ragionevolezza, e la utilità. Nè noi pretendiamo in fine colla nostra proposizione di rendere la Repubblica ricca e possente, perchè allora noi mineremmo alla sua salute, ma solo di ridurre i suoi erarj a quel tanto che è indispensabilmente necessario, per soperire a principali urgentissimi bisogni dello Stato.

Ma tornando al primo proposito, prendiamo la libertà, o Sovrano Consiglio di farvi osservare come nelle basi del Capitolato, abbiamo eziandio proveduto, che per parte di esteri azionisti noi non siamo soprafatti, se mai questi approfittare volessero dell'ascendente guadagnato sul popolo in grazia del somministrargli pane e lavoro. Noi abbiamo detto, che le miniere debbono deliberarsi non per asta, ma per concorso, e voi o Sovrano Consiglio dovete preferirne quella fra le Società concorrenti, che vi sembrera migliore. E così il popolo dovrà ripetere da voi solamente, se egli ha il chiesto pane, ed il desiderato lavoro. Noi abbiamo imposto alla Società Deliberataria il numero degli individui da impiegarsi, e abbiamo riservata al governo la facoltà di permettere o no, che gl'individui designati dalla Società stessa ottengano individualmente il lavoro delle miniere. Noi abbiamo provveduto, che la Società Deliberataria abbia sempre un deposito di denaro presso questo governo per qualsiasi danno che ne potesse derivare al medesimo per l'apertura delle Miniere stesse. Noi finalmente abbiamo consigliata una Commissione con estesissimi poteri sull'affare in proposito.

Noi attendiamo tranquillamente, o Sovrano Consiglio, il voto della vostra coscenza quale che siasi, poichè sgravandoci di un peso grave, che noi avevamo verso di voi, e verso il popolo Sammarinese, siamo nell'intimo convincimento, che null'altro movente ci ha dominati che l'interesse e la solecitudine per il benessere della nostra amata Repubblica.

Seguitando il nostro cammino siamo al 5° Titolo. Stampa dei nuovi codici nostri. Poche parole diremo di questo titolo, come quello che non ha bisogno di calcoli astrusi per essere dimostrato. Diremo soltanto fondandoci sull'esperienza, che la sola prima stampa dei codici promessi dal Professore Zuppetta qualora sia nettamente, e disinteressatamente amministrata, potrà fruttare al governo un'utile netto di circa 2500 scudi.

6° Titolo - Tassa sui Passaporti distinti. Questo penultimo titolo, più che un'utile per il governo propone una cosa decorosa, e praticata da tutti gli altri stati civilizzati. Ognuno di essi ha tre specie di passaporti; il Foglio di Via - il Passaporto - il Passaporto Distinto, il quale suole darsi alle persone di riguardo. Noi specialmente abbiamo frequente occasione di doverlo adoperare per molti degli aggregati alla nostra Cittadinanza. Nobiltà, giacchè il più delle volte sono veramente persone di riguardo. A questo nuovo passaporto si potrebbe apporre una modica tassa, parte della quale andrebbe a profitto del Segretario degli Esteri, cui spetterebbe, e parte al governo per le spese minute.

Veniamo senza più al 7° ed ultimo Titolo. Coniazione di certa quantità di moneta. Non vi spaventate o Signori. Noi abbiamo potuto sapere come questo non sia un nuovo progetto, ma si suggerito altra volta dal nostro benemerito Cavaliere Comendatore Borghesi. Noi qui non vogliamo trattare ex professo l'argomento, ma vogliamo solamente sottoporre ai vostri occhi, o Sovrano Consiglio, alcune considerazioni, giacchè le presenti circostanze politiche e impedirebbero di effettuare un disegno, che nei tempi addietro noi avevamo concepito per manifestarlo poi nel tempo della nostra Reggenza.

1^ Considerazione. Per noi il coniare la moneta non sarebbe di alcun dispendio, avegnachè potendo ottenere da qualche tribunale una delle sequestrate macchine usate dai monetarj falsi negli ultimi tempi, un paio d'uomini in un giorno, conierebbero tutta la moneta, che ci abisogna.

2^ Considerazione. E' certo, che un'utile vi è pel governo nel coniare la moneta.

3^ Considerazione. Se da noi si coniassero un mille scudi di rame, saremmo certi, che dopo tre o quattro mesi non se ne troverebbe più uno, poichè i molti forastieri che passano per la Repubblica, non pel valore, ma per la curiosità ce ne distrigherebbero facilissimamente.

4^ Considerazione. Una volta decise le vertenze politiche, non si potrebbe per avventura iniziare un trattato, con qualsiasi governo, che avremo limitrofo, mercè del quale il detto governo desse corso coattivo nel suo stato alla nostra moneta di argento, o di oro, che però non dovrebbe essere inferiore nel valore intrinseco a quella del governo stesso. Nessun danno al certo ne verrebbe al governo contraente, e d'altra parte immenso utile a noi. Così verrebbe risoluta anche la questione che potesse sorgere, se il governo sarebbe compensato degli utili avuti nella coniazione, al momento di dovere dopo circa un secolo ed anche più rifondere la propria moneta consumata dall'uso.

5^ Considerazione. Il coniare propria moneta, è uno degli argomenti di Politica indipendenza.

Ultima considerazione. Il coniare intanto una certa quantità di rame, non serebbe che di qualche utile.

Compito così lo svolgimento dei sette titoli enunciati, esporremo a compimento dell'opera un nostro principio per confutare un'obiezione che forse vi si potesse fare, cioè perchè noi non abbiamo calcolato nei modi di far danaro un riducimento delle spese attuali. Noi non neghiamo che negli attuali preventivi esista qualche abuso, o qualche spesa male erogata; ma dall'altra parte noi ritroviamo un'inconveniente nelle scarse paghe degli impiegati, poichè queste nei tempi che corrono, non ci sembrano sufficienti per il loro mantenimento. Avegnachè quale cosa accade quando la propria paga non basta all'impiegato per vivere? Egli allora è costretto a ricorrere ad altre industrie, per aumentare la sua rendita. E queste sieno pure lecite, ma intanto il tempo, che in esse s'impiega viene rubato al disimpegno accurato dei doveri del proprio ufficio. Di maniera che se sulla paga si è risparmiato cinque, se ne perde poi venti a motivo dell'impiegato medesimo, che non attende con interesse e con amore all'ufficio affidatogli; e viceversa. Queste sono le nostre vedute economiche. Questi sono i nostri principj.

Eccellentissimo e Sapientissimo Principe! Noi dietro la voce del dovere, vi esponemmo qual sia la deplorabile attuale condizione del nostro amato paese, che non è certamente quella in cui si trovava al tempo dei sapienti vostri Avi. Noi vi adimostrammo come sia unico principal mezzo il denaro, a riparare ai bisogni del pubblico e del privato. Noi vi proponemmo nell'esaurimento attuale dell'erario un progetto di sette titoli cioè:

La Riscossione dei crediti pubblici, e la riscossione dei canoni enfiteutici. La riscossione della cinquina sui fondi dei forastieri, che hanno acquistato beni stabili senza permesso.

Il Catasto Urbano

L'apertura delle miniere solfuree

La stampa dei nuovi codici nostri

La tassa sui passaporti distinti

La coniazione di certa quantità di moneta.

Noi vi svolgemmo succintamente ad uno ad uno questi titoli, e così credemmo di obedire al nostro ministero, alla nostra coscenza, alla nostra Patria.

Ora pregando il Signor Segretario Genarale a registrare nel verbale di questa seduta queste nostre proposizioni, che avemmo l'onore di esporre innanzi a voi, le abbandoniamo alla vostra coscienziosa approvazione o disapprovazione, o Sapientissimi Padri, a cui formano splendida dote l'innato amore di libera terra, la esperienza di molti anni, la prudente sapienza propria virtù dei nostri Maggiori.

 

(AS, Atti, vol.OO, n° 38, sed. del 30 ottobre 1859)

 

 

APPENDICE N° 2

 

Relazione di Palamede Malpeli nel Consiglio del 15 dicembre 1864

   

   

      Eccmi Signori

 

L'argomento che oggi ho l'onore di presentare al vostro esame è di generale interesse, d'inevitabile urgenza, di profonda discussione; e però io vi prego che vogliate richiamare su di esso la vostra attenzione.

Egli è sull'attuale posizione finanziaria della Repubblica, che mi son deciso di tenervi ragionamento. Questo soggetto a voi si raccomanda di per sè a motivo della sua attuale importanza, della quale fanno fede alcune precedenti risoluzioni Consigliari non solo, ma la considerazione che questo ramo vitale di pubblica amministrazione si trova strettamente legato all'esistenza politica del nostro libero reggimento. L'esposizione stessa che io farò della cosa, mi dispensa dal prevenire le obiezioni che potessero affacciarsi sulla vera urgenza di questa discussione, e proverà che (...?) non mi apposi, quando nell'assumere in mano le redini del Governo credetti di servire agli obblighi giurati concentrando tutte le mie cure a scoprire quali fossero i principali bisogni della nostra diletta Repubblica. Io mi son dovuto persuadere che il provvedere ai bisogni fisici e morali del Paese, cioè alla finanza, ed alla pubblica istruzione erano le due cure alle quali ogni altra doveva metter capo, e che reclamavano una particolare sollecitudine da parte del nostro Governo, perocchè nel ben essere materiale e materiale (sic -forse si voleva scrivere morale-) del nostro Popolo trova il suo fondamento la Libertà.

Così dopo avere disbrigati alcuni provvedimenti d'ordine interno quali sono state la Legge Edilizia, o sulla pubblica Annona, il nuovo regolamento dei Gendarmi, il Censimento generale della Popolazione coll'impianto dello Stato Civile, mi son dedicato principalmente ad esaminare la condizione della pubblica finanza, lasciando agli ultimi mesi della mia Reggenza, se pure mi resterà il tempo, di fare eziandio qualche cosa per la moralizzazione del Popolo, migliorando ed allargando la pubblica istruzione.

Vengo dunque senz'altro al mio tema.

Io vi esporrò brevemente in primo luogo o Signori lo stato attivo  e passivo delle nostre Finanze: vi parlerò in secondo luogo dell'attuale sistema amministrativo: e in ultimo luogo vi farò un breve quadro di quelle risorse finanziarie che potrebbe per avventura aver la Repubblica al presente.

Non dissimulo la difficoltà di presentarvi uno stato attivo preciso, poiché non essendo stato fino ad ora mai compilato, si richiederebbero molte cure, molte indagini, e molti mesi per redigerlo esatto. Tuttavia ognuno di noi conosce che il nostro Governo possiede

1 - Qualche capitale stabile in beni rustici che gli danno una corrisposta

di pochissima entità:

2 - Molti capitali stabili Urbani che gli danno un fruttato quasi interamente passivo:

3 - Molti capitali mobili in Censi e Cambi dei quali però pochissimi gli corrispondono un annuo Cannone:

4 - La tenuissima tassa fondiaria che è ragguagliata, compreso il contributo strade, a 105 centesimi di scudo per ogni 100 di estimo:

5 - Le pochissime Tasse indirette cioè quelle sui principali generi di consumo, sul posteggio, sul Bollo, Registro, ed Ipoteche etc.

6 - I proventi che sono i più ragguardevoli dei generi di Regia:

7 - La corrisposta sul prodotto delle Dogane del Regno Italiano che esso ci paga per la convenzione 22 Marzo:

8 - Un avvanzo di circa scudi 2.800  del debito negoziato a Parigi esistente in Cassa e passivamente fruttifero per la Repubblica.

9 - Un fondo di scudi 1.800  di nuova moneta di Bronzo in pezzi da 5 centesimi che forse col tempo potrà mettersi in circolazione, secondo chè ne consiglierà una sana prudenza:

10 - Quindici azioni finalmente della miniera di Faetano, che sono fino ad ora totalmente infruttifere:

Di tutti questi capitali l'esperienza di molti anni ne ha insegnato che nella condizione attuale delle cose l'entrata annuale della Repubblica non passa di molto gli scudi 10.000.

Con eguale brevità io farò l'esposizione dello stato passivo. L'attuale debito privato della Repubblica ascende a scudi 7.163 ai quali conviene aggiungere circa 500 scudi prezzo della Casa Mariani in Borgo, e così tra non molto il Cannone annuo di frutti passivi anderà a raggiungere la somma di scudi 500. Così dai calcoli fatti un ventesimo della rendita viene assorbito dal fruttato passivo, mentre otto ventesimi viene erogata negli onorari e stipendi; cinque ventesimi viene impiegata nelle spese fisse, e non rimangono che sei ventesimi per far fronte alle spese straordinarie. Da questo riassunto ognun vede come sia cosa difficilissima mantenere il bilancio tra l'entrata e l'uscita, e come questa superi sempre quella di qualche cosa, specialmente se guarda alla frequenza colla quale e nel Consiglio, e nella Congregazione si autorizzano nuove spese senza pensare una volta sola ad aumentare le rendite.

Ma si potrà, o Signori, camminare tranquillamente ad occhi chiusi di questo modo? Consideriamo per un momento il caso, che Dio tenga lontano, che ne venisse a mancare la corrisposta Doganale del Regno Italiano, ingolfati come siamo in certe necessità Finanziarie! Io parlo di una eventualità remota, forse verificabile da qui a sette anni, epoca nella quale scade la convenzione 22 marzo. Ma abbiamo altre cose che pongono in giusta apprensione le nostre Finanze.

Innanzi a tutto io farò avvertire come al fine del 1865 scadrà la prima rata in scudi 2.000 del prestito di Parigi. I Banchieri non accorderanno dilazioni avendola chiesta fin da oggi. Come è evidente questa somma non potrà prelevarsi dall'entrata, nè credo buona regola di economia possa consigliare nell'attuale crisi monetaria contrarre un nuovo debito per estinguer quello, a meno che non si volesse saviamente pensare ad istituire un regolare debito pubblico.

Qui non è tutto. Le maggiori probabilità fanno ritenere che quanto prima sarà aperta una linea ferrata per il Fiume Marecchia la quale passerà in prossimità del nostro confine.

Se ciò si verificherà, il nostro Governo si troverà nell'imperioso bisogno di aprire immediatamente la strada della quale è stata già tracciata la linea, e redatta la perizia dai Sigri Ingegneri Cambrini e Sani, e che ascende all'ingente spesa di 24.000 scudi.

Ma oltre a ciò chi non vede necessaria altre spese nella stessa strada maestra di Rimini per corrispondere in qualche modo alle modificazioni delle coste di Borgo, già decretata dalla Provincia di Forlì?

Questo stesso Palazzo, ove il Principe si aduna, è cadente, e ridotto come ognun vede in uno stato disdicevole alla stessa Spartana semplicità. Le mura della Città in quella parte specialmente ove sono più esposte alla pubblica vista, non reclamano meno un pronto restauro.

Questi sono i fatti principali, sui quali, o Signori, il Governo della Repubblica vi chiama forse per la prima volta a meditare, poichè pur troppo mi sembra che nessuno oggi vi pensi seriamente. Esposto così brevemente lo stato attivo e passivo della Repubblica passerò ora a discorrere del suo sistema di amministrazione.

Secondo l'impianto finanziario del 1830, prima che la Reggenza cedesse l'ufficio alla nuova, si teneva un Congresso dei nuovi Reggenti, così detto, in cui si faceva il preventivo delle spese per il prossimo esercizio. Pochi stipendi, tenui spese, amministrazione facile e piana, tutto procedeva nel modo il più semplice. In progresso di tempo cresciuti colla civiltà, o colla corruzione i bisogni, si trovò necessario di impiantare un'amministrazione più regolare coi dovuti controlli, di fare un Preventivo, e Consuntivo disposto per Rubriche modellandosi sul sistema tenuto dai Comuni dei limitrofi Stati. Così il Segretario Economico minutava il Preventivo semestrale dopo essere stato chiuso il Consuntivo dell'esercizio passato, locchè aveva luogo qualche tempo dopo l'incominciamento del nuovo esercizio. Tanto il Consuntivo, quanto il Preventivo venivano sanzionati non dal Consiglio ma dal Congresso Economico. La Reggenza non aveva facoltà che di ordinare le spese contemplate dal Preventivo: il Congresso Economico aveva la facoltà di autorizzare spese non maggiori di scudi sei per titolo. Delle spese di maggior somma discuteva il Consiglio. Certamente questo sistema è più regolare dell'antico; tuttavia a parer mio racchiude molti inconvenienti intrinseci, oltre a quelli introdotti dalla consuetudine e dall'arbitrio.

Il primo a me sembra quello, che il Preventivo secondo le savie prescrizioni antiche deve esser fatto prima che cominci l'esercizio della Reggenza, poiché attese le molte brighe del Governo, e il tempo necessario per compilare il Consuntivo, l'amministrazione resta per tutto quello spazio come paralitica, e ne consegue un inceppamento negli ordini, una ignoranza in chi governa del vero stato Finanziario; cose tutte che generano l'incertezza, ed il rilassamento nell'operare. Del resto il sistema di fare il Preventivo prima del Consuntivo è stato generalmente accettato da tutti gli Stati, completando l'Attivo e il Passivo colle Rimanenze.

Un secondo inconveniente a parer mio è quello, che il Preventivo non venga non solo letto, ma neppure discusso in Consiglio: il Consiglio riunisce in sè il potere legislativo, e in gran parte il potere amministrativo dello Stato. Due sono le conseguenze di quest'ignoranza in cui versa continuamente il Consiglio: la prima, che appunto mancando una preventiva regolare discussione non si preveggono tutte quelle spese che vengono in seguito ad essere indispensabili: la seconda che il Consiglio nell'ignoranza appunto dello Stato Finanziario, e dei bisogni pubblici, decreta continuamente in ogni Seduta nuove spese a mano a mano che queste si presentano, cosicché essendosi fatto bilanciare a stento l'attività colla passività nel Preventivo; nel Consuntivo poi si richiede tutta la finezza Burocratica per far nuovamente bilanciare le partite. Ma tutti converrete con me, o Signori, che questo sistema salva la regolarità esteriore, ma non provvede per nulla alla sostanza delle cose, alla realtà dei bisogni. La buona economia non sta nel non far delle spese quando la cassa è scema, ma sta nel fare queste spese nel momento che queste possono essere minori e più proficue; sta nel prevenire il danno, meglio che nel ripararlo, quanto più sollecitamente, tanto più utilmente.

Ma un terzo inconveniente a cui fa d'uopo riparare, e che dipende piuttosto da una prava consuetudine è l'arbitrio, o l'abuso che spesso si scusa sotto il pretesto di un urgenza che pur come sopra ho detto poteva di leggieri prevvedersi; l'abuso voglio dire invalso nei Reggenti, ed in altri pubblici ufficiali di ordinare spese pubbliche a loro senno, quando i fondi assegnati sono stati esauriti; e la consuetudine anche peggiore di aver sanate queste spese senza la legittima autorizzazione, e con abuso di potere. Egualmente io ritengo pregiudicevole ad un piccolo Stato, come il nostro, lo scentramento della pubblica amministrazione per ciò che principalmente spetta ai lavori pubblici. Permettetemi che io ve lo dica, in questo ramo di pubblica amministrazione si cammina a tentoni, a capriccio, senza unità di principio, senza vedute generali, senza un'ordine prestabilito, senza un nesso logico tra le diverse operazioni, senza buoni metodi di esecuzione; ma tante volte per liberarsi da una pressione, per favorire un interesse, per servire a poco ragionevoli esigenze. Qui tornerò a ripeterlo, è necessario di stabilire principi generali, unità di operazione, ed amministrazione ben definita. Sono i lavori pubblici la nostra piaga più ribelle, e sono i lavori pubblici (fatal combinazione) quelli che si rendono ogni dì più indispensabili, e minacciono d'assorbirci.

Pensiamoci bene, o Signori.

Finalmente io noterò essere un inconveniente di qualche peso una mancanza che io non saprei come ben caratterizzare, se come indolenza, se poco coraggio civile, se poco amore della pubblica cosa, se riguardi personali (cose tutte antirepubblicane); la mancanza voglio dire nei rettori delle pubbliche rendite, e delle rendite Sacre, che cadono sotto la Revisione del Principe, di rendere spontaneamente conto delle tenute gestioni; e nelle Autorità, di non obbligare i negligenti a questo loro dovere. Una tal cosa tanto necessaria per il buon andamento della pubblica cosa, e che urge (notate questo concetto) che vada di pari passo colla compilazione dei Consuntivi, viene pur troppo trasandata.

Signori! ognuno di noi dice che ne sta a cuore la conservazione e la prosperità della Repubblica: ma se non cureremo seriamente il buon andamento della pubblica finanza, con amore, con disinteresse, con zelo, come se si trattasse di cosa nostra propria, andremo certamente incontro ad una crisi dolorosa: e se il nostro Santo Patrono non rinnoverà i suoi miracoli, potrebbe toccarci la sorte del peccatore che afferma di voler andare in Paradiso, e intanto vive ed opera come se il Paradiso fosse dei reprobi.

Dietro questa sincera esposizione di cose, allo scopo di preservarci dai mali possibili, qual sarà la via da tenersi per giungere ad un utile risultato pratico? La risposta viene da sè. Occorre

1° Un sistema d'amministrazione più buono;

2° Trovare i mezzi per accrescere le rendite dello Stato fino a quella proporzione che è necessaria per sopperire a quelle spese che sono imposte dalla necessità dei tempi.

In quanto al presentarvi, o Signori, un progetto di sistema più ragionato di amministrazione finanziaria, Voi già ne affidaste l'incarico al Congresso Economico, e questo al Nob. Sig. Settimio Belluzzi, dal cui esperimentato sapere, e ben noto amor Patrio ci ripromettiamo un tale interessantissimo lavoro.

In quanto poi all'avvisare a nuovi mezzi finanziarj io potrò sempre ripetervi che

1° Riterrei utile la vendita di tutti i capitali stabili tanto rustici che urbani i quali non fossero attualmente di assoluta urgenza pel Governo

2° Obbligherei in virtù di una legge i detentori (come ha fatto anche il Governo Italiano) ad affrancare i beni enfiteutici del Governo, mediante una somma da predefinirsi in base dell'annuo Canone; riscuotendo eziandio gli arretrati

3° Riscuoterei le cinquine

4° Liquiderei in generale proporzioni il debito Pubblico

5° Sistemerei la tassa fondiaria portandola al due per cento di estimo, caricandone però di un terzo i Coloni

6° Estenderei la tassa indiretta di consumo anche sulla vendita del vino

7° Tasserei i frutti dei Censi, per obbligare anche con questo mezzo indiretto a mettere in circolazione a maggior vantaggio del commercio, e del Pubblico Erario questi capitali immobili. Aumenterei le tasse di Registro sui cambi.

Procurerei il modo di estendere l'uso e il prezzo della carta bollata. Sostituirei al Capo Saldo la tassa di Registro.

8° Imporrei una tassa alle carte da gioco.

9° Proporrei alcuni risparmi quantunque siano poca cosa, negli attuali preventivi

10° Istruirei un regolare debito pubblico.

In questi modi io porto opinione che a capo di cinque anni il Nostro erario potrebbe avere a sua disposizione una somma di 14.000 scudi almeno.

Ma giunti a questo punto io faccio sosta, persuaso che per giungere ad un utile risultato pratico per il vero vantaggio della Repubblica, si opporebbe qualunque progetto qualunque legge che io vi potessi, o Signori, presentare su questo proposito. La necessità di venire in soccorso alla cosa pubblica deve essere sentita da tutti indistintamente: tutti non solo ne debbono essere convinti, ma eziandio persuasi. Lo scegliere i mezzi per ottenere un tale provvedimento, deve pure essere opera di tutti: tutti dobbiamo essere pienamente solidali in questo intraprendimento, perché qualunque sieno le persone che verranno dopo di noi a dirigere la cosa pubblica, debbano riguardare quest'opera come parte del loro ingegno, come lavoro delle loro mani; perché uno sia il principio, uno l'interesse ad agire, una la responsabilità. A curare questo bisogno dello Stato, si richiede lungo amore, infaticabile pazienza, e lo dirò liberamente, anche il proprio sagrifizio.

Oltrecchè non esistano in me capacità di amministrazione pratica, qualunque iniziativa io potessi prendere per far prevalere le mie idee e le mie vedute, sarebbe in me un imperdonabile orgoglio, ed una riprovevole presunzione; e pregiudicherebbe al buon risultato dell'affare in cui tutti, come dissi, dobbiamo essere egualmente solidali tanto nel fare il Programma, quanto nell'eseguirlo.

Oggi io ho compiuto il mio dovere di Cittadino, e di Reggente nel porre a nudo lo stato delle cose: a Voi, o Signori, libero e pieno ne è rimesso il giudizio. Se crederete che nulla debba farsi, io non caricherò certamente le mie deboli spalle di tanto peso, e mi basterà d'avervi prevenuti. Riassumo la questione.

L'entrata annua della Repubblica è di circa 10.000 scudi: questa non cuopre quasi mai l'escita ordinaria. Colla medesima non saremo mai in caso di estinguere il debito pubblico, e molto meno di far fronte alle ingenti spese che ci minacciono.

L'amministrazione coperta di una esteriore regolarità ha molti diffetti intrinseci, a cui fa d'uopo riparare.

Si è data infine una rapida occhiata a ciò che si potrebbe pur fare; ma tutti insieme, tutti d'accordo.

Eccovi dunque, o Signori, aperto il campo. Io aprirò gli Arringhi: ognuno potrà proporre quelle quistioni, e quelle determinazioni pratiche che crederà opportune: il Sig. Segretario ne prenderà atto distintamente, e saranno separatamente discusse.

 

(AS, Atti, vol. PP, n° 39, sed. del 15 dicembre 1864)

 

 

 

APPENDICE N° 3

 

Lettera di Domenico Maria Belzoppi alla Reggenza - 8 febbraio 1861

 

 

Eccellenze

Su quanto mi richiama il venerato foglio delle Eccellenze Vostre in data 7 corrente, posso assicurarle che il General Garibaldi, nel breve tempo che si trattenne nella nostra Repubblica, dove sciolse le milizie che ancor lo seguitavano, non tenne mai al nostro Governo alcun discorso, o proposito di casse contenenti armi e munizioni di cui era fornito il suo piccolo esercito, e che erano state introdotte nella Repubblica in seguito al suo ingresso; e che perciò non potè essersi mai trattato col Governo stesso della formazione di alcun deposito di quelle Casse mediante alcun atto che vi avesse relazione, nè in iscritto, nè verbalmente. Quello che posso dire però, e di cui mi ricordo, si è che i Garibaldini poco appresso arrivati in Repubblica, vollero dar posto nel palazzo pubblico a dieci o dodici casse di munizioni, portandone solamente una o due ai Cappuccini, dove Garibaldi si era trincerato dalla parte donde venivano i Tedeschi; e che il nostro Goicone (?) non appena partito il Garibaldi clandestinamente a notte avanzata dalla Repubblica, si diè cura di far trasportare e chiudere le dette casse in unione a quelle dei Cappuccini in uno dei piccoli torrioni della Rocca sotto l'autorità del Castellano. Cessata poi dopo un mese la mia Reggenza, io non posso dire nè so cosa avvenisse di quelle casse, sol che una notte ebbi a sentire, che si fucinava che fossero perfino state derubate, non so come.

Le dette casse non è altrimenti vero, che fossero grandi; ma erano di piccola mole, e addatate al trasporto che se ne faccia per le montagne, a schiena di cavalli, o di muli.

Ed è pur falso che nelle medesime fossero collocate anche delle armi; mentre non contenevano che sole cartuccie per le carabine; cosa che potrà essere attestata da più testimoni che le visitarono, e più di tutti dal Sig. Avvocato Filippo Belluzzi Comandante allora della Milizie.

Seguitando a dire sull'argomento delle armi, aggiungo poi che la Repubblica potè solamente venire in possesso di alcuni di quelle che furono deposte dai soldati sbandati e disciolti, e dopo che una gran parte di essi ebbe venduto il proprio fucile, che veniva offerto a basso prezzo a chiunque si offrisse loro dinnanzi. Delle armi però deposte come sopra e raccolte nel nostro quartier della Milizia, ne fu subito chiesta, e fatta consegna al Principe Alberto d'Austria che con insistenza le aveva reclamate a nome del Governo Pontificio, per conto del quale disse, che agiva contro il Garibaldi.

In merito ad una tale consegna, le rimetto qui entro l'originale che vi fa relazione, ed unisco anche una copia della lettera colla quale la Reggenza avvertiva il Principe, quando la domandata consegna si sarebbe eseguita.

Nulla più posso aggiungere a quanto ho narrato: e mentre credo fi aver così soddisfatto al desiderio delle Eccellenze vostre in ordine ai bisogni in cui sono poste dall'emergente che interessa la Repubblica per le dichiarazioni che sarebbero state fatte dal Garibaldi al Governo del Re del Piemonte, e or ora d'Italia, domando il permesso e l'onore di ripetermi coi sensi della più profonda osservanza.

Delle Eccellenze Vostre

Di Verucchio 8 Febbraio 1861

Umlo devmo obmo Servitore

domenico maria belzoppi

 

 

(AS, Cart., lett. n° 103, b. 178)

 

 

 

APPENDICE N° 4

 

Legge sul diritto d'asilo - 4 agosto 1857

 

 

           I Capitani Reggenti della Repubblica di S. Marino

 

Nella seduta 4 Agosto 1857 il Generale Consiglio Principe prese a riformare nel modo seguente la legge già sancita nel 28 Agosto 1842 sull'asilo da accordarsi agli Inquisiti Esteri, che vien promulgata per la sua piena osservanza.

                      .................................

1° Non saranno assicurati, nè tollerati nel Territorio della Repubblica

I  Gli imputati o condannati di delitto di alto tradimento.

II Di avere con empio fine e con violenza disturbato le funzioni sacre   

   celebrate in luogo pubblico.   

III Di falsità di Scritture pubbliche.

IV Di falsificazione di Monete.

V  Di fraudata amministrazione delle Rendite del Principe, delle Comunità,    

   e dei pubblici stabilimenti.  

VI D'incendj

VII D'omicidio premeditato.

VIII Di ratto violento.

IX Di stupro con violenza.

X  Di Crassazione

XI Di ogni sorta di furto qualificato

XII Di fallimento con dolo malo.

2° In tutti i casi di delitti non eccettuati come sopra potrà all'inquisito estero accordarsi asilo nella Repubblica a beneplacito del Generale Consiglio Principe, cui spetterà esclusivamente il dichiarare di ammetterla o non ammetterla al beneficio di asilo dietro l'osservanza delle condizioni infradicende.

3° Dovrà l'inquisito appena giunto in Repubblica entro il termine di ore 24 presentarsi ai Reggenti della Medesima, e fare innanzi a Loro la sua istanza in iscritto per esser ricevuto, esprimendo in quella il suo nome, la sua condizione e stato, la sua Patria, ed il titolo criminoso del quale è prevenuto in Giustizia. Non conformandosi a queste prescrizioni dopo il termine delle ore 24 sarà immediatamente licenziato.

4° Sarà egualmente licenziato se il delitto di cui è accusato si riscontra fra gli eccettuati nell'Art. I.

5° Dovrà inoltre l'inquisito nel termine di giorni dieci susseguenti alla presentazione della sua istanza, offrire ai Capitani Reggenti una garanzia scritta e sottoscritta da un Cittadino della Repubblica, colla quale questi si renderà mallevadore della buona condotta di quello, e si dichiarerà principale e solidario pecunialmente per ogni debito che incontrasse l'inquisito stesso colla giustizia, e anche per quelli che contraesse con Chiunque per mancanza di mezzi di sussistenza. Non prestandosi tale cauzione l'inquisito sarà subito rimandato.

6° Presentandosi la cauzione come sopra, i Capitani Reggenti dovranno entro 4 giorni adunare il Consiglio degli Affari Esteri, dal cui seno dovranno ad ogni caso sciegliersi due Deputati incaricati a verificare quanto viene esposto nell'istanza dell'inquisito, e a ricercare anche ciò che ha riguardo alle morali e politiche qualità di lui, onde su tutto riportare una esatta informazione. Lo stesso Consiglio avrà eziandio la facoltà in caso dubbio di decidere insieme ai Reggenti se il delitto di cui fosse creduto debitore l'estero Contumace sia o no compreso negli eccettuati dall'Art. I, e se esso contumace sia soggetto o no per conseguenza alla disposizione dell'Art. 4°.

7° L'informazione da darsi sull'inquisito dai Deputati della Congregazione degli Affari Esteri, dovrà essere in iscritto e firmata dai medesimi, e verrà dai Reggenti in unione alla istanza e garanzia offerta dall'inquisito medesimo, presentate al General Consiglio Principe alla prima Seduta che avrà luogo immediatamente dopo l'esibita che ne avranno fatto alla Reggenza i Deputati, ad oggetto che su quei recapiti il Principe stesso pronunzi l'ammissione o non ammissione dell'inquisito al confugio.

8° Se l'informazione dei Deputati farà conoscere falso l'esposto nell'istanza dell'inquisito, non avrà luogo alcuna interpellazione al Generale Consiglio Principe, ma l'inquisito dovrà essere espulso, oltre il dover andare soggetto a quella punizione di Legge che le narrate falsità, come offensive al Governo, al di cui favore è stato ricorso, richiederanno.

9° I Capitani Reggenti, durante il tempo che l'inquisito per eseguire le prescrizioni della Legge, e per aspettare le decisioni del Consiglio Principe, gli rilascieranno in iscritto dei semplici permessi di tolleranza sottoscritti dai medesimi.

10° Ottenuto poi che abbia il Contumace dal Consiglio Principe il beneficio di essere ammesso al confugio nella Repubblica, gli stessi Capitani Reggenti lo muniranno di una così detta carta di sicurezza da tener luogo di Salva condotto, la quale avrà vigore soltanto per tre mesi datando dal giorno della ottenuta concessione, e potrà rinnovarsi successivamente da tre mesi in tre mesi. Se la condotta del Contumace non offra motivo ai Capi di Governo di doverlo privare dell'accordatogli beneficio dietro una giustificata mancanza. Potrà anche somministrare il titolo a negare la Carta di sicurezza il Matrimonio contratto dal Contumace, o da contrarsi dopo la sua venuta in Repubblica.

