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“Storia del Socialismo Sammarinese dalle origini al 1999”

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III. Il nuovo secolo e la battaglia pro arengo 

 

Dopo l’exploit del ’99, nei primi anni del Novecento i socialisti sammarinesi svolsero un’attività politica piuttosto ridotta. A parte qualche articolo di Gino Giacomini sul “Risveglio”, giornale socialista di Forlì, con cui continuava a chiedere prima di qualunque altra riforma l’istituzione del suffragio universale, e una serie di 52 istanze d’arengo sottoscritte da 105 capifamiglia, in parte socialisti, in parte democratici, presentate in ottobre al Consiglio, sempre per chiedere il diritto di voto, non vi fu altro.

Tale quiete è forse spiegabile con una nuova assenza dalla Repubblica di Giacomini, mente e attivista principale del piccolo gruppo. Infatti, dopo essersi diplomato maestro elementare, a partire dalla fine del 1900, grazie anche all’intercessione di Franciosi, riuscì a trovare lavoro prima a Morciano, poi presso le scuole elementari di Montelabbate. Qui rimase ad insegnare fino al novembre del 1902, data in cui il Consiglio di San Marino con diciotto voti favorevoli, tredici contrari e sei astenuti, lo nominò maestro presso la scuola elementare di Borgo, dopo che 124 cittadini avevano sottoscritto a suo vantaggio una petizione in cui lo si richiedeva come insegnante presso quella sede essendo ritenuto giovane capacissimo e che gode la stima dell’intero paese.

Giacomini, trionfante ma anche molto polemico con i governanti sammarinesi a cui attribuiva la colpa di aver dovuto aspettare tanto un lavoro in territorio, scrisse a Franciosi il 15 novembre per dirgli: La ringrazio con affetto del compiacimento con cui ha accolto la mia nomina a maestro del Borgo. La volontà del popolo ha trionfato delle male arti della camorra nobile. Finalmente potrò rientrare in patria! Arriverò gli ultimi del mese.[1]

Il ritorno di Giacomini a San Marino, insieme ad alcuni avvenimenti accaduti nel 1902, diedero una scossa al paese: nei primi mesi del 1903, infatti, prese avvio una campagna sistematica a favore dell’arengo e del rinnovo del Consiglio Principe e Sovrano, come ancora si appellava, tramite suffragio elettorale.

Prima di arrivare a questa data, comunque, è bene fornire qualche rapido accenno ad altri fatti accaduti in precedenza che si possono considerare il detonatore degli avvenimenti successivi.

Nel 1901 vennero sottoposti a verifica economica tutti gli uffici della Repubblica, soprattutto perché erano emerse gravi irregolarità legate alla gestione del cassiere governativo.[2] Fu pure l’anno in cui, nel mese di settembre, in Consiglio si lesse la relazione elaborata dalla commissione finanziaria nominata dal governo per avanzare suggerimenti atti a sistemare le traballanti finanze locali.[3] Essa proponeva:

1.    di raddoppiare la tassa urbana;

2.    d’imporre un tributo dell’8%  sull’estimo dei beni di manomorta (si prevedeva d’incassare circa 4.800 lire all’anno);

3.    d’istituire una tassa per il porto d’armi (si prevedeva di incamerare 1.000 lire all’anno);

4.    d’imporre una tassa sui cani (si prevedeva d’incassare 600 lire all’anno);

5.    d’istituire una tassa dell’1% sulle assicurazioni (si prevedeva un incasso di 1.000 lire annue);

6.    d’introdurre una tassa dell’1% o del 2% sugli stipendi degli impiegati, sui compensi dei liberi professionisti e degli esercenti, e sugli utili degli Istituti di credito;

7.    d’imporre una tassa sul vino di 0,50 lire per soma che avrebbe fornito circa 10.000 lire annue;

8.    d’introdurre una tassa sul bestiame;

9.    di fare diverse economie sulle spese usuali.

