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Aspetti economici e sociali di San Marino in epoca contemporanea

 

 

Nella seconda metà dell'Ottocento più dell'80% della popolazione sammarinese lavorava la terra, mentre artigiani, operai, commercianti erano circa solo il 10%. Nel 1908 la situazione stava dando segni di mutamento, ma ancora più del 70% della gente lavorava la terra. Negli anni successivi la fuga dalla campagna si accentua sempre più, tanto che nel 1947 la percentuale dei sammarinesi occupati a fare i contadini si è ridotta ormai al 41%, cifra che si ridimensiona ancora ulteriormente e drasticamente fino ad arrivare all'8,5% nel 1974. Tra il 1958 e il 1972 si passa da 4.212 addetti a 1329 (tra proprietari e lavoratori dipendenti). Il governo cerca di arrestare la fuga dalle campagne, soprattutto per evitare l’ingrossamento del bracciantato e della classe operaia, ma inutilmente. Nel 1964 sono 1257 i lavoratori che lavorano a tempo pieno la terra, e 875 quelli che hanno anche altri lavori. Tra il 1958 e il 1968 le famiglie agricole passano da 828 unità a 339. Nel 1998 esistono ormai solo 233 imprese agricole con 251 addetti impiegati.

In meno di un secolo, insomma, la società sammarinese si trasforma in maniera radicale, perdendo la sua dimensione prevalentemente rurale per acquisire una fisionomia più moderna e consona alle trasformazioni che stavano avvenendo anche in Italia. Molti ex contadini trovano ora lavoro nell’edilizia, grazie alla consistente politica dei lavori pubblici avviata alla fine del secolo con la costruzione di strade, infrastrutture, palazzo pubblico, ecc., e proseguita poi dai fascisti con la costruzione della ferrovia tra il 1928-32, con la trasformazione urbanistica di Città, con l’investimento in altre importanti opere infrastrutturali. Anche negli anni ’60 e successivamente si assiste ad un massiccio boom edilizio, con nascita di numerose imprese edili, e ad una rapida cementificazione del territorio (sorgono 740 nuove case tra il 1958 e il 1963; altre 951 tra il 1964 e il 1968).

Agli inizi del Novecento, per potenziare l’economia sammarinese e dare lavoro al vasto mondo operaio, si cerca di avviare anche l’industrializzazione locale promuovendo l'istituzione di fabbriche tramite la creazione di premi e agevolazioni legislative per attirare imprenditori, ma inutilmente. La carenza di materie prime, di fonti energetiche a buon prezzo, e di un sistema viario moderno tengono lontani gl'industriali. In questo periodo c'è solo una fornace di laterizi, due tipografie, una fabbrica di fiammiferi, qualche produttore di ceramica, uno stabilimento vinicolo.

Il processo industriale interno inizia invece fra le due guerre, favorito dal miglioramento dei trasporti, dall'avvio del turismo, dall'espansione dei lavori pubblici, da una serie di leggi fiscali e di altro genere fatte per favorire gl'imprenditori. In genere nascono piccole fabbriche tessili, edili, calzaturiere, di fisarmoniche, che vengono impiantate a Gualdicciolo e a Dogana. Nel 1937 a Dogana sorge anche uno stabilimento tessile di dimensioni più ampie, dove potevano lavorare circa 2000 operai.

Nel 1945 c'erano 20 fabbriche con 500 impiegati, e si costituisce anche l'associazione industriali e artigiani, segno dello sviluppo in atto. Nel 1957 sono però ancora solo 24 con 610 addetti. Nel 1963 diventano invece 61 con 1958 addetti. Nel 1974 operano in Repubblica 92 industrie che occupano 2.711 lavoratori, numeri che crescono notevolmente negli anni seguenti con l’aggiunta di altri lavori e servizi. Infatti nel 1998 ci sono 652 industrie manifatturiere che impiegano 5641 addetti, 345 industrie di costruzioni che occupano 1486 addetti, 1352 imprese commerciali che danno lavoro a 3105 addetti, 141 imprese legate ai trasporti e alle comunicazioni che impiegano 364 persone, 46 banche e assicurazioni che danno lavoro a 484 persone, 1166 tra liberi professionisti, enti, servizi vari che impiegano 1752 persone. Nel 1969 ci sono ormai sul territorio 1049 licenze commerciali al dettaglio e 720 negozi, di cui 383 in Città. Ci sono anche 55 commerci all’ingrosso e 14 ambulanti. Nello stesso anno ci sono anche 364 artigiani (32 meccanici o carrozzieri, 31 falegnami, 27 camionisti o taxisti, 12 ceramisti, ecc.), 199 piccole imprese non artigianali, 86 società.

