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Oscure presenze nella Rupe …

 Clericalismo e anticlericalismo a San Marino nei primi anni del Novecento

 Gli inizi del XX secolo sono stati caratterizzati da un forte contrasto politico e sociale tra mondo cattolico e mondo laico sia in Italia che a San Marino. Nella seconda metà del secolo precedente, infatti, era avvenuto uno sviluppo consistente di culture alternative a quella cattolica, che fino a quel momento aveva dominato in maniera pressoché incontrastata la mentalità italiana ed europea in genere, pur registrandosi significative differenze tra le varie aree cultural/religiose sviluppatesi nei secoli addietro (ortodossa, protestante, anglicana, ecc.).

“Dio è morto”, aveva con enfasi e convinzione proclamato Nietzche all’interno del suo testo “La gaia scienza” del 1882. Tanti lo avevano preso sul serio, ritenendo ormai la religione una gabbia per gonzi, e la dimensione metafisica un’immensa e subdola “menzogna millenaria”.

In realtà per molti altri individui la cosa non stava proprio così: infatti la cultura cattolica rimaneva ancora ben viva e vegeta presso le masse, pronta a respingere colpo su colpo, con pari enfasi, convinzione e vigore, gli attacchi sistematici che le venivano portati.

Nel nuovo Regno d’Italia vigeva il non expedit con cui la Santa Sede, a partire dagli anni ’60 dell’Ottocento, aveva dichiarato inaccettabile per i cattolici partecipare alle elezioni politiche dello Stato italiano e, per estensione, alla sua intera vita politica.

Era una chiara reazione all’annessione dello Stato Pontificio, avvenuta dopo la spedizione dei Mille di Garibaldi, e contro la successiva conquista, da parte dei bersaglieri, della città di Roma nel 1870, divenuta poi capitale del nuovo Regno nell’anno seguente.

Vittorio Emanuele II aveva cercato di fornire qualche contentino al pontefice per placarne l’ira, tramite la promulgazione nello stesso anno della “Legge delle guarentigie”, con cui gli veniva riconosciuta la sovranità sui palazzi del Vaticano, del Laterano e di Castelgandolfo, nonché un’assegnazione annua in denaro per il mantenimento del nuovo minuscolo Stato pontificio.

Quanto ottenuto, tuttavia, non era assolutamente pari a quanto perduto dal papa, per cui i rapporti rimasero freddi e conflittuali per svariati decenni, e parecchi cattolici si mantennero critici e politicamente maldisposti nei confronti del nuovo Regno in cui improvvisamente si erano venuti a trovare.

La situazione iniziò lentamente a cambiare solo verso la fine del XIX secolo, con la nascita di movimenti cattolici decisi a essere non più semplici spettatori indifferenti e ostili verso la politica italiana, ma suoi protagonisti. Romolo Murri fu tra i principali artefici di questa nuova visione politica con la creazione, nel 1898, del movimento chiamato Democrazia Cristiana, che mirava a diventare il primo partito cattolico organizzato.

I tempi erano però ancora immaturi per tale innovazione: non a caso nel 1902 papa Leone XIII, che pur non era particolarmente avverso a Murri e al suo gruppo, emanò l’enciclica “Graves de Communi”, rivolta a tutte le associazioni cattoliche, con cui si ribadiva che i loro membri dovevano impegnarsi solo nell'apostolato, non negli affari pubblici.

Nello stesso anno, il 24 agosto, Murri volle comunque esporre la sua visione politica tramite un discorso noto come “Libertà e Cristianesimo”, e scelse come località in cui farlo proprio San Marino. In seguito tale discorso divenne famoso e importante, ma nell’immediato gli procurò soltanto una prima censura ufficiale da parte del Vaticano e qualche critica anche da parte delle autorità sammarinesi[1].

L’anno successivo sarebbe stata sua intenzione presentarsi come candidato alle elezioni politiche, ma il nuovo papa Pio X, eletto proprio nel 1903, si dimostrò molto più intollerante verso le aspirazioni di Murri rispetto a Leone XIII, per cui le sue velleità politiche dovettero per forza di cose naufragare.