Tale progetto finanziario, che faceva grande affidamento sulla tanto aborrita tassa sul vino di cui si stava inutilmente discutendo da cinquant’anni, determinò ovviamente grande dibattito e infinite polemiche all’interno del Consiglio; tuttavia vi fu una proposta avanzata dal consigliere Marino Borbiconi che incontrò l’appoggio della maggioranza; lasciamo in proposito parlare direttamente il verbale di quella seduta consiliare: Il Consigliere Marino Borbiconi caldeggia con lodevoli parole la massima di trattare tutti i cittadini in ugual modo, di essere miti ma equi nelle imposte, senza gravare, cioè, una classe a vantaggio di un’altra. Dice che le tasse non solo sono necessarie a ristorare le nostre finanze: ma a renderci ancora avveduti e saggi nell’impiegare il danaro pubblico. Conclude coll’esprimere il voto che lo studio d’applicazione delle minime tasse, ormai ritenute più che utili e salutari, sia affidata ad un finanziere anche estero il quale, considerato il nostro bilancio, saprà facilmente distribuire a chi spetta il giusto, benché esiguo, contributo da corrispondere al Governo. Il Consigliere Onofrio Fattori si associa a quest’ultima proposta del Borbiconi, ed anche il Consigliere Pasquale Busignani dimostra con buoni argomenti che le tasse sono scuola di moralizzazione per i contribuenti e per i Governi. Alla fine anche la Reggenza aderì a tale proposta e chiese al Consiglio se si era tutti concordi nel nominare un finanziere idoneo e capace a redigere un concreto progetto tributario. Tutti assentirono, dando mandato alla stessa di reperirlo.

Remo Giacomini, padre di Gino, dichiarò tuttavia che, prima di applicare nuove tasse, sarebbe stato opportuno fare un referendum con cui chiedere l’opinione del popolo, visto che alla fine sarebbe stato proprio questo a subire le conseguenze maggiori dalla riforma tributaria. La sua richiesta, che si dimostrerà importantissima per gli avvenimenti che accadranno in seguito, al momento non ottenne però l’appoggio di nessuno.

Nel gennaio dell’anno successivo la Reggenza comunicò al Congresso di Stato d’aver preso contatti con Lorenzo Gostoli, segretario d’Argenta in pensione, competentissimo in materia finanziaria, e buon amico del nostro Paese. Nel mese di giugno si dovettero contrarre altri debiti per 20.000 lire con la locale Cassa di Risparmio; un mese dopo arrivarono le proposte elaborate da Gostoli, il quale  evidenziò il bisogno immediato di creare un ufficio anagrafico ed un ufficio tecnico senza dei quali non è possibile una buona amministrazione, e coi quali soli si può sperare ed assicurare una giusta e retta applicazione di nuove Tasse e le desiderate economie nelle spese, disse.[4]

Il Governo, tramite avviso pubblico datato 12 luglio, comunicò alla popolazione che l’elaborato di Gostoli (composto da sei fascicoli che rappresentavano solo la prima parte della riforma che aveva in mente) era a disposizione per quelle annotazioni, che ciascun Cittadino intendesse fare a pubblica utilità; poi provvide a nominare alcuni organismi preposti all’esame dello stesso progetto.

Si era dunque arrivati ad una soluzione che prevedeva l’innalzamento mirato e scientifico dei tributi. La parte più progressista del Consiglio, però, non era pienamente d’accordo, e la richiesta di Remo Giacomini di fare un referendum sull’argomento ne è la precisa conferma. Egli trovò altri consiglieri disposti ad appoggiarlo in tale istanza: l’amico Ignazio Grazia, con cui già il 15 giugno del 1900 aveva scritto un volantino diffuso tra la popolazione per denunciare gli abusi e le ruberie che avvenivano all’interno della pubblica amministrazione, e per criticare l’introduzione di qualsiasi riforma tributaria in un sistema politico che facilitava simili illegalità,[5] e Telemaco Martelli, altro suo amico, progressista moderato, con il quale, il 27 agosto del 1902, aveva firmato un manifesto contro il Consiglio, in cui si istigava la popolazione alla rinnovazione mediante suffragio popolare di un consesso il quale, pei suoi intrighi e maneggi illeciti e vergognosi da una parte, per le sue transazioni e acquiescenze servili e incoscienti dall’altra, si è reso indegno di continuare a reggere le sorti della Repubblica.[6]