Tra il '57 e il '63, grazie ad una serie di leggi varate per agevolare l’artigianato, le attività artigianali passano da 71 a 293, e gli addetti da 307 a 980. Negli stessi anni si concedono anche 842 licenze commerciali, e circa 1700 persone trovano lavoro nei diversi commerci.

Per quanto concerne l’attività turistica, nei primi decenni del secolo s'incominciano a produrre cartoline e qualche prodotto per i turisti, ma lo sviluppo del settore è fenomeno prevalente della seconda metà del secolo, tant’è che nel 1949 sono appena 200.000 i turisti che visitano la Repubblica, cifra che sale ad un milione nel ’55, a 2.152.000 nel 1968, (ci sono ormai 24 alberghi con 869 posti letto; nel 1957 erano solo 8 con 206 posti letto), a 2.584.000 nel 1973, a 3.368.159 nel 1995, numero che negli anni successivi registra una leggera flessione.

Accanto a questa profonda metamorfosi strutturale della società di San Marino, tra Otto e Novecento si assiste ad una grossa evoluzione demografica della popolazione locale. Infatti a fine Settecento i residenti in territorio sono 3.300 circa, nel 1865, data del primo 1° censimento ufficiale, sono già 7.080,  nel 1905 il numero cresce fino ad arrivare a 9.600 residenti, nel 1921 sono arrivati alla cifra di 11. 200, e a fine secolo sono ormai alle soglie dei 30.000.

I motivi di questa crescita sono svariati, ma prevalentemente legati al miglioramento della medicina e dell’igiene, con conseguente riduzione o totale scomparsa di malattie letali del passato (epidemie, colera, tifo, ecc.), e miglioramento dell’alimentazione con eliminazione delle ricorrenti carestie.

Alla fine della 2a guerra mondiale San Marino decolla come zona franca, ovvero luogo dove era possibile godere di vantaggi di natura fiscale. Nel 1945 va al potere il governo social/comunista. Vi sono comunque grosse difficoltà finanziarie per lo Stato sammarinese a causa dei continui boicottaggi da parte italiana che, in clima di piena guerra fredda, non tollerava ai vertici della Repubblica un governo composto da socialisti e comunisti. Nel '49 per far fronte agli impellenti bisogni finanziari viene aperta una casa da gioco, ma nel '50 l’Italia blocca i confini sammarinesi, impedendo o rallentando i traffici commerciali, e inducendo varie fabbriche locali a chiudere. La situazione torna alla normalità solo dopo i fatti di Rovereta del 1958 e la caduta del governo social/comunista. Gli USA a quel punto donano l’acquedotto, vengono pagati i danni di guerra che la Repubblica aveva subito col bombardamento, e ci si accorda con l’Italia per la costruzione della superstrada, così come viene aumentato il contingente dei tabacchi a vantaggio della Repubblica (nel 64/65 canone doganale e tabacchi rappresentano il 34% delle entrate statali; un altro 40% è dato dai francobolli e dalle attività connesse al turismo).

Dagli anni Settanta la riforma fiscale in Italia e l’introduzione dell’IVA favoriscono indirettamente l’economia sammarinese, così come negli anni 80/90 San Marino beneficia di una forte importazione di denaro da parte degli imprenditori italiani per gli interessi bancari più elevati che concede e perché permette di sfuggire ai controlli fiscali italiani. 

 

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