La prima
convenzione di buon vicinato tra Italia e San Marino
Dopo la seconda guerra d’indipendenza e l’unificazione di buona
parte della penisola italiana sotto Vittorio Emanuele II, San Marino
rimase per un certo tempo in forte fibrillazione perché non sapeva
quale sarebbe stato il suo destino, né se sarebbe rimasto
indipendente.
In realtà, per una serie di motivi legati proprio al mito di cui
godeva le Repubblica a livello internazionale, alla concreta e forte
protezione da parte di Napoleone III, che in quel momento storico i
Savoia non potevano permettersi di provocare ulteriormente, visto
quanto era successo durante la guerra appena combattuta, alla
simpatia che molti avevano verso il piccolo Stato, tra cui lo stesso
sovrano italiano, da parte del nuovo regno non si manifestò mai
l’intenzione di annettersi San Marino, ma solo di definire bene i
rapporti tra Stati confinanti, così da scongiurare i problemi che
una simile enclave avrebbe potuto provocare, come già era accaduto
nei secoli precedenti nei confronti dello Stato Pontificio.
Già nel 1860 i nuovi funzionari della corte torinese insediatisi
nelle città attorno a San Marino iniziarono a richiedere la rapida
stipula di un trattato di estradizione per riavere disertori e
ricercati, problema sentito come impellente per il gran numero di
costoro che trovavano temporaneo nascondiglio sul suolo della
Repubblica.
Nel mese di maggio fu lo stesso Cavour a scrivere una lettera
accusatoria nei confronti dei sammarinesi in cui sottolineava tali
problemi e richiedeva una maggiore vigilanza sui confini.
La situazione non era quindi tranquilla, anche perché l’Italia
attivò parecchie dogane intorno a San Marino che crearono difficoltà
ai commerci. Inoltre avvennero sconfinamenti da parte dei
bersaglieri alla caccia di ricercati, e cominciarono a girare nelle
zone limitrofe insistenti voci tese a chiedere l'annessione dello
Stato sammarinese al nuovo regno.
Le acque rimasero agitate anche nel 1861: verosimilmente il
conferimento della cittadinanza onoraria a Garibaldi e al presidente
americano Lincoln, avvenuto proprio nel medesimo periodo, fu una
conseguenza diretta di queste tensioni e dei concreti timori che
circolavano tra i sammarinesi.
Dopo l’improvvisa morte di Cavour avvenuta il 6 giugno, San Marino
intraprese colloqui con il suo successore, il barone Bettino
Ricasoli, che si dimostrò assai ben disposto verso il piccolo Stato,
pur rimarcando la necessità di porre un freno all’ingresso sul suo
territorio di ricercati e disertori, cosa che avvenne durante l’anno
grazie al varo di una nuova legge sammarinese sui rifugiati, e la
consegna di qualche arrestato.
La situazione non si calmò del tutto, comunque, perché un’altra
accusa che veniva rivolta a San Marino era quella relativa al
contrabbando dei beni di monopolio, ovvero sale, tabacchi e polvere
pirica. Alla fine del 1861 scoppiò un’acerba polemica tra i due
Stati in proposito ad ulteriore dimostrazione che la stipula di una
convenzione di buon vicinato era ormai improcrastinabile.
Nel gennaio del 1862 le autorità del Titano affidarono perciò al
conte Luigi Cibrario, un loro dotto consultore già altre volte
utilizzato per questioni di indole diplomatica, la supervisione alla
stesura del trattato. Nella seconda metà di febbraio fu inviato a
Torino il sammarinese Settimio Belluzzi per aiutare il Cibrario nel
disbrigo del delicato compito. Egli poi, tramite diverse lettere,
relazionò sullo svolgimento dei colloqui con i funzionari sabaudi,
finché il 16 marzo comunicò entusiasta che il trattato era ormai
compilato, e che sarebbe rimasta inviolata ed integra l’indipendenza
e la sovranità della Repubblica, facendo intendere chiaramente quali
fossero le reali trepidazioni dei sammarinesi. In effetti la
convenzione fu firmata pochi giorni dopo, il 22 marzo.
Questo trattato, composto da 30 articoli, dettagliava i rapporti di
natura giudiziaria e penale, quelli relativi alla consegna dei
disertori, ai beni di manomorta, ai passaporti, alla libera
circolazione delle merci, alla monetazione, alla salvaguardia dei
diritti d'autore, alla coltivazione del tabacco, vietato sul suolo
sammarinese, all'assegnazione di sale e tabacco.
Si chiudeva stabilendo che avrebbe avuto durata decennale, salvo
l'insorgenza di eventuali problemi, e che la Repubblica, per la
conservazione della sua antichissima libertà ed indipendenza, si
affidava all'amicizia protettrice italiana, rifiutando a priori
quella di altre potenze.
Al suo interno era senz’altro importante l’articolo 25 in cui,
rinunciando ad alcuni privilegi di natura commerciale, San Marino
riceveva come compenso un canone doganale di una certa entità
(19.080 lire), visto che i suoi modestissimi bilanci si aggiravano
mediamente sulle 34.000 lire.
Importante era anche l’articolo 24 che concedeva il diritto di
coniare una quantità di monete, ma ancor più fondamentale era il
valore politico della convenzione, perché finalmente la Repubblica
di San Marino riceveva dai suoi confinanti, per la prima volta senza
ambiguità e fraintendimenti, il riconoscimento ufficiale e solenne
della sua dimensione di Stato sovrano ed autonomo, sebbene soggetto
al controllo formale dell’Italia e ad un’amicizia protettrice che
poteva essere intesa da parte italiana, come in effetti poi in
alcune occasioni sarà, in senso restrittivo rispetto alla piena
libertà d’azione interna ed esterna che potevano reclamare i
sammarinesi.
Questa prima convenzione rimase in vigore fino al 27 marzo 1872,
quando fu emanata una seconda convenzione voluta dall’Italia per
dettagliare meglio alcuni aspetti soprattutto di natura fiscale.
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