Oscure presenze nella Rupe …
Clericalismo
e anticlericalismo a San Marino nei primi anni del Novecento
Gli
inizi del XX secolo sono stati caratterizzati da un forte contrasto
politico e sociale tra mondo cattolico e mondo laico sia in Italia
che a San Marino. Nella seconda metà del secolo precedente, infatti,
era avvenuto uno sviluppo consistente di culture alternative a
quella cattolica, che fino a quel momento aveva dominato in maniera
pressoché incontrastata la mentalità italiana ed europea in genere,
pur registrandosi significative differenze tra le varie aree
cultural/religiose sviluppatesi nei secoli addietro (ortodossa,
protestante, anglicana, ecc.).
“Dio è morto”, aveva con enfasi e convinzione proclamato Nietzche
all’interno del suo testo “La gaia scienza” del 1882. Tanti lo
avevano preso sul serio, ritenendo ormai la religione una gabbia per
gonzi, e la dimensione metafisica un’immensa e subdola “menzogna
millenaria”.
In realtà per molti altri individui la cosa non stava proprio così:
infatti la cultura cattolica rimaneva ancora ben viva e vegeta
presso le masse, pronta a respingere colpo su colpo, con pari
enfasi, convinzione e vigore, gli attacchi sistematici che le
venivano portati.
Nel nuovo Regno d’Italia vigeva il non expedit con cui la
Santa Sede, a partire dagli anni ’60 dell’Ottocento, aveva
dichiarato inaccettabile per i cattolici partecipare alle elezioni
politiche dello Stato italiano e, per estensione, alla sua intera
vita politica.
Era una chiara reazione all’annessione dello Stato Pontificio,
avvenuta dopo la spedizione dei Mille di Garibaldi, e contro la
successiva conquista, da parte dei bersaglieri, della città di Roma
nel 1870, divenuta poi capitale del nuovo Regno nell’anno seguente.
Vittorio Emanuele II aveva cercato di fornire qualche contentino al
pontefice per placarne l’ira, tramite la promulgazione nello stesso
anno della “Legge delle guarentigie”, con cui gli veniva
riconosciuta la sovranità sui palazzi del Vaticano, del Laterano e
di Castelgandolfo, nonché un’assegnazione annua in denaro per il
mantenimento del nuovo minuscolo Stato pontificio.
Quanto ottenuto, tuttavia, non era assolutamente pari a quanto
perduto dal papa, per cui i rapporti rimasero freddi e conflittuali
per svariati decenni, e parecchi cattolici si mantennero critici e
politicamente maldisposti nei confronti del nuovo Regno in cui
improvvisamente si erano venuti a trovare.
La situazione iniziò lentamente a cambiare solo verso la fine del
XIX secolo, con la nascita di movimenti cattolici decisi a essere
non più semplici spettatori indifferenti e ostili verso la politica
italiana, ma suoi protagonisti. Romolo Murri fu tra i principali
artefici di questa nuova visione politica con la creazione, nel
1898, del movimento chiamato Democrazia Cristiana, che mirava a
diventare il primo partito cattolico organizzato.
I tempi erano però ancora immaturi per tale innovazione: non a caso
nel 1902 papa Leone XIII, che pur non era particolarmente avverso a
Murri e al suo gruppo, emanò l’enciclica “Graves de Communi”,
rivolta a tutte le associazioni cattoliche, con cui si ribadiva che
i loro membri dovevano impegnarsi solo nell'apostolato, non negli
affari pubblici.
Nello stesso anno, il 24 agosto, Murri volle comunque esporre la sua
visione politica tramite un discorso noto come “Libertà e
Cristianesimo”, e scelse come località in cui farlo proprio San
Marino. In seguito tale discorso divenne famoso e importante, ma
nell’immediato gli procurò soltanto una prima censura ufficiale da
parte del Vaticano e qualche critica anche da parte delle autorità
sammarinesi.
