Pagina Iniziale

 

Lo sviluppo della cultura risorgimentale a San Marino

 La Repubblica di San Marino è stata sempre fortemente immersa nella cultura, nelle consuetudini e nelle peculiarità sociali dell’area geografica in cui nei secoli si è sviluppata come enclave.

Tuttavia alcune sue caratteristiche mentali di fondo, vere e proprie categorie kantiane del modo di pensare del sammarinese medio, come, per esempio, il concetto di libertas, che da secoli viene esaltato e manifestato in ogni occasione possibile, o la fede viscerale nel leggendario santo fondatore dal triplice volto (mistico, politico, lavoratore), o, a partire dal XV secolo, il concetto di repubblica e, di conseguenza, quello di repubblicano e di democratico, si sono frequentemente combinate con le istanze ideologiche e politiche importate dal circondario.   

Anche la cultura risorgimentale, pervenuta ai sammarinesi dall’esterno dei loro confini, soprattutto come prodotto importato dai tanti rifugiati nascostisi sul suolo del piccolo Stato, ma anche dai rari studenti locali che cercavano di diplomarsi o laurearsi negli istituti della penisola italiana, venne plasmata e corroborata da elementi e istanze autoctone già esistenti in precedenza.

Il momento in cui tale cultura iniziò a germinare fu senz’altro il periodo napoleonico, che per San Marino ebbe avvio nel 1797. Nel febbraio di quell’anno, infatti, i Reggenti dovettero intraprendere rapporti con l’armata napoleonica, ormai padrona di tutto il circondario, per cercare di preservare la mitica indipendenza del loro paese[1].

I francesi, per buona sorte dei sammarinesi, videro nella piccola Repubblica un esempio che non poteva essere annichilito proprio da loro, acclamatori di quel modello politico, per cui optarono di preservarla e di rispettarla fornendole poi chiari segni di stima ed amicizia. Inoltre donarono molto di più: il primo riconoscimento ufficiale e internazionale della dimensione statale della vetusta Repubblica.

«Questa è la prima volta che, distinti dalla turba vile dei servi, abbiamo ricevuto un onore che era riserbato alla vostra grande Nazione di conferirci», scrisse la Reggenza al comando francese il 12 febbraio 1797[2].

Infatti Roma non aveva mai accettato le velleità indipendentistiche dello Stato sammarinese, considerandolo, invece, un semplice suo feudo che godeva di qualche privilegio generosamente concesso nel tempo, come sottolineerà in un suo testo edito proprio durante il periodo risorgimentale Carlo Fea, un alto funzionario pontificio[3].

L’avventura del Bonaparte fu temporanea, tuttavia dopo la sua caduta e lo smantellamento di quanto aveva creato in Europa, l’essere stati «distinti dalla turba vile dei servi» ebbe un notevole peso sulla mentalità dei sammarinesi, ora ancor più convinti del loro diritto a considerarsi autonomi.   I rapporti con lo Stato Pontificio si fecero per tale motivo sempre più conflittuali, anche perché il suolo sammarinese diventò rifugio frequente ed abituale dei fuoriusciti politici, in fuga dai fallimenti dei vari moti risorgimentali, che divenivano così bandiere viventi dell’indipendenza della Repubblica e del suo diritto di dar rifugio a chiunque.

E’ bene inoltre evidenziare che gli ideali illuministi importati dai francesi incisero profondamente su un gruppo di giovani locali, che iniziarono un’opera di contestazione nei confronti dei governanti sammarinesi giungendo addirittura a minacciare di dar fuoco al Palazzo Pubblico con tutti i consiglieri al suo interno[4].

La protesta si sviluppò soprattutto perché il Consiglio Principe e Sovrano della Repubblica, il suo massimo organo politico, dal 1600 scaturiva da cooptazione, per cui nei secoli era divenuto prettamente oligarchico e retto sempre dalle stesse famiglie, che poi si erano anche auto nobilitate.

Ai tempi di Napoleone e durante l’epoca risorgimentale San Marino era dunque più una repubblica di nome che di fatto: questo aveva già determinato contestazioni interne nei confronti del governo nel 1737, addirittura con velleità da parte di qualche oppositore di voler riconvocare l’antico Arengo dei capifamiglia non più riunito dal 1571, dando in tal modo il pretesto al cardinale Giulio Alberoni per l’invasione attuata nel 1739[5].

