Il Casus Belli
L'abolizione
del catechismo a San Marino nel 1909
Per lunghi secoli San Marino è stato un’enclave
dello Stato Pontificio il quale, pur rispettando parzialmente le velleità
autonomistiche della minuscola Repubblica, per tradizione leggendaria nata
proprio per volontà di un santo, ovvero di una figura nei cui riguardi la
Chiesa doveva necessariamente avere venerazione e deferenza, non accettò mai di
considerare la libertà sammarinese assoluta e inviolabile, cioè non soggetta
in alcuna maniera alla sua vigile, ambigua e spesso intrigante “protezione”.
Non è ancora stata scritta la storia di questo
lungo, problematico legame, né si sa con certezza come i Sammarinesi lo
vivessero mentalmente e tangibilmente nella loro quotidianità, quali rapporti
relazionali avessero con i sudditi papalini, che nessi intercorressero con il
clero e i parroci presenti in territorio, punti di riferimento costanti per
tutti, ma anche potenziali nemici della Repubblica, a volte suoi occulti
denigratori o accusatori nei momenti di maggiore tensione con Roma
.
Fieramente convinti di essere indipendenti per volontà
divina, i Sammarinesi di sicuro mal tolleravano la pretesa del papato
d’intromettersi, a sua discrezione, nelle loro faccende politiche e sociali o
di misconoscere la loro epica libertà, che non consideravano né fortuita né
frutto di concessione umana, ma santa e metafisica, quindi indiscutibile.
Su questo peculiare modo di leggere la loro
dimensione statuale, che ha dato col tempo origine ad una caratterizzante
“mentalità sacrale”, come ho avuto più volte occasione di definirla,
ci sono rimaste numerose tracce fin dal XIII secolo. E’ possibile quindi
ipotizzare che quando i tempi erano tranquilli, i rapporti con la Santa Sede e
con il clero in genere rimanessero ottimi, essendovi profondo rispetto per la
dominante e rassicurante cultura cattolica, come tanti documenti, a partire dai
vari statuti locali, ci testimoniano. Quando tuttavia per qualche motivo si
sviluppavano tensioni, allora forse scattava in qualcuno quella mentalità
sacrale di cui si è detto, che spingeva ad anteporre il rispetto della santa
libertà tramandata dal lapicida Marino alla sottomissione totale e cieca al
papa/re di Roma, figura senz’altro fortissima e degna della massima
venerazione, ma sempre inferiore al santo fondatore e assolutamente privo di
diritti sulla libertas perpetua.
Non a caso il cardinale Alberoni, durante
l'occupazione da lui perpetrata ai danni della Repubblica, precisamente in una
sua lettera del 21 ottobre 1739, etichetta i Sammarinesi come gente
accerrima, tenace e superstiziosa di questa loro libertà.
La superstizione della libertà, che
è concetto vero ed estremamente efficace per comunicare il particolare legame
sussistente tra cittadinanza sammarinese e indipendentismo, poteva forse essere
alla base di una qualche diffidenza verso preti e Vaticano, ovvero di un
anticlericalismo in nuce pronto ad emergere in occasioni particolari,
naturalmente in maniera circoscritta soprattutto tra chi era in possesso di
strumenti culturali idonei e alternativi a quelli inculcati fin dall'infanzia
dal cattolicesimo.
Finché comunque i confini sammarinesi furono
circondati dallo Stato Pontificio, la contrarietà nei confronti di Roma e del
clero in genere non poté per forza di cose emergere più di tanto, nemmeno tra
quei pochi mazziniani delusi dall'atteggiamento di Pio IX durante la prima
guerra d'indipendenza, o dal fallimento della Repubblica Romana, fatto che, com'è
noto, determinò gravi ripercussioni a San Marino.
Dopo l’unificazione d’Italia, tuttavia, in particolare dopo l’annessione
della città di Roma, l’anticlericalismo di una frangia molto risoluta di
Sammarinesi, progressisti più o meno radicali, emerse in maniera palese e
crescente, fino a raggiungere toni spesso parossistici e drasticamente
intolleranti.
Negli ultimi decenni dell’Ottocento e nei primi
anni del secolo nuovo le tensioni tra anticlericali e clericali maturarono
gradualmente, inizialmente grazie ai giovani studenti redattori dei primi
giornali sammarinesi, zeppi di articoli addirittura feroci contro la Chiesa e i
suoi rappresentanti, in seguito grazie alla
nascita del Partito Socialista, i cui toni roventi e iconoclasti, nonché la
laicità esacerbata e integralista di cui si faceva paladino, lo rendevano una
sorta di Anticristo personificato e operativo, contro cui tutti i parroci
puntualmente tuonavano dal pulpito.
L’anticlericalismo sammarinese, pur con tutte
queste premesse, dilatando la sua evoluzione nel tempo, raggiunse una certa
sistematicità, assumendo toni particolarmente esacerbati e aggressivi, solo
intorno agli anni dell’arengo del 1906 e in quelli immediatamente successivi,
scatenando naturalmente subito una contro reazione altrettanto violenta,
stizzita e piena di invettive da parte dei clericali. I progressisti, infatti,
prima di qualunque altro tipo di innovazione politica, sociale e culturale,
miravano a conseguire l’abbattimento dell’oligarchia al potere, ed erano
consapevoli che negli assalti al clero dovevano muoversi con una certa
circospezione per non spaventare troppo il popolino, su cui la Chiesa da secoli
aveva un fortissimo ascendente. Inoltre nelle file del movimento pro – arengo
erano in parecchi a volere il rinnovamento periodico del Consiglio tramite
suffragio elettorale, ma in pochi quelli disposti a laicizzare in profondità lo
Stato abbandonando la cultura cattolica, da sempre preminente, per abbracciarne
altre più nuove, materialiste e profane.
In effetti, ad arengo avvenuto, la questione più
grossa intorno a cui si combatterono in continuazione battaglie epocali fu
proprio la laicizzazione dello Stato, problema che contaminò subito i rapporti
tra i riformisti delle diverse tendenze. I più anticlericali di tutti erano
sicuramente i socialisti, seguiti da un gruppuscolo di riformisti più moderati
di indole mazziniana/repubblicana. Altri, pur essendo seguaci delle nuove
culture positiviste e laiche che imperversavano, non sempre sull'argomento erano
decisi, pugnaci e estremisti come gli elementi più oltranzisti, né erano del
tutto convinti che il nemico pubblico numero uno fosse il prete.