Le posizioni che si stavano consolidando erano insomma due: la prima, appoggiata dai conservatori, voleva la riforma tributaria senza toccare il sistema costituzionale sammarinese; la seconda, di stampo progressista, auspicava sempre la riforma, ma solo dopo aver modificato la costituzione oligarchica che sopravviveva dal XVII secolo, per evitare che le nuove entrate fossero gestite con i metodi ambigui e fumosi di sempre, sistemi che avevano permesso e stavano permettendo ancora prevaricazioni e abusi di ogni genere.

Nel 1902 successero anche altri fatti degni di nota per l’argomento che stiamo affrontando. Il 23 gennaio Pietro Franciosi venne cooptato come consigliere nobile all’interno del Consiglio, nomina che egli rifiutò, come già aveva fatto Telemaco Martelli un paio di settimane prima. Martelli, consenziente, era stato però subito rieletto come consigliere non nobile.

Tramite lettera aperta datata 29 gennaio diffusa tra la cittadinanza, desideroso probabilmente di seguire la strada tracciata da Martelli, Franciosi fece sapere che avrebbe accettato solo la carica di consigliere senza la nobiltà, perché non poteva più ammettere l’obsoleta divisione in ceti (nobili, cittadini, terrieri) del Consiglio.[7] Alla fine però la proposta di Franciosi fu rigettata: la nomina gli venne revocata del tutto, e il professore se ne dovette rimanere fuori dal massimo organo istituzionale della Repubblica.

La vicenda diede a Gino Giacomini l’opportunità di scrivere a Franciosi in data 28 febbraio una lettera nella quale sosteneva che l’abolizione della nobiltà e della divisione in ceti era una pretesa minima rispetto ai veri bisogni politici del paese. L’esigenza prioritaria, sostenuta dai socialisti a spada tratta e con coerenza, perché era la stessa ormai da diversi anni, doveva invece essere il voto: La coscienza pubblica si orienti in senso veramente democratico e tenda esclusivamente alla conquista del diritto di voto prima che lo sfacelo sia completo. Questa è la prima logica ed utile riforma, le altre saranno una conseguenza inevitabile. Ecco la nostra pregiudiziale.[8]

Con questa "pregiudiziale", poco dopo, sempre in occasione della festa dei lavoratori, i socialisti sammarinesi diedero alle stampe il secondo giornale della loro storia, intitolato “1° Maggio in Repubblica”. Questa pubblicazione, molto più articolata e ricca di contenuti della precedente del 1898, presentava al suo interno diversi articoli di Franciosi, di Gino e Tullio Giacomini, che ne erano i direttori responsabili, di Alfredo Casali e di altri ancora, tutti più o meno accomunati nel chiedere l’elezione dei consiglieri per voto diretto, che era la rivendicazione principale su cui i socialisti avevano trovato una qualche convergenza e si erano ormai radicati.