L’anno successivo sarebbe stata sua intenzione presentarsi come
candidato alle elezioni politiche, ma il nuovo papa Pio X, eletto
proprio nel 1903, si dimostrò molto più intollerante verso le
aspirazioni di Murri rispetto a Leone XIII, per cui le sue velleità
politiche dovettero per forza di cose naufragare.
Senza proseguire in questa disamina, rimandando perciò chi fosse
interessato ad approfondire l’argomento alla vasta bibliografia
reperibile su Murri, si può riassumere dicendo che nei primi anni
del ‘900 i cattolici iniziarono progressivamente a cambiare
atteggiamento culturale verso la politica. Pur rimanendo ostili al
modernismo e al partitismo, infatti, smussarono nel tempo la
categoricità del non expedit, iniziando un graduale
impegno diretto in politica col creare varie organizzazioni
interessate alle questioni sociali, al lavoro, al mondo operaio,
all’agricoltura e a tutti quegli argomenti cavalcati fin lì dai
socialisti e dal mondo della sinistra, a cui non si voleva più
lasciare il monopolio di tali scottanti problematiche sociali
tramite cui si potevano fagocitare le masse.
Nacque nel periodo anche un sindacalismo “bianco” contrapposto
nettamente a quello “rosso” già esistente. Nel 1906, inoltre, venne
fondata l’Unione elettorale italiana con lo scopo di formare e
disciplinare le forze cattoliche, così da instradarle secondo le
direttive della Santa Sede nelle future elezioni politiche.
Anche la stampa cattolica nello stesso periodo si rafforzò
notevolmente con la nascita del quotidiano “L’Unione” nel 1907,
diretto da Filippo Meda, la fondazione della Società Editrice
Romana, e l’acquisto di varie testate giornalistiche in tutta
Italia. Queste appoggiarono con convinzione i candidati liberali di
orientamento cattolico nelle elezioni del 1909 e soprattutto in
quelle del 1913.
Di quest’anno, poi, è il famoso Patto Gentiloni, in cui venivano
fissati i punti che i candidati politici dovevano sottoscrivere, o
comunque sostenere, per conseguire l’appoggio del mondo cattolico
nelle elezioni politiche di quell’anno, molto più partecipate di
quelle passate, in quanto nel 1912 era stato fortemente ampliato il
numero degli elettori grazie alla riforma elettorale promossa da
Giolitti.
Pur senza avere un partito politico ufficiale, insomma, gli anni che
si stanno rapidamente esaminando videro un sempre maggiore
coinvolgimento dei cattolici nella politica e nelle elezioni
italiane, e una forte conflittualità nei confronti di chi era
considerato loro avversario.
E a San Marino?
A San Marino il mondo cattolico e anche quello laico vivevano
ovviamente di riflesso quanto stava accadendo in Italia, però con
qualche peculiarità. La più grossa fu sicuramente l’arengo svoltosi
il 25 marzo 1906, una sorta di tornata referendaria riservata ai
locali capifamiglia in cui i sammarinesi decretarono di passare da
un Consiglio (il locale parlamento) nominato tramite cooptazione, in
auge dal 1600, a quello eletto con suffragio triennale.
La spinta verso questa innovazione fu data dal riformismo laico di
stampo socialista e repubblicano, tendenzialmente anticlericale, ma
è indubbio che i cattolici la sostennero in massa, perché altrimenti
l’arengo non avrebbe potuto conseguire il risultato che ebbe, vista
l’esiguità numerica degli anticlericali e dei due raggruppamenti
laici.
All’epoca a San Marino non esistevano partiti organizzati, a parte
il piccolo gruppo socialista dalla vita precaria e incostante nato
negli ultimi anni dell’Ottocento.
Vi erano movimenti d’opinione, di indole repubblicana e liberale
soprattutto, ma nessun altro partito costituitosi ufficialmente.
