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Il Casus Belli  
L'abolizione del catechismo a San Marino nel 1909

  

    Per lunghi secoli San Marino è stato un’enclave dello Stato Pontificio il quale, pur rispettando parzialmente le velleità autonomistiche della minuscola Repubblica, per tradizione leggendaria nata proprio per volontà di un santo, ovvero di una figura nei cui riguardi la Chiesa doveva necessariamente avere venerazione e deferenza, non accettò mai di considerare la libertà sammarinese assoluta e inviolabile, cioè non soggetta in alcuna maniera alla sua vigile, ambigua e spesso intrigante “protezione”.  
    Non è ancora stata scritta la storia di questo lungo, problematico legame, né si sa con certezza come i Sammarinesi lo vivessero mentalmente e tangibilmente nella loro quotidianità, quali rapporti relazionali avessero con i sudditi papalini, che nessi intercorressero con il clero e i parroci presenti in territorio, punti di riferimento costanti per tutti, ma anche potenziali nemici della Repubblica, a volte suoi occulti denigratori o accusatori nei momenti di maggiore tensione con Roma
[1].  
    Fieramente convinti di essere indipendenti per volontà divina, i Sammarinesi di sicuro mal tolleravano la pretesa del papato d’intromettersi, a sua discrezione, nelle loro faccende politiche e sociali o di misconoscere la loro epica libertà, che non consideravano né fortuita né frutto di concessione umana, ma santa e metafisica, quindi indiscutibile.  
    Su questo peculiare modo di leggere la loro dimensione statuale, che ha dato col tempo origine ad una caratterizzante “mentalità sacrale”, come ho avuto più volte occasione di definirla
[2], ci sono rimaste numerose tracce fin dal XIII secolo. E’ possibile quindi ipotizzare che quando i tempi erano tranquilli, i rapporti con la Santa Sede e con il clero in genere rimanessero ottimi, essendovi profondo rispetto per la dominante e rassicurante cultura cattolica, come tanti documenti, a partire dai vari statuti locali, ci testimoniano. Quando tuttavia per qualche motivo si sviluppavano tensioni, allora forse scattava in qualcuno quella mentalità sacrale di cui si è detto, che spingeva ad anteporre il rispetto della santa libertà tramandata dal lapicida Marino alla sottomissione totale e cieca al papa/re di Roma, figura senz’altro fortissima e degna della massima venerazione, ma sempre inferiore al santo fondatore e assolutamente privo di diritti sulla libertas perpetua.  
    Non a caso il cardinale Alberoni, durante l'occupazione da lui perpetrata ai danni della Repubblica, precisamente in una sua lettera del 21 ottobre 1739, etichetta i Sammarinesi come gente accerrima, tenace e superstiziosa di questa loro libertà
[3]. La superstizione della libertà, che è concetto vero ed estremamente efficace per comunicare il particolare legame sussistente tra cittadinanza sammarinese e indipendentismo, poteva forse essere alla base di una qualche diffidenza verso preti e Vaticano, ovvero di un anticlericalismo in nuce pronto ad emergere in occasioni particolari, naturalmente in maniera circoscritta soprattutto tra chi era in possesso di strumenti culturali idonei e alternativi a quelli inculcati fin dall'infanzia dal cattolicesimo. Finché comunque i confini sammarinesi furono circondati dallo Stato Pontificio, la contrarietà nei confronti di Roma e del clero in genere non poté per forza di cose emergere più di tanto, nemmeno tra quei pochi mazziniani delusi dall'atteggiamento di Pio IX durante la prima guerra d'indipendenza, o dal fallimento della Repubblica Romana, fatto che, com'è noto, determinò gravi ripercussioni a San Marino[4]. Dopo l’unificazione d’Italia, tuttavia, in particolare dopo l’annessione della città di Roma, l’anticlericalismo di una frangia molto risoluta di Sammarinesi, progressisti più o meno radicali, emerse in maniera palese e crescente, fino a raggiungere toni spesso parossistici e drasticamente intolleranti[5].  
   
Negli ultimi decenni dell’Ottocento e nei primi anni del secolo nuovo le tensioni tra anticlericali e clericali maturarono gradualmente, inizialmente grazie ai giovani studenti redattori dei primi giornali sammarinesi, zeppi di articoli addirittura feroci contro la Chiesa e i suoi rappresentanti, in seguito grazie  alla nascita del Partito Socialista, i cui toni roventi e iconoclasti, nonché la laicità esacerbata e integralista di cui si faceva paladino, lo rendevano una sorta di Anticristo personificato e operativo, contro cui tutti i parroci puntualmente tuonavano dal pulpito.  
   
L’anticlericalismo sammarinese, pur con tutte queste premesse, dilatando la sua evoluzione nel tempo, raggiunse una certa sistematicità, assumendo toni particolarmente esacerbati e aggressivi, solo intorno agli anni dell’arengo del 1906 e in quelli immediatamente successivi, scatenando naturalmente subito una contro reazione altrettanto violenta, stizzita e piena di invettive da parte dei clericali. I progressisti, infatti, prima di qualunque altro tipo di innovazione politica, sociale e culturale, miravano a conseguire l’abbattimento dell’oligarchia al potere, ed erano consapevoli che negli assalti al clero dovevano muoversi con una certa circospezione per non spaventare troppo il popolino, su cui la Chiesa da secoli aveva un fortissimo ascendente. Inoltre nelle file del movimento pro – arengo erano in parecchi a volere il rinnovamento periodico del Consiglio tramite suffragio elettorale, ma in pochi quelli disposti a laicizzare in profondità lo Stato abbandonando la cultura cattolica, da sempre preminente, per abbracciarne altre più nuove, materialiste e profane.
In effetti, ad arengo avvenuto, la questione più grossa intorno a cui si combatterono in continuazione battaglie epocali fu proprio la laicizzazione dello Stato, problema che contaminò subito i rapporti tra i riformisti delle diverse tendenze. I più anticlericali di tutti erano sicuramente i socialisti, seguiti da un gruppuscolo di riformisti più moderati di indole mazziniana/repubblicana. Altri, pur essendo seguaci delle nuove culture positiviste e laiche che imperversavano, non sempre sull'argomento erano decisi, pugnaci e estremisti come gli elementi più oltranzisti, né erano del tutto convinti che il nemico pubblico numero uno fosse il prete.  
   
