Il Monastero
di Santa Chiara
La fondazione
Il
Cinquecento, oltre ad essere il secolo del pieno trionfo del governo
oligarchico, fu anche il periodo di massima espansione a San
Marino del potere ecclesiastico. Al già esistente Monastero di San
Francesco in città ed a quello dei Serviti in Valdragone, si
aggiunsero nel XVI secolo il Convento dei Cappuccini ed il Monastero
di Santa Chiara.
I cittadini sammarinesi ebbero sempre
a cuore la costruzione di un convento di monache professe le quali,
con sante orazioni, digiuni e sacrifici avrebbero potuto pregare il
Signore per la prosperità della Repubblica. Un monastero di
clausura rappresentava anche la possibilità di sistemare le ragazze
prive o carenti di dote, o di proteggere in un luogo sicuro le
appartenenti a ricche famiglie evitando inoltre la frammentazione
del patrimonio in caso di unione matrimoniale.
Tentativi di costruire un convento femminile in territorio vennero
fatti anche nel 1539, ma in quell'occasione il Consiglio dei Dodici
negò il permesso di costruirlo. La richiesta venne nuovamente
presentata al Consiglio Grande e Generale il 26 agosto 1565 da
Monsignor Costantino Bonelli, vescovo di Città di Castello, il quale
sostenne l'importanza dell'esistenza nel borgo cittadino di un luogo
ove consacrare alla fede ed alla clausura le fanciulle.
Bonelli alla fine riuscì ad ottenere
dal Consiglio non solo l'autorizzazione, ma anche una somma di
denaro per l'acquisto del terreno sul quale venne poi costruito il
monastero, situato in una strada sottostante il Palazzo Pubblico,
vicino alla Porta della Ripa.
Per il completamente del Monastero di
Santa Chiara fu necessario un lungo periodo, circa un quarantennio
(1569-1609), sia per la mancanza di fondi, che per difficoltà
tecniche dovute alla particolare conformazione morfologica del
terreno, costituito per la maggior parte da roccia, in cui si
ricavarono gli ambienti. L'esiguità delle risorse economiche
era legata anche al fatto che le offerte dei cittadini venivano
destinate ad un'ulteriore opera architettonica religiosa; il
Convento dei Padri Cappuccini, terminato nel 1592.
Un notevole contributo finanziario
per il completamente del Monastero di Santa Chiara fu apportato da
Vincenza Lunardini da Longiano. La ragazza, che apparteneva ad
una ricca famiglia di origine sammarinese, quando rimase orfana,
ereditò 3500 scudi d'oro e vari possedimenti terrieri. Una
volta sola, essa espresse il desiderio di monacarsi e di vivere in
clausura. Su consiglio dello zio Camillo Lunardini, Vincenza
scelse il nuovo monastero di San Marino favorendone l'ultimazione.
Al momento dell'inaugurazione del
monastero, avvenuta il 27 aprile 1609, nella diocesi del
Montefeltro, a cui San Marino apparteneva, non vi erano suore in
grado di dirigere il convento e neppure monache esperte nel canto e
nella musica. Per tali motivi i Sammarinesi si videro
costretti a rivolgersi ad altre diocesi per disporre di suore in
grado di avviare rettamente la via claustrale, secondo la regola
votata alla povertà e alla castità voluta da Santa Chiara.
Dopo aver interpellato senza successo
i vari monasteri della diocesi riminese, ci si rivolse a quella di
Urbania, l'allora Castel Durante. Qui vennero scelte le suore per
dirigere ed accompagnare le dodici suore già facenti parte del
monastero di San Marino. Così la prima badessa fu suor Giulia
Poltani e la prima vicaria fu Lucrezia Raffaelli, entrambe di Castel
Durante.
Tra il 1609 ed il 1746 presero i voti
97 monache. L'ingresso al monastero era vincolato alla
disponibilità dei posti, anche se il numero di 12 suore previsto
all'inizio raddoppiò gradualmente.
La particolare collocazione del
complesso monastico sammarinese dal punto di vista meteorologico
risultò davvero infelice. Il monastero fu continuamente tormentato
dal freddo, dal gelo della roccia e dall'umidità. Inoltre era
frequente la caduta di fulmini in ogni periodo tanto che, per porvi
rimedio, nel 1889 le monache adottarono uno dei primi parafulmini in
uso nella Repubblica. A tale proposito un miracolo gli rese grande
notorietà: avvenne il 16 agosto 1609; mentre le suore erano raccolte
in preghiera nel coro della chiesa, cadde una saetta che penetrò
all'interno del coro e colpì alla testa suor Innocenza, ovvero
Vincenza Lunardini, la principale benefattrice del monastero, senza
ucciderla, però, ma lasciandola solo lievemente ferita.
