Goliardate poco apprezzate
Nell’agosto del 1947, un gruppo di studenti sfaccendati, “con
vocazione al vagabondaggio”, tirava a far notte in un locale del
riminese cercando un “pretesto per coprire il vuoto di una giornata
d’estate al mare senza progetti”.
Il Monte Titano si stagliava in lontananza alto nel cielo, apparendo
assai più imponente dei suoi 750 metri reali grazie alla pianura
piatta e lineare in cui da secoli era immerso.
All’improvviso l’oziosa comitiva si destò dal suo torpore: qualcuno
ebbe l’illuminante folgorazione di organizzare una goliardica marcia
su San Marino per abbattere la millenaria Repubblica e sostituirla
con una monarchia!
“L’idea fu accolta con entusiasmo, nessuno adombrò pericoli. I tempi
erano stretti, le forze limitate, ma questi non erano problemi”.
Bene: quale monarca dunque insediare?
Nel gruppo che stava discutendo l’azione emersero vari nomi, ma alla
fine tutti furono d’accordo nel proclamare regina del Titano
l’avvenente attrice Silvana Pampanini, reduce da un grande successo
a Stresa dove l’anno prima era giunta seconda al concorso di Miss
Italia.
Il primo passo fu la redazione di un proclama che in seguito avrebbe
annunciato, conseguita la conquista, la creazione dell’improbabile
reame di San Marino:
Regno di San Marino
Graziosi sudditi Sanmarinesi,
oggi 15 agosto 1947, truppe romane di Giulio Cesare Augusto
unitamente a reparti Napoleonici, hanno occupato la Rocca di S.
Marino.
Ciò significa che San Marino da oggi ha cessato di esistere come
Repubblica e comincia ad essere un Regno.
Viene costituito un Governo provvisorio.
Il Governo del Regno ha inviato un messo ad offrire la Corona dei
Santi Marino e Leo al Capo di uno Stato confinante.
In attesa del gradimento del neo Monarca, i sudditi sono tenuti ad
osservare le leggi del Governo.
Graziosi sudditi Sanmarinesi,
i vostri beni da oggi sono a disposizione del Governo provvisorio in
attesa di essere offerti al Sovrano.
Leggi, Decreti, Ordinamenti e Moneta sono scaduti e sostituiti.
Graziosi sudditi Sanmarinesi,
salutate con gioia l’avvento del Regno sul monte fatale del Titano
Il proclama era pronto, adesso occorreva organizzare l’invasione.
Gl’inoperosi studenti, animati inaspettatamente da insano attivismo,
si rivolsero nei giorni seguenti ad una sartoria di Bologna,
specializzata in confezioni di abiti teatrali, per noleggiare le
divise dell’esercito invasore, una cinquantina in tutto. Sarebbero
state riservate ai ministri e ai vertici del nuovo governo, mentre
la soldatesca avrebbe dovuto arrangiarsi indossando indumenti
propri.
Chi era destinato a divenire il ministro del tesoro ebbe la grande
idea di emettere, dopo l’insediamento del nuovo governo reale, un
francobollo con l’effigie della Pampanini per celebrare la
metamorfosi politica dell’ormai ex repubblica, che senza dubbio
sarebbe stato ambitissimo e venduto con inimmaginabile copiosità.
Fu poi stilato una sorta di regolamento a cui attenersi: i
componenti della spedizione dovevano essere disciplinati e ubbidire
al neo ministro della guerra; tutti dovevano farsi gradire dai
sammarinesi spendendo molto negli esercizi locali; dopo aver
occupato il paese, il ministro della marina con un motoscafo avrebbe
percorso la riviera per annunciare lo storico evento e divulgare,
d’intesa col ministro dei pubblici divertimenti, un nuovo piano
turistico. Si stabilì che l’invasione sarebbe iniziata alle 7 del
mattino del 15 agosto.
Accadde tuttavia un imprevisto che impedì la realizzazione del folle
progetto: una signora a conoscenza del piano d’invasione,
spettegolando, aveva spifferato confidenzialmente tutto al suo
parrucchiere, che a sua volta aveva poi sparso l’informazione ai
quattro venti.