11° Il rilascio della Carta di sicurezza in istampa o madre e figlia si farà dietro ordine del Governo dalla pubblica Segreteria, e dovrà essere indispensabilmente sottoscritta dai Reggenti per la sua validità.

12° Gli inquisiti confugiati nella Repubblica sono sempre sotto la sorveglianza della Polizia, e non possono assentarsi dal suo Territorio, volendovi ritornare senza l'antecedente permesso dell'autorità Governativa; diversamente sono decaduti immediatamente dal beneficio di asilo, e non sono più ricevuti.

13° E' vietato inoltre ai Contumaci sotto pena della espulsione anche la delazione e ritenzione delle armi non proibite, e così pure la caccia con archibugio, il di cui permesso potrà soltanto concedersi dal Generale Consiglio Principe, trattandosi d'inquisiti esteri, e dalla Reggenza se si tratta d'inquisiti esteri ma ascritti alla Cittadinanza della Repubblica. L'inquisito per altro dopo anche l'ottenuto permesso non potrà dispensarsi dal munirsi della consueta patente di caccia come ogni altro Cittadino della Repubblica.

14° L'inquisito che non si sarà presentato nel termine di 24 ore alla Reggenza, o che presentandosi, non potendo essere ricevuto nella Repubblica, sia stato licenziato od espulso nei casi come sopra, se entro 24 ore dalla fattagli intimazione di partire non avesse ubbidito, sarà arrestato e tradotto dalla Forza Pubblica ai Confini della Repubblica, e facendosi lecito di nuovamente rientrare nella medesima, sarà preso e irremissibilmente consegnato alle forze del proprio Governo.

15° Gli esteri forniti di regolari recapiti o anche soltanto cogniti che prendono stanza nella Repubblica, dovranno dentro il termine di tre giorni dal loro arrivo procurarsi dal Governo la Carta di permanenza, in mancanza della quale non avranno titolo legale a più lungo soggiorno.

16° Ogni abitante del Territorio della Repubblica che darà alloggio ad uno o più forastieri dovrà fare la denuncia alla Reggenza.

-1° Dentro tre giorni dall'arrivo di esso o di essi se siano muniti di regolari recapiti, o anche soltanto cogniti di persona e buona condotta.

-2° Dentro 24 ore dall'arrivo come sopra se siano incogniti o mancanti di regolari recapiti.

-3° Dentro il più breve spazio possibile non eccedente le 24 ore, termine di stretto rigore, se siano contumaci alla Giustizia tanto in questo che in altri Stati, o essendo licenziati o espulsi dal Governo della Repubblica vi abbiano fatto reingresso.

17° E' alloggiatore Chiunque riceva uno o più forastieri gratuitamente, o per mercede e servizio. -Compensazione d'opere, o altre cause nella Casa -Villa-Locanda-pertinenza-o dipendenza che gli spettano in proprietà, o dove abbia diritto d'usufrutto, abitazione, od uso qualunque.

18° L'obbligo della denunzia ingiunta ad ogni alloggiatore è indipendente da quelli prescritti ad ogni forastiere alloggiato con gli Articoli 3.5. 14.15 della presente Legge, ma compete ad ogni alloggiatore il diritto di accertarsi che l'alloggiato od alloggiatori abbiano gli obblighi medesimi esattamente adempito. Cessa però l'obbligo della denunzia allorchè il Forastiere o Forastieri non contumaci siano appartenenti per cognazione o agnazione all'alloggiatore.

19° La qualità di Contumace alla giustizia, o di refrattario agli ordini del Governo si presume sempre quando il Forastiere o Forastieri non cogniti di persona e buona condotta manchino di passaporto o salvo-condotto o carta di permanenza, e questi di fatto basta di per se solo a costituire in mala fede l'alloggiatore, e rifondere a suo carico la prova del contrario.

20° I Contraventori al disposto nell'Articolo 16 incorreranno nella Multa. Non minore di tre, nè maggiore di cinque Scudi nei casi contemplati nell'art. medesimo al 1°.

Non minore di cinque nè maggiore di dieci scudi nei casi contemplati al 2°         

Non minore di dieci, nè maggiore di venticinque scudi nei casi contemplati nel 3°.

21° Ritenuti i suddetti limiti, la multa è graduabile secondo le circostanze aggravanti o diminuenti. Circostanze aggravanti sono contro l'alloggiatore

1° Le proprie qualità di oste, affittacamere, o traente un lucro qualunque del prestato alloggio,

2° La qualità di Forense,

3° Quella di pregiudicato con la giustizia,

4° L'altra di fautore nel reingresso o latitanza del contumace o refrattario,

5° Le qualità infine di recidivo.

E relativamente all'alloggiato o alloggiati forma pure circostanza aggravante contro l'alloggiatore

1° Se costoro fossero Militari,

2° Se ancorchè Paesani, fossero armati,

3° Se fossero riuniti in conventicola di tre o più persone,

4° Se la omissione della tempestiva denunzia abbia occasionato qualche disordine prevedibile dalla autorità del Governo quando la denunzia fosse stata puntualmente eseguita.

Circostanze diminuenti sono

1° L'alloggio gratis dato per mera liberalità scevra dalla veduta di contrariare le disposizioni del Governo e riuscito innocuo al buon ordine.  

2° La cognita qualità dell'alloggiato estero e non contumace di appartenente alla Repubblica per Nobiltà, Cittadinanza, o naturalizzazione già avvenuta.

22° Cognitore di queste contravenzioni sarà il Commissario della Legge pro tempore, il quale applicherà le suddette multe dato luogo alle difese eseguibili dentro tre giorni da quello della relativa contestazione e requisito il Voto del Procuratore Foscale. La procedura sarà sommarissima, ed il Procuratore Fiscale pel di cui organo perverrà la querela al Tribunale vigilerà perché nello spazio di tre mesi e non più oltre dalla presentazione abbia il pieno suo sfogo. Il Giudicato sarà inappellabile, nè competerà al condannato altro rimedio, che il ricorso alla Grazia del Consiglio Principe.

23° Le multe si devolveranno per un terzo alla Camera della Repubblica, un terzo alla Forza di Polizia, o altro ausiliare, e l'ultimo terzo allo Spedale di S. Marino. Contro gl'insolventi darà decretato lo sconto con la Carcere nelle proporzioni di consuetudine. La Carcere da 5, a 15 giorni può essere inflitta cumulativamente alla multa agli Alloggiatori per due o più volte recidivi nella contravvenzione.

24° Per assicurare l'osservanza della presente Legge, i Capitani Reggenti ad ogni Adunanza del Consiglio Principe dovranno interpellarlo se ha nulla in contrario alla perfetta esecuzione della medesima, ed omettendosi tale interpellazione per parte dei medesimi, qualunque Membro del Consiglio potrà presentare il suo reclamo.

     Sammarino dalla Segreteria Generale questo dì 17 Settembre 1857.

                            I. Bonelli  Cap. Reggente

                            D. Fattori  Cap. Reggente

                            F. Belluzzi Seg.Generale

(AS, Leggi, b. 3/1)

                             

APPENDICE N° 5

 

Progetto per emissione di carta moneta - 8 gennaio 1880

 

 

Progetto per l'emissione di carta moneta sammarinese presentato dalla Reggenza al Consiglio Principe e Sovrano nella sua tornata del dì 8 Gennaio 1880.

 

E' un bisogno urgente del nostro Paese, reclamato dallo sviluppo dell'agricoltura e del commercio locale, di dover completare la viabilità del nostro territorio. Per soddisfare al medesimo il Governo non ha che di disporre che di circa lire 14.000 annue, fruttato di un fondo di riserva, che è prudente e necessario di non distruggere. Ora richiedendosi non meno di lire 200000 per condurre a termine l'opera, ci vorrebbe un impiego di tempo di circa 15 anni, valendosi anche del concorso delle opere gratuite obbligatorie. Ognuno comprenderà che questo tempo è troppo lungo e non può soddisfare alle esigenze dei diversi centri del territorio, che sono ancora privi di comunicazioni.

Il mezzo più facile e spedito per costruire e sistemare tutte le nostre strade in breve tempo e coi soli frutti del fondo di riserva, senza intaccare il capitale e senza imporre dei gravami sui cittadini, sarebbe quello di emettere della carta moneta di piccolo taglio per la somma di Lire 200.000, garantendola sul fondo stesso. Questa carta dovrebbe stare in circolazione per un decennio e dopo questo tempo dovrebbe essere ritirata. Il fondo di riserva dello Stato è al presente di Lire 284.544 effettive e non nominali, ragguagliata la rendita italiana (5%) in cui è rinvestito, al corso attuale dell'88%. La carta quindi, che si emetterebbe, avrebbe la garanzia di quasi un terzo di più dell'emissione e per conseguenza una solidità maggiore di quella delle stesse Banche Consorziali Italiane. Ragguagliata la rendita col valore effettivo del fondo di riserva, si ha che questa raggiunge il 5%, dedotta da ricchezza mobile. Ora questo capitale di Lire 284.544 col fruttato alla ragione composta del 5%, capitalizzabile semestralmente, per un decennio, ascende a Lire 466.258. Da questa cifra dedotto l'importare del fondo di riserva e di garanzia, che, come si è detto, deve rimanere intatto, resterebbero Lire 181.714.

Considerando che la nostra carta moneta e per l'interesse, che ispira la nostra Repubblica ed anche in riguardo al piccolo valore, chè dovrebbe essere del taglio di una Lira e di due, verrebbe dai forstieri conservata per memoria e per corredo delle collezioni di simile specie, e considerando altresì che nelle commutazioni e nel giro ne va sempre una parte perduta, si può ritenere con tutto fondamento che un decimo almeno nel momento del ritiro non verrebbe presentata al cambio, per cui sole Lire 180.000, e forse meno, se ne dovrebbero commutare. Ora ritraendosi dal fruttato a moltiplico la somma di Lire 181.714, si avrebbe un'eccedenza attiva di Lire 1714, che potrebbe servire di provvigione per chi s'incaricherà del deposito e del semestrali rinvestimenti. L'operazione, a nostro avviso, si dovrebbe fare con un Istituto di credito del Regno d'Italia e, possibilmente, colla Banca Nazionale. Questa dovrebbe assumere il deposito del nostro fondo di riserva in cartelle del debito pubblico italiano,  da intestarsi al nostro Governo, e dovrebbe incaricarsi dell'esigenza dei cuponi e rinvestirli ogni semestre in altra rendita, egualmente da intestarsi. Dovrebbe poi fornirci le Lire 200.000 di carta moneta in boni da Lire 1 e 2, confezionata dalla propria fabbrica di carte-valori e portante tutti i caratteri di carta moneta sammarinese. Ad eliminare poi il sospetto, quasi inconcepibile, che la stessa Banca assuntrice o la Fabbrica di carte-valori possa mettere in circolazione una maggior somma, la Tesoreria della Repubblica dovrebbe apporre a ciascun bono un timbrino a secco con inchiostro rosso. Se poi al Governo della Repubblica piacesse meglio di tenere presso di sè il deposito ed eseguire per proprio conto l'esigenza semestrale dei cuponi ed il contestuale rinvestimento, potrebbe farsi intestare il nostro fondo di riserva a favore dell'emissione della carta.

Noi non ignoriamo le obbiezioni, che possono farsi a questo progetto, d'incontestabile utilità, le quali si riducono principalmente a due; cioè all'eventualità che possa fallire la Banca depositaria e che la carta venga falsificata. Alla prima si sarebbe ovviato trionfalmente col far intestare la rendita a favore della Repubblica o col tenerla depositata presso di noi. In quanto alla seconda, si risponde, che ogni cosa è possibile e che non vi ha bene che non abbia il contrapposto del suo male. Però quando la carta moneta fosse fatta a perfezione, anche in vista del poco interesse, che vi sarebbe di falsificare carte di piccolo taglio (e L'esperienza mostra che difficilmente si trovano carte di modico valore falsificate) il pericolo sarebbe molto remoto. In ogni modo, verificandosi anche il caso, la falsificazione non può essere tanto perfezionata da imitare le carte genuine e da non riconoscerle a un diligente esame e, quando vi fossero, il danno sarebbe di chi le possedesse. -Rapporto al dubbio, che alcuno potesse sollevare, che la nostra carta non avesse credito e che venisse respinta dal commercio, non ha ombra di fondamento, avendo una prevalenza sulla stessa carta moneta del Regno e per l'esuberanza della garanzia e per la certezza del ritiro in un tempo breve e determinato. Nè si obbietti che l'emissione della carta possa recare qualche squilibrio nel nostro commercio interno per un soverchio rigurgito perché, oltre che non verrebbe in circolazione tutta in una volta, ma poco per anno man mano che le strade si compiono, si può essere sicuri sin da questo momento che il commercio esterno le darà sfogo. La spesa d'impianto non sarà certo un ostacolo e quando lo dovesse essere, si potrebbe prelevare dal fondo della stessa carta. L'operazione poi, anche dal punto di vista della moralità, non ha nulla di condannabile e la nostra carta potrebbe dirsi a ragione la carta modello di tutto il mondo. Noi che involontariamente subiamo tutte le conseguenze del corso forzoso della carta nel Regno e del deprezzamento del numerario, perché non potremo fruire dei vantaggi di una nostra carta particolare?

Concludiamo che i governi debbono guardarsi da combinazioni finanziarie dubbie ed inoneste, ma hann poi il dovere di profittare di quelle, che presentano un utile incontestabile, senza offesa della morale e della propria dignità, se non vogliono buscarsi la taccia d'inetti e imprevidenti.  

 

(AS, Atti, vol. TT, n° 43, sed. dell'8 gennaio 1880; ed anche Progetti di Legge 1856 - 1876, b. 4/1)

 

 

APPENDICE N° 6

 

Statuto della Società Umana di San Marino - 1869

 

 

          Società Umana di San Marino - Decreto di fondazione

Visto il rapporto presentatoci dalla commissione umanitaria proposta a quest'oggetto

                              Decretiamo

Si è formata un'associazione nazionale sotto la denominazione di: Società umana di San Marino: lo scopo di questa società è di aiutare tutti gl'infelici, sia in caso di malattie, di disgrazie, di ruine o di morte.

Questa società accorda gratuitamente ai malati, le cure del medico, le medicine, e di più un assegnamento individuale d'un franco per ciascun giorno di malattia; provvede alle spese funerarie dei soci poveri; e distribuisce, quando le circostanze lo esigono, de' soccorsi al domicilio. Una parte del fondo sociale è consagrata a creare delle pensioni per gli associati poveri.

Questa società, i di cui Statuti sono e saranno approvati da noi, è fondata per Novant'anni, a partire dal mese di Aprile 1869.

                            Fatto a San Marino li...........1869

                                      I Capitani Reggenti

                                         Gran  Maestri

 

         Società Umana di San Marino - approvazione degli Statuti

                                Decreto

 

Noi........................

Visto il rapporto presentatoci sugli Statuti della Società Umana di San Marino, dalla commissione umanitaria proposta alla loro elaborazione Decretiamo

Art. 1 Sono approvati, tali quali sono uniti al presente decreto, gli Statuti della Società Umanitaria di San Marino, scopo della quale è soccorrere a tutte le miserie umane.

Art. 2 Il Regolamento di Amministrazione interno della Società umana non potrà derogare dagli Statuti e sarà sottomesso alla nostra approvazione.

                             Fatto a San Marino li............1869

                                       I Capitani Reggenti

                                          Gran Maestri

 

                  Società Umana di San Marino - Statuti

Capitolo 1° - Formazione e scopo della Società

Articolo 1° - Una società umanitaria si è formata a San Marino, sotto il titolo di Società Umana di San Marino. La sede della Società è stabilita a San Marino.

Articolo 2° - La Società ha per scopo:

1° Di soccorrere a tutte le disgrazie dei Cittadini della Repubblica di S. Marino.

2° Di elargire ai soci titolari partecipanti della società, le cure del medico, i medicamenti ed un soccorso in denaro di un franco per ciascun giorno di malattia.

3° Di provvedere ai loro funerali, dietro la domanda della famiglia.

4° Di costituire delle pensioni per i vecchi arrivati all'età di sessant'anni essendo stati membri titolari partecipanti per lo spazio di dieci anni.

5° Questa cassa di pensioni sarà formata con il residuo delle spese, e con i doni volontari fatti alla Società.

6° La pensione sarà pagata ai pensionati sulle rendite della Cassa delle Pensioni, e sul profitto di queste rendite.

7° I soccorsi accordati al difuori della Società, risulteranno come spese fatte sulla Cassa delle Pensioni; cioè a dire che la Società Umana non potrà porre de' fondi alla Cassa delle Pensioni che dopo di aver compiuti tutti gli atti umanitari che sono nello spirito della sua fondazione. I fondi della Cassa delle Pensioni, non saranno impiegati che tutti gl'anni dopo il Reso-Conto in assemblea generale.

Capitolo 2° - Composizione della Società

Articolo 3° - La Società Umana si compone dei:

1° Grandi Maestri (Reggenti in esercizio)

2° Grandi Maestri Onorari (i Reggenti fuori di esercizio ed il ministro della Legazione Francese di San Marino)

3° Grandi Uffiziali d'Onore (i Capi di Legazione della Repubblica di S. Marino all'Estero; o i mandatari diretti del Governo di S. Marino)

4° Alti protettori (Sovrani stranieri)

5° Protettori (i Ministri stranieri e gli alti personaggi di tutt'i paesi)

6° Un Presidente

7° Due Vice-Presidenti

8° Un Segretario Generale

9° Un Segretario Particolare

10° Quattro Assessori (Scelti fra i notabili personaggi di S. Marino, e formanti il Consiglio di Amministrazione, con il Presidente, i Vice-Presidenti, il Segretario generale ed il Segretario particolare)

11° Un Delegato Corrispondente (Questo Delegato ha il titolo d'Uffiziale d'Onore della Società)

12° Presidenti d'Onore (scelti fra i primi fondatori, i membri della Commissione fondatrice, i Capi della Milizia di S. Marino, ed i Presidenti di Società di Salvatori di Francia e dell'Estero. Queste nomine sono facoltative)

13° Gran Degnitari (Scelti fra gli uomini eminenti, che verseranno un dono nella cassa della Società, o concorreranno con degl'atti umanitari alla Gloria e alla prosperità della Società)

14° Membri Benefattori (scelti fra gli uomini che fanno de' doni alla Società)

15° Membri titolari non partecipanti (scelti fra i cittadini della Repubblica e paganti una contribuzione di un franco per mese)

16° Membri titolari partecipanti (scelti ugualmente fra i cittadini della Repubblica e paganti anche la contribuzione d'un franco per mese)

17° Membri onorari (scelti fra gli uomini umanitari di tutte le parti del globo)

Il numero dei Membri titolari partecipanti, potrà essere regolato da una decisione del Consiglio della Società. Quanto agli altri membri il numero non è limitato.

Capitolo 3° Attribuzioni e cariche dei Membri della Società

Articolo 4° I Gran Maestri (Reggenti in attività) sono successivamente e di diritto i Capi e alti Presidenti della Società.

Presidente - Il Presidente è nominato dai Gran Maestri in attività, per un anno consecutivo. Direttore Amministratore della Società. - Presiede alle Sessioni, sorveglia le operazioni sociali ed assicura l'esecuzione delle decisioni del Consiglio amministrativo della Società. Mantiene l'ordine e la buona armonia fra i Soci e richiama al loro dovere coloro che se ne allontanano. Spedisce i mandati di soccorsi, sia ai Segretari, sia alle persone soccorse al difuori della Società. Firma le note di spese. Tutti gli anni allo spirare del suo mandato, il Presidente dovrà indirizzare ai Gran Maestri un rapporto sullo stato finanziario materiale e morale della Società. La parte di questo rapporto che constaterà gli atti umanitari dei membri della Società, sarà impresso a parte e spedito franco a tutt'i membri della Repubblica e delle potenze estere.

Il Presidente nomina i Vice-Presidenti, il Segretario Generale ed il Segretario Particolare.

Assessori - Gli Assessori sono nominati direttamente dai Gran Maestri, per lo spazio di un anno. Essi compongono, con i funzionari di Officio il Consiglio Amministrativo della Società.

Grandi Uffiziali d'Onore - I Grandi Uffiziali d'Onore sono incaricati di rappresentare all'estero la Società Umana ed i suoi interessi, come anche di concorrere alla sua gloria ed alla sua prosperità. Essi hanno pieni poteri per presentare dei Soci, proporre le nomine ed incassare le contribuzioni; delle quali debbono rendere conto ai Gran Maestri della Società o, in loro assenza, al Presidente. I Grandi Uffiziali d'Onore vengono nominati per dieci anni dai Gran Maestri; non possono essere revocati che per incuria nell'esercizio delle loro funzioni.

Vice-Presidenti - I Vice-Presidenti, che vengono nominati per un anno, suppliscono per ordine di nomina il Presidente nelle sue attribuzioni.

Segretario Generale - Il Segretario Generale è incaricato di tenere in ordine l'Albo della Società, libro sul quale è scritto il nome, cognome, età, paese, professione e domicilio di ciascun membro della Società, come anche una menzione de' titoli onorifici e degli atti umanitari di ciascun associato. E' inoltre incaricato dell'alta corrispondenza, trovandosi in rapporto diretto con i Gran Maestri, il Presidente, i Grandi Uffiziali d'Onore e gli alti dignitari della Società.

Segretario - Il Segretario è nominato dal Presidente per un anno ed è incaricato:

1° Di redigere i processi verbali delle riunioni del Consiglio d'Amministrazione.

2° Di spedire dietro ordine scritto dal Presidente o dal Segretario Generale, le lettere concernenti la Società: convocazioni, ammissioni, rifiuti o esclusioni.

3° Di portare i soccorsi a domicilio e rendere conto di sua missione al Consiglio: dovrà inoltre occuparsi dell'impressione delle medaglie, della stampa de' diplomi, dell'invio di queste insegne ed infine di tuttociò che comprende l'Amministrazione materiali della Società. Resta sottomesso per tutti gli ordini ad eseguirsi al Presidente ed al Segretario Generale: questa carica potrà essere retribuita se la Società lo giudicherà convenevole.

Delegato Corrispondente (Uffiziale d'Onore)

Questo titolo sarà conferito dal Grande Uffiziale per lo spazio di dieci anni, e in caso di morte o di dimissione del titolare nominale, per uno spazio di tempo uguale a quello del nominante. Le funzioni del Delegato Corrispondente consistono a contribuire con la propaganda e con un zelo disinteressato alla prosperità materiale e morale della Società. Esso corrisponderà direttamente con il Grande Uffiziale d'Onore, ed, in certi casi, con i Gran Maestri ed il Presidente della Società. Queste cariche sono tutte gratuite e di diritto puramente onorifico, eccetto quella di Segretario.

Cariche Particolari della Società - Tesoriere. Il Tesoriere sarà nominato dai Gran Maestri e scelto nel seno della Società. Le sue funzioni saranno d'un anno. Potrà essere confermato, e avrà, come gli Assessori, il titolo di membro del Consiglio: solamente non avrà che voce consultativa.

Medico - Il Medico, che ha il titolo d'Uffiziale d'Onore, sarà nominato dal Consiglio amministrativo dietro la presentazione dei Gran Maestri o del Presidente. Esso è nominato per cinque anni. I suoi onorarj saranno fissati ciascun anno da una decisione del Consiglio Amministrativo.

Visitanti - I Visitanti le funzioni dei quali consistono in visitare i malati e gl'infelici sono nominati dal Consiglio per un anno. Essi hanno il titolo di Soci benefattori. Queste cariche sono puramente onorifiche.

Capitolo 4° - Nomine ai titoli e funzioni - Ammissione de' Soci.

Alti Protettori - Essi saranno nominati dietro presentazione dei Gran Maestri, del Presidente, dei Grandi Uffiziali d'Onore e dei Grandi Uffiziali, dal Consiglio della Società deliberando per voti.

Protettori - Le stesse formalità de' precedenti.

Presidenti d'Onore - Idem.

Grandi Uffiziali d'Onore - Idem.

Offiziale d'Onore, delegato corrispondente - Sarà nominato direttamente dal Grande Uffiziale d'Onore. La sua nomina sarà ratificata dai Gran Maestri e dal Presidente in esercizio.

Tesoriere - Sarà nominato dal Consiglio d'amministrazione.

Medico - Idem.

Visitanti - Idem.

Gran Degnitari - Saranno nominati dal Consiglio dietro presentazione de' Gran Maestri, Presidente, Grand'Uffiziale d'Onore ed Uffiziale d'Onore.

Benefattori - Saranno nominati dietro la presentazione di due Membri titolari, o dell'Uffiziale d'Onore.

Membri titolari partecipanti e non partecipanti.

Saranno nominati dietro la presentazione d'uno de' Membri del Consiglio d'Amministrazione. Tutte le presentazioni dell'estero dovranno essere ratificate dal Grande Uffiziale d'Onore.

Capitolo 5° - Diritto d'Ammissione

Articolo 6° - Alti Protettori (Facoltativi) Dono volontario di Mille franchi. Protettori (Facoltativi) Dono volontario di Cinquecento franchi. Presidente d'Onore (Facoltativo) Dono volontario di Quattrocent franchi. Grandi Uffiziali d'Onore (Facoltativo) Dono volontario di Quattrocento franchi. Uffiziali d'Onore (Facoltativo) Dono volontario di Trecento franchi. Gran Degnitari-Dono di Duecento franchi. Membri benefattori-Dono di Duecento franchi. I membri di questa categoria, meno gli Alti Protettori ed i Protettori, dovranno inoltre al loro dono alla Cassa della Società, presentare anche una nota d'azioni di coraggio e d'atti umanitari. Gli atti o belle azioni saranno apprezzati dal Grand Uffiziale d'Onore per la presentazione ed in seguito ratificati dal Consiglio d'Amministrazione che ne farà il rapporto e stabilirà per la nomina basata sopra i motivi di questo rapporto.

Membri titolari partecipanti - Dono di Dieci franchi ed un franco per mese. Detti non partecipanti - Venti franchi ed un franco per mese. La medaglia decorativa sarà pagata al di fuori del diritto d'ammissione, che comprende la consegna gratuita del diploma e degli Statuti della Società. Il prezzo della medaglia decorativa e del nastro è di dieci franchi.

Articolo Addizionale - Al infuori di queste condizioni la Società Umana, dietro la proposizione de' Gran Maestri, del Presidente e del suo Consiglio, si riserva il diritto di offrire graziosamente tutt'i titoli sopracitati, salvo quello di Membro titolare partecipante, a tutt'i personaggi che le ne sembreranno degni e sotto il patrocinio dei quali vorrà porsi.

Capitolo 6 - Invio dei Diplomi - Articolo 7 - Sarà inviato a ciascun socio un diploma di membro della Società. Questi diplomi saranno firmati dai

1° I Gran Maestri - 2° Il Presidente - 3° Un Vice-Presidente - 4° Il Segretario Generale - 5° Il Grand'Uffiziale d'Onore - 6° L'Uffiziale d'Onore. Queste ultime due firme avranno luogo solo per le promozioni all'estero.

Capitolo 7° - Medaglia della Società - Articolo 9 - Sarà spedita una medaglia a ciascun Membro della Società. Questa medaglia simile per il colore del nastro a quella del Merito Civile essendo della dodicesima categoria di quest'ordine (Categoria del Coraggio e della abnegazione) è decretata della seguente forma: Una medaglia in argento contornata d'una doppia palma verde (fondo a giorno) con un'ancora nel mezzo. Per i Gran Maestri, è sormontata da una corona e da un anello dovendo avere il nastro (si riferisce alla croce di Commendatore). Per gli Alti Protettori, la stessa creazione. Per i Protettori, senza corona, con rosetta alla bottoniera e con frangia d'oro. Per i Presidenti ed i Presidenti d'Onore, in tutto uguale. Per i Grandi Uffiziali d'Onore uguale con frangia d'argento. Per gli Uffiziali idem, senza frangia. Per i Grandi Degnitari idem. Per i Membri Benefattori la semplice medaglia con un nastro listato d'argento. Per i Membri Onorari, Membri titolari partecipanti e non partecipanti, simile con un semplice nastro. I Membri di queste tre ultime categorie che risiedono all'estero porteranno per decisione speciale con la medaglia della società un nastro giallo e nero. Questa medaglia con il suo nastro (giallo e nero) non potrà, come quelle delle Società dei Salvatori di Francia, essere portata che nelle cerimonie relative ai Salvatori, deputazioni e riunioni di Società di Salvatori.

Capitolo 8° - Delle Obbligazioni della Società verso de' Soci.

Articolo 10 - La Società assicura a' suoi Membri titolari partecipanti:

1 - Le cure de medico e le medicine. 2 - Una sovvenzione, in caso di malattia, fissata ad un franco per giorno durante un trimestre, e cinquanta centesimi per il secondo trimestre. 3 - E' necessario per ricevere la suddetta sovvenzione che la malattia duri più di otto giorni. 4 - Se dopo lo spazio di sei mesi il socio sarà ancora malato o incapace di lavorare, il Consiglio Amministrativo gli accorderà una pensione annua di Cento franchi sulla cassa: Vedi paragrafo: Invalidi dell'umanità. La Società assicura inoltre ai membri titolari partecipanti una somma determinata dal Consiglio, per i funerali del Socio decesso, troppo povero perché la sua famiglia possa procedere a' suoi funerali. Questa somma non sarà elargita che dietro domanda della famiglia.

Articolo 11° - La Società dovrà, appena avrà creata, per decisione del Consiglio, la Cassa dei Malati, fondare in seguito una Cassa di benefici, per sollievo di tutti gl'infelici della Repubblica. Appena questa Cassa organizzata procederà sempre per la stessa via alla formazione della Cassa degli Invalidi dell'Umanità. In caso di flagello o d'epidemia, il Consiglio ha pieno potere di cercare il mezzo di soccorrere d'urgenza gl'infelici e riparare al male. E' ben inteso che i doni della Società saranno sempre proporzionati alle risorse della Cassa Sociale senza impegnare per nulla la fortuna degli amministratori nè quella dei Soci.

Capitolo 9° - Degli Obblighi de' Soci verso la Società - Articolo 12: I Soci si obbligano (i titolari partecipanti e non partecipanti) a pagare la loro quota mensile di un franco. Gli altri Membri a compire con zelo e disinteresse le funzioni che loro incombono per l'atto sociale, vegliare alla sua gloria e concorrere alla sua prosperità con una propaganda onesta e umanitaria. Il difetto di pagamento delle contribuzioni dei Membri titolari partecipanti e non partecipanti, sarà punito allo spirare di due mesi d'una multa di cinquanta centesimi ed allo spirare dei tre mesi della espulsione di socio. Tutt'i Membri espulsi dalla Società a qualunque grado appartenghino non possono più portarne le insegne. Il socio non può essere espulso che per decisione del Consiglio rappresentato dai Gran Maestri ai Grandi Uffiziali d'Onore per l'estero, i quali ne daranno communicazione officiale al Membro espulso. Allorchè un Membro titolare partecipante o non partecipante sarà decesso, una commissione delegata dal Presidente dovrà assistere ai funerali.

Articolo 13° - Qualunque Membro della Società il quale dirà male della medesima o d'un Segretario che cercherà di portare oltraggio al suo onore, alla sua probità o al suo coraggio sarà dietro dimostranza fatta in regola, giudicato a S. Marino dal Consiglio ed all'estero dal Grand Uffiziale d'Onore, ed espulso dalla Società.

Capitolo 10° - Del fondo sociale e suo impiego.

Articolo 14° - Il fondo sociale della Società si compone: 1° - Delle sovvenzioni che possono essere accordate dalla Repubblica. 2° - Delle quote mensili e de' diritti di medaglia e diploma, regolati da un precedente articolo. 3° - Dei diritti d'ammissione delle differenti classi dei membri della società. 4° - De' doni e legati particolari. 5°- Delle sottoscrizioni che possono essere fatte tanto a S. Marino che all'estero. 6° - Dei fondi impiegati. 7° - De' prodotti delle multe. 8° - Dell'interesse de' fondi impiegati.

Articolo 15° - Il fondo sociale sarà applicato come segue: 1° - I fondi provenienti dalle Sovvenzioni della Repubblica, dal prodotto delle contribuzioni, dai diritti d'ammissione e di spedizione di medaglie e diplomi, da tutt'i membri soscrittori, saranno impiegati al pagamento dei soccorsi di qualunque specie accordati ai Membri titolari partecipanti. 2° - I doni, legati, soscrizioni, aiuti inattesi, saranno impiegati a S. Marino al soccorso degli infelici della Società ed alla erezione della Cassa degli Invalidi dell'Umanità.

Capitolo 11° - Doni e Legati.

Articolo 16° - La Società può, a datare dalla sua fondazione ricevere i doni ed i legati non solo da tutt'i membri ma anche da tutte le nazioni e tutte le persone straniere alla Società. Ciascun dono o legato fatto in queste condizioni, sarà menzionato al processo verbale delle riunioni del Consiglio. Il nome del donatore sarà proclamato in seduta pubblica ed inciso in lettere d'oro sopra una tavola di marmo situata nella sala delle sedute. Sopra questa tavola, sarà incisa l'iscrizione seguente: Tavola d'Oro dei benefattori dell'umanità. La Repubblica di S. Marino riconoscente.

Capitolo 12° - Delle Assemblee Generali e delle riunioni del Consiglio Amministrativo.

Articolo 17° - La Società si riunirà in Assemblea Generale e solenne al mese di Maggio di tutti gli anni, in un locale ad hoc situato a S. Marino. In questa seduta intenderà i rapporti sulla situazione e deciderà le quistioni che gli saranno sottomesse dai Gran Maestri e dal Consiglio. I Gran Maestri in esercizio nomineranno il Presidente che nominerà gli altri funzionari d'officio. Gli antichi funzionari renderanno i loro conti e rimetteranno il loro mandato al nuovo Presidente, il quale approverà firmando, i rapporti e gli atti dell'antica seduta. Il tutto sarà contrassegnato da' Gran Maestri in esercizio. I Grand'Uffiziali d'Onore spediranno anche, per questa seduta, un Rapporto sulla loro gestione il quale verrà solo approvato da' Gran Maestri. I Grandi Uffiziali d'Onore regoleranno con gli Uffiziali d'Onore delegati, il bilancio dell'anno un mese avanti della grande seduta a fine di potere ugualmente trasmettere la loro approvazione agli Uffiziali d'Onore un mese dopo la grande seduta.