Dopo la vittoria riformista del 25 marzo, comunque,
gli anticlericali si misero
alacremente al lavoro per
svecchiare e laicizzare la secolare
Repubblica di San Marino. Fin dai primi giorni del 1907, però, esplose
una grana legata proprio al problema della laicizzazione dello Stato che
testimonia quanto questo problema fosse scottante e soggetto a molteplici
interpretazioni. Si doveva infatti organizzare il primo anniversario
dell’arengo; nel Consiglio del 3 gennaio, dopo litigi e scontri vari, si era
pensato di fare una celebrazione che prevedesse anche una funzione religiosa.
Pietro Franciosi, anticlericale convinto, aveva protestato vibratamente, così
come Giovanni Vincenti, ma senza poter portare dalla loro parte la maggioranza
dei consiglieri. Nel Consiglio del 10 gennaio si erano aggiunte le proteste
di altri; alla fine era prevalso il partito favorevole alla commemorazione con
funzione religiosa. Tale deliberazione suscitò il malumore e la rabbia di chi
pensava che il cattolicesimo non avesse nulla a che fare con quella ricorrenza,
nonché, qualche mese dopo, la rottura dell’alleanza democratica che aveva
originato prima il Comitato pro – arringo, poi il Comitato elettorale che si
era presentato alle prime elezioni politiche.
Sul Titano
del 20 gennaio Franciosi volle una volta per tutte precisare la posizione dei
socialisti in materia, stigmatizzando la religione di Stato come un indubbio avanzo
di oscurantismo. Non può più esistere una Chiesa di Stato - aggiunse.
Ogni uomo se la fa da sé la Chiesa, ogni uomo ha diritto alla sua religione
senza urtare a quella degli altri. (...) Noi vogliamo l'indipendenza dello Stato
contro ogni chiesa e contro ogni setta; vogliamo insomma uno Stato estraneo ad
ogni confessione e professione di fede. (...) Abbia la chiesa nelle cose
puramente spirituali assoluta ed inviolata libertà; e nelle miste e civili
quella sola che le leggi consentono ad ogni altro cittadino od ente dello Stato .
La maschera ormai era stata gettata ed i socialisti erano pronti a porsi alla
testa di un nuovo movimento disposto a combattere l’oscurantismo
della nostra religione, istillato nella mente dei gonzi, in particolare dei
contadini e delle donne. La religione è
nemica del progresso e della civiltà, ed è mezzo e strumento d’ignoranza e
di corruzione, ribadì Franciosi in altro articolo del 5 febbraio .
La polemica montò sempre più
perché il Consiglio non accondiscese alla eliminazione dell’aspetto religioso
dalle celebrazioni del 25 marzo. La vicenda quindi si concluse con due manifestazioni celebrative
tra loro ben distinte: quella ufficiale, con funzione religiosa (che prevedeva
l’esposizione della teca di San Marino ed un te deum alle 10.00 di mattino), e quella laica, voluta fortemente
dai socialisti e dagli anticlericali, arrabbiatissimi contro i riti
chiesastici voluti dal malcerto
governo democratico sorto sulla ruina di una sciagurata oligarchia.
Gino Giacomini nell’occasione pronunciò un
discorso in cui risultava chiaro che l’alleanza che aveva permesso la
costituzione del comitato pro - arengo stava scricchiolando ed era ormai al
termine della sua breve e inquieta esistenza: Più
fausta per il popolo e per la Repubblica è questa modesta e semplice e schietta
nostra dimostrazione, che non la cerimonia pia ed ufficiale che riuniva, in
festoso corteo, riformatori e reazionari, democratici e conservatori, dei quali
il fiero dissidio doveva essere oggi sedato all’ombra di quella chiesa che
vide aiutò e concluse ben altri tradimenti. (...) La festa d’oggi doveva
essere festa civile e neutrale, ed è per questo che noi, che vogliamo
rispettate le nostre idealità civili ed anticlericali, ci allontaniamo sdegnosi
dal connubio che sa di tradimento .
La cerimonia anticlericale si concluse con la
tumulazione di una lapide commemorativa dell’evento in cui si ribadiva che
l’arengo non era stato una conquista clericale, ma esclusivamente laica.
Questa lapide, affissa di fianco alla chiesa di San Pietro, sul piazzale della
Pieve, dopo qualche mese venne fatta asportare dal governo, azione che inasprì
ancor più i rapporti tra le diverse forze politiche. I socialisti, in segno di
disprezzo per la decisione governativa, pubblicheranno a lungo sulla prima
pagina del Titano il testo della
lapide.
Solo in anni vicini a noi è stata ricollocata al suo posto originale.
Chi sfogliasse le pagine del giornale socialista di
questi anni si stupirebbe non poco della velenosa asprezza con cui venivano
portati attacchi al clero locale ed alla cultura che continuava a
promuovere. D’altronde il problema riguardava proprio il controllo
culturale delle masse che gli uni non volevano assolutamente perdere, mentre gli
altri volevano risolutamente acquisire.
I preti venivano etichettati come superstiziosi,
come padroni delle campagne, come maiali
religiosi eternamente soggetti a profonda
degenerazione sessuale e altro ancora. Ogni pretesto era buono per metterli
in cattiva luce e per sottolineare la loro presunta nefandezza.
Per ridimensionare il loro peso sociale, si pretendeva una netta divisione tra
Stato e Chiesa, la drastica riduzione dei privilegi che i sacerdoti ancora
detenevano, lo sviluppo di istituti laici di beneficenza e l’evoluzione laica
della scuola, che veniva considerata lo strumento principale con cui il clero
alimentava la sua forza culturale e perpetuava il suo potere. La
scuola moderna deve mirare anche da noi all’unico scopo di accrescere le
generazioni indipendenti d’intelletto e di carattere, deve curare
razionalmente lo sviluppo mentale col far apprendere al fanciullo e all’alunno
tutto ciò che è conquista ed affermazione di scienza positiva, e non
l’empirismo dogmatico e partigiano, dichiarò Franciosi in un suo articolo
pubblicato il 18 agosto.
