Tratto da
“Storia del Socialismo Sammarinese dalle origini al 1999”
III. Il nuovo secolo e la
battaglia pro arengo
Dopo l’exploit del ’99, nei primi
anni del Novecento i socialisti sammarinesi svolsero un’attività
politica piuttosto ridotta. A parte qualche articolo di Gino
Giacomini sul “Risveglio”, giornale socialista di Forlì, con cui
continuava a chiedere prima di qualunque altra riforma l’istituzione
del suffragio universale, e una serie di 52 istanze d’arengo
sottoscritte da 105 capifamiglia, in parte socialisti, in parte
democratici, presentate in ottobre al Consiglio, sempre per chiedere
il diritto di voto, non vi fu altro.
Tale quiete è forse spiegabile con
una nuova assenza dalla Repubblica di Giacomini, mente e attivista
principale del piccolo gruppo. Infatti, dopo essersi diplomato
maestro elementare, a partire dalla fine del 1900, grazie anche
all’intercessione di Franciosi, riuscì a trovare lavoro prima a
Morciano, poi presso le scuole elementari di Montelabbate. Qui
rimase ad insegnare fino al novembre del 1902, data in cui il
Consiglio di San Marino con diciotto voti favorevoli, tredici
contrari e sei astenuti, lo nominò maestro presso la scuola
elementare di Borgo, dopo che 124 cittadini avevano sottoscritto a
suo vantaggio una petizione in cui lo si richiedeva come insegnante
presso quella sede essendo ritenuto giovane capacissimo e che
gode la stima dell’intero paese.
Giacomini, trionfante ma anche molto
polemico con i governanti sammarinesi a cui attribuiva la colpa di
aver dovuto aspettare tanto un lavoro in territorio, scrisse a
Franciosi il 15 novembre per dirgli: La ringrazio con affetto del
compiacimento con cui ha accolto la mia nomina a maestro del Borgo.
La volontà del popolo ha trionfato delle male arti della camorra
nobile. Finalmente potrò rientrare in patria! Arriverò gli ultimi
del mese.
Il ritorno di Giacomini a San Marino,
insieme ad alcuni avvenimenti accaduti nel 1902, diedero una scossa
al paese: nei primi mesi del 1903, infatti, prese avvio una campagna
sistematica a favore dell’arengo e del rinnovo del Consiglio
Principe e Sovrano, come ancora si appellava, tramite suffragio
elettorale.
Prima di arrivare a questa data, comunque, è bene fornire
qualche rapido accenno ad altri fatti accaduti in precedenza che si
possono considerare il detonatore degli avvenimenti successivi.
Nel 1901 vennero sottoposti a
verifica economica tutti gli uffici della Repubblica, soprattutto
perché erano emerse gravi irregolarità legate alla gestione del
cassiere governativo.
Fu pure l’anno in cui, nel mese di settembre, in Consiglio si lesse
la relazione elaborata dalla commissione finanziaria nominata dal
governo per avanzare suggerimenti atti a sistemare le traballanti
finanze locali.
Essa proponeva:
1.
di raddoppiare la tassa
urbana;
2.
d’imporre un tributo dell’8%
sull’estimo dei beni di manomorta (si prevedeva d’incassare circa
4.800 lire all’anno);
3.
d’istituire una tassa per il
porto d’armi (si prevedeva di incamerare 1.000 lire all’anno);
4.
d’imporre una tassa sui cani
(si prevedeva d’incassare 600 lire all’anno);
5.
d’istituire una tassa dell’1%
sulle assicurazioni (si prevedeva un incasso di 1.000 lire annue);
6.
d’introdurre una tassa dell’1%
o del 2% sugli stipendi degli impiegati, sui compensi dei liberi
professionisti e degli esercenti, e sugli utili degli Istituti di
credito;
7.
d’imporre una tassa sul vino
di 0,50 lire per soma che avrebbe fornito circa 10.000 lire annue;
8.
d’introdurre una tassa sul
bestiame;
9.
di fare diverse economie sulle
spese usuali.
Tale progetto finanziario, che faceva
grande affidamento sulla tanto aborrita tassa sul vino di cui si
stava inutilmente discutendo da cinquant’anni, determinò ovviamente
grande dibattito e infinite polemiche all’interno del Consiglio;
tuttavia vi fu una proposta avanzata dal consigliere Marino
Borbiconi che incontrò l’appoggio della maggioranza; lasciamo in
proposito parlare direttamente il verbale di quella seduta
consiliare: Il Consigliere Marino Borbiconi caldeggia con
lodevoli parole la massima di trattare tutti i cittadini in ugual
modo, di essere miti ma equi nelle imposte, senza gravare, cioè, una
classe a vantaggio di un’altra. Dice che le tasse non solo sono
necessarie a ristorare le nostre finanze: ma a renderci ancora
avveduti e saggi nell’impiegare il danaro pubblico. Conclude
coll’esprimere il voto che lo studio d’applicazione delle minime
tasse, ormai ritenute più che utili e salutari, sia affidata ad un
finanziere anche estero il quale, considerato il nostro bilancio,
saprà facilmente distribuire a chi spetta il giusto, benché esiguo,
contributo da corrispondere al Governo. Il Consigliere Onofrio
Fattori si associa a quest’ultima proposta del Borbiconi, ed anche
il Consigliere Pasquale Busignani dimostra con buoni argomenti che
le tasse sono scuola di moralizzazione per i contribuenti e per i
Governi. Alla fine anche la Reggenza aderì a tale proposta e
chiese al Consiglio se si era tutti concordi nel nominare un
finanziere idoneo e capace a redigere un concreto progetto
tributario. Tutti assentirono, dando mandato alla stessa di
reperirlo.
Remo Giacomini, padre di Gino,
dichiarò tuttavia che, prima di applicare nuove tasse, sarebbe stato
opportuno fare un referendum con cui chiedere l’opinione del popolo,
visto che alla fine sarebbe stato proprio questo a subire le
conseguenze maggiori dalla riforma tributaria. La sua richiesta, che
si dimostrerà importantissima per gli avvenimenti che accadranno in
seguito, al momento non ottenne però l’appoggio di nessuno.
Nel gennaio dell’anno successivo la
Reggenza comunicò al Congresso di Stato d’aver preso contatti con
Lorenzo Gostoli, segretario d’Argenta in pensione,
competentissimo in materia finanziaria, e buon amico del
nostro Paese. Nel mese di giugno si dovettero contrarre altri
debiti per 20.000 lire con la locale Cassa di Risparmio; un mese
dopo arrivarono le proposte elaborate da Gostoli, il quale
evidenziò il bisogno immediato di creare un ufficio anagrafico ed un
ufficio tecnico senza dei quali non è possibile una buona
amministrazione, e coi quali soli si può sperare ed assicurare una
giusta e retta applicazione di nuove Tasse e le desiderate economie
nelle spese, disse.
Il Governo, tramite avviso pubblico
datato 12 luglio, comunicò alla popolazione che l’elaborato di
Gostoli (composto da sei fascicoli che rappresentavano solo la prima
parte della riforma che aveva in mente) era a disposizione per
quelle annotazioni, che ciascun Cittadino intendesse fare a pubblica
utilità; poi provvide a nominare alcuni organismi preposti
all’esame dello stesso progetto.
Si era dunque arrivati ad una
soluzione che prevedeva l’innalzamento mirato e scientifico dei
tributi. La parte più progressista del Consiglio, però, non era
pienamente d’accordo, e la richiesta di Remo Giacomini di fare un
referendum sull’argomento ne è la precisa conferma. Egli trovò altri
consiglieri disposti ad appoggiarlo in tale istanza: l’amico Ignazio
Grazia, con cui già il 15 giugno del 1900 aveva scritto un volantino
diffuso tra la popolazione per denunciare gli abusi e le ruberie che
avvenivano all’interno della pubblica amministrazione, e per
criticare l’introduzione di qualsiasi riforma tributaria in un
sistema politico che facilitava simili illegalità,
e Telemaco Martelli, altro suo amico, progressista moderato, con il
quale, il 27 agosto del 1902, aveva firmato un manifesto contro il
Consiglio, in cui si istigava la popolazione alla rinnovazione
mediante suffragio popolare di un consesso il quale, pei suoi
intrighi e maneggi illeciti e vergognosi da una parte, per le sue
transazioni e acquiescenze servili e incoscienti dall’altra, si è
reso indegno di continuare a reggere le sorti della Repubblica.
Le posizioni che si stavano
consolidando erano insomma due: la prima, appoggiata dai
conservatori, voleva la riforma tributaria senza toccare il sistema
costituzionale sammarinese; la seconda, di stampo progressista,
auspicava sempre la riforma, ma solo dopo aver modificato la
costituzione oligarchica che sopravviveva dal XVII secolo, per
evitare che le nuove entrate fossero gestite con i metodi ambigui e
fumosi di sempre, sistemi che avevano permesso e stavano permettendo
ancora prevaricazioni e abusi di ogni genere.
Nel 1902 successero anche altri fatti
degni di nota per l’argomento che stiamo affrontando. Il 23 gennaio
Pietro Franciosi venne cooptato come consigliere nobile all’interno
del Consiglio, nomina che egli rifiutò, come già aveva fatto
Telemaco Martelli un paio di settimane prima. Martelli,
consenziente, era stato però subito rieletto come consigliere non
nobile.
Tramite lettera aperta datata 29
gennaio diffusa tra la cittadinanza, desideroso probabilmente di
seguire la strada tracciata da Martelli, Franciosi fece sapere che
avrebbe accettato solo la carica di consigliere senza la nobiltà,
perché non poteva più ammettere l’obsoleta divisione in ceti
(nobili, cittadini, terrieri) del Consiglio.
Alla fine però la proposta di Franciosi fu rigettata: la nomina gli
venne revocata del tutto, e il professore se ne dovette rimanere
fuori dal massimo organo istituzionale della Repubblica.
La vicenda diede a Gino Giacomini
l’opportunità di scrivere a Franciosi in data 28 febbraio una
lettera nella quale sosteneva che l’abolizione della nobiltà e della
divisione in ceti era una pretesa minima rispetto ai veri bisogni
politici del paese. L’esigenza prioritaria, sostenuta dai socialisti
a spada tratta e con coerenza, perché era la stessa ormai da diversi
anni, doveva invece essere il voto: La coscienza pubblica si
orienti in senso veramente democratico e tenda esclusivamente alla
conquista del diritto di voto prima che lo sfacelo sia completo.
Questa è la prima logica ed utile riforma, le altre saranno una
conseguenza inevitabile. Ecco la nostra pregiudiziale.
Con questa "pregiudiziale", poco
dopo, sempre in occasione della festa dei lavoratori, i socialisti
sammarinesi diedero alle stampe il secondo giornale della loro
storia, intitolato “1° Maggio in Repubblica”. Questa pubblicazione,
molto più articolata e ricca di contenuti della precedente del 1898,
presentava al suo interno diversi articoli di Franciosi, di Gino e
Tullio Giacomini, che ne erano i direttori responsabili, di Alfredo
Casali e di altri ancora, tutti più o meno accomunati nel chiedere
l’elezione dei consiglieri per voto diretto, che era la
rivendicazione principale su cui i socialisti avevano trovato una
qualche convergenza e si erano ormai radicati.
Venivano però avanzate proposte anche
per altre innovazioni, come la riforma tributaria e il decentramento
amministrativo, ovvero la creazione di tanti comuni autonomi. Se
queste riforme siano più che pressanti, lo addimostra la latente
bancarotta delle nostre istituzioni, gli abusi ed i favoritismi
criminosi che continuamente si commettono e nel Consiglio e in non
poche amministrazioni, il progetto di nuove tasse che non si sa, se
debbano ancora andare ad ingrassare le pancie di alcuni nostri
maggiorenti, oppure a sollevare di qualche po’ il nostro esausto
bilancio. E poiché queste riforme non si otterranno se non con
l’unione di tutte le forze vive del paese, i nostri lavoratori
devono sentire anche il bisogno dell’organizzazione operaia,
scrisse il giovane Alfredo Casali. Insomma, i socialisti ormai
davano l’impressione di avere tutt’altra impostazione e tutt’altro
spirito rispetto ai tempi precedenti, e per questo cominciavano a
fare molta paura alla bigotta società sammarinese. Soprattutto erano
decisissimi a pretendere l’aumento dei diritti politici prima di
qualunque altra riforma di natura finanziaria: Ma chi potrà
imporre di pagare le tasse a questo popolo se lo tenete come un cane
fuori dalla porta, privo dei diritti civili e politici?, venne
affermato in un articolo firmato “Il Positivista”. Se deve
contribuire nel campo finanziario economico – continuava –
vorrà di logica naturale conseguenza prendere prima parte allo
svolgimento della vita amministrativa – politica; altrimenti tutte
le leggi di tasse, di fiscalità non avranno forza, non saranno
osservate e naufragheranno tutte.
