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La nobiltà a San Marino

 Tracce di appellativi di natura nobiliare sono rintracciabili nella storia sammarinese già dalla fine del XV secolo quando, in un testamento del 1497, Francesco Belluzzi, appartenente alla famiglia più ricca e influente dell’epoca, fu appunto definito nobiluomo.

Il desiderio di aristocrazia  crebbe nei secoli successivi seguendo le mode e gli esempi italiani ed europei, ma fino a tutto il XVIII secolo non incise più di tanto sulla società sammarinese, anche perché i nobili non godevano di particolari privilegi fiscali o di altra natura rispetto al resto della popolazione, e per entrare in Consiglio l’unica distinzione codificata dagli statuti secenteschi era quella tra uomini appartenenti alla Terra, ovvero a Città e Borgo (che dovevano essere 40), e quelli del contado (20), esclusi i residenti dei Castelli annessi nel 1463 (Faetano, Serravalle, Fiorentino), a cui sarà permesso di venire cooptati in Consiglio solo con decreto del 30 agosto 1873.

In Europa la nobiltà ebbe sostanzialmente due origini: quella primigenia di natura militare, nata durante il periodo feudale con la nomina di cavalieri, marchesi, conti, ecc., e quella definita di toga, sviluppatasi nei secoli successivi, che era l’aristocrazia acquisita da chi riusciva a raggiungere alti ruoli nella burocrazia degli Stati grazie a competenze, cultura, abilità peculiari. Vi era un terzo tipo di nobiltà diffusa soprattutto in Inghilterra: la cosiddetta “gentry”, ovvero una forma di aristocrazia che derivava dall’elevata considerazione sociale che uno conseguiva possedendo terra, beni immobili, agiatezza economica, quindi uno stile di vita signorile.

La nobiltà sammarinese, mai ufficializzata né codificata in norma statutaria, fu simile a quest’ultima in quanto dipese prevalentemente dall’appartenenza a famiglie antiche e benestanti che, avendo la possibilità di fornire una qualche cultura ai propri giovani, all’influenza economica, concretamente vincolante per molti cittadini che ne erano i lavoratori o i clienti, affiancavano il prestigio della cultura.

Nella seconda metà del Seicento la convivenza pacifica tra nobili e plebei sammarinesi iniziò a mutarsi perché nel 1652 il Consiglio venne a ridurre il suo numero da 60 a 45 (30 terrieri, 15 villici), motivando l’innovazione col fatto che non vi erano abbastanza individui culturalmente idonei e all’altezza di rivestire la carica di consigliere.

Così restringendosi, il Consiglio divenne più oligarchico ed elitario. Inoltre dal 1728 i nobili pretesero di avere sempre diritto alla prima Reggenza, quella più prestigiosa ed influente, lasciando la seconda ai non nobili, ovvero indistintamente a terrieri o villici. Di fatto con questa decisione politica la nobiltà ufficializzò la sua preminenza sul governo sammarinese creando consiglieri di primo (nobili), secondo (terrieri) e terzo (villici) ceto.

Nel 1743 l’egemonia della nobiltà fu ulteriormente accentuata perché fu deliberato che la “Congregazione Generale”, una sorta di comitato governativo ristretto dell’epoca con ampie facoltà deliberative un po’ in tutti i settori della politica, fosse composta solo dai 20 nobili.

Nel 1760, poi, la locale aristocrazia indusse il Consiglio a deliberare che i consiglieri nobili potessero essere sostituiti solo da altri nobili, sancendo di fatto l’ereditarietà della carica consigliare la cui trasmissione  veniva così favorita tra padre e figlio, o comunque all’interno delle poche famiglie “gentry” del paese.

Il Settecento, in definitiva, fu il secolo in cui l’oligarchia permessa dal sistema elettivo per cooptazione introdotto con gli statuti del Seicento, dalla riduzione del numero dei consiglieri, dalle nuove velleità della locale nobiltà, si accentuò notevolmente. Fu però anche il secolo che vide le prime contestazioni a tale sistema con proteste nel 1737, che diedero il via all’episodio del cardinale Alberoni, e del 1797, con la cosiddetta “mossa” definita in seguito giacobina, tuttavia la distinzione in ceti rimase in vigore fino all’Arengo del 1906, nonostante si sviluppassero altre contestazioni antinobiliari anche durante l’Ottocento.

 

 

 

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