Articolo 18° - Il Consiglio d'Amministrazione si riunirà ogni due mesi dietro la convocazione del Presidente.

Capitolo 13° - Durata della Società.

Articolo 19° - La Società è fondata per Novanta anni a partire dalla promulgazione de' suoi Statuti e dal decreto officiale di fondazione. Gli statuti non porranno essere modificati che tutti i dieci anni ed ancora dietro la domanda de' Gran Maestri.

Capitolo 14° - Disposizioni Generali.

Articolo 20° - Tutte le funzioni richieste dalla Società a suoi Membri sono gratuite. Non può farsi eccezione che per il Segretario particolare della Società.

Articolo 21° - Ciascuna dimissione o espulsione di Socio sarà inserita nel processo verbale e letta in assemblea generale.

Articolo 22° - Qualunque grave quistione fra i soci titolari partecipanti o non partecipanti sarà decisa dal Consiglio il quale giudica definitivamente e senza appello.

Capitolo 15° - Disposizioni transitorie.

1° - Potrà essere creato un costume officiale a S. Marino, solo per i Membri della Società. Questo sarà facoltativo ai Membri stranieri di portarlo nelle grandi cerimonie. 2° - Lo scioglimento de la Società non potrà aver luogo che dietro l'iniziativa de' Gran Maestri, sostenuta dai due terzi di tutti i membri del corpo sociale residente a S. Marino ed all'estero. 3° - I presenti Statuti allorquando saranno stati approvati dal Governo della Repubblica di S. Marino saranno tradotti in francese e stampati in questa lingua per cura del Grande Uffiziale d'Onore Gran Maestro Onorario di Francia. Le spese di stampa saranno pagate dalla Cassa Sociale come anche le stampe relative alla Società. 4° - Le spese di medaglie, diplomi ed insegne saranno egualmente prelevate sul fondo sociale.

                   

                       Modulo dell'obbligazione

                      Società Umana di San Marino

 

Il sottoscritto...............................dichiara aderire in tutto punto agli Statuti della Società Umana di San Marino, della quale desidero far parte in qualità di............................obbligandomi in caso d'ammissione a conformarmi agli Statuti ed alle condizioni in essi stipulati.                             Firma del Postulante

 

(porre il nome, pronome, titoli, qualità, domicilio, luogo e data di nascita del postulante, come anche gli atti umanitari compiuti.

 

                               Avviso

Il Postulante dovrà anticipatamente versare nelle mani del Tesoriere, del quale la residenza gli sarà indicata, i dritti d'ammissione. In caso di rifiuto della sua candidatura questi dritti gli saranno integralmente rimborsati.

 

 

 

(AS, Cart., n° 172, b. 179/12)

 

 

 

APPENDICE N° 7

 

Lettera di Pasquale Greco alla Reggenza - 8 settembre 1863

 

 

 

          Ai Cittadini Rappresentanti la Repubblica di S. Marino

 

                         Cittadini Rappresentanti

 

Permettete ch'io offra in omaggio il mio pensiero a Voi, veneranda reliquia del gran popolo Latino, deputati al sacerdozio di conservare eternamente acceso sul tripode della patria il fuoco sacro della libertà.

Fra le lotte che agitano il mondo intero, Voi ingenue tribù di patriarchi, vivete lieti e tranquilli, come chi à coscienza del dovere compiuto, come chi scevro di ambizioni lavora per nobilitare l'istinto con la beneficenza fraterna, non per degradarlo con l'egoismo genitore d'ire, e di sociale dissoluzione.Io riverente ammiratore della pacifica attività, nella quale prosperamente si svolgono le forze di cotesta comunanza popolare , riposo spesso l'animo mio contemplando i vostri ordini, e vi addito ai miei figliuoli, come tipo esemplativo della virtù antica.

Voi mentre da un canto vi serbate gloria d'una Nazione rinascente, date al mondo la prova più chiara per convincerlo nel bisogno della libertà alla rigenerazione vera e completa dei popoli.

Questa è stata per Voi la vera sorgente del bene, come le nostre miserie ripetono la loro origine dalla sua secolare assenza; ma ora che le cento città sorelle si danno la mano per compiere l'Unità Nazionale sotto lo scettro Augusto di Vittorio Emmanuele II, il popolo di S. Marino insegnerà agli altri come la libertà vera, la libertà santa rispondendo ai fini dell'umana ragione, ci darà forza e potere per il cancellare le orme straniere, e ridonare all'Italia il suo natio primato.

Sono ormai tre anni che battiamo la via del bene, non si deve che percorrerla intera con costanza e fermezza pari alla vostra, ed il Plebiscito della Nazione addiverrà un irrecusabile fatto.

Frattanto sarei lietissimo, se Voi Cittadini Onorandi, accettate di buon viso un pegno della mia spontanea estimazione, in un piccolo materiale di novella maniera d'illuminazione notturna, per usarlo anche solo, nelle più rimote contrade della Città, ch'io oso offerire, per mezzo del Concittadino Vostro onorevole Commendatore Carlo Dott. Venturini Console di Tunisi in Ancona, al Governo della più antica e veneranda Repubblica, in testimonio solenne della mia singolare simpatia, affetto, ed ammirazione.

                   

Sono indelebilmente per la vita

Di Voi

Cittadini Chiarissimi

 

 

Di Luce gli 8 Settembre 1863 Devotissimo e Sincero ammiratore  

                                       Pasquale Greco

 

 

(AS, Cart.)

 

 

 

 

APPENDICE N° 8

 

 

Protesta contro l'espulsione dei rifugiati politici - 30 agosto 1874

 

 

 

Repubblica di S. Marino

30 Agosto 1874

 

Considerando, che le azioni di un Governo libero e indipendente non debbono misurarsi dalla piccolezza del suo territorio, nè dalla parvità delle sue forze, ma dai diritti e dai doveri che devono tutelare le leggi, la giustizia e le Convenzioni Internazionali.

Considerando, che i Reggenti la Repubblica nel 14 Aprile 1874 chiamassero i Cittadini della medesima a far causa comune col Governo e solennemente dichiarassero che notati e lodati in tempi di furiosa tirannide per coraggiosa abnegazione nel soccorrere alla sventura, anch'oggi avrebbero mantenuto ad essa il sacro diritto di asilo.

Considerando, che i reati di stampa, pei quali alcuni intemerati Cittadini del Regno d'Italia cercarono rifugio su questo suolo, non siano enumerati fra i crimini contemplati nell'ultima Convenzione fra i due Stati, i quali per legge non possono negare il diritto di asilo ad emigrati politici, massime a coloro che si trovavano, come nel caso concreto, al possesso di regolari recapiti.

Considerando, che se da un lato la Repubblica, scorata dalle inaudite vessazioni testè sofferte, sia compatibile nello esercitare un regime di prudenza e di circospezione, dall'altro non possa nè debba avere alcuna scusa allorchè l'operato della medesima riveste il carattere di una sommissione portata al suo ultimo grado, in guisa da dover rendere la sua autonomia, la sua libertà e la sua indipendenza mancipia e vassalla della Monarchia Italiana.

Considerando, che il Governo della Repubblica coll'ordinare o permettere che i Militi della medesima diano la caccia ad onesti Patrioti, rei soltanto di professare quei principi pei quali questa Terra visse e si conservò incontaminata per più di quattordici secoli, sia col perquisire le case dei Cittadini, sia coll'arrestare individui senza alcun ordine e senza mandato alcuno, confondendo cogli innocenti i rei, cogli onesti i malfattori, da una parte si renda complice di persecuzioni e tirannie, e dall'altra porga argomento a fomentare il dualismo, la discordia e le ire tra i Cittadini di una stessa terra.

Considerando, che il silenzio importerebbe una tacita complicità, a rimuovere la quale è giocoforza il far conoscere all'Italia, all'Europa la niuna solidarietà col Governo della Repubblica.

I sottoscritti nel nome di liberi Cittadini, per quell'amore che portano alla Terra natale, per le sue libere istituzioni, per la sua indipendenza non mai contaminata

Protestano

Contro lo sfratto dato nel termine di 24 ore ad integerrimi Cittadini del Regno d'Italia, -contro la fede violata nei patti sanzionati colla Convenzione 27 Marzo 1872, convalidata dal Proclama 14 Aprile 1874, -contro gli arbitrii permessi o tollerati dal Potere, o Agenti del Potere, per violazione di domicilio e integrità di persona; -contro la eccessiva prostrazione al Governo del Re, la quale marca un passo alla perdita della libertà; -contro il dualismo che si cerca suscitare tra i figli di una patria comune; -ed infine contro tutte quelle conseguenze che potrebbero derivare dall'essere noi dagli Italiani segnati a dito quali strumenti di cieca tirannide, persecutori ed oppressori dei nostri fratelli.

 

Amati Marino, Amati Salvatore, Balducci Giuseppe, Balducci Ezio, Belloni Giuseppe, Belloni Luigi, Belluzzi Antonio fu Giovanni, Belluzzi Belluzzo, Berti Francesco, Burgagni Giovanni, Castelli Adamo, Ceccoli Erminio, Ceccoli Ippolito, Ciavatta Elia, Corsucci Lorenzo, Fabbri Francesco, Fabbri Ivo, Galassi Ciro, Gasperoni Sebastiano, Gasperoni Marino di Gaspare, Ghironzi Nazareno, Giacomini Giuseppe, Giacomini Romolo, Giacomini Remo, Giardi Giuseppe, Giardi Giovanni, Giovannarini Felice, Giovannarini Clemente, Martelli Federico, Martelli Giacomo, Martelli Valerio, Martelli Benedetto, Martelli Lorenzo, Martelli Abele, Michetti Raffaele, Molari Antonio, Morri Vincenzo, Morri Salvatore, Pezzi Luigi, Piva Giuseppe, Ravezzi Luigi, Ravezzi Giuseppe, Reffi Inaco, Reffi Francesco, Rocchi Luigi, Sanchioni Marino, Semprini Gaetano, Silvagni Cesare, Tini Odoardo, Ugolini Antonio, Ugolini Mariano, Ugolini Marino, Vagnetti Marino.

 

 

(AS, Cart., n° 302, b. 179/20)

 

 

APPENDICE N° 9

 

Istanza di Palamede Malpeli a favore dei beni artistici - 24 aprile 1870

 

 

       Serenissimo Consiglio

 

Se nei Cittadini è commendevole lo illustrare le cose patrie, nei Governi, e specialmente nei Nazionali, è sacrosanto dovere di curare le conservazione di quelle cose che possono spettare alla Storia patria; quali sono i documenti - i monumenti - le tradizioni.

Purtroppo i nostri Maggiori nei loro costumi superlativamente patriarcali trasandarono con nostro danno e vergogna, questo sacrosanto dovere. Non ricuperarono l'Archivio dei primordii della Repubblica rimasto così vicino a noi, a Ravenna, fino al principio del secolo presente:-tollerarono che fosse atterrato l'antico nostro Tempio, monumento di libertà, di storia italiana, di arte:-poco o nulla curarono gli Archivj dello Stato:-lasciarono nelle private famiglie molti documenti di pubblico interesse:-neglessero la conservazione di monumenti e di oggetti d'arte:-lasciarono perdersi le tradizioni politiche e storiche.

Ora pertanto che il nostro Governo è tutto intento a dare il maggiore sviluppo alla Istruzione, che è il principal cardine dello Stato, -ora che per benevoli simpatie è stato fondato un Museo, una Pinacoteca, una Biblioteca, -ora che la smania di tutto conoscere ha invaso il mondo, e tutti vogliono parlare e scrivere di S. Marino, -il Governo della Repubblica non può rimanersene più inerte, e l'interesse ed il decoro della nostra Patria esige che sia nominata una Deputazione permanente, con un assegno annuo, per rintracciare gli antichi documenti, salvare dalla dispersione quelle poche notizie e memorie che pur ci restano del nostro antico tempio distrutto (fra cui una pianta topografica, ed un'armatura di un nostro celeberrimo cittadino) -per rivendicare oggetti d'arte illegalmente alienati da Corpi morali, e per sorvegliare alla conservazione di ogni altro patrio monumento.

Il Ricorrente confida nella Sapienza del Principe, e nella Santità della sua domanda, che i suoi voti verranno esauditi.

      San Marino li 24 Aprile 1870                Palamede Malpeli

 

(AS, Istanze al Consiglio del 1870.)

 

APPENDICE N° 10

 

Istanza di P. Malpeli a favore dell'istruzione femminile - 5 ottobre 1862

 

 

All'Eccellentissimo e Sapientissimo Generale Consiglio Principe e Sovrano della Repubblica di S. Marino.

 

                             Eccellenze

Il Consigliere Palamede Malpeli a nome di molte Madri Sammarinesi fa rispettosa istanza alle EE.VV. perché vogliano presentare al Generale Consiglio Principe e Sovrano della Repubblica le loro umili suppliche tendenti ad impetrare, oltre i già esistenti, ulteriori mezzi di educazione per le loro figlie.

Confido che la Bontà Sovrana farà buon viso alla dimanda, la quale non solo è giusta perché tutti i Cittadini (in una Repubblica specialmente) hanno diritto al bene dell'educazione e della istruzione, anche quelli che non sono provvisti di mezzi di fortuna, e sono la maggior parte - ma la dimanda è eziandio sommamente vantaggiosa alla Repubblica, perché ognun sa che la donna in molti modi esercita un'influenza diretta sui costumi del popolo, di cui la buona morale è quella che sola conduce lo stato alla floridezza, alla gloria, alla felicità.

Qualora la massima venga accolta il Sottoscritto si farà un dovere di presentare un dettagliato progetto fondato sul principio; che il Governo non debba per questa istituzione improntare danaro di sorta nè trovarne; e che il metodo dell'educazione e dell'istruzione sia tale da raggiunger lo scopo a cui è diretto; cioè la prosperità della Repubblica.

 

   Pubblico Arringo li 5 Ottobre 1862

                                             P. Malpeli

 

 

(AS, Istanze al Consiglio del 1862.)

 

 

 

APPENDICE N° 11

 

Istanza di P. Malpeli contro il calo del numero dei consiglieri - 1871

 

 

Ora che questo consesso ha raggiunto il suo numero costituzionale e che si può dire trovarsi nell'esercizio legale della sovranità, fa d'uopo provvedere a che per l'avvenire non si ricada in una condizione di cose contraria alle leggi fondamentali della nostra Repubblica. Imperocchè si dice nella Rub. III lib. 1°: Volentes Consilium magnum et generale esse debere numeri praedicti, videlicet sexaginta Consiliariorum: dictumque numerum augeri, vel diminui, non posse, nec debere. Dalle quali parole risulta, che il Consiglio Sovrano deve essere costantemente composto di sessanta Membri, e che questo numero non va diminuito nè in diritto nè in fatto; non posse nec debere. Cosicchè il Consigliere è fatto non dal Consiglio, ma dalla costituzione; ed è necessario, come sono necessari i Capitani Reggenti per la cui elezione non occorre nemmeno, che il Consiglio si costituisca in seduta legale ordinaria. E così nella Rub. immediatamente successiva si dice che susseguita la morte o la cessazione di alcuno dall'uffizio di Consigliere, si debba subito devenire alla nomina del successore; e se ne stabilisce il modo.

Il non avere però osservata sempre scrupolosamente questa prescrizione statutaria ha fatto nascere inconvenienti ed incertezze, alle quali si credette riparare con Decreti dettati forse dallo spirito dei tempi in cui furono fatti, anzichè dallo spirito democratico delle leggi statutarie. Quei Decreti che stabilirono in modo assoluto, che il Consigliere per ritenersi eletto dovesse ottenere la maggioranza dei votanti, hanno l'inconveniente di dare l'opportunità al Consiglio di rendersi esclusivo, e di concentrare in pochi il potere coll'escludere dal suo seno quell'elemento popolare, che col progressivo succedersi delle generazioni rappresenta lo sviluppo sempre maggiore delle idee e dell'umanità. Che se la conservazione deve essere il nostro primo pensiero, dobbiamo però guardarci dal confondere l'idea di conservazione con quella d'immobilità. La prima è nell'ordine naturale; la seconda è contro quest'ordine medesimo.

Può darsi però il caso, che nella elezione di un nuovo Consigliere la Reggenza non credesse di usare del suo diritto di proporre due Candidati, o ne nominasse un solo, e che dietro a ciò il numero dei ballottanti fosse di due od anche di uno solo. In questo caso si potrebbe ragionevolmente ritenere pericoloso il principio della maggioranza relativa e non assoluta dei voti. Poiché potrebbe essere portato a coprire il posto di Consigliere un individuo qualunque, che non avesse potuto conciliarsi se non che uno o due voti favorevoli. Come pertanto non può farsi la nomina dei nuovi Capitani Reggenti quando manchino almeno dodici nominatori, così noi riteniamo, che non possa farsi una ragionevole elezione se non vi sono quattro individui nominati. Ad ottenere il qual numero riteniamo doversi ricorrere al solito sistema della estrazione dei nominatori, quando questi spontaneamente non si presentassero.

Epperò noi proponiamo che sia sancita la seguente dichiarazione autentica della Rub. 4^, lib. 1° degli Statuti:

Il Generale Consiglio Principe e Sovrano sarà mantenuto in diritto e in fatto nel numero di sessanta Membri. Mancando uno di questi per morte, per ricevimento di ordini Sacri, per degradazione, o per non accettazione, la Reggenza, sotto pena di lesa costituzione, proporrà la nomina del successore nelle forme prescritte dallo Statuto nella prima Tornata Consigliare. Non sarà necessaria la maggioranza assoluta di voti per il Candidato, ma semplicemente la relativa. Quando però i nominati fossero, dietro astensione totale o parziale della Reggenza, in numero minore di quattro, questo numero dovrà essere raggiunto coll'estrazione a sorte dei nominatori, in mancanza di proponenti volontari. La nomina a Consigliere per acclamazione, si dichiara conforme allo spirito della costituzione.

 

(AS, Istanze al Consiglio del 1871.)

 

 

 

APPENDICE N° 12

 

Relazione sulla vicenda riguardante il commissario della legge. 11-5-1870

 

 

            Ispettorato Politico nella Repubblica di S. Marino

                         S. Marino 11 Maggio 1870

 

Eccellenze

   A seguito delle requisitorie fattemi dalle EE.VV su quanto mi è dato riferire intorno ai fatti di cui è stato passivo l'Illmo Sig. Commissario della Legge. Per corrispondervi fedelmente mi sia permesso rimontare al 1868. Fu in quell'epoca e precisamente dopo che l'onore Giudicante pronunziò la Sentenza cella causa Casini Filippi, che furono staccati libelli minatori contro di lui. Che una mattina di Mercoledì fui chiamato nella sua residenza in Borgo, e tutto indegnato mi narrò come fuori della porta della rupe era stato colpito da una sassata che gli aveva amaccato il cilindro. Mi disse pure come gli venivano fatte delle sgarbatezze dal giovinastro Ceresa.

Ne qui si fermarono le cose perché passata la causa in 2° e 3° grado si fecero molte dicerie contro di lui, e cioè che avesse aizzato i soccombenti alla lite, non mancando una maligna voce che diceva essere stato comprato dall'oro dei Filippi. In questo tempo fu carcerato Pietro Sabbatini per ferrimento semplice, e siccome il Sig. Commissario lo abilitò alle difese a piede libero fuvvi qualche blaterone che gridò contro di lui - e così quando fu condannato il giovinetto Fantini detto Brusone fu staccato libello famoso che accusavalo di avere condannato innocente Drusone, ingiustamente Casini. Le EE.VV. poi sanno ciò che sia a suo riguardo accaduto dopo che furono chiamate al supremo potere, e cioè come in una sera del p°.p°. Aprile il Gend. Colombini venisse premurosamente ricercato da un Cittadino perché avvertisse subito il Commissario a lasciare subito subito S. Marino, avvegnachè in Borgo sollevò grave malumore contro di lui. Come sia stato staccato un cartello minatorio alla porta di sua casa che un altro fu trovato fra la porta d'ufficio, che delle croci furono fatte su per la scala, che una sassata fu tirata nel cuore della notte nella persiana dove dorme, talchè venne scheggiata una stecca, e finalmente come nella notte del dì fosse incendiato un petardo sotto le sue finestre, e precisamente sullo scalino della porta d'ingresso.

Tutte queste cose non mancai riferirle con prontezza alle Reggenze che si sono susseguite in questo frattempo e da ognuna mi si fecero premure perché ne scoprissi gli autori. Ma con mio grave dolore vidi che nulla hanno potuto la mia buona volontà, paraliziata dai tristi che nascondendosi nelle tenebre hanno commesso questi fatti deplorevoli da ingenerare presso i cattivi il dispregio in questo magistrato, ed accrescere l'agitazione in questa famiglia, ma che generalmente la pubblica opinione condanna altamente.

Le EE. VV. ponno star certe che non ho mai mancato e non mancherò mai di adoprarmi per lo scoprimento degli autori di così tristissimi fatti, e come le dissi verbalmente replico ora che la posizione di quest'autorità si è fatta difficile e so ancora che autorevoli persone di ciò penetrate lo abbiano consigliato ad abbandonare il suo Ufficio.

Questo è quanto posso dire in senso di verità e pronto sempre agli ordini delle EE.VV mi onoro segnare con profondo rispetto e considerazione.

 

(AS, Istanze al Consiglio del 1870.)

 

 

 

APPENDICE N° 13

 

Relazione di Palamede Malpeli sull'arresto di rifugiati - 15 maggio 1874

 

 

Comando Superiore delle Milizie della Repubblica di S. Marino

                             li 15 Maggio 1874

 

Eccellenze

   Appena ricevuto il Dispaccio delle EE.VV. dell'11 corrente alle ore 11.30 pom. immediatamente abbassai gli ordini opportuni alla 1^. 2^. 5^. 7^. Compagnia di questa legione di portarsi ai Quartieri e rilasciai gli ordini d'arresto di tutti i 59 Individui descritti nell'elenco unito al suddetto loro ossequiato Dispaccio.

Se non che, constandomi (come dirò in appresso) che la maggior parte dei medesimi non era nè poteva essere nel nostro Territorio, detti gli ordini più precisi alla 1^ e 2^ compagnia per l'arresto di quelli di cui si conosceva la dimora, ed ingiunsi alla 5^ e alla 7^ di praticare in diversi luoghi sospetti delle ricerche e delle perquisizioni per scuoprire se veramente vi fossero altri inquisiti, disertori o refrattari di leva latitanti.

Mentre però questo secondo tentativo non ebbe alcun favorevole risultato, gli arresti ordinati alle due prime Compagnie furono puntualmente eseguiti e la mattina del 12. alle 6 antim. erano tutti consegnati in queste pubbliche Carceri, ed affidati alla vigilanza della Compagnia di Rocca unitamente al disertore Casadei Giovanni arrestato nei giorni precedenti.

Gli arrestati sono -

1 - Ugolini Luigi detto Stadera

2 - Crudi Antonio di Giovanni

3 - Guerra Antonio

4 - Trifoni Pietro di Pietro

5 - Giancecchi Gio.Battista fu Bartolomeo

6 - Giancecchi Melchiorre di Tommaso

7 - Nanni Domenico di Antonio

8 - Pazzini Filippo di Sebastiano

9 - Cesarini Girolamo di Pietro

10 - Cesarini Adamo     id.

11 - Cesarini Giacinto o Enrico  id.

12 - Rossi Pietro di Fossombrone

13 - Roberti Filomena detto Calandrina

14 - Giorgetti Giovanni

Credo per mio debito di riferire alla EE. VV. il resultato delle ricerche fatte sugli altri 48 individui di cui non si è potuto eseguire l'arresto. Il Carpignoli Stefano e il Giulianelli Luigi sono assenti dal nostro territorio. L'uno ha famiglia alle Capanne e trovavasi a Monte Cerignone dai parenti: ma il padre disse alla nostra forza che appena tornato si costituirà da se; l'altro è cittadino originario di questa Repubblica e trovasi attualmente a lavorare nella Maremma.

Il Masi Guglielmo di Perticara dimorava in Borgo, ma saranno circa due mesi che è partito: ed è voce abbastanza fondata che attualmente si trovi in Toscana.

Il Cannoni Eracliano non è mai comparso in Repubblica almeno sotto questo nome. Pare però che un Eracliano Costanzi da un 14 mesi a questa parte siasi fermato qualche giorno nel nostro Territorio. Ma se ne sarebbe tosto partito alla volta dell'America, ove sarebbe attualmente Custode di un carcere a Buenos Ayres.

Il Gaspari Secondo fu visto molti mesi addietro a Monte Giardino, ma (come tempo fa ebbi l'onore di riferire all'EE.VV.) è fama sicura che siasi costituito da qualche tempo a Forlì, per cui mi fa somma meraviglia di vederlo requisito dal Procuratore Generale della Corte di Appello di Bologna.

Il Bernardi Federico, il Mengozzi Pietro, il Masani Edoardo, l'Angeli Cristoforo non si sono visti mai in Repubblica. Lo stesso si può dire dei Renitenti di leva Parenti, Pazzaglia, Tosi, Carlini, Francia, Baldacci, Felici, Lazzaretti, Tichi, Ciacci Eugenio, Nicolini, Baldacci Luigi, Antonini, Astolfi, Bronzetti, Ciacci Giuseppe, Giovagnoli, Barbieri, Rossi, Cenci, Antonini, Zangoli, Albini, Ghirardelli, Ugolini non che dei disertori Emmanuelli e Sanoni. Esistono in Repubblica alcune famiglie con alcuni dei sudd. Cognomi, ma non combina su di nessun individuo il nome, la paternità e l'età. Mi si fa credere poi che alcuni di essi sian morti da qualche tempo nella Maremma.

Il Severi Pietro venne in questo Borgo nel 7bre del 1871, e se ne partì li 18 Novembre successivo. Il Masi Angelo fu inutilmente ricercato come le EE.VV. ben sanno.

Il Castagnoli Sante fu girovago fra i due Stati sui confini di Serravalle, e ricercato dalla nostra Polizia, riparò all'Estero da più di un Anno a questa parte. Dicesi che se ne partisse in compagnia del Costanzi.

Il Fantini Agostino ha dimorato qualche tempo presso la famiglia Cesarini, ove ha la sorella: ma un testimonio oculare mi ha assicurato di averlo veduto negli scorsi giorni in una casa fuori dei nostri confini.

Il Ridolfi Crescentino è morto e se ne potrà aver la fede dal Municipio di Monte Grimano. Il Nanni Domenico (forse Andrea) fratello dell'arrestato è ora servo alla Dogana di Verucchio. Il Bianchi Luigi non è qui. Il nostro Bianchi Luigi fu già arrestato all'Albereto, ed essendosi riconosciuto che non vi era l'identità personale, fu rilasciato in libertà. Il Zangoli Giuseppe pure non è in Repubblica, ma in una località del Verucchiese detta Gualdo presso un tal Domenico Ghiotti. Il Celli Agostino era quegli che alcune settimane fa era energicamente inseguito dalle nostre forze a Pennarossa e a Canepa, e che dovette lasciare la Repubblica. E che ciò sia vero un testimonio oculare lo ha visto alcuni giorni in quel di S. Leo sulla possessione di un tal Sabattini di Secchiano "la Cella" a cavar piloni. Terminerò poi questo mio rapporto col far noto all'EE.VV. che anche altre perquisizioni parziali non ebbero alcun effetto. Egual risultato negativo ebbe una perquisizione fatta su vasta scala nella giornata di oggi dietro alcune voci corse che nelle località dette i Lagucci, Rancione e Piandavello si eran visti degli individui con facce proibite: ma forse erano esploratori! All'alba del giorno fu fatto improvvisamente occupare da quattro Squadre della IV Compagnia la strada posta sulle alture da Domagnano a Montelupo, mentre la V Compagnia occupava da un lato un semicerchio che aveva per corda la suddetta strada, e dall'altro cinque Squadre della I Compagnia e quattro Squadre della II descrivevano un egual semicerchio includendo Piandavello. Quattro Squadre poi della VI Compagnia colla nostra Gendarmeria hanno perquisito minutamente tutte le Case, i Capanni e i Burroni racchiusi nel terreno circondato.

Essendomi così assicurato con tutta la diligenza di cui sono capace, e con tutto lo zelo da cui sono animato, che nella nostra Repubblica non vi sono nè inquisiti, nè disertori, nè renitenti di leva, ho creduto di desister per ora da ulteriori perquisizioni, fino a che qualche sicuro indizio non consigli di riprendere le operazioni, il che però non credo possibile.

Dopo ciò non mi resta che rinnovare alle EE.VV. gli atti della mia profonda devozione.

Gle P. Malpeli

(AS, Cart., b.179/20)

 

APPENDICE N° 14

 

Lettera di S. Belluzzi e P. Tonnini alla Reggenza - 3 giugno 1874

 

All'Eccellenze Loro I Signori Capitani Reggenti della Serenissima Repubblica di S. Marino

Roma 3 Giugno 1874

 

 

Eccellenze

   Nell'accompagnare all'EE.VV. la Nota originale che in data 1 Giugno corrente ci è stata diretta da S. E. Il Ministro degli Affari Esteri del Regno d'Italia in riscontro alle nostre due del 4 e del 20 Maggio decorso sentiamo il sacro dovere di portare a Loro cognizione in modo dettagliato, sebbene succinto, le gravi e più salienti accuse che sono state portate al Governo del Re in questi ultimi tempi, le quali mentre da un lato rivelano le varie difficoltà che abbiamo incontrate per ristabilire i buoni ed amichevoli rapporti fra il nostro Stato e quello del Re, ci hanno condotto nell'amara ma purtroppo vera persuasione, che i nemici della nostra Repubblica si sono adoperati a tutta oltranza per calunniarla col pravo fine di perderla. 

Rapporti a centinaja che formano un grosso volume sono pervenuti al Ministero dell'Interno e custoditi nella Divisione della Pubblica Sicurezza. In essi si narra che nel Territorio della Repubblica hanno sempre trovato se non asilo, facile ricovero e protezione gl'inquisiti del Regno d'Italia, e specialmente delle vicine Provincie con manifesta violazione dei Trattati esistenti fra i due Governi; che le Autorità della Repubblica non solo non hanno spiegato e non spiegano la dovuta energia per far cadere in mano della punitiva giustizia quelli che si rifugiano nel Territorio Sammarinese, ma spingono la loro indulgenza a favore dei proprj sudditi delinquenti fino al punto di lasciarli tranquilli ed impuniti nello Stato vicino, sebbene i loro Magistrati criminali ne inculcassero la domanda di estradizione; che il Masi autore del recente omicidio commesso nella vicina Rimini è fra gli ultimi che nella nostra Repubblica ha trovato ajuto e favore manifesto per eludere le ricerche della pubblica forza, e che il medesimo si trova tuttavia nascosto nel nostro Stato per cura e favore de' suoi amici.

Fondandosi su tali risultanze il Ministro dell'Interno dopo aver insistito presso il suo Collega il Ministro degli affari esteri per la denuncia della Convenzione di buon vicinato e di amicizia conchiusa il 27 Marzo 1872 tra la Repubblica e S.M.Vittorio Emanuele, a noi apponeva che il Governo del Re si era determinato alle misure eccezionali ai nostri Confini non già soltanto per l'ultimo fatto del Masi, che doveva riguardarsi come l'ultima goccia che aveva fatto traboccare il vaso, ma per l'intollerabile sistema della Repubblica che non datava da ora, e sosteneva il dilemma -o che il Governo della medesima non vuole eseguire la Convenzione, o che gli mancano i mezzi per farlo; che la Repubblica stessa è da riguardarsi come un enclave pericoloso alla pubblica sicurezza nelle vicine Provincie del Regno, ed essere giuocoforza che il Governo del Re debba prendere sul di lei conto le dovute precauzioni. Insisteva quindi per lo meno sulla istituzione nel Territorio della Repubblica di una stazione mista di Carabinieri dei due Stati coll'unica ed esplicita missione di occuparsi della vigilanza sui malfattori del Regno che penetrassero in Repubblica, o per la istituzione di un Consolato con guardie consolari, od anche sull'obbligo per parte della Repubblica di accettare al suo soldo pel servizio di polizia quel personale di cui dovrebbe incaricarsi il Governo Italiano. Proposte tutte che noi senza esitanza respingemmo perché altamente lesive l'onore, la dignità e la indipendenza della Repubblica.

La fermezza del Ministro dell'Interno in questi concetti non fu vinta neppure dai buoni offici di S.E. il Ministro Vigliani, il quale dopo di avergli esposto di non poter prestar fede a tante accuse, ne di convenire nelle opinioni del suo Collega, doveva per quanto ci disse e con sommo nostro dispiacere concentrarsi in quella riservatezza e in quei riguardi voluti dalla speciale sua posizione di Ministro.

A tanta mole di accuse ed a sì sconfinate esigenze prive dell'appoggio diretto del nostro Consultore, comprenderanno l'EE.VV. quale e quanto esser dovesse il nostro sconforto, e come amaro il dubbio a non riuscire nella missione, di cui fummo onorati. Però ai momentanei abbattimenti dell'animo subentrò la calma e la fermezza dei propositi, calma e fermezza che ci venivano ispirate dalla bontà della causa che avevamo a trattare, dall'appoggio della pubblica opinione che la nostra Repubblica gode in tutta Italia, dall'ajuto di benevoli personaggi che ci accordarono qui in Roma il loro favore, e sopra tutto dalla lealtà ed onoratezza del Ministro degli affari esteri Visconti Venosta e di pressochè tutto il personale del suo Dicastero, appo il quale riescimmo ad ottenere un'argine contro l'avversione troppo spiccata dei Burocratici dell'Interno.