Inoltre bisognava smettere di favorire solo il Liceo per potenziare le scuole
elementari e creare scuole tecniche di specializzazione, come esigono gl’interessi degli uomini e le condizioni dei tempi,
per favorire gli operai, che erano invece lasciati in uno stato di abbrutimento
e di totale ignoranza. Con le troppe
libertà che lo Stato ha dato da qualche anno alla Chiesa notiamo che il Clero
sammarinese alza sempre più il capo e si fa sempre più reazionario, mentre il
livello di coltura dei fedeli cade sempre più in basso. (...) Nel suo piccolo
il nostro Clero mette in pratica anche fra noi il segreto delle tradizionali
abilità del Vaticano di saper sfruttare la moltitudine, tenendone vivo in essa
il fanatismo a proprio vantaggio. Così ancora Franciosi in un articolo dal
titolo assai esplicito: La Chiesa soggetta
allo Stato,
in cui egli si auspicava la promulgazione di una legge sulle Mani Morte e altro
ancora per fissare le condizioni di vita
della Chiesa e tenerne il controllo permanente.
Interessante rilevare come questa battaglia venisse
spesso combattuta dalle forze laiche con le stesse armi dei tanto vituperati
avversari, adottando a volte i loro identici registri linguistici, e sfruttando
la figura del Santo patrono (nel cui nome i clericali dichiaravano di combattere
una guerra santa contro gl’infedeli) come personaggio carismatico cui
inchinarsi non tanto per le sue virtù sacrali, quanto per la sua fisionomia
politica e operaia.
Ovviamente lo scopo era quello di sostenere e inculcare nelle menti semplici
nuovi paradigmi culturali, senza spaventare troppo chi era abituato ad
interpretare l’esistenza tramite schemi e punti di riferimento elementari,
rigidi, stereotipati e ripetitivi, e perciò assai rassicuranti.
Attraverso conferenze,
banchetti, passeggiate di propaganda, nonché col Titano e altro materiale a stampa, gli anticlericali si adoperarono
per svolgere senza sosta opera di proselitismo, soprattutto nei paesi di
campagna, considerati totalmente asserviti a preti e padroni.
Questo dinamismo, giudicato
pericoloso da chi era abituato a non aver troppi concorrenti nella trasmissione
dei valori, della morale, degli ideali e della cultura in genere, provocò a
poco a poco una maggiore organizzazione dei cattolici, fino alla costituzione di
un gruppo dalla spiccata fisionomia politica che si dimostrerà pronto a
concorrere con i gruppi politici laici, nonché ad ingerirsi nelle elezioni per
mandare in Consiglio i suoi candidati.
Tra l’altro i redattori del
Titano consideravano la lotta per laicizzare la piccola repubblica
più importante a San Marino che in
Italia, perché proprio per la sua leggendaria nascita, dovuta ad un santo,
pareva una figliazione degli ordinamenti
religiosi primitivi, costringendola ad essere un sopravivente comune dello Stato pontificio. La stessa figura di
Marino, secondo loro, andava ridimensionata perché egli nella piena luce del secolo ventesimo e in tanta effervescenza di libertà
sembrava una creatura allevata in
mezzo a quattro accerchianti conventi. Il potere della chiesa a San Marino
era illimitato, secondo l’articolista da cui sto attingendo:
soverchia
gli ordinamenti civili, presiede a tutti gli atti principali della vita
pubblica, ha in cura ed in tutela il governo, lo battezza e lo benedice, lo
rapina e lo batte (…) Lo Stato è una emanazione della Chiesa, né più né
meno.
L’agognata laicizzazione dello Stato passava
necessariamente attraverso il mutamento di quegli istituti in mano alla Chiesa.
Da questi anni in poi vi saranno perciò eterne polemiche sul matrimonio civile,
che i riformisti anticlericali volevano ad ogni costo e che si riuscirà invece
ad inserire nella legislazione sammarinese solo dopo la seconda guerra mondiale,
sulla scuola, sulle istituzioni della Repubblica e su tutto ciò che, secondo
l’ottica dei riformisti, era nelle mani degli aborritissimi preti.
E’ chiaro che polemiche così forti ed astiose,
ripetute in tutte le occasioni possibili, insieme alla martellante propaganda
anticlericale e pro laicizzazione dello Stato, che veniva ormai svolta senza
freni o inibizioni, cominciarono ad allarmare non poco il clero locale e chi
nella religione vedeva l’unica o la migliore cultura possibile, e aveva il
convincimento che la conservazione dei valori del passato fosse sempre la
soluzione ottimale anche per i tempi nuovi.
I contrasti crebbero quindi gradualmente, ma con
costanza, finché nel luglio del 1908 i cattolici ed i conservatori
intransigenti diedero alle stampe il loro primo periodico, il Pro
– Patria, il cui numero iniziale uscì in data 5 luglio.
Il pretesto che favorì la creazione del giornale furono le elezioni parziali
che si dovevano svolgere il 12 dello stesso mese per eleggere cinque consiglieri
venuti a meno dal 1906 per dimissioni o per altri motivi. Il Titano
nell’occasione continuò a sparare a zero sui cattolici sia per quella solita
politica arrabbiata anticlericale che lo contraddistingueva sempre, sia perché
aveva reali timori che essi si potessero raccogliere in una qualche
organizzazione di stampo politico per mandare in Consiglio i loro candidati.
Soprattutto si aveva paura del Castello di Domagnano, da sempre conservatore e
filo - cattolico, oscuro fortilizio della Vandea, come verrà eternamente etichettato,
per l’opera di propaganda politica che negli anni precedenti, ai tempi
dell’arengo, vi aveva svolto Don Michele Bucci, e per quella che ora stavano
svolgendo Don Terenzi e alcune famiglie del Castello, gli assoluti dominatori del luogo. Il Pro–Patria in realtà sarà creatura dalla vita breve perché
legata solo a queste elezioni: i cattolici infatti non erano ancora pienamente
dell’idea di doversi organizzare in gruppo politico per contrastare alla pari
i loro avversari. Il giornale comunque, pur ripromettendosi di non voler essere
aggressivo e bellicoso, dichiarò che non avrebbe tollerato le imposizioni e le intemperanze della piazza e dei partiti sovversivi,
portando feroci attacchi ai socialisti: Voi
non siete socialisti. Voi non avete principii democratici e liberali. Voi per
salire avete raccolto nel vostro seno tutti i relitti ed i detriti immondi della
cloaca Massima. Politicamente assicurava di non voler far propaganda per
nessuno essendo apartitico: La nostra
Repubblica non deve essere di uno o di un altro partito ma deve appartenere
indistintamente a tutti i cittadini. Come diceva già col suo titolo, il
giornale era uscito solo per sostenere la patria in un momento storico
politicamente molto travagliato.
