Fu vera gloria?
(articolo
pubblicato su “Il Quotidiano di San Marino” il 23 marzo 1995)
Per
carità: di dissacrare una delle pagine più gloriose della nostra
p1urisecolare storia, quella relativa al memorabile Arengo del 25
marzo 1906 cioè, non me lo sogno proprio. Non sarebbe giusto nei
confronti di chi si è impegnato strenuamente per la realizzazione di
quell'evento, né verso la nostra storia contemporanea, che senza
dubbio è stata profondamente condizionata ed incanalata lungo nuovi
binari da quell'impresa. Però occorre usare sempre e comunque
estrema cautela verso gli episodi storici di un certo peso, perché è
assai facile, e se vogliamo anche gratificante per chi nasce o
sviluppa la sua mentalità dopo quei fatti, snaturarli a tal punto da
renderli illusoriamente epici, o, al contrario, assolutamente
esecrabili.
Inoltre i Sammarinesi per consuetudine hanno quasi sempre preferito
l'epica alla storia, forse per bearsi nella favola della “città
felice”, tanto cara alla storiografia del recente passato, oppure
per elevarsi a dimensioni storiche concretamente impossibili per una
microscopica realtà come la nostra, e raggiungibili perciò solo
tramite l'esaltazione del sogno. Per questo noi ancor più degli
altri dobbiamo rivolerci al passato con giusto spirito critico.
Anche
l'Arengo del 25 marzo 1906 è stato fin da subito tinto di colori
epici: fu la conquista di tutti, il trionfo dell'intero paese, la
porta che si spalancò su un radioso avvenire fatto di democrazia,
benessere e felicità per ogni cittadino verace. In realtà fu un
fenomeno intricatissimo e di non facile lettura, in cui emersero
tutti i vizi e le virtù di una modesta realtà politica di provincia
che si barcamenava come poteva tra progressismo (voluto da pochi) e
conservatorismo (a cui i più erano stoicamente attaccati), tra
fervida ma ingenua volontà di partecipare al divenire
internazionale, e cupa, angosciosa paura di rimanerne schiacciati.
Di certo fu una vicenda che non si presta per nulla ad analisi
semplicistiche e sbrigative che ne falserebbero completamente
l'incidenza e la portata: è ora, dunque, che questo eccezionale e
primario avvenimento del nostro passato esca dalla favola ed entri
nella Storia con l'esse maiuscola, la quale (è bene sottolinearlo)
solo in rarissimi casi può permettersi il lusso di essere anche
epica.
Ma
veniamo succintamente ai fatti. Diverse furono le cause alla base
de1l'Arengo del 1906, ma possiamo sicuramente individuarne tre come
principali: una cultura riformista relativamente originale, figlia
delle nuove ideologie post-risorgimentali, a cui un pugno di giovani
locali aveva aderito con slancio; una crisi economica generalizzata
che determinava un diffuso malessere sociale; una innovativa riforma
tributaria che doveva partire dal 1° gennaio 1906. La cultura
riformista tesa a chiedere innovazioni di natura socio-politica
iniziò a svilupparsi a San Marino nell'epoca della prima guerra
d'indipendenza. ed ebbe un robusto accrescimento nei primi anni '50,
dopo cioè il ben noto episodio dello scampo di Garibaldi. In tale
periodo, dominato da una profonda miseria e da un grave malessere
sociale, un gruppo di giovani. quasi tutti del Borgo (sede del
mercato e perciò più aperto alle influenze provenienti da fuori
territorio), iniziò a contestare con veemenza l'oligarchia che
gestiva la Repubblica, accusandola di essere la principale
responsabile dei locali problemi e di non possedere la capacità di
risolverli. Il clima surriscaldato che venne a crearsi generò
tensioni fortissime tra Borgo e Città (sede del governo e degli
oligarchi), e sfociò nell'omicidio del Segretario politico
Giambattista Bonelli, perpetrato il 14 luglio 1853, ed in altri
fatti delittuosi su cui ho già ampiamente scritto (cfr. Il Delitto
Bonelli, San Marino 1992).
Negli
anni successivi la situazione sammarinese fortunatamente ritornò
alla tranquillità, grazie soprattutto ai nuovi consistenti introiti
che la Repubblica seppe procacciarsi con la vendita delle
onorificenze (pratica iniziata intorno alla metà degli anni '60), e
con il canone doganale proveniente dall' Italia dopo la stipulazione
della convenzione del 1862 (cfr. in proposito il mio “I tempi di
Palamede Malpeli”, San Marino 1994). Questo denaro, copiosissimo se
messo in relazione alle entrate abituali di San Marino, contribuì a
ridimensionare fortemente il malessere di cui si è detto, e a
rimandare certe velleità di stampo politico a tempi da definirsi.