Dopo la vittoria riformista del 25 marzo, comunque, gli anticlericali si misero alacremente al lavoro per svecchiare  e laicizzare la secolare Repubblica di San Marino. Fin dai primi giorni del 1907, però, esplose una grana legata proprio al problema della laicizzazione dello Stato che testimonia quanto questo problema fosse scottante e soggetto a molteplici interpretazioni. Si doveva infatti organizzare il primo anniversario dell’arengo; nel Consiglio del 3 gennaio, dopo litigi e scontri vari, si era pensato di fare una celebrazione che prevedesse anche una funzione religiosa. Pietro Franciosi, anticlericale convinto, aveva protestato vibratamente, così come Giovanni Vincenti, ma senza poter portare dalla loro parte la maggioranza dei consiglieri. Nel Consiglio del 10 gennaio si erano aggiunte le proteste di altri; alla fine era prevalso il partito favorevole alla commemorazione con funzione religiosa. Tale deliberazione suscitò il malumore e la rabbia di chi pensava che il cattolicesimo non avesse nulla a che fare con quella ricorrenza, nonché, qualche mese dopo, la rottura dell’alleanza democratica che aveva originato prima il Comitato pro – arringo, poi il Comitato elettorale che si era presentato alle prime elezioni politiche.
Sul Titano del 20 gennaio Franciosi volle una volta per tutte precisare la posizione dei socialisti in materia, stigmatizzando la religione di Stato come un indubbio avanzo di oscurantismo. Non può più esistere una Chiesa di Stato - aggiunse
. Ogni uomo se la fa da sé la Chiesa, ogni uomo ha diritto alla sua religione senza urtare a quella degli altri. (...) Noi vogliamo l'indipendenza dello Stato contro ogni chiesa e contro ogni setta; vogliamo insomma uno Stato estraneo ad ogni confessione e professione di fede. (...) Abbia la chiesa nelle cose puramente spirituali assoluta ed inviolata libertà; e nelle miste e civili quella sola che le leggi consentono ad ogni altro cittadino od ente dello Stato [6]. La maschera ormai era stata gettata ed i socialisti erano pronti a porsi alla testa di un nuovo movimento disposto a combattere l’oscurantismo della nostra religione, istillato nella mente dei gonzi, in particolare dei contadini e delle donne. La religione è nemica del progresso e della civiltà, ed è mezzo e strumento d’ignoranza e di corruzione, ribadì Franciosi in altro articolo del 5 febbraio [7].  
  
 La polemica montò sempre più perché il Consiglio non accondiscese alla eliminazione dell’aspetto religioso dalle celebrazioni del 25 marzo. La vicenda quindi si concluse con due manifestazioni celebrative tra loro ben distinte: quella ufficiale, con funzione religiosa (che prevedeva l’esposizione della teca di San Marino ed un te deum alle 10.00 di mattino), e quella laica, voluta fortemente dai socialisti e dagli anticlericali, arrabbiatissimi contro i riti chiesastici voluti dal malcerto governo democratico sorto sulla ruina di una sciagurata oligarchia. [8]  
    Gino Giacomini nell’occasione pronunciò un discorso in cui risultava chiaro che l’alleanza che aveva permesso la costituzione del comitato pro - arengo stava scricchiolando ed era ormai al termine della sua breve e inquieta esistenza: Più fausta per il popolo e per la Repubblica è questa modesta e semplice e schietta nostra dimostrazione, che non la cerimonia pia ed ufficiale che riuniva, in festoso corteo, riformatori e reazionari, democratici e conservatori, dei quali il fiero dissidio doveva essere oggi sedato all’ombra di quella chiesa che vide aiutò e concluse ben altri tradimenti. (...) La festa d’oggi doveva essere festa civile e neutrale, ed è per questo che noi, che vogliamo rispettate le nostre idealità civili ed anticlericali, ci allontaniamo sdegnosi dal connubio che sa di tradimento
[9].  
   
La cerimonia anticlericale si concluse con la tumulazione di una lapide commemorativa dell’evento in cui si ribadiva che l’arengo non era stato una conquista clericale, ma esclusivamente laica. Questa lapide, affissa di fianco alla chiesa di San Pietro, sul piazzale della Pieve, dopo qualche mese venne fatta asportare dal governo, azione che inasprì ancor più i rapporti tra le diverse forze politiche. I socialisti, in segno di disprezzo per la decisione governativa, pubblicheranno a lungo sulla prima pagina del Titano il testo della lapide
[10]. Solo in anni vicini a noi è stata ricollocata al suo posto originale.  
   
Chi sfogliasse le pagine del giornale socialista di questi anni si stupirebbe non poco della velenosa asprezza con cui venivano portati attacchi al clero locale ed alla cultura che continuava a  promuovere. D’altronde il problema riguardava proprio il controllo culturale delle masse che gli uni non volevano assolutamente perdere, mentre gli altri volevano risolutamente acquisire.  
   
I preti venivano etichettati come superstiziosi, come padroni delle campagne, come maiali religiosi eternamente soggetti a profonda degenerazione sessuale e altro ancora. Ogni pretesto era buono per metterli in cattiva luce e per sottolineare la loro presunta nefandezza
[11]. Per ridimensionare il loro peso sociale, si pretendeva una netta divisione tra Stato e Chiesa, la drastica riduzione dei privilegi che i sacerdoti ancora detenevano, lo sviluppo di istituti laici di beneficenza e l’evoluzione laica della scuola, che veniva considerata lo strumento principale con cui il clero alimentava la sua forza culturale e perpetuava il suo potere. La scuola moderna deve mirare anche da noi all’unico scopo di accrescere le generazioni indipendenti d’intelletto e di carattere, deve curare razionalmente lo sviluppo mentale col far apprendere al fanciullo e all’alunno tutto ciò che è conquista ed affermazione di scienza positiva, e non l’empirismo dogmatico e partigiano, dichiarò Franciosi in un suo articolo pubblicato il 18 agosto[12]. Inoltre bisognava smettere di favorire solo il Liceo per potenziare le scuole elementari e creare scuole tecniche di specializzazione, come esigono gl’interessi degli uomini e le condizioni dei tempi, per favorire gli operai, che erano invece lasciati in uno stato di abbrutimento e di totale ignoranza. Con le troppe libertà che lo Stato ha dato da qualche anno alla Chiesa notiamo che il Clero sammarinese alza sempre più il capo e si fa sempre più reazionario, mentre il livello di coltura dei fedeli cade sempre più in basso. (...) Nel suo piccolo il nostro Clero mette in pratica anche fra noi il segreto delle tradizionali abilità del Vaticano di saper sfruttare la moltitudine, tenendone vivo in essa il fanatismo a proprio vantaggio. Così ancora Franciosi in un articolo dal titolo assai esplicito: La Chiesa soggetta allo Stato[13], in cui egli si auspicava la promulgazione di una legge sulle Mani Morte e altro ancora per fissare le condizioni di vita della Chiesa e tenerne il controllo permanente.  
   