Venivano però avanzate proposte anche per altre innovazioni, come la riforma tributaria e il decentramento amministrativo, ovvero la creazione di tanti comuni autonomi. Se queste riforme siano più che pressanti, lo addimostra la latente bancarotta delle nostre istituzioni, gli abusi ed i favoritismi criminosi che continuamente si commettono e nel Consiglio e in non poche amministrazioni, il progetto di nuove tasse che non si sa, se debbano ancora andare ad ingrassare le pancie di alcuni nostri maggiorenti, oppure a sollevare di qualche po’ il nostro esausto bilancio. E poiché queste riforme non si otterranno se non con l’unione di tutte le forze vive del paese, i nostri lavoratori devono sentire anche il bisogno dell’organizzazione operaia, scrisse il giovane Alfredo Casali. Insomma, i socialisti ormai davano l’impressione di avere tutt’altra impostazione e tutt’altro spirito rispetto ai tempi precedenti, e per questo cominciavano a fare molta paura alla bigotta società sammarinese. Soprattutto erano decisissimi a pretendere l’aumento dei diritti politici prima di qualunque altra riforma di natura finanziaria: Ma chi potrà imporre di pagare le tasse a questo popolo se lo tenete come un cane fuori dalla porta, privo dei diritti civili e politici?, venne affermato in un articolo firmato “Il Positivista”. Se deve contribuire nel campo finanziario economico – continuava – vorrà di logica naturale conseguenza prendere prima parte allo svolgimento della vita amministrativa – politica; altrimenti tutte le leggi di tasse, di fiscalità non avranno forza, non saranno osservate e naufragheranno tutte.

Il giornale contiene tanti altri articoli interessanti che in questa sede è superfluo riassumere. E’ pervaso soprattutto da una forte e nuova volontà di iniziare a cambiare davvero qualcosa a San Marino, partendo da poche, granitiche rivendicazioni, e da una possibile alleanza con altre forze democratiche locali più moderate. Non a caso il numero unico si chiude con una precisa asserzione che suona come una enunciazione di guerra: Dichiariamo di aver accettato la collaborazione degli amici democratici che in quest’ora di rivendicazioni popolari si sono schierati in battaglia con noi.[9]

La volontà belligerante di cui si è detto stava caratterizzando anche altri progressisti più moderati dei socialisti. Il 6 aprile dello stesso anno Remo Giacomini, Telemaco Martelli e Ignazio Grazia presentarono un’istanza d’arengo tesa a chiedere l’istituzione del referendum per creare un nuovo istituto con cui allacciare precise collaborazioni con la cittadinanza quando dovevano essere varate leggi particolarmente onerose per la comunità. Ovviamente questa iniziativa non era altro che la formalizzazione della proposta già avanzata da Remo Giacomini l’anno precedente, ed era strettamente legata all’idea di sottoporre al giudizio della popolazione, tramite referendum, il nuovo progetto fiscale a cui Gostoli stava lavorando. Il Consiglio questa volta non rigettò la richiesta, ma prese tempo decidendo di esporre il problema ad alcuni suoi consulenti esperti in materia, in particolare a Pietro Ellero con cui i governanti erano in buoni rapporti già da parecchi anni.[10]

Nei mesi successivi le considerazioni degli esperti giunsero in Consiglio: tutte erano più o meno dell’avviso che la Repubblica avesse ormai necessità di qualche innovazione di natura costituzionale, pur senza dover snaturare le sue peculiarità secolari. Per questo si suggeriva di abbandonare l’idea del referendum, per ripristinare invece l’antico arengo dei capifamiglia, che poteva essere ora utilizzato con funzioni referendarie per interpellare la popolazione su argomenti di forte interesse collettivo.

Il Consiglio, timoroso d’instaurare organismi che avrebbero potuto minare la sua assoluta autorità sullo Stato, soprattutto in un momento storico in cui stavano emergendo un nugolo di idee innovative ed esotiche, come continuavano a definirle i membri dell'antica intellighenzia, tergiversò ulteriormente intorno alla questione, facendo inviperire ancor più sia i socialisti, sia i riformisti moderati del paese, che adesso potevano appoggiare le loro rivendicazioni anche su pareri autorevoli di personaggi carismatici estranei al contesto sociale sammarinese e alle sue polemiche strapaesane. Venne in definitiva provocata l’esasperazione necessaria per favorire una grande coalizione antioligarchica in nome del ritorno all’arengo, organismo che gli statuti del Seicento, cioè l'insieme di norme che fungevano ancora da costituzione della Repubblica, avevano accantonato, ma mai del tutto abolito.