Senza proseguire in questa disamina, rimandando perciò chi fosse interessato ad approfondire l’argomento alla vasta bibliografia reperibile su Murri, si può riassumere dicendo che nei primi anni del ‘900 i cattolici iniziarono progressivamente a cambiare atteggiamento culturale verso la politica. Pur rimanendo ostili al modernismo e al partitismo, infatti, smussarono nel tempo la categoricità del non expedit, iniziando un graduale impegno diretto in politica col creare varie organizzazioni interessate alle questioni sociali, al lavoro, al mondo operaio, all’agricoltura e a tutti quegli argomenti cavalcati fin lì dai socialisti e dal mondo della sinistra, a cui non si voleva più lasciare il monopolio di tali scottanti problematiche sociali tramite cui si potevano fagocitare le masse.

Nacque nel periodo anche un sindacalismo “bianco” contrapposto nettamente a quello “rosso” già esistente. Nel 1906, inoltre, venne fondata l’Unione elettorale italiana con lo scopo di formare e disciplinare le forze cattoliche, così da instradarle secondo le direttive della Santa Sede nelle future elezioni politiche.

Anche la stampa cattolica nello stesso periodo si rafforzò notevolmente con la nascita del quotidiano “L’Unione” nel 1907, diretto da Filippo Meda, la fondazione della Società Editrice Romana, e l’acquisto di varie testate giornalistiche in tutta Italia. Queste appoggiarono con convinzione i candidati liberali di orientamento cattolico nelle elezioni del 1909 e soprattutto in quelle del 1913.

Di quest’anno, poi, è il famoso Patto Gentiloni, in cui venivano fissati i punti che i candidati politici dovevano sottoscrivere, o comunque sostenere, per conseguire l’appoggio del mondo cattolico nelle elezioni politiche di quell’anno, molto più partecipate di quelle passate, in quanto nel 1912 era stato fortemente ampliato il numero degli elettori grazie alla riforma elettorale promossa da Giolitti.   

Pur senza avere un partito politico ufficiale, insomma, gli anni che si stanno rapidamente esaminando videro un sempre maggiore coinvolgimento dei cattolici nella politica e nelle elezioni italiane, e una forte conflittualità nei confronti di chi era considerato loro avversario.

E a San Marino?

A San Marino il mondo cattolico e anche quello laico vivevano ovviamente di riflesso quanto stava accadendo in Italia, però con qualche peculiarità. La più grossa fu sicuramente l’arengo svoltosi il 25 marzo 1906, una sorta di tornata referendaria riservata ai locali capifamiglia in cui i sammarinesi decretarono di passare da un Consiglio (il locale parlamento) nominato tramite cooptazione, in auge dal 1600, a quello eletto con suffragio triennale.

La spinta verso questa innovazione fu data dal riformismo laico di stampo socialista e repubblicano, tendenzialmente anticlericale, ma è indubbio che i cattolici la sostennero in massa, perché altrimenti l’arengo non avrebbe potuto conseguire il risultato che ebbe, vista l’esiguità numerica degli anticlericali e dei due raggruppamenti laici.

All’epoca a San Marino non esistevano partiti organizzati, a parte il piccolo gruppo socialista dalla vita precaria e incostante nato negli ultimi anni dell’Ottocento[2]. Vi erano movimenti d’opinione, di indole repubblicana e liberale soprattutto, ma nessun altro partito costituitosi ufficialmente.

La cultura dominante era però da sempre quella cattolica, fatto che non faceva dormire sonni tranquilli ai riformisti laici, bramosi di uscire da una dimensione sociale che reputavano medievale, la cui sopravvivenza in tempi considerati moderni e positivisti imputavano proprio a conservatori, cattolici e passatisti.

In realtà non era solo il cattolicesimo che impediva alla repubblica sammarinese di percorrere nuove strade istituzionali e sociali, ma soprattutto la mentalità tradizionalista e ipertimorosa che caratterizzava i governanti e gli ottimati locali, convinti che qualunque innovazione politica avrebbe potuto compromettere per sempre la mitica e plurisecolare indipendenza del paese[3].

Non a caso nel 1899 il Consiglio respinse sdegnosamente due istanze avanzate dal partito socialista “non riconoscendo l’esistenza di partiti ad eccezione di quello dei Sammarinesi Repubblicani” [4].

Con logica analoga, nel 1902 la Reggenza diede questa risposta a don Michele Bucci, parroco di Domagnano, quando chiese il permesso per lo svolgimento del convegno di Murri a cui si è accennato:  

“ (…) che la missione del prete e del Parroco in Repubblica si è quella di attendere al bene delle pecorelle ad esso affidate e che non deve in modo alcuno intromettersi in affari politici, e che il paese nostro non vedrebbe di buon occhio un convegno di cattolici in S. Marino, mentre era facile che fossero per suscitare malumori e disturbi dei quali avrebbe tenuto responsabile lo stesso Don Bucci mentre non poteva né negare né accordare il permesso richiesto e come touriste (sic) a tutti è permesso di visitare la Repubblica”[5].