Interessante rilevare come questa battaglia venisse spesso combattuta dalle forze laiche con le stesse armi dei tanto vituperati avversari, adottando a volte i loro identici registri linguistici, e sfruttando la figura del Santo patrono (nel cui nome i clericali dichiaravano di combattere una guerra santa contro gl’infedeli) come personaggio carismatico cui inchinarsi non tanto per le sue virtù sacrali, quanto per la sua fisionomia politica e operaia
[14]. Ovviamente lo scopo era quello di sostenere e inculcare nelle menti semplici nuovi paradigmi culturali, senza spaventare troppo chi era abituato ad interpretare l’esistenza tramite schemi e punti di riferimento elementari, rigidi, stereotipati e ripetitivi, e perciò assai rassicuranti.  
   Attraverso conferenze, banchetti, passeggiate di propaganda, nonché col Titano e altro materiale a stampa, gli anticlericali si adoperarono per svolgere senza sosta opera di proselitismo, soprattutto nei paesi di campagna, considerati totalmente asserviti a preti e padroni.  
    Questo dinamismo, giudicato pericoloso da chi era abituato a non aver troppi concorrenti nella trasmissione dei valori, della morale, degli ideali e della cultura in genere, provocò a poco a poco una maggiore organizzazione dei cattolici, fino alla costituzione di un gruppo dalla spiccata fisionomia politica che si dimostrerà pronto a concorrere con i gruppi politici laici, nonché ad ingerirsi nelle elezioni per mandare in Consiglio i suoi candidati.  
    Tra l’altro i redattori del
Titano consideravano la lotta per laicizzare la piccola repubblica più importante a San Marino che  in Italia, perché proprio per la sua leggendaria nascita, dovuta ad un santo, pareva una figliazione degli ordinamenti religiosi primitivi, costringendola ad essere un sopravivente comune dello Stato pontificio. La stessa figura di Marino, secondo loro, andava ridimensionata perché egli nella piena luce del secolo ventesimo e in tanta effervescenza di libertà sembrava una creatura allevata in mezzo a quattro accerchianti conventi. Il potere della chiesa a San Marino era illimitato, secondo l’articolista da cui sto attingendo: soverchia gli ordinamenti civili, presiede a tutti gli atti principali della vita pubblica, ha in cura ed in tutela il governo, lo battezza e lo benedice, lo rapina e lo batte (…) Lo Stato è una emanazione della Chiesa, né più né meno[15].  
   
L’agognata laicizzazione dello Stato passava necessariamente attraverso il mutamento di quegli istituti in mano alla Chiesa. Da questi anni in poi vi saranno perciò eterne polemiche sul matrimonio civile, che i riformisti anticlericali volevano ad ogni costo e che si riuscirà invece ad inserire nella legislazione sammarinese solo dopo la seconda guerra mondiale, sulla scuola, sulle istituzioni della Repubblica e su tutto ciò che, secondo l’ottica dei riformisti, era nelle mani degli aborritissimi preti.  
    E’ chiaro che polemiche così forti ed astiose, ripetute in tutte le occasioni possibili, insieme alla martellante propaganda anticlericale e pro laicizzazione dello Stato, che veniva ormai svolta senza freni o inibizioni, cominciarono ad allarmare non poco il clero locale e chi nella religione vedeva l’unica o la migliore cultura possibile, e aveva il convincimento che la conservazione dei valori del passato fosse sempre la soluzione ottimale anche per i tempi nuovi.  
    I contrasti crebbero quindi gradualmente, ma con costanza, finché nel luglio del 1908 i cattolici ed i conservatori intransigenti diedero alle stampe il loro primo periodico, il Pro – Patria, il cui numero iniziale uscì in data 5 luglio
[16]. Il pretesto che favorì la creazione del giornale furono le elezioni parziali che si dovevano svolgere il 12 dello stesso mese per eleggere cinque consiglieri venuti a meno dal 1906 per dimissioni o per altri motivi. Il Titano nell’occasione continuò a sparare a zero sui cattolici sia per quella solita politica arrabbiata anticlericale che lo contraddistingueva sempre, sia perché aveva reali timori che essi si potessero raccogliere in una qualche organizzazione di stampo politico per mandare in Consiglio i loro candidati.          
Soprattutto si aveva paura del Castello di Domagnano, da sempre conservatore e filo - cattolico, oscuro fortilizio della Vandea, come verrà eternamente etichettato, per l’opera di propaganda politica che negli anni precedenti, ai tempi dell’arengo, vi aveva svolto Don Michele Bucci, e per quella che ora stavano svolgendo Don Terenzi e alcune famiglie del Castello, gli assoluti dominatori del luogo. Il Pro–Patria in realtà sarà creatura dalla vita breve perché legata solo a queste elezioni: i cattolici infatti non erano ancora pienamente dell’idea di doversi organizzare in gruppo politico per contrastare alla pari i loro avversari. Il giornale comunque, pur ripromettendosi di non voler essere aggressivo e bellicoso, dichiarò che non avrebbe tollerato le imposizioni e le intemperanze della piazza e dei partiti sovversivi, portando feroci attacchi ai socialisti: Voi non siete socialisti. Voi non avete principii democratici e liberali. Voi per salire avete raccolto nel vostro seno tutti i relitti ed i detriti immondi della cloaca Massima. Politicamente assicurava di non voler far propaganda per nessuno essendo apartitico: La nostra Repubblica non deve essere di uno o di un altro partito ma deve appartenere indistintamente a tutti i cittadini. Come diceva già col suo titolo, il giornale era uscito solo per sostenere la patria in un momento storico politicamente molto travagliato.  
    Questo foglio dimostra con chiarezza che ancora in questo periodo i cattolici sammarinesi, al di là dell’ostilità violenta contro i socialisti, non avevano velleità politiche chiare e particolari, né si volevano impegnare più di tanto nell’agone elettorale, probabilmente per quell’avversione verso il mondo dei partiti promossa già da tempo dalla Santa Sede e molto in voga negli anni precedenti presso il cattolicesimo italiano, anche se ormai in rapido declino (infatti nelle elezioni italiane del 1909 i candidati cattolici saranno 52 in 72 collegi elettorali, nei quali era stato sospeso ufficialmente il non expedit). Non a caso le elezioni suppletive svoltesi a San Marino nel 1908, in cui i cattolici non proposero ufficialmente loro candidati, furono favorevoli ai progressisti ed ai socialisti, tanto che il Titano del 26 luglio sostenne entusiasticamente che il partito usciva dalle elezioni ingigantito e sicuro del consenso e dell’aiuto della classe lavoratrice che dietro ad esso si è messa risolutamente. Le elezioni del 12 corrente costituiscono né più né meno che la sua (dell’oligarchia) condanna e preludono al colpo di grazia che le verrà dato nel prossimo anno, ovvero nelle elezioni del 1909 quando si sarebbe dovuto rinnovare il Consiglio per un terzo
[17].
   
