I confini sammarinesi: una
barriera valicabile
Se col concetto di confine non
s’intende una semplice linea astratta visibile su una cartina
geografica, ma una concreta manifestazione della capacità di uno
Stato di tenere fuori dal suo territorio estranei e indesiderati, e
dentro i cittadini e le risorse, ovvero un chiaro fattore di
separazione tra il “dentro” e il “fuori”, allora è lecito affermare
che la Repubblica di San Marino non ha in pratica mai avuto confini
effettivi, se non a livello teorico e di principio, né ha mai
preteso, o avuto la reale possibilità, di renderli una concreta
frontiera separatoria tra se stessa e il mondo esterno.
Questa peculiarità ha reso
estremamente agevole per chiunque, nei secoli, giungere senza
complicazioni nel cuore della repubblica, sia amici che nemici. Ha
consentito ovviamente anche la pacifica, ma drammatica invasione dei
100.000 rifugiati bisognosi di riparo durante il passaggio del
fronte nel 1944.
Il processo di
formazione del territorio sammarinese è avvenuto nel corso del tempo
senza la reale volontà politica di creare limiti geografici evidenti
e chiaramente definibili.
Il territorio si è espanso
gradualmente nei secoli tramite patti, acquisti privati e contratti
enfiteutici, lasciando pertanto a lungo i confini dello Stato in
divenire, cioè vaghi e indeterminati.
Soltanto nel 1463 questi hanno
raggiunto l’attuale estensione grazie alle concessioni dei Castelli
di Fiorentino, Faetano, Montegiardino e Serravalle fatte da papa Pio
II come ricompensa per l’aiuto fornito dai militi sammarinesi nella
guerra contro Sigismondo Malatesta.
Tuttavia rimasero anche
all’epoca poco definiti lungo tutta la loro estensione, addirittura
con aree interne di cui ancora si doveva acquisire la piena
giurisdizione, come, per esempio, il Castello di Pennarossa che
rimarrà di pertinenza dei conti Bandi di Rimini fino alla fine del
XVII secolo.
Solo nella seconda metà
del Settecento, dietro iniziativa di papa Clemente XIV, deciso a far
ridefinire all’interno dello Stato Pontificio le proprietà di
confine in occasione di una nuova redazione dei catasti comunali, si
ebbe la terminazione
scientifica e particellare dei confini tra San Marino e i comuni
vicini, completata negli anni ‘70 di quel secolo.
Tale indeterminatezza ha
ovviamente generato nei secoli periodici scontri, anche sanguinosi e
feroci, con i vicini, in particolare con Verucchio che ne contestava
la definizione lungo le sue terre, e l’intervento puntuale dello
Stato Pontificio per dirimere le liti.
Fu quindi un processo di
espansione soprattutto proprietaria, non politica, a segnare il
confine sammarinese, che è sempre stato contrassegnato da pochi
elementi naturali stabili e ben evidenti, come corsi d’acqua o
altro, e da molti elementi naturali conosciuti solo localmente, come
il “sorbo del Ventoso” o gli “olmi di Rancale”, per limitarsi a soli
due esempi.
In definitiva si deve
parlare di un confine spesso invisibile, quindi comodamente
oltrepassabile, soprattutto perché i rari elementi naturali che nel
tempo lo hanno contraddistinto non hanno mai rappresentato una
barriera per chi avesse avuto l’intenzione di varcarli, e ancor più
perché i sammarinesi non si sono mai potuti economicamente
permettere presidi militari stabili e continuativi a difesa dei
tanti ingressi al loro suolo.
Nei momenti più
burrascosi o potenzialmente pericolosi, la vigilanza confinaria e
territoriale veniva delegata alla milizia locale, composta da
cittadini che non facevano i militari di professione e che erano
materialmente impossibilitati a custodire tutti i possibili
transiti.
Anzi, non di rado avvertivano il
servizio di vigilanza come un pesante fardello che toglieva tempo ed
energia alla loro vita lavorativa. Fin dai secoli più remoti della
storia sammarinese, quando i confini coincidevano praticamente con
le mura della Guaita, cioè la 1a torre, è copiosamente
documentato che era pratica abituale per i soldati sammarinesi
prendere multe o giorni di prigionia perché colti a dormire durante
il loro turno di guardia, quando non erano del tutto assenti.
La mancanza di elementi
naturali invalicabili, la carenza di barriere doganali presidiate,
l’invisibilità per molti chilometri della linea di confine, che
spesso attraversava nudi campi incustoditi, l’assenza di un corpo
militare idoneo a vigilare tutto il perimetro del territorio
sammarinese sono i motivi principali che hanno reso i locali confini
sempre facilmente sormontabili, rendendo così San Marino uno Stato
mai chiuso verso il suo “fuori”.