Questo foglio dimostra con chiarezza che ancora in
questo periodo i cattolici sammarinesi, al di là dell’ostilità violenta
contro i socialisti, non avevano velleità politiche chiare e particolari, né
si volevano impegnare più di tanto nell’agone elettorale, probabilmente per
quell’avversione verso il mondo dei partiti promossa già da tempo dalla Santa
Sede e molto in voga negli anni precedenti presso il cattolicesimo italiano,
anche se ormai in rapido declino (infatti nelle elezioni italiane del 1909 i
candidati cattolici saranno 52 in 72 collegi elettorali, nei quali era stato
sospeso ufficialmente il non expedit).
Non a caso le elezioni suppletive svoltesi a San Marino nel 1908, in cui i
cattolici non proposero ufficialmente loro candidati, furono favorevoli ai
progressisti ed ai socialisti, tanto che il Titano
del 26 luglio sostenne entusiasticamente che il partito usciva dalle elezioni ingigantito e sicuro del consenso e dell’aiuto della classe
lavoratrice che dietro ad esso si è messa risolutamente. Le elezioni del 12
corrente costituiscono né più né meno che la sua (dell’oligarchia)
condanna e preludono al colpo di grazia che le verrà dato nel prossimo anno,
ovvero nelle elezioni del 1909 quando si sarebbe dovuto rinnovare il Consiglio
per un terzo.
Forse proprio grazie a questo entusiasmo poco
lungimirante ed all’ingenua convinzione che San Marino ormai avesse mutato
realmente e miracolosamente pelle, il Consiglio, durante la Reggenza di Olinto
Amati, un riformista schierato apertamente su posizioni anticlericali fin da
quando era giovane, cioè già da vari decenni, si mise a discutere di religione
e di catechismo nella scuola, chiedendosi se fosse giusto che nelle elementari
il catechismo venisse trattato alla stregua delle altre materie di studio,
com’era accaduto in effetti fino a quel momento.
Tra l’altro
le acque si mantennero agitatissime anche perché i socialisti ed i progressisti
meno moderati continuarono a sollecitare con sempre maggiore insistenza alcune
riforme costituzionali relative alla durata e alle funzioni dell'istituto della
Reggenza, innovazioni ritenute assolutamente inconcepibili dai conservatori.
Nella seduta consigliare del 31 ottobre avvennero forti scontri tra conservatori
e riformisti proprio a causa di tali pretese, perché fu esaminata un’istanza
socialista che chiedeva l’elezione diretta dei Reggenti e la conseguente
abolizione del sistema in vigore fin dal XV secolo basato sul sorteggio. L’orda
barbarica balzò come un sol uomo ci racconta il Titano
nella cronaca che fece dell’evento – risoluta
a farla finita contro i socialisti ai quali deve essere negato il diritto di
vita: urlò, inveì, si alzò minacciosa contro i pochi nostri compagni che
resistevano sereni ma forti, mostrò i pugni, alzò i bastoni, fece luccicare
qualche fredda canna di revolver. Le intemperanze dei vandeani ossessionati, però, non sortirono effetti: Tutta
questa inutile consunzione di piccole o grandi violenze ed ingiustizie non farà
spostare di una linea la condotta del Partito Socialista che ha una funzione
altissima da compiere e che è sicuro del suo domani. E’ il Partito Socialista
che ha dato nuovo vigore alla Repubblica.
In realtà la violenza degli scontri non si doveva
solo alla richiesta di riformare l’istituto della Reggenza, ma alla generale
volontà dei progressisti di mutare la secolare tradizione sammarinese andando
ad incidere su diverse norme statutarie. Queste, invece, per la vasta frangia
conservatrice non dovevano essere minimamente toccate, né si doveva porre mano
alla laicizzazione della Repubblica, quindi nemmeno all’abolizione del
catechismo nelle scuole. Sulle ali dell’entusiasmo per le elezioni vinte, si
cominciò invece a ventilare la possibilità di bandirlo del tutto dai programmi
scolastici, sicuramente con eccessiva leggerezza e con troppa precipitazione da
parte progressista. Già nel Consiglio dell’8 ottobre si era arrivati ad una
votazione in merito, che aveva registrato 18 voti favorevoli all’abolizione e
16 contrari. Dopo questo ballottaggio, però, erano scoppiate immense polemiche
nel paese, poiché l’insegnamento della religione nella scuola era previsto
dagli statuti, per cui la sua abolizione, secondo i cattolici, doveva essere
considerata alla stregua di un vero e proprio problema costituzionale. Come tale
il Consiglio non poteva porvi mano, o al massimo poteva adottare deliberazioni
in merito solo con una maggioranza dei 2/3 dei presenti, così come lo stesso
statuto prevedeva per la modificazione delle sue norme. Il richiamo allo statuto
serviva senza dubbio per contrastare con lo strumento più potente della sacra
tradizione costituzionale della Repubblica ciò che sembrava una vera e propria
scristianizzazione della società sammarinese da parte delle forze laiche,
sempre più baldanzose e decise a relegare i cattolici in posizioni sociali e
politiche marginali.
La questione venne lasciata in sospeso per qualche
mese, anche se il Titano del 25
ottobre considerava ormai l’abolizione del catechismo cosa fatta, e plaudiva
alla locale scuola che aveva il dovere di
essere neutrale in fatto di credenze, di separare morale e religione, e di
impedire ogni tentativo di penetrazioni
estranee. Ovviamente se gli anticlericali plaudivano, i cattolici fremevano
di sdegno e di rabbia, confortati in questo dai sentimenti del popolo, ancora
saldamente radicato quasi tutto alla cultura della Chiesa.
Proprio le istanze riformiste contro questa o quella
norma statutaria che con sempre maggiore frequenza venivano presentate al
Consiglio, e la lotta ormai aperta nei confronti del catechismo, del clero e
della religione, nonché i nuovi e più favorevoli atteggiamenti verso la
politica che stavano montando anche tra i cattolici italiani, spinsero i
tradizionalisti sammarinesi ad organizzarsi sempre meglio, fino a fondare un
gruppo dai connotati di vero e proprio partito politico ed un giornale, anche
questo molto politicizzato, pronto a ribattere colpo su colpo la propaganda
anticlericale che proveniva dal Titano,
e a divulgare idee programmatiche di stampo politico e sociale. L’organizzazione di tale associazione prese avvio nell’inverno tra il 1908
ed il 1909, inizialmente come propaganda a favore del catechismo nelle scuole
tramite una raccolta di firme per evitarne l'abolizione.