Finalmente la procella che ne minacciava e che fino a questi ultimi giorni sembrava che volesse risorgere più minacciosa di prima si è dileguata per la efficace interposizione a nostro favore del prelodato Ministro degli affari esteri, alla quale hanno moltissimo contribuito la savia ed energica condotta del nostro Governo, l'impegno patriottico col quale lo hanno servito le nostre milizie col suo capo veramente benemerite della Repubblica, la calma, la concordia e l'abnegazione di tutti i nostri Concittadini in questi dolorosi frangenti.

Ora non ci resta che a consolarci a vicenda del ritorno dei buoni ed amichevoli rapporti fra la nostra Repubblica ed il Governo vicino, ed a sperare che questo infausto avvenimento rinvigorisca in tutti i Sammarinesi l'amore della Patria che abbiamo l'obbligo santissimo di tramandare libera ed indipendente ai più tardi nepoti.

Piaccia all'EE.VV. di gradire la nostra devota ed affettuosa servitù e di accogliere il grido che c'irrompe dal cuore di Viva il nostro Santo Protettore - Viva la nostra Repubblica.

 

                                          Gl'Incaricati

                                        Settimio Belluzzi

                                         Pietro Tonnini

 

 

(AS, Cart., b. 179/20)

 

 

 

APPENDICE N° 15

 

Lettera del Ministero degli Esteri sulle riunioni mazziniane. 13-6- 1870

 

    In alcuni giorni del p.o mese di Aprile si osservò in S.Marino un insolito viavai di persone, che poi si seppe che erano quasi tutte appartenenti alle provincie di Romagna, tra le quali fu notato il già troppo noto Eugenio Valzania di Cesena, ritenuto come capo del partito mazziniano, e delle sette romagnole, per qualunque arrischiata impresa da tentare.

Ora in S. Marino si è costituito da qualche mese un Comitato, così detto della Repubblica Universale e sembra che tutti i nuovi viaggiatori dello scorso mese abbiano avuto relazioni piuttosto intime col suddetto Comitato; ma s'ignora quali siano stati i discorsi tra loro tenuti. I membri del suddetto Comitato sono tre e si chiamano: Martelli Giacomo, Casali Ercole e Giovannarini Luigi, il primo dei quali è persona accorta ed intelligente. Il dì 6 Maggio si recò parimenti in S. Marino un romano, giovane di età, bene in arnese, di modi e figura civile, che si trattenne ivi quattro giorni, ebbe relazioni con quelli del Comitato e mostrò di spendere largamente. Ma, oltre a costui, si sarebbe rifugiato in S. Marino, e si troverebbe precisamente nascosto in casa di Marinelli del Cantone, un individuo misterioso, che da taluni si ritiene un capo del partito repubblicano, da altri un delinquente. Il dì 13 e 14 del corr.te mese (maggio) si recarono anche in S. Marino due giovinetti Forlivesi, che sono del partito. L'uno ha nome Piselli Gemanico e l'altro Tomasari Giuseppe. Ora i due suddetti giovani, recatisi a S. Marino, andarono in traccia di un loro amico, a nome Capanna (anche del partito d'azione) il quale è maestro nel ginnasio repubblicano. Il detto Capanna, al tempo in cui avvennero i fatti di Pavia e di Brisighella, lasciò S. Marino, adducendo a quel Governo doversi recare a Forlì a visitare la madre, che giaceva a letto inferma. Gli emigrati attualmente conosciuti in quella repubblica sono cinque: un tale di Cesena indicato col sopranome di Tosetto, un certo Rossi di Pesaro, implicato nel processo d'assasinio del delegato Sig. Ferro, avvenuto tre anni fa; un tale di Forlimpopoli, che uccise un canonico a Forlimpopoli (questi è il Bazzoli di Forlimpopoli e l'ucciso è il canonico Giunta di detto Comune), un calzolaio di Ancona o di quelle vicinanze, ed uno sconosciuto di Cesenatico.

(allegata a AS, Cart., n° 142, b. 179/14)

                             

APPENDICE N° 16

 

Articolo de "La Luce" di Trieste (anno I, n° 2) - 23 aprile 1874

 

    

             La Repubblica di S. Marino e il Governo Italiano

 

La vertenza sorta fra la Repubblica di San Marino e il Regno d'Italia, ha dato occasione a disparati giudizi, in generale però poco favorevoli al Governo Italiano, sia per quella simpatia che desta sempre il più debole in lotta col più forte, sia per altre ragioni che crediamo di non lieve importanza. L'esistenza di quella piccola Repubblica data da secoli, e in ogni tempo venne rispettata da tutti i Governi più o meno rispettabili che si succedettero in Italia: perfino dal Papa! Non era sicuramente il Governo Italiano che per primo doveva farle affronto e minacciare quella innocua comunità nelle sue repubblicane istituzioni. E' fatto incontrastato che la moralità di quel piccolo Governo potrebbe essere d'esempio a molti Stati grossi fra i quali mettiamo in prima linea l'Italia Monarchico-Costituzionale: è noto come quei Capitani della Repubblica respinsero sdegnosamente l'offerta di un rilevante provento finanziario che aveva per condizione l'impianto di una grande Casa di giuoco a somiglianza di quelle che arricchiscono il Principato di Monaco. Su quel monte leggendario vivono pacificamente circa 7.000 abitanti laboriosi, onesti, ossequienti alle leggi semplici, giuste e morali che li reggono; gelosi della forma repubblicana che li governa, e di conseguenza vergini ancora da tutte quelle corruzioni ed immoralità, che un sedicente progresso ne fece la base su cui si fondano molti governi forti e potenti. Il Prefetto di Rimini, e più di lui le alte Autorità da cui dipende, hanno commesso un'azione inqualificabile; nè vale il pretesto che la Repubblica avesse dato asilo ad un malfattore comune e si rifiutasse di consegnarlo alle Autorità italiane secondo i trattati esistenti. Tutti sanno che verso il Governo Italiano, San Marino si mostrò sempre accondiscendente, adempiendo fino allo scrupolo i proprii impegni e dimenticando molte volte certi soprusi che i diversi prefetti delle Romagne si sono permessi in varie occasioni. Se il bandito ricercato dalla polizia italiana si fosse veramente ricoverato nel territorio della Repubblica, bastava un invito del Governo Italiano per ottenerne l'estradizione, ma esso non si trovava sul suolo di S. Marino, e lo provano le perquisizioni domiciliari dalla polizia italiana, riuscite infruttuose, e con tanta bonomia tollerate dal Governo della Repubblica. E dopo ciò perché far circondare di bajonette il confine? Perché non dare una giusta soddisfazione ai Capitani della Repubblica che, portatisi a Roma, sono costretti a correre da Ercole a Pilato senza ottenerne alcuna? E dove sono questi protettori della piccola Repubblica da cui sollecitarono titoli e decorazioni, per fregiarne pomposamente il loro petto, e fra questi il sig. Cantelli Ministro del Regno d'Italia? Oh! vi è a scommettere uno contro mille, e si sarebbe sicuri della vincita, che se si fosse trattato del Governo francese, i signori Ministri Italiani avrebbero agito ben diversamente, e il Prefetto co' suoi poliziotti e le bajonette, sarebbero rimasti ad una rispettosa distanza dal Confine: i barbacani papalini, gli Antiboini, i La-Gala informino. Il Governo Italiano può proprio andare superbo della vittoria ottenuta da due battaglioni di truppe contro quattro uomini e un caporale: può mettere quest'alloro di fronte all'insuccesso di Custoza, alle acque di Lissa e allo stivale d'Aspromonte! Ma forse il pretesto del malfattore fu un ritrovato per dare il primo colpo alla povera e antica Repubblica e tentare poi di annetterla al Piemonte. Fanfulla fu il primo a dirlo e...si sa... alle Corti il consiglio del buffone è sempre più ascoltato di quello di un ministro. Ciò però che addolora si è il pensare che molti uomini del 48-49 si trovano ora al potere e fanno mostra della più nera ingratitudine. Essi, dopo aver dimenticato di essere stati repubblicani, dimenticano ancora che qualcuno di essi, forse, in tempi ben più pericolosi, dalla ospitale e piccola Repubblica, veniva accolto nudo, senza mezzi, fuggiasco, inseguito dai soldati dell'Austria, e su quel libero suolo, trovò pane, vesti, sicurezza, e protezione: dimenticano che quei bravi Capitani della debole Repubblica risposero ad un esercito austriaco che sarebbero piuttosto morti, sepolti sotto le rovine della Repubblica, che consegnare un solo dei rifugiati. E fra quei prodi vi era Garibaldi colla sua sposa, la povera Annita morente per i lunghi travagli, le indescrivibili angoscie! E l'Austria non azzardò d'invadere colla forza il territorio della debole Repubblica, benchè avesse ben lauta preda a farvi! Essa, l'Austria, la rispettò: e i nostri fratelli furono salvi, e fu risparmiata la vita di Colui che dieci anni più tardi doveva liberare, con un pugno di prodi, il Regno di Napoli! Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini. Ciò che non fece l'Austria conquistatrice e dispotica nel 1849, lo fece il Governo Italiano liberale e civile nel 1874!

 

                                 

APPENDICE N° 17

 

Lettera della Reggenza ai parroci della Repubblica - 23 maggio 1874

 

Ai Revdi Parrochi della Repubblica e specialmente a quello di Serravalle

23 Maggio 1874

 

 

Revdo Signore

Preghiamo V.S.Revda che domani dall'Altare voglia diriggere ai suoi popolani alcune parole di conforto e di consiglio presso a poco del seguente tenore:

"Come i nostri antenati ebbero di quando in quando a passare per tempi difficili e pericolosi, così ora anche a Noi dio ha voluto mandare i giorni del dolore e della prova. Sì, miei cari, questi per noi sono giorni di prova, la quale se riusciremo a superare, come ne abbiamo ferma fiducia, diventeremo migliori all'interno e più rispettati al di fuori.

Voi lo sapete, uno dei nostri principali doveri è l'amare la patria, e noi Sammarinesi a preferenza di qualunque altro popolo possiamo andar superbi di amar la patria intensamente e profondamente, tutti, poveri e ricchi, abitanti della città e delle campagne.

Però non basta amare il proprio paese e le proprie leggi con tutto l'animo, ma in questo amore bisogna essere concordi, bisogna cioè che in ogni tempo, ma specialmente adesso, adoperiamo tutti quanti gli stessi mezzi, e tutti teniamo la stessa condotta. Certi espedienti che saranno pur suggeriti dall'amor di patria, saranno stimati da taluno adatti a liberarla dallo stato presente; ma, credetelo, sarà più dannoso che utile quello che si farà, se non ci poniamo in cuore di fare ognuno sacrifizio del nostro proprio modo di vedere e di giudicare; se non uniamo la nostra azione a quella della maggioranza intelligente ed esperimentata, se in una parola non dipendiamo in tutto e per tutto dal nostro Governo. I nostri antenati videro talvolta calpestato e profanato il suolo della patria da soldatesche straniere. Noi, grazie a Dio, non siamo a questo estremo, nè dobbiamo temere di venirci. Però stiamo attenti, perchè ora piuttosto che alla libertà, si attenta al nostro onore; si spargono sul conto nostro delle calunnie, si dice che noi siamo ricettatori di malviventi, e col danno che si reca ai nostri commerci si mette a tortura la nostra pazienza, e si tenta di gittar fra di noi la discordia. Ah! cittadini, guardatevi da una tale sventura. Forse qualche maligno vi sussurrerà all'orecchio, che a questi mali ha colpa quello o quell'altro cittadino, forse azzarderà anche di dirvi, che se volete accomodar tutto, dovete sforzare il Governo ad agire diversamente da quello che fa, forse avrà perfino il coraggio di eccitarvi ad insorgere contro i vostri fratelli. Cittadini! Voi siete di proverbiale buona fede, e di patriarcale semplicità; perciò guardatevi da questi maliziosi consigli; non vi affratellate con forastieri, siate prudenti nel dimandare e nel rispondere, e soprattutto nell'affermare quello di cui non siete sicuri. I vostri consiglieri, la speranza vostra e il vostro conforto siano i migliori e i più sacri vostri concittadini, e segnatamente gli uomini onesti che reggono a capo del Governo.

Sì, stringiamoci al Governo, non pretendiamo di saperne più di esso, rispondiamo soltanto quando siamo chiamati, non c'impacciamo di quello che non ci spetta, perdoniamo a vicenda i nostri errori, sosteniamoci l'un l'altro con carità cittadina, e l'unico nostro intendimento, sia quello di salvare la Repubblica.

E la Repubblica non correrà nessun pericolo, se ci asterremo dalla codarda maldicenza, dagli ingiuriosi sospetti e dal cieco fanatismo, ed in quella vece fiduciosi nella nostra innocenza ci ameremo di scambievole amore, e manterremo quella calma dignitosa e tranquilla che è propria di un popolo che si sente forte nei propri diritti, ed è da lunghi secoli educato alla libertà."

E con questo accolga i sensi della nostra particolare considerazione.

 

(AS, Cart., b. 179/20)

 

 

APPENDICE N° 18

 

Lettera del Cibrario al Reggente Palamede Malpeli - 6 febbraio 1865

 

 

                              Eccellenza

 

    Vostra Eccellenza ha fatto un opera buona chiamando l'attenzione del Consiglio Sovrano sulle condizioni finanziarie della Repubb. Esse mi sembrano molto gravi, e se non si ha senno e braccio per migliorarle trascineranno (?) esse e l'indipendenza Sanmarinese in una certa rovina. Conviene anzitutto sapere e conoscere fino all'ultimo soldo quali sieno veramente le entrate della Repubb. e ciò si otterrà mediante minute verificazioni dei registri dei contabili, e mediante indagini presso i privati debitori, affine di confrontare le quietanze coi registri, e vedere se vi fossero stati introiti non registrati, ma sottratti dai contabili.

Niuno dovrebbe maneggiare danaro della repubb. senza dar una cauzione in beni, in danaro, o in cartelle di un debito pubb. e ciascun contabile dovrebbe assolutamente obbligarsi sotto grave pena, e specialmente della sospensione dell'ufficio, o della destituzione e rendere alla fine d'ogni anno i suoi conti ad una commissione che tenga le veci di corte dei conti, inserendovi i mandati di pagamento come debite quietanze dei percipienti, ecc. ecc.

Niun mandato dee spedirsi se non v'è fondo perciò nella categoria apposita del bilancio. Nè dee spedirsi se non v'è annesso un titolo che lo giustifichi; nè dee pagarsi senza il visto d'un ufficio di controllo, o riscontro, che riconosce se tutto è regolare.

Non capisco poi come vi possano essere dei censi che non fruttano. V'è un catasto a S. Marino?...Conviene farsi presentare i titoli di possesso, e riconoscere a quali condizioni posseggono i censuari.

La vendita di fondi urbani passivi è indispensabile e debb'essere pronta, e così quella di fondi rustici di tenue provento. I capitali ritratti non debbono consumarsi ma convertirsi in acquisto di cartelle del gran libro d'Italia che fruttano il 7%.

Ai contabili si debbono fare improvvise verificazioni di cassa, come si fa dappertutto, per riconoscere se i fondi pubblici esistenti in cassa, rispondano alla somma della quale (...?) da caricamento il registro degli introiti.

Non la finirei più se dovessi dire solo la centesima parte degli avvedimenti cui si debba aver l'occhio se si vogliono sinceramente finanze ben ordinate. Ma dopo ciò torno alla questione già fatta, e rimasta sempre senza risposta.

Prima del 1862 le repubb. tirava innanzi colle sue rendite ordinarie che sommavano all'incirca a 40.000 lire italiane.

Da quell'anno in virtù della convenz. 22 marzo la repubb. ricevè dall'Italia lire 18.000 annue e le sue condizioni finanziarie sono sempre peggiori. Bisogna che qualcuno o per ignoranza sperda, o per malizia rubi il pubblico danaro.

Le mando l'assegno di l. 3.000 sulla tesoreria di Pesaro, offerta dai fratelli Giuseppe Lancia e Vincenzo Lancia per l'asilo infantile da fondarsi. V.E. non dimentica che questi due ricchi negozi ciò fanno colla fondata speranza d'esser fatti caval.i ufficiali di S. Marino.

Gradisca le proteste della mia particolare considerazione.

                                           Cibrario

 

(AS, Cart., n° 246, b. 179)

 

 

 

APPENDICE N° 19

 

Legge che istituisce la Commissione di Soccorso - 15-9-1874

       

 

              Dalla seduta consigliare del 6 settembre 1877.

 

      Tenore della Legge regolamento della Commissione di Soccorso.      

 

    Il Generale Consiglio Principe e Sovrano della Repubblica di S. Marino

Considerando esser sommamente necessario che i fondi destinati alla Pubblica Beneficenza siano distribuiti con prudenza e con giustizia, affine di sovvenire opportunamente al vero bisogno, e di non fomentare l'accatonaggio, od altri disordini; Considerando che attualmente la distribuzione di questi fondi partendo da diversi centri, manca di quell'unità di direzione che è indispensabile ad ottenere l'effetto desiderato; Volendo provvedere definitivamente alla sistemazione di questo ramo di pubblico servizio;

                      Ha decretato e decreta

art.1 - E' istituita una Commissione di pubblica Beneficenza, i cui Statuti, trascritti qui in calce, avranno piena forza di Legge.

art.2 - Le istanze o le richieste per Limosine, o soccorsi, o sussidi sia temporanei, sia vitalizi per titolo di miserabilità di malattie, di viaggi, di emigrazione, di disgrazie domestiche, o di calamità pubbliche, non potranno essere ricevute dall'Eccma Reggenza sotto qualsivoglia colore, quando pure fossero dirette al Consiglio Principe, o al Congresso Economico di Stato; ma dovranno essere intestate e dirette al solo Presidente della Commissione di Pubblica Beneficenza.

art.3 - Il Generale Consiglio Principe e sovrano dichiara che d'ora in avanti non risponderà alle istanze suddette quand'anche gli venissero presentate.

art.4 - E' tolta ogni facoltà alla Eccma Reggenza ed al Congresso Economico di accordare sovvenzioni a senso dell'art. 2 sotto pena dell'immediata rifazione all'Erario pubblico delle somme sovvenute, da parte di quei membri che avessero autorizzata questa opera illegale, per la quale saranno responsabili insieme ed in solido.

art.5 - La presente Legge dovrà considerarsi come costituzionale o statutaria, e non potrà perciò esser derogata che colla maggioranza dei due terzi dei voti.

 

        Regolamento per la Commissione di Pubblica Beneficenza.

 

art.1 - La Commissione di soccorso per gli infermi nominata dal Principe Consiglio li 28 Settembre 1872 è costituita in Ente Morale dipendente dal Consiglio Principe e Sovrano, ed assume il nome di Commissione di Pubblica Beneficenza. Suo scopo è quello di procurare alle Classi povere i mezzi di sussistenza in caso d'impedimento al lavoro per vecchiaia o per infermità.

art.2 - Essa resta composta come è attualmente di venti membri, i quali hanno diritto di sostituire altri a quelli, che per morte o per non essere intervenuti a tre adunanze consecutive cessano di farne parte. Non possono far parte della Commissione persone illeterate. L'adunanza è legale se v'intervengono dieci membri.

art.3 - L'amministrazione è regolata da un Presidente, il quale viene eletto annualmente alla metà di Settembre dal Principe Consiglio fra i membri della Commissione; ed entra in carica il 1° di Ottobre. Sue attribuzioni sono quelle di convocare le adunanze e di presiedere ad esse: dirige e sorveglia la retta, prudente, e giusta distribuzione dei soccorsi; firma e bolla le ricette, e comunica all'occorrenza col Governo.

art.4 - La Commissione elegge nel suo seno alla metà di Settembre di ogni anno un Segretario, il quale ha l'obbligo d'invitare le adunanze dietro ordine del Presidente con appositi avvisi da spedirsi a mezzo di un bidello; di assistere alle adunanze e stenderne i verbali; trascrivere e firmare i rescritti, e redigere il rendiconto annuale dell'Amministrazione. In mancanza del Presidente, egli ne fa le veci.

art.5 - Nomina parimenti un Cassiere, il quale ritira anticipatamente dalla Cassa pubblica la rata mensile di soccorso; ed un vice-cassiere, il quale ajuta nella distribuzione a comodo dei poveri il Cassiere principale, a cui rimette il mensile resoconto. Il Cassiere è in obbligo di registrare su apposito libro tutte le bollette che paga, e mandare ogni mese il Bilancio di Cassa al Presidente. Esso provvede d'accordo col Presidente al rinvestimento fruttifero di quei fondi di Cassa che potessero rimanere dall'annua somma che somministra il Governo, non che di quelle qualunque private elargizioni che potessero a questo Ente morale venire fatte, le quali ultime però non potranno dimettersi senza speciale rescritto della Commissione.

art.6 - Nomina pure annualmente due verificatori-distributori, l'uno in Città, l'altro in Borgo, i quali verificano il bisogno dei poveri, assegnano una sovvenzione in danaro o in generi, e ne rilasciano bolletta.

art.7 - La Commissione di Beneficenza riceve annualmente dal Governo in tante rate mensili anticipate pagabili dalla Cassa Generale al Cassiere della Commissione L. 7.000 non aumentabili; più riceve dall'Ospedale della Misericordia L. 150 annue per i medicinali. Questi proventi certi possono essere aumentati dalle largizioni private.

art.8 - Le pensioni e sovvenzioni mensili, annue, e vitalizie accordate fino ad oggi dal Consiglio Principe, passano a carico della Commissione di Beneficenza; a meno di quelle pel mantenimenti dei dementi e per l'Ospedale.

art.9 - Le sovvenzioni mensili ed annue accordate fino qui dal Consiglio agli orfani saranno dalla Commissione corrisposte fino agli anni 14 inclusivi per gli uomini e 15 per le donne: per cui col presente Regolamento si dichiarano decaduti dal diritto di pensione quegli orfani che hanno raggiunto la detta età. Per l'avvenire poi se si verificasse l'esistenza di qualche orfano indigente privo di Congiunti obbligati a sovvenirlo, e da tutti abbandonato, la Commissione sussidierà a seconda del bisogno, e fino alle età suindicate.

art.10 - La Commissione non assegnerà per l'avvenire pensioni vitalizie, nè temporanee: ma sovverrà soltanto con sussidi a seconda del bisogno, e per quanto è necessario.

art.11 - I sussidi vengono accordati in generi, denari, e medicinali a quei poveri e malati, che non potranno essere ammessi all'Ospedale. Le ricette pei medicinali ai veri poveri dovranno essere firmate e bollate dal Presidente a volta per volta. Resta così abolita la nota dei sovvenuti in medicinali esistente presso la Farmacia; nota che dovrà senz'altro ritirarsi dal Presidente della Commissione.

art.12 - I poveri esteri che cadono malati in Repubblica potranno essere sovvenuti per il puro bisogno; ma sarà obbligo del Verificatore-distributore di fare rapporto al Presidente della Commissione, della data sovvenzione, perché questi alla sua volta preghi l'Eccma Reggenza affinchè a senso della legge 6 Marzo 1876 provveda alla consegna alle autorità Estere del sovvenuto e sua famiglia indigente.

art.13 - E' proibito alla Commissione di dare sovvenzioni per titolo di casa agli'inquilini poveri, e molto più di pagarle al padrone della casa pigionata.

art.14 - La Commissione può anche tenere biancheria di dosso e di letto da somministrare ai poveri in caso di malattia e di gravi bisogni. Le dette biancherie però dovranno avere una marca, ed essere restituite al Custode nominato dalla Commissione, appena cessato il bisogno.

art.15 - Il Presidente presenterà ogni anno al Consiglio Principe nel mese di Ottobre il Resoconto annuo dell'Amministrazione; ed il Consiglio nominerà un suo membro per la verifica delle condizioni dell'Amministrazione, e per conoscere se è stato rettamente osservato il presente Regolamento.

Approvato che sarà il Resoconto dal Consiglio Principe, sarà cura del Presidente di renderlo di pubblica ragione.

L'Eccma Reggenza però può in ogni tempo far procedere alla verificazione dello stato di Cassa della Commissione.

art.16 - Il presente Regolamento quando più non corrispondesse all'intendimento della Istituzione può essere modificato dalla Commissione stessa. Le dette modificazioni dovranno essere però approvate da quattordici Membri componenti la Commissione, ed in seguito dovranno avere la Sanzione Sovrana.

art.17 - Col presente Regolamento, il quale anderà in vigore il 1° Ottobre 1877, s'intende derogare al Regolamento di Carità approvato dal Principe Consiglio li 28 Settembre 1872.

                                S. Marino li 15 Settembre 1877

                                     I Capitani Reggenti

                                      Innocenzo Bonelli

                                       Andrea Barbieri

 

 

 

(AS, Atti, vol. SS, n° 42.)

 

 

APPENDICE N° 20

Lettera di Gaetano Belluzzi alla Reggenza - 25 luglio 1857

 

 

 

Eccellenze

Portatomi qui per ossequiare il Pontefice Pio IX N.S., è meraviglioso che nella udienza avuta mi preoccupasse ogni tema di discorso intratenendomi unicamente su la Repubblica di Sammarino. Furono tanto solenni le parole del Pontefice ed espressamente pronunciate, da tenermi obbligato di parteciparle subito alle Eccellenze Vostre. Prese Egli pertanto a dire che niun calcolo avessimo fatto della forza armata offerta, che a nulla montava che avessimo l'alta sua protezione, e che all'occasione non ce ne giovassimo. Indi in via d'apostrofe aggiunse: e perché non venire a Bologna ora che siamo sì presso? Parlò degli emigrati e mostrò stargli molto a cuore di finirla su questo punto con la Repubblica. Mi rimbeccò le parole dette in deputazione a Pesaro, che le Autorità Pontificie curassero di non lasciarsi sfuggire i prevenuti, e disse, ma come fare? Mostrò conoscere che la Repubblica aveva nello Stato Ecclo. tanti ufficiali da farne un esercito, e che aveva in Ravenna stessa un Console. Senza che io faccia pompa del mio contegno dirò brevemente che a tutte le proposte del Pontefice io diedi rispettose sì ma le più opportune risposte e tali da mettere in buona vista la Repubblica. Ma le assertive non bastano: vi vogliono fatti, e di questi il Papa ed il suo governo sono informatissimi. Ho dovuto convincermi di ciò dall'abboccamento procuratomi in seguito presso M. Berardi Segrio di Stato presso S. Santità in viaggiando. Questi mi assicurò che nè il Pontefice nè il Suo Governo hanno la menoma idea d'immischiarsi nell'interno regime della Repubblica nè menomamente disturbare la libera azione di codesto Governo, e ne riconoscono pienamente la indipendenza: ma che l'affare de' rifugiati richiama tutta l'attenzione del Pontefice, che non può sopportare che i Suoi Stati sieno disturbati dalle mene dei rifugiati in Sammarino: mi aggiunse infine che nel tempo stesso che parlavamo i rifugiati in Sammarino tenevano corrispondenze secrete coi Sudditi Pontificj e che ne conosceva le continue spedizioni di messi, e le intelligenze sui complotti che si fanno costà entro. Riferisco puntualmente tutti discorsi tenutimi da M. Berardi, e benchè ne sieno spiacevoli le espressioni, non voglio occultare cosa alcuna alle EE.VV. per norma. Esposti così i discorsi del Sommo Pontefice e l'abboccamento avuto con M. Berardi lascio considerare alle Eccze Vostre quale sia il meglio da farsi per la Repubblica. In quanto a me sono abbondantemente compensato se vorranno prendere in grado il pensiero che mi sono preso della comunicazione per il ben essere sempre di codesto Stato. E con questo ho l'onore di protestarmi con la più profonda stima e venerazione.

                           Delle Eccellenze Vostre

 

Ravenna 25 Luglio 1857

 

P.S. Mercoledì p.v. io sarò a Rimini. Aggiungo sul colloquio con M. Berardi che disse che se non si provvedeva avrebbe fatto un intervento con l'intelligenza delle potenze.

                                  Devmo Obbmo Ser.

                                  Gaetano Belluzzi

 

 

Minuta allegata alla lettera di Belluzzi

 

Le cose narrate dal Sig. Conte Belluzzi richiamarono tutta l'attenzione dei Sigg. Congregati, i quali dopo vari ragionamenti abbracciarono il partito proposto dal Sig. Conte di scrivere egli stesso una lettera privata a M. Berardi per informarlo dello stato delle cose, e per distruggere se fosse possibile la sinistra prevenzione del Pontefice e del suo Governo contro la nostra Repubblica. In seguito di che a richiesta del med. Sig. Conte Belluzzi furono per sommi capi indicate dalla stessa Congregazione le cose che dovevano formar soggetto della lettera, e delle quali egli prese i debiti appunti. La sostanza si fu:

che il Governo di Sammarino era disposto a fare colla S.Sede un Trattato di estradizione anche in Roma col concorso però di un Rappresentante della Francia; che nel frattanto stava rivedendo la legge già esistente sui forastieri per farvi quelle modificazioni che fossero richieste dai tempi; che attualmente in Repubblica si trovavano due soli emigrati politici, un Mazzotti di S. Arcangelo e un Valzania di Cesena, ed in quanto ai confugiati per delitti comuni parecchi ve n'erano di vecchia data, pochissimi di data recente e questi in linea di accomodamento. Che il Governo della Rep.a aveva un Ispettore di Polizia ed alquanti Gendarmi sussidiati dai militi del Paese; che ad un bisogno poteva armare quanti uomini volesse poiché nel nostro Paese ogni onesto cittadino è soldato. Che dentro l'anno corrente erano stati consegnati dal nostro Governo alla Forza Pontificia quattro malfattori, ed era stata dispersa una banda di assassini guidata da un tal'Angelo Benedetti, il quale fù arrestato sul confine dai Gendarmi del Papa in seguito alla fuga datagli dalle nostre Milizie. Che questi fatti mostrano apertamente che al Governo di Sammarino non manca ne' suoi bisogni la Forza e non è soggetto molto meno ad intimidazioni come osserva Mons. Berardi. Che finalmente il Governo Pontificio poteva mandare persona onesta ed intelligente per conoscere la verità delle cose esposte.

 

(AS, Cart., b.175, n° 625.)

 

 

APPENDICE N° 21

 

Lettera di Settimio Belluzzi e Pietro Tonnini alla Reggenza - 21-5-1874

 

 

Eccellenze

E' più facile che l'EE.VV. possano comprendere di quello che noi possiamo esprimere con quanto zelo e con quanto premura continuiamo l'opera nostra perché codesto povero Paese sia liberato dall'anormale e straziante situazione in cui si trova. Noi abbiamo dovuto ogni giorno più toccare con mano le tendenze ostili ed i tenaci propositi del Ministero dell'Interno, nel quale hanno fatto capo le più nere calunnie, e vorremmo che l'EE.VV. ed i nostri Concittadini andassero persuasi che a togliere gli effetti non poteva essere lavoro da compiersi in breve spazio di tempo. Per fortuna nostra e della Repubblica nel Ministero degli Esteri troviamo tendenze e sentimenti affatto opposti, ed ora una volontà decisa a voler metter fine ad uno stato di cose che non può essere ulteriormente tollerato. Di queste buone disposizioni d'animo del Ministro degli Esteri abbiamo prova non dubbia nell'invito che or ora ci ha fatto di presentarci domani al tocco al suo Dicastero. Il nostro cuore è quindi aperto alle più lusinghiere speranze, e voglia Iddio che non abbiano ad andare deluse. Qui retro troveranno l'EE.VV. trascritto il tenore della seconda Nota che facemmo ieri pervenire al Ministero degli Affari Esteri. Anche in questo incontro rinnoviamo all'EE.VV. le proteste della nostra distintissima considerazione.

 

   Lettera acclusa alla precedente scritta al Ministro Visconti Venosta

 

 

                                        Roma 20 Maggio 1874

 

Eccellenza

Ci facciammo sollecciti di portare a cognizione dell'Eccellenza Vostra che in seguito a domanda di estradizione ultimamente fatta dal Regio Procuratore Generale alla Corte di Appello di Bologna trovasi sostenuto nelle carceri della nostra Repubblica tal Luigi Ugolini, detto Stadera, di Monte Colombo imputato di omicidio, come pure dietro recente richiesta di estradizione del Regio Prefetto di Forlì si trovano custoditi i fratelli Cesarini Girolamo (disertore) Adamo ed Enrico o Giacinto (renitenti) figli di Pietro, e finalmente dietro requisitoria del Regio Sotto-prefetto di Urbino sono agli arresti Giancecchi Melchiorre, Giancecchi Battista, Crudi Antonio, Trifoni Pietro dichiarati renitenti nel 1862, nonchè Nanni Domenico renitente del 1863 e Pazzini Filippo del 1866.

Il Governo della Repubblica mentre ha voluto dare una prova della sua lealtà al Governo del Re col fare eseguire l'immediato arresto dei suddetti individui non crede di poterne effettuare la consegna alle Autorità del Regno senza che prima sia stata accertata la loro posizione giuridica. L'Ugolini Luigi detto Stadera, trovasi ricoverato nel Territorio della Repubblica fino dall'anno 1851, e le Autorità della medesima lo ammisero al benefizio dell'asilo dietro informazioni che l'omicidio di cui veniva imputato si riteneva commesso al seguito di provocazione. Fù richiesto dalle Autorità del Regno nell'anno 1863, ed il Governo della Repubblica con sua Nota del 16 Luglio di detto anno significava al Ministro degli affari esteri , che credeva di mancare alla pubblica fede coll'arrestare e consegnare un individuo preesistente in Repubblica da undici anni avanti alla stipulazione del Trattato. Pel silenzio di S.E. il Ministro degli Esteri l'Ugolini continuò la sua dimora nella Repubblica, ed ora il Governo della medesima crede doversi esaminare e risolvere la questione se di detto inquisito si debba o nò effettuare la estradizione.

I fratelli Cesarini figli di Pietro sebbene siano nati ed abbiano dimorato nel Regno Italiano sostengono di essere originarj della Repubblica di S. Marino, e vi è luogo a credere che si appongano al vero, tanto più che da tempo remoto posseggono stabili nel nostro Territorio.