Occorre inoltre
sottolineare che per lunghi secoli i sammarinesi hanno mirato a
fortificare e preservare esclusivamente il centro storico: infatti
in caso di pericolo o attacco il contado veniva abbandonato a se
stesso, per cui i confini si concretizzavano solo sul cocuzzolo del
Monte Titano.
I confini del territorio
sammarinese, in conclusione, hanno nel tempo rappresentato una
barriera solo per chi si è proposto volontariamente di rispettarli.
Il primo che non ebbe
riguardo per i confini sammarinesi nella loro estensione attuale fu
Cesare Borgia che, tra il 1502 e l’anno successivo, dopo aver dato
la sensazione negli anni precedenti di non volerli varcare, occupò
invece con facilità il territorio del piccolo Stato, spostando
addirittura la capitale da San Marino Città a Serravalle. La morte
di suo padre, nonché suo grande mentore, papa Alessandro VI, lo
lasciò abbandonato a se stesso, per cui fu costretto a fuggire
allontanandosi da tutti i territori precedentemente occupati.
Il Cinquecento fu secolo
di grandi travagli per i confini sammarinesi sia perché nella
penisola italiana tutti cercavano d’ingrandire i propri regni, sia
perché l’espansione territoriale dei sammarinesi avvenuta nel 1463
non era stata da tutti accettata con favore.
Il primo deciso
tentativo di violare i confini sammarinesi dopo l’occupazione
borgiana avvenne il 4 giugno 1543 quando, senza che la cosa fosse
stata preannunciata da nulla, Fabiano da Monte, nipote del cardinale
Giovanni Maria Ciocchi da Monte, allora governatore di Romagna, che
diventerà in seguito papa Giulio III, con l'aiuto di 500 fanti e di
un contingente di uomini a cavallo tentò d'invadere San Marino.
Divise il suo esercito
in due parti: una doveva penetrare la Repubblica attraverso il
confine con Rimini, l’altra passando per il confine di Gualdicciolo.
L’invasione fallì solo perché una fitta oscurità notturna e una
nebbia impenetrabile impedirono ai due eserciti di ricongiungersi e
di attuare l’occupazione.
Un altro tentativo di
soggiogare San Marino fu quello attuato nel 1549 da parte di
Leonardo (o Lionello) Pio da Carpi, castellano di Verucchio, contro
cui inviarono aiuti militari il duca Guidobaldo II di Urbino e il
conte Fabrizio del Bagno, signore di Montebello, timorosi della
nascita di una nuova, minacciosa signoria sui loro confini.
L’avventura di Leonardo
Pio, pur rientrando nella logica tipica di molti potenti dell’epoca
di volersi creare un principato personale o potenziare quello già in
loro possesso, può spiegarsi anche con i lunghi e cruenti dissidi
che esistevano tra Verucchio e San Marino proprio per motivi di
definizione dei confini.
Un altro problema di
questo, ma anche di altri secoli, fu il banditismo, in quanto
ghenghe di malviventi, dopo aver vagato lungo il territorio
pontificio per attuare le loro malefatte, spesso si nascondevano
indisturbati dentro i confini sammarinesi.
Nel corso del ‘600
furono molteplici le delibere per arginare il fenomeno, a volte
favorito o alimentato anche dai locali per qualche tornaconto, ma il
brigantaggio rimase a lungo una piaga non da poco per la società
sammarinese, ed un puntuale motivo di polemica e contrasto con Roma,
che accusava San Marino di far troppo poco per prevenire il problema
e di non vigilare abbastanza su chi entrava o usciva dal suo
territorio. Questa accusa durerà tanto quanto lo stesso Stato
Pontificio, per poi essere ripresa da Cavour e dal neo regno
d’Italia.
Altra facilissima
invasione di San Marino fu quella del cardinale Giulio Alberoni nel
1739. Costui, in accordo totale con Roma, desiderosa di far
rientrare pienamente sotto il suo controllo politico una porzione
territoriale che considerava alla stregua di un suo feudo,
certamente non una repubblica indipendente, il 17 ottobre di quell’anno
varcò i confini sammarinesi accompagnato da pochi suoi funzionari,
convinto che avrebbe ricevuto la spontanea dedizione dell’intero
popolo sammarinese. In realtà ciò non accadde perché solo Serravalle
e Fiorentino sottoscrissero due atti di sottomissione verso il
cardinale e Roma, per cui l’Alberoni, durante la notte, fece
giungere in tutta fretta da Verucchio e Rimini alcune centinaia di
soldati pontifici che presero facilmente possesso di San Marino. Il
18 la Repubblica era totalmente nelle mani del cardinale.
