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San Marino e il suo nuovo Palazzo Pubblico: storia di un'esigenza secolare

 

Com'è ben noto, il nuovo Palazzo Pubblico della Repubblica di San Marino venne costruito tra il 1884 e il 1894 su disegno dell'architetto romano Francesco Azzurri. La sua inaugurazione ebbe luogo il 30 settembre dei 1894, appunto, con il famoso Discorso sulla «Libertà perpetua di San Marino» pronunciato da Giosuè Carducci[1].

L'esigenza di questo edificio tuttavia è riscontrabile assai prima dei periodo della sua effettiva costruzione, e cresce nel corso dell'Ottocento parallelamente alla trasformazione della società sammarinese, che, per motivi sia interni che esterni, continua in una lenta ma costante metamorfosi per tutto il XIX secolo, uscendo nel giro di qualche decennio dalla sua fisionomia di comune medievale che l'aveva contraddistinta praticamente da sempre.

San Marino fino al momento dell'unificazione italiana era sempre stato un'enclave dello Stato Pontificio, che ne aveva condizionato i commerci, i rapporti diplomatici, la vita e la cultura in genere. Grazie a questa sua particolare condizione, la piccola comunità per secoli aveva avuto la possibilità, o forse sarebbe meglio dire la costrizione, di vivere in una povera e quasi immutabile tranquillità, funestata solo molto saltuariamente da rari episodi dei tutto eccezionali e contingenti.

I rapporti esclusivi coi Vaticano, l'arcaicità e la povertà dei piccolo Stato, la lontananza dall'Europa e dagli altri principali Stati italiani, la modestia della popolazione sammarinese, ammontante a poco più di 3.000 individui alla fine dei Settecento, erano stati tutti fattori che lo avevano indotto a conservare un aspetto assai dimesso e dal sapore antico.

Questo stato di cose gli aveva inoltre consentito di mantenere pressoché inalterati i suoi istituti medievali, composti da un apparato politico estremamente semplice e ristretto, e amministrati da una burocrazia formata da pochi individui, tutti provenienti dall'oligarchia cultural/economica che dirigeva il Paese, in genere impiegati a tempo parziale, con stipendi, quando c'erano, assai modesti.

Sintomatico di questa realtà congelata a qualche secolo addietro è sicuramente il fatto che per tutta la prima metà dei secolo scorso, precisamente fino al 1865, la legislazione sammarinese fa capo ancora agli statuti che la Repubblica aveva promulgato nel XVII secolo, modificati o integrati solo in minima parte. Per questo motivo a San Marino ancora nel 1818 si poteva venire esiliati dal territorio per la semplice uccisione di un piccione, così come accadde a Giorgio Martelli, il quale nella seduta consigliare dei 4 giugno di quell'anno inoltra istanza per poter rientrare in territorio sammarinese, perchè i suoi genitori, vecchi e poveri, non riuscivano a tirare avanti senza il suo aiuto.[2]

Questa stagnante situazione venne fortemente movimentata fin dai primi anni dell’Ottocento dall'arrivo delle truppe napoleoniche ai confini dei territorio sammarinese, e dal conseguente tramonto di quella realtà politica e sociale che aveva così ben avviluppato la Repubblica fino ad allora.

I rapporti con Napoleone e con gli Stati da lui creati sul suolo italiano furono sempre ottimi, e permisero a San Marino di acquisire sempre più una fisionomia di Stato indipendente e sovrano. Tuttavia lo spinsero anche a tentare di mettere in atto qualche innovazione di carattere istituzionale, per stare meglio al passo con le improvvise e rapide trasformazioni che caratterizzavano il suo circondario, e per intrattenere quelle relazioni diplomatiche che ora più che mai diventavano indispensabili per la buona armonia con i nuovi vicini, e, in ultima analisi, per la sua stessa sopravvivenza.

Non a caso, quindi, è di questi anni lo sdoppiamento della Segreteria generale dello Stato, che dal 22 ottobre 1797 si scinde in Segreteria economica, retta da Giambattista Clini, e in Segreteria politica, retta da Giuseppe Gozi. Sempre per gli stessi motivi in questi anni inizia ad operare con funzioni via via più importanti un addetto agli affari esteri (in questo periodo Antonio Onofri) puntualmente incaricato a risolvere i sempre più ricorrenti problemi diplomatici con gli Stati confinanti e con i Francesi.

Finché San Marino aveva avuto impegni solo con lo Stato Pontificio e con una situazione limitrofa totalmente priva di qualsiasi dinamismo, gli era ovviamente bastato un apparato gestionale assai modesto e non professionale; ma ora che questo vecchio mondo sembrava definitivamente tramontato, occorreva adattarsi ai mutamenti avvenuti, ed impegnarsi sempre più attivamente per farvi fronte.