Sempre in quell'anno il piccolo gruppo socialista, deciso ormai a giocare un ruolo da protagonista nello scenario politico locale, si costituì in sezione e Gino Giacomini presenziò, nel mese di settembre, al VII congresso del Partito Socialista Italiano ad Imola. Per l'occasione vennero poi in visita a San Marino Filippo Turati e Anna Kuliscioff.

Giungiamo così ai primi mesi del 1903 quando, dopo ripetuti incontri tra i diversi sparuti gruppi di innovatori, si arrivò, in nome del ritorno all'arengo, a fondare un nuovo raggruppamento, denominato “Associazione Democratica Sammarinese”, composto da quasi tutti i riformisti sammarinesi più o meno moderati, ovviamente anche dai socialisti. Il 15 marzo L’Associazione si presentò alla cittadinanza in un’assemblea pubblica, durante la quale divulgò il suo programma che raccoglieva in pratica le aspirazioni rinnovatrici di tutte le anime che la componevano, e che si riprometteva di iniziare un lavoro serio, ordinato, concorde per combattere i mali da cui siamo vessati, i quali hanno la loro radice nel Consiglio dei LX. Prevedeva infatti la sovranità popolare, la restaurazione dell’arengo, l’applicazione del referendum, l’elezione periodica dei consiglieri, la soppressione dei ceti, il riordino delle finanze e della pubblica amministrazione in genere, l’imposta unica e progressiva sul reddito ed altro ancora.

La nuova Associazione, inoltre, si diede subito da fare per pubblicare un periodico da cui divulgare le sue aspirazioni e con cui cercar di sensibilizzare l'amorfa e per lo più analfabeta cittadinanza. Il  1° aprile uscì per la prima volta il loro giornale che avrà grande peso nella lotta pro arengo e, in seguito, nella vita del socialismo sammarinese in genere: il Titano. Direttore venne nominato l’avvocato Telemaco Martelli, riformista moderato.

I socialisti, visti dalla conservatrice società sammarinese come dei terribili senzadio pronti ad abbattere le chiese, la religione e le sicurezze di sempre, preferirono inizialmente starsene nella penombra, proprio per non dare al movimento riformista connotati troppo rivoluzionari e sconvolgenti, per non spaventare cioè nessuno in un momento in cui le idee sul da farsi probabilmente non erano nemmeno troppo chiare, né vi doveva essere fiducia assoluta e uniformità di vedute tra le diverse componenti dell'Associazione, nonostante il programma comune di cui si è detto. D'altra parte dagli articoli del Titano di questi primi mesi di vita del giornale si capisce con chiarezza che non era stato messo a punto ancora un preciso piano per muoversi armonicamente e con strategia pianificata contro il sistema politico imperante.

Il 1903 fu caratterizzato da tali novità e da poco altro. Il 1904, invece, vide scoppiare diversi scandali di natura finanziaria, in cui risultarono più o meno coinvolti alcuni membri dell'oligarchia. Fu l'occasione buona per inasprire i toni della polemica e per eccitare gli animi della gente contro la sorda camorra nobiliare e la disonesta maffia che governava il paese, pronta a ideare riforme tributarie che avrebbero portato via soldi ai poveracci, ma facilona, inaffidabile e truffaldina nella gestione del denaro di tutti, almeno così sbandieravano i progressisti.