Vi ha pur luogo a credere che trovinsi nella stessa categoria i renitenti Giancecchi Melchiorre, Giancecchi Battista e Pazzini Filippo. I renitenti poi Crudi Antonio, Trifoni Pietro e Nanni Domenico avrebbero un domicilio in Repubblica di oltre un decennio anteriormente all'epoca in cui furono inscritti nei Registri di Leva, e si troverebbero garantiti dall'Art. 5 della Convenzione 22 Marzo 1862, e dall'Art. 10 dell'altra Convenzione 27 Marzo 1872.

Sul conto anche dei suaccennati individui ora richiesti come Renitenti lo stesso Governo della Repubblica trova giusto e conveniente che prima di devenire ad atti ulteriori sia appurata la loro condizione di originarietà e di domicilio. Noi preghiamo l'E.V. a voler notificare queste nostre informazioni al Governo del Re e di interessarlo a prendere col nostro gli opportuni concerti per devenire alla soleccita soluzione delle proposte questioni.

Troviamo poi opportuno dichiarare all'E.V. che le ricerche ultimamente fatte in larga scala dalle nostre Forze hanno escluso la presenza nel Territorio della Repubblica di altri individui, sia della classe dei delinquenti, sia dei renitenti alla leva e disertori, e rafforzate quindi le assicurazioni che avemmo l'onore di dare all'E.V. colla nota del 4 corrente.

Ora non ci resta che pregare di nuovo l'E.V. a far sì che il Governo del Re colla soleccitudine voluta dalla gravità del caso accolga le nostre domande già fatte in detta Nota, ed aggradire i nuovi atti della nostra distintissima considerazione.

                                  Gl'Incaricati della Serenma

                                    Repubblica di S. Marino

                                        Settimio Belluzzi

                                         Pietro Tonnini

 

(AS, Cart., b. 179/20, n° 100.)

 

 

 

APPENDICE N° 22

 

Discorso di Palamede Malpeli nell'arengo del 5 aprile 1868

 

 

Parole dette dall'Eccellentissima Reggenza della Repubblica di S. Marino          

                 nell'Arringo Generale del 5 Aprile 1868.

 

 

Cittadini Sammarinesi!

Egli è con vera soddisfazione dell'animo nostro che tornando per la terza volta al governo dell'amata nostra Patria, troviamo la tranquillità più desiderabile all'interno, le relazioni più soddisfacenti all'estero, e la stima e la simpatia verso il nostro paese diffondersi per quasi tutto il mondo e concorrere al sempre maggiore consolidamento e alla prosperità materiale e morale della Repubblica.

Se questo stato di cose ci rende per ora da una parte più facile l'esercizio del nostro mandato e il compimento dei molti e gravi doveri del nostro ministero, non rallenteremo dall'altro l'usato zelo, ed approfitteremo di queste favorevoli circostanze di tempo per migliorare sempre più la pubblica cosa. E questo compito ci riescirà tanto più facile inquantochè Noi, eletti da voi medesimi ad esecutori della vostra stessa volontà che avete incarnata nelle leggi dello stato, non dubitiamo non siate per accordarci la vostra efficace cooperazione, senza la quale ogni nostro sforzo riescirebbe vano od almeno infruttuoso. E questa cooperazione, siamo certi, Voi ce l'accorderete specialmente coll'amare e difendere l'integrità dell'antichissima Costituzione dello stato, col rispettarne ed osservarne le leggi, e coll'evitare finalmente per parte vostra che il vostro governo debba trovarsi in contestazioni o in falsa posizione coi governi amici. Questo Noi vi chiediamo in nome della nostra Libertà ed Indipendenza, la cui preziosa conservazione, quanto debba a tutti noi star a cuore, non è chi non comprenda. Nessuno esiti pertanto a compiere anche il sacrifizio di qualche momentaneo privato interesse in vista di un tanto scopo, avvegnachè questo sacrificio ne verrà ampiamente compensato dalle condizioni economiche del nostro paese, che se non sono cattive, ciò deriva unicamente dalla nostra libera esistenza politica da tanto tempo consolidata.

La quale condizione per render vieppiù avvantaggiata e migliore, crediamo di ben apporci, se diciamo abbisognare oggi principalmente di tre cose: la prima - sviluppare la pubblica istruzione e conservare la pubblica morale: la seconda - prescrivere una norma al pubblico lavoro, e curarne una razionale distribuzione: la terza - cercare il modo d'impedire lo sfacelo economico delle famiglie per la soverchia suddivisione degli assi e dei privati patrimoni, o per l'estinzione di quelle abbastanza agiate, che sono le fonti, da cui può e deve emanare la prosperità politica ed economica di un piccolissimo stato, qual'è il nostro.

Allo sviluppo della pubblica Istruzione debbe provvedere specialmente il governo; e lo farò; curando che questo sviluppo sia relativo e proporzionato ai reali bisogni esistenti nel popolo per non portare una perturbazione nell'equilibrio sociale delle classi. - Alla conservazione poi della pubblica morale consacreremo ogni nostro studio, mentre ci rivolgiamo precipuamente ai Ministri del Vangelo, perché vogliano potentemente ajutare l'azione del governo. Ci rivolgiamo ai Ministri del Vangelo, pregandoli di continuare ad astenersi dalle passioni politiche, confortandoli ad adempiere il loro santo e sublime ministerio eminentemente civilizzatore e pacificatore delle moltitudini, servendosi di un unico mezzo -l'amore; ricordando loro che le loro parole saranno sempre vuote di senso e inefficaci ad ottenere resultati pratici, se non andranno unite all'esempio di una vita intemerata, passata nell'esercizio delle più belle virtù, cui nè il probo nè il malvagio istesso ha mai mancato di tributare ammirazione e rispetto.

A conseguire il regolare andamento e la sociale utilità nel pubblico lavoro non solo dovrà attendere il governo, ma vi dovrà anche concorrere il discreto cittadino, l'onesto artigiano. Il pubblico lavoro è, come l'istruzione, uno dei fattori della civiltà. Imperocchè il lavoro nobilita l'uomo col toglierlo all'ozio, padre di ogni vizio e di ogni corruzione fisica e morale, e col renderlo uguale ed indipendente cogli altri suoi simili, mentre lo fa camminare a fornte alta, contento di mangiare in mezzo all'amata sua famigliuola un pane guadagnato dall'onorato sudore della sua fronte, e condito dalla tranquillità della coscienza. Ma guai, se il pubblico lavoro prende nella pratica un altro indirizzo! Guai, se questo diviene un mezzo di speculazioni inoneste, un mezzo per estorcere danaro dal pubblico erario; un mezzo all'artigiano per ispiegare pretese ingiuste o pericolose, per soddisfare ad illecite passioni, per fomentare il lusso, la crapula, il vizio; invece di promuovere l'amore alla famiglia, la pubblica moralità, il risparmio pei giorni del verno inoperoso, delle disgrazie impreviste, della tarda vecchiezza! Il pubblico danaro è sudore, è sangue del popolo; perché esso è che lo paga sia direttamente, sia indirettamente. Guai a coloro, che lo malversassero: guai a coloro, che non si fanno scrupolo di voler per sè di questo sangue più di quello che ne siqa loro equamente dovuto! Al governo dunque spetti di stabilir norme per la buona amministrazione del pubblico lavoro e per il conseguimento dell'utile sociale, che dal lavoro stesso devesi attendere: ma al discreto cittadino e all'onesto operaio raccomandiamo di non abusarne.- A tutti finalmente consiglieremo la temperanza nei desiderii di pubbliche opere, di non volerne intraprendere troppe in una volta, di saper dare la giusta preferenza a quelle, che sono d'immediata utilità o di assoluta necessità su quelle, che servono solo all'esteriore abbellimento o ad una commodità maggiore.

Ad impedire, per ultimo, lo sfacelo economico delle famiglie per la soverchia suddivisione dei privati patrimoni o per l'estinzione di famiglie agiate, possono solamente i Cittadini stessi trovar modo; poiché se il Governo intervenisse direttamente negli interessi delle famiglie medesime, ne violerebbe la libertà del domestico santuario. I mezzi, che a raggiungere questo fine furono altra volta impiegati dalle passate legislazioni, sono oggi riprovati dallo sviluppo della Civiltà e del Progresso. Pertanto non ci resta che raccomandare la nostra causa al tribunale della pubblica Opinione e al suo severo e potentissimo giudizio, lasciando ad essa il compito di venire per diverse vie in aiuto dell'interesse generale dello stato. Avversi all'aristocrazia ignorante e ricca, che suole esser anche prepotente, non possiamo però non desiderare con tutte le nostre forze l'aristocrazia del sapere. Però la scienza, il senno pratico, la reputazione e la stima della Società e del gran Mondo, non si acquistano oggi a buon mercato, ed a ciò si richieggono molti e molti mezzi, di cui solo i facoltosi possono disporre. E di uomini modestamente ricchi, ma saggi, prudenti e disinteressati ha tanto maggiormente bisogno la nostra Repubblica, inquantochè la storia, l'esperienza e la ragione sono là per mostrarci che il nostro Stato non si reggerà mai colla forza delle armi, ma colla sola forza morale. La quale non solo gli viene determinata dalla Bontà ed Antichità della sua Costituzione e dalle savie sue leggi; ma eziandio in gran parte dal senno, dalla prudenza, dal disinteresse, dalla grandezza d'animo de' suoi Magistrati, a cui, senza tali doti, a nulla varrebbero le arche ricolme d'oro a fronte di quei pericoli che potessero minacciar la Repubblica; o a fronte di quei Potenti, che talora possono preporre al diritto la forza, alla giustizia l'usurpazione, far del male come del bene. - Curi dunque ogni Padre di famiglia d'informare l'animo a questi sentimenti, seppur gli cale di perpetuare sè stesso nella propria discendenza, di lasciare una memoria cara e benedetta, di legare il nome e l'esistenza della sua Famiglia ai destini della Repubblica, di adempiere ad uno dei principali suoi doveri verso la Patria. Sì, o Signori; uno dei principali doveri dell'agiato cittadino sammarinese è quello di crescere e lasciare alla Patria eredi, non solo forniti di censo, ma, ciò che più importa, onesti, istruiti, devoti alla libertà. Non troveranno pace nel sepolcro le ceneri di colui, che, vivendo una vita egoista, avrà affidato al caso l'esito della sua successione. Aiutiamoci dunque a vicenda, studiamo sempre il modo di migliorare le condizioni delle nostre famiglie e di quelle dei nostri amici, d'incoraggiare le nuove che sorgono, di favorire l'impianto di altre, poiché faremo opera eminentemente patriottica.

Noi vi preghiamo ardentemente, o Concittadini, di ritenere che ci sono state dettate da un sincero interesse del pubblico bene le parole, che abbiamo avuto l'onore d'indirizzarvi in questo giorno, in cui la sapienza della nostra Costituzione fa qui periodicamente ragunare insieme da tanti secoli tutti i Padri di famiglia, perché Governanti e Governati s'intendano fra loro, si communichino vicendevolmente i loro desiderj ed i loro bisogni, e così si stringano sempre più quei vincoli d'amore, che legano tutti noi a questa Patria invidiata.

(stampato presso la Tipografia G. Vitali)

 

 

APPENDICE N° 23

 

Lettera del Cibrario al Reggente Palamede Malpeli - 15-2-1865

 

 

 

Eccellenza,

Mi pare abbastanza regolare il bilancio che V.E. mi ha gentilmente comunicato, il quale comprende le spese ordinarie, mancandovi affatto la parte straordinaria per cui del resto non vi sarebbero fondi.

Parmi d'aver udito che, cresciute le entrate, s'accrebbero gli stipendi degli Impiegati, senza riflettere che il servizio dello Stato, non occupando che una piccola parte del loro tempo, essi non hanno come altrove il diritto di vivere interamente sulla provvigione.

Similmente si debbono riconoscere e far pagare i censi dovuti, non permettere l'usurpazione dei beni della repubb. e rivendicarli con rigore. Ma forse accade costì ciò che altre volte veggiamo nei piccoli paesi, esser cioè spesso deputati ad amministrare gli averi della repubblica i debitori della repubblica i quali certamente non si curano di far pagare agli altri ciò che essi medesimi non hanno volontà di soddisfare. Ma la prima regola di un comune ben ordinato è che mai niun debitore del medesimo possa aver ingerenza nella sua amministrazione. Questa è regola fondamentale ed elementare, la quale so non essere costì applicata. Come va che niun Sammarinese ha instituito mai nè letti per infermi, nè scuole, nè altre opere di beneficenza? E i fondi che si mandano ora per lo spedale e per l'asilo d'infanzia come e da chi s'amministrano? Non vi sarebbe da sperar anche da una soscrizione per azioni di 5 lire annuali fatta dalla repubblica stessa? Essendomi accorto che costì non si ha un'idea chiara dell'ordine e dell'importanza dei titoli di nobiltà ho steso una memoria da conservarsi nell'ufficio della Reggenza per informazione del Governo.

V.E. avrà veduto che son riuscito a far dare alla repubblica il titolo di Serenissima che non ebbero mai altre repubbliche fuorchè quelle di Genova e di Venezia. Ora ho proposto un cambio di decorazioni per far riconoscere solennemente dal Regno d'Italia anche l'Ordine di S. Marino.

V'era una gran difficoltà; ed è che i Reggenti tornando dopo sei mesi alla vita privata non possono naturalmente aspirare a gradi elevati, mentre i nostri plenipotenziari hanno un grado elevato permanente. Questa volta ho circuito la difficoltà persuadendo a Cerruti e Barbavera (?), cui toccava la gran croce, di preferire il patriziato. Si daranno dal Re a V.E. e al suo collega due croci d'uffiziale, e una di caval. al Dr. Bonchi.

Al Dr. Fattori decorato di fresco non si può dar nuova decorazione, ma passato l'anno sarà forse fatto anch'egli uffiziale. La repubb. darà a sua volta due croci d'uffiziale e due di cavaliere a chi sarà proposto. Risparmiando le gran croci di Cerruti e Barbavera ho fatto una economia per la repubb., come lei fa del resto sempre protestando a chi fa offerte anche notevoli agli ospizi di S. Marino che la repubb. non usa mandar la croce. Qualche volta la do io stesso, altre volte la lascia comprare dagli aspiranti. Ma ora per le croci di grand'uffiz. al barone Carlo Ferrero, convien che la repubb. gli mandi anche la croce, perché questi è quello che va alla pesca dei benefattori per gli spedali ed asili San Marinesi; ha già fatto dar molto, e col tempo farà dar ancor più. Si tratta dunque di far una spesa riproduttiva, e perciò (...?).

 

Nota acclusa alla lettera

 

1° - Principe.

2° - Duca (a Napoli questo titolo primeggia quello di Principe)

3° - Marchese

4° - Conte

5° - Visconte

6° - Barone

7° - Nobile

8° - Cavaliere (questo titolo si da in Piemonte ai nobili ereditari ed ai   

     secondogeniti dei titolati)

I duchi e principi portano corone d'oro smaltata e gemmata con cinque fioroni. I marchesi corona simile con tre fioroni e due triangoli di perla. I Conti corona simile con nove perle. I visconti sono pochissimi in Italia. Usavan tre perle sul cerchio d'oro. I baroni un cerchio d'oro attorniato diagonalmente da tre o quattro giri di piccole perle. I nobili ereditari un cerchio d'oro con cinque perle; o con tre punte di lancia e due perle.

La repubblica debbe, a parer mio, proceder assai raramente a concessione di titoli; e quando ha distinti servigi da rimunerare può far  conti e baroni, ma non disporre che molto ancor più di rado di titoli superiori.

Parmi che farebbe assai bene a stabilire per la spedizione dei diplomi di nobiltà, ed anche per quelli di patriziato e di cittadinanza tasse di cancelleria applicabili allo spedale ed all'asilo d'infanzia. Per esempio:

1 - Pel titolo di duca o principe..........L. ital. 1.000

2 - Pel titolo di marchese.................           700

3 - Per quello di conte....................           500

4 - Per quello di barone...................           300

5 - Per quello ereditario di cavaliere.....           100

6 - Pel patriziato Sanmarinese.............            50

7 - Per la cittadinanza....................            20

Nulla vieta che in caso di benemerenze particolari la Repubb. dispensi dalla tassa.

                                       Torino 15 febbrajo 1865

                                       L. Cibrario consultore.

 

 

(AS, Cart., n° 255, b. 179)

 

 

 

APPENDICE N° 24

 

Rapporto di Palamede Malpeli alla Reggenza - 1867

 

 

Eccellenze!

 

Nell'atto che presento all'EE.VV. il Rendiconto generale dell'Esattoria tenuta dal fu Sig. Agostino Giacomini dall'anno 1854 al 1857, e susseguentemente dal Sig. Giuseppe fratello di lui fino a tutto l'anno p°p° 1866; mi son permesso di accompagnare questo stesso Rendiconto con un mio breve Rapporto sulle Tasse attualmente in vigore nella nostra Repubblica. Vogliano le EE.VV. far buon viso a questo mio umile lavoro, che ho intrapreso per corrispondere come meglio per me si poteva alla fiducia che le stesse EE.VV. si degnarono riporre in me coll'incaricarmi della suddetta Revisione.

Nel medesimo tempo è stato mio divisamente di chiamare l'attenzione del mio Governo e de' miei Concittadini sopra alcuni fatti, che a proposito di Tasse, meritano di essere ponderati seriamente. Trattandosi però di un argomento così delicato, mi sento il bisogno di premettere che non intendo di proporre che si aumentino le Tasse. E ciò, non già perché io creda che nella nostra Repubblica si paghi troppo; ma perché so che una gran parte di libertà è il pagar poco: ed io faccio i più sinceri auguri ai miei Concittadini ed a me stesso, che la Repubblica possa continuare a mantenere l'equilibrio nelle sue finanze, senza dover mai ricorrere ad aumenti di Tasse. Ciò che io mi propongo di far conoscere con questo mio scritto si è; che le Tasse della nostra Repubblica attualmente non sono applicate e ripartite con giustizia. E il chiedere che a ciò sia provveduto, è un diritto che ha ogni cittadino specialmente in uno Stato retto con istituzioni repubblicane.

Qual cosa infatti più ragionevole che ognuno a seconda della propria condizione, ed a seconda dei vantaggi diretti ed indiretti che riceve dallo Stato, contribuisca alle spese necessarie per la conservazione e la prosperità dello Stato medesimo? Lo Stato, specialmente il nostro, è una Società di Famiglie, come la Famiglia è una Società d'Individui: e lo Stato come la Famiglia ha i suoi bisogni e perciò le sue spese, mentre lo Stato come la Famiglia fa godere ai suoi membri i vantaggi del vivere sociale. Per parte dello Stato questi vantaggi sono di due specie, civili e politici: imperocchè lo Stato non solo veglia con ogni mezzo a guarentire la vita, l'onore, le sostanze e gli altri diritti naturali ed acquisiti dei cittadini; non solo si carica della pubblica Istruzione, dei pubblici Lavori, della pubblica Salute, della pubblica Beneficenza e di ciò che può favorire lo sviluppo delle Arti, del Commercio e del pubblico Bene in generale, ma ancora somministra sotto certe condizioni il godimento di alcuni diritti molto preziosi, quali sono il poter conseguire pubblici Impieghi, far parte del Consiglio Sovrano, dell'Arringo generale ecc.ecc. Ciò posto, esaminiamo tranquillamente se quel principio di giustizia superiormente enunciato, sia a tutto rigore applicato fra noi: vediamo se il sistema delle nostre Tasse stia in relazione proporzionata coi bisogni dello Stato e coi vantaggi che ne riceve proporzionalmente ciascun cittadino a seconda della sua condizione. Per ottenere più facilmente quest'intento facciamoci ad analizzare le Tasse ora esistenti.

Noi abbiamo tre tasse dirette, la prima delle quali ripartita in tre diversi modi; ed abbiamo altresì diverse tasse indirette, le quali possono distinguersi pure in tre specie. -La prima tassa diretta è la Fondiaria o Prediale, che vien pagata generalmente tutta dai Possidenti: poiché sebbene questi abbiano il diritto di farsene rimborsare una metà dai rispettivi Coloni, tuttavia il Decreto del Principe non essendo su questa materia assolutamente precettivo, viene seguita dai più l'antica consuetudine derogando al Decreto stesso sia tacitamente sia esplicitamente. Questa prima tassa diretta grava l'Estimo Rustico della Repubblica ascendente circa a 112 mila Scudi Romani, e come ognuno sa si suddivide in ordinaria, che si paga in Dicembre, ed è ragguagliata a 47 centesimi di Scudo per ogni cento scudi di estimo: quindi in straordinaria che si paga in Luglio ragguagliata al 0,40; più in stradale ragguagliata al 0,20% e che si paga unitamente alla straordinaria - in totale dunque Sc. 1.07 per ogni cento sull'Estimo rustico suddetto. - La seconda Tassa diretta è la Tassa di Famiglia, che è di otto bajocchi romani per ogni fuoco, e questa deve pagarsi da tutte le famiglie del Territorio, escluse quelle di Montegiardino. Questa Tassa ha sempre fruttato poco all'Erario pubblico, ed il suo provento è andato sempre diminuendo, ed eccone le cause. 1° Essendo mancato al Governo fino agli ultimi tempi lo Stato Civile delle Famiglie, la Segreteria Generale dell'Interno non ha potuto mai dare all'Esattore l'elenco delle famiglie stesse, com'era questi in diritto di pretendere. 2° Dietro ciò l'Esattore non si è dato gran cura di riscuotere questa tassa, e una tale noncuranza si è andata sempre aumentando per la natura medesima delle cose. 3° Per causa poi della stessa picciolezza della Tassa l'Esattore non può avere nè il suo tornaconto nè la convenienza di procedere ad oppignorazioni contro i morosi. 4° Finalmente l'esazione forzosa di questa Tassa quantunque minima, si renderebbe vessatoria rispetto a quelle famiglie miserabili dell'infima classe, composte forse di uno o due individui mendicanti. Dietro tutto ciò che cosa è accaduto? Che la Tassa di Famiglia l'hanno pagata solo alcuni Possidenti, perché questi andando a pagare la Prediale l'Esattore ha potuto esigerla dai medesimi in quella circostanza. L'argomento più stringente poi si è che questa Tassa nei tredici anni ultimi non ha dato che la miseria di 1.600 Lire. - La terza ed ultima Tassa diretta è quella della Breccia, poiché ogni Possidente è obbligato di far portare da un luogo stabilito tanti metri cubi di breccia sulle Strade Consolari secondo il riparto fatto in base del tornaturato del rispettivo possedimento. Questa Tassa vien pagata per tal modo in parte dal Possidente perché somministra le bestie da trasporto, ed in parte dal Colono perché v'impiega l'opera manuale.

In quanto poi alle Tasse indirette, che come dissi, riduco a tre specie, esporrò brevemente che appartengono alla prima, i dazi di consumo esistenti sul pane, sulla carne, sul pesce; alla seconda, il Bollo, il Registro, il Caposoldo, le Cinquine ecc.; alla terza, i Generi di Privativa o di Regia, cioè il sale, il tabacco e le polveri zulfuree. E tutti questi generi sono vere tasse, poiché vendendosi ad un prezzo superiore a quello di fabbrica, in fin dei conti, come ognun sa, sono i Consumatori Statisti ed Esteri quelli che le pagano.

Ciò premesso, io torno al mio quesito: 1° Le nostre Tasse sono esse ripartite ed applicate con giustizia? Sono esse in relazione proporzionata coi bisogni della Stato e coi vantaggi che ciascun Cittadino riceve dallo Stato medesimo? - Vediamolo.

Chi ha tenuto dietro all'esposizione da me fatta qui sopra facilmente si accorgerà che la massima parte del peso delle Tasse viene sopportato dai Possidenti e dalla Classe più povera e meschina; mentre la Classe mezzana formata dagli Artisti e dai Coloni ne è quasi totalmente esonerata. Imperocchè i Possidenti non solo pagano tutte le tre tasse dirette (esclusa la semplice opera dei Coloni nel trasporto delle breccie), ma concorrono eziandio a pagare la maggior parte delle tasse indirette dei dazi di consumo, del bollo e registro, dei generi di privativa ecc.; mentre da un altro canto il dazio di consumo sul pane che si vende ai pubblici spacci aggrava proprio quei miserabili che son costretti a comperarlo, perché vivendo alla giornata, come suol dirsi, non hanno il modo di mettere coi risparmi tanto assieme da provvedersi di 40 libbre di farina per fare il pane al forno per conto proprio. E questa tassa di consumo il povero la paga esuberantemente non già a favore del solo Governo che ne riscuote la minima parte, ma specialmente a favore dei Fornai, poiché questi utilizzano e sul peso che è sempre scarso, e sul prezzo di tariffa (poiché nei riparti gli Edili debbono tener conto del dazio imposto), e sulla quantità dello smercio, che è certamente maggiore di quella che dal Governo vien calcolata nell'assegna. Chi è pertanto che non vede una doppia ingiustizia nel dazio sul pane, genere di primissima necessità, infino a che saranno esenti dal dazio le farine che si vendono agli spacci e il vino ed altri generi che sono di secondaria necessità per la vita? Chi è che non vede che la classe media è esonerata quasi del tutto dai dazi di consumo, che fra le nostre tasse si può dire sia la sola che la colpisce? Non spendono forse molti più nel vino che nel pane? Questa classe è composta di Artisti a cui non manca mai, anche in quest'anno difficile, un sufficiente lavoro ben retribuito; e di Coloni che coltivano Poderi abbastanza fertili, generalmente parlando. E che questa classe sia abbastanza agiata ne è prova il lusso con cui gli uni si nutrono, gli altri si vestono, e gli altri e gli uni non di rado stravizzano nel gioco e nella crapula. -Seguitando, vogliam far rilevare l'ingiustizia di altre Tasse. Oggi infatti la Tassa di Famiglia, oltrechè non è generale per tutto il Territorio è divenuta una vera ingiustizia per quei pochissimi che pagandola adempiono al dovere di buoni cittadini. Così pure non è giusto il metodo dell'attuale riparto delle Breccie, perché questa tassa non è nè generale, nè uguale. Non è generale perché fino ad ora sono stati tassati solo i Possidenti di quelle Parrocchie per le quali passa la Strada Consolare, la quale non è ad esclusivo vantaggio di quei Possidenti ma di tutti i Cittadini dell'intero Stato: non è poi uguale, perché può succedere che se due di queste Strade Consolari entrino in una stessa Parrocchia, il Possidente che ha un terreno in quella, resta gravato con due riparti sul terreno medesimo. Finalmente ora che l'Ufficio del Registro è in piedi da molti anni, è ingiusta in quanto al tempo in cui si esige la Tassa di Caposaldo; e su ciò non ho d'uopo di spender parole, poiché tutti reclamano contro questo avanzo del medio evo.

Dopo tuttociò, qual meraviglia se le Tasse nella Repubblica non sono in relazione proporzionata coi bisogni dello Stato, e coi vantaggi che ciascun cittadino ne riceve? il conto che più sotto presenterò in cifre tonde per tenermi sulle generali mi dispensa dallo spiegar qui più chiaramente questa seconda parte del quesito che io faceva più sopra. Dirò solamente che ognuno sa che le tasse indirette di terza specie sono quelle che sopperiscono nella massima parte ai bisogni dello Stato; ma che non dobbiamo eziandio dimenticarci che alcuni anni sono, se non sopraggiungevano dei forti proventi straordinari, la nostra Repubblica si sarebbe trovata in assai cattive acque per causa dei debiti che aveva dovuti contrarre in altri tempi disgraziati; per causa di una Amministrazione incerta; per causa finalmente dei grandi ed urgenti bisogni che aveva di pubblici lavori.

Oggi dunque che le nostre finanze sono in uno stato soddisfacente; oggi che si sono introdotti notevoli e proficui miglioramenti nel pubblico servizio e specialmente in quello delle Finanze stesse, non tralasciamo di far opera da saggi e previdenti Amministratori col procurare l'assetto regolare e definitivo delle finanze medesime; affinchè per qualunque siasi evenienza, per qualunque fortuita cessazione di quei prodotti straordinari sui quali oggi contiamo, la nostra Repubblica non abbia mai a risentirne alcuna scossa profonda. Ciò che può farsi bene in tempi normali riesce certamente meno bene quando la necessità ci pigli per la gola. Molte ed importanti opere pubbliche ci restano e a fare e a compiere; nè si possono aggiornare a tempo indeterminato. In ogni modo poi assicurare l'avvenire delle nostre finanze vuol dire assicurare in gran parte la conservazione della nostra politica esistenza: lo che deve stare in cima a tutti i nostri pensieri. La Storia c'insegna che la rovina finanziaria degli Stati precedette la perdita della loro indipendenza.

Il calcolo che io faccio in cifre tonde è il seguente. Occorrono:

1° Al Ministero dell'Eccma Reggenza per le spese di rappresentanza L.5400;

2° Per l'Amministrazione della Giustizia L. 6.000;

3° Per il mantenimento della Forza Pubblica L. 8.200;

4° Per il servizio dell'Amministrazione delle Finanze, quando saranno estinti i tremila e quattrocento scudi di debito rimasto, la spesa potrà ridursi a L. 6.500;

5° Per la salute pubblica L. 4.800;

6° Per la Istruzione pubblica L. 6.600;

7° Per il Culto L. 1.000;

8° Per i Lavori pubblici, quando saranno esauriti i lavori di nuove strade (lo che potrà essere forse fra 7 anni), la spesa potrà ridursi a L.20.000;

9° Per l'Industria, il Commercio, le Poste L. 1.900;

10° Per la Beneficenza pubblica L. 3.600. In totale dunque la spesa annua normale potrà col tempo restringersi a Lire sessantaquattromila. -Passiamo ora all'esame delle rendite che sono:

1° Le Tasse dirette in L. 6.700;

2° Le Tasse indirette di prima e seconda specie in L. 3.400;

3° Le Tasse indirette di terza specie (generi di privativa) in L. 47.000;

4° Dei Proventi diversi, fra cui anche quelli della Posta in L. 2.000;

in totale dunque L. 59.100.

Paragonando pertanto le rendite colle spese rimarrebbe un disavanzo di L. 4.900; al quale disavanzo ed alle maggiori spese, che oggi si sostengono dal Governo specialmente nei lavori pubblici, provvede al presente la Corrisposta che riceviamo dal Governo Italiano in forza della Convenzione 22 Marzo 1862. Ma, come ognun vede, per ottenere il pareggio del nostro Bilancio (senza dover calcolare su mezzi straordinari) ci occorrono altre cinque o sei mila lire di rendita annuale. Come io pensi che questa si possa conseguire, io vado subito ad esporre.

Per aumentare le rendite annue del nostro Stato di cinque o sei mila lire, secondo me non si deve far altro che togliere le ingiustizie che superiormente ho dimostrato esistere nel sistema delle nostre Tasse. Io credo che dietro i rilievi da me fatti ognuno sarà persuaso della necessità di un riordinamente nelle Tasse medesime sul principio di una eguaglianza relativa di contributo secondo le diverse classi della Società. Il Possidente dovrà esser sempre il più gravato perché gode maggiori diritti; ma il povero deve essere meno gravato dell'Artigiano e del Colono. Così senza aumento delle Tasse esistenti, ma col solo coordinarle fra loro per renderle giuste, si può giungere a far sì che siano sufficienti a sopperire ai bisogni ordinari dello Stato, anche quando i Proventi straordinari venissero a mancare.

Io qui non intendo di redigere uno Schema di Legge da presentarsi al Principe; ma è mio solo intendimento di accennare alle principali idee che potrebbero secondo il mio avviso servir di base ad un tale lavoro. E cominciando dalle Tasse dirette esporrò come in riguardo alle tre Tasse prediali oggi si renda assolutamente inutile la triplice distinzione fra le medesime; poiché lo Stato avendo caricato il suo Bilancio di spese gravi impostegli per la maggior parte dalla necessità e dal progresso dei tempi, non può assolutamente pensare a riduzione di tasse. Così pure i lavori di strade intrapresi dalla Stato per lo sviluppo dell'Agricoltura, delle Arti, del Commercio e della Ricchezza pubblica in generale sono di tale natura che le somme prelevate sotto questo titolo sull'Estimo rustico è tanto tenue che non basta nemmeno alla spesa di ordinaria manutenzione di una sola strada. Per le quali cose io propongo che le tre Tasse siano fuse in una sola, pagabile per maggior comodità dei Possidenti in due o tre rate uguali ed in quei tempi dell'anno che presentano ai Possidenti stessi maggior facilità e comodità di pagarle. Così l'Ufficio del Catasto invece di tre laboriosissimi riparti per ogni anno ne farebbe uno solo: e questo per maggiormente ancora semplicizzarlo, e per far conoscere a primo colpo d'occhio al contribuente se la tassa gli è stata rettamente applicata in proporzione dell'Estimo, propongo che questa dovesse essere nella proporzione di 1, 12, 8%, poiché a moneta nuova importerebbe L. 6 per ogni cento scudi di Estimo. Questo aumento insensibilissimo di meno di 6 centesimi, fatto unicamente per togliere l'incomodissima ed oscura proporzione che ora di eseguisce sull'1, 07%, credo che non potrà certamente trovare ostacolo alcuno; perché da una parte non migliora che di poche lire le condizioni dell'Erario pubblico, e dall'altra non aggrava i Proprietari, ma anzi si risolve a loro vantaggio.

Venendo poi alla seconda Tassa diretta, quella di Famiglia, io ne propongo l'assoluta abolizione; e confido che il Principe vorrà indursi a ciò in vista delle ragioni di giustizia che più sopra ho esposte.