Nei primi anni dell'Ottocento, quindi, San Marino dovette avviare un lentissimo processo di svecchiamento che partì e procedette tra infinite difficoltà, perchè, come ben si può immaginare, non bastava la volontà di pochi illuminati per accantonare consuetudini e vizi secolari. Mancava tutto per attuare riforme, a cominciare dai soldi, che affluivano in scarsa misura nelle casse statali, soprattutto grazie alle tasse sul sale, sui tabacchi, e, in minor misura, sulla polvere pirica. La costante carenza di denaro si ripercuoteva naturalmente su tutti i bisogni dello Stato: le infrastrutture edilizie, per esempio, risultano insufficienti, o del tutto mancanti, per gran parte dell’Ottocento, e gli stessi Reggenti, che in assenza di una burocrazia sviluppata dovevano sbrigare da soli un nugolo di impegni, spesso avevano difficoltà a svolgere adeguatamente il loro lavoro perchè non avevano spazi adatti in cui muoversi ed operare. Addirittura vi sono tracce che ci permettono di capire quanto fosse fondamentale per la Reggenza avere una bella casa dove svolgere il proprio incarico, come la dichiarazione lasciataci nel 1811 da Federico Angeli, che in data 15 settembre chiedeva ufficialmente al Consiglio dì non venir eletto alla massima carica dello Stato «per il motivo a tutti noto dì non avere al presente una abitazione propria a sostenere una sì rispettabile carica».[3]

Nel 1813, crescendo gli impegni statali, il Consiglio esaminò un regolamento stilato per istituire due posti di lavoro: uno per un «pubblico segretario» ed uno per un amanuense che lo aiutasse nel disbrigo delle pratiche. Il segretario doveva essere eletto dal Consiglio e ricevere regolare stipendio annuale, così come l'amanuense. Dovevano essere scelti entrambi «tra persone di probità, e note pel loro attaccamento alla Patria». L'amanuense doveva avere «il requisito di un carattere lodevole e di esatta ortografia»; il segretario doveva compilare un registro delle «lettere d'affari» sia in arrivo, sia in partenza; doveva interessarsi alla spedizione e registrazione dei passaporti; doveva conservare un registro di tutte le «bollette ed ordini che si spediscono, a qualunque cassa siano essi diretti», un altro registro per tutti i bandi e notificazioni dei Consiglio e della Reggenza, un terzo registro per tutte le «Bollette d'estrazione di Granaglia, che seguirà dal Regno d'Italia». Inoltre doveva presenziare alle sedute dei Consiglio, «e tener registro detagliato delle Risoluzioni esprimendovi le materie trattate in modo chiaro ed intellegibile»; aveva il compito anche di registrare i «memoriali o suppliche, tanto in affari civili che criminali» presentati al Consiglio. Doveva redigere poi annualmente «lo specchio o bilancio del dare ed avere della Repubblica, ossia la tabella delle spese presuntive, e lo stato delle pubbliche rendite», da presentarsi poi per l'approvazione al Consiglio. Infine doveva tenere un ulteriore registro dei «pubblici dazi ed appalti, loro capitoli ed istrumenti». Entrambi gli impiegati per essere assunti dovevano giurare davanti alla Reggenza di conservare assoluta segretezza su quanto venivano a conoscere durante il disbrigo delle loro mansioni, e totale fedeltà alla Repubblica.[4]

Dall'analisi di questo documento risulta evidente che lo Stato sammarinese cercava di istituire una embrionale forma di burocrazia professionale per far fronte con regolarità e competenza alle nuove esigenze di cui si è detto. Il progetto tuttavia naufragò, perchè nonostante che il Consiglio approvasse “generalmente” il regolamento, “restò sospeso l'assegnamento da passarsi al Segretario ‑ recita il verbale da cui sto attingendo ‑ dovendosi prima stabilire e fare un locale per uso di detta segreteria, affinché sia a tutti accessibile”.

Da quanto ho potuto scoprire tramite l'esame degli atti dei Consiglio, direi che questa è la prima occasione in cui si sente l'esigenza di un nuovo Palazzo Pubblico dove potessero trovare sede gli uffici, anche se non del tutto esplicitamente.

Negli anni successivi, col crollo dell'impero napoleonico e il ritorno alla situazione precedente il 1796‑97, anche il governo sammarinese accantonò le sue velleità riformiste, continuando a gestire la minuscola comunità nelle solite maniere. Tuttavia il periodo di Napoleone deve essere considerato il punto di partenza della trasformazione storica di San Marino, perchè è da questo momento che inizia e cresce presso alcuni ottimati la consapevolezza dell'arcaicità ed inadeguatezza di certe situazioni locali, e vi sono sporadici sforzi per uscire dalla dimensione ancora medievale del paese.[5]

E’ ovvio, però, che in uno Stato dove non si redigevano con regolarità neppure i bilanci di entrata e di uscita, come si evince dalle ricorrenti richieste in merito presentate in Consiglio, tante innovazioni potevano rimanere a livello solo di utopia, o comunque venire attuate con molta difficoltà. Nei primi decenni dell'Ottocento, inoltre, non dovevano esservi neppure tanti individui adatti a gestire lo Stato, visto che nel 1814 si teme di dover utilizzare per il futuro addirittura personale non sammarinese,[6] e puntuale emerge il bisogno di favorire economicamente quegli studenti che avessero voluto studiare legge.