Ma la
cultura progressista che aveva iniziato a germogliare alla metà del
secolo scorso rimase latente, e coloro che avevano combattuto
sprezzantemente gli austriaci ed i papalini divennero i miti ed i
maestri della nuova generazione che stava crescendo e maturando.
Cosi negli anni '80 per opera di questa seconda classe di giovani
arrabbiati vennero stampati i primi giornali locali, tutti o quasi
concordi nello stigmatizzare l'arcaicità di certi aspetti
tipicamente sammarinesi, e nel chiedere riforme e mutamenti anche di
natura costituzionale. Per la verità occorre dire che nessuno in
questo periodo ambiva a ripristinare l'antico arengo statutario,
organo ritenuto remotissimo e di certo non più confacente al momento
storico. La richiesta che cominciava ad emergere, invece, era quella
tipica dei tempi anche al di là dei confini della Repubblica, ovvero
il suffragio universale. Ma la classe politica che gestiva lo Stato
sammarinese e che si rinnovava per cooptazione era vincolata anima e
corpo ad una mentalità conservatrice, in particolare per quel che
riguardava la sacra ed intangibile costituzione sammarinese, a cui
si attribuivano tutti i meriti della antichissima (addirittura
perpetua!) indipendenza sammarinese. “O stiamo come siamo, o non
saremo”: questo il pensiero laconico ed essenziale che dominava i
più tra i governanti.
Tuttavia negli anni '90 l'ideologia riformista venne fortemente
corroborata da una grave crisi economica che investì nuovamente la
Repubblica dopo un ventennio di relativo benessere. La storia
insegna che quando ad una mentalità progressista si annoda un
oggettivo disagio sociale, ci sono tutti gli ingredienti per una
situazione potenzialmente esplosiva. Cosi fu anche a San Marino dove
il riformismo venne consolidato dalla nascita del primo partito
politico organizzato, cioè quello socialista, dove la situazione
economica degenerò ulteriormente, e dove il governo, non sapendo più
che pesci pigliare, rispolverò una vecchia idea accantonata grazie
agli introiti di cui si è detto, che ora però non bastavano più: una
moderna riforma tributaria capace di colpire ciascun cittadino in
base al suo reddito individuale. Il progetto di questa riforma fu
avviato fin dagli inizi del secolo nuovo da Lorenzo Gostoli,
consulente amministrativo della Repubblica, il quale prima sollecitò
ed ottenne l'impianto di un ufficio anagrafico e tecnico, quindi si
mise a preparare la legge istitutiva della riforma tributaria, con
l'intento di renderla operativa già dal 10 gennaio 1906. Non che con
questo si voglia asserire che l'arengo del 1906 sia stato originato
principalmente dalla paura delle nuove tasse. E' facile, però, che
questa paura ne abbia sveltito l'iter, ed abbia giocato a favore
della causa riformista, perché i capi del movimento pro-arengo
ebbero fino ad arengo concluso il serio timore che la maggioranza
dei sammarinesi fosse ostile alle innovazioni da loro proposte.
D'altra parte è risaputo che la massa, in particolare quando è poco
acculturata, è tendenzialmente conservatrice, a meno che la
conservazione non le implichi la perdita di certi benefici: solo con
queste premesse le diventa più facile abbandonare il vecchio per il
nuovo, il certo per l'incerto.
Ma
l'arengo del 1906 che tipo di evento fu? Sicuramente un'esperienza
unica per la nostra storia, forse addirittura a lei avulsa. Con
molte probabilità l'arengo dei capifamiglia dovette essere l'organo
politico principale, il luogo dove si prendevano le decisioni più
importanti e difficili per la minuscola comunità del Titano ai suoi
primordi. In seguito con l'ampliarsi della popolazione l'arengo
verosimilmente dovette trasformarsi in un mastodonte convocabile con
difficoltà al cui interno doveva essere assai problematico assumere
qualunque deliberazione: da qui la decisione di creare altre
assemblee politiche più ridotte e perciò più duttili, e di
accantonare l'arengo per la maggior parte delle sue funzioni. Non
venne però mai soppresso del tutto e si mantenne operante, anche se
a fasi alterne, indubbiamente fino al 9 gennaio 1571, ultima data
conosciuta di un arengo. Da quanto si sa (ma il problema è ancora
tutto da studiare) le varie assemblee dei capifamiglia riunitesi nei
secoli rinascimentali avevano solo poche mansioni rispetto al
Consiglio dei Sessanta e a quello dei Dodici; la principale doveva
essere probabilmente il rinnovo periodico di questi organismi
tramite la sostituzione,o elezione dei membri che ne facevano parte.