Le autorità sammarinesi, edotte sull’insidioso evento, in accordo
con quelle italiane, il 15 agosto bloccarono ai confini la truppa
motorizzata di bontemponi pronti a dar l’assalto al Titano, una
cinquantina in tutto, capeggiati da un’auto ammiraglia: una
fiammante Citroen.
Vi fu animata discussione per convincere i militi sul posto che la
spedizione era assolutamente innocua e fatta in allegria. Venne
mandata in avanscoperta anche l’orchestra jazz, che faceva parte
della comitiva, per mostrare che le uniche armi del temibile raid
erano pochi strumenti musicali. Nulla da fare: i carabinieri inviati
da Rimini furono irremovibili nell’impedire l’ascesa sul Monte
Titano della truppa. Pare che uno avesse anche detto con tono
imperioso: “Circolare, circolare. Voi siete tudda genda ‘ngolda e
gnuranda che fate quello che ci dicono a voi di fare due o tre
capoccia”.
Il primo ministro del neo governo ancora non insediato, il
giornalista Massimo Rendina, riunì il suo gabinetto e suggerì di
“avanzare lentamente, distrattamente, verso la barriera di confine
per poi tentare di superarla d’impeto, anche solo con un’avanguardia
di audaci”. Una volta all’interno del territorio sammarinese,
superato in qualche modo lo sbarramento di militi repubblicani di
supporto ai carabinieri riminesi, con diplomazia, in ogni caso senza
forche, esecuzioni e arresti, si sarebbe proclamato il monarca per
poi trattare “da pari a pari, non solo con l’Italia, ma anche con
Washington e Mosca. Queste erano le idee”.
Rendina avanzò, ma con eccessiva fretta e audacia, per cui “fu
bloccato con energia e reagì con fermezza. I ministri, impavidi,
accorsero al suo fianco e allora scattarono le manette. Il ministro
della Guerra fu costretto a dare l’ordine di ripiegamento. (…) I
ministri furono caricati sui camion della polizia e trascinati in
galera, a Rimini. Un’ora dopo -narra chi ha appuntato tutti questi
particolari- ci fu contestata l’imputazione: Vilipendio alle
istituzioni di una nazione amica. Reagimmo con fierezza,
rifiutando la pagnotta che ci veniva offerta”. “Poco dopo fummo
prosciolti e rilasciati. Non fu per l’intervento di qualche potenza
estera, né per sdegno popolare. Accadde solo il previsto e cioè il
comm. Federico Rendina, questore di Bologna, padre del Primo
ministro del governo monarchico, fece un giusto numero di telefono e
parlò con la persona giusta. C’è sempre un uomo di buon senso”.
La “pagliacciata da ferragosto romagnolo” finì così senza gloria e
senza infamia al Savioli di Riccione dov’era iniziata. “Ma non vi
rendete conto quanto sia lunga l’estate?”, si chiede alla fine del
suo pezzo l’autore del brano da cui si sono attinte le informazioni
fornite. Nulla di meglio, per accorciarla e renderla meno monotona,
che programmare un’invasione goliardica della Repubblica di San
Marino.
L’azione beffarda, in un momento in cui iniziavano già ad esserci
tensioni politiche con l’Italia, che si accentueranno soprattutto
dopo il 1948, ebbe qualche ripercussione anche all’interno del
governo sammarinese di cui sappiamo qualcosa grazie al “Nuovo
Titano”, periodico del Partito Socialista. Nell’edizione uscita il
31 agosto leggiamo un articoletto di critica ai giornali italiani,
rei di essersi sbizzarriti con “ammirevole unanimità” a dare grande
risalto alla burla ferragostana, che alla fine era “naufragata nelle
dolcissime acque di Riccione”. “Noi riteniamo che sia stato meglio
così, perché non si sa mai come vadano a finire gli scherzi, specie
quelli che possono creare la prevenzione e il sospetto di un
originario intento di derisione”.
Il progetto d’invasione, ovvero “la rientrata avventura burlesca”,
aveva stranamente creato troppa eco, ma la popolazione sammarinese
“sarebbe stata al giuoco, specialmente la gioventù studentesca del
luogo, la quale probabilmente si sarebbe indotta a fare una
letizievole controparte”, se l’invasione fosse andata a buon fine.