Il giornale contiene tanti altri
articoli interessanti che in questa sede è superfluo riassumere. E’
pervaso soprattutto da una forte e nuova volontà di iniziare a
cambiare davvero qualcosa a San Marino, partendo da poche,
granitiche rivendicazioni, e da una possibile alleanza con altre
forze democratiche locali più moderate. Non a caso il numero unico
si chiude con una precisa asserzione che suona come una enunciazione
di guerra: Dichiariamo di aver accettato la collaborazione degli
amici democratici che in quest’ora di rivendicazioni popolari si
sono schierati in battaglia con noi.
La volontà belligerante di cui si è
detto stava caratterizzando anche altri progressisti più moderati
dei socialisti. Il 6 aprile dello stesso anno Remo Giacomini,
Telemaco Martelli e Ignazio Grazia presentarono un’istanza d’arengo
tesa a chiedere l’istituzione del referendum per creare un nuovo
istituto con cui allacciare precise collaborazioni con la
cittadinanza quando dovevano essere varate leggi particolarmente
onerose per la comunità. Ovviamente questa iniziativa non era altro
che la formalizzazione della proposta già avanzata da Remo Giacomini
l’anno precedente, ed era strettamente legata all’idea di sottoporre
al giudizio della popolazione, tramite referendum, il nuovo progetto
fiscale a cui Gostoli stava lavorando. Il Consiglio questa volta non
rigettò la richiesta, ma prese tempo decidendo di esporre il
problema ad alcuni suoi consulenti esperti in materia, in
particolare a Pietro Ellero con cui i governanti erano in buoni
rapporti già da parecchi anni.
Nei mesi successivi le considerazioni
degli esperti giunsero in Consiglio: tutte erano più o meno
dell’avviso che la Repubblica avesse ormai necessità di qualche
innovazione di natura costituzionale, pur senza dover snaturare le
sue peculiarità secolari. Per questo si suggeriva di abbandonare
l’idea del referendum, per ripristinare invece l’antico arengo dei
capifamiglia, che poteva essere ora utilizzato con funzioni
referendarie per interpellare la popolazione su argomenti di forte
interesse collettivo.
Il Consiglio, timoroso d’instaurare
organismi che avrebbero potuto minare la sua assoluta autorità sullo
Stato, soprattutto in un momento storico in cui stavano emergendo un
nugolo di idee innovative ed esotiche, come continuavano a
definirle i membri dell'antica intellighenzia, tergiversò
ulteriormente intorno alla questione, facendo inviperire ancor più
sia i socialisti, sia i riformisti moderati del paese, che adesso
potevano appoggiare le loro rivendicazioni anche su pareri
autorevoli di personaggi carismatici estranei al contesto sociale
sammarinese e alle sue polemiche strapaesane. Venne in definitiva
provocata l’esasperazione necessaria per favorire una grande
coalizione antioligarchica in nome del ritorno all’arengo, organismo
che gli statuti del Seicento, cioè l'insieme di norme che fungevano
ancora da costituzione della Repubblica, avevano accantonato, ma mai
del tutto abolito.
Sempre in quell'anno il piccolo
gruppo socialista, deciso ormai a giocare un ruolo da protagonista
nello scenario politico locale, si costituì in sezione e Gino
Giacomini presenziò, nel mese di settembre, al VII congresso del
Partito Socialista Italiano ad Imola. Per l'occasione vennero poi in
visita a San Marino Filippo Turati e Anna Kuliscioff.
Giungiamo così ai primi mesi del 1903
quando, dopo ripetuti incontri tra i diversi sparuti gruppi di
innovatori, si arrivò, in nome del ritorno all'arengo, a fondare un
nuovo raggruppamento, denominato “Associazione Democratica
Sammarinese”, composto da quasi tutti i riformisti sammarinesi più o
meno moderati, ovviamente anche dai socialisti. Il 15 marzo
L’Associazione si presentò alla cittadinanza in un’assemblea
pubblica, durante la quale divulgò il suo programma che raccoglieva
in pratica le aspirazioni rinnovatrici di tutte le anime che la
componevano, e che si riprometteva di iniziare un lavoro serio,
ordinato, concorde per combattere i mali da cui siamo vessati, i
quali hanno la loro radice nel Consiglio dei LX. Prevedeva
infatti la sovranità popolare, la restaurazione dell’arengo,
l’applicazione del referendum, l’elezione periodica dei consiglieri,
la soppressione dei ceti, il riordino delle finanze e della pubblica
amministrazione in genere, l’imposta unica e progressiva sul reddito
ed altro ancora.
La nuova Associazione, inoltre, si
diede subito da fare per pubblicare un periodico da cui divulgare le
sue aspirazioni e con cui cercar di sensibilizzare l'amorfa e per lo
più analfabeta cittadinanza. Il 1° aprile uscì per la prima volta
il loro giornale che avrà grande peso nella lotta pro arengo e, in
seguito, nella vita del socialismo sammarinese in genere: il
Titano. Direttore venne nominato l’avvocato Telemaco Martelli,
riformista moderato.
I socialisti, visti dalla
conservatrice società sammarinese come dei terribili senzadio pronti
ad abbattere le chiese, la religione e le sicurezze di sempre,
preferirono inizialmente starsene nella penombra, proprio per non
dare al movimento riformista connotati troppo rivoluzionari e
sconvolgenti, per non spaventare cioè nessuno in un momento in cui
le idee sul da farsi probabilmente non erano nemmeno troppo chiare,
né vi doveva essere fiducia assoluta e uniformità di vedute tra le
diverse componenti dell'Associazione, nonostante il programma comune
di cui si è detto. D'altra parte dagli articoli del Titano di
questi primi mesi di vita del giornale si capisce con chiarezza che
non era stato messo a punto ancora un preciso piano per muoversi
armonicamente e con strategia pianificata contro il sistema politico
imperante.
Il 1903 fu caratterizzato da tali
novità e da poco altro. Il 1904, invece, vide scoppiare diversi
scandali di natura finanziaria, in cui risultarono più o meno
coinvolti alcuni membri dell'oligarchia. Fu l'occasione buona per
inasprire i toni della polemica e per eccitare gli animi della gente
contro la sorda camorra nobiliare e la disonesta maffia
che governava il paese, pronta a ideare riforme tributarie che
avrebbero portato via soldi ai poveracci, ma facilona, inaffidabile
e truffaldina nella gestione del denaro di tutti, almeno così
sbandieravano i progressisti.
Probabilmente però i riformisti
moderati non se la sentirono di affondare più di tanto il coltello
nella ferita, né di alzare troppo il timbro degli strilli. La loro
indole, la loro cultura e la loro provenienza sociale li portava ad
essere innovatori "gentili", consci cioè che anche nel sistema
politico sammarinese qualcosa bisognasse modificare secondo le linee
che stavano furoreggiando in Italia e un po’ dovunque, ma non
disposti a grossi sconvolgimenti delle istituzioni locali, né a
sostenere quella laicizzazione draconiana dello Stato cui pensavano
i riformisti più iconoclasti, né assalti all'arma bianca nei
confronti dell'antica intellighenzia sammarinese, né
l'omogeneizzazione economica cui aspiravano prevalentemente i
socialisti.
Costoro, invece, provenienti
soprattutto dal mondo operaio e popolare, imbevuti delle culture più
rivoluzionarie dell'epoca, arrabbiatissimi contro i padri/padroni
pseudoaristocratici del Paese che facevano il bello ed il cattivo
tempo senza doverne rendere conto a nessuno, volevano molto di più
rispetto al tanto conclamato ritorno all'arengo, che predicavano
soprattutto per esigenze contingenti, non per reale convinzione. Il
loro era un sogno di modificazione totale della società sammarinese,
di democratizzazione somma, di incondizionato ridimensionamento dei
poteri politici e culturali della Chiesa, di equa spartizione della
ricchezza e delle proprietà, di graduale presa del potere da parte
dei ceti popolari.
L'arengo, scrisse sul Titano
Gino Giacomini nel maggio del 1905, era solo l'espediente grazie al
quale dovevano trovare coesione temporanea le sparse membra della
democrazia sammarinese. Infatti egli aveva la convinzione che
sarebbe stato impossibile raggrupparle in altra maniera, magari
all'ombra di un unico programma politico, essendo troppo diverse per
tendenze e finalità. Ovviamente i socialisti, che rappresentavano
l'ala riformista più radicale, facevano paura a tutti, anche a chi
voleva promuovere innovazioni, però senza rischiare di rimetterci
del suo o di mettere troppo a soqquadro il paese.
Per questi motivi fu proprio il
piccolo gruppo socialista a prendere in mano le redini della
protesta e ad innalzare il tono della polemica. Infatti, dopo un
anno di contestazioni piuttosto "garbate" verso il potere, il
Titano, a partire dal 1° aprile 1904, cambiò direttore passando
dalle mani di Martelli a quelle di Gino Giacomini, senza dubbio più
focoso e provocatorio del suo predecessore. Per la verità costui
anche nel primo anno di vita del periodico era stato il suo
principale autore e ne aveva quasi sempre firmato l'articolo di
fondo. Assumendo però la responsabilità della direzione, le
inflessioni del giornale si fecero in genere più arroventate e
provocatorie, cominciarono a fioccare le accuse, le offese e le
denunce, infuriarono gli scontri verbali e non, si accrebbero i
livori personali, sempre latenti in una realtà piccola dove tutti si
conoscevano e avevano contatti quotidiani, la battaglia contro
l'oligarchia dominante diventò assai più cruenta, nonostante ci si
preoccupasse in continuazione di assicurare la cittadinanza che il
cambio del direttore non avrebbe mutato più di tanto la logica
politica temperata che sottostava al periodico.
In realtà non fu così ed il Titano,
pur definendosi ancora "organo della democrazia sammarinese",
assunse via via una fisionomia sempre meno moderata e sempre più
aggressiva e socialisteggiante. D'altronde proprio dal giornale
Giacomini fece intendere senza ambiguità che non era più il momento
di tergiversare, né di essere ambigui, perché occorreva avere il
coraggio di affondare definitivamente il colpo per affossare quella
che lui ormai considerava l'agonizzante oligarchia al potere.
A causa di questa nuova irruenza del
periodico, anche la locale classe operaia, considerata troppo
accondiscendente e servile nei confronti dei padroni e dei
governanti, ed eternamente soggetta ad uno sfacelo di coscienza
che le impediva di divenire compatta e combattiva, venne
frequentemente stigmatizzata. Vi furono inoltre feroci critiche per
l'intero popolo sammarinese: A voler aspettare la maturità
politica, non diremo socialista o repubblicana, ma semplicemente
democratica e civile della metà più uno dei cittadini Sammarinesi
- venne scritto sul Titano del 1° aprile 1905 - ci sarebbe
da far la barba lunga come quella di Matusalem.
Proprio per sollevare le capacità
intellettive e critiche degli operai sammarinesi, e creare tra loro
maggiore aggregazione, si diede vita ad un insieme di iniziative
culturali che dovevano avere lo scopo di educare i ceti meno colti,
tra cui la cosiddetta "Università Popolare", che a partire dal 1904
organizzò per qualche tempo conferenze e lezioni di natura politica
e sociale aperte a tutti. A queste attività fornì la sua esperienza
e collaborazione anche Annibale Francisci, direttore del giornale
socialista ligure "La Lima", rifugiatosi per qualche tempo a San
Marino perché condannato a sedici mesi di galera per diffamazione.
Sempre per creare un più incisivo
spirito di corpo tra gli operai, si cominciò a enfatizzare
maggiormente il significato del 1° maggio e ad organizzare
manifestazioni di massa. Nel 1903, infatti, la Società Unione Mutuo
Soccorso per la prima volta lo festeggiò ufficialmente. L'anno
successivo le forze progressiste si adoperarono ulteriormente per
accrescere il concorso di popolo a tale ricorrenza. Nel 1905, poi,
due cospicui gruppi organizzati, uno proveniente da Serravalle, uno
da Città, guidati folcloristicamente dalle locali bande musicali, si
radunarono a Domagnano, fornendo la chiara dimostrazione che il
mondo operaio, stimolato soprattutto dai socialisti che erano i
principali fautori delle manifestazioni, e che già prima del 1903
celebravano con passione il 1° maggio, stava raggiungendo una
coesione impensabile solo pochi anni prima.