La cultura dominante era però da sempre quella cattolica, fatto che
non faceva dormire sonni tranquilli ai riformisti laici, bramosi di
uscire da una dimensione sociale che reputavano medievale, la cui
sopravvivenza in tempi considerati moderni e positivisti imputavano
proprio a conservatori, cattolici e passatisti.
In realtà non era solo il cattolicesimo che impediva alla repubblica
sammarinese di percorrere nuove strade istituzionali e sociali, ma
soprattutto la mentalità tradizionalista e ipertimorosa che
caratterizzava i governanti e gli ottimati locali, convinti che
qualunque innovazione politica avrebbe potuto compromettere per
sempre la mitica e plurisecolare indipendenza del paese.
Non a caso nel 1899 il Consiglio respinse sdegnosamente due istanze
avanzate dal partito socialista “non riconoscendo l’esistenza di
partiti ad eccezione di quello dei Sammarinesi Repubblicani”
.
Con logica analoga, nel 1902 la Reggenza diede questa risposta a don
Michele Bucci, parroco di Domagnano, quando chiese il permesso per
lo svolgimento del convegno di Murri a cui si è accennato:
“ (…) che la missione del prete e del Parroco in Repubblica si è
quella di attendere al bene delle pecorelle ad esso affidate e che
non deve in modo alcuno intromettersi in affari politici, e che il
paese nostro non vedrebbe di buon occhio un convegno di cattolici in
S. Marino, mentre era facile che fossero per suscitare malumori e
disturbi dei quali avrebbe tenuto responsabile lo stesso Don Bucci
mentre non poteva né negare né accordare il permesso richiesto e
come touriste (sic) a tutti è permesso di visitare la
Repubblica”.
In definitiva si può dire che la politica di sinistra, di destra o
di centro che fosse era fortemente malvista dall’oligarchia
dominante a San Marino, che avrebbe invece voluto lasciare le cose
com’erano, ovvero ancorate alla cultura elitaria e nobiliare del
passato, etichettando come “esotico” tutto ciò che rappresentava
qualcosa di politicamente innovativo.
I tempi, però, erano pronti per introdurre qualche riforma anche a
San Marino, per cui negli anni seguenti maturò la voglia di novità
politiche sia tra i laici che tra i cattolici sammarinesi, e
soprattutto crebbe smodatamente lo scontro ideologico e politico tra
queste due fazioni.
In realtà nei primi anni del Novecento questo dissidio non si
dimostrò così accentuato come sarà invece dopo il 1906. Durante la
fase di propaganda a favore dell’arengo (1903 - 1906) da parte
socialista e repubblicana vi furono sporadiche accuse verso
conservatori e cattolici d’istigare i contadini contro di loro,
etichettati tout court come senzadio che avrebbero abolito la
religione e depredato le chiese, se avessero preso il potere.
Anche da parte cattolica, però, vi furono saltuarie critiche verso
questa nuova ideologia laica che stava sviluppandosi e i suoi
profeti, tuttavia non si possono registrare più di tanto in quegli
anni i tono aspri, astiosi, addirittura maligni del periodo
successivo né da una parte, né dall’altra.
E’ probabile che una simile tacita tregua sia dipesa dal fatto che i
riformisti ritenessero prioritario giungere all’arengo per abbattere
il Consiglio oligarchico, per cui sarebbe stato controproducente
stuzzicare o irritare il vasto mondo cattolico con provocatorie
polemiche sull’esigenza di laicizzare la società e di ridurre
l’ingerenza culturale e pubblica della Chiesa.
Passato l’arengo, però, lo scontro scoppiò violento. Già sul
“Titano” del 1° gennaio 1907, nell’articolo intitolato “Anno nuovo”,
si dichiarò con vigore che, tra le diverse novità che il neo eletto
Consiglio doveva perseguire fin da subito, vi era la laicizzazione
della società sammarinese, “come c’insegna la grande sorella
Francese”, e la riduzione della religione a “un affare tutto privato
come esige la civiltà moderna”.