In definitiva si può dire che la politica di sinistra, di destra o di centro che fosse era fortemente malvista dall’oligarchia dominante a San Marino, che avrebbe invece voluto lasciare le cose com’erano, ovvero ancorate alla cultura elitaria e nobiliare del passato, etichettando come “esotico” tutto ciò che rappresentava qualcosa di politicamente innovativo.

I tempi, però, erano pronti per introdurre qualche riforma anche a San Marino, per cui negli anni seguenti maturò la voglia di novità politiche sia tra i laici che tra i cattolici sammarinesi, e soprattutto crebbe smodatamente lo scontro ideologico e politico tra queste due fazioni.

In realtà nei primi anni del Novecento questo dissidio non si dimostrò così accentuato come sarà invece dopo il 1906. Durante la fase di propaganda a favore dell’arengo (1903 - 1906) da parte socialista e repubblicana vi furono sporadiche accuse verso conservatori e cattolici d’istigare i contadini contro di loro, etichettati tout court come senzadio che avrebbero abolito la religione e depredato le chiese, se avessero preso il potere.

Anche da parte cattolica, però, vi furono saltuarie critiche verso questa nuova ideologia laica che stava sviluppandosi e i suoi profeti, tuttavia non si possono registrare più di tanto in quegli anni i tono aspri, astiosi, addirittura maligni del periodo successivo né da una parte, né dall’altra.

E’ probabile che una simile tacita tregua sia dipesa dal fatto che i riformisti ritenessero prioritario giungere all’arengo per abbattere il Consiglio oligarchico, per cui sarebbe stato controproducente stuzzicare o irritare il vasto mondo cattolico con provocatorie polemiche sull’esigenza di laicizzare la società e di ridurre l’ingerenza culturale e pubblica della Chiesa.  

Passato l’arengo, però, lo scontro scoppiò violento. Già sul “Titano” del 1° gennaio 1907, nell’articolo intitolato “Anno nuovo”, si dichiarò con vigore che, tra le diverse novità che il neo eletto Consiglio doveva perseguire fin da subito, vi era la laicizzazione della società sammarinese, “come c’insegna la grande sorella Francese”, e la riduzione della religione a “un affare tutto privato come esige la civiltà moderna”[6].

Ugualmente sullo stesso giornale apparve un articolo su Giordano Bruno, martire del fanatismo religioso e icona del libero pensiero. Pure sul “Titano” del 17 febbraio apparirà un altro lungo articolo esaltante il filosofo, così come succederà in maniera periodica negli anni posteriori.

Nel numero successivo del “Titano” si continuò la polemica con l’affermare che lo Stato non doveva avere una Chiesa ufficiale perché “ogni uomo se la fa da sé la Chiesa, ogni uomo ha diritto alla sua religione senza urtare quella degli altri”[7]. “Noi ci troviamo nella infelice posizione di qualche altro paese, che ha da una parte un popolo legato ad un culto ufficiale, e dall’altra una minoranza che, conscia della vera civiltà, vuole emancipare i suoi simili da quest’ultimo avanzo di oscurantismo”. “Noi vogliamo l’indipendenza dello Stato contro ogni chiesa e contro ogni setta; vogliamo insomma uno Stato estraneo ad ogni confessione e professione di fede”.

I toni si erano improvvisamente surriscaldati perché nella seduta consigliare del 10 gennaio era stato deciso che il primo anniversario dell’arengo dovesse essere celebrato anche tramite una funzione religiosa, fatto che aveva mandato su tutte le furie gli anticlericali, socialisti e repubblicani, che si sentivano molto più dei loro avversari gli artefici principali dell’assemblea del 25 marzo 1906.

Vi erano stati in proposito forti litigi già nella seduta del 3 gennaio, tanto che la Reggenza, per sedare le diatribe, l’aveva chiusa abbandonando l’aula. Scontri analoghi si ripeterono nella seduta appunto del 10, con ulteriori dispute nel paese tra i cittadini.