Il 5 febbraio venne indetta la prima riunione del
gruppo cattolico, riunione che si sciolse con l’impegno di inviare
propagandisti per tutto il territorio a perorare la causa della salvaguardia dei
valori tradizionali e del catechismo scolastico. Nel mese di aprile tale gruppo
si fece vivo in Consiglio presentando due istanze d’arengo a favore
dell’agricoltura e delle case operaie. Il 16 maggio, dopo alcune riunioni
preliminari, giunse alla sua fondazione effettiva con una riunione sul piazzale
della Pieve dove parlò l’avvocato Bertini dell’Unione cattolica italiana, e
con l’uscita del giornale Sorgiamo,
numero unico dato alle stampe proprio per celebrare l’inaugurazione del
gruppo.
Il suo programma era assai semplice: L’Unione
ha per iscopo di riunire e concentrare tutte le forze cattoliche di questa
Repubblica e di promuovere il bene Religioso, Economico e Civile del popolo
Sammarinese, basato sul Vangelo e sull’insegnamento della Chiesa Cattolica. Voleva
insomma il rispetto totale e inflessibile della religione cattolica e delle avite
istituzioni di questa Patria diletta, che sono la ragione piena della nostra
esistenza politica. La riunione era stata convocata tramite manifesto
diffuso il 9 maggio in cui era chiara l’intenzione di creare finalmente un
gruppo compatto intorno agli ideali cattolici e contro le camorre
politiche. Amici, fratelli il momento
è nostro: guardate come i partiti che si contendono il dominio del popolo hanno
scoperto il loro gioco e sono apparsi quali nemici veri della sua Fede. A noi il
correre animosi alla difesa dei nostri diritti più santi; a noi, i forti figli
di Marino, il proteggere validamente, vittoriosamente quella Libertà eterna
ch’egli colla Croce portò, e che nel Cristianesimo ha la sua origine e la sua
attuazione piena ed universale. La difesa della religione andava poi di pari
passo con la difesa delle istituzioni del passato perché, come ho già
ripetutamente evidenziato, a San Marino dominava una sorta di "mentalità
sacrale" che tendeva a mescolare in continuazione le istituzioni con la
morale e con la religione:
L’Unione
Popolare è qua per difendere lo Statuto sammarinese, è qua per opporsi a tutti
quegli insensati che credessero di poter mettere a soqquadro impunemente quelle
istituzioni che hanno formato, e formano tuttora il più glorioso retaggio di
questa secolare Repubblica.
L’Unione in sintesi sorgeva come gruppo teso a
conservare quasi per intero il passato, con qualche lieve velleità riformista
che si manifesterà di tanto in tanto, soprattutto a partire dalla fine del 1909
a favore del ceto rurale, quello che più di tutti rappresentava il suo forte e
corposo punto d’appoggio. Nei mesi successivi la situazione rimase piuttosto
tranquilla, anche se il 13 giugno il Consiglio venne rinnovato tramite regolari
elezioni per una sua terza parte. Il gruppo cattolico in questa tornata
elettorale rimase ancora in disparte, tanto che il Titano
del 6 giugno poté parlare di situazione elettorale sonnolenta e tranquilla, e
prevedere, come in effetti accadde, che sarebbero rientrati in Consiglio più o
meno i consiglieri precedenti.
Nel mese di agosto, però, scoppiò
la bagarre perché il Consiglio, approfittando di alcune contingenze favorevoli,
il giorno 3 affrontò inaspettatamente il problema del catechismo e ne votò
l’immediata soppressione per 27 voti contro 5. Naturalmente l’Unione montò
su tutte le furie, anche perché non si aspettava che in quel Consiglio si
sarebbe affrontata e risolta in modo tanto sbrigativo e drastico la questione
del catechismo. Il 5 diffuse tra la popolazione un manifesto contro
l’abolizione del catechismo in cui sosteneva che una
minoranza audace, con l’inganno e approfittando di un insieme di
opportunità, con decreto consigliare aveva abolito il catechismo, violentando
in tale maniera anche lo statuto
fondamentale e secolare della Repubblica, precisamente in quell’articolo che
appartiene alla maggior eredità tramandataci dal Santo Patrono ed autore della
nostra libertà, quell’eredità morale che della libertà stessa è la
sostanza, la forza, la vita.
In definitiva si sosteneva che l’abolizione del
catechismo era stato un oltraggio alla coscienza dei credenti, ed una
sopraffazione ai diritti dei cittadini. Se la popolazione non si fosse ribellata
fin da subito, quella minoranza sarebbe cresciuta di numero e di potenza in
fretta e non vi sarebbero più state garanzie statutarie cui appellarsi, poiché
come avevano abolito il catechismo, avrebbero potuto calpestare lo statuto in
qualunque altra sua parte. Non permettiamo
che si attenti alle nostre più sacre tradizioni - si concludeva il
manifesto - Noi
non vogliamo imporre ad altri la nostra fede, ma nemmeno altri devono imporre a
noi e inculcare ai nostri figli la loro miscredenza. La richiesta era unica
e categorica: il ripristino immediato dell’insegnamento del catechismo nelle
scuole. Ancora una volta, quindi, l’Unione collegava tra loro religione ed
istituzioni urlando con convinzione che a San Marino non si poteva né doveva
toccare nulla di quanto ereditato dal passato, perché altrimenti tutto sarebbe
andato irrimediabilmente in rovina.
Le forze progressiste, però, avevano senza dubbio
fatto il passo più lungo della gamba, perché in Italia si stava discutendo
animatamente e con grandi difficoltà dello stesso problema, ma ancora non si
era riusciti a giungere all’abolizione del catechismo nelle scuole, e San
Marino era troppo intriso di cultura cattolica per poter serenamente accettare
una riforma tanto strutturale. In pratica l’abolizione del catechismo fu un
grave errore perché diede ai cattolici la forza morale e materiale per
compattarsi, nonché il leitmotiv attorno cui ben organizzarsi, con cui far
opera di proselitismo, soprattutto nei Castelli rurali, e da cui partire per una
sorta di nuova crociata contro gl'infedeli.