Furono questi gli anni in cui anche
il professor Pietro Franciosi aderì con più entusiasmo e convinzione
alla causa socialista. Egli aveva già pubblicato un articolo sul “1°
maggio” socialista del 1902,
poi aveva fornito di tanto in tanto qualche suo pezzo al Titano,
ma iniziò a scrivere sistematicamente sul giornale solo a partire
dal 1906. Il momento in cui Franciosi iniziò ad interessarsi con
piena dedizione alla causa riformista si può individuare a partire
dal suo discorso sull'esigenza di ripristinare l'arengo pronunciato
per l'insediamento dei Reggenti il 1° ottobre 1904.
In precedenza il professore si era
già reso promotore di istanze innovatrici, come abbiamo visto,
tuttavia fu proprio a partire dalla fine del 1904 che egli iniziò a
stringere un sodalizio con Giacomini e col gruppo socialista in
genere in nome del ritorno all'arengo. In seguito quest'alleanza si
consolidò sempre più, anche se i due personaggi, oggi considerati
padri del socialismo sammarinese, erano dissimili per età, per foga,
per background culturale e per personalità, quindi a volte
illuminavano lo stesso socialismo di luci di diversa intensità e
ispirazione.
Franciosi era sicuramente un uomo
formatosi ai tempi della Destra storica italiana, molto più
attaccato alle tradizioni secolari di San Marino, giunto al
socialismo attraverso l’umanitarismo che lo caratterizzava fin dai
tempi del liceo, quando si prestava a favore dei più poveri come
distributore, ovvero portando alle loro case prodotti rimediati
tramite la pubblica beneficenza, ma pure tramite un lungo percorso
intellettuale di studio e di approfondimento dei testi di Marx e di
altri pionieri del socialismo.
Giacomini, invece, di 14 anni più
giovane, essendo nato nel 1878, aveva avuto tutta un’altra storia
alle spalle, e soprattutto si era formato culturalmente non tanto
tramite la tradizione risorgimentale, ma direttamente sui testi di
Turati, Prampolini, Costa, Bissolati all’inizio, poi sulle teorie
marxiste. Dall’ABC tentai poi di salire a più alte sfere di
acquisizione scientifica della dialettica marxista, alla quale sono
rimasto sempre fedele attraverso gli scritti di Sorel, Labriola, e
agli originali di Engels, Vassalle, e degli altri, e mi misi a fare
propaganda spicciola da quel soldato volontario e volenteroso che
sono sempre stato, ci dice lui stesso all’interno delle sue
inedite memorie autobiografiche.
Poi aveva frequentato i circoli socialisti del circondario, in
particolare quello di Rimini, quando aveva fatto l’apprendista
barbiere, e quello di Urbino, quando negli ultimi anni
dell’Ottocento era tornato agli studi, svolgendo continua opera di
propaganda e arringando le folle coi suoi primi comizi.
I socialisti, pur avendo al loro
interno più tendenze fin dal principio, che comunque in questi anni
non determinarono spaccature particolari, dovevano più che altro
dibattersi tra la loro volontà riformistica totale e, per i tempi,
ultra avveniristica, e l'indole serafica e reazionaria del Paese
che, è bene sottolinearlo ancora, quasi per intero li vedeva come
potenziali distruttori della patria, della religione, della famiglia
e della tradizione, ovvero dei cardini su cui, secondo la mentalità
dei più, si reggeva da sempre la vetusta e sacra Repubblica,
scaturita dalla costola di un santo che non avrebbe di certo ben
digerito e aiutato una ciurma così sacrilega e blasfema, almeno
secondo l’opinione dei tanti conservatori che così andavano dicendo
soprattutto tra gli abitanti del contado.
Lo scontro ad un certo punto da
politico divenne personale, infiammandosi soprattutto tra i
Giacomini (Remo e Gino) e i Gozi (Gemino e Federico) che, per le
discussioni fomentate e le offese vicendevoli profuse sia in
Consiglio che fuori, in varie occasioni quasi giunsero alle mani ed
ebbero per anni pendenze in tribunale per denunce reciproche. La
piccolezza del Paese portava ieri come oggi a tramutare gli
antagonismi ideologici in livori individuali, in vendette più o meno
sottili, in faide familiari dal sapore provincialotto. Occorre
costantemente tener conto di questa peculiarità, quando si studia la
realtà sammarinese, altrimenti molti passaggi della sua evoluzione
storica non sono sempre ben comprensibili e spiegabili.
Con questo clima surriscaldato dagli
scandali, dalle polemiche ideologiche e dalla crisi finanziaria
incombente, si giunse al 1905. Fu l'anno della svolta della lotta
politica intrapresa, quello in cui le tante controversie sfociarono
nella costituzione di un consistente Comitato pro-arengo che
costrinse il Consiglio a convocare l'assemblea dei capifamiglia del
25 marzo 1906. L'iniziativa di questa nuova forma di battaglia
politica fu senza dubbio presa da Gino Giacomini e dal gruppo
socialista, di cui era ormai l'indiscusso capo carismatico, ispirati
dal discorso di Franciosi di cui si è detto.
Nel mese di marzo del 1905 il
Titano, per incalzare maggiormente la cittadinanza e accelerare
la battaglia antioligarchica, da mensile divenne quindicinale. In
luglio il giornale istigò i consiglieri di indole democratica a
dimettersi in blocco, così da indebolire il Consiglio e costringerlo
a convocare il tanto desiderato arengo. Il suggerimento però non
venne colto perché vi furono da parte di alcuni non poche
perplessità a mettere in atto un gesto così drastico.
Per buona sorte del gruppo
riformista, tuttavia, il 12 agosto la fazione oligarchica del
Consiglio fece un errore madornale che causò il rapido precipitare
degli eventi: elesse Gemino Gozi Segretario degli Interni al posto
del defunto Giuliano Belluzzi. Tale nomina venne presa dai
consiglieri democratici come un'arrogante sfida nei loro confronti,
perché proprio nei riguardi del neo-segretario essi avevano
sollevato non pochi sospetti e accuse in passato. Lo si considerava,
infatti, personaggio dall'onestà dubbia, dunque indegno di ricoprire
incarico tanto prestigioso e delicato per la gestione dello Stato.
Tra l'altro i riformisti lo ritenevano anche una sorte di traditore
della loro causa, avendo egli da giovane, come molti di loro,
aderito al mazzinianesimo di fine Ottocento e collaborato alla
redazione dei primi giornali sammarinesi, estremamente critici nei
confronti del locale regime patriarcale. In seguito, però, era
diventato uno dei membri più influenti della ristretta oligarchia
che gestiva la Repubblica, dimenticandosi in fretta dei suoi ideali
riformisti giovanili. Questa nomina fu in sintesi la goccia che fece
traboccare il vaso: nei primi giorni del mese di settembre sette
consiglieri progressisti diedero perciò le dimissioni e uscirono dal
Consiglio.
Negli stessi giorni, inoltre, vi fu
la rifondazione della sezione socialista di Borgo, che per problemi
interni, legati a scarsa partecipazione alla sua vita e attività,
nonché per carenze di natura economica ed organizzativa, era venuta
ad un certo punto a disgregarsi. Per iniziativa di qualcuno venne
ricostituita il 2 settembre del 1905 con la presenza di diciassette
sostenitori,
che si accrebbero in seguito di altri elementi.
Il 17 settembre, all'interno di
un’altra riunione della nuova sezione socialista, Giacomini affermò
che l'ora era finalmente matura per iniziare l'agitazione a favore
della rapida convocazione dell'arengo, e per consolidare al massimo
l'alleanza con i progressisti delle altre tendenze. Così fu fatto:
venne infatti creata una commissione esecutiva composta da Antonio
Cesarini, Alfredo Casali, Gino Giacomini e Giuseppe Giovannarini
che, in data 20, scrisse a tutti i gruppi politici ed operai di San
Marino, invitandoli a ritrovarsi per giungere ad un accordo di
tutte le frazioni della democrazia sopra un comune programma di
riforme costituzionali.
I socialisti, consapevoli di non
potersi mettere direttamente a capo del movimento innovatore, perché
avrebbero creato troppo allarme nel Paese, essendo considerati dai
più soggetti estremisti, avversi al cattolicesimo e perturbatori
dell'ordine pubblico, all’interno di una nuova riunione del 20
settembre decisero di dare solo il primo input al moto riformista,
lasciandone la direzione ai progressisti moderati.
Il Partito Socialista
- si legge sul Titano del 1° ottobre
1905 - si assume così un semplice compito d'iniziativa e di
spinta, non di direzione, giacché per quanto le riforme
costituzionali reclamate possono essere, per esso più che per altri,
una condizione indispensabile di sviluppo, esse formano il
sostanziale e principale, se non unico, obiettivo di quelle frazioni
della democrazia che hanno un programma esclusivamente politico e
come tale più vicino alla realizzazione, ed è quindi al partito
democratico che spetta il posto di capitano nella presente
battaglia, mentre il partito socialista combatterà vigorosamente e
con slancio giovanile in qualità di semplice soldato fermamente
deciso di guadagnarsi il diritto a non lontane promozioni.
Nel mese di ottobre ci si preoccupò
di verificare il reale interesse della popolazione alla
contestazione politica che stava montando. Il 29 in Borgo venne
tenuta un'assemblea aperta a tutti, a cui presenziarono più di 600
cittadini, dove si capì che l'agitazione pro-arengo avrebbe goduto
di un certo appoggio popolare. Fu stabilito quindi di continuarla.
In questa occasione vennero nominati i dirigenti del movimento: il
giovane avvocato Gustavo Babboni, riformista moderato, venne eletto
presidente; Pietro Franciosi, evidentemente non ancora troppo
compromesso con il partito socialista, vice presidente; Moro Morri
segretario. Questa carica inizialmente era stata offerta a Gino
Giacomini che, rimanendo coerente con la linea già manifestata, la
rifiutò affermando che egli ed i suoi compagni socialisti dopo
aver dato il moto di propulsione al movimento intendono, perché la
loro qualità di sovversivi non impauri alcuno, di mettersi alla coda.
In realtà nei mesi successivi la
natura battagliera ed estremista dei socialisti emergerà con
frequenza, determinando scontri a non finire sia con i capi del
Consiglio oligarchico, sia pure con Babboni, Morri e gli altri
riformisti moderati, che in genere venivano accusati di essere
troppo accomodanti con i detentori del potere, e poco convinti delle
riforme politiche da propugnare, soprattutto di quelle più
innovative e meno legate alla plurisecolare tradizione culturale e
costituzionale sammarinese.
Tra l'altro nelle campagne i
conservatori, in stretto connubio con i sacerdoti, iniziarono a
svolgere una sistematica opera di persuasione verso i contadini per
convincerli che i socialisti, una volta ribaltato il governo,
avrebbero abolito subito la religione cattolica, depredato le chiese
ed eliminato il clero. Per questi motivi già dal 18 novembre del
1905 emersero all'interno del gruppo dirigente socialista seri dubbi
sul da farsi, se cioè continuare l'agitazione o ritirarsi per il
grande malanimo che stava montando nei loro confronti, soprattutto
all'interno dei Castelli rurali. Giacomini, comunque, risolse il
problema sostenendo che era doveroso proseguire nella propaganda
e dare aiuto alla democrazia pur intervenendo nella lotta con
criteri socialisti.
Così venne fatto e, pur mordendo il
freno, il gruppo socialista si adoperò per smorzare l'impeto, a
volte fin troppo esagerato, che lo animava. Continuò quindi a
combattere fianco a fianco con i riformisti più moderati con
l’obiettivo di abbattere una volta per tutte l'odiatissimo governo
oligarchico sammarinese.
La massiccia partecipazione
registrata dall'assemblea del 29 ottobre 1905 indusse il Consiglio a
rendersi conto che non erano solo quattro giovani a spingere per la
convocazione dell'arengo, come fin lì aveva pensato. Il 16 novembre,
dunque, si decise a convocarlo, con tempi e modalità tutte da
definire, però.
I riformisti ovviamente esultarono e
s'impegnarono ancor più per organizzare e proseguire la battaglia.
Tra le iniziative degne di nota merita senz'altro citare la nascita,
nel mese di ottobre, di un nuovo "Circolo di studi sociali",
promosso da Annibale Francisci, fondato per divulgare tra i
lavoratori sammarinesi informazioni di natura politico/culturale e
sollevare la modesta o addirittura inesistente dimensione
intellettuale del locale mondo operaio. D’altra parte questo fu
sempre un chiodo fisso dei socialisti, che imputavano all’ignoranza
e all’analfabetismo grosse colpe per l’arcaica situazione politica e
sociale sammarinese.
Come si è già detto poco fa, dopo la
convocazione dell'arengo sorse nella sezione socialista grande
discussione sull'apporto da dare al movimento, perché c'era chi
voleva affrontare una battaglia con aspirazioni prettamente
socialiste, ovvero di riformismo radicale e di sinistra, e chi
invece era convinto che bisognasse per il momento accontentarsi
delle aspirazioni più temperate dei democratici moderati, quindi
starsene quanto più possibile calmi.