Sul “Titano” del 20 gennaio, Franciosi, mai accomodante verso i clericali, pubblicò una poesia sul fatto intitolata sarcasticamente “L’Arringo battezzato”:

 

C’era una donna in parte liberale

ed in parte allevata in Sagrestia

che aveva nome la Democrazia;

e conviveva in modo originale

con una vecchia da la pancia obesa,

che si chiamava la Madama Chiesa.

Or avvenne che dopo quattrocento

anni che senza nozze dormicchiò,

Donna Democrazia si maritò;

e partorì, mirabile portento,

un maschio robustissimo e gioviale

che fu detto l’Arringo Generale.

Madama Chiesa, vecchia senza denti,

col petto isterilito e senza umore,

ebbe a crepar d’invidia e di rancore;

e dapprima, cercando gli ingredienti

perché abortisse la Democrazia,

andò frugando in una farmacia:

poi , dopo il parto, si mutò nel viso,

s’abbellì con la cipria e col belletto,

e sorrise e baciò quel pargoletto.

Ma sotto quella cipria e quel sorriso

covava la vendetta per l’offesa:

or sapete che fa Madama Chiesa?

Prepara una funzione rituale

per battezzare se può garbatamente

quel gioviale maschiotto ancor dormiente:

gli metterà la stola ed il piviale,

e figlio lo dirà non del Titano,

ma della Chiesa, ma del Cappellano![8]

 

Nonostante i diverbi, gli sfottò e le ostilità verso celebrazioni con cornici di stampo religioso, alla fine la maggioranza decise per questa forma celebrativa, per cui la situazione tra clericali e anticlericali da ora in poi s’infiammò in un crescendo continuo senza più riassestarsi.

Nel “Titano” del 5 febbraio apparve un altro articolo di Franciosi contro “l’oscurantismo della nostra religione, istillato nella mente dei gonzi”, in quanto in quel giorno si commemorava una santa, Agata, e non ci si ricordava, invece, che era la rievocazione della ripristinata libertà, il 5 febbraio 1740, dopo l’occupazione dello Stato sammarinese da parte del cardinale Alberoni[9].

Occorreva, dunque, educare i cittadini alla laicità, in particolare i contadini e le donne, i soggetti reputati più irretiti dalla Chiesa, così da far loro comprendere che “la religione in genere è nemica del progresso e della civiltà, ed è mezzo e strumento d’ignoranza e corruzione”.

Gli anticlericali avevano ormai intrapreso una feroce crociata pro laicizzazione dello Stato, tanto che nel mese di febbraio, ricorrendo l’anniversario della morte di Giordano Bruno, arso vivo come eretico in Campo dei Fiori a Roma il 17 febbraio 1600, nel Teatro Concordia di Borgo venne organizzato un comizio anticlericale in cui parlò Gino Giacomini, per esaltare la figura di Bruno e condannare il clericalismo, che aveva “ghermito anche la ricorrenza dell’arengo”; poi fu il turno del giovane Manlio Gozi del Fascio Repubblicano, che si era augurato che le forze democratiche sammarinesi potessero allearsi per liberare il paese dal clericalismo e condurlo sotto un sole più fulgido, “il sole dell’avvenire”; in seguito intervennero altri ancora.   

A conclusione dell’assemblea era stato emanato questo ordine del giorno:

“Gli anticlericali sammarinesi riuniti in solenne comizio per aderire alla grande manifestazione italiana in onore di Giordano Bruno, fanno voti perché la terza Italia e la loro piccola Repubblica, da poco risorta, si sciolgano definitivamente dall’ibrido connubio, per rimettersi sulla vera via del progresso e della civiltà”[10].  

La polemica fomentata dagli anticlericali non era solo causata da motivi ideologici, ma soprattutto  politici: infatti con la “Lettera aperta ai lavoratori dei campi” del 10 marzo, Franciosi evidenziò che i clericali continuavano ad aizzare i contadini contro socialisti e repubblicani, atteggiamento che si  ripercuoteva negativamente su una possibile adesione ai gruppi politici sgraditi a sacerdoti e clericali.

“Voi giacete sotto una doppia servitù morale e materiale. Siete troppo ligi ai preti ed ai padroni, i quali vi sfruttano di santa ragione e nello spirito e nel corpo. (…) Non addimostratevi più a lungo intolleranti con chi non la vede in materia di religione come voi. Se veramente siete buoni cristiani non potete odiare e vituperare quei veri vostri fratelli che vi amano e si apprestono ad aiutarvi per redimervi dal doppio giogo”[11]

Negli anni precedenti l’arengo del 1906, i riformisti laici per vari motivi non avevano potuto svolgere una sistematica e continua propaganda nel contado, per cui non avevano inciso quasi per nulla sulla cultura tradizionalista e conservatrice di chi vi risiedeva, in particolare in alcuni paesi dove i parroci erano particolarmente politicizzati e agguerriti.