Negli anni seguenti, comunque, lo Stato sammarinese continuò nella sua vita abituale senza grandi novità; gli unici fatti degni di qualche rilievo per il discorso che stiamo conducendo sono l'istituzione ufficiale nel 1826 dei Congresso degli Affari Esteri, e la creazione di una Congregazione Economica tra il 1829 e il 1830.

In verità il Congresso per gli affari esteri operava anche prima della data riferita, perchè, come già si è detto, fin dalla venuta dei Francesi, alla fine dei Settecento, era emerso il bisogno di un organo che tenesse rapporti con questi nuovi vicini.

Tuttavia fino al '26 il suo operato era stato sporadico ed occasionale; inoltre non aveva ricevuto nessuna investitura ufficiale, cosicché nel Consiglio del 18 maggio di quell'anno fu istituito legalmente in considerazione dell'utilità che in passato il piccolo Stato aveva ricavato da tale ente.[7]

La Congregazione economica, invece, fu un preciso tentativo di eliminare l'approssimazione e il dilettantismo con cui si erano amministrati i soldi pubblici fino a quel momento. Doveva essere composta da 10 membri, ed era preposta a sanzionare le spese ordinarie e straordinarie; doveva anche stilare semestralmente il bilancio preventivo.[8]

In realtà questo organo non riuscirà a migliorare più di tanto la situazione finanziaria di San Marino, né a mettere molto più ordine nella pubblica amministrazione. Anzi, negli anni successivi vi saranno anche puntuali contestazioni nei suoi riguardi, tese a sostenere che il suo operato era più dannoso che utile per la comunità. E ipotizzabile, tuttavia, che la sua istituzione abbia creato ancor più l'esigenza di un palazzo adatto ad accogliere anche le sue riunioni.

Nel 1833 venne creato un nuovo ufficio, ovvero quello postale, il cui regolamento, o meglio le disposizioni per il suo «direttore», cioè il suo unico impiegato, vennero sanzionate nella seduta consigliare del 5 maggio.[9] Egli aveva l'obbligo di compilare due registri, uno per la posta in arrivo ed uno per quella in partenza, più un eventuale terzo registro per «la consegna e distribuzione dei diversi oggetti affrancati». Dopo l'arrivo della posta da Rimini, portata dal postiglione che in giorni fissi percorreva tale tragitto, doveva far rintoccare la campana dei Pianello, poi rimanere a disposizione due ore per la distribuzione della corrispondenza. Ugualmente aveva l'impegno di rimanersene in ufficio «dall'ora di giorno all'ave maria» per ricevere la posta in partenza il giorno precedente a quello previsto per il viaggio dei postiglione. Come paga riceveva una percentuale su ogni lettera. Il primo «direttore» postale fu Giambattista Angeli.

Meno di un anno dopo, nel marzo dei 1834, fu istituito anche un ufficio catastale regolamentato da disposizioni precise, e con un impiegato che riceveva come stipendio annuale 24 scudi, somma a dire il vero assai modesta, e che lascia intendere che era un impiego a tempo solo parziale, come quello dell'impiegato postale.[10]

Tutte queste novità di natura burocratica dovettero provocare non pochi problemi per la carenza di spazi operativi: in effetti il 12 ottobre, sempre dei 1834, i Reggenti Giuliano Malpeli e Pietro Tassini proposero al Consiglio di restaurare il Palazzo Pubblico, perchè per il «decoro della Repubblica» era indispensabile che vi fosse «un luogo decente per la residenza dei Reggenti», dove potessero trovar sede «con la dovuta regolarità tutti gli altri pubblici uffici». Purtroppo però le casse dello Stato erano vuote per colpa delle grandi spese che si stavano affrontando in questo periodo per l'edificazione della nuova Pieve, quindi la Reggenza proponeva di sospendere per due anni “l’emolumento dovuto alle cariche di cassiere generale, di camerlengo, dell'amministratore dei sali, e di quello dei tabacchi, persuadendosi che ciascun cittadino sarà pronto a preporre all'interesse proprio la cura di provvedere ad un oggetto, che sì da vicino riguarda l'utile ed il decoro del governo”.[11]

Oggi può far sorridere una simile proposta, ma all'epoca, essendo i funzionari a cui si voleva togliere lo stipendio impiegati a tempo parziale, e non dovendo vivere con le modeste cifre che percepivano, perchè più che altro erano degli arrotondamenti dei loro introiti personali ed usuali, poteva essere un suggerimento abbastanza sensato, anche se faceva assegnamento su uno spirito comunale che, come ho avuto occasione di dire in un'altra occasione,[12] in questi anni stava tramontando, o forse era già dei tutto scomparso. La proposta, comunque, non ebbe seguito, ma nonostante ciò è importante sottolineare che d'adesso in poi la richiesta di restauro e di ampliamento del Palazzo governativo diventerà sempre più ricorrente.