La sezione per ben due sere di
seguito (21 e 22 novembre) si adunò per discutere sulla questione.
Alla fine prevalse l'opinione di evitare assolutamente spaccature
all'interno del Comitato pro - arengo: Preoccupato della fitta
rete di viltà e di arti subdole - si legge all'interno del libro
dei verbali della sezione - con cui gli uomini più nefasti di
nostra terra tentano di riafferrarsi al potere che loro va mancando
sotto i piedi, accaparrandosi l'incosciente appoggio di elementi
campagnoli formanti anche oggidì, per il loro analfabetismo e
attaccamento al prete, la Vandea locale, e non volendo
correre l'alea con un atteggiamento troppo deciso di perdere sia
pure momentaneamente l'intero frutto del suo operato, delibera di
tener saldo il suo programma di riforme da ottenersi a mezzo
dell'Arringo, di sostenerlo in seno al Comitato pro - Arringo, di
inserirlo nel Titano, di comunicarlo nell'assemblea dei
capifamiglia, ed all'ultimo momento, con un manifesto, renderlo di
nuovo pubblico unito ad una preventiva risposta e disanima al
programma sia politico che finanziario, il quale probabilmente potrà
essere redatto dalla Reggenza, ma non di farne una assoluta
questione capitale che provocando scissione e indebolimento del
Comitato suddetto venga a compromettere financo l'accettazione del
programma minimo di quest'ultimo; e tutto ciò in linea di
eccezionale, momentaneo esperimento, deliberando fin d'oggi, e
solennemente che, qualora i risultati definitivi d'Arringo, malgrado
tanta buona volontà e abnegazione, non fossero soddisfacenti,
disporrà perché tutte le sue forze di partito e quelle dei singoli
suoi componenti siano coordinate al più fiero combattimento, di
maggiori sacrifici, pur personali, magari scendendo in piazza,
perché finalmente in questa Terra, indegno simulacro di Repubblica,
in mano a volgari e disonesti tirannelli, trionfi almeno il diritto
costituzionale, primo passo a ben più importanti e sostanziali
conquiste dell'evoluzione economica - sociale.
I mesi successivi furono piuttosto
tranquilli. Anche il Titano, sempre così caustico e
battagliero, dopo le deliberazioni del 22 smorzò di molto i suoi
toni e attese l'evoluzione degli eventi. Il Comitato pro - Arringo,
ovvero il gruppo riformista che in nome del ritorno all'arengo era
riuscito a trovare una qualche forma di precaria coesione, si
prodigò per divulgare tra tutta la cittadinanza i suoi scopi ed i
motivi per cui occorreva accantonare l'antico Consiglio nominato per
cooptazione sostituendolo con uno elettivo. Inoltre organizzò un
gruppo di studio per redigere un progetto di legge elettorale, che
venne portato a termine e divulgato tra la cittadinanza nel mese di
gennaio dell'anno nuovo.
Questo documento, che poi in parte
diventerà realmente la prima legge elettorale sammarinese, in alcuni
suoi aspetti era alquanto all'avanguardia. Considerava, per esempio,
l'arengo alla stregua del corpo elettorale della Repubblica,
assegnandogli il compito di rinnovare il Consiglio per intero ogni
cinque anni. Prevedeva inoltre l'istituzione del referendum
facoltativo.
Il governo sammarinese, invece, non
aveva le stesse preoccupazioni dei riformisti, soprattutto di quelli
più oltranzisti. Costoro, infatti, davano per scontato che il
Consiglio andasse ormai rinnovato, e che il convocando arengo
dovesse servire in particolare a questo. I governanti, al contrario,
non erano affatto convinti che la popolazione volesse i mutamenti
promossi dai socialisti e dagli altri progressisti più arrabbiati,
per cui avevano intenzione di utilizzare l'arengo con una veste
nuova rispetto a quelle del suo remoto passato, in cui era stato o
governo tout - court della Repubblica, soprattutto quando occorreva
assumere deliberazioni particolarmente pesanti, o assemblea
elettorale in cui modificare i connotati del Consiglio, come era
accaduto per l'ultima volta nella lontana seconda metà del XVI
secolo.
Essi erano dell'idea solo di
interrogare i capifamiglia tramite una sorta di referendum una
tantum per sapere se davvero vi fosse la volontà di apportare
cambiamenti alla costituzione sammarinese, oppure no. Da qui il
nuovo esacerbarsi della situazione a partire dal mese di febbraio,
quando iniziarono a conoscersi le norme del regolamento a cui
sarebbe dovuto sottostare l'arengo.
Franciosi sul Titano del 18 febbraio parlò senza mezzi
termini di progetto capestro, di regolamento carcerario,
di popolo imbavagliato, di forche caudine sotto cui si
costringeva a transitare il massimo organo politico dello Stato.
L'arringo sovrano è convocato con mani e piedi legati; non può
parlare, non può discutere, non può scegliere. Un vero
assurdo costituzionale, poi, veniva giudicato l'articolo 19 del
regolamento, perché prevedeva che, per essere valide, le
deliberazioni dell'arengo dovessero essere approvate almeno dai
due/terzi dei capifamiglia. L'articolo si concludeva con precise
critiche ai tre membri riformisti che componevano la commissione che
aveva elaborato il regolamento, tra cui il presidente Gustavo
Babboni.
Sul Titano successivo, uscito
il 25 febbraio, fu Gino Giacomini ad urlare al tradimento e a
sferzare le forze democratiche che si erano accontentate della
convocazione dell'assemblea dei capifamiglia, dimostrandosi altresì
troppo pronte ai placidi riposi. Egli pensava che l'arengo
dovesse essere concepito come assemblea costituente di fronte
a cui avrebbe dovuto cessare ogni potere. In altre parole,
Giacomini sosteneva che, una volta convocato l'arengo, spettasse
solo a questa assemblea qualunque decisione di natura politica,
quindi anche la sua stessa autoregolamentazione. Il Consiglio,
insomma, avrebbe dovuto limitarsi a starsene in disparte.
Ovviamente queste bordate ferirono
diversi progressisti moderati che non avevano mai pensato ad un
arengo come quello ipotizzato dai socialisti. Il più offeso fu
proprio Gustavo Babboni, che da questo momento in poi tenderà a
prendere le distanze dai riformisti più radicali, e a cavalcare quel
riformismo mitigato e conservatore che si dimostrerà alla lunga il
vero trionfatore dell'arengo del 1906. Tra l'altro le tensioni
emerse iniziarono a incrinare l'alleanza democratica che si era
appena formata: non a caso sarà destinata a frantumarsi
completamente ad appena un anno dall'arengo.
Comunque nei mesi successivi si fece
di tutto per tenere sotto la cenere il focolaio che si era acceso,
perché fondamentale era abbattere il Consiglio oligarchico: non si
doveva assolutamente fornire alla cittadinanza l'impressione che le
forze progressiste fossero tra loro in attrito, né impaurirla più di
tanto, perché a farlo già ci pensavano le forze conservatrici.
Molti temono che trionfando il
programma del Comitato Pro - Arringo le cose cambino al punto di
dare la repubblica in mano ai socialisti, in mano ai liberali, i
quali dovrebbero mettere tutto a soqquadro,
venne scritto sul Titano del
25 marzo, uscito nello stesso giorno in cui si stava svolgendo
l'arengo. Prima di tutto bisognerebbe che questi tali si
convincessero che i socialisti, i liberali, hanno combattuto sempre
per l'ordine, non per il disordine, e che se molte cose ora
camminano meglio, in gran parte si deve a loro. Secondariamente
dovrebbero pensare che quello che vogliono i socialisti e i liberali
lo vuole pure una grande categoria di persone che è religiosissima.
Basta leggere l'elenco dei cittadini facenti parte del Comitato Pro
- Arringo per convincersene. (…) Noi vogliamo che il popolo si
assuma il dovere di scegliere, di eleggere ogni tanti anni i suoi
rappresentanti. Li scelga fra le persone di principi ultra
conservatori o clericali addirittura, ma si prenda il disturbo, a
garanzia di tutti, di rinnovarli a determinati periodi, e non una
volta per sempre come taluni desiderano!
Come sia andato a finire l'arengo del
25 marzo 1906 tutti lo sanno: la stragrande maggioranza degli 805
capifamiglia votanti optò per il Consiglio elettivo, abolendo di
fatto il Consiglio Principe e Sovrano che dalla fine del Cinquecento
dominava la Repubblica nominandosi tramite cooptazione. Il Titano
del 15 aprile uscì in un tripudio di retorica e di forti speranze
per il futuro, certo che ormai la Repubblica di San Marino avesse
imboccato la strada maestra della contemporaneità. Non impiegherà
molto, in realtà, ad accorgersi che non era proprio così.
IV. Il dopo arengo e la rottura
dell’alleanza democratica
Il problema ora era quello di
organizzare le prime elezioni politiche della Repubblica. Anche in
questo caso si giunse in fretta alla redazione di una legge idonea a
regolamentarle, utilizzando in gran parte una proposta già elaborata
nei mesi precedenti dai riformisti del Comitato pro-arengo, con
l'aggiunta tuttavia di qualche sostanziale mutamento. Sul Titano
del 27 maggio Franciosi si lamentò che le imminenti elezioni non
avrebbero avuto disposizioni troppo nitide e troppo chiare, come
sarebbe stato desiderabile, non avendo contribuito a definire la
lotta neanche la democrazia, la quale nella scelta dei candidati
doveva attenersi ad una maggiore omogeneità, e doveva forse fissare
le linee larghe ma precise di un programma di presentazione. In
pratica deplorava il fatto che il gruppo riformista non fosse stato
capace di trarre dal mosaico della propria composizione un colore
di carattere, e perché non si presentava al battesimo
elettorale né con un nome né con un disegno, ma come un gruppo
di sessanta candidati troppo variopinto e disomogeneo.
Inoltre tra loro, in particolare tra
i candidati presenti nelle liste dei Castelli rurali, vi erano
addirittura elementi stranieri e, diciamolo pur francamente,
nemici della causa riformista. Nonostante questi appunti,
Franciosi era comunque ottimista per il futuro: L'opera di
selezione e di orientamento verrà in seguito, quando, passato questo
momento caotico, i vari problemi, da quello costituzionale, diciamo
così, oggi informe, che deve essere integrato con altri postulati
politici ed ampliato da nuove forme, al problema tecnico che involge
tutto l'organamento amministrativo dello Stato, al problema operaio,
scolastico e di tutti i pubblici servizi, determineranno vari
criteri e varie correnti che ci auguriamo almeno in un punto
concordi: nell'intesa cioè di studiare, di lavorare, di escogitare
nuovi impulsi di vitalità, di riparare cioè al danno fatto dal
cessato governo malamente prodigo e allegramente vagabondo.
La maggior parte delle aspettative
esplicitate da Franciosi, che erano poi le stesse del gruppo
socialista, saranno in realtà destinate a non realizzarsi, o a farlo
tra mille intoppi e colpi bassi, che naturalmente provocheranno e
manterranno a lungo nel Paese un clima assai teso e un forte
immobilismo. Ma il 1906 fu anno di grandi sogni e di enorme
ottimismo, per cui i socialisti rimasero ben lontani dal capire fino
in fondo quanto fosse tortuosa e in salita la strada delle riforme
da loro agognate, e quanto fosse difficile, in un paese
prevalentemente rurale e ultraconservatore come San Marino, del
tutto privo di cultura politica e di organizzazioni partitiche,
perché fino al 1908-1909 non si consoliderà un altro gruppo
organizzato oltre a quello socialista, modificare anche una virgola
della sua perenne e sacra tradizione socio/culturale.
Le prime elezioni politiche della
Repubblica di San Marino durarono in pratica tutta l'estate del
1906, avendo inizio il 10 giugno e conclusione il 2 settembre,
perché in alcuni seggi vi erano stati problemi e irregolarità varie,
per cui si erano dovute rifare. I socialisti in tale periodo ebbero
altre polemiche coi loro alleati democratici a causa di alcuni
candidati non concordati insieme, tuttavia anche in questo caso
preferirono non sollevare polveroni in nome di una effettiva svolta
democratica del paese. Il nuovo Consiglio alla fine risultò composto
da 38 membri il cui nome era presente nella lista dei sessanta
candidati proposti dal gruppo riformista, e da 22 conservatori.