Probabilmente però i riformisti moderati non se la sentirono di affondare più di tanto il coltello nella ferita, né di alzare troppo il timbro degli strilli. La loro indole, la loro cultura e la loro provenienza sociale li portava ad essere innovatori "gentili", consci cioè che anche nel sistema politico sammarinese qualcosa bisognasse modificare secondo le linee che stavano furoreggiando in Italia e un po’ dovunque, ma non disposti a grossi sconvolgimenti delle istituzioni locali, né a sostenere quella laicizzazione draconiana dello Stato cui pensavano i riformisti più iconoclasti, né assalti all'arma bianca nei confronti dell'antica intellighenzia sammarinese, né l'omogeneizzazione economica cui aspiravano prevalentemente i socialisti.

Costoro, invece, provenienti soprattutto dal mondo operaio e popolare, imbevuti delle culture più rivoluzionarie dell'epoca, arrabbiatissimi contro i padri/padroni pseudoaristocratici del Paese che facevano il bello ed il cattivo tempo senza doverne rendere conto a nessuno, volevano molto di più rispetto al tanto conclamato ritorno all'arengo, che predicavano soprattutto per esigenze contingenti, non per reale convinzione. Il loro era un sogno di modificazione totale della società sammarinese, di democratizzazione somma, di incondizionato ridimensionamento dei poteri politici e culturali della Chiesa, di equa spartizione della ricchezza e delle proprietà, di graduale presa del potere da parte dei ceti popolari.

L'arengo, scrisse sul Titano Gino Giacomini nel maggio del 1905, era solo l'espediente grazie al quale dovevano trovare coesione temporanea le sparse membra della democrazia sammarinese. Infatti egli aveva la convinzione che sarebbe stato impossibile raggrupparle in altra maniera, magari all'ombra di un unico programma politico, essendo troppo diverse per tendenze e finalità. Ovviamente i socialisti, che rappresentavano l'ala riformista più radicale, facevano paura a tutti, anche a chi voleva promuovere innovazioni, però senza rischiare di rimetterci del suo o di mettere troppo a soqquadro il paese.

Per questi motivi fu proprio il piccolo gruppo socialista a prendere in mano le redini della protesta e ad innalzare il tono della polemica. Infatti, dopo un anno di contestazioni piuttosto "garbate" verso il potere, il Titano, a partire dal 1° aprile 1904, cambiò direttore passando dalle mani di Martelli a quelle di Gino Giacomini, senza dubbio più focoso e provocatorio del suo predecessore. Per la verità costui anche nel primo anno di vita del periodico era stato il suo principale autore e ne aveva quasi sempre firmato l'articolo di fondo. Assumendo però la responsabilità della direzione, le inflessioni del giornale si fecero in genere più arroventate e provocatorie, cominciarono a fioccare le accuse, le offese e le denunce, infuriarono gli scontri verbali e non, si accrebbero i livori personali, sempre latenti in una realtà piccola dove tutti si conoscevano e avevano contatti quotidiani, la battaglia contro l'oligarchia dominante diventò assai più cruenta, nonostante ci si preoccupasse in continuazione di assicurare la cittadinanza che il cambio del direttore non avrebbe mutato più di tanto la logica politica temperata che sottostava al periodico.

In realtà non fu così ed il Titano, pur definendosi ancora "organo della democrazia sammarinese", assunse via via una fisionomia sempre meno moderata e sempre più aggressiva e socialisteggiante. D'altronde proprio dal giornale Giacomini fece intendere senza ambiguità che non era più il momento di tergiversare, né di essere ambigui, perché occorreva avere il coraggio di affondare definitivamente il colpo per affossare quella che lui ormai considerava l'agonizzante oligarchia al potere.

A causa di questa nuova irruenza del periodico, anche la locale classe operaia, considerata troppo accondiscendente e servile nei confronti dei padroni e dei governanti, ed eternamente soggetta ad uno sfacelo di coscienza che le impediva di divenire compatta e combattiva, venne frequentemente stigmatizzata. Vi furono inoltre feroci critiche per l'intero popolo sammarinese: A voler aspettare la maturità politica, non diremo socialista o repubblicana, ma semplicemente democratica e civile della metà più uno dei cittadini Sammarinesi - venne scritto sul Titano del 1° aprile 1905 - ci sarebbe da far la barba lunga come quella di Matusalem.