Il 3 gennaio del 1835 il problema riemerse, perchè si ipotizzò all'interno del Consiglio di sistemare il Palazzo utilizzando dei soldi ricavati da un'enfiteusi. Nella stessa occasione si propose di creare, sempre all'interno del Palazzo, un ambiente idoneo ad accogliere l'ufficio della Segreteria Generale, perchè in quel momento non vi erano luoghi più adatti: venne per questo dato incarico alla Congregazione economica di provvedere per il mobilio e per i lavori necessari.[13]

Probabilmente anche in questa circostanza non si giunse a nulla, perchè un anno dopo si tornò a rimarcare lo stato pietoso ed indecoroso dei Palazzo, e venne creata una commissione per verificare il da farsi.[14] Non so con precisione se questa nuova iniziativa abbia prodotto qualche giovamento alla situazione dell'edificio, comunque negli anni successivi non se ne parla più, e questo lascia presupporre che qualche restauro, magari piccolo, possa essere anche stato fatto. E’ pure possibile, però, che sistemati in qualche maniera i nuovi uffici, il bisogno di un palazzo più capiente e decoroso sia stato accantonato in attesa di tempi migliori.

Il vero problema di San Marino in questi anni erano i soldi che non riuscivano ad affluire nella misura necessaria all'interno delle pubbliche casse. La popolazione era povera e scarsamente tassabile; i ricchi, o meglio quei pochi che avevano le proprietà fondiarie ed un reddito superiore alla media, erano in genere al potere e ovviamente si guardavano bene dal varare riforme economiche che fossero troppo a loro svantaggio. Inoltre l'approssimazione in materia finanziaria era costante, così come non dovevano essere infrequenti gli abusi, o quanto meno una certa faciloneria. Vi furono tentativi per modificare questo sistema, come l'istituzione della Congregazione Economica, o la disposizione dei 1838 di chiudere gli esercizi finanziari con più regolarità e precisione.[15]

Tuttavia il problema non era solo di una gestione più corretta e sana, ma era quantitativo: i soldi che arrivavano prevalentemente grazie alle tasse indirette (tra i 5‑6.000 scudi annui negli anni migliori, intorno ai 4000 in quelli peggiori) bastavano appena alla semplice sopravvivenza di uno Stato elementare com'era quello sammarinese in questo periodo, non certo a costruire infrastrutture nuove che da sole sarebbero costate molto più dell'intera cifra costituente il bilancio. Per questo generalmente i buoni propositi non riuscivano mai a concretizzarsi, o vi riuscivano solo in tempi tanto lenti da richiedere anni dopo la loro prima formulazione.

Quanto detto può trovare conferma dalla seduta consigliare del 3 marzo 1836: in questa occasione si tornò a parlare dello stato pietoso e fatiscente dei Palazzo, e dell'impellente necessità di apportarvi restauri. All'istante però non si poté far altro che nominare una commissione per ideare qualcosa e studiare il problema, stando almeno alle poche parole verbalizzate che ci sono rimaste sulla questione. Tuttavia vi dovette essere grande discussione in Consiglio a causa della richiesta di restauro, perchè la Reggenza subito dopo spostò la questione sugli introiti fiscali di San Marino, affermando e facendo verbalizzare che si potevano conseguire entrate più cospicue con una gestione più oculata delle “solite antiche tasse di guardia, bocca, e fumo”, anche perchè la popolazione era aumentata numericamente. Il Consiglio, pur plaudendo alla proposta della Reggenza, si limitò ad incaricare formalmente la Congregazione economica di stipulare “un nuovo contratto coll'esattore”, cioè con colui che aveva per appalto l'incarico di riscuotere le tasse.[16]

Per alcuni anni non vi furono più richieste ufficiali relative al Palazzo del Governo. Nel 1848, però, un opuscolo scaturito da un gruppo di riformisti locali e non che sognavano anche per San Marino innovazioni a tutti i livelli, sulle ali dell'entusiasmo riformista che all'epoca stava riguardando tutta l'Italia, chiese formalmente che il Governo si impegnasse a recuperare i crediti che vantava dalla cittadinanza (addirittura 60.000 scudi!) “de' quali se ne servirà per terminare varie strade principiate, intraprendendone delle nuove, ed a costruire un Palazzo di residenza pei Consoli, Commissario, Cancelliere per le sedute criminali con due spaziose aule, una per la riunione dell'Assemblea Nazionale, (nuovo organismo politico che i redattori avrebbero voluto istituito accanto al Consiglio), e l'altra del Senato, e Gran Consiglio, perciò si decreta che tolta ogni dilazione, e posposte e disprezzate le sognate aristocratiche renuenze, s'invitino, e si costringhino tutti li Funzionaríi pubblici dall’anno 1815 a tutto il 1847 a fare il dovuto Rendiconto, e che li resultanti Debitori, e loro sigurtà, siano astretti con tutti i mezzi legali di gravame, Mano Regia, sospensione interinale dall'intervento nel Senato, nell'Adunanza dei Dodici (quando fossero Consiglieri) a pagare le somme, e frutti dovuti al Fisco”.[17]