Apparentemente era "La fine
dell'oligarchia", come titolò il Titano del 1° luglio,
in realtà era solo un nuovo Consiglio dalla fisionomia ancora
ineffabile, e dai proponimenti tutti da definire, dove l’unico
gruppo che aveva una embrionale forma di partito politico, mantenuta
tra mille difficoltà perché la sua attività era costantemente
rallentata dalla carenza di mezzi economici e di iscritti pronti a
darsi da fare, era quello socialista, e dove i cosiddetti riformisti
provenivano da tutti i ceti sociali e quindi non erano spesso
concordi sulle strategie politiche da mettere in opera, non avendo
ideologie comuni.
Il gruppo democratico, comunque,
l'otto luglio diffuse tra la gente un suo programma politico in
quattordici punti con cui esplicitava i suoi proponimenti, ovvero:
1.
Soluzione del
problema finanziario economico del Paese sulla base delle maggiori
possibili economie e, occorrendo, di una più equa ripartizione di
tributi da sottoporsi a referendum ai Capi famiglia e ai
Maggiorenni.
2.
Miglioramento
d’ordine finanziario e politico da recarsi nella prossima
rinnovazione del Trattato col Regno d’Italia.
3.
Istituzione di un
Ispettorato generale ad honorem o retribuito, per il controllo del
regolare funzionamento di tutti gli uffici amministrativi, civili e
scolastici e di tutti i pubblici servizi.
4.
Organico per
gl’Impiegati.
5.
Impianto
dell’Ufficio Tecnico. Sistemazione del Cimitero della Pieve.
Costruzione dei Camposanti Rurali. Miglioramenti delle strade
consolari e rurali. Costruzione di edifici scolastici e di case
operaie.
6.
Studio per
migliorare il servizio postale, di comunicazione e di trasporto.
7.
Riordinamenti
scolastici. Istruzione obbligatoria fino alla 3a
Elementare. Esperimenti di patronati e refezioni scolastiche nei
centri più popolosi. Miglioramento del Collegio Convitto
Governativo.
8.
Riforma delle Leggi
sulla igiene, sulla sanità e sulla sicurezza pubblica. Progetto per
la conduttura dell’acqua potabile.
9.
Studio per eliminare
o correggere il problema dell’emigrazione.
10.
Istituzione di una
Cattedra ambulante e di premi per incoraggiare l’agricoltura e
l’impianto e lo sviluppo delle industrie.
11.
Legge elettorale.
Estensione del diritto di voto.
12.
Riforma della
legislazione civile, penale e giudiziale.
13.
Legge sulla
cittadinanza e sulla immigrazione dei forensi.
14.
Abrogazione della
Legge 22 Marzo 1860 sul conferimento dei titoli equestri e
nobiliari.
Questo programma era sottoscritto da
29 consiglieri, tra cui i cinque socialisti eletti,
numero che rappresentava l'effettiva consistenza del gruppo
democratico riformista. Leggendolo risulta evidente che anche in
questo caso i socialisti preferirono non calcare la mano per
inserire al suo interno rivendicazioni troppo forti, accontentandosi
di quelle più urgenti e su cui poteva avvenire un'ampia convergenza.
Così ebbe termine questa prima fase
di lotta politica. Il Titano, esaurito il suo scopo pro -
arengo e pro - elezioni, dal 3 settembre interruppe le sue
pubblicazioni. Nel frattempo il gruppo socialista si rinforzò
creando, in data 12 ottobre, un'altra sezione in Città. Subito Gino
Giacomini propose di fondare una Federazione Socialista Sammarinese
per dare più forza al movimento, pur nella garanzia delle autonomie
dei due gruppi. La sezione di Borgo, inoltre, delegò Alfredo Casali
a presenziare (a sue spese però) al congresso socialista di Roma.
L'undici novembre avvenne la prima adunanza generale della
Federazione, presenti 33 membri su una settantina di iscritti (cfr.
appendici n° 3 e 4). In questa occasione si decise di ridare alle
stampe il Titano, come organo del partito questa volta, e si
votò lo statuto in cui, tra le altre cose, si proponeva di favorire
lo sviluppo di altre sezioni e di armonizzare l'attività
delle esistenti, di fare una assidua propaganda ed un insistente
lavoro di organizzazione per promuovere la potenza del
proletariato, ed altro ancora. La prima Commissione Esecutiva
della Federazione risultò composta da: Gino Giacomini, Annibale
Francisci, Pietro Franciosi, Girolamo Capicchioni, Nullo Belloni.
Il 1° dicembre uscì il primo numero
del Titano con la nuova veste di "Organo quindicinale della
Federazione Socialista Sammarinese", da cui venne divulgato il
"Programma minimo" dei socialisti. Essi si ripromettevano di essere
fedeli al "programma massimo" del Partito Socialista Italiano, ma di
volersi prodigare anche per i bisogni contingenti sammarinesi. Da
qui questo programma minimo che prevedeva le presenti
rivendicazioni:
In ordine
ai pubblici poteri
1.
Estensione del diritto di voto ai maggiorenni ed ai cittadini
della Repubblica residenti all’estero.
2.
Nuovo sistema di votazione alla sede del seggio. Costituzione
di un segretariato elettorale formato da tre alunni delle scuole
elementari per redigerele schede degli analfabeti. Metodo di
scrutinio a sezioni divise.
3.
Unificazione delle due circoscrizioni elettorali di
Fiorentino e S. Giovanni.
4.
Elezione dei Capitani Reggenti a voto consigliare diretto.
5.
Trasformazione del Congresso di Stato in Corpo esecutivo
diviso in dicasteri.
6.
Applicazione del Referendum.
7.
Riforma civile del cerimoniale e abolizione delle
onorificenze.
8.
Avviamento alla legislazione sociale. Riconoscimento
giuridico della Società di Mutuo Soccorso e della Cooperative di
lavoro. Contribuzione annuale governativa al fondo pensioni
istituito dalla Società Operaia Unione e Mutuo Soccorso.
9.
Ufficio governativo d’emigrazione.
10.
Codice commerciale.
11.
Codice civile. Personalità giuridica dello Stato di fronte
alla chiesa. Funzioni dello Stato civile distinte dalle pratiche del
culto. Denunzia diretta delle nascite e decessi. Matrimonio civile.
Trasformazione a beneficio di Istituti di assistenza dei beni delle
confraternite religiose.
12.
Obbligatorietà scolastica fino alla terza elementare.
Miglioramento e riforma didattica generale delle scuole elementari,
specie di campagna, refezione gratuita, facilitata dalle cucine
economiche, agli alunni poveri delle scuole dei centri maggiori.
Ricreatori festivi, Edifici scolastici. Istituzione nel capoluogo di
una scuola serale di disegno applicato all’industria.
13.
Sistemazione delle finanze dello Stato senza ricorso a nuovi
oneri pubblici; e in caso di assoluta necessità applicazione della
tassa unica progressiva sul reddito con esenzione dei redditi
minimi, in confronto di qualunque soluzione finanziaria a base di
nuovi tributi o rimaneggiamento dei già esistenti.
14.
Appoggio al progetto di Stazione Climatica che non impegni il
governo se non per ciò che possa riguardare disposizioni di
esclusiva indole amministrativa.
15.
Case operaie.
16.
Organico degli impiegati.
17.
Istituzione della Cattedra ambulante d’Agricoltura.
18.
Miglioramento dei pubblici servizi. Uffici governativi
disciplinati secondo un criterio di unità direttiva e soggetti al
controllo di un Ispettorato extra consigliare.
19.
Soluzione del problema dell’acqua potabile.
20.
Nuovo ordinamento della pubblica armonia.
21.
Applicazione del sistema metrico decimale da iniziarsi negli
esercizii pertinenti all’azienda pubblica.
22.
Nuovo orientamento delle opere ie. Trasformazione ella
beneficenza a domicilio. Servizi di assistenza.
In ordine
all’organizzazione proletaria
-
Miglioramento del
patto colonico.
- Modernizzazione del Mutuo Soccorso e
nuovo impulso alle Cooperative di lavoro.
- Istituzione di Cooperative di
resistenza e di consumo.
- Casa del Popolo e Casa del Lavoro.
Un programma, dunque, che era tutto fuorché minimo, visti i gravissimi
ritardi della Repubblica su tutti i fronti, nonché la diffidenza e
la paura che i socialisti continuavano a suscitare tra la
cittadinanza e tra i loro stessi alleati democratici. Non a caso fin
dal mese di novembre al loro interno sorsero dubbi e discussioni
sul comportamento che avrebbero dovuto tenere in Consiglio,
soprattutto nei confronti dei loro alleati democratici. Venne deciso
di stare a vedere l'evolversi degli eventi per capire che piega
avrebbe preso il riformismo per il momento solo promesso alla gente,
ma anche per essere di controllo e d’iniziativa e di protesta per
ciò che loro riguarda.
Nel gennaio del 1907, però, scoppiò subito un'altra tumultuosa grana:
nel Consiglio del giorno 3 si cominciò a discutere sul come
festeggiare il primo anniversario dell'arengo. Dopo litigi e scontri
vari, si giunse a deliberare di celebrarlo anche con una funzione
religiosa. Franciosi aveva protestato risolutamente, così come
Giovanni Vincenti; nel Consiglio del 10 gennaio si erano poi
aggiunte le proteste anche di altri. Nonostante le contestazioni,
alla fine era prevalso il partito favorevole alla commemorazione con
funzione religiosa, e ciò aveva suscitato il malumore di chi pensava
che tale ricorrenza non avesse nulla da spartire con preti e chiesa,
in primis dei socialisti più radicali di cui Gino Giacomini era il
riconosciuto capo carismatico.
Durante un'adunanza della Federazione, svoltasi il 12, Giacomini propose
il distacco dei consiglieri socialisti dal gruppo democratico, reo,
a suo giudizio, di non aver fatto nulla fin lì. Franciosi gli
rispose che era impossibile far tutto in una volta, e che
meritava distaccarsi dai democratici solo dopo aver percorso un
po’ di strada insieme e dopo aver dato tempo ancora per compiere
qualcosa.
Il problema di fondo non era solo
legato allo scarso attivismo dimostrato dal nuovo Consiglio nei suoi
primi, pochi mesi di vita, ma soprattutto alla grossa difficoltà che
molti democratici avevano di seguire i socialisti lungo la loro idea
forte di laicizzare perentoriamente la Repubblica. San Marino era
uno Stato confessionale, da sempre legato anima e corpo al sapere
cattolico, fondato, secondo la tradizione assunta da tutti per vera,
addirittura da un santo. I più, dunque, avevano concreti ostacoli di
natura culturale e mentale ad ipotizzare l'abbandono di questa
cultura che permeava di sé scuola, istituzioni e tutta la vita
sammarinese, per abbracciarne un'altra che era in fondo ai suoi
primi, impacciati passi.
La riunione del 12 gennaio terminò
con l'idea di temporeggiare ancora sia per andar cauti e
guardinghi nelle prime avvisaglie di battaglia contro tutte le
vecchie istituzioni, specie quella della Chiesa che ha troppi
fautori e proseliti, sia per non perdere terreno. Ci si
limitò a chiedere a Franciosi le dimissioni dal comitato
organizzatore della ricorrenza, cosa che egli fece senza problemi.
Cinque giorni dopo, però, la
Federazione tornò a riunirsi per approvare un ordine del giorno
proposto da Giacomini sulla questione. In tale documento si
ribadivano le accuse di scarso attivismo nei confronti del Gruppo
Democratico, di non impegnarsi più di tanto per attuare le riforme
promesse nel suo programma dell'otto luglio, di boicottare
sistematicamente la nomina di socialisti all'interno di commissioni
di un certo peso, di permettere la celebrazione dell'arengo con
riti chiesastici. Si invitavano perciò i consiglieri socialisti
a richiamare il Gruppo Consigliare Democratico al rispetto del
proprio nome e all'attuazione del proprio programma, prevedendo
inoltre una celebrazione prettamente laica dell'importante
ricorrenza.
Sul Titano del 20 gennaio
Franciosi volle una volta per tutte precisare la posizione dei
socialisti in materia, stigmatizzando la religione di Stato come un
indubbio avanzo di oscurantismo. Non può più esistere una
Chiesa di Stato - aggiunse. Ogni uomo se la fa da sé la
Chiesa, ogni uomo ha diritto alla sua religione senza urtare a
quella degli altri. (...) Noi vogliamo l'indipendenza dello Stato
contro ogni chiesa e contro ogni setta; vogliamo insomma uno Stato
estraneo ad ogni confessione e professione di fede. (...) Abbia la
chiesa nelle cose puramente spirituali assoluta ed inviolata
libertà; e nelle miste e civili quella sola che le leggi consentono
ad ogni altro cittadino od ente dello Stato. La maschera ormai
era stata gettata: i socialisti, anticlericali ed iconoclasti per
antonomasia, erano pronti a combattere l’oscurantismo della
nostra religione, istillato nella mente dei gonzi, in
particolare dei contadini e delle donne.