Non a caso il 3 settembre 1909, ad appena un mese
dalla tanto aborrita abolizione, nel giorno della celebrazione della festa del
santo patrono, vide la luce il primo numero del San Marino, organo dell’Unione Cattolica Sammarinese, che si
riprometteva di essere la guida dei cattolici e un veicolo di perfetta armonia
tra i cittadini, dichiarando che avrebbe combattuto su tre fronti: quello
religioso, quello economico – sociale e quello politico. Evidenziò subito che
la sua nascita era stata causata prevalentemente dall’abolizione del
catechismo sancita dal Consiglio, e sottolineò ancora una volta la volontà di
difendere le tradizioni sammarinesi dagli attacchi delle nuove forze politiche
che si erano sviluppate. Le nazioni adesso
riguardano la nostra Repubblica come un prezioso cimelio di tempi antichissimi
– denunciò – Guai pertanto a quei
cittadini che osassero manomettere le patrie istituzioni: in esse soltanto ha la
sua ragione d’essere la nostra piccola terra!
I dirigenti dell’Unione accusavano i loro nemici
progressisti di non aver mantenuto la parola su quanto dichiarato prima
dell’arengo, ovvero che il cambiamento dell’assetto politico sammarinese non
avrebbe minimamente influito sulla religione professata dai Sammarinesi. Essi
consideravano la religione cattolica non semplicemente l’ambito della fede di
ciascuno, ma elemento istituzionale a tutti gli effetti in quanto parte
integrante della tradizione e dello statuto sammarinese, quello stesso statuto
che aveva permesso, secondo la coscienza collettiva, il consolidarsi della
dimensione statuale di San Marino. Il rimescolamento che da sempre si faceva a
San Marino di Stato e religione aveva
convinto i conservatori che l’abolizione del catechismo non fosse solo
un’offesa al loro credo, ma un attacco alla stessa secolare Repubblica
sammarinese. Ciò che noi vogliamo ad ogni
costo e a qualunque sacrificio – sottolinearono in un altro articolo dello
stesso giornale – come cittadini
dell’ordine e difensori della fede ereditata dagli avi nostri è
l’osservanza dello statuto. Avremo sempre parole spiranti fuoco contro i
profanatori delle sue leggi; grideremo con tutto lo sdegno di un animo
repubblicano, di un cuore ferito nei suoi ideali e nei suoi sacrosanti diritti
contro quei vili denigratori che attentano scemare la bellezza, avvilirne
l’importanza dichiarandolo non più rispondente ai bisogni dei tempi e lo
spogliano della sua aureola immortale riducendolo un arlecchino. Bello,
sovranamente bello il nostro statuto! Nobile l’ingegno che lo ha ispirato!
Sante, Divine le leggi che vi s’inculcano, sanzionate dall’approvazione dei
secoli!
L’Unione cattolica era convinta, insomma, di star
combattendo una guerra santa, come
venne sostenuto all’interno dell’articolo Ave,
Marine, Libertatis Fundator, in cui s’invocava l’aiuto del santo
protettore contro gli odiati rossi per
mantenere la libertà così come l’avevano tramandata i mitici patriarchi di
San Marino.
Nei giornali dei mesi successivi la polemica continuò
ad oltranza, sempre con gli stessi toni e basandosi sugli stessi assiomi.
Soprattutto si calcava la mano sulla non osservanza della rubrica 33 del libro I
degli statuti,
che trattava delle funzioni e del salario del pubblico precettore, ed in cui si
prevedeva l'obbligo dell’insegnamento della dottrina cristiana a tutti gli
scolari insieme ad altre discipline. Si sosteneva, dunque, che con l’abolizione
del catechismo il Consiglio avesse alterato una disposizione statutaria senza
averne alcun diritto, perché con l’arengo del 1906 il popolo aveva permesso solo
il cambiamento del sistema di nomina dei consiglieri, non la riforma di altre
norme statutarie.
Le tensioni crebbero di giorno in giorno. Ogni
Consiglio divenne sede di infinite polemiche e di violentissimi scontri verbali.
La cittadinanza, sobillata sia dai conservatori che dai progressisti attraverso
i giornali e i comizi di propaganda che venivano svolti da entrambi i gruppi nei
diversi Castelli, divenne sempre più eccitata ed invasata. In particolare
alcuni sacerdoti si diedero molto da fare per aggregare la popolazione contro il
pericolo rosso e l’apparente scristianizzazione della società sammarinese.
Alla monarchia
costituzionale di ieri, sottolineò il San Marino
dell’8 dicembre 1909,
è subentrata la
monarchia czaresca di oggi,
manifestando senza mezzi termini che non vi era stato miglioramento rispetto al
tanto aborrito periodo oligarchico, anzi.
Nel 1910 la polemica tra laici e clericali si
amplificò ancora, diventando assai più violenta e acida dell’anno
precedente. Ormai l’Unione disponeva di una sua organizzazione e, fatto ancora
più importante, di un suo giornale che, uscendo con regolarità, poteva
finalmente ribattere tutte le accuse e i veleni del Titano,
non per nulla ribattezzato "Tetano". Proprio dalle pagine del San
Marino (che il Titano per
contraccambiare chiamava "Somarino") l’Unione promosse la teoria che
colpevoli di tutta l’agitazione e l’astio esistenti nel paese fossero
soltanto i socialisti, fomentatori di discordia sociale e senzadio impenitenti.
Il 6 gennaio del 1910, in una delle tante riunioni
organizzate dall’Unione, venne deciso di impegnarsi sempre più nel sociale
per far qualcosa per il popolo e migliorare le condizioni del proletariato. Il
17 gennaio, durante un altro comizio tenutosi a Serravalle, Don Barducci e Don
Nicolini propugnarono la costituzione di una società per migliorare le
condizioni dei contadini.