Ugualmente sullo stesso giornale apparve un articolo su Giordano
Bruno, martire del fanatismo religioso e icona del libero pensiero.
Pure sul “Titano” del 17 febbraio apparirà un altro lungo articolo
esaltante il filosofo, così come succederà in maniera periodica
negli anni posteriori.
Nel numero successivo del “Titano” si continuò la polemica con
l’affermare che lo Stato non doveva avere una Chiesa ufficiale
perché “ogni uomo se la fa da sé la Chiesa, ogni uomo ha diritto
alla sua religione senza urtare quella degli altri”.
“Noi ci troviamo nella infelice posizione di qualche altro paese,
che ha da una parte un popolo legato ad un culto ufficiale, e
dall’altra una minoranza che, conscia della vera civiltà, vuole
emancipare i suoi simili da quest’ultimo avanzo di oscurantismo”.
“Noi vogliamo l’indipendenza dello Stato contro ogni chiesa e contro
ogni setta; vogliamo insomma uno Stato estraneo ad ogni confessione
e professione di fede”.
I toni si erano improvvisamente surriscaldati perché nella seduta
consigliare del 10 gennaio era stato deciso che il primo
anniversario dell’arengo dovesse essere celebrato anche tramite una
funzione religiosa, fatto che aveva mandato su tutte le furie gli
anticlericali, socialisti e repubblicani, che si sentivano molto più
dei loro avversari gli artefici principali dell’assemblea del 25
marzo 1906.
Vi erano stati in proposito forti litigi già nella seduta del 3
gennaio, tanto che la Reggenza, per sedare le diatribe, l’aveva
chiusa abbandonando l’aula. Scontri analoghi si ripeterono nella
seduta appunto del 10, con ulteriori dispute nel paese tra i
cittadini.
Sul “Titano” del 20 gennaio, Franciosi, mai accomodante verso i
clericali, pubblicò una poesia sul fatto intitolata sarcasticamente
“L’Arringo battezzato”:
C’era una donna in parte liberale
ed in parte allevata in Sagrestia
che aveva nome la Democrazia;
e conviveva in modo originale
con una vecchia da la pancia obesa,
che si chiamava la Madama Chiesa.
Or avvenne che dopo quattrocento
anni che senza nozze dormicchiò,
Donna Democrazia si maritò;
e partorì, mirabile portento,
un maschio robustissimo e gioviale
che fu detto l’Arringo Generale.
Madama Chiesa, vecchia senza denti,
col petto isterilito e senza umore,
ebbe a crepar d’invidia e di rancore;
e dapprima, cercando gli ingredienti
perché abortisse la Democrazia,
andò frugando in una farmacia:
poi , dopo il parto, si mutò nel viso,
s’abbellì con la cipria e col belletto,
e sorrise e baciò quel pargoletto.
Ma sotto quella cipria e quel sorriso
covava la vendetta per l’offesa:
or sapete che fa Madama Chiesa?
Prepara una funzione rituale
per battezzare se può garbatamente
quel gioviale maschiotto ancor dormiente:
gli metterà la stola ed il piviale,
e figlio lo dirà non del Titano,
ma della Chiesa, ma del Cappellano!
Nonostante i diverbi, gli sfottò e le ostilità verso celebrazioni
con cornici di stampo religioso, alla fine la maggioranza decise per
questa forma celebrativa, per cui la situazione tra clericali e
anticlericali da ora in poi s’infiammò in un crescendo continuo
senza più riassestarsi.
Nel “Titano” del 5 febbraio apparve un altro articolo di Franciosi
contro “l’oscurantismo della nostra religione, istillato nella mente
dei gonzi”, in quanto in quel giorno si commemorava una santa,
Agata, e non ci si ricordava, invece, che era la rievocazione della
ripristinata libertà, il 5 febbraio 1740, dopo l’occupazione dello
Stato sammarinese da parte del cardinale Alberoni.