San Marino rimase sotto il controllo
dei funzionari pontifici per qualche mese, ma l’invasione non aveva
lasciato indifferenti le corti europee e i tanti estimatori che San
Marino già aveva come più antico Stato del mondo, per cui il
pontefice, ricevendo pressioni da più parti, alla fine decise di
ripristinare l’indipendenza sammarinese.
Questa invasione più di
altre dimostra come i confini sammarinesi fossero del tutto
virtuali, e come la Repubblica potesse contare, per la sua
salvaguardia, solo sulla benevolenza degli altri. Le autorità, vista
la facilità con cui l’Alberoni aveva occupato il loro Stato, si
resero conto di avere necessità di un piccolo manipolo di soldati in
grado non tanto di presidiare i confini, ma almeno il Palazzo
Pubblico e il Consiglio Principe quando era in riunione. Nacque così
nel marzo del 1740 la Guardia del Principe, in seguito denominata
Guardia Nobile, composta all’epoca da soli dodici militi, scelti tra
i più esperti, capeggiati da due caporali.
Un altro corpo militare
creato in questi anni fu la Squadra di Soccorso, ovvero l’attuale
Guardia di Rocca, fondata nel luglio del 1754, non per proteggere i
confini, come qualcuno erroneamente ha scritto, ma per vigilare
sulla sicurezza della 1a torre, per sparare gli innocui
cannoni sammarinesi nei giorni festivi, per tenere in custodia gli
eventuali carcerati della prigione all’epoca esistente nella torre e
per svolgere altre funzioni ancora. Non potevano presidiare i
confini perché anche loro erano solo dodici, per cui era
materialmente impossibile che riuscissero a farlo.
Un caso in cui i confini
vennero per così dire rispettati avvenne dal luglio del 1786 fino
alla fine dell’anno quando il cardinale Valenti Gonzaga attorniò il
territorio sammarinese con un cordone di soldati pontifici per
impedire importazioni ed esportazioni di merci, nonché il libero
passaggio di chiunque. Lo Stato Pontificio era giunto a tanto per le
solite ricorrenti polemiche con San Marino, accusato di fomentare il
contrabbando, di gestirsi in maniera semianarchica, di essere un
rifugio fin troppo facile per banditi e nemici del papa.
In effetti nel 1785 si
era accampata in repubblica la temibile banda di Mason d’la Blona,
ovvero Tommaso Rinaldini della Bellona, che da qui si muoveva
periodicamente per fare razzie nel circondario. San Marino,
dichiarando la sua incapacità a liberarsi di tale masnada, troppo
ben armata e organizzata, nel 1786 optò di autorizzare lo
stazionamento di un presidio pontificio di trenta soldati
all’interno dei suoi confini: nel giro di pochi mesi la banda di
fuorilegge fu debellata e espulsa dal territorio. Il 10 giugno, dopo
sei mesi di permanenza dentro i confini sammarinesi, anche i soldati
pontifici smobilitarono, ma i malumori
di Roma nei confronti del Titano
rimasero, tanto da determinare il successivo blocco del territorio.
Un rispetto reale del suolo e dei
confini sammarinesi avvenne per opera di Napoleone Bonaparte, il
quale ebbe verso la piccola repubblica una sincera simpatia:
infatti, primo fra i potenti, la riconobbe come uno Stato a tutti
gli effetti.
Nell’Ottocento, secolo molto più
turbolento dei precedenti, la dimensione aperta dei confini di San
Marino fu ripetutamente messa in evidenza. Fino all’unificazione
italiana il suo territorio fu di fatto continuamente utilizzato da
rifugiati e rivoluzionari che vi si nascondevano senza grossi
problemi. Particolarmente indicativo della virtualità dei confini
sammarinesi è senz’altro l’episodio dello scampo di Garibaldi che,
pur invitato dalle autorità del Titano a starsene al di fuori del
territorio per non determinare problemi con Roma, ad un certo punto,
invece, vi entrò senza alcun ostacolo.
Questi furono anni di gravi tensioni
con le autorità papaline le quali, nel 1851, ordinarono un altro
accerchiamento dei confini della repubblica e minacciarono una sua
invasione qualora non fossero stati consegnati i 400 ricercati che
ipotizzavano esservi in quel momento. San Marino per risolvere il
problema accettò che fossero gli stessi soldati papalini a
rastrellare il territorio. Alla fine, dopo rigorose ispezioni casa
per casa, spesso prepotenti, che provocarono non pochi malumori
nella popolazione, furono arrestati solo una trentina di rifugiati
perché di più non ve n’erano.