Nel giugno del 1797 riemerse una polemica con aspetti in parte analoghi: un gruppo di giovani avanzò reclami e contestazioni al Consiglio, insieme alla richiesta di abolire la nobiltà, ritenuta assurda in una realtà repubblicana.

La vicenda durò qualche mese senza portare a nulla se non alla persecuzione e incarcerazione dei contestatori. Tuttavia, sebbene questo episodio rimanesse circoscritto a pochi individui e debba ritenersi solo prerisorgimentale, è interessante perché contiene al suo interno quegli elementi di polemica e contestazione tipicamente locali che ritroveremo anche durante le turbolenze risorgimentali e fino all’Arengo del 1906: in particolare l’ostilità verso i nobili, ovvero gli oligarchi che dominavano la politica sammarinese, e il desiderio di ripristinare l’Arengo dei capifamiglia per rifare le regole politiche e ristrutturare il Consiglio in maniera più democratica e consona alla tradizione repubblicana del passato.

Passando ora ad esaminare gli anni risorgimentali, va rilevato che anche San Marino fu indotto a interessarsi ai problemi ideologici e politici del periodo a partire dai moti del 1820-21 perché, col loro fallimento, vari rivoltosi si nascosero all’interno dei confini sammarinesi per salvarsi[6].

Qui trovarono facile scampo in quanto San Marino non aveva un sistema di vigilanza accurato attorno ai propri confini, né al loro interno, ed anche perché potevano contare sull’ospitalità di molti residenti, disinteressata o no che fosse.

Le autorità sammarinesi si dimostravano tolleranti coi rifugiati che, se non recavano disturbo o fastidi, potevano sostare sul suolo sammarinese a loro discrezione, a meno che altri Stati non ne chiedessero l’estradizione per reati documentati. In questo caso, per non doverli catturare e consegnare, il più delle volte si preferiva avvisarli di lasciare il territorio per tempo. Diversi rifugiati giunsero addirittura ad accasarsi in Repubblica sposando donne del posto.

Tali comportamenti garantisti nei confronti di questi individui non erano affatto graditi a Roma, che all’interno del territorio sammarinese poteva contare sempre su anonimi, ma convinti sostenitori, i cosiddetti “sussurroni”, come venivano definiti all’epoca.

Proprio da qualcuno di questi nel 1823 venne spedito al papa un “libello infamatorio”, pieno di accuse velenose verso San Marino, dipinto enfaticamente come un «nido di perversi fuggiaschi delittuosi e ribelli; salvezza di rei che pagano la locale autorità»; dove vi era «perenne disordine nell’amministrazione pubblica, miscredenza e irreligione, ove covansi gli odi, le frodi ed il mal costume, ove l’insubordinazione è la guida dei prepotenti cittadini, che sotto simbolo d’indipendenza tramandano l’uno all’altro il comando»[7].

L’oscuro autore alla fine chiedeva espressamente l’inglobamento della Repubblica nello Stato Pontificio, pensiero da sempre accarezzato dal papato che, non a caso, fece dare alle stampe nel 1834 il volume di Fea di cui si è detto, dal titolo privo di qualunque ambiguità.

La situazione in seguito si normalizzò, ma col fallimento dei moti del 1830/31 e dello Stato delle Province Unite che si era instaurato per un certo periodo nell’Emilia Romagna, il suolo sammarinese divenne nuovamente un nascondiglio per molti rivoltosi.

Soprattutto Borgo Maggiore era un rifugio prediletto e assai frequentato perché sede di mercato settimanale e periodicamente di importanti fiere, nonché luogo in cui vi erano locande, camere, botteghe e possibilità di sopravvivenza per chi doveva starsene lontano da casa a lungo, e dove si poteva più facilmente venire a conoscenza delle novità che accadevano nel mondo.

I profughi, entrando in contatto con persone e gioventù del luogo, divenivano un naturale veicolo d’informazione per tutti, ma anche di condizionamento per chi rimaneva affascinato dagli ideali e dalle aspirazioni che li animavano.

Non a caso furono proprio alcuni giovani di Borgo Maggiore coloro che aderirono con maggior slancio ai moti risorgimentali, e anche con tragico fanatismo, come si dirà fra breve.

In effetti una lettera del 17 aprile 1831, scritta dal secondo Reggente, Biagio Martelli, al primo, Lodovico Belluzzi, ci permette d’intuire quanto l’influenza culturale da parte dei profughi stesse cominciando ad incidere sulla gioventù locale[8].