Occorreva, dunque, educare i cittadini alla laicità, in particolare
i contadini e le donne, i soggetti reputati più irretiti dalla
Chiesa, così da far loro comprendere che “la religione in genere è
nemica del progresso e della civiltà, ed è mezzo e strumento
d’ignoranza e corruzione”.
Gli anticlericali avevano ormai intrapreso una feroce crociata pro
laicizzazione dello Stato, tanto che nel mese di febbraio,
ricorrendo l’anniversario della morte di Giordano Bruno, arso vivo
come eretico in Campo dei Fiori a Roma il 17 febbraio 1600, nel
Teatro Concordia di Borgo venne organizzato un comizio anticlericale
in cui parlò Gino Giacomini, per esaltare la figura di Bruno e
condannare il clericalismo, che aveva “ghermito anche la ricorrenza
dell’arengo”; poi fu il turno del giovane Manlio Gozi del Fascio
Repubblicano, che si era augurato che le forze democratiche
sammarinesi potessero allearsi per liberare il paese dal
clericalismo e condurlo sotto un sole più fulgido, “il sole
dell’avvenire”; in seguito intervennero altri ancora.
A conclusione dell’assemblea era stato emanato questo ordine del
giorno:
“Gli anticlericali sammarinesi riuniti in solenne comizio per
aderire alla grande manifestazione italiana in onore di Giordano
Bruno, fanno voti perché la terza Italia e la loro piccola
Repubblica, da poco risorta, si sciolgano definitivamente
dall’ibrido connubio, per rimettersi sulla vera via del progresso e
della civiltà”.
La polemica fomentata dagli anticlericali non era solo causata da
motivi ideologici, ma soprattutto politici: infatti con la “Lettera
aperta ai lavoratori dei campi” del 10 marzo, Franciosi evidenziò
che i clericali continuavano ad aizzare i contadini contro
socialisti e repubblicani, atteggiamento che si ripercuoteva
negativamente su una possibile adesione ai gruppi politici sgraditi
a sacerdoti e clericali.
“Voi giacete sotto una doppia servitù morale e materiale. Siete
troppo ligi ai preti ed ai padroni, i quali vi sfruttano di santa
ragione e nello spirito e nel corpo. (…) Non addimostratevi più a
lungo intolleranti con chi non la vede in materia di religione come
voi. Se veramente siete buoni cristiani non potete odiare e
vituperare quei veri vostri fratelli che vi amano e si apprestono ad
aiutarvi per redimervi dal doppio giogo”.
Negli anni precedenti l’arengo del 1906, i riformisti laici per vari
motivi non avevano potuto svolgere una sistematica e continua
propaganda nel contado, per cui non avevano inciso quasi per nulla
sulla cultura tradizionalista e conservatrice di chi vi risiedeva,
in particolare in alcuni paesi dove i parroci erano particolarmente
politicizzati e agguerriti.
Erano sì riusciti in qualche maniera a far capire anche ai contadini
che a San Marino era giunta l’ora di abbandonare il sistema
istituzionale precedente,
ma avevano determinato scarsissimo proselitismo verso i loro ideali,
mentre avevano suscitato tanta paura nei confronti dello Stato laico
che si prefiggevano e della cultura anticlericale di cui erano gli
esaltatori.
“Evviva il prete, abbasso il socialismo”, fu gridato “a
squarciagola” da una “infelice turba incosciente” in Borgo alla fine
di aprile del 1907.
Il sentimento espresso tramite queste poche parole era quello più
diffuso tra i cattolici e gran parte della cittadinanza sammarinese,
accentuato da quanto era accaduto nella prima ricorrenza
dell’arengo, quando vi erano state due distinte cerimonie
celebrative: una ufficiale, con funzione religiosa, in cui avvenne
l’esposizione del reliquiario del santo Marino e un te deum
alle 10.00 di mattino, e quella laica, organizzata da socialisti e
anticlericali, furibondi contro “i riti chiesastici voluti dal
malcerto governo democratico sorto sulla ruina di una sciagurata
oligarchia”.