Forse proprio grazie a questo entusiasmo poco lungimirante ed all’ingenua convinzione che San Marino ormai avesse mutato realmente e miracolosamente pelle, il Consiglio, durante la Reggenza di Olinto Amati, un riformista schierato apertamente su posizioni anticlericali fin da quando era giovane, cioè già da vari decenni, si mise a discutere di religione e di catechismo nella scuola, chiedendosi se fosse giusto che nelle elementari il catechismo venisse trattato alla stregua delle altre materie di studio, com’era accaduto in effetti fino a quel momento. 
    Tra l’altro le acque si mantennero agitatissime anche perché i socialisti ed i progressisti meno moderati continuarono a sollecitare con sempre maggiore insistenza alcune riforme costituzionali relative alla durata e alle funzioni dell'istituto della Reggenza, innovazioni ritenute assolutamente inconcepibili dai conservatori. Nella seduta consigliare del 31 ottobre avvennero forti scontri tra conservatori e riformisti proprio a causa di tali pretese, perché fu esaminata un’istanza socialista che chiedeva l’elezione diretta dei Reggenti e la conseguente abolizione del sistema in vigore fin dal XV secolo basato sul sorteggio. L’orda barbarica balzò come un sol uomo ci racconta il Titano nella cronaca che fece dell’evento – risoluta a farla finita contro i socialisti ai quali deve essere negato il diritto di vita: urlò, inveì, si alzò minacciosa contro i pochi nostri compagni che resistevano sereni ma forti, mostrò i pugni, alzò i bastoni, fece luccicare qualche fredda canna di revolver. Le intemperanze dei vandeani ossessionati, però, non sortirono effetti: Tutta questa inutile consunzione di piccole o grandi violenze ed ingiustizie non farà spostare di una linea la condotta del Partito Socialista che ha una funzione altissima da compiere e che è sicuro del suo domani. E’ il Partito Socialista che ha dato nuovo vigore alla Repubblica
[18]
  
  In realtà la violenza degli scontri non si doveva solo alla richiesta di riformare l’istituto della Reggenza, ma alla generale volontà dei progressisti di mutare la secolare tradizione sammarinese andando ad incidere su diverse norme statutarie. Queste, invece, per la vasta frangia conservatrice non dovevano essere minimamente toccate, né si doveva porre mano alla laicizzazione della Repubblica, quindi nemmeno all’abolizione del catechismo nelle scuole. Sulle ali dell’entusiasmo per le elezioni vinte, si cominciò invece a ventilare la possibilità di bandirlo del tutto dai programmi scolastici, sicuramente con eccessiva leggerezza e con troppa precipitazione da parte progressista. Già nel Consiglio dell’8 ottobre si era arrivati ad una votazione in merito, che aveva registrato 18 voti favorevoli all’abolizione e 16 contrari. Dopo questo ballottaggio, però, erano scoppiate immense polemiche nel paese, poiché l’insegnamento della religione nella scuola era previsto dagli statuti, per cui la sua abolizione, secondo i cattolici, doveva essere considerata alla stregua di un vero e proprio problema costituzionale. Come tale il Consiglio non poteva porvi mano, o al massimo poteva adottare deliberazioni in merito solo con una maggioranza dei 2/3 dei presenti, così come lo stesso statuto prevedeva per la modificazione delle sue norme. Il richiamo allo statuto serviva senza dubbio per contrastare con lo strumento più potente della sacra tradizione costituzionale della Repubblica ciò che sembrava una vera e propria scristianizzazione della società sammarinese da parte delle forze laiche, sempre più baldanzose e decise a relegare i cattolici in posizioni sociali e politiche marginali.  
   
La questione venne lasciata in sospeso per qualche mese, anche se il Titano del 25 ottobre considerava ormai l’abolizione del catechismo cosa fatta, e plaudiva alla locale scuola che aveva il dovere di essere neutrale in fatto di credenze, di separare morale e religione, e di impedire ogni tentativo di penetrazioni estranee. Ovviamente se gli anticlericali plaudivano, i cattolici fremevano di sdegno e di rabbia, confortati in questo dai sentimenti del popolo, ancora saldamente radicato quasi tutto alla cultura della Chiesa.  
   
Proprio le istanze riformiste contro questa o quella norma statutaria che con sempre maggiore frequenza venivano presentate al Consiglio, e la lotta ormai aperta nei confronti del catechismo, del clero e della religione, nonché i nuovi e più favorevoli atteggiamenti verso la politica che stavano montando anche tra i cattolici italiani, spinsero i tradizionalisti sammarinesi ad organizzarsi sempre meglio, fino a fondare un gruppo dai connotati di vero e proprio partito politico ed un giornale, anche questo molto politicizzato, pronto a ribattere colpo su colpo la propaganda anticlericale che proveniva dal Titano, e a divulgare idee programmatiche di stampo politico e sociale.  L’organizzazione di tale associazione prese avvio nell’inverno tra il 1908 ed il 1909, inizialmente come propaganda a favore del catechismo nelle scuole tramite una raccolta di firme per evitarne l'abolizione.  
Il 5 febbraio venne indetta la prima riunione del gruppo cattolico, riunione che si sciolse con l’impegno di inviare propagandisti per tutto il territorio a perorare la causa della salvaguardia dei valori tradizionali e del catechismo scolastico. Nel mese di aprile tale gruppo si fece vivo in Consiglio presentando due istanze d’arengo a favore dell’agricoltura e delle case operaie. Il 16 maggio, dopo alcune riunioni preliminari, giunse alla sua fondazione effettiva con una riunione sul piazzale della Pieve dove parlò l’avvocato Bertini dell’Unione cattolica italiana, e con l’uscita del giornale Sorgiamo, numero unico dato alle stampe proprio per celebrare l’inaugurazione del gruppo. 
   
Il suo programma era assai semplice: L’Unione ha per iscopo di riunire e concentrare tutte le forze cattoliche di questa Repubblica e di promuovere il bene Religioso, Economico e Civile del popolo Sammarinese, basato sul Vangelo e sull’insegnamento della Chiesa Cattolica. Voleva insomma il rispetto totale e inflessibile della religione cattolica e delle avite istituzioni di questa Patria diletta, che sono la ragione piena della nostra esistenza politica. La riunione era stata convocata tramite manifesto diffuso il 9 maggio in cui era chiara l’intenzione di creare finalmente un gruppo compatto intorno agli ideali cattolici e contro le camorre politiche. Amici, fratelli il momento è nostro: guardate come i partiti che si contendono il dominio del popolo hanno scoperto il loro gioco e sono apparsi quali nemici veri della sua Fede. A noi il correre animosi alla difesa dei nostri diritti più santi; a noi, i forti figli di Marino, il proteggere validamente, vittoriosamente quella Libertà eterna ch’egli colla Croce portò, e che nel Cristianesimo ha la sua origine e la sua attuazione piena ed universale. La difesa della religione andava poi di pari passo con la difesa delle istituzioni del passato perché, come ho già ripetutamente evidenziato, a San Marino dominava una sorta di "mentalità sacrale" che tendeva a mescolare in continuazione le istituzioni con la morale e con la religione:
L’Unione Popolare è qua per difendere lo Statuto sammarinese, è qua per opporsi a tutti quegli insensati che credessero di poter mettere a soqquadro impunemente quelle istituzioni che hanno formato, e formano tuttora il più glorioso retaggio di questa secolare Repubblica[19].  
   