Erano sì riusciti in qualche maniera a far capire anche ai contadini che a San Marino era giunta l’ora di abbandonare il sistema istituzionale precedente[12], ma avevano determinato scarsissimo proselitismo verso i loro ideali, mentre avevano suscitato tanta paura nei confronti dello Stato laico che si prefiggevano e della cultura anticlericale di cui erano gli esaltatori. 

“Evviva il prete, abbasso il socialismo”, fu gridato “a squarciagola” da una “infelice turba incosciente” in Borgo alla fine di aprile del 1907[13]. Il sentimento espresso tramite queste poche parole era quello più diffuso tra i cattolici e gran parte della cittadinanza sammarinese, accentuato da quanto era accaduto nella prima ricorrenza dell’arengo, quando vi erano state due distinte cerimonie celebrative: una ufficiale, con funzione religiosa, in cui avvenne l’esposizione del reliquiario del santo Marino e un te deum alle 10.00 di mattino, e quella laica, organizzata da socialisti e anticlericali, furibondi contro “i riti chiesastici voluti dal malcerto governo democratico sorto sulla ruina di una sciagurata oligarchia”[14].

 Gli anticlericali affissero una lapide accanto alla chiesa di San Pietro, sul piazzale della Pieve, con il seguente testo:

"Il XXV MCMVI - Dopo un letargo di IV secoli - Sorgeva la forza del popolo novo - A rivendicare - Con l'Arengo dei Padri - Il diritto sovrano - Indarno repugnante la vecchia oligarchia - Che oggi -Auspice il Governo - Benedice nel rito della chiesa - Alla conquista non sua."

Dietro istanza d’arengo esaminata il 20 aprile, in cui si precisava che il testo della lapide poteva turbare l’ordine pubblico, il Consiglio, dopo lunghe discussioni e scambi di accuse tra i consiglieri favorevoli e quelli contrari, per 28 voti a 16 ordinò di abbatterla, azione che avvelenò ancor più i rapporti tra i diversi schieramenti ormai consolidatisi.

I socialisti, in segno di deplorazione per la decisione governativa, pubblicarono in seguito per molto tempo sulla prima pagina del loro periodico il testo integrale della lapide, oggi tornata nella sua sede originale dove è stata ricollocata da qualche decennio.

Questo episodio si può considerare l’inizio della feroce e astiosa inimicizia che negli anni seguenti caratterizzò clericali e anticlericali. Sul “Titano” divennero frequentissimi gli attacchi ai preti, qualificati come “superstiziosi”, “padroni delle campagne”, “maiali religiosi eternamente soggetti a profonda degenerazione sessuale” e altro ancora. Ogni pretesto era buono per metterli in cattiva luce e per sottolineare la loro presunta nefandezza e arroganza[15].

Col “Titano” del 31 luglio 1907 si precisò che la lotta per la laicizzazione dello Stato era più importante a San Marino che in Italia, perché proprio a causa della sua fondazione, attribuita direttamente a un santo, “pareva una figliazione degli ordinamenti religiosi primitivi, costringendola ad essere un sopravivente comune dello Stato pontificio”.

La stessa figura di Marino doveva essere ridimensionata, perché “egli nella piena luce del secolo ventesimo e in tanta effervescenza di libertà sembrava una creatura allevata in mezzo a quattro accerchianti conventi”[16].  

Questi attacchi, giudicati anche blasfemi, insieme alla paura di lasciare troppo campo libero ai loro avversari, indussero i cattolici sammarinesi ad organizzarsi sempre più. Nel 1908 uscì il loro primo giornale, il “Pro-Patria”, subito sprezzantemente ribattezzato “Pro-Pappa” dagli anticlericali. Questo foglio, pur essendo creatura dalla vita breve, perché legata solo alle elezioni politiche che dovevano svolgersi in quell’anno, non si dimostrò più moderato nei toni: “Voi non siete socialisti - inveì contro i suoi avversari -. Voi non avete principii democratici e liberali. Voi per salire avete raccolto nel vostro seno tutti i relitti ed i detriti immondi della cloaca Massima”[17].