Con il Regno Italiano il rispetto dei
confini sammarinesi divenne più regolare. Inizialmente vi furono
polemiche anche con le autorità sabaude, perché San Marino veniva
accusato, come in precedenza, di essere un facile rifugio per
ricercati, in particolare per i disertori, e di favorire il
contrabbando dei generi di monopolio. Per tali motivi, nei primi
tempi dell’unificazione, i confini sammarinesi furono rispettati, ma
circondati da svariate dogane, che vennero tolte dopo la firma della
convenzione di buon vicinato del 1862.
Nel 1874, tuttavia, l’Italia tornò ad
avanzare le stesse accuse, per cui cinse i confini in un blocco che
fu tolto solo dopo l’accettazione da parte sammarinese di alcune
richieste, in particolare l’assunzione di vari gendarmi per
pattugliare meglio il territorio, e l’apertura di un consolato
interno che doveva servire soprattutto a vigilare sul pieno rispetto
delle norme sottoscritte tra i due Stati.
Nel Novecento l’Italia continuò a
rispettare i confini sammarinesi, pur con qualche episodio in cui
tale rispetto non fu proprio amichevole. Nel 1915, per esempio,
quando entrò in guerra, inviò diversi carabinieri a San Marino con
l’ordine di istituire una loro stazione per controllare chi entrava
ed usciva dal territorio. Le autorità sammarinesi riuscirono ad
evitarlo solo per via diplomatica ed istituendo a loro spese una
stazione di gendarmi con gli stessi scopi.
Con la seconda guerra mondiale e il
passaggio del fronte i confini sammarinesi tornarono a dimostrare
tutta la loro virtualità. A parte la pacifica invasione dei 100.000
rifugiati, che poterono entrare all’interno del suolo sammarinese
senza alcun ostacolo, va ricordato il tagico episodio del 26 giugno
1944, quando aerei inglesi scaricarono sulla repubblica 263 bombe
causando la morte di 63 persone, così come va evidenziato il
frenetico e libero scorazzare per il territorio di truppe
nazi-fasciste e alleate.
Solo in questa occasione,
precisamente il 25 giugno, sempre del ’44, San Marino creò una
milizia confinaria composta da una settantina di giovani, col
preciso scopo di controllare scrupolosamente i confini in tutta la
loro estensione. Tale controllo, tuttavia, poté essere più
potenziale che effettivo perché non potevano bastare 70 giovani
animati solo di buona volontà a chiudere la repubblica sammarinese
in se stessa, ovvero a creare quella dicotomia tra “fuori” e
“dentro” da cui siamo partiti in questa breve analisi.
Anche dopo la seconda guerra mondiale
i confini sammarinesi hanno conosciuto momenti di superamento più o
meno volontari da parte di uniformati italiani, come quelli accaduti
di recente, e momenti di super controllo da parte della polizia
italiana, come nel 1949/50, durante la crisi nata perché l’Italia
non voleva che a San Marino operasse la casa da gioco appena aperta,
o nel 1957, a causa delle forti tensioni sviluppate per i fatti di
Rovereta, o in anni più recenti, fino ai giorni nostri, in cui
periodicamente sono soggetti al controllo sistematico da parte della
Guardia di finanza, sebbene tale controllo possa usualmente
riguardare solo gli accessi principali al territorio. Infatti gli
accessi secondari sono tanti che anche la Guardia di finanza
dovrebbe schierare un numero troppo elevato di uomini e pattuglie
per controllarli tutti, con costi eccessivi ed impegno
sproporzionato.
Proprio qualche mese fa assistevo ad
una trasmissione televisiva in cui veniva intervistato un alto
ufficiale della Finanza di Rimini il quale si lamentava della
facilità con cui era possibile passare dall’Italia a San Marino e
viceversa, perché poteva bastare anche varcare una porta di qualche
edificio costruito a ridosso del confine.
Pur nel rispetto di tali lagnanze e
delle esigenze del suo corpo poliziesco, impegnato nella lotta a chi
ha approfittato della virtualità dei confini sammarinesi,
evidentemente l’ufficiale non conosceva la storia di San Marino come
Stato “aperto”, né la volontà dei sammarinesi di evitare sempre e
comunque, per necessità, per scarsi mezzi, ma anche per mentalità,
la dicotomia tra “dentro” e “fuori”.
Nemmeno sapeva che questa
caratteristica storicamente ha senz’altro determinato più guai che
vantaggi alla piccola repubblica.
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