L’Unione in sintesi sorgeva come gruppo teso a conservare quasi per intero il passato, con qualche lieve velleità riformista che si manifesterà di tanto in tanto, soprattutto a partire dalla fine del 1909 a favore del ceto rurale, quello che più di tutti rappresentava il suo forte e corposo punto d’appoggio. Nei mesi successivi la situazione rimase piuttosto tranquilla, anche se il 13 giugno il Consiglio venne rinnovato tramite regolari elezioni per una sua terza parte. Il gruppo cattolico in questa tornata elettorale rimase ancora in disparte, tanto che il Titano del 6 giugno poté parlare di situazione elettorale sonnolenta e tranquilla, e prevedere, come in effetti accadde, che sarebbero rientrati in Consiglio più o meno i consiglieri precedenti[20].
   
Nel mese di agosto, però, scoppiò la bagarre perché il Consiglio, approfittando di alcune contingenze favorevoli, il giorno 3 affrontò inaspettatamente il problema del catechismo e ne votò l’immediata soppressione per 27 voti contro 5. Naturalmente l’Unione montò su tutte le furie, anche perché non si aspettava che in quel Consiglio si sarebbe affrontata e risolta in modo tanto sbrigativo e drastico la questione del catechismo. Il 5 diffuse tra la popolazione un manifesto contro l’abolizione del catechismo in cui sosteneva che una minoranza audace, con l’inganno e approfittando di un insieme di opportunità, con decreto consigliare aveva abolito il catechismo, violentando in tale maniera anche lo statuto fondamentale e secolare della Repubblica, precisamente in quell’articolo che appartiene alla maggior eredità tramandataci dal Santo Patrono ed autore della nostra libertà, quell’eredità morale che della libertà stessa è la sostanza, la forza, la vita.  
    In definitiva si sosteneva che l’abolizione del catechismo era stato un oltraggio alla coscienza dei credenti, ed una sopraffazione ai diritti dei cittadini. Se la popolazione non si fosse ribellata fin da subito, quella minoranza sarebbe cresciuta di numero e di potenza in fretta e non vi sarebbero più state garanzie statutarie cui appellarsi, poiché come avevano abolito il catechismo, avrebbero potuto calpestare lo statuto in qualunque altra sua parte. Non permettiamo che si attenti alle nostre più sacre tradizioni - si concludeva il manifesto -  Noi non vogliamo imporre ad altri la nostra fede, ma nemmeno altri devono imporre a noi e inculcare ai nostri figli la loro miscredenza. La richiesta era unica e categorica: il ripristino immediato dell’insegnamento del catechismo nelle scuole. Ancora una volta, quindi, l’Unione collegava tra loro religione ed istituzioni urlando con convinzione che a San Marino non si poteva né doveva toccare nulla di quanto ereditato dal passato, perché altrimenti tutto sarebbe andato irrimediabilmente in rovina
[21].  
    Le forze progressiste, però, avevano senza dubbio fatto il passo più lungo della gamba, perché in Italia si stava discutendo animatamente e con grandi difficoltà dello stesso problema, ma ancora non si era riusciti a giungere all’abolizione del catechismo nelle scuole, e San Marino era troppo intriso di cultura cattolica per poter serenamente accettare una riforma tanto strutturale. In pratica l’abolizione del catechismo fu un grave errore perché diede ai cattolici la forza morale e materiale per compattarsi, nonché il leitmotiv attorno cui ben organizzarsi, con cui far opera di proselitismo, soprattutto nei Castelli rurali, e da cui partire per una sorta di nuova crociata contro gl'infedeli.  
    Non a caso il 3 settembre 1909, ad appena un mese dalla tanto aborrita abolizione, nel giorno della celebrazione della festa del santo patrono, vide la luce il primo numero del San Marino, organo dell’Unione Cattolica Sammarinese, che si riprometteva di essere la guida dei cattolici e un veicolo di perfetta armonia tra i cittadini, dichiarando che avrebbe combattuto su tre fronti: quello religioso, quello economico – sociale e quello politico. Evidenziò subito che la sua nascita era stata causata prevalentemente dall’abolizione del catechismo sancita dal Consiglio, e sottolineò ancora una volta la volontà di difendere le tradizioni sammarinesi dagli attacchi delle nuove forze politiche che si erano sviluppate. Le nazioni adesso riguardano la nostra Repubblica come un prezioso cimelio di tempi antichissimi – denunciò – Guai pertanto a quei cittadini che osassero manomettere le patrie istituzioni: in esse soltanto ha la sua ragione d’essere la nostra piccola terra!  
   
I dirigenti dell’Unione accusavano i loro nemici progressisti di non aver mantenuto la parola su quanto dichiarato prima dell’arengo, ovvero che il cambiamento dell’assetto politico sammarinese non avrebbe minimamente influito sulla religione professata dai Sammarinesi. Essi consideravano la religione cattolica non semplicemente l’ambito della fede di ciascuno, ma elemento istituzionale a tutti gli effetti in quanto parte integrante della tradizione e dello statuto sammarinese, quello stesso statuto che aveva permesso, secondo la coscienza collettiva, il consolidarsi della dimensione statuale di San Marino. Il rimescolamento che da sempre si faceva a San Marino di Stato e religione  aveva convinto i conservatori che l’abolizione del catechismo non fosse solo un’offesa al loro credo, ma un attacco alla stessa secolare Repubblica sammarinese. Ciò che noi vogliamo ad ogni costo e a qualunque sacrificio – sottolinearono in un altro articolo dello stesso giornale – come cittadini dell’ordine e difensori della fede ereditata dagli avi nostri è l’osservanza dello statuto. Avremo sempre parole spiranti fuoco contro i profanatori delle sue leggi; grideremo con tutto lo sdegno di un animo repubblicano, di un cuore ferito nei suoi ideali e nei suoi sacrosanti diritti contro quei vili denigratori che attentano scemare la bellezza, avvilirne l’importanza dichiarandolo non più rispondente ai bisogni dei tempi e lo spogliano della sua aureola immortale riducendolo un arlecchino. Bello, sovranamente bello il nostro statuto! Nobile l’ingegno che lo ha ispirato! Sante, Divine le leggi che vi s’inculcano, sanzionate dall’approvazione dei secoli!  
    L’Unione cattolica era convinta, insomma, di star combattendo una guerra santa, come venne sostenuto all’interno dell’articolo Ave, Marine, Libertatis Fundator, in cui s’invocava l’aiuto del santo protettore contro gli odiati rossi per mantenere la libertà così come l’avevano tramandata i mitici patriarchi di San Marino
[22].  
Nei giornali dei mesi successivi la polemica continuò ad oltranza, sempre con gli stessi toni e basandosi sugli stessi assiomi. Soprattutto si calcava la mano sulla non osservanza della rubrica 33 del libro I degli statuti
[23], che trattava delle funzioni e del salario del pubblico precettore, ed in cui si prevedeva l'obbligo dell’insegnamento della dottrina cristiana a tutti gli scolari insieme ad altre discipline. Si sosteneva, dunque, che con l’abolizione del catechismo il Consiglio avesse alterato una disposizione statutaria senza averne alcun diritto, perché con l’arengo del 1906 il popolo aveva permesso solo il cambiamento del sistema di nomina dei consiglieri, non la riforma di altre norme statutarie.  
    Le tensioni crebbero di giorno in giorno. Ogni Consiglio divenne sede di infinite polemiche e di violentissimi scontri verbali. La cittadinanza, sobillata sia dai conservatori che dai progressisti attraverso i giornali e i comizi di propaganda che venivano svolti da entrambi i gruppi nei diversi Castelli, divenne sempre più eccitata ed invasata. In particolare alcuni sacerdoti si diedero molto da fare per aggregare la popolazione contro il pericolo rosso e l’apparente scristianizzazione della società sammarinese.  
   