Contemporaneamente però faccio voti perché sia messo subito in attività il Catasto Urbano, non solo per quel modico Provento che ne potrà venire alla Cassa pubblica, ma molto più perché i Cittadini possano con sicurezza e speditezza commerciare le loro proprietà urbane, lo che attualmente riesce lungo, difficile e costoso. -In egual modo relativamente alla terza Tassa Diretta,, alla Tassa delle Breccie, io faccio i più caldi voti perché sia sollecitata la compilazione di una legge sui lavori pubblici, la quale classificando le strade Consolari e le Vicinali, dia campo ad un solo contributo di Breccia per tutto lo Stato, e renda questa tassa uguale e generale. Questa legge potrà eziandio vedere il modo di utilizzare l'opera dei Coloni (che sono esenti da ogni tassa) a vantaggio dei pubblici lavori specialmente di Strade. E ciò si potrà conseguire con tanta maggior facilità, in quanto la somministrazione in natura è il meno odioso sistema di tassazione.

Passo alle Tasse indirette. Questo è quel cespite di rendita che non essendo stato sfruttato dalla Repubblica è in grado di riuscire di grande giovamento alla Finanza pubblica e di supplire quasi da sè solo alla somma da me richiesta di 5 o 6 mila lire per il pareggio ordinario del Bilancio. E non occorre che io dica come le Tasse indirette siano quelle che vengono pagate con minor difficoltà dal Popolo; sia perché il pagarle o no è cosa che dipende dalla sola volontà del Consumatore, sia perché non si pagano ad un Esattore governativo, ma colano mediatamente nella Cassa pubblica. Su queste Tasse dunque conviene al Governo di portare tutta la sua attenzione.

E cominciando dalla prima specie, dai Dazi di consumo, io credo che il Governo non commetterà ingiustizia, anzi farà atto di vera giustizia distributiva se lasciando l'attual dazio sul pane sottoporrà pure a dazio ragionevole le farine che si vendono ai pubblici spacci, e decreterà che sia messo in attività il dazio sulla vendita del vino già altre volte decretato. Così pure io credo che sia tempo di rivedere la tariffa del dazio sulle carni, perocchè i prezzi della medesima sono troppo antichi; e di devenire all'erezione di un Pelatojo pubblico, che servirà mirabilmente a migliorare l'andamento di questo ramo di pubblico servizio, oltre ai vantaggi che ne ritraranno la morale e l'igiene pubblica. Non entro qui a discorrere del modo di tradurre ad atto pratico tutti questi provvedimenti, quantunque non ignori le difficoltà che dovranno superarsi. Riserbandomi di esporre le mie idee a tempo opportuno, seguo a ragionare della seconda specie delle Tasse indirette, il Bollo, Registro etc. Sta bene ed è nell'interesse della Repubblica che queste Tasse siano miti, ma la mitezza non deve poi esser ridicola. E di tal genere è il prezzo della nostra Carta Bollata, che conviene assolutamente aumentare anche perché, cambiatosi il sistema monetario, i rotti rimasti sono precisamente ridicoli. Il prodotto poi della stessa Carta Bollata potrà aumentarsi col prescriverne più largo l'uso, e coll'estendere il diritto di bollo anche alle carte da gioco, cosa politica ed utile sotto tutti i rapporti, e non gravosa certamente ai Fabbricatori che se ne rivalgono sul Consumatore. Anche in quanto al Registro il sistema attuale di tassazione merita di essere riveduto, e coll'aggiungere alcune tasse che mancano e coll'aumentarne ragionevolmente alcune altre, ad esempio quella fissa di registro che è di 53 Centesimi!! Questo pure è il luogo di accennare ad un bisogno generalmente sentito, provvedere al quale non solo riescirebbe di grande vantaggio ai cittadini ed ai forastieri che commerciano nel nostro Stato, ma tornerebbe di non lieve profitto per l'Erario pubblico. Intendo parlare dell'Istituzione del Tribunale Commerciale. Ma su ciò non mi fermerò più a lungo, giacchè posso sapere che da altri sarà chiamata l'attenzione del Governo su questo tema, e sarà svolto l'argomento ex-professo. Tralascierò pure di esaminare le Tasse indirette di terza specie, perché il loro maggiore o minore provento dipende da ragioni provenienti da un ordine d'idee molto diverse da quelle che hanno relazione col presente ragionamento. Solamente dirò che posso assicurare i miei Concittadini che il prezzo del Sale e del Tabacco bisogna che stia sempre in certa relazione con quello del limitrofo Regno Italiano. Perocchè questo è l'unico modo per ottenere che il contingente dei Sali e Tabacchi assegnato alla Repubblica, possa bastare al consumo della nostra Popolazione. Ogni altro progetto non sarebbe nè serio, nè pratico: è una quistione stata profondamente studiata sotto tutti gli aspetti.

Mi si permetta infine di accennare ad alcune migliorie che crederei necessario introdurre nel sistema di riscossione della Tassa prediale. Del modo di riscuotere le altre Tasse oggi sarebbe inopportuno il trattare, dopo ciò che ho fatto osservare qui sopra. Io vorrei che il riparto del Contributo sull'Estimo anzichè fosse scritto dall'Ufficiale del Catasto sopra un quiderno a parte, fosse messo da lui sulle Bollette madri di un Bollettario che a quest'effetto legato e controllato gli verrebbe rimesso dalla Segreteria delle Finanze e che poi verrebbe passato all'Esattore. Ad ogni bolletta madre dovrebbero poi essere unite due o tre bollette figlie a seconda del sistema di pagamento che verrà addottato. Oltre di ciò vorrei che le partite di Estimo risultanti inferiori nel complesso ad uno Scudo Romano fossero esenti da tassa: e vorrei infine che nascesse la prescrizione biennale a sfavore dell'Esattore ed a favore del Governo sulle rate non riscosse. Poiché quantunque l'Esattore debba versare a determinate epoche nella Cassa Generale l'intero ammontare della Tassa scossa o non scossa; tuttavia è il supremo interesse del Governo che le Tasse siano pagate dai Cittadini puntualmente, essendo il non pagarle il primo atto di ribellione contro le Costituzioni dello Stato. Queste ed altre considerazioni, che mi riserbo di presentare a suo luogo, sono state da me stimate di pratica utilità nel fare la Revisione dell'Esattoria, e perciò spero che il Principe le vorrà approvare per norma dell'Amministrazione dell'anno corrente.

Io nutro ferma fiducia che nessuno sconoscerà la giustizia e l'utilità delle mie proposizioni; e vorrà convincersi che solo la giustizia e l'utilità della diletta nostra Repubblica sono state il mio movente. La Repubblica ha molti ed urgenti bisogni, fra i quali ricorderò il compimento della rete delle sue strade interne -il ristauro del Pubblico Palazzo- e sopra tutto il provvedere più largamente alla pubblica Istruzione e all'Educazione del Popolo. Imperocchè se la conservazione, la sicurezza e la tranquillità degli altri Stati dipende ordinariamente dal numero e dalla disciplina degli Eserciti; la conservazione, la sicurezza e la tranquillità del Nostro Stato dipende esclusivamente dal sapere e dalla prudenza de' suoi Magistrati, dall'esercizio disinteressato delle virtù cittadine da parte di tutti noi, dalla stima e dalla simpatia che deve riscuotere il nostro Paese da tutti gli Onesti del Mondo non solo per le sue Istituzioni politiche, ma molto più per le doti di mente e di cuore che debbono fregiare gli Uomini che ne siedono al Governo. In questo modo la nostra Repubblica sarà eterna.

Rammentiamoci degli Avi nostri, e troveremo nella nostra Storia che essi pagarono Tasse gravosissime e quasi incredibili per sostenere e salvare la Repubblica in mezzo alle guerre del medio-evo, a cui presero parte luminosamente. L'amor patrio non venga meno in noi; e pensiamo ai nostri figli, i quali non solo hanno il diritto di ricevere da noi il retaggio della libertà, ma hanno eziandio il diritto che noi stessi li educhiamo per disporli ad esser capaci di conservare questo prezioso tesoro ai più lontani nipoti. Oggi la nostra Repubblica riscuote la stima e la simpatia dell'universale: facciamo che ne divenga sempre più degna.

                          

                          S. Marino 11 Marzo 1867

 

                                       Comm. P. Malpeli

 

(stampato a Rimini, presso la Tipografia dei fratelli Albertini)

 

 

 

APPENDICE N° 25

Lettera di d'Avigdor alla Reggenza - 23 aprile 1859

        

 

Illustrissimi Signori,

Ho l'onore di confermare alle SS.VV.II., il mio dispaccio sotto la data del 8 aprile. Col corriere del 21 di questo mese ho indirizzato alle SS.VV.II. il numero del Monitore di quel giorno, affinchè si trovino in grado di giudicare a qual punto sia arrivata la quistione Italiana. Rimarcheranno, che lo scopo principale del proposto congresso sarà quelo di creare una confederazione fra tutti gli Stati Italiani. Ad esempio di ciò che si fece per la confederazione Germanica, egli è probabile che anche i più piccoli Stati potranno entrare in siffatta confederazione, mi sembra quindi che si debba dal Governo della Repubblica prevedere il caso, in cui possa essere di lui quistione. Reputo inutile l'insistere sovra il grande interesse, che deve avere il Governo Sammarinese di trovarsi preparato a qualunque evento; vale a dire a difendere la propria esistenza avanti al Congresso, se per azzardo venisse attacata; a poter far parte della confederazione, ove questa confederazione fosse costituita. Tutte queste decisioni dovrebbero essere prese seconda che le circostanze lo esigessero; però colla ferma risoluzione di non mischiarsi a simili discussioni, se per buona ventura la Repubblica non ci fosse chiamata.

Ciò nulla meno le attuali circostanze debbeno aver svegliato l'attenzione delle SS.VV.II. le quali non ignorano quello che si fece in occasione del trattato del 1815. Converebbe quindi prevedere il caso in cui nel futuro congresso avesse a trattarsi dei destini di Sammarino, e procedere con quella prudenza e quella saggezza, le quali furono sempre l'appannaggio dei Governanti della nostra cara Repubblica, e le quali io mi studierò d'imitare nell'eseguire le istruzioni, che le SS.VV.II. si compiaceranno di trasmettermi.

Nel caso presente mi pare che due misure di precauzione fossero da addottarsi; le quali misure in ogni caso potrebbero soltanto tornare utili alla Repubblica di Sanmarino, senza poter mai esserle di nocumento alcuno. 1° - Il Governo della Repubblica dovrebbe cercare di farsi riconoscere dall'Inghilterra onde avere una potenza di più, interessata a mantenere la sua esistenza. Per raggiungere questo scopo, io mi offro alle SS.VV.II. per conferire a quest'oggetto coll'Ambasciatore Inglese a Parigi. Gli presenterei la proposizione come un desiderio del Governo di San Marino di far pervenire a S.M. la Regina d'Inghilterra l'omaggio della Sua rispettosa stima, mandando a Londra per questa missione un Inviato Estraordinario. Non dubito un solo momento, che Lord Cowley non accolga questa proposizione con tutto il favore ch'essa merita, e nel caso di accettazione le SS.VV.II. non avrebbero che a spedirmi le lettere credenziali, di cui io manderei loro il modello, onde fossero presentate a S.M. la Regina Vittoria. Per tal mezzo, difesa dalla Francia e dall'Inghilterra, la Repubblica non avrebbe più nulla a temere, mentre poi ella avrebbe dato un'attestato publico di stima a S.M. la Regina d'Inghilterra.

Nell'atto che le SS.VV.II. comunicheranno questa proposizione al Consiglio Generale potranno ancora assicurarlo, che attesa la mia convinzione, che il Governo di San Marino non potrebbe far fronte a tutte le spese estraordinarie di una simile missione sosterrei per conto mio quelle che la Repubblica crederebbe di non dover incontrare; il che sarebbe per me una nuova occasione di provarle il mio attacamento.

2° Si dovrebbe far chiedere al Sig. Conte di Cavour, per mezzo del nostro Console Generale di Torino, se crede necessario, che la Repubblica insista per essere rappresentata al Congresso come tutti gli altri Stati Italiani. Siccome questa ammissione darebbe una voce di più al Piemonte, con ciò penso che la nostra proposizione sarebbe accolta con una certa premura dal Signor Conte di Cavour, particolarmente se si faccia ben osservare, che per tal guisa noi potrevanno far cosa giovevole al Piemonte.

Insomma però io sommetto tutte queste considerazioni alla saviezza delle SS.VV.II. pregandole di bene osservare, che il mio modo di agire non ha altro movente che la preoccupazione, che mi domma, pegli interessi e per l'avvenire della nostra cara Repubblica. Per cui, se mai Elleno pensassero essere cosa più savia di rimanere nello statu quo, senza fare cosa alcuna, io m'uniformerei alla loro volontà.

Nell'aspettazione di una sollecita risposta prego le SS.VV.II. di accogliere la nuova assicurazione di alta considerazione con cui mi dico

                                     Delle Signorie Vostre Illustrissime

Parigi 23 Aprile 1859                   

L'obbmo, Devmo e Servidore

                                                  d'Avigdor

  

 

Risposta della Reggenza spedita il 29-4-1859

        

Illmo Signore

Il Dispaccio di V.S.Illma del 23 cadente che col n° del Monitore Universale del giorno 21 ci recò la posta di jer sera è per noi una nuova e solenne testimonianza del caldo affetto che Ella nutre per questa Repubblica. Nell'assicurarla pertanto di esserne estremamente sensibili, non possiamo che pienamente seguire il prudente e salutevole di lei consiglio nell'evento che sulle cose d'Italia possa convocarsi un congresso e venga dall'Austria pur anche accettata la quarta delle proposizioni fatte dal Governo Britanico. E poiché in questo caso come sempre l'appoggio d'Inghilterra unito alla protezione di Francia ed al favore di Sardegna renderebbero sicura la Repubblica da qualunque attacco che sulla piena sua indipendenza ed assoluta sovranità potrebbe farsi specialmente da Roma, a non perdere un tempo che in questi supremi momenti è prezioso, risolviamo di mandarle firmati due fogli in bianco ond'Ella possa valersene per stendervi le lettere di credenza da presentarsi a S.M. la Regina Vittoria dopo di avere conferito col suo ambasciatore costì residente nel modo significatoci.

Ancor noi abbiamo per fermo che il Nobile Lord Cowley accoglierà favorevolmente la di lei proposizione, come del pari siamo convinti che la di lei commissione in Inghilterra, ad eseguire la quale con tanta generosità Ella si offre, verrà coronata di un esito il più felice. Però non possiamo trascurare di pregarla a fare in quest'incontro le pratiche opportune per stabilire anche presso il Governo di S.M. la Regina Vittoria un Incaricato d'affari della Repub. sul che attenderemo sue lettere prima di farne oggetto di proposta a questo Gen. Consiglio Principe. Del resto oggi stesso scriviamo al nostro Console ed Incaricato d'affari a Torino sulla interpellanza che saggiamente Ella consiglia di fare al Conte di Cavour; e nel rinovare alla S.V.Illma le attestazioni della più sentita nostra gratitudine ce le proferiamo pieni di stima affettuosissima e distinta.

P.S.

Il Catolico nel n° 2848 degli 8 cadente parla di disturbi nati in questa Repub. mentre attualmente non vi si gode che la più quieta tranquillità e l'ordine pubblico il più perfetto. Stampandosi il predetto giornale a Genova abbiamo commesso al nostro Console ed Incaricato d'affari in Torino di smentire tanta calunnia. La S.V.Illma potrà fare altrettanto anche costì ove lo creda.

 

(AS, Cart., n° 290, b.177)

 

 

APPENDICE N° 26

 

Proposta di Luigi Tanfani per creare un casinò - 17 agosto 1874

 

  Illusmo Sig. Comm. Filippo Belluzzi Capitano Reggente della R.S.M.

La prego di portare il più serio esame sopra il qui unito Schema di Contratto, (il quale non avrà vigore che quando le parti si troveranno d'accordo,) e di volere appoggiare in Consiglio la mia Domanda. I Vantaggi che offro alla Repubblica sono tali da non farmi dubitare, sia per essere accolta la mia domanda favorevolmente. A Lei, (Come Presidente degli Spettacoli, senza obbligo di occuparsene), o ai suoi Eredi saranno pagate dalla Banca per 50 anni Lire Dodicimila all'anno, senza pregiudizio dei due articoli segreti del Contratto, e senza che da altri si sappia per evitare gelosie. in attesa dei suoi Caratteri ho il piacere di essere

                                      Della V. Illma

                                        Obb. Servo

                                      Luigi Tanfani

P.S.

Ho rimesso ad ogni Consigliere una copia del solo Contratto perché venga appoggiato

 

Progetto di Contratto da Sottoporsi all'accurato esame dei Signori Componenti il Governo e Consiglio della Repubblica

 

Signori

Luigi Tanfani come Rappresentante una Società di Capitalisti la quale dispone di 15 Milioni di Lire, domanda al Governo della Repubblica il Terreno necessario per fabbricarvi, entro il periodo di un'anno con privativa dell'Esercizio per 50 anni.

1° Un grandioso Stabilimento di Bagni Feroterapici, alla sorgente sotto il Borgo, nel luogo denominato Calintufo, l'acqua della quale, come da recente analisi Scentifica, contiene in gran copia sostanze Magnesio Ferruginoso.

2° Un grand'Hotel con tutti i comodi, il lusso e l'eleganza desiderabili, onde attirare nel Territorio della Repubblica quell'eletta schiera di Forestieri, che ogni anno si portano nelle fresche regioni della Svizzera, a rendere ad Essi il soggiorno delizioso.

3° Un grandioso Caffe con Sale di Biliardo all'uso di Parigi.

4° Per divertire e distrarre la grande quantità di Forestieri che accorrerà da ogni parte nel Territorio della Repubblica, fabbricherebbe un vasto Locale con Sale di convegno serale, Sale da ballo, Sale da Musica, nelle quali ogni giorno sarà dato Concerto dalle 2 alle 4 e dall'8 alle 10 pomeridiane con libero accesso al Pubblico; Sale di lettura di Libri e di tutti i giornali Esteri e Italiani, e Sale di Gioco: Alle quali per ragione di Ordine Pubblico e Moralità sarà interdetto l'accesso ai sudditi della Repubblica, senza uno speciale permesso del Governo e di un Commissario della medesima il quale si porrebbe d'accordo con la Direzione del Casino. Dico ragione di Moralità perché so che il Governo della Repubblica, ha rifiutato altri sotto questo titolo, una concessione consimile, però molto diversa nello scopo, avendo per obiettivo di istituire una vera e propria Casa di Gioco, offrendo alla Repubblica un compenso in denaro, mentre noi con decoro si offre Ricchezza e Prosperità alla Repubblica, non potendosi chiamare Immorale un gioco limitato, in un Locale privato tenuto per solo passatempo: E se fosse ritenuto come immorale (benchè in proporzioni più grandi) non esisterebbe tutt'ora a Laxon nella Repubblica Svizzera, in una Repubblica dei Pirinei ai confini della Francia, nel Principato di Monaco, nel core della Francia, senza contare il Gioco del Lotto tenuto dal Governo Italiano al quale gioco non concorre che il Povero.

5° Costruirebbe un gran Tiro al Piccione all'uso Inglese con concorso (...?) settimanale con premi.

6° Creerebbe vasti Giardini in diversi parti ove i concorrenti potessero passeggiare la mattina al coperto del Sole.

7° Stituirebbe le Corse dei Cavalli all'uso Inglese, con forti premi, nelle Praterie sottoposte al Borgo a tergo della Città, le quali verebbero accomodate all'uopo, pagando un congruo fitto del Terreno ai Proprietari.

                   In correspettivo di tale Concessione

Luigi Tanfani si obbligherebbe, in proprio e per conto della Società Suddetta

1° Ad ultimare tutte le Strade già decretate dal Governo della Repubblica, nonché il riordinamento della Città.

2° Ad istituire una Banca con un Capitale di L. 500 mila, assumendosi il servizio di Tesoreria, per conto del Governo della Repubblica, aprirebbe una Cassa di Risparmio, una di Credito Ipotecario, nonchè una Azienda di Resti: Accorderebbe un credito ai Possidenti nella Repubblica, i quali volendo potrebbero entrare in partecipazione con azioni in tutte queste imprese. Si impiegherebbero nei suddetti Istituti e Stabilimenti, a preferenza i nativi del Paese.

3° Illuminerebbe a gaz la Città, il Palazzo del Governo, tutti i suddetti Stabilimenti, il Teatro, e tutte le Strade che metterebbero in comunicazione detti Locali, dai Bagni alla Città.

4° Attiverebbe il Teatro, alternando la Prosa con l'Opera in Musica, sempre con compagnie di primo ordine, per attirare un gran concorso da tutte le Città adiacenti cominciando da Ancona.

5° Unirebbe con strade ferrate e telegrafo la Repubblica con la gran rete ferroviaria telegrafica Italiana; e curerebbe che la linea ferrata che da Arezzo dovrà congiungere alla linea ferrata dell'Adriatico traversi il Territorio della Repubblica.

6° Doterebbe il Collegio Convitto di L.10 mila annue per avere ancora buoni Maestri, e richiamare dal di fuori Giovani Convittori. Tuttociò porterebbe lustro e ricchezza al Paese.

7° Aprirebbe una gran Fabbrica di Mobili all'uso di Parigi, nella quale impiegherebbe la gioventù disoccupata e

8° introdurebbe e ingrandirebbe l'Ospedale rendendolo sufficiente ai bisogni del Paese, con una dotazione annua di Lire Ventimila.

9° Passerebbe al Governo per essere distribuito ai Poveri del Paese incapaci al Lavoro annue Lire Ventimila.

10° Attiverebbe un regolare servizio d'Omnibus i quali oltre andare alla Stazione della Ferrovia ogni arrivo e partenza dei Treni, terrebbero in continua comunicazione tutti i detti Locali.

11° S'obbligherebbe pagare la Gendarmeria e la Guardia Municipale.

12° Si obbligherebbe rilasciare nel libero possesso della Repubblica tutti i detti Immobili alla fine dei 50 anni di esercizio.

13° Fabbricherebbe garantandola per conto della Repubblica, Carta Monetata per quella Somma che il Governo crederà necessaria.

                             Articoli Segreti

Ad ogni Consigliere e suoi Eredi, come Membro Onorario della Società, sarà pagata dalla Banca l'annua somma di Lire Duemilaquattrocento per la durata di 50 anni. Ad ogni Capitano Reggente, che viene creato ogni sei mesi oltre la detta Somma come consigliere, saranno pagate dalla Banca Lire Mille al mese fino che resterà in carica.

                             Firenze 17 Agosto 1874          Luigi Tanfani

(AS, Cart., b. 179/20)

                             

 

APPENDICE N° 27

 

Lettera della Reggenza a Canuti, Cesari, Savorelli, Paltrinieri. 10-8-1858

 

    Illmo Signore

Era ben naturale che dopo gli ultimi attentati rivoluzionari i Governi d'Italia aumentassero le loro precauzioni e vigilanza.

Così facemmo noi in più modi

1° Chiamando al nostro servizio permanente in qualità d'Ispettore Politico un'ufficiale Toscano che per non breve tempo appartenne al Corpo di Gendarmeria.

2° Accrescendo di altre teste parimente con Gendarmi Toscani aspettati qua fra breve il nostro Presidio di pubblica sicurezza.

3° Tenendo attive in numero maggiore del consueto le nostre milizie cittadine le quali com'è generalmente noto si compongono di tutta la popolazione maschile tranne i decrepiti i fanciulli e gli ecclesiastici.

4° Sanzionando nel Generale Consiglio un'appendice alla Legge preesistente   sui forestieri e sui ricettatori per essi.

5° Ordinando infine la più scrupolosa sorveglianza sul mantenimento dell'ordine pubblico.

Tutto ciò facemmo unicamente a maggior cautela del futuro non già perché in addietro sia stato mai difetto di misure preventive. Mentre noi davamo opera a questi miglioramenti tutt'altro avremmo aspettato che di sentirci proporre una guarnigione di truppa romana come se nell'animo di S. Santità (che facevaci a tal uopo invitare a Bologna) coi nostri mezzi ordinarj non bastassimo a noi. Di più dopo che il Pontefice sinistramente informato parlando in Ravenna con un nostro concittadino si era rammaricato seco di supposti complotti che qui si facessero da forestieri, M. Berardi Vice Segretario di Stato riprodusse le medesime lagnanze e disse senza mistero  che avrebbe procurato un'intervento col concorso delle altre Potenze.

Noi mandammo immediate giustificazioni e confidiamo che ci abbiano riposto in quella buona armonia che vigeva in prima, e che il Papa aveva anche dimostrata, in Pesaro pochi giorni prima ai nostri inviati a complimentarlo era lo stesso cittadino che poco dopo sentì in Ravenna. Fin qui però non ci è venuta risposta alcuna e siamo nell'incertezza se i nostri (...?) abbiano distrutto la mala prevenzione nata così d'improvviso e non sappiamo come, nel cuore del Pontefice.

Frattanto come V.S.Illma potrà immaginare non abbiamo accettato l'invito di un congresso a Bologna, per più ragioni cioè

1° Per non manomettere la dignità della nostra antica legittima ed assoluta indipendenza.

2° Per non far mossa senza la intelligenza della Francia della quale nell'Augusto Imperatore S.M. Napoleone III godiamo la protezione.

3° Per non alterare lo spirito pacifico e tranquillo di questi abitanti senza causa ne vera ne verosimile.

Infatti tutti sanno ormai che in questi ultimi avvenimenti i dominj Pontificj sono rimasti onninamente illesi, e noi possiamo solennemente protestare, che nel Territorio della Repubblica ne prima ne poi nulla fu ordito contro la quiete e la sicurezza dei vicini Governi; anzi in questi ultimi mesi il nostro ha molto giovato (con le proprie forze) al Governo Papale disperdendo un'orda di facinorosi, rigetta dalle Provincie Romagnole, alcuni dei quali gli sono stati formalmente consegnati ed altri innalzati fino alla frontiera sono caduti in potere dei Gendarmi Romani.

Se non potemmo accettare (e non lo dovevamo) l'invito sud. abbiamo però fatto sapere a S. Beatitudine che siamo sempre apparecchiati a ricever quà la visita di un diplomatico quando Le piaccia d'inviarlo a sincerarsi sul vero stato delle cose. Che presentemente non sono qui che due soli emigrati Politici Mazzotti e Valzania di vecchia data i quali si comportano a dovere e che siamo pronti a trattare in Roma con l'intervento dell'Ambasciatore Francese, secondo l'iniziativa presa benignamente dal Gabinetto Imperiale, la conclusione del concordato per la estradizione dei delinquenti con utilità quasi esclusiva del Governo di S. Santità poiché il numero dei nostri che potrebbero occorrerci di requisire sarà sempre piccolissimo. Abbiamo voluto dare a V.S.Illma questi avvisi in tutta riservatezza, all'unico scopo che se ne giovi prudentemente presso l'inclito Governo ove rappresenta la nostra Patria, non tanto per chiarire qualunque inesatta relazione dei fatti nostri che fosse pervenuta, o pervenisse, quanto perché sostenga sulla verità candidamente espostale e per la pura giustizia il nostro buon nome, e difenda da qualunque attacco la invulnerabilità delle nostre prerogative; le quali siamo intimamente convinti che da cotesto Governo imparziale ed illuminato saranno fatte rispettare. Ci sia cortese di un suo gentile riscontro, e creda alle proteste di somma stima, che le fanno i         Capitani Reggenti

  (AS, Cart., n° 637, b. 175)

 

APPENDICE N° 28

 

Proposta d'Avigdor per creare una lotteria internazionale - 1863

 

 

    Il Sig. Duca d'Acquaviva incaricato d'affari della Repubblica di S. Marino dimorante a Parigi 20 Cours la Reine stipulante in nome della sud. Repubblica in virtù dei pieni poteri a quest'effetto conferitigli, i quali poteri riconosciuti in buona e dovuta forma sono annessi al presente atto da una parte; ed i Signori Wertheim e Gompert Banchieri dimoranti in Amsterdam colla faccoltà d'unirsi ad una o più altre case bancarie, senza però potersi mai spogliare della loro principale e solidaria responsabilità nel presente contratto, hanno stipulato di comune accordo i seguenti articoli

Art.1 Il Governo della Repubblica di S. Marino s'impegna di creare trecento mille obbligazioni parziali da venti lire nuove ciascuna conformemente ad una modula, che è stata stabilita fra le parti contraenti, e di cui un'esemplare rivestito della firma dei sottoscritti è annesso al presente atto. Le obbligazioni da emettersi saranno munite dello Stemma della Repubblica a bollo fresco, e firmate da due delegati della Commissione delle Finanze di S. Marino e controfirmate per l'autenticità da due notaj di S. Marino stesso. Le spese di ogni sorta per la fabbricazione, per l'emissione, pel collocamento delle azioni, i fondi pel servizio dei premi e le spese per l'estrazione di essi sono a carico esclusivo dei Banchieri contraenti; senza che pel fatto dell'autorizzata creazione di detto prestito ne derivi ora nè poi alla Repubblica alcuna responsabilità.

Art.2 Le dette obbligazioni non saranno fruttifere; ma daranno soltanto diritto agli azionisti, che le acquisteranno, a quel premio che la sorte destinerà nelle estrazioni periodiche, che si faranno in Amsterdam, come in appresso sarà più chiaramente spiegato.

Art.3 Il Governo della Repubblica di S.Marino cede e trasmette la proprietà ed il libero godimento delle dette trecento mille obbligazioni a disposizione della casa bancaria summenzionata sola e unitamente ai suoi eventuali socii con facoltà d'alienarle e negoziarle sì come giudicherà conveniente. In conseguenza il pagamento delle medesime azioni e dei premi sarà a privativo carico e pericolo della stessa casa bancaria, senza alcuna responsabilità della Repubblica.

Art.4 La casa bancaria sopra enunciata contrante d'altra parte, accetta la cessione, la trasmissione delle suddette trecento mille obbligazioni, e s'impegna in corrispettivo come prezzo di questa cessione: 1° Di acquistare una iscrizione sul gran libro del debito nazionale d'Italia dell'ammontare di tre millioni quattrocento mille lire nuove, capitale nominativo di rendita al cinque per cento e di far intestare le relative cartelle alla Repubblica di S. Marino che ne diverrà proprietaria coll'annotazione bensì dell'usufrutto per anni settanta a favore della detta casa bancaria d'Amsterdam Wertheim e Gompert. Gli interessi annuali di 170 mille lire nuove sono e resteranno specialmente affetti ed assegnati irrevocabilmente e senza riserva al rimborso di tutte le trecento mille obbligazioni per ordine di estrazione in settant'anni, nonchè al pagamento dei rispettivi premii, come dal piano di ammortizzazione già ammesso e controfirmato dalle due parti contraenti. 2° Di pagare una somma di quattrocento mille franchi in contanti al Governo della Repubblica di S. Marino all'atto che saranno consegnate alla Ditta bancaria le trecento mille obbligazioni, come in appresso sarà più ampiamente spiegato.

Art.5 Le trecento mille obbligazioni create, debitamente bollate e firmate a S. Marino saranno dal rappresentante del Governo della Repubblica messe in potere dei Banchieri contraenti appena essi giustificheranno il deposito del capitale in rendita italiana con iscrizione al grande libro, di tre milioni quattrocento mille franchi, ed il versamento delli quattrocento mille franchi alla Legazione Sammarinese in Parigi, la quale s'incarica di farli avere al Governo della Repubblica di S. Marino secondo le istruzioni che riceverà dal medesimo.

Art.6 Le stipulazioni del primo paragrafo del 4° articolo saranno notificate in nome ed a spese della Repubblica per cura dei Banchieri sottoscritti nella forma legale al Ministro delle Finanze a Torino dall'amministrazione del debito pubblico Italiano.

Art.7 Affinchè rimanga sempre ferma la debita garanzia sul pagamento delle obbligazioni, che verranno estratte a sorte nelle epoche stabilite ai Banchieri contraenti non sarà permesso dal Governo della Repubblica di ritirare i frutti annuali della rendita iscritta al gran libro del debito pubblico italiano se non dopo eseguite le varie estrazioni annuali dei premii, e pagate le obbligazioni favorite dalla sorte in un coi premii relativi.

Art.8 Dopo il rimborso integrale del sud. prestito in settant'anni, che verrà giustificato nei modi legali e di pratica il sud. capitale di tre millioni quattrocento mille lire nuove iscritto al gran libro sopra nominato apparterà ipso facto definitivamente e senza riserva coi suoi interessi in appresso decorrendi alla Repubblica di S. Marino come un bene libero e proprietà incontestabile.

Art.9 L'estrazione delle obbligazioni avrà luogo in Amsterdam per cura dei Banchieri sottoscritti e si farà in presenza dei Notaj Signori Lomorse e Biesman Simons l'uno di Amsterdam e l'altro di...........o dei depositarii

eventuali dei loro archivi ed in presenza di un delegato speciale del Governo della Repubblica di S.Marino per ciò che riguarda le serie, i numeri, e le epoche delle estrazioni conformemente al piano qui unito e menzionato a tergo delle obbligazioni, per l'osservanza delle quali estrazioni nei tempi stabiliti i Signori Banchieri contraenti assumono tutta la legale responsabilità. Il rimborso delle obbligazioni favorite dalla sorte, avrà luogo sei mesi dopo l'estrazione delle serie in Amsterdam, a Torino e Francoforte al corso della giornata ed a scelta dei portatori delle cartelle premiate. Le obbligazioni rimborsate verranno annullate apponendovi un bollo esprimente la parola annullata in inchiostro rosso e la controfirma dei suddetti Notaj o loro legittimi successori; quindi saranno rimesse contro quietanza a cura dei Banchieri contraenti alla Reggenza del Governo della Repubblica unitamente ad un esemplare dei giornali officiali delle dette Città contenente la pubblicazione dei numeri usciti.

art.10 La Repubblica di S.Marino s'impegna a non contrarre nel periodo di dieci anni consecutivi a datare da oggi alcun prestito della natura del presente senza l'assenso dei sottoscritti Banchieri o loro successori.

art.11 La presente convenzione sarà fatta in doppio originale e sottomessa alla ratifica preventiva del Gran Consiglio della Repubblica di S. Marino, e dietro la di lui funzione suprema l'esemplare di questo contratto sarà rimesso a Sua Eccellenza il Sig.Duca d'Acquaviva munito di una spedizione autentica del Senato consulto di approvazione. La ratifica poi debitamente legalizzata sarà scambiata in Amsterdam entro quindici giorni con quella deposta nelle mani dei Signori Wertheim e Gompert Banchieri e ciò coll'intermediario della Legazione Neerlandese di Parigi.