La Dotazione
Nel periodo della controriforma i monasteri femminili si trovavano
in posizione dominante sul piano della dotazione patrimoniale. Anche
nel caso delle clarisse di San Marino si verificò un rapido
consolidamento del patrimonio fondiario, dovuto all'obbligo per i
monasteri d'investire parti delle loro doti in beni stabili,
soprattutto in poderi.
La dote monastica, simbolo del
passaggio alla vita religiosa, era all'epoca la più ingente fonte di
risorsa economica per il monastero; inizialmente essa era fissata in
400 scudi romani, scesa poi a 250 scudi per la povertà delle
famiglie del territorio sammarinese.
La monacazione rappresentava una
salvaguardia del patrimonio familiare che altrimenti, in presenza di
più figli, sarebbe dovuto essere diviso in varie doti. Così la
ragazza che entrava in monastero si sacrificava per amore e per
rispetto della famiglia con la consapevolezza di meritare
gratitudine e riconoscenza. Quindi l'adesione alla vita religiosa
non sempre era legata puramente alla vocazione, ma anche ad
interessi patrimoniali e sociali. A San Marino il monastero aveva
pure una funzione sociale, essendo considerato luogo di raccolta o
di rifugio per donne sole, colpite da disgrazie familiari, orfane,
vedove, mogli in discordia col marito, minacciate dai parenti o in
pericolo per il proprio amore. Per cui le cause familiari
contribuirono a determinare la fondazione del monastero.
Oltre alla dote, le ragazze che
entravano in convento dovevano provvedere ad un corredo e ad un
arredo. Il corredo comprendeva un letto, rifinito per ogni stagione,
un materasso, dodici paia di ogni tipo di biancheria necessaria,
diciotto camice, trenta salviette da tavola, quaranta braccia di
tela, cinque tonache, due per l'estate, due per l'inverno e una per
la mezza stagione, una cassa per i panni, un tavolino, due sedie, un
inginocchiatoio, e sei paia di scarpe nuove.
Dalla fondazione del monastero il
patrimonio registrò un costante aumento grazie alle donazioni di
denaro e di terreni dei privati tanto che, dopo solo due anni di
vita, il Santa Chiara risultò l’istituzione religiosa più ricca
della Repubblica, dopo la Pieve.
L'educandato
Essendo l'unico monastero femminile esistente nella Repubblica, esso
fu visto dalle famiglie più illustri di San Marino come luogo dove
avviare le figlie alla vita monastica e dove poter apprendere i vari
lavori femminili come il taglio e cucito, la tessitura, il ricamo,
il rammendo ecc.
Le ragazze potevano inoltre ricevere una
qualche forma d'istruzione scolastica, visto che a San Marino non
esistevano altre scuole femminili. Così cinquant’anni dopo la
fondazione del monastero venne attivato l'educandato. Le
giovani potevano passare all'educandato a un anno dal noviziato,
prima di prendere i voti definitivi.
Le famiglie delle educande dovevano
corrispondere al monastero una somma di denaro per il vitto, e
l'alloggio di cui le ragazze usufruivano ed esse potevano ricevere
un'educazione nella comunità religiosa. Alle educande era consentito
dimorare nel monastero per il periodo compreso tra i 7 e i 25 anni,
anche se alcune di esse vi si trattennero più a lungo.
Le educande del monastero di Santa
Chiara non erano solo sammarinesi, ma provenivano da diverse
località dell'Emilia-Romagna e dalle Marche. Esse comunque
appartenevano tutte a famiglie ricche perché non vi erano previsti
di pensione o ingressi gratuiti; eventuali riduzioni erano
unicamente previste per la terza o quarta figlia (in seguito anche
solo per le secondogenite).
Il numero delle educande registrò un
notevole aumento all'inizio dell'Ottocento in seguito
all'ampliamento dei locali conventuali, fino ad un massimo di 66
ragazze nel 1872-73. Nel 1857 l'educandato fu chiuso
temporaneamente per poter restaurare i fabbricati adibiti ad aule.
In tale occasione le suore insegnanti vennero invitate da Monsignor
Antonio Alberoni, Vescovo del Montefeltro, ad aggiornarsi sui
programmi previsti per le scuola elementari del Regno d'Italia.