Alla monarchia costituzionale di ieri, sottolineò il San Marino dell’8 dicembre 1909,
è subentrata la monarchia czaresca di oggi[24], manifestando senza mezzi termini che non vi era stato miglioramento rispetto al tanto aborrito periodo oligarchico, anzi.  
Nel 1910 la polemica tra laici e clericali si amplificò ancora, diventando assai più violenta e acida dell’anno precedente. Ormai l’Unione disponeva di una sua organizzazione e, fatto ancora più importante, di un suo giornale che, uscendo con regolarità, poteva finalmente ribattere tutte le accuse e i veleni del Titano, non per nulla ribattezzato "Tetano". Proprio dalle pagine del San Marino (che il Titano per contraccambiare chiamava "Somarino") l’Unione promosse la teoria che colpevoli di tutta l’agitazione e l’astio esistenti nel paese fossero soltanto i socialisti, fomentatori di discordia sociale e senzadio impenitenti.  
   
Il 6 gennaio del 1910, in una delle tante riunioni organizzate dall’Unione, venne deciso di impegnarsi sempre più nel sociale per far qualcosa per il popolo e migliorare le condizioni del proletariato. Il 17 gennaio, durante un altro comizio tenutosi a Serravalle, Don Barducci e Don Nicolini propugnarono la costituzione di una società per migliorare le condizioni dei contadini
[25]. D’altra parte sui contadini l’Unione faceva gran conto, essendo stata, questa categoria di lavoratori,  alquanto trascurata in passato dalle forze progressiste, più propense ad appoggiarsi agli scalpellini e alle altre categorie operaie. Inoltre erano sicuramente i contadini quelli più imbevuti di cultura cattolica, cioè più intimoriti dagli attacchi alla loro religione. Questa particolare divisione che si era venuta a creare tra la popolazione per colpa delle forze politiche e culturali che si contrastavano fu evidentissima nella sommossa, come venne chiamata, che scoppiò il 26 febbraio del 1910 contro la legge che istituiva l’organico degli impiegati. In pratica in quel giorno il Consiglio avrebbe dovuto varare la legge che istituiva l’organico per gli impiegati, ma fin da un paio di giorni prima erano stati affissi per il territorio manifesti manoscritti in cui si sosteneva che il governo stava per varare spese enormi a vantaggio della classe degli Impiegati e a danno del povero popolo lavoratore dei campi. Per tale motivo s’invitavano i contadini a partecipare ad una marcia pacifica di protesta sul Pianello nel giorno in cui si sarebbe riunito il Consiglio. Giunto il giorno della seduta consigliare, la marcia vide la partecipazione di molte persone, ma non fu per nulla pacifica in quanto vari consiglieri progressisti, insieme alla stessa Reggenza, vennero offesi senza mezzi termini dai dimostranti. Un consigliere poi, visto il brutto, aveva osato tirar fuori da una tasca della sua giacca una pistola, fatto che mandò la folla su tutte le furie e che gli fece passare un brutto quarto d’ora. Dopo un assedio di varie ore, in cui il Consiglio venne praticamente bloccato all’interno del Palazzo Pubblico, i contadini si dispersero ed il brutto episodio ebbe fine[26]
   
Gli animi però rimasero surriscaldati: i progressisti ed i conservatori si lanciarono strali sempre più astiosi dai loro giornali, rimpallandosi la responsabilità dell’accaduto. Sul Titano del 6 marzo Franciosi accusò esplicitamente i proprietari terrieri ed i preti: La nostra classe borghese che domina la povera plebe rurale, è affarista e manca di lumi. Quindi i nostri contadini non hanno altre idee che quelle che loro comunicano i preti e i padroni. Sono semplici e rozzi, attaccati all’antico ordine di cose, e nulla intendono in materia di modernismo favorevole a toglierli o a sollevarli dalle loro infelici condizioni di servi della gleba. In sintesi sosteneva che per paura dei maggiori oneri che l’organico degli impiegati avrebbe richiesto, e quindi di nuove tasse, i contadini erano stati aizzati contro la riforma e contro il governo dai possidenti campagnoli che detenevano ancora il potere economico e politico del paese. Dopo lo spodestamento dell’oligarchia nobiliare occorreva che il governo fosse assunto da una borghesia illuminata e umanitaria. Invece da noi è mancato quasi del tutto un terzo stato, colto e industrioso (…) Per cui la maggioranza dei Sammarinesi giace ancora nella più completa servitù, senza lettere, con poco pane, senza conforti morali. I buoni decreti, i progetti migliori ventilati nel Gran Consiglio formano motivo continuo di grave malcontento fra costoro. Un governo autorevole ed illuminato avrebbe potuto curare per tempo queste piaghe e porvi un riparo, evitando ovviamente anche il sollevamento della vandea della Repubblica[27].  
   