Gli anticlericali affissero una lapide accanto alla chiesa di San
Pietro, sul piazzale della Pieve, con il seguente testo:
"Il XXV MCMVI - Dopo un letargo di IV secoli - Sorgeva la forza del
popolo novo - A rivendicare - Con l'Arengo dei Padri - Il diritto
sovrano - Indarno repugnante la vecchia oligarchia - Che oggi
-Auspice il Governo - Benedice nel rito della chiesa - Alla
conquista non sua."
Dietro istanza d’arengo esaminata il 20 aprile, in cui si precisava
che il testo della lapide poteva turbare l’ordine pubblico, il
Consiglio, dopo lunghe discussioni e scambi di accuse tra i
consiglieri favorevoli e quelli contrari, per 28 voti a 16 ordinò di
abbatterla, azione che avvelenò ancor più i rapporti tra i diversi
schieramenti ormai consolidatisi.
I socialisti, in segno di deplorazione per la decisione governativa,
pubblicarono in seguito per molto tempo sulla prima pagina del loro
periodico il testo integrale della lapide, oggi tornata nella sua
sede originale dove è stata ricollocata da qualche decennio.
Questo episodio si può considerare l’inizio della feroce e astiosa
inimicizia che negli anni seguenti caratterizzò clericali e
anticlericali. Sul “Titano” divennero frequentissimi gli attacchi ai
preti, qualificati come “superstiziosi”, “padroni delle campagne”,
“maiali religiosi eternamente soggetti a profonda degenerazione
sessuale” e altro ancora. Ogni pretesto era buono per metterli in
cattiva luce e per sottolineare la loro presunta nefandezza e
arroganza.
Col “Titano” del 31 luglio 1907 si precisò che la lotta per la
laicizzazione dello Stato era più importante a San Marino che in
Italia, perché proprio a causa della sua fondazione, attribuita
direttamente a un santo, “pareva una figliazione degli ordinamenti
religiosi primitivi, costringendola ad essere un sopravivente comune
dello Stato pontificio”.
La stessa figura di Marino doveva essere ridimensionata, perché
“egli nella piena luce del secolo ventesimo e in tanta effervescenza
di libertà sembrava una creatura allevata in mezzo a quattro
accerchianti conventi”.
Questi attacchi, giudicati anche blasfemi, insieme alla paura di
lasciare troppo campo libero ai loro avversari, indussero i
cattolici sammarinesi ad organizzarsi sempre più. Nel 1908 uscì il
loro primo giornale, il “Pro-Patria”, subito sprezzantemente
ribattezzato “Pro-Pappa” dagli anticlericali. Questo foglio, pur
essendo creatura dalla vita breve, perché legata solo alle elezioni
politiche che dovevano svolgersi in quell’anno, non si dimostrò più
moderato nei toni: “Voi non siete socialisti - inveì contro i suoi
avversari -. Voi non avete principii democratici e liberali. Voi per
salire avete raccolto nel vostro seno tutti i relitti ed i detriti
immondi della cloaca Massima”.
Il socialismo era ritenuto solo un “terribile bacillo” “promettitore
di programmi utopistici”, “narcotico che s’inietta magistralmente
nel sangue dei poveri gonzi per addormentarli”, “nemico della
verità, della luce, del bene: è l’esponente più proprio
dell’ingiustizia e dell’assurdo, della ribalderia e dell’errore”. I
socialisti erano solo “apostoli epilettici ed esaltati”.
Il loro giornale fu spregiativamente ribattezzato “Tetano”.
Il 1908, 1909, 1910 furono anni di scontri violentissimi alimentati
dal continuo contrasto dialettico che precedette l’abolizione del
catechismo come disciplina scolastica, realizzata nel Consiglio del
3 agosto 1909,
dalla nascita dell’Unione Popolare Cattolica Sammarinese, fondata
per difendere strenuamente la fede cattolica e raccogliere firme a
difesa del catechismo nelle scuole (la sua prima riunione ebbe luogo
il 5 febbraio 1909), dall’uscita di altri giornali editi dai
cattolici.