In realtà nel 1848 si tenterà di avviare una riforma economica che porterà nel 1850 all'elaborazione di un progetto teso a migliorare i cespiti tributari, ed a riscuotere i crediti che vi erano con molti cittadini; tuttavia sarà una riforma molto parziale, che non porterà nelle casse dello Stato grosse cifre, per cui ancora una volta il Palazzo rimarrà solo un bel sogno.[18]

Nel 1852 si aprì una nuova possibilità: un certo Duca di Bevilacqua, che in questi anni intratteneva rapporti con la Repubblica, richiese ufficialmente al Consiglio di poter acquistare palazzo Mercuri, che era di proprietà dello Stato. La richiesta venne accettata con la clausola che i soldi incassati servissero per restaurare il Palazzo Pubblico, e per creare “un quartiere adattato alla residenza della Reggenza”.[19] Anche questa volta, tuttavia, per qualche motivo il progetto fallì, così palazzo Mercuri rimase proprietà dello Stato, e il Palazzo Governativo nelle sue pessime condizioni di sempre.

Nel 1864 la Reggenza tornò sul problema all'interno di una sua articolata relazione sui mali della Repubblica: essa, tramite la voce dei Reggente nobile Palamede Malpeli, dichiarò che lo Stato sammarinese doveva impegnarsi in quel periodo soprattutto nel campo della istruzione pubblica e della finanza, perchè il fondamento della libertà di uno Stato dipendeva prevalentemente dal suo benessere materiale. La locale situazione finanziaria era alquanto precaria, perchè spesso le uscite erano superiori alle entrate; inoltre spesso da parte degli amministratori non vi era alcuna accortezza nel varare le spese. «Ma si potrà, o Signori, camminare tranquillamente ad occhi chiusi di questo passo?», esclamò ad un certo punto Malpeli. Vi erano spese urgenti da affrontare a cui nessuno pensava seriamente: nuove strade da costruire, un debito di 2.000 scudi contratto con la banca di Parigi da saldare, le mura della Città fatiscenti e da restaurare subito, il Palazzo dei Governo cadente e «in uno stato disdicevole alla stessa spartana semplicità» di cui San Marino da sempre si vantava. Occorreva in definitiva abbandonare gli arcaici sistemi amministrativi da sempre in auge all'interno del governo sammarinese, per incamminarsi lungo nuovi percorsi capaci di fornire quel denaro di cui lo Stato aveva impellente bisogno, anche per ricostruire il suo Palazzo Pubblico.[20]

Palamede Malpeli era all'epoca molto giovane, e figlio di tempi più pragmatici e materialisti. Egli fu uno dei primi ad auspicarsi una nuova logica finanziaria per il Paese, adatta a procacciare quei mezzi necessari alla costruzione di quelle tante infrastrutture di cui necessitava. Con lui e con altri consiglieri simili a lui, più spregiudicati e meno vincolati a quella mentalità pauperistica che da secoli caratterizzava San Marino, lo Stato sammarinese riuscirà in effetti a conseguire entrate ben più elevate di quelle a cui era abituato fino a questi anni, grazie soprattutto al canone doganale che la Repubblica riuscì ad ottenere dall'Italia dopo la sua unificazione, e ancor più grazie alla vendita delle onorificenze e dei titoli nobiliari, che verrà effettuata in maniera sempre più crescente dalla seconda metà degli anni '60 in avanti, e che permetterà di far lievitare enormemente le entrate dello Stato e di dar vita a molti lavori pubblici. I primi lavori che vennero intrapresi, tuttavia, non riguardarono il Palazzo dei Governo, bensì quelle opere pubbliche ritenute più urgenti. In particolare si dedicarono le maggiori attenzioni alla costruzione o sistemazione delle strade, tutte in pessimo stato, oppure iniziate già da tempo, e non ancora ultimate, per colpa dei continuo esaurirsi dei fondi a disposizione.[21]

Nel '68 in realtà si tornò a parlare durante una seduta consigliare nuovamente del Palazzo, ma solo per decidere la costruzione al suo interno di una latrina pubblica. Per tale opera vennero stanziate 100 lire.[22]

Gli anni '70 non registrano particolari richieste a favore dei Palazzo tra i governanti sammarinesi. Arriviamo così alla seduta del 20 dicembre 1880: in quell'occasione si affermò che la signora Maria Antonietta Eugenia Margherita Andrè aveva offerto 60.000 lire per un titolo di Duchessa, soldi messi a disposizione dello Stato sammarinese per restaurare il Palazzo Pubblico. La cifra offerta dalla signora Andrè era assai ingente; si calcoli infatti che i bilanci dello Stato sammarinese in questi anni si aggiravano approssimativamente intorno alle 160‑170.000 lire annue.