La religione è nemica del
progresso e della civiltà, ed è mezzo e strumento d’ignoranza e di
corruzione, ribadì in
altro articolo del 5 febbraio. Il problema dell’anticlericalismo e
della laicizzazione dello Stato era dunque una grossa barriera da
superare nei rapporti con buona parte degli altri democratici, e
sarà proprio su questo fronte, insieme a quello della riforma
tributaria di cui parleremo, che i socialisti e i riformisti meno
moderati perderanno le loro battaglie più grosse, attirandosi
ingenuamente sempre più addosso gli strali del vasto e
ultraconservatore mondo cattolico locale.
Nonostante le polemiche, non fu
comunque possibile eliminare l’aspetto religioso dalle celebrazioni
del 25 marzo, per cui vi furono due manifestazioni commemorative:
una ufficiale con funzione religiosa (che prevedeva l’esposizione
della teca di San Marino ed un te deum alle 10.00 di
mattino), e una laica voluta fortemente dai socialisti e dagli altri
pochi anticlericali che vi erano, aderenti in particolare al "Fascio
Giovanile Repubblicano Sammarinese". Gino Giacomini nell’occasione
pronunciò un discorso in cui risultava chiaro che l’alleanza che
aveva permesso la costituzione del comitato pro - arengo stava
scricchiolando ed era ormai al termine della sua breve e inquieta
esistenza: Più fausta per il popolo e per la Repubblica è questa
modesta e semplice e schietta nostra dimostrazione - disse - che non
la cerimonia pia ed ufficiale che riuniva, in festoso corteo,
riformatori e reazionari, democratici e conservatori, dei quali il
fiero dissidio doveva essere oggi sedato all’ombra di quella chiesa
che vide aiutò e concluse ben altri tradimenti. (...) La festa
d’oggi doveva essere festa civile e neutrale, ed è per questo che
noi, che vogliamo rispettate le nostre idealità civili ed
anticlericali, ci allontaniamo sdegnosi dal connubio che sa di
tradimento.
La cerimonia anticlericale si
concluse con la tumulazione di una lapide evocativa dell’evento,
lapide che dopo un mese sarà fatta asportare dal governo. I
socialisti, in segno di disprezzo per tale decisione, pubblicheranno
provocatoriamente a lungo sulla prima pagina del Titano il
testo della lapide.
Chi sfogliasse le pagine del giornale
socialista di questi anni si stupirebbe non poco della velenosa
asprezza con cui venivano portati attacchi al clero locale ed alla
cultura che promuoveva. D’altronde il problema era proprio nel
dominio culturale delle masse che gli uni non volevano perdere,
mentre i socialisti, i repubblicani (che si richiamavano
prevalentemente alla dottrina mazziniana, ma non avevano un partito
vero e proprio) ed i laici oltranzisti volevano acquisire. I preti
venivano etichettati come superstiziosi, come padroni
delle campagne, come maiali religiosi eternamente soggetti a
profonda degenerazione sessuale e altro ancora. Ogni pretesto
era buono per metterli in cattiva luce e per sottolineare la loro
spregevolezza.
Le pretese che venivano avanzate per
ridimensionare il loro peso sociale erano: una netta divisione tra
Stato e Chiesa, una drastica riduzione dei privilegi che il clero
ancora deteneva, lo sviluppo di istituti laici di beneficenza,
l’evoluzione della scuola, che veniva considerata lo strumento
principale per togliere il potere ai sacerdoti. La scuola moderna
deve mirare anche da noi all’unico scopo di accrescere le
generazioni indipendenti d’intelletto e di carattere, deve curare
razionalmente lo sviluppo mentale col far apprendere al fanciullo e
all’alunno tutto ciò che è conquista ed affermazione di scienza
positiva, e non l’empirismo dogmatico e partigiano, venne
dichiarato in un articolo pubblicato il 18 agosto sul Titano.
Inoltre bisognava smettere di favorire solo il Liceo per potenziare
le scuole elementari e creare scuole tecniche di specializzazione,
come esigono gl’interessi degli uomini e le condizioni dei tempi,
per favorire gli operai, che erano invece lasciati in uno stato di
abbrutimento e di totale ignoranza.
Con le troppe libertà che lo Stato
ha dato da qualche anno alla Chiesa notiamo che il Clero sammarinese
alza sempre più il capo e si fa sempre più reazionario, mentre il
livello di coltura dei fedeli cade sempre più in basso. (...) Nel
suo piccolo il nostro Clero mette in pratica anche fra noi il
segreto delle tradizionali abilità del Vaticano di saper sfruttare
la moltitudine, tenendone vivo in essa il fanatismo a proprio
vantaggio. Così ancora
Franciosi in un articolo dal titolo assai esplicito: "La Chiesa
soggetta allo Stato" del tre settembre 1907, in cui si
auspicava la promulgazione di una legge sulla Mani Morte e altro
ancora per fissare le condizioni di vita della Chiesa e tenerne il
controllo permanente. Interessante rilevare come questa
battaglia verrà combattuta dalle forze laiche anche con le armi dei
tanto vituperati avversari, adottando a volte i loro stessi registri
linguistici, e sfruttando la figura del Santo patrono come
personaggio carismatico cui inchinarsi non tanto per le sue virtù
sacrali, quanto per la sua dimensione di operaio e lavoratore.
Ovviamente lo scopo era quello di sostenere nuove posizioni senza
spaventare troppo il popolino, che era abituato a leggere
l’esistenza tramite punti di riferimento rigidi, stereotipati e
ripetitivi, ovvero in maniera semplicistica, utilizzando i suoi
stessi paradigmi interpretativi per comunicargli messaggi diversi da
quelli cui era assuefatto.
Negli stessi mesi di queste
crepitanti polemiche, la Federazione Socialista discusse la
possibilità di organizzare una manifestazione per sollecitare
l'apertura della Stazione Climatica su cui il Consiglio stava
trattando con alcune ditte italiane. Sebbene tale stabilimento fosse
un'aspirazione importante dei socialisti, per creare opportunità di
lavoro per i tanti disoccupati locali favorendo l'ascesa sul Titano
dei turisti, cioè fondando l'unica industria che in questo momento
pensavano potesse avere San Marino, emersero varie perplessità,
perché la stazione doveva essere in realtà, nelle intenzioni dei
suoi finanziatori italiani, una sorta di casinò, per cui si aveva
timore che potesse compromettere le sorti morali della Repubblica.
A lungo si parlerà di questa Stazione Climatica negli anni
successivi, senza tuttavia approdare a nulla di tangibile per la
paura che si aveva, anche tra diversi socialisti, di creare problemi
di ordine morale e pubblico tra la cittadinanza. Come è risaputo, un
casinò, dalla vita piuttosto breve e travagliata, potrà essere
impiantato dal governo delle Sinistre solo sul finire degli anni
'40.
Un altro problema sentito come
prioritario in questo 1907 dalle infinite utopie fu quello del
consolidamento del bilancio che riuscì a trovare anche una qualche
soluzione, almeno per alcuni anni. Sulla pubblica finanza i
riformisti avevano combattuto le loro battaglie più aspre imputando
al vecchio governo incapacità e approssimazione proprio in questo
vitale aspetto della vita politica della piccola comunità. Le accuse
erano state ulteriormente avvelenate da una riforma fiscale fatta
elaborare a Lorenzo Gostoli, consulente governativo, che il vecchio
Consiglio stava per varare agli inizi del 1906, e dalla vendita di
onorificenze, gli obbrobriosi ciondoli come venivano
costantemente definiti dal Titano, che continuava
imperterrita, anche se in maniera meno massiccia degli anni
precedenti, per rimediare tutti i soldi possibili per le esauste
casse statali.
Sulle tasse si combatterà una lunga e
articolata battaglia negli anni successivi, ma in sintesi si può
dire che le posizioni che si consolideranno saranno prevalentemente
due: quella dei socialisti, che auspicavano già da tempo, fin dal
1899, come si è visto, un fisco capace di colpire progressivamente i
redditi e di gravare prevalentemente sui benestanti, e quella dei
loro avversari che o non volevano alcuna riforma fiscale, o la
volevano poco incisiva soprattutto nei confronti di chi deteneva
maggiore ricchezza. Poiché molti dei loro alleati democratici erano
proprietari terrieri e benestanti, si capisce subito perché il fisco
era l’altro grande problema, oltre al ridimensionamento della
cultura cattolica, su cui era pressoché impossibile trovare accordi
e compromessi.
Nel 1907 i socialisti di tanto in
tanto torneranno timidamente sul problema della riforma fiscale; ma
è chiaro che il nuovo Consiglio non poteva permettersi di varare
subito leggi politicamente troppo impopolari, che avrebbero
intimorito la popolazione ed offerto il fianco ad attacchi e
strumentalizzazioni di tutti i tipi. Nel paese perciò fiorì un fitto
dibattito sulle varie possibilità che vi potevano essere per
incrementare gl’introiti statali. Protogene Belloni, per esempio, in
dicembre divulgò una sua lettera in cui si dichiarava contrario alla
riforma fiscale, mentre avrebbe preferito che si fosse discusso con
l’Italia per migliorare la convenzione e soprattutto per ottenere
l’esenzione fiscale di tutti i prodotti tassati alla fonte importati
da San Marino, non solo del sale, dei tabacchi e della polvere da
sparo com’era stato fin lì. Ovviamente la Repubblica avrebbe poi per
proprio conto provveduto a gravarli di tributi.
Altri negli stessi mesi parteciparono
con le opinioni più svariate al dibattito che si aprì. Alla fine
comunque si preferì soprassedere all’idea della riforma fiscale,
rimandandola a tempi indefiniti, per battere altre strade. La prima
era figlia di una vecchia idea suggerita già una ventina d'anni
prima dal console sammarinese a Vienna Coloman Koenig, che la
Società Unione Mutuo Soccorso aveva dimostrato di appoggiare tramite
lettera alla Reggenza fin dal dicembre del 1900, ovvero la creazione
di un Prestito a premi, una sorta di lotteria internazionale
patrocinata dalla Repubblica e finanziata da qualche banchiere. La
seconda prevedeva un tangibile miglioramento della convenzione con
l’Italia, cioè un innalzamento della quota di denaro che veniva
fornito a San Marino come canone doganale. Ad entrambe queste
innovazioni finanziarie mise mano subito Olinto Amati, mente
economica dei riformisti, che per anni verrà da costoro esaltato
come genio della finanza locale, almeno fino a quando non si troverà
coinvolto in un brutto affare proprio legato al prestito a premi.
Tra l’altro Amati già in passato
aveva rivolto appelli al Consiglio per intraprendere la strada della
lotteria internazionale, appelli che però erano sempre caduti nel
vuoto per quella tipica paura che avvinghiava i prudenti e
conservatori governanti locali quando all’orizzonte si affacciava
una qualche novità di cui non si riusciva bene a capire la portata.
Prima di istituire il prestito a premi fu però necessario discutere
con le autorità italiane per verificare se avessero obiezioni in
merito. A tale scopo, ma anche per parlare della nuova convenzione,
nel mese di febbraio del 1907 vennero inviati a Roma l’avvocato
Babboni ed Amati, il ragazzo ed il mediatore, come vennero
sprezzantemente etichettati dai conservatori, loro avversari
politici, per intavolare trattative con i governanti del Regno e
verificare come fossero disposti ad aiutare la Repubblica per i suoi
impellenti bisogni finanziari. Qui dovettero rimanere per diversi
mesi e discutere a destra e a manca dei problemi in cui versava il
loro paese, fin quando in giugno la nuova convenzione addizionale
poté essere firmata.
La lunga permanenza, tuttavia, venne
adeguatamente compensata perché Babboni ed Amati riuscirono ad
ottenere ciò che volevano, in particolare la possibilità di avviare
il prestito a premi ed un concreto rialzo del canone doganale.
Franciosi sul Titano del 21 luglio esaltò non poco l’operato dei due
inviati sammarinesi, sottolineando i vantaggi economici che la
Repubblica avrebbe ricevuto grazie alle meravigliose novità
contenute nella nuova convenzione: per esse nel nostro Bilancio
scomparirà per sempre la tetra cifra del disavanzo per dar luogo ad
annui risparmi e costituire un fondo di riserva che renderà sempre
più sicuro l’avvenire della Repubblica, sottolineò con eccessivo
ottimismo.