Il socialismo era ritenuto solo un “terribile bacillo” “promettitore di programmi utopistici”, “narcotico che s’inietta magistralmente nel sangue dei poveri gonzi per addormentarli”, “nemico della verità, della luce, del bene: è l’esponente più proprio dell’ingiustizia e dell’assurdo, della ribalderia e dell’errore”. I socialisti erano solo “apostoli epilettici ed esaltati”[18]. Il loro giornale fu spregiativamente ribattezzato “Tetano”.

Il 1908, 1909, 1910 furono anni di scontri violentissimi alimentati dal continuo contrasto dialettico che precedette l’abolizione del catechismo come disciplina scolastica, realizzata nel Consiglio del 3 agosto 1909[19], dalla nascita dell’Unione Popolare Cattolica Sammarinese, fondata per difendere strenuamente la fede cattolica e raccogliere firme a difesa del catechismo nelle scuole (la sua prima riunione ebbe luogo il 5 febbraio 1909), dall’uscita di altri giornali editi dai cattolici[20].

Scoppiarono inoltre nuove incandescenti polemiche relativamente alla legge istitutiva dell’organico per gli impiegati, contro cui avvenne sul Pianello una “sommossa”, come fu definita all’epoca, da parte dei clericali il 26 febbraio del 1910[21], nonché per la legge sui benefici vacanti varata il 27 aprile 1912[22].  

Fu in questo clima nervosissimo e rabbioso che, verso la fine di aprile del 1911, nella rupe del monte Titano cominciarono ad accadere fenomeni strani su cui ci fornisce qualche informazione l’articolo “In pieno Medioevo” dell’11 giugno[23]. In sintesi ci racconta che, da circa 15 giorni, si stava assistendo ad uno spettacolo di “fanatismo ributtante e nel medesimo tempo triste”, che faceva pensare che i Sammarinesi fossero a un “livello morale ed intellettuale più basso di quelle della Basilicata e della Calabria”, livello che provocava nei socialisti “il più nero scoraggiamento”. 

Infatti stava circolando una voce anonima, messa in giro forse per qualche “inconfessabile ragione”, tendente a sostenere che nella rupe vagava un “uomo selvatico” o “scimmiotto”. Per opera però di una “mala femmina”, questo scimmiotto si era tramutato “in breve nel Santo Patrono del monte dalle forme animalesche”, il quale appariva di tanto in tanto all’interno di un crepaccio.

Da quel momento era iniziato un pellegrinaggio nella località da parte dei “deboli di spirito” e delle “popolazioni rurali” di San Marino e circondario. L’articolista riteneva che la vicenda fosse poco più che una barzelletta, ma la gente, invece, aveva incominciato a ricamarci sopra, divulgando ulteriori storie di misteriosi avvistamenti.

In un paese diverso da San Marino, affermò sempre il nostro articolista, le autorità sarebbero intervenute per porre fine a tale processione, dovuta solo a “suggestivo fanatismo”, invece erano gli stessi governanti sammarinesi, con mogli e figli, ad alimentare il pellegrinaggio nella rupe partecipandovi di persona, per cui c’era poco da sperare che la vicenda si sgonfiasse.

Anche il clero, per far opera veramente cristiana, avrebbe dovuto far sì che “l’indecente e selvaggio spettacolo” finisse, ma i preti non si muovevano perché miravano a tenere i fedeli “nell’ignoranza e nel fanatismo”. Anzi vi era anche la chiacchiera che tutto fosse stato montato proprio da preti e frati “per immergere la Repubblica in un bagno di superstizione “ e “per far quattrini”.

I socialisti tornarono sull’episodio nel loro giornale del 2 luglio[24].  “La ridicola commedia continua lassù nella rupe con un crescendo impressionante”, scrissero. Ora si erano fatti avanti anche una decina di fanciulli e fanciulle “chiaroveggenti” che sostenevano di conversare direttamente col santo, “fra i quali alcuni figli di consiglieri”.

Secondo l’articolista, tutta la vicenda era mossa soltanto da “bassi fini di lucro” dei clericali per raccogliere più decime: “Se ne accorgeranno i buoni villici ai prossimi raccolti”, sentenziarono. Il fatto, però, “in tutti quelli che hanno la testa a posto”, non poteva far altro che suscitare “un infinito senso di sconforto e di disgusto”.

Era dunque ora che, per “il decoro e la serietà del paese”, le autorità “intervenissero energicamente” per porre fine ad un avvenimento che veniva considerato una vera e propria carnevalata.