Martelli riferiva che un gruppo di borghigiani si era con lui lamentato perché non gradiva «i complotti e le adunanze che si fanno in Città e in Borgo fra i paesani e i forestieri, tanto nelle case che sulle strade o piazze parlando contro il S. Padre e le Truppe Tedesche».

Inoltre costoro ce l’avevano con Bartolomeo Borghesi, il famoso numismatico di Savignano rifugiatosi per motivi politici a San Marino fin dal 1821, considerato «causa vivente dei disordini e dei mali costumi introdotti in Repubblica», per di più corruttore della gioventù. Si dimostravano ostili pure nei confronti di Francesco Parenti Righi, giovane farmacista locale, definito «ribelle della Patria» perché aveva «preso le armi contro il S. Padre».

Dalla stessa lettera si evince che altri giovani avevano preso parte ai moti romagnoli, senza però che ne vengano definiti numero e nome.

Sempre del 1831 è un’interessante indagine giudiziaria aperta dal commissario delle legge sammarinese per appurare se fosse vero che erano state fabbricate a San Marino, e poi vendute ai rivoltosi, 3.000 cartucce per armi da fuoco, che proprio Borghesi avrebbe fornito a qualcuno. Alla fine, però, l’indagine non approdò a nulla di concreto, ma alcuni testimoni tra quelli interrogati per scoprire i fatti confermarono che vi era malanimo dei borghigiani verso i rifugiati, per le idee che stavano divulgando, e qualche individuo locale bollato come fanatico[9]

Nel periodo, inoltre, pare si stesse tramando di costituire in loco un gruppo affiliato alla Giovine Italia di Mazzini, che in San Marino vedeva un sito ideale sia da un punto di vista propagandistico, sia geografico, perché posizionato al centro della penisola italiana. Tale notizia, tuttavia, è scarsamente documentata e avrebbe necessità di ulteriori indagini.

Altri segni di questa nascente cultura risorgimentale tra i sammarinesi sono rintracciabili in maniera sporadica, ma crescente per gli anni seguenti.

Nel 1832 il parroco di Serravalle giunse a istigare dal pulpito i suoi fedeli contro i liberali rifugiati sul suolo sammarinese e i loro amici locali[10].

Sempre nello stesso anno le autorità pontificie scrissero a quelle sammarinesi una lettera minacciosa affinché i rifugiati affiliati alla Giovine Italia nascosti in territorio venissero immediatamente espulsi. Lettere simili sono ricorrenti nel periodo, ma in genere conseguivano solo l’effetto di tenere in fibrillazione per un certo periodo le autorità sammarinesi, perché i rifugiati per un motivo o un altro riuscivano quasi sempre ad evitare di essere consegnati ai gendarmi del papa.

Nell’agosto del 1834 Domenico Maria Belzoppi, destinato a divenire un importante politico locale (sarà colui che come Reggente accoglierà Garibaldi nel giorno del suo scampo a San Marino), venne arrestato in territorio pontificio e incarcerato per sei mesi perché accusato di essere un cospiratore, membro di una setta segreta, in quanto addosso gli fu ritrovato un documento di indole liberale.

Negli anni seguenti si tornò ad una certa calma, anche se nel periodo crebbe il fascino verso gli ideali risorgimentali da parte di altri sammarinesi. Infatti nel 1845 tredici giovani furono presenti ai moti di Rimini capeggiati da Pietro Renzi. I loro nomi ci sono noti perché vennero obbligati dalla Reggenza a giustificare la loro partecipazione dinanzi al commissario della legge sammarinese[11]. Altri, di cui sono pervenute solo flebili testimonianze, all’epoca rimasero invece ignoti.

Nel 1846 questi giovani avevano ormai normalizzato la loro situazione con le autorità repubblicane, mentre ancora con quelle pontificie sussistevano dissidi e pericolo di arresto.

Anche per i moti di Rimini del ’45 pare che si fabbricassero cartucce in Borgo da parte di Giuseppe Pasqui, fratello maggiore di Luigi di cui si dirà fra breve.

Nel 1848 parteciparono sicuramente alla prima guerra d’indipendenza 18 sammarinesi. Altri nominativi ancora li conosciamo come presenti ai moti del 1849 e all’esperienza della Repubblica Romana[12].