D’altra parte sui contadini l’Unione faceva gran conto, essendo stata,
questa categoria di lavoratori, alquanto
trascurata in passato dalle forze progressiste, più propense ad appoggiarsi
agli scalpellini e alle altre categorie operaie. Inoltre erano sicuramente i
contadini quelli più imbevuti di cultura cattolica, cioè più intimoriti dagli
attacchi alla loro religione. Questa particolare divisione che si era venuta a
creare tra la popolazione per colpa delle forze politiche e culturali che si
contrastavano fu evidentissima nella sommossa,
come venne chiamata, che scoppiò il 26 febbraio del 1910 contro la legge che
istituiva l’organico degli impiegati. In pratica in quel giorno il Consiglio
avrebbe dovuto varare la legge che istituiva l’organico per gli impiegati, ma
fin da un paio di giorni prima erano stati affissi per il territorio manifesti
manoscritti in cui si sosteneva che il governo stava per varare spese
enormi a vantaggio della classe degli Impiegati e a danno del povero popolo
lavoratore dei campi. Per tale motivo s’invitavano i contadini a
partecipare ad una marcia pacifica di protesta sul Pianello nel giorno in cui si
sarebbe riunito il Consiglio. Giunto il giorno della seduta consigliare, la
marcia vide la partecipazione di molte persone, ma non fu per nulla pacifica in
quanto vari consiglieri progressisti, insieme alla stessa Reggenza, vennero
offesi senza mezzi termini dai dimostranti. Un consigliere poi, visto il brutto,
aveva osato tirar fuori da una tasca della sua giacca una pistola, fatto che
mandò la folla su tutte le furie e che gli fece passare un brutto quarto
d’ora. Dopo un assedio di varie ore, in cui il Consiglio venne praticamente
bloccato all’interno del Palazzo Pubblico, i contadini si dispersero ed il
brutto episodio ebbe fine.
Gli animi però rimasero surriscaldati: i
progressisti ed i conservatori si lanciarono strali sempre più astiosi dai loro
giornali, rimpallandosi la responsabilità dell’accaduto. Sul Titano
del 6 marzo Franciosi accusò esplicitamente i proprietari terrieri ed i preti: La nostra classe borghese che domina la povera plebe rurale, è
affarista e manca di lumi. Quindi i nostri contadini non hanno altre idee che
quelle che loro comunicano i preti e i padroni. Sono semplici e rozzi, attaccati
all’antico ordine di cose, e nulla intendono in materia di modernismo
favorevole a toglierli o a sollevarli dalle loro infelici condizioni di servi
della gleba. In sintesi sosteneva che per paura dei maggiori oneri che
l’organico degli impiegati avrebbe richiesto, e quindi di nuove tasse, i
contadini erano stati aizzati contro la riforma e contro il governo dai possidenti
campagnoli che detenevano ancora il potere economico e politico del paese. Dopo lo spodestamento dell’oligarchia nobiliare occorreva che il
governo fosse assunto da una borghesia illuminata e umanitaria. Invece da noi è
mancato quasi del tutto un terzo stato, colto e industrioso (…) Per
cui la maggioranza dei Sammarinesi giace ancora nella più completa servitù,
senza lettere, con poco pane, senza conforti morali. I buoni decreti, i progetti
migliori ventilati nel Gran Consiglio formano motivo continuo di grave
malcontento fra costoro. Un governo autorevole ed illuminato avrebbe potuto
curare per tempo queste piaghe e porvi un riparo, evitando ovviamente anche
il sollevamento della vandea della Repubblica.
Di altro avviso ovviamente i cattolici, pronti a
sostenere che le responsabilità dei fatti del 26 febbraio erano tutte dei
socialisti e dei loro alleati che avevano stancato
con prepotenza e offeso coll’inganno
il popolo sammarinese, strappando quello
Statuto che si diceva voler conservato e (…) disprezzando la religione degli avi. La paura delle tasse che si
credevano necessarie per concretizzare la legge relativa agli impiegati aveva
fatto il resto, contribuendo a far saltare i nervi agli abitanti dei principali
castelli del contado.
Anche nei numeri successivi del giornale cattolico si
ribadirono gli stessi concetti: il locale socialismo era la prima causa di
questo ambiente rurale saturo di ostilità e di malcontento, perché tutte
le istanze socialiste degli ultimi anni erano state contro le
più antiche tradizioni, le più radicate, care e sacre costumanze del popolo e
del governo sammarinese. La principale colpa dei socialisti era quella di
voler fare le cose troppo in fretta, senza lasciare alla gente il tempo per
assimilare e comprendere le innovazioni proposte, spesso considerate troppo
avveniristiche per la società sammarinese.
I prodromi dei
moti, continuerà il San Marino del
1° aprile, si dovevano al fatto che il nuovo Consiglio aveva esorbitato
dai suoi poteri, diventando più sovrano del Consiglio antico, e calpestando
la volontà del popolo che è vero sovrano. L’abolizione del catechismo, i
discorsi che si andavano facendo sulla netta separazione tra Stato e Chiesa, la
volontà di mutare lo statuto, erano stati i fattori che avevano creato un
ambiente di sovraeccitazione. Per pacificare gli animi occorreva restituire
al popolo ciò che gli era stato tolto, ovvero l’insegnamento della religione
nelle scuole, altrimenti la scintilla coverà sotto cenere e alla prima occasione
divamperà. Solo a questi patti l’introduzione dell’obbligatorietà
scolastica, argomento d'interesse prevalentemente progressista, avrebbe ricevuto
l’appoggio dei cattolici. Inoltre occorreva amministrare meglio i soldi
pubblici così da evitare nuove tasse .
Secondo l’Unione, insomma, il governo che ora
reggeva la Repubblica era interessato solo alla laicizzazione dello stato ed
alla distruzione della religione, non alle riforme veramente necessarie alla
repubblica. Erano stati i socialisti a non mantenere le promesse fatte
all’elettorato durante la campagna pro - arengo, quando avevano fornito ampie
garanzie a tutti che l'innovazione del Consiglio elettivo avrebbe inciso solo
sull’assetto politico della repubblica, senza modificare per nulla il suo
assetto culturale e religioso. Smentendo poi con le azioni intraprese tali
promesse, ed iniziando una sistematica opera di laicizzazione, interpretata dai
cattolici come scristianizzazione, o quanto meno come lotta dura e prevenuta
contro il cattolicesimo e i suoi rappresentanti, i socialisti erano stati i
fomentatori delle discordie politiche e civili che ormai imperversavano nel
paese.
Il gruppo socialista, che già da anni ce l’aveva
coi suoi ex alleati democratici, accusati di essere troppo tentennanti nel
contrastare i conservatori, cominciò a parlare apertamente del rischio di una Repubblica
guelfa, perché i cattolici stavano dimostrando di sapersi ottimamente
organizzare e di voler detenere il potere politico in alleanza coi democratici
più moderati, ormai loro ex alleati.
