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 Morti di storia
(articolo del "Nuovo Titano", dicembre 1997)

Un filosofo a me particolarmente caro, che leggo e cito ogni volta che posso, ovvero Friedrich Nietzche, col tipico acume che lo caratterizzava, sul finire del secolo scorso, in un momento cioè di esagerato storicismo, analizzò le possibili valenze della storia per l’umanità. Giunse a concludere, in sintesi, che, in base a come la si impiega, ha tre principali funzioni potendo essere:

a)       “storia monumentale”, cioè la storia di chi cerca nei secoli addietro solo i modelli e i maestri in grado di soddisfare le sue aspirazioni;

b)       “storia antiquaria” o “archeologica”, ovvero la storia di chi si rivolge al passato per esaltarlo come fondamento della vita presente e perpetuarlo;

c)       “storia critica”, che è la storia di chi si guarda indietro con l’intento di capire e condannare tutti quegli elementi che, sviluppandosi nel tempo, sono diventati impedimento storico alla realizzazione della propria creatività e di valori più moderni.

Rimandando chi volesse approfondire questi concetti ai testi stessi di Nietzche, in particolare a  “Sull’utilità e il danno della storia per la vita” scritto nel 1873, possiamo qui dire che il nostro filosofo, sempre pronto ad esaltare la creatività e a condannare la stasi, naturalmente fu strenuo sostenitore della storia critica, e si scagliò con veemenza contro ciò che definiva la “saturazione di storia”, ovvero la sublimazione acritica del passato. Infatti se ci si limita solamente ad essere i continuatori delle tradizioni ereditate dai secoli precedenti, sosteneva, senza cercar di mettere in atto la creatività, l’intelligenza e la contemporaneità di cui ogni epoca è dotata, cioè le virtù che sono fondamentali per rinnovarsi e per rompere con le logiche superate ed i valori obsoleti, il rischio che si corre è quello di rimanere in uno sterile immobilismo, del tutto inadeguato per inventare il presente e, chiaramente, per concepire il futuro. Nietzche non era contro la storia, né la negava: semplicemente era convinto che essa dovesse rimanere subordinata alla vita e funzionale alle sue esigenze, cioè che non dovesse soffocare gli uomini nella loro capacità di andare avanti e di distaccarsi dalle dimensioni e dai mondi in tramonto o del tutto tramontati.

Se Nietzche avesse conosciuto la nostra repubblica, avrebbe sicuramente avuto tanti altri elementi per decantare ancor più il valore della sua “storia critica”. Infatti non c’è paese al mondo, credo, più “saturo di storia” del nostro e, nel contempo, più ignaro del suo reale passato. Se c’è qualcosa che ha sempre impedito al nostro paese di evolversi e di mantenersi al passo coi tempi, soprattutto culturalmente e istituzionalmente, è stato proprio il nostro passato, da sempre letto in chiave troppo epica o, se vogliamo, troppo “monumentale” e “archeologica”. E’ fuor di dubbio che il nostro passato sia importante ed esaltante, fors’anche unico o specialissimo; ma non lo si può indagare solamente ad occhi chiusi, né con la convinzione che i nostri antenati avessero già capito tutto.

Questo tradizionalismo esacerbato, che attraversa come un’autostrada tutto il nostro passato, anche recente, nonché la nostra cultura e la nostra mentalità, è quanto di più deleterio ci possa essere nell’evoluzione della società in cui viviamo, anche perché i tempi sono cambiati e stanno mutando con ritmi talmente incalzanti da non lasciare grossi spazi a chi si rifiuta di trasformarsi in nome di un passato che è tanto più importante quanto più lo si sa circoscrivere ed isolare nei momenti in cui ha avuto il suo reale sviluppo. Non che la tradizione non debba essere in qualche maniera salvaguardata e mantenuta viva: ma non può essere, com’è stato fino ad oggi, troppo soffocante, né può saturare il nostro presente o pregiudicare il nostro futuro. Ne va, in effetti, della nostra creatività, eternamente castrata in nome delle care, vecchie consuetudini, degli istituti intoccabili, dei costumi di sempre, di un modus vivendi fatto di stereotipi e di sicurezze socio – politiche obsolete che non si riescono proprio a migliorare, e che provocano danni infiniti.

E’ ora d’intraprendere uno studio “critico” del nostro passato, una ricerca seria che cerchi di capire storicamente la vera evoluzione della nostra comunità e ci permetta di uscire dal recinto in cui la storia monumentale ed archeologica, da sempre prediletta nelle alte sfere della misera intellighenzia nostrana, ci ha relegati. Solo così, per dirla ancora attraverso le parole di Nietzche, emergerà “la forza di infrangere e di dissolvere il passato per poter vivere”.
 
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