La documentazione storica che ci è pervenuta permette di capire che fino a questo momento i ribelli sammarinesi combattevano per l’unità d’Italia alla stessa stregua dei loro cugini italiani senza velleità riformatrici localistiche. Il 19 marzo 1848, tuttavia, ovvero appena cinque giorni dopo la pubblicazione del nuovo statuto dello Stato Pontificio, venne dato alle stampe un opuscolo intitolato Riforme e miglioramenti necessari ed indispensabili per la successiva morale politica esistenza della Repubblica Di San Marino la più antica di Europa, da cui risulta evidente che la nuova effervescenza culturale di indole risorgimentale si era ormai congiunta alle istanze legate ai problemi materiali della società sammarinese[13].

Aldo Garosci liquida tale documento come «strampalato»[14], tuttavia non si può essere pienamente d’accordo con un giudizio così sommario se si esaminano le polemiche e i dissensi tipici della società sammarinese dei decenni precedenti.

Infatti buona parte delle 51 richieste contenute al suo interno non sono affatto bizzarre, perché se può essere vero che alcune scaturirono dalla pura fantasia degli anonimi autori, e poche altre dalla cultura risorgimentale del momento, in particolare dalle teorie di Gioberti, per la maggior parte, invece, erano legate al malessere della società sammarinese e riprendevano nella loro logica istanze e contestazioni già emerse nel 1737, nel 1797, nel 1823. 

Anche nell’opuscolo in esame i mali sammarinesi erano imputati a un sistema politico oligarchico, a una gestione sociale elitaria, alla nobiltà, all’esigenza, che si farà sempre più forte e pressante nella seconda metà dell’Ottocento, di uscire dalla dimensione rurale e isolata in cui da secoli San Marino si trovava, così da potersi modernizzare secondo le nuove spinte politiche e sociali che stavano circolando[15].

Diverse di tali richieste, come quella legata alla volontà di tornare ad un sistema costituzionale più democratico e alla riunione periodica dell’Arengo dei capifamiglia, o di rendere trasparenti i bilanci dello Stato, discendevano da quella tradizione latente di mentalità repubblicana e riformista che già aveva fornito più volte segni di sé in precedenza.

Riguardo alle istanze prettamente risorgimentali, il documento si limitava a sollecitare la creazione di un corpo di militi sammarinesi da mettere a disposizione di Pio IX, e a controllare l’ingresso in territorio dei rifugiati politici per verificare chi fosse degno di rimanere e chi no.

Le restanti richieste, invece, nascevano dalla volontà di migliorare tangibilmente la gestione politica e la situazione sociale della Repubblica.

Il momento in cui la cultura risorgimentale raggiunse il suo apice tra i sammarinesi fu dopo il 31 luglio del 1849, giorno dello scampo di Garibaldi e della sua armata sul territorio della Repubblica mentre erano in fuga dal crollo della Repubblica Romana.

La vicenda è nota e fin troppo decantata, per cui rimando alla lettura dei testi già citati. Meno noto è che tra i legionari garibaldini militavano anche alcuni sammarinesi, tra cui quel Luigi Pasqui che ho già menzionato, e l’amico Marino Giovannarini, i cui nomi sono entrati nella storia locale perché nel 1853, in un giorno senz’altro non scelto a caso, cioè il 14 luglio, tramite un agguato dal chiaro sapore politico e sovversivo, uccisero con un colpo di arma da fuoco il Segretario Generale di San Marino, ovvero colui che, tramite incarico a vita, ne era l’esponente politico di spicco sedendo sempre ai vertici del piccolo Stato.  

Non mi è possibile in questa sede entrare nei dettagli dell’omicidio, per cui rimando al libro che ho scritto in proposito[16]. In sintesi si può dire, comunque, che, dopo l’episodio garibaldino, la Santa Sede era divenuta sempre più intollerante verso la Repubblica, accusata di essere troppo indulgente e protettiva con rivoluzionari e rifugiati, quasi di parteggiare per loro.

Il 25 giugno del 1851 per tali motivi inviò entro i confini sammarinesi i suoi gendarmi insieme a 3.000 soldati austriaci alla caccia dei 400 rifugiati che ipotizzava dimorassero al loro interno.

In realtà ne vennero catturati solo 35 perché di più non ve n’erano, ma i modi spicci ed arroganti usati con la popolazione lasciarono strascichi velenosi e forti malumori.