Per intraprendere il restauro era necessario però ristrutturare prima un altro palazzo di San Marino in modo che fosse in grado di accogliere le riunioni dei Consiglio, e quei pochi uffici che avevano sede dentro il vecchio edificio. Palazzo Valloni poteva essere idoneo allo scopo, però avrebbe avuto anch'esso bisogno di qualche restauro; si decise quindi di prelevare dalle 60.000 lire in questione una cifra sufficiente per eseguire in fretta tali lavori, precisamente 10.000 lire, e in seguito dedicarsi anche al restauro del Palazzo Pubblico.

Nella stessa seduta si pensò anche di incaricare il consigliere Pietro Tonnini, che proprio in quei giorni avrebbe dovuto recarsi a Roma per affari personali, di contattare nella capitale qualche architetto capace di sovrintendere ad un simile lavoro.[23]

Ecco, con questa seduta consigliare si mette finalmente in moto la macchina che porterà alla fabbricazione del nuovo Palazzo. Nel feb­braio del 1881 Tonnini fece sapere da Roma che aveva reperito due ar­chitetti disponibili ad affrontare il problema, e precisamente Francesco Azzurri, che com'è risaputo sarà poi colui che edificherà realmente il nuovo Palazzo, e il Vespignani. Secondo Tonnini, però, tra i due era preferibile l'Azzurri, per cui suggeriva che l'incarico venisse affidato a costui. Così in effetti fu: in aprile l'Azzurri giunse a San Marino, e nel Consiglio del giorno sette di quel mese si lesse una sua relazione in cui si sosteneva che il vec­chio Palazzo non era più restaurabile, e che poteva crollare da un mo­mento all'altro. Il 28 dello stesso mese la Reggenza chiese quali fos­sero le intenzioni del Consiglio in merito a quanto affermato dall'Azzur­ri. Venne stabilito di richiamare l'architetto affinché facesse un proget­to per un edificio con un “ampio ingresso, un'ampia scala, un'ampia sala per le Sedute Consigliari, più un'altra sala per le Udienze del­l'Ecc.ma Reggenza, gli uffici per le due Segreterie e gli ambienti a quegli usi che potranno essere destinati, che il tutto poi debba riuscire sem­plice e severo”.[24]

In maggio Azzurri venne di nuovo a San Marino, e presenziò al Consiglio del 19; in questa sede fu ufficialmente investito dell'incarico di elaborare un progetto per un Palazzo nuovo, e gli fu chiesto di farne uno anche per il cimitero di Città e Borgo. Gli venne inoltre domandato cosa suggeriva nel frattempo per il vecchio Palazzo; rispose che occorreva “subito puntellare il cantone prospiciente il Pianello”. Fatto ciò l'edificio poteva “reggere per altro tempo”, ma era indispensabile però “tenerlo d'occhio per conoscere se si verificano altri movimenti”.

Ormai il governo sammarinese era deciso a costruire un nuovo Palazzo, ma non tutti i consiglieri dovevano condividere questo progetto. Infatti nella stessa seduta venne avanzata ufficialmente una protesta dal consigliere nobile Luigi Martini‑Bartolotti contro l'abbattimento del vecchio edificio, soprattutto perchè riteneva “rovinosa” per le finanze dei Paese la costruzione dei nuovo Palazzo Pubblico. Una simile contestazione verrà avanzata dallo stesso consigliere anche un paio di anni dopo.[25]

Nei mesi successivi del problema non si parlò più all’interno del Consiglio, eccetto che nella seduta del 20 novembre 1882, quando si comunicò che erano state donate alla Repubblica altre 25.000 lire, da una non meglio definita contessa di Marsiglia, come contributo per l'edificazione del nuovo Palazzo.[26]

L'argomento venne riaffrontato invece il 12 aprile del 1883, quando la Reggenza comunicò al Consiglio che in quello stesso giorno Azzurri sarebbe tornato a San Marino per riverificare il problema. Due giorni dopo l'architetto, accompagnato da una commissione nominata all'interno dei Consiglio, tornò nuovamente ad ispezionare il vecchio Palazzo. Di questo sopralluogo venne informato il Consiglio il 19 dello stesso mese tramite una dettagliata relazione firmata dall'Azzurri stesso, e compilata il 16 aprile.[27]

In considerazione dell'importanza di questo documento, soprattutto per capire i motivi che indussero l'Azzurri a progettare il nuovo Palazzo con la fisionomia che conosciamo, lo si riporta integralmente come appendice di questo saggio.