 

 

(AS, Cart., b. 179/5, senza protocollo nel 1863.)

 

 

 

APPENDICE N° 29

 

Proposta Malpeli - 1873

 

 

 

   Alle Eccellenze loro Nobile Commendatore Settimio Belluzzi-Signor Francesco Marcucci   Capitani Reggenti della Repubblica di San Marino.   

  

Eccellenze!

Io prego le EE.VV. di presentare una mia proposta finanziaria al Generale Consiglio Principe e Sovrano, la quale non avendo per solo movente l'utile pubblico, ma eziandio il privato interesse, trova ragion sufficiente di comparire nella presente solenne occasione del pubblico Arringo semestrale.

Le EE.VV. hanno dato molte volte luminosissime prove quanto stia Loro a cuore il miglioramento della nostra pubblica finanza, e più volte hanno ancor mostrato la necessità di alcuni temperamenti che ne assicurino la floridezza avvenire. E questo è il desiderio vivissimo di ogni Patriota, che la conservazione della nostra antichissima libertà ed indipendenza pone in cima di ogni suo pensiero:-questo è il desiderio di ogni Cittadino che vuole assicurare allo Stato lo sviluppo regolare e progressivo delle sue condizioni morali e materiali proporzionate ai tempi nuovi:-questo è il desiderio che io formulava fin dall'11 Marzo 1867 in un mio Rapporto sulle tasse già pubblicato per le stampe. Mentre pertanto colgo questa congiuntura per rendere le più vive grazie al Serenissimo Consiglio perché fece allora buon viso ad alcune di quelle mie proposte (le quali apportarono poi buoni frutti), ma sia lecito ora di far voti che anche le altre possano venire opportunamente adottate.

Oggi dunque facendo seguito ad esse, aprirò un mio pensiero , il quale sebbene io abbia da lungo tempo maturato e giudichi coscienzosamente vantaggioso ed opportuno alla Repubblica, pur tuttavia per la somma reverenza che io porto alla Maestà del Principe e ai distinti meriti personali delle EE.VV. si presenta innanzi a Voi umile e peritoso.

Se non che, per meglio aprirgli la strada, mi si permetta di chiamare l'altrui attenzione sopra alcuni fatti utili per ben conoscere il tema da me impreso a trattare. Questi fatti desunti, come da lor fonte naturale, dal Bilancio dello Stato, (che si esercitò nel decennio corrispondente a quello in cui ebbe vigore la Convenzione 22 Marzo 1862) ci rilevano che la Parte passiva di esso Bilancio equilibrandosi annualmente colla Parte Attiva del medesimo l'Esito pareggiò perfettamente l'Incasso e la media annua di questo e di quello fu di Lire 96,830. Rilevano pure che negli ultimi sette Anni di esso decennio, se in ogni Rubrica aumentarono le Entrate e le Spese, queste furono straordinariamente maggiori nell'amministrazione delle finanze, nell'Istruzione pubblica e nei Lavori pubblici, mentre quelle furono straordinariamente maggiori nei Prodotti diversi. La qual cosa vuole interpretarsi così; che il Governo della Repubblica nel suddetto tempo ha estinto tutto il suo debito pubblico e privato; che ha curato largamente lo sviluppo della pubblica istruzione e delle pubbliche comodità; mentre ha potuto far fronte a tuttociò in forza di un progressivo aumento delle sue rendite, e specialmente delle rendite straordinarie.(1) Questo stesso fenomeno si è riprodotto nel primo anno testè compiutosi del secondo decennio, poiché le spese sono state di L. 157.286,70 e le Entrate di L. 165.321,91. (2)

Però se molto è stato fatto, se a molti bisogni pubblici si è provveduto; molto ancora resta a farsi; molti nuovi e non preveduti bisogni sorgono di giorno in giorno. In conseguenza di tuttociò la mente dei Reggitori della pubblica cosa rifacendosi sopra se stessa in occasione della discussione del Bilancio-Preventivo per il corrente Esercizio, è stata presa da ragionevole timore di non adoperare prudentemente seguitando a percorrere una via, che ancor sembra seminata di fiori, ma che può non esser scevra di pericoli; ed ha domandato a sè stessa, se non sia più assennato consiglio rallentare in tempo e moderare una corsa, che si è fatta forse troppo precipitosa e cieca. Epperò lo attendersi con ogni cura ad un Bilancio fondato su redditi certi ed ordinarii, -migliorare quanto si può i pubblici servizii, -procurare al paese sicuri guadagni; sono queste le vitali questioni, che non solo i Governanti ma eziandio tutti i Cittadini debbono meditare, e alla lor buona soluzione con tutte le forze contribuire. Ciò premesso, eccovi Eccellenza come natural conseguenza la mia Proposta.

La Repubblica di S.Marino percepisce ogni Anno dal Regno italiano in rate trimestrali posticipate in forza dell'Art. 34 della Convenzione nuovamente stipulata fra li due Stati li 27 Marzo 1872 la somma di italiane Lire 22 mila in moneta d'oro e d'argento. Propongo che di queste Lire 22 mila, appena riscosse, rata per rata, e per nove anni consecutivi ne sia creato un deposito fruttifero ad interesse composto presso un solido Istituto di credito. Il qual deposito sia con solenne Senato-Consulto dichiarato inamovibile ad esclusiva e piena guarentigia della operazione seguente, e cioè: che il Governo della Repubblica, e per esso la Tesoreria Generale dello Stato, emetterà per i suddetti nove anni consecutivi, in nove serie, le predette L.22 mila annue per mezzo di Cedole di Tesoreria da una Lira ciascuna, aventi corso legale e coattivo nel Territorio Sammarinese, e rimborsabili tutte esattamente dalla Tesoreria suddetta, mediante il suddetto deposito, dopo dieci anni dalla emissione della prima serie, e cioè dal 10 Agosto al 31 Settembre 1883.

L'utile finanziario che si propone questa operazione è duplice: esso promana dal cumulo dei frutti di 10 anni, e dalla quantità di quelle Cedole che non verranno più presentate al Cambio. Quest'utile senza tema alcuna di errare,può calcolarsi a 120 mila lire almeno, nette da spese.(3) La chiarezza e la semplicità dell'operazione proposta mi dispensa dal farne l'apologia. Mi occuperò piuttosto di confutare le obbiezioni che le si fanno, e che possono ridursi a tre specie: 1. Sulla convenienza, 2. Sulla circolazione, 3. Sulla falsificazione.

1° Sulla Convenienza - Mi si dice "Un Governo ricorre al mezzo del corso forzoso della carta quando è quasi fallito; quando il suo credito compromesso non gli permette di tentare altre operazioni di Prestito: ma il Governo di S.Marino non si trova in questa cattiva condizione di cose; non deve dunque ricorrere ad un mezzo così umiliante, così contrario alla sua dignità morale e politica." Mi si permetta di rispondere a chi ragionasse così, che forse ei non conosce ben addentro la vita economica degli Stati, mentre un tal ragionamento si basa sopra un falso supposto; si basa cioè sull'abuso che altri fece di una cosa buona, per poi dedurne che il far quella cosa è male, solo perché altri ne abusò. Infatti l'invenzione della Banconota è una delle più utili conquiste della scienza economica, e si conserverà sempre tale finchè la Banconota rappresenterà o un dato valore reale equivalente, o il credito stesso di chi la emette entro quei dati limiti però, che sono prefiniti dalla scienza medesima, e che non si violano mai impunemente. Ora quando un Governo per mancanza di mezzi pecuniarii proprii, snaturando l'essenza della Banconota, e violando apertamente i principii sanciti dalla scienza economica, ottiene un intento che dalla sola necessità potrà scusarsi, egli certamente abusa di un mezzo cotanto utile alle transazioni commerciali. Ma il caso nostro è ben diverso. Le Cedole, che io propongo di emettere, rappresentano alla pari un valore vero e reale in oro e argento depositato ed intangibile. Il Governo non le emette per poter spendere una somma che non avrebbe; non le emette nemmeno ricorrendo al credito nello stretto senso della parola: ma gira dirò così una merce a lunga scadenza, senza supporti, allo scopo di ottenere un vantaggio agli interessi pubblici e privati. Imperocchè queste Cedole apparterebbero piuttosto a quella specie di valori pubblici, che circolano in ogni Stato ben ordinato, sotto il titolo di Buoni del Tesoro, Cartelle del debito pubblico, Cedole o cuponi, Libretti di Deposito o di Risparmio, Polizze di Pegno ecc.ecc. - E queste cedole che io propongo, non sono esse forse di miglior natura di quelle Cartelle, che qualche Anno fa il Governo della Repubblica aveva consentito di emettere per un Prestito-lotteria di Sei milioni di Lire in numero di 300 mila da Lire 20 ciascuna, rimborsabili in gran parte alla pari dopo 70 Anni ?!!

Ho detto che il Governo emetterebbe queste Cedole allo scopo di ottenere un vantaggio agli interessi pubblici e privati: e ho detto ciò a disegno; poiché io vado anche più oltre, e sostengo che la Repubblica facendo questa emissione non solo non offende la propria dignità, come fin quì son venuto dimostrando; ma fa cosa conforme alla dignità stessa, esercitando un suo diritto a tutela degli interessi offesi de' suoi Cittadini. E ne do la prova.

Quando un Governo emette della moneta cartacea a corso forzoso, la moneta metallica, e specialmente la fina, suole sparire dalla circolazione per i motivi che tutti conoscono. Ora questo fenomeno che nel 1866 avvenne nel Regno italiano, che aveva dovuto ricorrere ad un tal malaugurato espediente, per la brevità dei nostri confini racchiusi in quello, si estese anche nel nostro Stato, sebbene politicamente indipendente, e senza che allora vi si fosse potuto o saputo mettere riparo. Il nostro Stato dovette pertanto subire, senza sua colpa, il contracolpo di quella fatale misura finanziaria del Regno Italiano con tutte le conseguenze che ne derivarono. Anzi queste conseguenze furono molto peggiori per noi, perché non solo fummo in brevissimo tempo privati di tutta la moneta fina metallica circolante sul nostro mercato, e dovemmo sostenere l'agio ognor crescente; ma restammo anche privi del beneficio che la legge del corso forzoso accordava al debitore, anullando i patti, anche fossero stipulati, di pagare in oro e argento; legge, che per ragioni politiche non poteva dalla Repubblica imitarsi. E così noi ci trovammo d'allora in poi in una condizione tutta anormale; nella necessità cioè di subire tutti gli effetti funesti della legge del corso forzoso, senza goderne i privilegi; di non aver moneta legale circolante (se si esclude qualche po' di rame), e coll'obbligo di pagare i nostri impegni in moneta fina d'oro e d'argento, la quale non è nemmeno reperibile nel nostro Stato a forte agio, se non si torna ad importarla dal di fuori. (4)

Che però, stringendo l'argomentazione, io dico alla mia volta, provveder molto poco alla propria dignità quel Governo che tollera uno Stato di cose profondamente lesivo degl'interessi dei proprii Amministrati; e dover egli occuparsi sollecitamente di un provvedimento. Quale provvedimento nel caso nostro non potendo essere per ora il far coniare della moneta nostra propria d'oro e argento, perché verrebbe subito esportata, non ci rimane se non che procurare di sostituire ad una carta moneta non nostra, che circola abusivamente, sostituire, dissi, una moneta nostra propria della stessa natura, ma di miglior risma. La quale se non porterà altro buon frutto, conseguirà almeno quello di esonerare in tutto o almeno in parte i Cittadini dall'enorme agio, a cui per nessuna ragione sono tenuti di sottostare. Imperocchè quantunque possa osservarsi che queste Cedole di Tesoreria circoleranno per qualche tempo senza interesse, sono però rimborsabili in oro e argento e perciò miglioreranno di assai le condizioni della circolazione; e ritengo che i Cittadini alla fin fine non possano dolersi di dovero sostenere la cicolazione di un capitale infruttifero dello Stato anche come una tassa, che essi possono pagare senza alcun incomodo, e senza che se ne addiano. (5)

2° Sulla Circolazione - Si domanda da alcuni "Quando si sarà coniata questa carta, sarà essa ricevuta di buona voglia all'interno? Sarà poi ammessa alla circolazione fiduciaria del commercio estero?" Risponderò a queste quistioni, abbenchè molto complesse, col domandare alla mia volta per quali ragioni la cartamoneta del Governo della Repubblica di S.Marino non dovrà essere ricevuta di buona voglia dalla generalità? Una Cedola è pressapoco una Cambiale: ora una Cambiale non suole trovare chi ne accetti la girata in commercio per diversi motivi; o perché la Persona del Debitore non riscuote simpatia; o perché non è solvibile per mancanza di capitali o di credito; o perché sebbene abbia credito si teme che ne abusi o non sia preciso ne' suoi appuntamenti. Ma nel caso nostro io credo che si abbiano ragioni più che d'avvanzo per ritenere tutto il contrario. La Repubblica di S.Marino in primo luogo è un Governo simpatico ai più, e farei opera perduta addurne le tante prove che ne ha avute da ogni parte. La Repubblica di S.Marino in secondo luogo garantisce con altrettanto capitale in moneta sonante di oro e di argento depositata presso un solido istituto di credito l'ammontare della intera emissione. La Repubblica di S.Marino in terzo luogo ha testè rinnovata una solenne Convenzione di amicizia e commercio col Regno Italiano mediante la quale viene consolidata sempre più la sua politica esistenza indipendente e libera da quindici secoli. La Repubblica di S.Marino in quarto luogo ha il suo Bilancio annuo in pari, dopo aver estinto tutto il suo debito privato e pubblico: non ha gravati i Cittadini con tasse: le condizioni economiche del paese sono buone: non ha bisogno nemmeno di ricorrere al credito, che conserva perciò tutto intero. La Repubblica di S.Marino finalmente ha dato prove in ogni incontro di voler mantenere il suo Governo sulla pratica della più severa moralità, sulla esatta osservanza della data fede, sulla più sincera lealtà. (6) Non posso pertanto trovare un sol motivo per dubitare che le Cedole sammarinesi saranno rifiutate dal commercio in generale. E se ben vi ricorda, anche quando furono emessi per la prima volta i nostri soldi, eravamo fortemente preoccupati dal timore che rimanessero entro la cerchia dei nostri confini, perché ai medesimi non si estendeva il beneficio della stipulazione dell'Art. 24 della prima Convenzione: ma non solo sparvero allora le 14 mila Lire emesse; ma sparvero quasi interamente altresì le 30 mila della seconda coniazione; e l'Industria e il Commercio estero le rese utili anche in altri modi, tantochè oggi un soldo del primo conio si paga 50 centesimi. Io poi domanderò se uno solo dei requisiti, che avrebbero le nostre Cedole, potrebbe essere vantato da certi Biglietti che pur tutto dì vediamo in circolazione, emessi da certi Istituti morali o di credito dei Paesi limitrofi? -A disegno poi ho proposto che la nostra Cedola sia di una Lira

poiché la carta di piccolo taglio, di cui si sente il difetto e il bisogno nel piccolo commercio giornaliero, trova più facile smaltimento. (7)

L'obbiezione però non è esaurita e si soggiunge "Questa carta moneta dopo 9 anni ascenderà a 198 mila lire; ora questo ammasso di cartamoneta è eccessivo se dovesse rimanere nello Stato anche per una sola buona parte, perché porterebbe seco i noti inconvenienti nella circolazione; e specialmente ne risentirebbero danno quei negozianti che esercitano sulle nostre piazze il piccolo commercio. Perocchè dovendo essi andare all'estero per le provviste all'ingrosso, non avrebbero naturalmente nei loro tiratoi altra moneta che la sammarinese, che forse non potrebbero spendere fuori." -Questa, è un obbiezione della quale non dissimulo l'importanza: ma credo di avervi in parte già risposto e in parte vi risponderò concludentemente.

Nel Regno Italiano, in cui la circolazione della cartamoneta comincia ad avvicinarsi al termine massimo, di soli biglietti della Banca Nazionale (non compresi quelli a corso legale e fiduciario di cento altri Istituti) ne circolano per un miliardo e 300 millioni, e cioè alla ragione di L. 48 per ogni abitante: mentre nel nostro Stato, e solo nell'ultimo Anno della emissione, si avrebbero solamente L. 22 per testa, differenza inferiore alla metà. Non vi è dunque buona ragione per ritenere a priori un pericolo che manca di dati statistici per provarlo, e che cento altre ragioni in adietro adotte mostrano insussistente. E in quanto alla seconda parte della obbiezione (ammessa anche per un momento e non concessa l'ipotesi, che queste Cedole restin tutte entro lo Stato nostro) io dimostrerò che la emissione delle medesime pei primi cinque anni non porterebbe alcun inconveniente, quando anche le casse pubbliche credessero di farne il cambio in epoche determinate. Imperocchè il giro annuo di Tesoreria, come si è detto in principio, ascende circa a 100 mila lire tanto per la parte passiva quanto per l'attiva, cioè è quasi cinque volte maggiore della somma annua che si emetterebbe. Che però se contro tutte le probabilità, per un fenomeno che sarebbe unico nella storia economica, e non decifrabile con plausibili ragioni, le nostre Cedole venisero rigettate tutte disdegnosamente dal commercio estero entro i nostri confini, l'operazione che io propongo potrà tuttavia sempre farsi sicuramente almeno per i detti cinque anni: scorsi i quali il Governo della Repubblica potrà (se ciò crederà opportuno) ritirare e pagare le Cedole in circolazione. Ma torno a ripetere, che io considero sempre questo caso moralmente impossibile.

3° Sulla falsificazione. Si obbietta ancora: "Le Cedole emesse potrebbero falsificarsi, e allora come rimediare alle funeste conseguenze che ne deriverebbero?" Tralascerò dal far osservare che questa obbiezione viene ad ammettere la bontà della mia proposta; perché nessuno, per fine di lucro, si metterebbe a falsificare della cartamoneta, che non avesse un corso ben assicurato. Ma piuttosto dirò che nessun dovere può esistere nella Repubblica di riconoscere e rimborsare le cedole false. Indipendentemente poi da questo, i temuti pericoli della falsificazione, sono a chi ben consideri, più immaginari che reali: 1° perché nella fabbricazione dei Biglietti da una Lira, quando il guadagno debba venire esclusivamente dalla circolazione, questo è in una misura ben tenue, come insegnano i Finanzieri: 2° perchè, un tal guadagno sarebbe poi nullo nel caso presente trattandosi di una piccola emissione, come è la nostra: 3° perché la falsificazione sarebbe avvertita con estrema facilità per le medesime ragioni: 4° finalmente perché, quando la cedola fosse incisa bene in rame, e non in litografia, riesce quasi impossibile il contraffarla con qualche esattezza. Che se ad onta di tuttociò, la falsificazione si verificasse in qualcuna delle nove serie, sarebbe facilissimo al Governo ritirare la serie falsificata nella emissione annuale della successiva, bastando introdurre nella stessa matrice qualche variante, oltre al mutare continuo per ogni serie i colori del fondo della Cedola.

Eccellenze! Questa è la proposta che io sottometto all'esame della pubblica Opinione e all'illuminato giudizio delle EE.VV. e del Generale Consiglio Principe e Sovrano. Che se il desiderio di migliorare la pubblica finanza dei miei Concittadini sul come risolvere il problema delle pubbliche finanze, che racchiude in se i più vitali interessi della Repubblica e nostri. (8)

                                

NOTE

 

1) Le Spese e le Entrate effettive dal 1° Aprile 1862 al 31 Marzo 1872 sono state anno per anno come segue:

1862-63    Esito L. 63.257,94    Introito L. 64.278,10

1863-64      =   L. 65.339,96       =     L. 66.134,68

1864-65      =   L. 72.249,05       =     L. 73.395,83

1865-66      =   L. 90.424,26       =     L. 93.689,05

1866-67      =   L. 92.935,53       =     L. 86.581,73

1867-68      =   L. 89.716,45       =     L. 87.780,91

1868-69      =   L. 85.370,43       =     L. 84.998,84

1869-70      =   L.186.206,79       =     L.186.888,90

1870-71      =   L.127.537,48       =     L.129.941,36

1871-72      =   L. 95.268,44       =     L. 94.616,89

        Totale   L.968.306,33             L.968.306,29

Nei primi tre anni del suddetto decennio i Bilanci essendo impiantati secondo l'antico sistema comunale non somministrano a prima vista un'idea distinta della Spese e delle Entrate secondo la diversa loro natura. Mi limito pertanto a dare un Riassunto delle une e delle altre per l'ultimo settennio secondo la classificazione adottata dal 1865 in poi.

 

  Titolo delle Rubriche        Totale dei 7 anni          Media Annuale

      PASSIVO

1-Minist.della Reggenza          L. 57.590,93                L. 8.229   

2-Amminist. Giustizia            L. 57.025,66                L. 8.146

3-Forza pubblica                 L. 59.096,21                L. 8.442

4-Amminist. Finanze              L.136.364,33                L.19.480

5-Sanità pubblica                L. 37.124,39                L. 5.303

6-Istruzione pubblica            L.120.379,36                L.17.197

7-Culto                          L. 12.035,25                L. 1.719

8-Lavori pubblici                L.217.846,33                L.31.120

9-Agricol.Indust.Commercio       L. 15.059,82                L. 2.151

10-Beneficenza pubblica          L. 32.974,04                L. 4.710

   Rimanenze passive             L. 21.963,06                L. 3.166

      ATTIVO

11-Prodotti Beni Ecc.Camera      L.  3.324,84                L.   495

12-   =     Generi di Regia      L.364.185,20                L.52.026

13-   =     Tasse dirette        L. 38.057,15                L. 5.435

14-   =     Tasse indirette      L. 31.375,44                L. 4.482

15-   =     Diversi              L.308.019,38                L.44.002

   Rimanenze attive              L. 42.863,88                L. 6.123

 

2) Anche in quest'anno il Governo ha sostenuto da una parte gravi spese straordinarie nella costruzione di nuove strade e nella fondazione di un Collegio-Convitto; mentre ha avuto d'altra parte la rendita pure straordinaria della liquidazione decennale della quota convenuta col Regno Italiano sui diritti doganali.

3) Incominciando ad immobilizzare col 1°Maggio 1873 L.5.500, e seguitando per ogni trimestre, coll'annua ragione composta del 6%, si avranno al 1° Agosto 1882 L.267.977, le quali continuando a fruttare fino al 1° Agosto successivo 1883, epoca della estinzione daranno                 L. 284.055

Dalle quali detratta la vera sorte di                           L. 198.000

Resteranno di fruttato libero                                   L.  86.055

Ed a queste aggiungendo il 20% di Biglietti (minimum assegnato

dalle Statistiche)che non verranno più presentati al cambio in  L.  39.600

Si avrebbe un utile di                                          L. 125.655

da cui sarebbe solo a detrarsi la spesa della fabbricazione delle Cedole.

4) Questo grave onore per i Cittadini di S.Marino si verifica specialmente per contratti di vendita o di mutuo stipulati anteriormente al 1866. Se il Creditore disdice il suo credito, il povero Debitore bisogna che oggi abbuoni a quello il 12% almeno sull'intera somma. Il Governo che si fa complice, per così dire, di queste nuova specie d'usura non fa che contribuire sempre più al disesto economico delle famiglie dello Stato, che in generale non sono molto agiate. Eppure in un piccolo Stato, come è il nostro, la condizione economica delle famiglie ha un'azione diretta sulla finanza pubblica per le ragioni che ognuno indovinerà. Io credo quindi che il Governo debba avere il massimo interesse di curare che le famiglie non si rovinino; che le poche fortune del paese restino frazionate fra i più; che tutto non vada a finire nelle mani degli strozzini:e che la proprietà fondiaria possa equamente riscattarsi dai vincoli ipotecarii. E si noti, a questo proposito, che i Sammarinesi non hanno neppure il beneficio di un Istituto di Credito fondiario, che i Regnicoli pur hanno e godono.

5) Dietro tutto ciò sarà facile comprendere il senso vero di quella Lettera del Conte Cibrario, la quale ad alcuni parve poco ragionevole, quando consultato sulla convenienza di far battere moneta fina nostra propria, sconsigliò il Governo da un tal divisamento.

6) La Repubblica di S.Marino in questi ultimi tempi non solo ha resistito con plauso universale alle replicate tentazioni fattele di grasse speculazioni poco morali; ma che il Governo appaltava; e che si giuocava in occasione delle fiere e delle principalissime Feste dell'anno.

7) Si potranno in seguito emettere Cedole anche di maggior taglio, se l'esperienza mostrerà ciò opportuno.

8) Essendo già sotto i torchi la presente mia proposta, è stato presentato al Governo della Repubblica un Progetto finanziario del Signor Andrea Boassi. Pel sincero desiderio del pubblico bene non esito a dichiarare che se la suddetta mia proposta dovesse impedire l'attuazione del Progetto Boassi io sarei ben lieto di cedere a quest'ultimo la preminenza. Imperocchè il Progetto Boassi fondato sopra un concetto semplice e chiaro non solo favorirebbe largamente lo sviluppo degli Interessi privati e l'utile pubblico; ma avendo (a mio credere) trovato un modo facile e piano di risolvere praticamente uno dei più ardui ed importanti problemi economici, non poca gloria ne verrebbe alla nostra Repubblica dell'aver dato vita ad un tal sistema, il quale (come suole accadere alle migliori Invenzioni) dovrà lungamente combattere coi Privilegi dei grandi Interessi che ne resterebbero spostati, prima di ottenere un completo trionfo.

 

                              Aprile 1873  Palamede Malpeli    

 

(stampato a Rimini, presso la Tipografia Albertini)

 

 

 

 

 

APPENDICE N° 30

 

Programma scolastico proposto da Palamede Malpeli - 1878

 

 

Alle Eccellenze dei Signori Capitani Reggenti della Repubblica di S.Marino  

    ed ai Nobili Signori Componenti la Commissione dei pubblici Studi.

 

Nella ferma fiducia che il Governo metterà tutto l'impegno per ottenere dal Generale Consiglio Principe e Sovrano i fondi necessari per l'onorario di un Terzo Insegnante per le Classi Elementari, poiché questo provvedimento è reclamato da ben sentita necessità, ho creduto che sia giunto finalmente il tempo opportuno a presentare un Progetto di PROGRAMMA DEFINITIVO dell'insegnamento scolastico che s'imparte in questo Nobil Collegio Belluzzi.

Mi si permetta però di lasciar da parte per un momento la qualità di Deputato degli studii, affinchè questo mio lavoro di privata iniziativa non abbia alcuna apparenza ufficiale, e quindi possa essere liberamente discusso e giudicato.

In questo Progetto ho avuto in mira:

1 - Di risolvere, in modo per noi pratico e scientifico insieme, l'eterna quistione del biforcamento degli studii dopo il Corso Elementare, col fare di tutti i Corsi un insegnamento seguito:

2 - D'impartire tutto questo insegnamento con Dieci Insegnanti, poichè sarebbe vano sperare in un aumento di personale, avuto riguardo alle somme egregie che già il Governo spende per la pubblica Istruzione (il Bilancio dello Stato assegna più di un quinto delle sue Entrate per la pubblica Istruzione), e al non largo numero di Alunni che possono frequentare le nostre scuole:

3 - Di evitare la necessità di aumentare i locali ora assegnati per le scuole; locali, ai quali non si potrebbe provvedere se non fuori e lontano dal Collegio.

4 - Di fare in modo che gli Alunni che si dedicano agli studii classici possano compiere a 18 anni il Corso mezzano: e gli altri che si dedicano alle arti e ai mestieri possano lasciare a 12 anni le scuole con una istruzione non monca, e perciò non dannosa.

5 - Di tenerci lontani dal servilismo della imitazione che ci farebbe adottare anche gli errori altrui; ma di coordinare gl'insegnamenti in modo da mettere gli Alunni a portata dei moderni sistemi seguiti altrove:

6 - Di avviare l'istruzione, che si dà quì, allo scopo vero dell'educazione degli Alunni, procurando che risponda allo spirito della nostra politica Costituzione ed alle condizioni morali ed economiche del popolo Sammarinese.

       Guidato da questi criteri, vengo senz'altro al Progetto di

 

PROGRAMMA

 

per il Corso scolastico Elementare e Mezzano del Nobile Collegio Belluzzi nella Repubblica di S. Marino

Questo Corso si distingue in

1° Corso Elementare;

2° Corso Elementare di Complemento, o Tecnico;

3° Corso Ginnasiale;

4° Corso Liceale.

 

1 - Corso Elementare

Questo Corso si divide in tre Classi, e dura tre anni. La prima composta di due Sezioni o Periodi, si percorre in un anno, e corrisponde a quella del Programma italiano. In questa Classe, e nella seguente, i Passaggi da una Sezione all'altra superiore si possono fare alla fine del primo quimestre. - La seconda Classe pure si suddivide in due Sezioni e si percorre in un anno. Insegnare a legger bene, ma bene..., l'esercitare nella nomenclatura e nel mandare a memoria brevi e utili cose, apprendere i numeri ed i primi elementi del carattere, formano i compiti esclusivi del Maestro in questa scuola. - La terza Classe non si suddivide in Sezioni, e si percorre pure in un anno. Vi s'insegna sempre la lettura corrente e a senso, -la scrittura per imitazione-i principii elementari di Grammatica italiana-le prime quattro operazioni d'aritmetica.

2 - Corso Tecnico

Quest'insegnamento durerà tre anni e s'impartirà, a norma del relativo Orario, per ore e per materie distintamente e gradatamente dai rispettivi Professori a classi riunite; e cioè:

I. Scuola. Corso completo di Grammatica Italiana ed Elementi di composizione.-Storia (Storia Patria e Moderna per fatti o Uomini principali in ordine cronologico inverso)-Geografia dell'Italia ed Europa;

II. Scuola. Calligrafia;

III. Scuola. Aritmetica e Computisteria;

IV. Scuola. Nozioni elementari e facili di Scienze naturali relative alle industrie, e di Geometria applicate ai mestieri; (starà nella discrezione del Professore di proporzionare questo insegnamento allo sviluppo intellettuale degli Alunni, e di farlo servire anche di preparazione a quello che poi dovrà dar loro nel Liceo.)

V. Scuola. Disegno elementare;

VI. Scuola. Lingua francese.

Dopo il secondo anno di corso l'Alunno che essendosi distinto per diligenza e profitto volesse dedicarsi agli studii classici, potrà chiedere di passare al Ginnasio. Ritenuto poi che lo studio di tutte le suddette materie sia indistintamente obbligatorio per tutti, e così pure siano obbligatori gli esami annuali relativi; pure, non farà diffetto per passare al Ginnasio il non aver superato i cinque punti negli esami di Disegno e di Francese.

3 - Corso Ginnasiale

Questo insegnamento dura quattro anni, e sarà impartito da due soli Professori; uno per la Classe inferiore, l'altro per la superiore. Le Classi però saranno suddivise in due Sezioni ognuna: in esse l'insegnamento principale sarà quello della lingua latina. Vi si aggiungerà a corredo lo studio della Storia e della Geografia. Eccone la ripartizione:

1^ Sezione - Etimologia latina;

2^ Sezione - Parte inferiore e media della Grammatica;

3^ Sezione - Parte superiore della Grammatica e Prosodia;

4^ Sezione - Precetti di Elocuzione.

Nelle prime due Sezioni si esigerà alternativamente ogni anno lo studio della Storia Greca e Romana, e la Geografia dell'Asia e dell'Africa. Nelle ultime due quello della Storia dell'Evo-medio e della Geografia dell'America e dell'Oceania. Nella 2^ Sezione s'incomincerà pure lo studio del Greco da proseguirsi nelle sezioni seguenti.

4° - Corso Liceale

Quest'insegnamento durerà tre anni; s'impartirà (come il tecnico) per ore e per materie alternativamente, come all'Orario qui appresso e comprenderà

I. La letteratura italiana e latina-La Storia della Letteratura-La Grammatica Greca-La Storia e la Geografia antica:

II. Gli Elementi delle Scienze naturali; -Fisica, Chimica e Storia;

III.La Filosofia;

IV. Le Matematiche Elementari.

Si dovrà però osservare nello studio delle materie l'ordine o la disposizione seguente, secondo i gruppi assegnati a ciascun Professore.

(a) Nel 1° e 2° anno. Precetti di Oratoria e Poetica e di Eloquenza-Storia della Letteratura-La Grammatica Greca-La Storia e la Geografia antica. Nel 1° e 2° anno. Elementi di Fisica e Storia naturale.

(b) Nel 2° e 3° anno. Filosofia. Nel 2° e 3° anno. Algebra e Geometria.

(c) Nel 3° anno.Elementi di Chimica.Nel 3° anno.Logaritmi e Trigonometria.

L'insegnamento poi delle materie così distribuite, deve per risparmio di tempo esser comune agli Alunni riuniti (come si vede qui sopra) di 1° e 2° anno, o di 2° e 3° anno, potendosi dare alternato annualmente senza gravi inconvenienti. Ora passo agli Orarii. Si calcola, come si è detto, sopra 10 insegnanti, e cioè:

1. Maestro di 1^ Classe Elementare,

2.   =     =  2^   =        =

3.   =     =  3^   =        =

4.   =     =  Lingua italiana, Storia e Geografia nel Tecnico,

5. Professore della Classe Ginnasiale inferiore,

6.     =        =     =        =      superiore,

7.     =      di Letteratura Liceale,

8.     =      di Filosofia e Morale,

9.     =      di Scienze naturali nel Liceo, di Nozioni Scientifiche, di    

              Disegno e Francese nel Tecnico,

10.    =      di Matematica nel Liceo, di Nozioni Scientifiche, di

              Aritmetica e Computisteria, e di Calligrafia nel Tecnico. 

Il tempo delle lezioni è di due ore e mezzo la mattina nei mesi di Novembre, Dicembre, Gennajo, Febbrajo e Marzo dalle 9 ant. alle 11:30. E' poi di tre ore nei quattro mesi successivi, e comincia dalle 8:30 ant. Nel pomeriggio il tempo delle lezioni è sempre di due ore, a cominciare dalle ore 2 pom. nei primi quattro mesi; dalle 2:30 in Marzo; dalle 3 in Aprile; dalle 3:30 in Maggio; e dalle 4 in Giugno e Luglio.