Inoltre gli animi dei giovani liberali locali, amici degli arrestati e convinti che i governanti fossero stati troppo arrendevoli e sottomessi verso i papalini, rimasero surriscaldati e bramosi di vendetta.

Già un anno prima lo studente Giacomo Martelli, che sarà implicato nel delitto Bonelli e in altri due delitti successivi legati in qualche modo a questo, aveva scritto una lunga lettera accusatoria verso i governanti in cui, elencando tutti i mali della Repubblica, più o meno sempre gli stessi già indicati dai documenti citati, affermava perentoriamente: «La Gioventù è stanca ormai di vedersi accasciata sotto il peso di questo tiranno giogo. Conosce cosa in se (sic) racchiude il nome di Repubblica. Ha separato (…) i lupi e le volpi dagli agnelli e dalle colombe. E guai, guai a voi se non ponete riparo!»[17].

Martelli era un mazziniano convinto, e lo rimarrà anche dopo essersi laureato in legge e dopo l’unificazione italiana, tanto da impaurire le stesse autorità del nuovo regno per le riunioni sospette che organizzava presso la sua abitazione con vari mazziniani del circondario reputati pericolosi[18].

Il pauperismo e la dimensione dimessa e arcaica del paese, la fisionomia oligarchica/nobiliare assunta dai suoi principali governanti, la latente mentalità democratica legata alla memoria repubblicana ereditata dalla tradizione culturale del passato, gli infiammanti ideali politici risorgimentali, tra cui quelli mazziniani, facili da assurgere a modello culturale per chi già viveva in un paese che si definiva repubblica, si miscelarono tra loro fino ad esplodere nell’assassinio di Giambattista Bonelli, senza dubbio il fatto più eclatante accaduto a San Marino durante il Risorgimento e per causa del Risorgimento.

Ma non finì con questo delitto. Dopo l’omicidio del Segretario di Stato, le tensioni di natura politica tra sammarinesi progressisti e quelli conservatori si acuirono determinando scontri, astiose diatribe e ben altri due omicidi: il 14 marzo 1854 venne accoltellato e ucciso in pieno giorno, a due passi da casa sua, il giovane neolaureato Gaetano Angeli, membro di un’importante famiglia nobile di San Marino, il quale da tempo si trovava in forte attrito con vari suoi coetanei in quanto non aveva abbracciato gli ideali risorgimentali e riformisti.

Il 26 agosto, sempre del 1854, venne invece ammazzato sulla piazza del Borgo, in pieno pomeriggio, il dottor Annibale Lazzarini, medico condotto di Città e circondario, figura malvista da diversi giovani per le accuse loro rivolte e gli atteggiamenti aggressivi e insolenti da lui assunti verso chi sospettava di essere schierato con coloro che volevano sovvertire l’ordine sociale.

La nuova cultura politica, frammischiatasi agli odi personali e ai desideri di vendetta, facili a svilupparsi in una società minuscola come quella sammarinese, nonché l’intolleranza per una situazione sociale ritenuta obsoleta, e per una dimensione oligarchica/nobiliare considerata capovolta rispetto alla mitica tradizione repubblicana di San Marino, alla fine avevano determinato tre omicidi, tutti legati ai nuovi ideali riformisti del momento, anche se il delitto Bonelli possiede una fisionomia politica e simbolica senza dubbio più marcata degli altri.

Ben difficilmente vi sarebbero stati tali delitti se non si fosse sviluppata tra un gruppo sparuto, ma molto deciso e arrabbiato, di giovani sammarinesi, sostenuti dai rifugiati in territorio, una cultura progressista e radicale d’ispirazione risorgimentale, soprattutto mazziniana.

Comunque il 1854 fu l’anno in cui la drasticità di tale cultura raggiunse il suo apice. Negli anni seguenti le acque si calmarono e le tensioni di cui si è detto si spensero gradualmente.

La Repubblica di San Marino, a cui giungeranno, dopo gli anni risorgimentali, da tanti italiani e stranieri doni e lodi come modello politico ideale, si avviò lentamente e con grande fatica, per le sue endemiche carenze economiche e sociali, sulla strada delle riforme grazie agli stimoli e alle periodiche contestazioni da parte dei gruppuscoli politici di indole repubblicana, anarchica e socialista in qualche modo generati dal dibattito culturale risorgimentale.