Un anno dopo, il 7 maggio 1884, il vecchio Palazzo risulta ormai demolito, e viene gettata la prima pietra di quello nuovo. Dieci anni dopo, il 30 settembre 1894, viene ufficialmente inaugurato, tramite il discorso tenuto dal Carducci,[28] e la pubblicazione di un “Numero Unico” commemorativo[29] il nuovo “Palazzo del Consiglio Principe Sovrano”.

 

APPENDICE

 

Relazione dell'Azzurri letta nel Consiglio del 19/4/1883

 

Ecc.mo Consiglio Principe e Sovrano

 

Il giorno 14 del mese corrente il sottoscritto si è recato insieme alla Commissione al pubblico Palazzo sulla Piazza dei Pianello, onde proporre dopo le necessarie osservazioni i lavori di riparazione indispensabili alla sua stabilità. Un esame accurato delle sue attuali condizioni statiche richiamò in particolar modo l'attenzione della Commissione sul lato che riguarda gli orti Malpeli e sopra i quali s'innalza alla ragguardevole altezza di metri 23 e su quello posteriore Nord‑Ovest.

La trascurata costruzione dei muro, la debolissima malta, che collega le pietre, e l'enorme carico che grava le diverse zone dell'edifizio hanno prodotto scollegamenti, distacchi, e strapiombi di qualche gravità allontanando l'applicazione di rimedi radicali che, se diminuendo le preoccupazioni e facilitando l'opera riparatrice, sono però spesso di aggravio alla parte finanziaria, si è creduto adottare una cura ricostituente, onde ridonare all'edificio la sua stabilità. Costì sulla parete sudetta, che riguarda gli Orti Malpeli, verranno secondo il parere unanime costrutti fino all'altezza della Piazza del Pianello dei contraforti in Pietra sporgenti dal muro circa due metri due, e collegati con archi a sesto acuto, i quali lasceranno intatti i vani di finestra attuali.

Il tutto sarà poi dal sottoscritto delineato per poterne eseguire la costruzione. Rimarrà a livello della Piazza un ballatoio o loggia in prolungamento di quella dei Pianello. Nella parte superiore che rimane da questo lato i nuovi vani di finestra che si dovranno aprire, e la ricostruzione del prospetto daranno agio a stringere con Buona Muratura quelle parti che sono degradate e scollegate e renderanno stabili questi due lati.

Gli altri due, quello posteriore Nord‑Ovest, e l'altro Nord‑Est opposto e parallelo a quello descritto, subiranno, il primo specialmente innesti di solida muratura, gli angoli e i nuovi vani di finestra nell'uno e nell'altro basteranno a stringere le parti, che ora presentano qualche scollegamento. Questo lavoro, che dovrà essere condotto con prudente attività, e con savio accorgimento pratico con materiali sceltissimi, in modo speciale per la sabbia da adoperarsi ascenderà approssimativamente alla somma di L. 25.000.

Ora si permette il sottoscritto di esporre alle Eccellenze loro che prima di dar principio ai lavori è necessario si pronuncino sull'approvazione dei disegni presentati, onde tutto il lavoro proceda con un concetto prestabilito. Quando il sottoscritto ricevette l'onorevole incarico di delineare la Residenza dei Governo della Serenissima Repubblica di S. Marino ha domandato a se stesso se doveva adottare uno stile moderno, ovvero uno stile che rammentasse l'antico del decimosecondo o decimoterzo secolo. Le ragioni, che mi fecero adottare senza esitazioni quest'ultimo partito sono le seguenti. 

La Repubblica di S. Marino è l'ultima superstite delle Repubbliche italiane, è quella che ancora innalza liberamente il suo Gonfalone bianco‑azzurro sulle alte vette dei Titano. Il suo passato è glorioso, le sue tradizioni a traverso i secoli sono rimaste intatte, e nell'ultimo periodo delle nostre aspirazioni nazionali, nella completa affermazione dell'unità italiana essa è rimasta stretta al suo Gonfalone, gelosa delle sue antiche istituzioni, severa e immutabile ne' suoi principi.

Ebbene, il sottoscritto ha voluto nella esterna ed interna dei Palazzo esprimere il passato glorioso della Repubblica, la sua esistenza invariata, la sua antichità, la sua affermazione moderna. L'architettura dei palazzi monumentali delle nostre antiche Repubbliche, ora palazzi comunali, doveva dare l'ispirazione artistica, perchè in quelle severe linee, che destano anche oggi l'ammirazione e il rispetto universale, si rivela il carattere delle istituzioni, e lo spirito dei popoli, mentre in quelle dei rinascimento apparisce brillante con il lenocinio della forma classica il salto, la fasullità, la cortigianeria, l'indifferenza e l'instabilità dei principi civili. L'Architettura lascia nelle sue creazioni l'impronta dei tempi. Per la Repubblica di S. Marino la variabilità dei tempi non ha esercitato la sua opera di trasformazione, la sola civiltà ha modificato quanto l'umanità reclamava nell'applicazione delle leggi, dei tributi, e dei sollievi al povero e ai sofferenti, ma l'organico della istituzione è ancora tale quale appariva nei secoli passati. Le sue sorelle hanno subito una completa trasformazione. S. Marino si è voluto mantenere vergine di servi amori sul Titano all'ombra delle sue primitive istituzioni: dunque l'architettura deve nei suoi edifici pubblici esprimere a chi la riguarda, che essa mantiene invariabilmente l'antico carattere, come