Le Classi Elementari e le Ginnasiali occupano di seguito, la mattina e la sera, tutto il tempo superiormente assegnato; per cui s'impiegano per l'insegnamento relativo in ogni settimana (5 giorni di scuola) ore 22:30 nel primo quimestre; e ore 25 nel secondo quadrimestre. Per le Classi Tecniche, a cui l'insegnamento è contemporaneo ed anche comune secondo la discrezione del Professore, propongo il seguente Orario (per settimana.)

 

Lunedì-Giovedì-Sabbato:

Mattina: Lingua Italiana, Storia e Geografia.

Sera: Nozioni Scientifiche o Lingua Francese e Disegno.                       

Martedì-Venerdì:

Mattina: 1^ metà di scuola: Lingua Francese e Disegno. 2^ metà di scuola: Calligrafia,Aritmetica e Computisteria,Nozioni di Geometria applicata ecc.

Sera: Calligrafia e Computisteria e Nozioni di Geometria applicata ai mestieri.

Così il tempo per i singoli insegnamenti sarà ripartito dai Professori nel modo seguente (sempre per settimana).

Nel 1° Quimestre: Lingua Italiana Ore 5,30 - Storia e Geografia Ore 2 - Lingua Francese Ore 3 - Nozioni ecc. Ore 3 - Disegno Ore 2,45 - Aritmetica e Computisteria ecc.Ore 4,30-Calligrafia Ore 2 per un totale di Ore 22,45.

Nel 2° Quadrimestre: Lingua Italiana Ore 6,30 - Storia e Geografia Ore 2,30 - Lingua Francese Ore 3 - Nozioni ecc. - Ore 2 - Disegno Ore 4 - Aritmetica e Computisteria ecc. Ore 5 - Calligrafia Ore 2 per un totale di Ore 25.

Le Classi Liceali finalmente potranno seguire il seguente Orario.

Lunedì-Giovedì-Sabbato:

Mattina: 1^ metà di scuola: Letteratura ecc. al 1° e 2° Corso. 2^ metà: Matematiche al 2° e 3° Corso; Chimica al 3° Corso.

Sera:1^ metà: Matematiche al 2°e 3°Corso. 2^ metà: Greco al 1° e 2° Corso.

Martedì-Venerdì:

Mattina: 1^ metà: Letteratura ecc. al 1° e 2° Corso. 2^ metà: Scienze Naturali al 2° e 3° Corso.

Sera: 1^ metà: Scienze Naturali al 2° e 3° Corso. 2^ metà: Greco al 1° e 2° Corso.

Le Lezioni di Filosofia al 2° e 3° Corso riunito si faranno in ogni giorno di Scuola, a norma del Calendario scolastico, dalle 7,45 alle 8,45 nel primo quimestre, e dalle 7,15 alle 8,15 nel secondo quadrimestre. Così, riepilogando, il tempo per ogni singolo insegnamento liceale, viene computato come segue, sempre per settimana;

Nel 1° Quimestre: Letteratura ecc. Ore 6,15; Greco, Storia e Geog. Ore 5;

Scienze Naturali Ore 8,15; Matematiche Ore 9,15; Filosofia Ore 5; per un totale di Ore 33,45.

Nel 2° Quadrimestre: Letteratura ecc. Ore 7,30; Greco,Storia e Geog.Ore 5;

Scienze Naturali Ore 9,30, Matematiche Ore 10,30; Filosofia Ore 5; per un totale di Ore 37,30.

Il criterio intelligente e pratico delle Onorevoli Persone, alle quali mi sono rivolto, mi ha permesso di aver tracciate qui le sole linee principalissime di questo insieme; e mi dispensa dallo spiegare più a lungo le ragioni di singoli ordinamenti, le quali, credo, emergono abbastanza lucide e giustificate. Ma fin quì il mio Progetto non si è occupato che dell'istruzione. Però istruzione disgiunta da educazione, anzi non subordinata a lei come a suo fine, è per sentimento di migliori, più di danno che di utile. Se pertanto l'educare fu in ogni tempo la principal cura di ogni Governo e di ogni Popolo colto e civile, oggi questo bisogno è di supremo momento - oggi che una scoraggiante Filosofia tiene scetticamente il campo in mezzo a noi. Ma se questa Filosofia può essere tollerata negli Accademici che dal dubitare traggono argomento di studio, non può essere permessa nella scuola al Maestro, che dovendo insegnare per educare tenere menti coll'esempio e colla voce, più che discutere deve credere, cioè profondamente sentire le verità che insegna. Egli non può avere intorno ai supremi veri fondamentali opinioni sue proprie o diverse dal Corpo insegnante, il quale è il Sacerdote della civiltà, depositario della coscienza pubblica e dei suoi principii di fede, che questi deve trasmettere religiosamente intatti alla generazione che ne tien dietro.Non è a lui solo che spetti il cambiarli o modificarli.

Per noi Sammarinesi poi il mantenere l'educazione dei giovanetti nella severa religione degli Avi è quistione altissima di conservazione di libertà d'indipendenza! Quattordici secoli sono là per affermare che politica e religione distinte fra loro, ma non bruscamente separate, hanno risoluto uno dei più ardui problemi politici e sociali, tenendo cementato solidamente questo antico edificio di libertà.

Propongo pertanto che l'educazione morale e religiosa sia direttamente inculcata nelle Classi Elementari, seguitando nei Maestri l'obbligo dell'insegnamento giornaliero di quel libro piccolo di mole, ma grande d'insegnamenti, che è la Dottrina Cristiana, in cui, che ben vi legge per entro, trova il secreto della felicità pubblica e privata. Alla prima Classe le Preghiere vocali: alla seconda le prime due Parti del Catechismo: alla terza le ultime due.

Nelle altre scuole non può esigersi l'insegnamento educativo diretto; ma sì l'indiretto. I Professori nelle loro lezioni e nei loro discorsi non solo si dovranno astenere dall'estrinsecare quei dubbii che sono stati risollevati da una troppo leggera Filosofia; ma dovranno sempre ricordarsi che la scuola è pei giovani la palestra della vita; sceglieranno o proporanno per libri di lettura e di studio quelli che meglio rispondono a questo scopo; lo stesso intendimento avranno nell'assegnazione dei temi dei componimenti: ed approfitteranno in fine delle molteplici circostanze nella loro relazione cogli Alunni per istillare nei loro cuori la pratica del sentire delicato ed onesto, del pensar retto, dell'operar conseguente: dai quali tre elementi uniti risulta l'educazione perfetta.

Piacerebbe finalmente a me che a fin d'anno fosse assegnata in premio una Medaglia di Oro a quell'Allievo, che avesse pubblicamente serbata sugli altri un'esemplare condotta civile, morale e religiosa.

E con ciò ho finito. Aspetto con premura il vostro giudizio, e i vostri saggi provvedimenti pel prossimo anno scolastico.

        S. Marino 30 Settembre 1878

                                                    Palamede Malpeli

 

 

(stampato a Rimini, presso la Tipografia Albertini)

 

 

 

APPENDICE N° 31

 

Convenzione Italia - San Marino 22 marzo 1862

 

         

Art.1 - Le sentenze dei tribunali del Regno d'Italia avranno esecuzione nella Repubblica di S.Marino; e quelle dei tribunali della Repubblica avranno esecuzione nel Regno d'Italia, senza che sia necessario alcun giudizio di delibazione.

Art.2 - Gli atti pubblici fatti nel regno d'Italia avranno effetto nella Repubblica, e quelli fatti nella Repubblica avranno effetto nei regii Stati, senza che sia necessario l'intervento dell'autorità giudiziaria.

Art.3 - Le citazioni e le intimazioni di sentenze e di atti giudiziarii fatti nei due Stati nell'interesse dei cittadini dei due Paesi si eseguiranno nei modi prescritti dalle leggi di procedura del luogo a semplice richiesta della parte interessata.

Art.4 - Gli inquisiti dalle autorità giudiziarie del regno d'Italia per crimini ivi commessi, venendo arrestati nel territorio della Repubblica si rinvieranno dal tribunale del luogo d'arresto al tribunale procedente, a semplice richiesta. Lo stesso avrà luogo per gl'inquisiti dalle autorità giudiziarie della Repubblica.

Art.5 - Sono eccettuati dalla estradizione di cui all'articolo precedente i cittadini attivi e quegli altri cittadini che fossero domiciliati da un decennio nello Stato a cui si fa la domanda.

Art.6 - La naturalizzazione posteriore al commesso reato non farà eccezione alla regola della convenuta consegna.

Art.7 - I tribunali dei due Stati s'intenderanno obbligati a prestare scambievolmente l'opera loro per tutti quegli atti che possono interessare la giustizia punitiva.

Art.8 - Se il delinquente o il condannato sarà cittadino dello Stato presso cui si è rifugiato, dovrà essere punito del suo proprio Governo secondo le leggi patrie ed il sistema di prove ivi vigente. A tale effetto dovranno gli agenti dell'altro Governo comunicare gli atti del processo che si fosse formato e copia della sentenza se il reo sia già stato condannato. Qualora poi si trattasse di un fatto atroce e gravemente perturbante la pubblica tranquillità tra i sudditi di ambedue i Governi, si concerterà fra i due Governi, presa cognizione del fatto, la consegna dei rei al giudice del luogo del delitto all'effetto dei confronti ed esami necessarii alla compiuta prova del medesimo, e si restituiranno poi per essere giudicati nello Stato cui appartengono.

Art.9 - Venendo una delle parti contraenti a richiedere l'altra per la consegna d'individui non cittadini, nè domiciliati, rei di delitti commessi fuori dai rispettivi Stati, pei quali sia luogo a procedere nello Stato richiedente, si riservano i Governi di accordare o no tale consegna, avuta considerazione ai concordati vigenti con altre potenze ed alla qualità e circostanze del delitto.

Art.10 - Il Governo che giusta i precedenti articoli sarà richiesto della consegna d'un qualche condannato o delinquente non potrà fargli grazia, nè concedergli salvo-condotto od impunità, eccettuati quei salvo-condotti che si concedono per la prova di altri delitti secondo le regole e pratiche criminali. Questi salvo-condotti però e quelli pure che fossero altrimenti conceduti agl'inquisiti dovranno essere ritirati e di nessun valore, venendo i medesimi dall'altro Governo giustamente reclamati.

Art.11 - Saranno pure consegnati il denaro e tutti gli effetti che si troveranno presso gl'inquisiti e che saranno stati alienati, se potranno rinvenirsi, ed ogni altra cosa che abbia relazione o possa servire di prova al delitto commesso, come pure le copie dei processi che si fossero compilati prima della consegna degl'inquisiti, corrispondendo per questo la sola mercede della scrittura.

Art.12 - Ritrovandosi presso degli inquisiti effetti appartenenti a cittadini del Governo richiesto, dovranno loro restituirsi senza veruna spesa, dopo averne giustificata la proprietà, e quando non saranno più necessari alla prova del delitto.

Art.13 - Le spese pel mantenimento degl'inquisiti dal momento del loro arresto sino a quello della consegna saranno a carico del Governo richiedente.

Art.14 - Tutti i militi sì di fanteria che di cavalleria, artiglieria, treno e di qualunque altro corpo delle truppe sì di terra che di mare di Sua Maestà Italiana, e così pure qualunque individuo delle truppe della Repubblica di San Marino, i quali, disertando dal servizio del Governo cui appartengono, si rifugiassero negli Stati dell'altro, dovranno essere immediatamente arrestati, anche senza speciale richiesta, e restituiti con le armi, cavalli, equipaggio ed ogni cosa che avranno seco loro asportato nella diserzione.

Art.15 - Non avrà luogo per altro la consegna di quei disertori che fossero cittadini attivi dello Stato in cui si sono rifugiati.

Art.16 - Tutte le Autorità civili e militari dei due Governi saranno tenute d'invigilare attentamente sui disertori dell'altro Stato che s'introducessero nelle loro giurisdizioni, e di prendere colla maggiore celerità gli opportuni concerti a questo fine, e specialmente acciocchè i militari non muniti di passaporto o foglio di via non trovino asilo negli Stati dell'altra parte e siano immediatamente arrestati.

Art.17 - Il mantenimento dei disertori e dei cavalli sarà corrisposto secondo i regolamenti che sono in vigore nei rispettivi dominii.

Art.18 - Ogni individuo d'un Governo che indurrà in qualunque modo un soldato dell'altro a disertare sarà castigato con due mesi d'arresto ed una multa di lire 50 italiane, senza pregiudizio di quell'aumento di pene, cui potessero dar luogo le circostanze aggravanti del delitto. Similmente quelli che daranno scientemente ricetto ad un disertore incorreranno la pena di un mese di carcere: ed in tempo di guerra quell'altra più grave che le circostanze del delitto possono meritare.

Art.19 - Resta vietato ai sudditi rispettivi di comprare dai disertori delle truppe dell'altro Stato vestiarii, cavalli e qualunque altra parte del loro equipaggio. Questi effetti, dovunque trovati, saranno sempre considerati come cose rubate, e restituiti al corpo cui apparterà il disertore. I trasgressori di quest'articolo saranno inoltre puniti con una multa di 100 lire italiane, quando per la qualità degli effetti rubati o altrimenti sia dimostrato che fosse loro nota la provenienza degli effetti stessi.

Art.20 - Tutte le disposizioni relative ai disertori sono comuni anche ai giovani compresi nella leva militare, ed a quelli che in qualunque modo sono costretti di prestare allo Stato un servizio personale, i quali per sottrarvisi si rifugiassero dagli Stati dell'una in quelli dell'altra parte contraente.

Art.21 - I beni di mano-morta, cioè istituti religiosi, parrocchie, confraternite, congregazioni e corporazioni s'intendono appartenere a quello dei due Stati, nel quale essi istituti e congregazioni si trovano eretti.

Art.22 - S'intenderà cessato l'obbligo del passaporto per i cittadini che viaggiano dall'uno all'altro Stato.

Art.23 - I prodotti, generi, bestiami, manifatture e merci d'uno dei due Stati potranno liberamente circolare nell'altro, salvo soltanto i generi di privativa dei due Governi.

Art.24 - Le monete, che la Repubblica di San Marino credesse col tempo di dover coniare, potranno aver corso nel regno d'Italia, purché siano ragguagliate al sistema decimale ed abbiano lo stesso titolo e peso di quelle regie.

Art.25 - Invece del diritto del libero transito invocato dalla Repubblica di San Marino per gli articoli coloniali, merci ed altri generi qualunque, e coll'intento di semplificare le operazioni nell'interesse dei due Governi, il Governo d'Italia assume l'obbligo di abbuonare alla Repubblica di San Marino una quota del prodotto netto delle sue dogane, desunta dalla media che paga ciascun cittadino del regno e proporzionata al numero degli abitanti di S.Marino, il qual numero s'intenderà fissato per gli effetti del presente atto a nove mila anime.

Art.26 - La Repubblica aderendo pienamente ai principi del Regno d'Italia rispetto alla proprietà letteraria, assume l'obbligo d'impedire nel suo territorio ogni riproduzione delle opere dell'ingegno o dell'arte pubblicate in esso regno.

Art.27 - La Repubblica assume pure l'obbligo d'impedire nel suo territorio la coltivazione del tabacco.

Art.28 - Il Governo di S.M. somministrerà alla Repubblica al prezzo di costo annualmente nella città di Rimini settantatrè mila chilogrammi di sale bianco di Cervia e chilogrammi seimila settecento cinquanta di tabacco estero d'ogni qualità, sia sciolto, sia sotto forma di corda, di bastoni e di zigari.

Art.29 - La Repubblica di San Marino avendo tutto il fondamento di confidare che non le verrà mai meno l'amicizia protettrice di S.M. il Re d'Italia per la conservazione della sua antichissima libertà ed indipendenza, dichiara che non accetterà quella di un'altra potenza qualunque.

Art.30 - I presenti capi d'accordo avranno vigore per dieci anni a far capo dalla data dello scambio delle ratificazioni, e s'intenderanno rinnovati di anno in anno se non sono denunciati da una delle parti contraenti sei mesi prima della scadenza. Lo scambio delle ratifiche avrà luogo a Torino nel termine di giorni quarantacinque dalla data della presente convenzione.

 

 

 

APPENDICE N° 32

Convenzione Italia - San Marino 27 marzo 1872

 

 

Art.1 - Le Sentenze delle Autorità Giudiziarie del Regno d'Italia in materia civile e commerciale, passate in giudicato, avranno esecuzione nella Repubblica di San Marino, e quelle delle Autorità Giudiziarie della Repubblica avranno esecuzione nel Regno, secondo le norme di procedura stabilite dalla rispettiva legislazione.

Art.2 - Gli atti pubblici fatti nel Regno d'Italia avranno effetto nella Repubblica, e quelli fatti nella Repubblica avranno effetto nel Regno, in conformità dell'articolo primo.

Art.3 - Le citazioni e le intimazioni di sentenze e di atti giudiziari fatti nei due Stati nell'interesse dei cittadini dei due Paesi, saranno eseguite nel modo prescritto dalle leggi di procedura del luogo, a semplice richiesta della parte interessata.

Art.4 - Gli atti di morte dei cittadini di uno dei due Stati, morti nel territorio dell'altro, saranno spediti, senza spesa, debitamente autenticati, alle Autorità competenti dello Stato d'origine. Saranno pure spediti senza spesa gli atti di nascita e di matrimonio, richiesti dalla Autorità competente. I privati però che facciano richiesta di atti di stato civile, dovranno sopportarne le spese.

Art.5 - I cittadini italiani nella Repubblica e i cittadini sammarinesi nel Regno godranno reciprocamente del beneficio dell'assistenza giudiziaria come i nazionali, purché si uniformino alla legge vigente nel luogo ove l'assistenza è domandata. In tutti i casi, il certificato d'indigenza deve essere rilasciato, a chi domanda l'assistenza, dall'Autorità della sua residenza abituale, debitamente legalizzato dall'Autorità competente. Potranno anche essere chieste informazioni alle Autorità dello Stato, a cui appartiene chi ha fatto la domanda. I cittadini italiani nella Repubblica, e i cittadini sammarinesi nel Regno, ammessi al beneficio dell'assistenza giudiziaria, sono dispensati di pieno diritto da ogni cauzione o deposito, che, sotto qualunque denominazione, possa essere richiesto agli stranieri, che patiscono contro i nazionali, secondo la legislazione del luogo ove l'azione sarà introdotta.

Art.6 - Le autorità giudiziarie del Regno e quelle della Repubblica corrisponderanno direttamente fra loro per tutto ciò che si riferisce alle rogatorie in materia civile e commerciale, riguardanti citazioni, notificazioni, o consegna di atti, giuramenti, interrogatori, dichiarazioni, esami di testimoni, perizie ed altri atti d'istruzione; o riguardanti i provvedimenti per la esecuzione dei giudicati, di cui nell'art.1, ovvero garanzie provvisorie. L'Autorità del luogo, in cui si deve eseguire la rogatoria, provvederà alla esecuzione e trasmetterà gli atti relativi a quella di cui le pervenne la richiesta. Le spese occorrenti per l'esecuzione delle rogatorie sono a carico dello Stato richiedente; quelle riguardanti i provvedimenti per l'esecuzione dei suddetti giudicati sono a carico delle parti interessate.

Art.7 - Il Governo Italiano e quello della Repubblica si obbligano di cercare, catturare e consegnarsi i delinquenti condannati o imputati dalle rispettive Autorità giudiziarie di uno dei seguenti crimini o delitti, consumati o tentati:

1° Parricidio,infanticidio,assassinio,avvelenamento,omicidio volontario;

2° Percosse e ferite volontarie,che hanno prodotto la morte o una malattia o un'incapacità al lavoro per oltre trenta giorni; ovvero che abbiano prodotto la mutilazione o privazione dell'uso di un membro o di un organo, o di altra infermità permanente;

3° Ferite e percosse contro pubblici uffiziali nell'espletamento delle loro funzioni; ribellione;

4° Bigamia, ratto, stupro violento, prostituzione o corruzione di minori per parte dei parenti, o di altri incaricati della loro sorveglianza; attentato al pudore con o senza violenza;

5° Aborto, rapimento, esposizione, occultamento o soppressione dell'infante; sostituzione dell'infante ad un altro o supposizione d'infante di una donna che non ha partorito;

6° Incendio volontario;

7° Guasto o distruzione volontaria di una strada ferrata o di apparecchi telegrafici ed ogni fatto volontario, da cui è derivata o poteva derivare una lesione corporale ai viaggiatori od agli impiegati di una strada ferrata;

8° ogni distruzione, guasto o deterioramento volontario della proprietà mobile o immobile, che superi il valore di lire duecento;

9° Associazione di malfattori, estorsione violenta, rapina, furto qualificato ed ogni altro furto superiore alla somma di lire duecento;

10° Sequestro o illegale detenzione di persona;

11° Minacce di offese alle persone o di danno alle proprietà, fatte con armi, ovvero con intimazione di dare o di depositare in un designato luogo una somma, o di adempiere altra condizione;

12° Contraffazione o alterazione di moneta o di carta monetaria; introduzione e smercio fraudolento di monete false o falsificate; come pure di carta monetata falsa o falsificata;

13° Contraffazione di rendita ed obbligazione dello Stato, di biglietti di banca, o di ogni altro effetto pubblico equivalente a moneta; introduzione ed uso di questi titoli contraffatti;

14° Contraffazione di atti sovrani, di sigilli, di punzoni, bolli, marche dello Stato e delle Amministrazioni pubbliche, ovvero autorizzate dai Governi rispettivi; ed uso di questi oggetti contraffatti;

15° Falso in iscrittura pubblica o autentica, privata, di commercio o di banco; ed uso di dette scritture false o falsificate;

16° Falsa testimonianza, falsa perizia, subordinazione di testimoni, di periti e d'interpreti; calunnia, falsa denunzia;

17° Sottrazioni commesse da uffiziali o depositari pubblici; corruzione o concussione;

18° Bancarotta fraudolenta e partecipazione ad una bancarotta fraudolenta;

19° Baratteria;

20° Abuso di confidenza; appropriazione indebita; truffa e frode. Per queste infrazioni l'estradizione sarà accordata se il valore del danno superi le lire duecento.

Art.8 - La domanda di estradizione sarà fatta direttamente dall'Autorità giudiziaria competente all'Autorità giudiziaria dell'altro Stato, esibendo una sentenza di condanna, od un atto di accusa, un mandato di cattura od ogni altro atto equivalente al mandato, nel quale dovrà essere indicata la natura e la gravità dei fatti imputati, nonchè la disposizione di legge penale applicabile ad essi. Gli atti saranno rilasciati, o in originale, o in copia autentica, dall'Autorità giudiziaria competente del Paese che domanda l'estradizione. In pari tempo si faranno conoscere i contrassegni personali del delinquente domandato, se sarà possibile e ogni altra indicazione atta ad accertarne l'identità.

Art.9 - Nei casi urgenti, e specialmente quando vi sia pericolo di fuga, tanto l'Autorità giudiziaria, quanto l'Autorità politica dei luoghi limitrofi, sono autorizzate a domandare l'arresto del condannato o imputato, salvo di presentare nel più breve tempo possibile il documento, giusta il precedente articolo.

Art.10 -Sono eccettuati dall'estradizione i cittadini attivi e i cittadini che da un decennio sono domiciliati nello Stato a cui si fa domanda.

Art.11 - La naturalizzazione posteriore al commesso reato non impedirà la estradizione del delinquente.

Art.12 - Se il delinquente sia cittadino dello Stato dove si è rifugiato, sarà quivi sottoposto a giudizio, secondo la legislazione ivi imperante, a richiesta dell'Autorità giudiziaria o del Governo, nel cui territorio commise il reato.A tale effetto saranno comunicati dalla Parte richiedente gli atti di procedimento che fossero stati compilati, e, se il delinquente sia stato condannato, la copia della sentenza.

Art.13 - Se per un processo compilato in uno dei due Stati contraenti fosse necessario di confrontare l'imputato con delinquenti detenuti nell'altro Stato, oppure ottenere prove e documenti giudiziarii da questo posseduti, ne sarà chiesta la consegna. Compiuto l'oggetto per il quale la consegna ebbe luogo, sarà restituito l'imputato, e i documenti consegnati.

Lo stesso avverrà nel caso in cui in un reato avranno avuto parte cittadini dei due Stati i quali siano poi ritornati nel rispettivo territorio.

Art.14 - Se una delle Parti contraenti richiederà all'altra la consegna di un delinquente, non suo cittadino nè domiciliato, che abbia commesso il reato nel territorio di un terzo Stato, o contro del quale procede l'Autorità giudiziaria dello Stato richiedente, il Governo richiesto si riserva di accogliere, o no, la domanda, prendendo in considerazione i trattati vigenti con altri Stati. In caso di concorso di domande di estradizione, fatte dallo Stato ove avvenne il reato, e da quello in danno di cui fu commesso, il Governo richiesto si riserva di valutare le circostanze del reato, e quindi di preferire l'una all'altra domanda.

Art.15 - Il Governo, che giusta i precedenti articoli, sarà richiesto della consegna di un qualche condannato o delinquente, non potrà fargli grazia nè concedergli salvacondotto, o impunità, eccettuati quei salvacondotti che si concedono per la prova di altri delitti secondo le regole e pratiche criminali. I detti salvacondotti o quelli che fossero per altri fini conceduti, rimangono di nessun valore, quando gl'inquisiti o condannati vengono dall'altro Governo condannati.

Art.16 - Saranno pure consegnati il danaro e tutti gli oggetti che si troveranno presso i delinquenti, o che saranno stati alienati, se potranno rinvenirsi, ed ogni altra cosa che abbia relazione o possa servire di prova al delitto commesso; come pure le copie degli atti che sieno stati compilati prima della consegna dei delinquenti, corrispondendo per questi il solo costo della scrittura.

Art.17 - Ritrovandosi presso i delinquenti oggetti appartenenti a cittadini del Governo richiesto, dovranno essere loro restituiti senza veruna spesa, dopo averne giustificata la proprietà, e quando non saranno più necessari alla prova del reato.

Art.18 - Non sarà accordata l'estradizione, se, incominciato il procedimento, o dopo la condanna, il delinquente abbia prescritto l'azione penale o la pena, secondo la legislazione dello Stato richiesto.

Art.19 - Le Autorità giudiziarie dei due Stati sono obbligate a prestarsi scambievolmente per l'esecuzione di rogatorie in materia penale, giusta l'art.6, parte 1^ e 2^.

Art.20 - Saranno a carico dello Stato richiedente tutte le spese, che occorreranno nel territorio dello Stato richiesto pel mantenimento e trasporto di delinquenti, di danaro od altri oggetti e per atti eseguiti in forza dell'art. 19.

Art.21 - I due Governi si obbligano di comunicarsi reciprocamente e senza spesa le sentenze di condanna per crimini o delitti di ogni natura, pronunciate dalle Autorità giudiziarie rispettive contro i cittadini dell'altro Stato. La comunicazione sarà fatta direttamente tra le dette autorità giudiziarie dei due Stati, inviando una copia della sentenza di condanna divenuta irrevocabile.

Art.22 - Tutti i militi, sì di fanteria che di cavalleria, artigleria, treno e qualunque altro corpo delle truppe, sì di terra che di mare, di Sua Maestà italiana e così pure qualunque individuo delle truppe della Repubblica di S.Marino, i quali disertando dal servizio del Governo cui appartengono, si rifugiassero negli Stati dell'altro dovranno essere immediatamente arrestati, anche senza speciale richiesta, e restituiti con le armi, cavalli, equipaggio ed ogni cosa che avranno seco loro asportato nella diserzione.

Art.23 - Non avrà luogo per altro la consegna di quei disertori che fossero cittadini attivi dello Stato in cui si sono rifugiati.

Art.24 - Tutte le Autorità civili e militari dei due Governi saranno tenute d'invigilare attentamente sui disertori dell'altro Stato, che si introducessero nella loro giurisdizione, e di prendere colla maggiore celerità gli opportuni concerti a questo fine, e specialmente acciocchè i militari non muniti di passaporto o foglio di via in regola non trovino asilo negli Stati dell'altra parte contraente, e siano immediatamente arrestati.

Art.25 - Il mantenimento dei disertori e dei cavalli sarà corrisposto secondo i regolamenti che sono in vigore nei rispettivi domini.

Art.26 - Ogni individuo di un Governo, che indurrà in qualunque modo un soldato dell'altro a disertare, sarà punito colle pene stabilite dal Codice penale militare del Regno d'Italia, al quale la Repubblica si dichiara disposta a confermare la sua legislazione nel senso di non sancire pene inferiori. Questa disposizione si applica anche a coloro che daranno scientemente ricetto a un disertore.

Art.27 - Resta vietato ai sudditi rispettivi di comprare dai disertori delle truppe dell'altro Stato vestiarii, cavalli e qualunque altra parte del loro equipaggio. Questi effetti, dovunque trovati, saranno sempre considerati come cose rubate, e restituiti al Corpo cui apparterrà il disertore.

Art.28 - Tutte le disposizioni relative ai disertori sono comuni anche ai giovani compresi nella leva militare, ed a quelli che in qualunque modo sono costretti di prestare allo Stato un servizio personale, i quali, per sottrarvisi si rifugiassero dagli Stati dell'una a quelli dell'altra parte contraente.

Art.29 - Ciascuno dei Governi contraenti provvederà, a condizione di reciprocità affinchè i sudditi indigenti dell'uno dei due Stati che fossero colpiti sul territorio dell'altro da una malattia qualunque, e che avessero per conseguenza bisogno d'assistenza e di trattamento, siano curati negli ospedali rispettivi nello stesso modo dei nazionali indigenti fino al momento in cui potranno rientrare nel loro Paese senza pericolo per la loro salute o per quella degli altri. Il rimborso delle spese occorse pel mantenimento, il trattamento o la sepoltura d'un indigente, non sarà esigibile, nè dal Governo, nè dal Comune, nè da altra cassa qualunque del paese a cui esso appartiene. I Governi contraenti si riserbano tuttavia il diritto di reclamare il rimborso delle spese sostenute, nel caso in cui l'individuo stesso assistito, oppure le persone, segnatamente i parenti, che gli debbono gli alimenti, fossero in grado di soddisfare le spese fatte per lui dall'ospizio che l'ha raccolto. I due Governi contraenti si obbligano reciprocamente a rendere in tal caso eseguibile la domanda di rimborso con tutti i mezzi che sono in loro potere, e secondo le norme che sono in vigore negli Stati rispettivi.

Art.30 - I beni di manomorta, cioè istituti religiosi, parrocchie, confraternite, congregazioni e corporazioni, si intendono appartenere a quello dei due Stati, nel quale essi istituti e congregazioni si trovano eretti.

Art.31 - S'intenderà cessato l'obbligo del passaporto per i cittadini che viaggiono dall'uno all'altro Stato.

Art.32 - I prodotti, generi, bestiame, manifatture e merci di uno dei due Stati potranno liberamente circolare nell'altro, salvi soltanto i generi di privativa dei due Governi e quelli la cui produzione o fabbricazione sia attualmente o sia per essere in uno dei due Stati sottoposta a tassa. Questi generi venendo introdotti in quello dei due Stati dove siano soggetti a tassa saranno considerati di contrabbando.

Art.33 - Le monete coniate e da coniarsi dalla Repubblica di San Marino continueranno ad avere corso nel Regno d'Italia, purché siano ragguagliate al sistema decimale e abbiano lo stesso titolo e peso di quelle Regie.

Art.34 - Invece del diritto del libero transito spettante alla Repubblica di San Marino per gli articoli coloniali, merci ed altri generi qualunque, e coll'intento di semplificare le operazioni nell'interesse dei due Governi, il Governo d'Italia, assume l'obbligo di abbuonare alla Repubblica di San Marino una quota del prodotto netto delle sue dogane, desunta dalla media che paga ciascun cittadino del Regno, e proporzionata al numero degli abitanti di San Marino, il quale numero s'intenderà fissato, per gli effetti del presente atto, a novemila anime. La detta quota sarà pagata al Tesoriere o ad altro Delegato speciale della Repubblica nella città di Rimini.

Art.35 - La Repubblica, aderendo pienamente ai principi del Regno d'Italia rispetto alla proprietà letteraria, assume l'obbligo d'impedire nel suo territorio ogni riproduzione delle opere dell'ingegno o dell'arte, pubblicate in esso Regno.

Art.36 - La Repubblica assume pure l'obbligo d'impedire nel suo territorio la coltivazione del tabacco.

Art.37 - Il Governo di Sua Maestà somministrerà alla Repubblica, al prezzo di costo, annualmente nella città di Rimini, settantotto mila chilogrammi di sale bianco di Cervia e chilogrammi settemila di tabacco estero di ogni qualità, sia sciolto, sia sotto forma di corda, di bastoni e di sigari. Il prezzo di costo sarà determinato ogni anno sulla base di quello che risulterà pagato nell'anno precedente. Quando per qualche fabbrica o manifattura nuovamente introdotta nel territorio della Repubblica occorresse maggiore quantità di sale, il Governo Regio si obbliga di rilasciarlo a quel prezzo di favore a cui si rilascia nelle fabbriche o manifatture nazionali. Si obbliga pure di rilasciare a prezzo di favore il sale pastorizio.

Art.38 - La Repubblica di San Marino, avendo tutto il fondamento di confidare che non le verrà mai meno l'amicizia protettrice di S.M. il Re d'Italia per la conservazione della sua antichissima libertà ed indipendenza, dichiara che non accetterà quella di un'altra potenza qualunque.

Art.39 - I presenti capi d'accordo avranno vigore per dieci anni a far data dallo scambio delle ratificazioni, e si intenderanno rinnovati di anno in anno se non sono denunciati da una delle Parti contraenti sei mesi prima della scadenza. Lo scambio delle ratifiche avrà luogo a Roma nel termine di giorni trenta dalla data della presente Convenzione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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