Scoppiarono inoltre nuove incandescenti polemiche relativamente alla
legge istitutiva dell’organico per gli impiegati, contro cui avvenne
sul Pianello una “sommossa”, come fu definita all’epoca, da parte
dei clericali il 26 febbraio del 1910,
nonché per la legge sui benefici vacanti varata il 27 aprile 1912.
Fu in questo clima nervosissimo e rabbioso che, verso la fine di
aprile del 1911, nella rupe del monte Titano cominciarono ad
accadere fenomeni strani su cui ci fornisce qualche informazione
l’articolo “In pieno Medioevo” dell’11 giugno.
In sintesi ci racconta che, da circa 15 giorni, si stava assistendo
ad uno spettacolo di “fanatismo ributtante e nel medesimo tempo
triste”, che faceva pensare che i Sammarinesi fossero a un “livello
morale ed intellettuale più basso di quelle della Basilicata e della
Calabria”, livello che provocava nei socialisti “il più nero
scoraggiamento”.
Infatti stava circolando una voce anonima, messa in giro forse per
qualche “inconfessabile ragione”, tendente a sostenere che nella
rupe vagava un “uomo selvatico” o “scimmiotto”. Per opera però di
una “mala femmina”, questo scimmiotto si era tramutato “in breve nel
Santo Patrono del monte dalle forme animalesche”, il quale appariva
di tanto in tanto all’interno di un crepaccio.
Da quel momento era iniziato un pellegrinaggio nella località da
parte dei “deboli di spirito” e delle “popolazioni rurali” di San
Marino e circondario. L’articolista riteneva che la vicenda fosse
poco più che una barzelletta, ma la gente, invece, aveva
incominciato a ricamarci sopra, divulgando ulteriori storie di
misteriosi avvistamenti.
In un paese diverso da San Marino, affermò sempre il nostro
articolista, le autorità sarebbero intervenute per porre fine a tale
processione, dovuta solo a “suggestivo fanatismo”, invece erano gli
stessi governanti sammarinesi, con mogli e figli, ad alimentare il
pellegrinaggio nella rupe partecipandovi di persona, per cui c’era
poco da sperare che la vicenda si sgonfiasse.
Anche il clero, per far opera veramente cristiana, avrebbe dovuto
far sì che “l’indecente e selvaggio spettacolo” finisse, ma i preti
non si muovevano perché miravano a tenere i fedeli “nell’ignoranza e
nel fanatismo”. Anzi vi era anche la chiacchiera che tutto fosse
stato montato proprio da preti e frati “per immergere la Repubblica
in un bagno di superstizione “ e “per far quattrini”.
I socialisti tornarono sull’episodio nel loro giornale del 2 luglio.
“La ridicola commedia continua lassù nella rupe con un crescendo
impressionante”, scrissero. Ora si erano fatti avanti anche una
decina di fanciulli e fanciulle “chiaroveggenti” che sostenevano di
conversare direttamente col santo, “fra i quali alcuni figli di
consiglieri”.
Secondo l’articolista, tutta la vicenda era mossa soltanto da “bassi
fini di lucro” dei clericali per raccogliere più decime: “Se ne
accorgeranno i buoni villici ai prossimi raccolti”, sentenziarono.
Il fatto, però, “in tutti quelli che hanno la testa a posto”, non
poteva far altro che suscitare “un infinito senso di sconforto e di
disgusto”.
Era dunque ora che, per “il decoro e la serietà del paese”, le
autorità “intervenissero energicamente” per porre fine ad un
avvenimento che veniva considerato una vera e propria carnevalata.