D’altra parte che con la convenzione
addizionale interessasse esclusivamente migliorare il più possibile
i cespiti d’entrata è ben chiaro anche da una lettera di quei giorni
dell’onorevole Luigi Luzzatti, consulente ed amico sammarinese, che
dopo essersi congratulato per quanto ottenuto, quasi arrivò a
sgridare i politici sammarinesi per l’approssimazione con cui fin lì
avevano gestito le loro finanze, e per i pericoli che vi erano in
una politica di bilancio incauta e troppo facilona. Il prestito
che hanno l’intendimento di emettere deve essere davvero l’ultimo
debito della Repubblica e insieme con quello del 1906 inaugurare
l’era di un bilancio equilibrato e forte, senza il quale la
Repubblica comincerebbe ad assaggiare anch’essa il frutto avvelenato
dei disavanzi cronici, che la condurrebbero a sicura ruina. (...) Il
dilemma si impone così : o parsimonia nelle spese o nuovi balzelli.
Questi ultimi essendo difficili in un paese relativamente povero, è
indispensabile porre sovra ogni altro compito quello della vigilanza
austera sulla finanza dello Stato, disse.
I vantaggi economici ottenuti dalla
Repubblica erano legati ad una nuova quota annuale e proporzionale
che l’Italia si era dichiarata disponibile a dare anche sulle tasse
indirette ricavate su alcuni prodotti, che avrebbe fornito per
quell’anno alle casse sammarinesi tra le 30 e le 40.000 lire, e il
prestito a premi. Per quest’ultimo, tra l’altro, l’Amati si era già
dato molto da fare ed aveva individuato nel banchiere Casareto di
Genova il finanziatore dell’intera operazione. La Repubblica fin da
subito avrebbe incassato come compenso una grossa cifra, negli anni
a venire avrebbe continuato a ricevere altri utili di una certa
consistenza.
Il prestito a premi tuttavia non durò
fino al 1969 come stipulato, ma solo fino al 1917 perché per
irregolarità nella sua gestione dovute all’Amati, che in quell’anno
verrà arrestato ed in seguito si suiciderà, e per precise
responsabilità anche del Casareto, si dovettero sospendere le
estrazioni. Si faranno vari tentativi prima e durante il periodo
fascista per ripristinare pienamente l’iniziativa, ma con risultati
assai scarsi. La seconda guerra mondiale provvederà ad affossare
definitivamente il prestito a premi.
Nel 1907, comunque, non erano per
nulla prevedibili i guai che sarebbero stati provocati dall’Amati,
che fino alla sua tragica fine beneficerà di fiducia illimitata da
parte dei progressisti, socialisti compresi, e delle forze che
dominavano il Consiglio. Inoltre il prestito rappresentava
l’espediente con cui allontanare l’aborrita riforma fiscale,
aborrita soprattutto dai proprietari terrieri e dal ceto
economicamente più abbiente, che, è bene ribadirlo, aveva parecchi
rappresentanti anche all'interno del gruppo democratico, e mostrare
alla cittadinanza che l’arengo del ‘906 era stato una reale
necessità della Repubblica, visto che gli uomini nuovi al potere in
quattro e quattr’otto avevano saputo risolvere gli eterni problemi
finanziari che la soffocavano.
Accanto alla questione economica
sussistevano comunque tanti altri problemi da risolvere. Tra le
istanze che cominciarono ad emergere con insistenza in quell’anno,
il gruppo socialista appoggiò soprattutto quelle relative al
miglioramento del mondo operaio ed all’istituzione di una camera del
lavoro. In questo primo periodo del Novecento la società sammarinese
era ancora prevalentemente rurale, anche se in rapida
trasformazione, con uno stuolo di contadini che dal loro mestiere
non riuscivano a trarre spesso neppure di che sfamarsi, e con più
del 70% della popolazione lavoratrice che sopravviveva con
l’agricoltura.
Gl’ingenti lavori pubblici degli
ultimi decenni dell’Ottocento avevano però indotto tantissimi
contadini a cessare il loro mestiere di sempre per lavorare tra i
muratori, i braccianti e gli altri operai impegnati alla
realizzazione delle nuove infrastrutture. Franciosi alla fine
dell’Ottocento si era anche lamentato di tale fatto in uno dei suoi
discorsi, perché con tale trend si stava rapidamente modificando la
plurisecolare struttura della società sammarinese Il lavoro del
contadino e la squallida vita a cui dava accesso non erano comunque
più ambiti dai giovani e da chi non si accontentava più
semplicemente di sopravvivere a fatica. La società si stava mutando
culturalmente e morfologicamente e l’aumento degli operai ne era una
ineluttabile conseguenza.
Questi lavoratori, meno chiusi e meno
emarginati dalla vita sociale, ebbero la possibilità di evolversi
maggiormente dei contadini tramite l’opera della Mutuo Soccorso e
l’indefessa attività del professor Franciosi, amico e consigliere di
tutti gli operai e loro strenuo difensore. I contadini non subirono
le stesse attenzioni da parte dei riformisti sammarinesi, almeno
negli anni a cavallo tra i due secoli, probabilmente per la loro
disperata arretratezza culturale, ma forse anche per quella
mentalità tipicamente locale, erede della secolare divisione tra
città e contado, che vedeva nei lavoratori dei campi degli esseri
inferiori indegni di frequentare i rari ambienti o circoli
progressisti e all’avanguardia del paese.
Nei primi anni del nuovo secolo i
contadini furono una grossa incognita per i riformisti perché non si
sapeva con precisione quale sarebbe stata la loro risposta alle
istanze che stavano portando all’arengo. Non a caso molti
progressisti pensavano che il mondo rurale avrebbe evitato qualunque
trasformazione politica del paese votando a favore del Consiglio
chiuso ed oligarchico.
Inoltre i socialisti in genere dal
ceto rurale erano guardati con grave sospetto, come se fossero dei
senzadio pronti a demolire tutte le sicurezze legate alla fede ed
agli stereotipi ereditati dal passato. Nonostante l’arengo avesse
dimostrato che anche i contadini non erano così refrattari come si
pensava tra i progressisti, la situazione non era cambiata gran che,
per cui ora si doveva risolvere il grave conflitto che aveva sempre
contrapposto gli uni agli altri.
Dal Titano del 1907 e degli
anni successivi si evince chiaramente quanto il mondo riformista
sammarinese avesse ormai a cuore il problema e come capisse che
disdegnare il ceto contadino, come aveva praticamente fatto fin lì,
non cercare di sensibilizzarlo più di tanto alle innovazioni che si
stavano propugnando, sarebbe stato senz’altro molto pericoloso,
perché avrebbe lasciato la classe numericamente più consistente
della società sammarinese, quella economicamente più importante, in
balia dei loro avversari, ovvero degli odiati preti e dei vituperati
padroni, che approfittavano di ogni occasione per alimentare l’odio
contro i socialisti, e che esercitavano sul ceto rurale un
fortissimo controllo economico e culturale.
Nella "Lettera aperta ai lavoratori
dei campi", scritta da Franciosi per il Titano del 10
marzo 1907, questo problema balza agli occhi in maniera lampante:
Voi giacete ancora sotto una doppia servitù morale e
materiale - venne scritto -. Siete troppo ligi ai preti ed ai
padroni, i quali vi sfruttano di santa ragione e nello spirito e nel
corpo. La lettera era stata indotta dalle celebrazioni del primo
anniversario dell’arengo che, come si è detto, era stato festeggiato
dai socialisti con cerimonia prettamente laica. Quell’evento era
stato usato per istigare i contadini contro Giacomini e compagni, in
quanto il testo della lapide era stato considerato dai cattolici un
insulto alla fede, per cui ora si cercava di correre ai ripari.
Non portateci il broncio se abbiamo murato da noi una lapide,
continuava l'articolo, ognuno doveva essere libero di professare la
fede che voleva e non subire le intolleranze degli altri.
Laicismo vuol dire libertà per tutti e da per tutto, per gli amici e
per gli avversari. (...) Unitevi adunque a noi che vi esponiamo
delle verità intangibili, che impieghiamo le nostre forze per
liberarvi dal doppio giogo, che col nuovo patto colonico e
con altre riforme a vostro riguardo aiuteremo a redimervi.
Il patto colonico era in realtà la
risposta progressista che i socialisti avrebbero voluto dare ai
contadini, ancora regolati dalle norme del vecchio Statuto Agrario
del 1813. Prima di tutto però sapevano essere indispensabile
abbattere i pregiudizi che il ceto rurale aveva nei confronti del
mondo laico - riformista, ed a quest’opera, che si dimostrerà lunga
e problematica, più caratterizzata da fallimenti che da vittorie, ci
si iniziò ad impegnare proprio dal 1907 con passeggiate di
propaganda, come venivano allora definite, presso i Castelli di
campagna per far opera di divulgazione degli ideali socialisti e di
proselitismo. Nel mese di aprile si organizzò una di queste
passeggiate, probabilmente la prima in assoluto, a Ca’ Berlone, dove
si riuscì a far balbettare ad uno sparuto gruppo di contadini
le prime strofe dell’Inno dei lavoratori. Quel balbettio
diventerà in breve linguaggio e forte linguaggio, e ben lo
intenderanno i nostri avversari che ora giuocano sull’equivoco!,
annunciò con enfasi il Titano del 17 maggio.
Simile opera di sensibilizzazione
proseguì nei mesi successivi e venne attuata ogni volta che ve n'era
la possibilità anche negli anni dopo, soprattutto per opera di
Giacomini e Franciosi, oratori e camminatori instancabili, pronti ad
accorrere ovunque vi fosse bisogno di divulgare il loro credo
politico. Già moltissimi contadini - dice Il Titano
del 23 giugno - di Acquaviva, Fiorentino, Chiesanuova chiedono
con insistenza che i socialisti vadano nelle loro campagne per
agitarvi un nuovo migliore patto colonico.
Se coi contadini era praticamente
ancora tutto da organizzare, non così succedeva per il mondo operaio
dove già da tempo Franciosi in particolare, ma anche Giuliano
Belluzzi, Giacomini e altri progressisti ancora avevano iniziato ad
incidere. Oltre alla Società Mutuo Soccorso, a cui va riconosciuto
il merito di essere stata la prima organizzazione operaia locale,
agli inizi del secolo erano stati fondati nuovi gruppi operai. I
primi a riunirsi in cooperativa, o meglio in "Lega", come si
diceva all’epoca, erano stati gli scalpellini nel 1903, da sempre i
lavoratori culturalmente più evoluti e anche meglio pagati. Poi si
erano aggregati i manovali e i picconisti. Nel maggio del 1907 erano
stati i falegnami a gettare le basi per una loro Lega di cui sarà
chiesto il riconoscimento nel Consiglio del 25 giugno. In autunno
saranno i calzolai ed i fabbri a raggrupparsi.
Alla fine del 1907, insomma, buona
parte del mondo operaio sammarinese aveva una propria organizzazione
disposta a dialogare con le altre perché tutte erano sotto
l’influenza del professor Franciosi, che di diverse fu pure
presidente, e di Giacomini, il cui carisma era leggermente inferiore
per la sua più giovane età e forse per il titolo di studio meno
altisonante, essendo maestro elementare. Nel 1908 l’opera continuò
perché ci si diede da fare per creare anche una Lega dei braccianti
agricoli, con il chiaro scopo di portare il verbo socialista
all’interno del ceto rurale e di aumentare la propaganda nei
Castelli di campagna, come venne stabilito nella riunione della
Federazione in data 27 maggio, e un’altra degli impiegati statali,
un’ottantina di persone in tutto, che stavano spingendo per creare
una loro legge organica.
La vita di queste leghe era mantenuta
attiva tramite banchetti conviviali che di tanto in tanto ognuna
organizzava, dove oltre a mangiare si ascoltavano gli oratori di
turno; tramite passeggiate domenicali o partecipazione a
manifestazioni, come ricorrenze (di Garibaldi, di Mazzini, ecc.);
tramite serate danzanti, come quella organizzata il 9 gennaio 1908
presso il teatro Titano.
Durante questa festa, organizzata da
tutte le Leghe, gli oratori furono Franciosi, che sostenne la
necessità da parte governativa di creare un premio per stimolare
l’impianto di qualche industria in loco per abbassare l’alto tasso
di disoccupazione che vi era, Giacomini, che evidenziò il bisogno di
creare una Camera del Lavoro, l’avvocato Babboni, che parlò sui
diritti e i doveri degli operai, Olinto Amati, che sostenne la
necessità di essere compatti nelle elezioni per impedire il dominio
politico dei conservatori e degli oligarchi, il ragionier Reffi, che
esaltò il lavoro, Giuliano Belluzzi, organizzatore della festa
insieme a due rappresentanti di ogni Lega, che parlò dell’unione e
della solidarietà fra operai, augurandosi che anche gli impiegati
creassero al più presto una loro organizzazione. Dopo aver ballato,
mangiato ed ascoltato chi parlò, la festa terminò con la raccolta di
55 lire che andarono in parte a colmare un piccolo debito creatosi
per i festeggiamenti di Garibaldi avvenuti poco tempo prima, in
parte ad alcuni operai che si erano infortunati e si trovavano in
stato di bisogno.