mantiene inviolabilmente le sue antiche istituzioni. Con una moderna architettura essa si sarebbe posta al di sotto anche delle altre città italiane, le quali benché un giorno trasformate, e oggi poi formino parte della grande Nazione, pure gelosissime hanno conservato sempre e conservano per la residenza dei Comune i loro antichi Palazzi, e ne rispettano la loro integrità. Memorie preziosissime per gli artisti, e per tutti coloro che amano le patrie glorie.

Ed è per queste considerazioni, che il sottoscritto non ha potuto a meno di deplorare nella Città di S. Marino la mancanza di quegli antichi Edifici, che dovevano di certo grandeggiare sulle vette dei Titano, come grandeggia la stupenda sua Rocca, e che forse in tempi da noi di certo remoti saranno stati condannati alla distruzione per sostituirvi opere moderne, che oggi miriamo erette sulle loro località. 

Questo è quanto il sottoscritto ha creduto esporre alla EE. Loro a discarico dei proprio ufficio. 

S. Marino 16 Aprile 1883 F. Azzurri Arch. 


 

[1] G. Carducci, La libertà perpetua di San Marino, ed. Zanichelli, Bologna 1966.

[2] Archivio di Stato della RSM (da ora AS RSM), Atti del Consiglio Principe, voi, KK, n. 34, seduta dei 4‑6‑1818. 

[3] AS RSM, Atti dei Consiglio Principe, voi. KK, n. 34, seduta dei 15‑9‑181 l.

[4] AS RSM, Atti dei Consiglio Principe, vol. li, n. 34, seduta dei 18‑9‑1813.

[5] V. Casali, Incidenze culturali della Rivoluzione francese e del periodo napoleonico sulla mentalità sammarinese della prima metà dell'Ottocento, in AAVV, L'avvento dell'era moderna a San Marino, San Marino 1990. 

[6] AS RSM, Atti del Consiglio Principe, voi. KK, n. 34, sed. del 31‑10‑1814.

[7] Ibidem, sed. del 18‑5‑1826.

[8] AS RSM; Atti del Consiglio Principe, vol. LL., n. 35, sed. 23/5/1830. Il regolamento è pubblicato in T. Giannini, M. Bonelli, Raccolta delle leggi e decreti della R.S.M., Città di Castello 1900, pp. 18‑19.

[9] Ibidem, sed. 5/5/1833.

[10] Ibidem, sed. 8/3/1834.

[11] Ibidem, sed. 12/10/1834.

[12] V. Casali, Il delitto Bonelli, San Marino 1992.

[13] AS RSM, Atti del Consiglio Principe, vol. LL, n. 35, sed. 3/1/1835.

[14] Ibidem, sed. 3/3/1836.

[15] Ibidem, sed. 29/4/1838 e 22/7/1838.

[16] Ibidem, sed. 3/3/1836.

[17] Riforme e miglioramenti necessari ed indispensabili per la successiva morale e politica esistenza della Repubblica di San Marino la più antica di Europa, Tipografia dei Classici di G. Bancadoro, Roma 1848.

[18] V. Casali, Il delitto Bonelli, op. cit.

[19] AS RSM, Atti del Consiglio Principe, vol. NN, n. 37, sed. 8/11/1852.

[20] AS RSM, Atti dei Consiglio Principe, voi. PP., n. 39, sed. 15/12/1864

[21] Sul problema delle strade nel secolo scorso cfr. F. Balsimelli, Superstites viarum, in Annuario del Ginnasio e Liceo Governativo a. 

[22] AS RSM, Atti del Consiglio Principe, vol. QQ, n. 40, sed. del 29/9/1868.

[23] AS RSM, Atti del Consiglio Principe, vol. TT, n. 43, sed. 20/12/1880.

[24] Atti del Consiglio Principe, vol. TT, n. 43, sed. del 28/4/1881.

[25] Atti del Consiglio Principe, vol. TT., n. 43, sedute dei 19/5/1881 e 31/1/1883.

[26] Ibid.

[27] Ibid. La relazione è trascritta all'interno del volume degli Atti del Consiglio.

[28] G. Carducci, La libertà perpetua di San Marino, ed. Zanichelli 1966.

[29] Repubblica di S. Marino Inaugurazione del nuovo Palazzo del Consiglio Principe

   

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