L’articolo chiarisce che il governo sammarinese non aveva fatto
pressioni sulle autorità italiane “per evitare lo scherzo
poco…repubblicano della gioventù studiosa bolognese e per bloccare
al nostro confine la napoleonica mascherata”. Le pressioni erano
invece giunte da “qualche funzionario straniero che continua a dar
prova di criteri strategici e tattici poco brillanti”.
La piccola polemica proseguì pure nei mesi successivi; infatti nel
numero del 12 ottobre del periodico socialista si tornò sulla
goliardata con un trafiletto più stizzito dell’articolo precedente:
“Noi che avevamo dapprima sorriso allo scherzo, ora ci sentiamo
alquanto indisposti, perché nella persistenza del medesimo, da parte
di questi sciocchi e vuoti perdigiorno, c’è un sottinteso di
derisione e di sfregio che non ci va a fagiolo. E’ semplicemente
pietoso che la stampa italiana si presti a dare pubblicità a queste
insolenti cretinerie”.
Una seconda azione goliardica ai danni di San Marino fu organizzata
qualche anno dopo: nel
1956, all’interno della Cesta, la seconda torre, fu aperto il museo
delle armi per creare un’ulteriore attrattiva a vantaggio dei
turisti che salivano sempre più numerosi sul Titano. Durante il suo
allestimento, “di un nuovo sfregio da parte di idioti e
inconsapevoli elementi universitari italiani, è stato fatto oggetto,
ancora una volta, il nostro paese che ancora ricorda una beffa
organizzata da studenti dell’Ateneo bolognese, beffa che se non
fosse stata sventata dalla polizia italiana, si sarebbe conclusa qui
con un finale di busse a tutta orchestra”, ci racconta in un altro
articolo il “Nuovo Titano”, sempre ricco di notizie spicciole sulla
vita quotidiana sammarinese.
Nella notte del 13 aprile penetrarono all’interno della torre alcuni
universitari di Bologna, che il “Resto del Carlino”, “sempre
in prima fila quando si tratta di offendere la Repubblica”, dichiarò
essere appartenenti al Feudo Goliardico Romagnolo, gruppo
prevalentemente di studenti provenienti da Ravenna. La torre era
abitualmente incustodita, per cui fu gioco facile scardinare una
porta, entrare negli spazi del museo, e appropriarsi di un mortaio,
una colubrina e una spingarda, tutte armi del XVII secolo.
“Dopo la sciocca impresa priva di qualunque stile e scopo se non
quello di irridere a quel carattere storico del nostro paese che
rende pensosi e ammirati gli spiriti più colti, se la sono data a
gambe col favore del buio, mentre l’onesta e laboriosa popolazione
di San Marino dormiva in pace”.
Il “Carlino” specificò inoltre che i “simpatici giovanotti,
mascherando l’oltraggiosa rapina sotto la parvenza di una beffa
gioviale”, volevano “chiedere un riscatto per consumare una
scorpacciata alla quale conviterebbero anche i rappresentanti del
governo sammarinese”; ma erano cascati male. “Peccato che a San
Marino, forse per mancanza di umorismo e di buon gusto, nessuno sia
disposto ad associarsi al giubilo di queste giovani speranze della
cultura e della patria”: infatti erano stati denunciati per furto
con scasso, “non foss’altro per aver modo di constatare che questi
capiscarichi sono a tempo perso delle giovani reclute delle correnti
reazionarie italiane, che ce l’hanno col governo popolare della
nostra Repubblica”.
Se le tensioni politiche tra Italia e San Marino nel 1947 erano agli
inizi, nel 1956 stavano invece raggiungendo il loro apice, per cui
il governo socialcomunista che reggeva le sorti della Repubblica
tendeva spesso a leggere gli eventi imprevisti provenienti da fuori
confine come reazionari e clerico/fascisti, ovvero in chiave
prettamente politica, certamente non umoristica.
La faccenda alla fine si concluse bonariamente, ma senza pasti
pantagruelici: tramite il consolato sammarinese di Bologna, gli
studenti fecero riavere le armi al museo della Cesta insieme alle
loro
scuse.
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