Sulla vicenda intervenne brevemente anche il periodico dei cattolici per asserire che nessun clericale o prete aveva artatamente montato la vicenda per far quattrini, e che nessun sacerdote si era schierato pro o contro la presunta apparizione, anche se qualcuno si era recato per curiosità sul luogo della stessa[25].

In un altro articolo sull’episodio, il giornale prende nettamente le distanze dal fenomeno: “Una bambina allucinata crede vedere San Marino. Caso comune patologico d’isterismo forse – dunque sono i preti affaristi, stupidi, volgari che l’hanno subornata per fare soldi. Ma i preti smentiscono, non ci credono!”[26].

In un ulteriore rapido passo dello stesso giornale fu scritto: “Riguardo all’apparizione il Titano vuole il nostro giudizio, ma noi non ci sentiamo in forze di fare apprezzamenti e sputare sentenze, perché non abbiamo la chiaroveggenza del Titano stesso”[27].

Qualche ulteriore breve notizia sull’episodio la possiamo attingere da un paio di lettere scritte, nell’italiano che gli era possibile, da Remo Giacomini, gestore di un’umile osteria in Borgo, al figlio Gino, in quel momento impegnato a fare il direttore didattico a Fiesso Umbertiano:

“Oggi festa del Corpus Domini è stata per noi una giornata memorabile unica nella storia Sammarinese. La storiella dell’aparizione di S. Marino nella rupe, si è divulgata nei paesi vicini come un balleno, ed è stata acolta con tanto entusiasmo che oggi si è riversata una folla immensa non mai vista, è stato un continuo pelegrinaggio dalla mattina alla sera, si vole che vi fosse più di 10.000 persone. Tutti anno fatto affari benche sia ancora freddo pure si è venduto qualche migliaio di gazzose”[28]

In un’altra lettera di dieci giorni dopo torna sull’argomento per dire che “della visione di S. Marino nel crepaccio, continua ancora il pelegrinaggio, non però di quella intensità dei primi giorni. Vi è sempre la Bambina, che quasi tutti i giorni fà le sue rapresentazioni, e qualche volta viene aiutata da un ragazzo del Sasso che anche lui dice di vedere S. Marino, si crede che l’infame del prete incominci a mettere il suo zampino, che miseria in questo disgraziato paese” [29].

Nei giorni seguenti l’avvenimento continuò a smorzarsi fino a spegnersi del tutto e a venir rimosso dalla coscienza e dalla storia locale.

Che dire su tutta la vicenda?

Probabilmente fu solo un fenomeno di illusione collettiva come ne accadono tanti ancor oggi.

Per limitarmi alle mie esperienze personali, mi ricordo lo scalpore e l’attrattiva che una quarantina di anni fa suscitavano le campane di Carpegna, di cui in loco si percepiva il suono senza che si muovessero davvero (almeno così si raccontava), o il pellegrinaggio notturno lungo la strada sottomontana indotto dal desiderio di ascoltare il pauroso verso del “ribiscio”, un mitico serpente dal corpo bizzarro, frutto di qualche mente piena di fantasia che raccontava di averlo ascoltato o di un buontempone in vena di burle e prese in giro.

Favole metropolitane, appunto, tanto innocue quanto illusorie e coinvolgenti, capaci di rompere la monotonia di giornate sempre uguali a se stesse e di fornire scuse per fare esperienze eccentriche.

L’apparizione del santo nel crepaccio ha lo stesso sapore, anche se il momento storico in cui è avvenuta, di fortissima inimicizia tra clericali e anticlericali, in cui ogni fazione cercava con tutti i mezzi di prevalere sull’altra, può ammantarlo di una qualche patina politica.

E’ tuttavia impossibile dire se abbia politicamente giovato a qualcuno e nuociuto ad altri.

Senza dubbio uno dei pochi a guadagnare qualcosa dall’arcana apparizione fu Remo Giacomini, bravo a vendere ettolitri di gazzosa nonostante l’inclemenza della stagione.

 

[1] Cfr. P.G. Grassi, Il discorso di San Marino 1902, ed. Frama's, Catanzaro 1974, e anche V. Casali, Un prete democratico e cristiano, in Annuario della Scuola Secondaria Superiore, n. XXI, anno scolastico 1993-1994.

[2] V. Casali, Storia del socialismo sammarinese dalle origini al 1922, San Marino 2002.