Furono questi gruppi che indussero le autorità sammarinesi alla convocazione dell’Arengo del 1906, altro fenomeno storico nato dall’amalgama di input culturali italiani ed internazionali e cultura repubblicana prettamente locale[19].


 

[1] Sul periodo napoleonico si veda in particolare: P. Franciosi, La Repubblica di San Marino durante il periodo napoleonico, Imola 1912; P. Boschi, La repubblica di San Marino durante la rivoluzione e l’impero francese, Torino 1894; P. Arzilli Rossini, un secolo di vita sammarinese (1748 – 1848), San Marino 1968; G. B. Curti Pasini, Ricerche sui rapporti della Repubblica di San Marino con i governi napoleonici in Italia, San Marino 1940; P.P.Guardigli, L’oligarchia sammarinese e l’Illuminismo; La Rivoluzione francese e Napoleone. Le ripercussioni a San Marino, in AAVV, Storia illustrata della Repubblica di San Marino, San Marino 1985, vol. 1. V. Casali, Pane,vino e ribellione, nuovi apporti storiografici sull’insurrezione del 1797, in Annuario della Scuola Secondaria Superiore, n. XXIV e n. XXV, a.s. 1996/97 - 1997/98.

[2] Lettera riportata in: M. Delfico, Memorie storiche della Repubblica di S. Marino, tomo II, doc. LIV, Napoli 1865.

[3] C. Fea, Il diritto sovrano della Santa Sede sopra le Valli di Comacchio e sopra la Repubblica di S. Marino, Roma 1834.

[4] V. Casali, Pane,vino e ribellione, nuovi apporti storiografici sull’insurrezione del 1797, cit.

[5] Sull’episodio si veda in particolare: C. Malagola, Il Cardinale Alberoni e la Repubblica di San Marino, Bologna 1886.

[6] Sul Risorgimento a San Marino cfr.: O. Brizi, Le bande garibaldine a San Marino, Arezzo 1850; P. Franciosi, Alcuni medaglioni sammarinesi, San Marino 1915; P. Franciosi, Garibaldi e la Repubblica di San Marino, Bologna 1891; M. Pelliconi, Il Risorgimento 1 e 2, in Storia illustrata della Repubblica di San Marino, vol. 1, San Marino 1985,; V. Casali, Il delitto Bonelli storia di un omicidio politico, San Marino 1992.

[7] Riportato da: P. Boschi, Antonio Onofri e le sue ambascerie, doc. V, Torino 1894.

[8] E’ riportata in: C. Franciosi, San Marino ospite suolo, pp. 40, 41, San Marino 1968.

[9] V. Casali, Un’indagine politica del 1831, in Annuario della Scuola Secondaria Superiore, n. XXIII, a.s. 1995/96.

[10] Quattro lettere inedite di B. Borghesi, in «Repubblica di S. Marino - Inaugurazione del nuovo Palazzo del Consiglio Principe Sovrano – 30 settembre 1894», Numero unico, lettera III.

[11] V. Casali, Il delitto Bonelli storia di un omicidio politico, cit., p. 88.

[12] Ibid., doc. 2.

[13] V. Incontri, Riforme e miglioramenti necessari ed indispensabili per la successiva morale politica esistenza della Repubblica Di San Marino la più antica di Europa, Roma 1848.

[14] A. Garosci, Mito e storiografia tra i libertini e il Carducci, Edizioni di Comunità, Milano 1967, p. 263.

[15] Sul periodo postrisorgimentale cfr. V. Casali, I tempi di Palamede Malpeli la Repubblica di San Marino nell’età della Destra Storica, San Marino 1994.

[16] V. Casali, Il delitto Bonelli storia di un omicidio politico, cit.

[17] Id., pp. 126 - 129.

[18] Cfr. V. Casali, I tempi di Palamede Malpeli la Repubblica di San Marino nell’età della Destra Storica, cit., pp. 125 - 131; V. Casali, Un ribelle di nome Giacomo, in «Il Nuovo Titano», n° 1, aprile 1994.

[19] Sull’Arengo del 1906 si veda: G. Dordoni, l’Arringo conquistato, San Marino 1993; V. Casali, Immagini dell’Arengo, Verucchio 1996; V. Casali, Ferme restando tutte le altre norme statutarie ovvero Arengo del 1906 e congelamento istituzionale, in Annuario della Scuola Secondaria Superiore, n. XXXII a.s. 2004/2005.

 

 

Copyright© 2004 Verter Casali