Di altro avviso ovviamente i cattolici, pronti a sostenere che le responsabilità dei fatti del 26 febbraio erano tutte dei socialisti e dei loro alleati che avevano stancato con prepotenza e offeso coll’inganno il popolo sammarinese, strappando quello Statuto che si diceva voler conservato e (…) disprezzando la religione degli avi. La paura delle tasse che si credevano necessarie per concretizzare la legge relativa agli impiegati aveva fatto il resto, contribuendo a far saltare i nervi agli abitanti dei principali castelli del contado[28].  
Anche nei numeri successivi del giornale cattolico si ribadirono gli stessi concetti: il locale socialismo era la prima causa di questo ambiente rurale saturo di ostilità e di malcontento, perché tutte le istanze socialiste degli ultimi anni erano state contro le più antiche tradizioni, le più radicate, care e sacre costumanze del popolo e del governo sammarinese. La principale colpa dei socialisti era quella di voler fare le cose troppo in fretta, senza lasciare alla gente il tempo per assimilare e comprendere le innovazioni proposte, spesso considerate troppo avveniristiche per la società sammarinese
[29].  
I
prodromi dei moti, continuerà il San Marino del 1° aprile, si dovevano al fatto che il nuovo Consiglio aveva esorbitato dai suoi poteri, diventando più sovrano del Consiglio antico, e calpestando la volontà del popolo che è vero sovrano. L’abolizione del catechismo, i discorsi che si andavano facendo sulla netta separazione tra Stato e Chiesa, la volontà di mutare lo statuto, erano stati i fattori che avevano creato un ambiente di sovraeccitazione. Per pacificare gli animi occorreva restituire al popolo ciò che gli era stato tolto, ovvero l’insegnamento della religione nelle scuole, altrimenti la scintilla coverà sotto cenere e alla prima occasione divamperà. Solo a questi patti l’introduzione dell’obbligatorietà scolastica, argomento d'interesse prevalentemente progressista, avrebbe ricevuto l’appoggio dei cattolici. Inoltre occorreva amministrare meglio i soldi pubblici così da evitare nuove tasse
[30].  
   
Secondo l’Unione, insomma, il governo che ora reggeva la Repubblica era interessato solo alla laicizzazione dello stato ed alla distruzione della religione, non alle riforme veramente necessarie alla repubblica. Erano stati i socialisti a non mantenere le promesse fatte all’elettorato durante la campagna pro - arengo, quando avevano fornito ampie garanzie a tutti che l'innovazione del Consiglio elettivo avrebbe inciso solo sull’assetto politico della repubblica, senza modificare per nulla il suo assetto culturale e religioso. Smentendo poi con le azioni intraprese tali promesse, ed iniziando una sistematica opera di laicizzazione, interpretata dai cattolici come scristianizzazione, o quanto meno come lotta dura e prevenuta contro il cattolicesimo e i suoi rappresentanti, i socialisti erano stati i fomentatori delle discordie politiche e civili che ormai imperversavano nel paese.  
    Il gruppo socialista, che già da anni ce l’aveva coi suoi ex alleati democratici, accusati di essere troppo tentennanti nel contrastare i conservatori, cominciò a parlare apertamente del rischio di una Repubblica guelfa, perché i cattolici stavano dimostrando di sapersi ottimamente organizzare e di voler detenere il potere politico in alleanza coi democratici più moderati, ormai loro ex alleati
[31].  
Si capì comunque che era indispensabile gettare acqua sul fuoco che stava divampando, per cui emerse la proposta di convocare una riunione informale tra i consiglieri in cui decidere con maggiore serenità il da farsi per risolvere il conflitto in atto. La riunione ebbe luogo il 20 marzo e vi presenziarono 36 consiglieri di tutte le correnti. Dopo lunghe ma pacate discussioni, si sciolse con un ordine del giorno che invitava il Consiglio a varare definitivamente la legge sull’organico degli impiegati e ad amministrare con maggiore saggezza economica la Repubblica, e con un caloroso invito ai gruppi in conflitto di abbassare i toni della polemica per giungere ad una totale pacificazione degli animi
[32].  
    In effetti in aprile le tensioni diminuirono ed i due giornali politici del paese illustrarono a turno i rispettivi programmi e propositi. L’Unione, in un articolo dal titolo molto esplicito, Quello che vogliamo noi, si proponeva per la Repubblica:

1.      Pace e progresso per tutta la cittadinanza

2.      Il varo dell’organico per gl’impiegati

3.      Il consolidamento del bilancio

4.      Una riforma fiscale che colpisse tutto il reddito sammarinese e non solo i terreni ed i fabbricati

5.      Una legislazione migliore per il ceto rurale

    Nello stesso articolo si continuò ad evidenziare che, dopo l’arengo del 1906, il Consiglio aveva esorbitato dai suoi poteri,  diventando più sovrano del Consiglio antico e calpestando la volontà del popolo che è vero sovrano. L’inizio dei conflitti fra le parti era stato senza dubbio l’abolizione del catechismo, deliberazione contraria allo statuto, poi il discorso che andava sempre più ingigantendosi di volere la netta separazione tra Chiesa e Stato, anche questo contrario allo statuto ed alla tradizione confessionale della Repubblica[33].  
Qualche giorno dopo uscì anche il Titano con un articolo dalla logica analoga. I socialisti volevano:

1.      Revisione dello statuto con l’approvazione dell’Arringo a mezzo del Referendum

2.      Riordinamento scolastico

3.      Istituzione del matrimonio civile

4.      Legge sui beni delle Mani morte

5.      Legge sugli infortuni sul lavoro

6.      Trasformazione delle decime da obbligatorie in facoltative

7.      Fondo pensioni per gli operai vecchi o invalidi

8.      Impianto di un forno normale

9.      Costruzione di case popolari

10.  Impianto della linea telefonica

11.  Acqua potabile in tutto il territorio

12.  Impianto di un ufficio metrico

13.  Miglioramento dell’illuminazione artificiale[34]

    Come si può constatare, i due gruppi che si fronteggiavano avevano programmi molto diversi e, pur in fase di tregua, si capiva bene che entrambi erano figli di logiche forti e inflessibili non disposte ad accettare particolari compromessi su quanto ambivano. I socialisti non transigevano sull’esigenza di laicizzare lo Stato ed attuare riforme alla sua costituzione. I cattolici, sicuri dell’appoggio della maggioranza della popolazione (La scuola deve essere religiosa in omaggio alla gran maggioranza cattolica ed allo statutoImporre oggi grandi riforme, non apprezzate dalla mentalità e coscienza popolare, è compiere opera disastrosissima, sottolinearono con frequenza sul loro periodico) non avrebbero mai tollerato l’abbandono della tradizione statutaria e culturale in cui da secoli i Sammarinesi erano immersi, o l’avrebbero tollerato solamente in tempi estremamente dilatati, e tra chissà quanti compromessi.  
    Che riscoppiassero dunque scontri era inevitabile: l’occasione venne data dalla conferenza pubblica tenuta dall’Unione a Domagnano il 16 maggio, giorno della celebrazione del suo primo anniversario. Tra i conferenzieri ad un certo punto parlò anche don Barducci, che invitò con parole forti lo Stato a ripristinare il catechismo nelle scuole. Remo Giacomini ritenne le parole usate dal prete offensive nei confronti dello Stato, per cui provvide a denunciarlo alle autorità giudiziarie. La polemica naturalmente approdò subito in Consiglio, dove avvennero feroci scontri tra i socialisti e l’avvocato Babboni (l’ex presidente del Comitato pro – arringo), il quale nell’occasione aveva preso le parti di don Barducci. Alla fine la denuncia finì in nulla perché il giudice appurò che il prete, pur usando un linguaggio focoso, non aveva in realtà offeso nessuno, per cui non era passibile di alcuna pena
[35]
    Nei mesi seguenti i toni rimasero più temperati, però politicamente i socialisti capirono che l’Unione non sarebbe più stata solo un movimento culturale e ideologico, ma un partito a tutti gli effetti. L’occasione per iniziare una sistematica attività politica venne data ai cattolici dalle elezioni suppletive del mese di luglio del 1910, in cui si dovevano eleggere altri cinque consiglieri per completare il numero di sessanta. Già nel mese di giugno il Titano si domandava se l’Unione se ne sarebbe rimasta in disparte anche in quelle elezioni, così com’era fin lì successo, o se sarebbe scesa nell’agone. La risposta arrivò nel giro di pochi giorni, tant'è che già alla fine di giugno era evidente che i cattolici si stavano dando un gran da fare per le elezioni, e che i democratici dovevano tornare ad allearsi, puntando su idee e programmi comuni, se volevano scongiurare il pericolo clericale, ovvero la Repubblica guelfa. In realtà, dopo lunghe discussioni, non si riuscì a consolidare nessun accordo, così le elezioni di luglio videro trionfare in Borgo, fin lì considerata roccaforte dei democratici, il cattolico Salvatore Berti, che per quattro voti (129 a 125) venne preferito al noto socialista Giuseppe Giovannarini.  
    Questo esito imprevisto frastornò il gruppo consigliare democratico creando forti polemiche al suo interno, grande disorientamento, e le dimissioni immediate di sei consiglieri progressisti. 
Al contrario i cattolici compresero di poter svolgere un grosso ruolo politico all’interno della tradizionalista società sammarinese.  
Da lì in poi le locali forze laiche e riformiste dovranno rendersene conto sempre più.

 

 

[1] Un importante esempio di quanto si sta sostenendo è il Libello infamatorio, scritto pare proprio da alcuni ecclesiastici, inviato a Roma nel 1823. Cfr. P. Boschi, Antonio Onofri e le sue ambascerie, Torino 1894, doc. V.

[2] Si veda in proposito soprattutto il mio intervento su Labirinti, anno 1, n° 2, ottobre 1997.

[3] C. Malagola, Il cardinale Alberoni e la RSM, Bologna 1886.

[4] Sul periodo cfr.: V. Casali, Il delitto Bonelli, San Marino 1992.

[5] Sul periodo cfr.: V. Casali, I tempi di Palamede Malpeli, San Marino 1994.

[6]  Stato e Chiesa in Il Titano, a. V, n°2, 20.1.07. Anche in P. Franciosi, Opere, - Scritti giornalistici,  vol. I, tomi I - II, Aiep editore, San Marino 1986.

[7]  Vecchi santi e fede nuova  in Il Titano, a. V, n° 3, 5.2.07

[8]  Si veda il manifesto pubblicato a cura della Federazione Socialista Sammarinese e del Fascio Giovanile Repubblicano in data 25 marzo 1907 in Immagini dell’arengo, Verucchio 1996, p. 85.

[9] Ibid., p. 86.

[10]  Il testo è il seguente : "Il XXV MCMVI - Dopo un letargo di IV secoli - Sorgeva la forza del popolo novo - A rivendicare - Con l'Arengo dei Padri - Il diritto sovrano - Indarno repugnante la vecchia oligarchia - Che oggi -Auspice il Governo - Benedice nel rito della chiesa - Alla conquista non sua."

[11]  Si veda a titolo di esempio il gustoso episodio del frate sassaiolo sul Titano  del 18.8.07 (a. V, n° 15 - 16), e sui numeri successivi tutta la furiosa polemica che ne scaturì.

[12] Le condizioni delle nostre scuole, in Il Titano, a, V, n° 15 - 16.

[13] Il Titano, a. V., n° 17, 3.9.07.

[14] cfr. Il Titano, a. V, n° 17, 3.9.07; si veda anche I 10 comandamenti per l’organizzato, in Il Titano, a. V, n° 24, 31.12.07. cfr. anche: V.Casali, Propaganda dialettale, religiosa, maccheronica del primo socialismo sammarinese, in Annuario della Scuola Secondaria Superiore, n° XXVI, anno scolastico 1998 - 1999, San Marino 1999.

[15] Il Titano, a. V, n° 14, 31.7.07.

[16] Pro – Patria, a.1, n° 1, 5.7.08.

[17] Il Titano, a.VI, n° 14, 26.7.08.

[18] La cronaca della seduta è in Il Titano, a. VI, n° 21, 15.11.08.

[19] Sorgiamo - L'Unione Popol. Cattolica Sammarinese nel giorno della sua inaugurazione, S. Marino 16/5/1909.

[20] Il Titano, a. VII, n° 11, 6 giugno 1909.

[21] Manifesto dell'Unione Cattolica Sammmarinese contro l'abolizione dell'insegnamento del catechismo, San Marino 5 agosto 1909.

[22] San Marino, anno 1, n° 1, 3 settembre 1909.

[23] Cfr. Leges Statutae Republicae Sancti Marini.

[24] San Marino, anno 1, n° 5.

[25] San Marino, anno 2, n° 2, 16 gennaio 1910.

[26] Sulla vicenda si vedano i giornali dell'epoca, in particolare il Titano, a.VIII, n° 10 del 6 marzo 1910, e il San Marino, a. 2, n° 5, del 6 marzo 1910.

[27] P. Franciosi (Fram), La Vandea della Repubblica, in Il Titano del 6 marzo 1910.

[28] cfr. il San Marino del 6 marzo 1910.

[29] cfr. il San Marino, a. 2, n° 6, 20 marzo 1910.

[30]San Marino., a. 2, n° 7, 1 aprile 1910.

[31] Cfr. Il Titano, a. 8, n° 7, 13 febbraio 1910.

[32] Il Titano, a. 8, n° 13, 27 marzo 1910.

[33] San Marino, a. 2, n° 7, 1 aprile 1910.

[34] Il Titano, a. VIII, n° 15, 10 aprile 1910.

[35] Sull'episodio si vedano il San Marino, a. 2, n° 11, del 5 giugno 1910, e Il Titano, n° 23 dello stesso giorno.

 

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