Don Elviro
Quando ripenso a Don Elviro, ed ogni tanto mi capita per la stima e
l’amicizia che ancora nutro nei suoi confronti nonostante gli anni,
ormai tanti, trascorsi dalla sua scomparsa, mi si presenta alla
mente un faccione sorridente e mite, con una spaziosa fronte appena
appena toccata da un impertinente ciuffo biondo ribelle.
E nelle orecchie riascolto un “Lascia andé…”
sussurrato; due parole che gli ho sentito dire un’infinità di volte,
sempre con tono tra l’ironico e il canzonatorio, mai per troncare
discorsi, seri o faceti (soprattutto faceti) che fossero.
Don Elviro era una brava persona, uno di quegli uomini che ti
aspetti di vedere sempre tra la gente per dare una mano, portare una
parola di conforto, fornire assistenza. Magari per bere un goccio di
vino o giocare una partita a carte.
L’ho conosciuto quand’ero ragazzino, a Rocca Pietore, nella colonia
montana di San Marino che oggi, purtroppo, è chiusa e priva dei
tanti clamori che l’animavano.
Durante l’estate si trascorreva qualche settimana tra le Dolomiti
con Don Elviro, Don Clemente e altri che oggi non ci sono più, o
sono persone mature, lontanissime da quei momenti che appartengono,
per tutti coloro che ancora li conservano nel cuore, ad un periodo
perduto della loro esistenza, quasi ad un sogno giorno dopo giorno
più vago.
Ecco: Don Elviro lo conservo in me come un sogno, con la sua voglia
costante di ridere, scherzare, cantare, ma anche con la profonda
serietà che lo caratterizzava quando svolgeva la sua missione di
sacerdote, quando diceva messa e sollevava l’ostia consacrata al
cielo, che nelle sue mani, in quell’istante, appariva pesantissima,
quasi un macigno.
Durante le funzioni religiose Don Elviro era molto serio,
assolutamente consapevole che nella vita si può ridere e scherzare
su tutto, ma non sul sacro, a cui si era dedicato in toto, in cui la
sua anima stava immersa con letizia, che gli ha dato la forza di
superare le ultime fasi della sua vita, quelle della malattia che lo
ha consumato fino a portarlo via prematuramente, le fasi in cui
anche il suo eterno sorriso era divenuto, per forza di cose, velato
e dimesso.
Mi sono fatto sposare da Don Elviro: un po’ per l’amicizia e
l’attaccamento che nutrivo nei suoi confronti, un po’ per la grande
sacralità che sapeva dare alle cerimonie religiose che celebrava.
Oggi lo conservo nelle foto di quel giorno e nei ricordi delle
esperienze vissute insieme.
Naturalmente anche in quel meraviglioso “Lascia andé…”, che
mi par di sentir sussurrato pure ora.
Forse mi sta leggendo da qualche luminoso angolo del Cielo mentre
gli dedico queste poche righe.
Ovviamente col suo usuale sorrisino tra l’ironico e il canzonatorio…
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