[3] Si veda in proposito V. Casali, Ferme restando tutte le altre norme statutarie, ovvero Arengo del 1906 e congelamento istituzionale, in Annuario della Scuola Secondaria Superiore, n. XXXII, anno scolastico 2004/2005.

[4] Archivio di Stato della R.S.M., Atti del Consiglio Principe, vol. XX, n. 46, seduta del 23/11/1899.

[5] Archivio di Stato della R.S.M., Atti del Congresso Economico, vol. H, n. 8, seduta del 30 luglio 1902.

[6] “Il Titano”, anno V, n. 1. L’articolo è di Pietro Franciosi ed è reperibile, come gli altri citati in seguito, in Opere di Pietro Franciosi, Scritti Giornalistici, tomo 1, Aiep editore, San Marino 1986.

[7] “Il Titano”, anno V, n. 2. Anche questo articolo è di Franciosi.

[8] “Il Titano”, anno V, n. 2.

[9] Vecchi santi e fede nuova, in “Il Titano”, anno V, n. 3.

[10] La cronaca della manifestazione è in “Il Titano” del 3 marzo 1907, anno V, n. 5.

[11] “Il Titano”, 10 marzo 1907, anno V, n. 7. Pure questo articolo è di Franciosi.

[12] Verosimilmente con la paura soprattutto di una nuova riforma tributaria che il Consiglio oligarchico stava per varare proprio nel 1906. Cfr. V. Casali, Storia del socialismo sammarinese dalle origini al 1922, cit. e Ferme restando tutte le altre norme statutarie, ovvero Arengo del 1906 e congelamento istituzionale, cit.

[13] P. Franciosi, Il 1° maggio sammarinese, in “Il Titano”, anno V, n. 8/9, 1/5/07.

[14] Si veda il manifesto pubblicato a cura della Federazione Socialista Sammarinese e del Fascio Giovanile Repubblicano in data 25 marzo 1907 in Immagini dell’arengo, Verucchio 1996, p. 85. Sull’episodio cfr. pure V. Casali, Storia del socialismo sammarinese dalle origini al 1922, cit.

[15] Si veda a titolo di esempio l’episodio del “frate sassaiolo” sul “Titano” del 18/8/07, anno V, n. 15 - 16, e tutta la violenta polemica che ne scaturì sui numeri seguenti. Altri articoli analoghi, sempre tendenti a denigrare al massimo i sacerdoti, sono periodicamente reperibili sul giornale socialista anche negli anni successivi.

[16] “Il Titano”, anno V, n. 14. L’articolo è firmato Ursus, pseudonimo di Gino Giacomini.

[17] “Pro – Patria”, anno 1, n. 1, 5/7/08.

[18] Il terribile bacillo, in “Il San Marino” del 21/5/1911, anno 3, n. 10.

[19] V. Casali, Il Casus Belli - L'abolizione del catechismo a San Marino nel 1909, in Annuario della Scuola Secondaria Superiore, n. XXVII, anno scolastico 1999/2000.

[20] “Sorgiamo!”, numero unico del 16/5/09, e il “San Marino”, uscito per la prima volta il 3/9/09, che continuò le sue pubblicazioni fino al 1915. I socialisti lo ribattezzarono subito “Somarino”, mentre l’Unione Cattolica divenne la “Scocciarella”.

[21] V. Casali, Storia del socialismo sammarinese dalle origini al 1922, cit., p. 100.

[22] Con tale legge le proprietà ecclesiastiche in territorio sammarinese venivano assoggettate al controllo delle autorità laiche. Cfr. G. Ramoino, M. Bonelli, Supplemento alla raccolta delle leggi e decreti della RSM, Città di Castello 1915, pp. 76 – 82.

[23] “Il Titano”, anno IX, n. 24. Anche questo articolo era di Ursus (Gino Giacomini).

[24] L’indecente trucco, in “Il Titano”, anno IX, n. 27.

[25] Apparizione?, in “Il San Marino”, anno III, n. 12 del 18/6/11. L’articolo è firmato da frate Manetto Bruschi del Convento di Santa Maria.

[26] Umorismo anticlericale da montagna, in “Il San Marino”, anno III, n. 13 del 2/7/11. L’articolo è firmato da Tommaso Nediani

[27] ibid. L’articolo s’intitola Vita cittadina.

[28] Archivio Giacomini (in fase di catalogazione presso la Fondazione CSdL), lettera del 15/6/1911.

[29] Ibid., lettera del 25/6/1911.

 

 

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