L'educandato sammarinese ebbe sin da
sempre fama di "perfezionato insegnamento in ogni genere di lavoro"
e le insegnanti prima del 1874 si attenevano al vecchio sistema
scolastico che prevedeva la possibilità di fornire alle giovani
tutte quelle nozioni necessarie per la loro formazione educativa,
che assumeva così un carattere prettamente religioso.
A partire dal 1864 l'insegnamento si adeguò ai programmi
educativi del governo italiano. Oltre a grammatica, storia e
geografia, alcune suore insegnavano anche il francese, il disegno,
la pittura, la ceramica, il ricamo in seta e oro, e le varie
tecniche legate ,alla lavorazione della carta, della tela, del
legno, della paglia e del vimini. Le ragazze venivano quindi ben
educate sia nello studio che nel lavoro, divenendo buone spose.
Per quanto concerne la vita delle
educande all'interno del monastero, questa si svolgeva sempre e solo
negli ambienti adibiti ad educandato, posti nei piani superiori,
senza alcuna comunicazione con le monache e l'unico contatto
avveniva con la madre badessa e con le monache che svolgevano
il ruolo di docenti.
Solo in casi eccezionali, e attraverso particolari permessi,
poteva essere concesso a qualche giovane di uscire dall'educandato,
sempre però accompagnate dalle monache. Del resto le suore si
attenevano al regolamento dell'educandato che vietava la
comunicazione tra le educande e che per questo motivo dormivano in
ambienti separati, anche se poi al momento della refezione suore ed
educande mangiavano insieme.
Talvolta venivano organizzate piccole
feste e processioni. Il sabato le suore maestre avevano il
compito di fare osservare alle giovani allieve una sorta di digiuno,
negando loro il caffè ed il latte nella colazione mattutina.
Nei giorni di vigilia festiva veniva poi vietata la merenda
pomeridiana.
Il vestiario delle educande veniva
cambiato a seconda delle occasioni; infatti nel momento in cui
dovevano accostarsi alla comunione, esse coprivano il capo con un
velo bianco lungo fino al ginocchio, mentre nei giorni solenni
indossavano un velo di colore nero e nelle feste meno solenni
portavano un vestito di fustagno grigio scuro.
Nel periodo estivo la divisa era
costituita da un indumento di cotone leggero a righe bianche e
azzurre turchine realizzato dalle monache, mentre durante i giorni
ordinari le fanciulle erano solite indossare vestiti normali di vari
colori secondo quanto dettato dalla Sacra Congregazione romana: né
troppo lussuosi né di colore o forma disdicevoli. Dal 15 ottobre al
2 novembre, ed in tutte le circostanze festive e ricorrenze, era
concesso alle educande di partecipare a ricreazioni, inoltre durante
il periodo di carnevale era uso organizzare recite, rappresentazioni
e commedie accompagnate da canti e giochi.
In conclusione l'educandato attivato
dal monastero nei primi decenni del XVII sec. rappresentò per la
comunità sammarinese una realtà positiva dove le famiglie,
inizialmente più facoltose ed in seguito anche più modeste, ebbero
la possibilità di arricchire dal punto di vista etico, morale e
culturale le proprie figlie. L'attività dell'educandato
proseguì serenamente sino al 2 agosto 1957 quando il Congresso di
Stato, visto l'articolo 14 della Legge del 5 dicembre 1914 inerente
all'educazione ed istruzione primaria, deliberò di vietare alle
suore del Santa Chiara di praticare l'istruzione primaria
Il monastero
ed i suoi fabbricati
A partire dalla seconda metà del XIV secolo iniziò la costruzione
dei primi edifici per abitazione collettiva a San Marino.
Verso la fine dello stesso secolo sorse il nuovo convento di San
Francesco, seguito nel secolo successivo dalla realizzazione del
Convento dei Servi di Maria e in quello dopo ancora dal Convento dei
Cappuccini. Agli inizi del XVII secolo si inaugurò la parte
cinquecentesca del Monastero di Santa Chiara. I complessi monastici
dovevano rispondere alle esigenze delle comunità religiose cosicché
assunsero, a seconda dei casi, specifiche connotazioni.
A ridosso della Porta della Rupe e
lungo il ciglio del Monte Titano, venne edificata la prima parte del
monastero. Osservando il prospetto del monastero su contrada
Omerelli, é possibile notare, vicino all'entrata principale, i resti
dello stipite di un vecchio portale, probabilmente il primo accesso
all'edificio. Nel piccolo cortile confinante con la Porta
della Rupe é ancora oggi presente una cisterna utilizzata per il
recupero delle acque e ricavata da un blocco di arenaria.