Sulla vicenda intervenne brevemente anche il periodico dei cattolici
per asserire che nessun clericale o prete aveva artatamente montato
la vicenda per far quattrini, e che nessun sacerdote si era
schierato pro o contro la presunta apparizione, anche se qualcuno si
era recato per curiosità sul luogo della stessa.
In un altro articolo sull’episodio, il giornale prende nettamente le
distanze dal fenomeno: “Una bambina allucinata crede vedere San
Marino. Caso comune patologico d’isterismo forse – dunque sono i
preti affaristi, stupidi, volgari che l’hanno subornata per fare
soldi. Ma i preti smentiscono, non ci credono!”.
In un ulteriore rapido passo dello stesso giornale fu scritto:
“Riguardo all’apparizione il Titano vuole il nostro giudizio, ma noi
non ci sentiamo in forze di fare apprezzamenti e sputare sentenze,
perché non abbiamo la chiaroveggenza del Titano stesso”.
Qualche ulteriore breve notizia sull’episodio la possiamo attingere
da un paio di lettere scritte, nell’italiano che gli era possibile,
da Remo Giacomini, gestore di un’umile osteria in Borgo, al figlio
Gino, in quel momento impegnato a fare il direttore didattico a
Fiesso Umbertiano:
“Oggi festa del Corpus Domini è stata per noi una giornata
memorabile unica nella storia Sammarinese. La storiella
dell’aparizione di S. Marino nella rupe, si è divulgata nei paesi
vicini come un balleno, ed è stata acolta con tanto entusiasmo che
oggi si è riversata una folla immensa non mai vista, è stato un
continuo pelegrinaggio dalla mattina alla sera, si vole che vi fosse
più di 10.000 persone. Tutti anno fatto affari benche sia ancora
freddo pure si è venduto qualche migliaio di gazzose”.
In un’altra lettera di dieci giorni dopo torna sull’argomento per
dire che “della visione di S. Marino nel crepaccio, continua ancora
il pelegrinaggio, non però di quella intensità dei primi giorni. Vi
è sempre la Bambina, che quasi tutti i giorni fà le sue
rapresentazioni, e qualche volta viene aiutata da un ragazzo del
Sasso che anche lui dice di vedere S. Marino, si crede che l’infame
del prete incominci a mettere il suo zampino, che miseria in questo
disgraziato paese”
.
Nei giorni seguenti l’avvenimento continuò a smorzarsi fino a
spegnersi del tutto e a venir rimosso dalla coscienza e dalla storia
locale.
Che dire su tutta la vicenda?
Probabilmente fu solo un fenomeno di illusione collettiva come ne
accadono tanti ancor oggi.
Per limitarmi alle mie esperienze personali, mi ricordo lo scalpore
e l’attrattiva che una quarantina di anni fa suscitavano le campane
di Carpegna, di cui in loco si percepiva il suono senza che si
muovessero davvero (almeno così si raccontava), o il pellegrinaggio
notturno lungo la strada sottomontana indotto dal desiderio di
ascoltare il pauroso verso del “ribiscio”, un mitico serpente dal
corpo bizzarro, frutto di qualche mente piena di fantasia che
raccontava di averlo ascoltato o di un buontempone in vena di burle
e prese in giro.
Favole metropolitane, appunto, tanto innocue quanto illusorie e
coinvolgenti, capaci di rompere la monotonia di giornate sempre
uguali a se stesse e di fornire scuse per fare esperienze
eccentriche.
L’apparizione del santo nel crepaccio ha lo stesso sapore, anche se
il momento storico in cui è avvenuta, di fortissima inimicizia tra
clericali e anticlericali, in cui ogni fazione cercava con tutti i
mezzi di prevalere sull’altra, può ammantarlo di una qualche patina
politica.
E’ tuttavia impossibile dire se abbia politicamente giovato a
qualcuno e nuociuto ad altri.
Senza dubbio uno dei pochi a guadagnare qualcosa dall’arcana
apparizione fu Remo Giacomini, bravo a vendere ettolitri di gazzosa
nonostante l’inclemenza della stagione.
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