Storicamente, quindi. l'arengo sammarinese fu a turno il governo
dello Stato, il suo corpo elettorale, il suo più importante organo
consultivo, ma non fu mai, e sottolineo mai, quella sorta di
referendum limitato e “imbavagliato”, come si disse all'epoca, a cui
si giunse nel 1906. Anzi. eccetto che per qualche nostalgico del
passato, l'arengo in questione non doveva neppure svolgersi perché
le richieste riformiste iniziali, quelle avanzate in genere dai
progressisti più radicali, erano tese a volere il suffragio
universale, e quelle successive, emerse nel 1902 grazie ad un gruppo
di riformisti moderati, volevano l'istituzione del referendum. Solo
dopo la bocciatura consigliare di questa istanza, respinta col
pretesto che non occorreva istituire il referendum a San Marino
perché già l'arengo poteva essere convocato con tale veste, inizierà
un movimento pro-arengo a cui aderiranno sia i riformisti radicali,
ovviamente coi socialisti in testa, sia i moderati, ed un movimento
anti-arengo fomentato dai conservatori che temevano sconquassi,
apocalittici provocati dalle probabili innovazioni. Costoro alla
fine capiranno che se si voleva tacitare la piazza, sempre più
accaldata dalla paura di nuove imposte (paura naturalmente ben
pilotata dai progressisti), non si poteva rimanere immobili in una
dimensione politica cooptativa, ma occorreva fare lo sforzo di
giungere all’arengo. Ma quale arengo concedere? Certamente non
quello originale, come avrebbero voluto i riformisti più radicali,
perché sarebbe stato assai pericoloso affrontare delicatissime
questioni politiche, economiche e sociali in una mega-assemblea di
capifamiglia inviperiti da anni di polemiche, e forse anche
facilmente strumentalizzabili, o già del tutto strumentalizzati, da
chi queste polemiche le aveva aizzate. Neppure l'arengo inteso come
corpo elettorale andava bene, perché non vi era la sicurezza che la
maggioranza dei sammarinesi volesse realmente mutare la propria
secolare costituzione. Da qui il compromesso dell'arengo del 25
marzo 1906, organizzato tra mille veleni ed infiniti colpi bassi,
con quesiti deliberatamente nebulosi per far sì, come suggerito da
alcuni consulenti del governo, che la maggior parte dei votanti
capisse poco di quello che stava votando. Cambiare tutto per non
cambiare nulla: questo l'assioma che guidava la maggior parte dei
governanti ed anche vari riformisti moderati; questo lo scoglio
contro cui dovettero cozzare ripetutamente i socialisti e chi
pensava utopisticamente di poter tornare ad una democrazia totale
che verosimilmente lo Stato di San Marino non aveva avuto neppure
nei primi tempi della sua esistenza.
Ma
allora: fu vera gloria? Sarebbe comodo ora rispondere come Manzoni,
rimandando ai posteri la questione, se non fosse che siamo noi i
posteri, e che noi abbiamo il diritto-dovere di iniziare a far vera
luce su un argomento tanto spinoso. D'altra parte la gloria o lo
scandalo di un fenomeno storico dipendono solo dalla prospettiva da
cui lo si osserva. E' perciò fuor di dubbio che per noi figli del
suffragio universale, e della mentalità democratica l'arengo del 25
marzo 1906 non possa essere altro che glorioso, e degno di essere
commemorato con una gioiosa giornata di festa come oggi. Non sono
del tutto convinto che sia stato ugualmente glorioso per tutti
coloro che si sono dannati l'anima perché quell'avvenimento si
concretizzasse, e che alla fine hanno potuto cogliere solo in modo
molto parziale i risultati delle loro attese, del loro accanimento.
Ma in fondo, come si è già detto, l'arengo del 1906 fu una vittoria
di tutti; e si sa che quando tutti vincono, nessuno in realtà vince
del tutto. |