Le stanze del monastero si affacciano
sullo strapiombo del Titano, sulla contrada e sugli orti, ma
ricevono luce anche da una corte racchiusa da un muro di clausura a
picco sulla rupe.
Il sito impervio e roccioso impedì
certamente di operare grossi interventi, ma si riuscì tuttavia a
realizzare una struttura che tenesse conto delle varie funzioni
connesse alla vita di clausura e di preghiera, alle attività
artigianali, allo studio e alla vita comunitaria come la
conservazione di prodotti alimentari, la custodia di animali da
cortile e la produzione di pane. Nell'insieme il monastero
presenta una sorta di "architettura di percorso,, dove non esiste
soluzione di continuità fra i vari locali; un'architettura
complessa, difficile da descrivere, che trova riscontro solo in
alcune tipologie architettoniche popolari del Medioevo.
Gli orti ed il giardino, posti entro
le antiche mura di clausura, furono realizzati a gradoni seguendo
l'andamento del terreno roccioso. L'edificio, costruito con grande
semplicità, é impreziosito da elementi costruttivi e decorativi di
pregio quali ad esempio le crociere della copertura delle cisterne,
la scalinata ed il portico antistanti la chiesa, il corridoio e le
piccole celle dell'ultimo piano dell'edificio, la scala santa (una
sorta di altare sopraelevato a cui si accede tramite due
piccole rampe di scale), la piccola cappella del giardino
finemente decorata all’interno e provvista di un portico a tettoia
sorretto da due colonne di pietra. Inoltre è da notare la cura posta
nella costruzione della chiesa, attraverso l’utilizzo di
materiali poveri, reperibili facilmente in zona, ma abilmente
lavorati dagli artisti.
Gli ambienti chi costituivano il
monastero all’epoca della fondazione terminavano proprio dove
si evidenziano le diverse disposizioni pavimentali. La chiesa era
situata nell’ambiente che fino al 1971 fungeva da parlatorio
interno, la sagrestia con l’annessa ruota in legno era posta
nell’ambiente poi utilizzato come ripostiglio che nel 1946 venne
adibito a stanza per la conservazione della carne meno salata. Nella
zona sottostante la chiesa ed il coro vi era il sepolcro dove
venivano seppellite le suore defunte e le pie signore dopo aver
ottenuto la licenza dalla Sacra Congregazione. A partire dal
1878 venne aperto un fondo ad uso cantina.
Al di là della chiesa era collocato
il parlatorio, lo stesso che a metà degli anni Cinquanta del
nostro secolo fu denominato piccolo parlatorio o "grata scura". La
ruota situata nella portineria era posta nell'angolo dove ora vi é
uino sportello che chiude una piccola credenza a muro. Vicino
alla porta della portineria vi era l'entrata interna che sin dai
tempi della fondazione risultava coperta a volta, mentre il portone
della clausura rimase sempre nello stesso luogo con la relativa
entrata esterna ed interna. Ambedue le entrate sono state
migliorate attorno al 1950 insieme al cortile che precedentemente
era riservato al pollaio con gli attigui fondi situati sotto la
stanza dei telai e della vecchia lavanderia risalente al 1609.
Nel 1950 questa lavanderia subì alcune modifiche. Essa venne
poi utilizzata in altro modo in conseguenza alla realizzazione di
una lavanderia al pianterreno, vicino alla cosiddetta "vecchia
cucina" dove erano situate le caldaie. Quest'ultimo
ambiente venne adibito a cucina sin dai tempi della fondazione.
Attorno al 1950 fu qui ricavata la
porta per accedere al vecchio cortile, mentre prima essa era
collocata in un angolo dell'entrata. Accanto alla vecchia cucina vi
era un piccolo ambiente utilizzato come dispensa, ossia per riporvi
in fresco il cibo. Dove nel 1949 venne costruita la nuova
lavanderia esisteva precedentemente un fondo riservato alla
conservazione della verdura. Vicino al piccolo corridoio che
porta alla cisterna, era collocato il refettorio delle monache.
Nella zona sottostante al refettorio, vi era il fondo che continuava
la cantina. Al primo piano del monastero collocato sopra al
refettorio, si apriva il primo dormitorio che nel 1950 divenne
stanza dell'archivio e dello stiro. Tale dormitorio sembrava
fosse disposto come lo era nel 1950, solo che nel piccolo stanzino,
che fino a quell'anno serviva ad uso calzoleria, nel 1986
furono costruiti i bagni. L'ambiente attiguo al vecchio dormitorio,
ossia alla presente stanza d'archivio che nel 1950 serviva da
ripostiglio, in precedenza era adibito ad infermeria.