Il meticoloso attivismo dei
socialisti, che indubbiamente stava riscotendo graduali ma crescenti
successi in tutti i settori, mise piano piano in allarme i loro
avversari politici. Costoro, pur non appartenendo ancora a nessun
partito costituito, erano uniti dal tradizionalismo, dal
cattolicesimo e dalla paura di stravolgere più di tanto la sacra
dimensione socio - politica della loro vetusta Repubblica. Erano
cioè o conservatori tout – court, o riformisti molto, molto
guardinghi e temperati, poco disposti cioè ad appoggiare
innovazioni, spesso considerate estremiste, come quelle propugnate
dal socialismo di questo inizio ‘900, o propensi ad appoggiarne
qualcuna, magari in termini meno radicali di quelli pretesi dagli
innovatori più convinti, e sempre nel nome della salvaguardia della
sacra tradizione locale.
Nei primi mesi del 1907 il gruppo
socialista era ancora speranzoso di poter avviare riforme in
profondità, pur avendo già notato ripetutamente che l’alleanza coi
democratici non stava dando i frutti sperati, e che occorreva di
frequente scendere a compromessi mal tollerati. Tuttavia alla fine
dell’anno ormai all’interno del partito si era fatta strada l'idea
che nei suoi presunti alleati la mentalità conservatrice fosse assai
più radicata di quella riformista, almeno rispetto alle aspirazioni
all'avanguardia cui mirava il gruppo socialista, e che la strada fin
lì sostenuta dell’alleanza con gli altri democratici non avrebbe
portato a quei benefici auspicati e perseguiti con tenacia.
Fu chiaro, in altre parole, che
l’Alleanza Democratica nata per reclamare l’arengo si era ormai
esaurita tutta in quella richiesta e non aveva più la forza e la
volontà necessarie per mettere in opera le altre innovazioni
programmate nei mesi addietro, riforme che dai socialisti erano
state sempre reputate assai più importanti dell’arengo stesso, da
loro considerato solo il primo inevitabile passo per modernizzare lo
stato sammarinese, ma niente più.
Agli inizi dell’anno vi erano già
stati sporadici attriti con gli alleati, come in occasione del primo
anniversario dell’arengo, insieme a critiche anche pesanti
all’operato del Consiglio; ma il momento in cui si consumò la
rottura totale furono i mesi di novembre e dicembre del 1907, quando
vennero esaminate e bocciate nell’aula consigliare diverse istanze
presentate dal gruppo socialista per ottenere alcune di quelle
riforme da tempo agognate. Le richieste avanzate, messe a punto
nell'adunanza della Federazione del 3 ottobre, miravano a far
revisionare il vecchio e logoro statuto, ad istituire
ufficialmente il referendum, a trasformare l’istituto della Reggenza
da sorteggiato in elettivo, a riordinare il sistema scolastico, a
rendere obbligatoria la scuola elementare nei suoi primi anni, a
creare un contributo governativo per il fondo pensioni e un organico
per gli impiegati, ad adottare un codice civile, a riformare,
laicizzandoli completamente, i cerimoniali statali ed altro ancora.
Quasi tutte le richieste, sebbene
contenessero qualche cosa di comune col manifesto - programma del
gruppo consiliare democratico, fu evidenziato sul Titano
del 19 gennaio del 1908, furono sonoramente bocciate: ciò mostrava
in maniera indubbia che l’alleanza democratica non le aveva ben
appoggiate, ed ormai era da considerarsi colata a picco. Il
mosaico democratico consiliare sta disgregandosi dopo un anno di
simulata fusione, proclamò il Titano del 1° dicembre
1907, perché gli elementi di destra erano riusciti a
trovare un’unità d’intenti nella salvaguardia della sacra
tradizione, mentre dopo l’arengo, che aveva dato origine a strane e
non sempre comprensibili alleanze, tra i democratici non vi era
stato più un grande accordo. L’articolo prosegue dicendo che i
socialisti si erano attenuti al programma elaborato di comune
accordo, pur rinunciando a pretese più ampie e più consone ai loro
ideali, mentre una parte della democrazia ha dimenticato di
assolvere a molti suoi obblighi. (...) All’alba della nuova
repubblica un ordine nuovo doveva stabilirsi sulle macerie.
Bisognava rompere i ponti col vecchio sistema, estirpare il vecchio
tronco dalle radici, (...) rifare ab ovo la compagine dello Stato,
disciplinare gli uffici, rinvigorire ed allargare le pubbliche
funzioni amministrative e politiche, ossigenare e disinfettare
l’ambiente viziato.
Insomma
ci si aspettava un’opera radicale di riordinamento, invece
il Consiglio aveva smarrito in fretta le sue mete ripiombando nei
vecchi vizi del passato: Il consueto e vieto sistema guadagnò gli
uomini che erano partiti in guerra contro di esso. Durante
l’anno appena trascorso vi erano state alcune buone iniziative e
conquiste, ma l’opera riformatrice era stata assai parziale,
frammentaria e casuale, interrotta tra l’altro da lunghe pause e
tentennamenti. Inoltre molti democratici non si erano dimostrati
tali: alcuni avevano cercato di collocare la loro persona al di
sopra del gruppo, non lavorando in comunione con gli altri per una
corretta gestione politica dello stato. Quel groviglio caotico di
uomini e di cose non aveva quindi più ragione di sopravvivere :
L’ibridismo, le alleanze innaturali, gli accoppiamenti bastardi
abbiano fine e ciascuno assuma il posto, l’atteggiamento, il nome
che i propri istinti, i propri interessi, le proprie idealità gli
impongono e gli consentono.
In realtà se si sfoglia la raccolta
delle leggi di questo periodo
ci si può rendere conto che qualcosa, non molto per la verità, già
si era fatto in rispetto al programma dell’otto luglio, e altre
innovazioni, sempre fedeli a quelle linee di condotta, si
realizzeranno negli anni successivi. Evidentemente però a Giacomini
e ai socialisti più oltranzisti non bastava, e soprattutto non
soddisfaceva la lentezza con cui si procedeva nell’esecuzione delle
riforme, in particolare di quelle ritenute più importanti. Simile
pigrizia la imputavano al sistema politico sammarinese, privo ancora
di partiti, a parte quello socialista, quindi di solide alleanze
governative, nonché alla tradizionalista mentalità dominante, che
doveva ancora abituarsi ad una logica riformista assolutamente
inusuale per i costumi locali.
Come conseguenza delle gravi
polemiche contro i consiglieri democratici, il 17 dicembre il
Comitato Esecutivo della Federazione socialista inviò una lettera al
presidente del Gruppo Democratico per comunicargli che i consiglieri
socialisti erano stati sempre contrariati nelle loro
proposte, e ciò aveva provocato dannoso ritardo nel mettersi
con giusta lena a concretizzare il programma comune in 14 punti
dell’8 luglio. Per cui i consiglieri socialisti (ora quattro perché
nel mese di settembre era morto Domenico Forcellini) si ritiravano
dallo stesso gruppo ripromettendosi di appoggiare unicamente le
innovazioni gradite alla Federazione, e di trovare forme di alleanza
solo con i consiglieri affini, cioè disposti a seguirli lungo
i percorsi consoni alla loro ideologia e ai bisogni ritenuti
prioritari per la Repubblica.
Il Gruppo Democratico rispose subito
affermando che le ragioni prodotte dai socialisti per avallare le
loro dimissioni erano pretestuose ed infondate. La Federazione
socialista si riunì quindi un’altra volta il 17 gennaio dell’anno
nuovo per ribadire che il gruppo democratico non stava dando prova
d’interessamento e di solerzia per l’attuazione del proprio
programma amministrativo e politico, che stava infirmando le
riforme promesse, che aveva permesso la distribuzione di
ulteriori onorificenze venendo così a meno ad uno dei capisaldi del
programma, che in diverse occasioni di voto all’interno del
Consiglio non aveva votato compatto, che non si riusciva a
raggiungere accordi preventivi su nulla, che a volte aveva votato
insieme ai conservatori confondendosi col gruppo oligarchico per
differenziarsi dai socialisti ed affini, che aveva permesso
riti chiesastici nella solenne cerimonia governativa del primo
anniversario dell’Arringo.
Alla fine la Federazione rimase
dunque ferma sulle posizioni assunte, rifiutandosi di ritornare sui
suoi passi e di ritirare le dimissioni dei suoi consiglieri,
posizione confermata ancora una volta tramite lettera del 21 gennaio
1908 in cui si ribadivano sempre le stesse critiche e accuse.
Il nuovo ordine non è stato
instaurato, sparò anche il
Titano del 31 dicembre, perché non vi era stato il coraggio
di abbandonare i vecchi sistemi e di dar continuità operativa alla
democrazia, spesso indecisa di fronte ai conservatori ed ostile
verso i socialisti. A che cosa miravamo con le nostre istanze? Di
ricostruire, dopo la rivoluzione dell’Arringo, il nostro piccolo
Stato su basi nuove ed omogenee ai moderni tempi. Tuttavia i
governanti o per ignoranza o per opportunismo non avevano voluto
capire il bisogno impellente di evolversi. Che i conservatori,
siedano a destra o a sinistra o nel centro, tentano sempre di
contrastare ogni riforma e di voler far credere ad occhio e croce
che le nostre istituzioni e le nostre consuetudini, siano pur
vecchie come il brodetto, debbonsi sempre mantenere, anche se
inutili e nocive, e dichiararle invulnerabili.
Non era stata solo la bocciatura
delle istanze l’unica causa della rottura dell’alleanza: infatti per
tutto l’anno, a partire dalle polemiche di gennaio sul primo
anniversario dell’arengo, i socialisti dichiaravano di aver notato
costante ostruzionismo nei loro confronti, nonché il manifesto
desiderio da parte della maggioranza dei suoi 29 sottoscrittori di
non volersi realmente e pienamente assoggettare al programma
accettato da tutti l’8 luglio 1906.
L'anno si chiuse dunque con queste
polemiche e la drastica scissione all’interno del gruppo
democratico, frattura che peserà non poco sulla gestione del paese
negli anni successivi. Il 1908 si aprì perciò tra immense polemiche,
anche perché i socialisti ritenevano che molti dei loro ex alleati
facessero ormai comunella fissa con gli elementi più retrivi
della parte reazionaria del Consiglio.
I più dei nostri governanti o non
concepiscono per ignoranza questo potente bisogno di muoversi, o per
opportunismo vi si oppongono
– evidenziò pure Franciosi sul Titano del 19 gennaio. Essi
sono inconsciamente invasi dal terrore di un pericolo ignoto; per la
loro inettezza non sanno pensare astrattamente, non hanno concezioni
concrete, non sentono il bisogno di migliorare sé e il paese.
Nonostante l’incessante progresso che li circonda, la pusillanimità
naturale li assale ad ogni pié sospinto. Non assurgono a nuove
concezioni di vita e s’aggrappano alla cieca fede religiosa come
unico conforto.
Il gruppo socialista si ripropose di
favorire caso per caso le iniziative consiliari di suo gradimento,
di mantenersi in pieno accordo coi consiglieri disposti a cooperare
con loro, ma di opporsi a tutto ciò che non avrebbe condiviso, a
prescindere da chi l’avesse proposto.
Finalmente il Gruppetto
Consigliare Socialista si è sciolto dai legami che l’avvincevano ai
Democratici – venne
scritto sul Titano del 23 febbraio da Alfredo Casali – Ed era
tempo! Le aure nel seno di questo sedicente Gruppo Democratico,
s’erano già rese irrespirabili per coloro che volevano fare qualche
cosa per il bene della Repubblica. Bisognava darsi dunque da
fare per ricreare un altro gruppo composto solo da veri democratici,
liberato dalle molte scorrie ereditate dal vecchio governo
oligarchico. Secondo l'articolista, infatti, il gruppo democratico
da cui i socialisti erano usciti aveva due anime: l’una, quella più
numerosa, era formata dai reietti dell’antica oligarchia, dagli
ignavi, dai conservatori arrivati alla democrazia per preoccupazioni
elettorali, tutti imbevuti di vecchi pregiudizii, delle antiche
usanze, e attaccati al logoro Statuto; l’altra, formata dagli
entusiasti della democrazia, dagli assetati di nuove riforme, dai
veramente amanti della Repubblica era però più esigua e stentava
quindi ad imporre le sue idee nel Consiglio. Da qui il bisogno di
por termine all’alleanza per poter combattere battaglie più robuste
e radicali, senza troppi vincoli, proibizioni o compromessi, e
sensibilizzare sempre più la cittadinanza sammarinese alle teorie
socialiste, così da aumentare di peso all'interno del locale
panorama politico e sociale.
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