Si capì comunque che era indispensabile gettare
acqua sul fuoco che stava divampando, per cui emerse la proposta di convocare
una riunione informale tra i consiglieri in cui decidere con maggiore serenità
il da farsi per risolvere il conflitto in atto. La riunione ebbe luogo il 20
marzo e vi presenziarono 36 consiglieri di tutte le correnti. Dopo lunghe ma
pacate discussioni, si sciolse con un ordine del giorno che invitava il
Consiglio a varare definitivamente la legge sull’organico degli impiegati e ad
amministrare con maggiore saggezza economica la Repubblica, e con un caloroso
invito ai gruppi in conflitto di abbassare i toni della polemica per giungere ad
una totale pacificazione degli animi.
In effetti in aprile le tensioni diminuirono ed i due
giornali politici del paese illustrarono a turno i rispettivi programmi e
propositi. L’Unione, in un articolo dal titolo molto esplicito, Quello
che vogliamo noi, si proponeva per la Repubblica:
1.
Pace e progresso per tutta la cittadinanza
2.
Il varo dell’organico per gl’impiegati
3.
Il consolidamento del bilancio
4.
Una riforma fiscale che colpisse tutto il reddito sammarinese e non solo
i terreni ed i fabbricati
5.
Una legislazione migliore per il ceto rurale
Nello stesso articolo si continuò ad evidenziare
che, dopo l’arengo del 1906, il Consiglio aveva esorbitato dai suoi poteri, diventando
più sovrano del Consiglio antico e calpestando la volontà del popolo che è vero sovrano. L’inizio
dei conflitti fra le parti era stato senza dubbio l’abolizione del catechismo,
deliberazione contraria allo statuto, poi il discorso che andava sempre più
ingigantendosi di volere la netta separazione tra Chiesa e Stato, anche questo
contrario allo statuto ed alla tradizione confessionale della Repubblica.
Qualche giorno dopo uscì anche il Titano
con un articolo dalla logica analoga. I socialisti volevano:
1.
Revisione dello statuto con
l’approvazione dell’Arringo a mezzo del Referendum
2.
Riordinamento scolastico
3.
Istituzione del matrimonio civile
4.
Legge sui beni delle Mani morte
5.
Legge sugli infortuni sul lavoro
6.
Trasformazione delle decime da obbligatorie in facoltative
7.
Fondo pensioni per gli operai vecchi o invalidi
8.
Impianto di un forno normale
9.
Costruzione di case popolari
10.
Impianto della linea telefonica
11.
Acqua potabile in tutto il territorio
12.
Impianto di un ufficio metrico
13.
Miglioramento dell’illuminazione artificiale
Come si può constatare, i due gruppi che si
fronteggiavano avevano programmi molto diversi e, pur in fase di tregua, si
capiva bene che entrambi erano figli di logiche forti e inflessibili non
disposte ad accettare particolari compromessi su quanto ambivano. I socialisti
non transigevano sull’esigenza di laicizzare lo Stato ed attuare riforme alla
sua costituzione. I cattolici, sicuri dell’appoggio della maggioranza della
popolazione (La scuola deve essere
religiosa in omaggio alla gran maggioranza cattolica ed allo statuto – Imporre
oggi grandi riforme, non apprezzate dalla mentalità e coscienza popolare, è
compiere opera disastrosissima, sottolinearono con frequenza sul loro
periodico) non avrebbero mai tollerato l’abbandono della tradizione statutaria
e culturale in cui da secoli i Sammarinesi erano immersi, o l’avrebbero
tollerato solamente in tempi estremamente dilatati, e tra chissà quanti
compromessi.
Che riscoppiassero dunque scontri era inevitabile:
l’occasione venne data dalla conferenza pubblica tenuta dall’Unione a
Domagnano il 16 maggio, giorno della celebrazione del suo primo anniversario.
Tra i conferenzieri ad un certo punto parlò anche don Barducci, che invitò con
parole forti lo Stato a ripristinare il catechismo nelle scuole. Remo Giacomini
ritenne le parole usate dal prete offensive nei confronti dello Stato, per cui
provvide a denunciarlo alle autorità giudiziarie. La polemica naturalmente
approdò subito in Consiglio, dove avvennero feroci scontri tra i socialisti e
l’avvocato Babboni (l’ex presidente del Comitato pro – arringo), il quale
nell’occasione aveva preso le parti di don Barducci. Alla fine la denuncia finì
in nulla perché il giudice appurò che il prete, pur usando un linguaggio
focoso, non aveva in realtà offeso nessuno, per cui non era passibile di alcuna
pena.
Nei mesi seguenti i toni rimasero più temperati, però
politicamente i socialisti capirono che l’Unione non sarebbe più stata solo
un movimento culturale e ideologico, ma un partito a tutti gli effetti.
L’occasione per iniziare una sistematica attività politica venne data ai
cattolici dalle elezioni suppletive del mese di luglio del 1910, in cui si
dovevano eleggere altri cinque consiglieri per completare il numero di sessanta.
Già nel mese di giugno il Titano si
domandava se l’Unione se ne sarebbe rimasta in disparte anche in quelle
elezioni, così com’era fin lì successo, o se sarebbe scesa nell’agone. La
risposta arrivò nel giro di pochi giorni, tant'è che già alla fine di giugno
era evidente che i cattolici si stavano dando un gran da fare per le elezioni, e
che i democratici dovevano tornare ad allearsi, puntando su idee e programmi
comuni, se volevano scongiurare il pericolo clericale, ovvero la Repubblica
guelfa.
In realtà, dopo lunghe discussioni, non si riuscì a
consolidare nessun accordo, così le elezioni di luglio videro trionfare in
Borgo, fin lì considerata roccaforte dei democratici, il cattolico Salvatore
Berti, che per quattro voti (129 a 125) venne preferito al noto socialista
Giuseppe Giovannarini.
Questo esito imprevisto frastornò il gruppo
consigliare democratico creando forti polemiche al suo interno, grande
disorientamento, e le dimissioni immediate di sei consiglieri progressisti.
Al contrario i cattolici compresero di poter svolgere
un grosso ruolo politico all’interno della tradizionalista società
sammarinese.
Da lì in poi le locali forze laiche e riformiste
dovranno rendersene conto sempre più.
|