L'educandato pare fosse costituito da tutti gli ambienti del
piano superiore, posti dalla parte della vecchia lavanderia.
Il forno a legna è oggi posto dove lo era sin dal 1600, anche se
all'epoca era certamente di dimensioni più ridotte. Il secondo
piano, posto sopra il cantinone, venne adibito a refettorio delle
monache ed il terzo piano a dormitorio. Qui al terzo piano vi
erano anche altri ambienti che nel 1949 furono utilizzati come
refettorio delle educande, come bagno e come aula scolastica. La
nuova chiesa venne consacrata nel 1754 e il campanile venne
completamente ricostruito nel 1814. L'organo per la chiesa
venne acquistato nel 1835; nel 1867 venne ampliato il coro e
costruiti gli ambienti sottostanti ad esso tra cui un magazzino
adibito a legnaia e poi a cantina nel 1949. Nel 1939 avvenne
la realizzazione del quarto piano: corridoio, celle, scale ecc.
Nella zona sopra il coro della chiesa fu realizzato, sempre
nello stesso anno, l'ambiente detto del "Camerlungo". Attraverso
questi ultimi ampliamenti, la fabbrica del monastero si unì alle
case Belluzzi precedentemente acquistate dalle suore.
Nella seconda metà dell'Ottocento il
monastero necessitò di un ulteriore ampliamento a causa dell'aumento
di suore ed educande. Venne ampliato il coro e costruita
una cantina sotto il parlatorio senza attuare altre variazioni
strutturali.
Dopo l'acquisto di casa Belluzzi fu
scavato ed aperto un corridoio posto sotto la gradinata della chiesa
per ottenere un passaggio che, attraverso i sotterranei della casa
Belluzzi, permettesse di salire ad altri ambienti ricavati dove in
precedenza si trovavano lo scalone, il magazzino ed il coro.
Poi vennero costruiti dei bagni collocati nella zona dove attorno al
1950 esisteva la stanzina denominata "prigione". I bagni
vennero in seguito demoliti poiché erano stati realizzati troppo
vicino alla chiesa e nel 1927 furono costruiti quelli rimasti in uso
sino al 1971 (anno del trasferimento nel nuovo monastero di
Valdragone).
Gli interventi di restauro furono molto frequenti, sia per
consolidare il tetto e le mura, sia per rimodernare l'impianto
idraulico ed installare l'impianto elettrico nel 1916. Nel 1889
aumentò anche il numero di parafulmini portati a cinque. Nel
1929 i restauri interessarono l'educandato, mentre nel 1932 si avviò
la realizzazione di un nuovo pavimento nel dormitorio delle
educande. I restauri più rilevanti e le aggiunte strutturali
vennero attuate nel 1938. Venne anche costruito un nuovo
pollaio nella zona dell'orto e al di là del muro perché prima si
trovava vicino alla portineria sotto le finestre dell'educandato.
Nel 1940 fu costruito vicino al precedente un altro pollaio al posto
del giardino a causa dell'aumentato numero di animali. Nel
1943 venne eseguito un imponente lavoro, riguardante lo scavo nella
roccia di un nuovo fondo vicino al vecchio portone del cantinone che
attraverso una scala permetteva l'accesso al piano superiore.
Nel 1946 fu realizzato un altro fondo anche questo scavato nella
roccia, posto sotto la cucina, ma fu impossibile dopo vari tentativi
realizzare un passaggio fra i due nuovi fondi senza recare danni
alla cisterna.
Gli anni Quaranta di questo secolo e
i decenni successivi furono caratterizzati da innumerevoli
interventi strutturali di ampliamenti, restauro e rinforzo
attraverso un'efficace cementificazione. Tali interventi
furono mirati ad accrescere le comodità del monastero e
dell'educandato al fine di utilizzare convenientemente e in maniera
efficace tutti gli spazi disponibili, anche ospitando
caritatevolmente un alto numero di fanciulle. Il monastero rimase
operante sino al secondo dopoguerra quando si resero necessarie
diverse ristrutturazioni e ammodernamenti e anziché spendere ingenti
somme si iniziarono trattative per la vendita del vecchio monastero
e la costruzione di un nuovo edificio per ospitare le suore nella
zona di Valdragone. Nel 1968 il Governo sammarinese acquistò
il Monastero di Santa Chiara per 160 milioni di lire anche se
le clarisse continuarono ad abitarvi per altri tre anni prima
di spostarsi nel nuovo monastero.
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