Proprio per sollevare le capacità intellettive e critiche degli operai sammarinesi, e creare tra loro maggiore aggregazione, si diede vita ad un insieme di iniziative culturali che dovevano avere lo scopo di educare i ceti meno colti, tra cui la cosiddetta "Università Popolare", che a partire dal 1904 organizzò per qualche tempo conferenze e lezioni di natura politica e sociale aperte a tutti. A queste attività fornì la sua esperienza e collaborazione anche Annibale Francisci, direttore del giornale socialista ligure "La Lima",  rifugiatosi per qualche tempo a San Marino perché condannato a sedici mesi di galera per diffamazione.

Sempre per creare un più incisivo spirito di corpo tra gli operai, si cominciò a enfatizzare maggiormente il significato del 1° maggio e ad organizzare manifestazioni di massa. Nel 1903, infatti, la Società Unione Mutuo Soccorso per la prima volta lo festeggiò ufficialmente. L'anno successivo le forze progressiste si adoperarono ulteriormente per accrescere  il concorso di popolo a tale ricorrenza. Nel 1905, poi, due cospicui gruppi organizzati, uno proveniente da Serravalle, uno da Città, guidati folcloristicamente dalle locali bande musicali, si radunarono a Domagnano, fornendo la chiara dimostrazione che il mondo operaio, stimolato soprattutto dai socialisti che erano i principali fautori delle manifestazioni, e che già prima del 1903 celebravano con passione il 1° maggio, stava raggiungendo una coesione impensabile solo pochi anni prima.[11]

Furono questi gli anni in cui anche il professor Pietro Franciosi aderì con più entusiasmo e convinzione alla causa socialista. Egli aveva già pubblicato un articolo sul “1° maggio” socialista del 1902,[12] poi aveva fornito di tanto in tanto qualche suo pezzo al Titano, ma iniziò a scrivere sistematicamente sul giornale solo a partire dal 1906. Il momento in cui Franciosi iniziò ad interessarsi con piena dedizione alla causa riformista si può individuare a partire dal suo discorso sull'esigenza di ripristinare l'arengo pronunciato per l'insediamento dei Reggenti il 1° ottobre 1904.[13]

In precedenza il professore si era già reso promotore di istanze innovatrici, come abbiamo visto, tuttavia fu proprio a partire dalla fine del 1904 che egli iniziò a stringere un sodalizio con Giacomini e col gruppo socialista in genere in nome del ritorno all'arengo. In seguito quest'alleanza si consolidò sempre più, anche se i due personaggi, oggi considerati padri del socialismo sammarinese, erano dissimili per età, per foga, per background culturale e per personalità, quindi a volte illuminavano lo stesso socialismo di luci di diversa intensità e ispirazione.

Franciosi era sicuramente un uomo formatosi ai tempi della Destra storica italiana, molto più attaccato alle tradizioni secolari di San Marino, giunto al socialismo attraverso l’umanitarismo che lo caratterizzava fin dai tempi del liceo, quando si prestava a favore dei più poveri come distributore, ovvero portando alle loro case prodotti rimediati tramite la pubblica beneficenza, ma pure tramite un lungo percorso intellettuale di studio e di approfondimento dei testi di Marx e di altri pionieri del socialismo.

Giacomini, invece, di 14 anni più giovane, essendo nato nel 1878, aveva avuto tutta un’altra storia alle spalle, e soprattutto si era formato culturalmente non tanto tramite la tradizione risorgimentale, ma direttamente sui testi di Turati, Prampolini, Costa, Bissolati all’inizio, poi sulle teorie marxiste. Dall’ABC tentai poi di salire a più alte sfere di acquisizione scientifica della dialettica marxista, alla quale sono rimasto sempre fedele attraverso gli scritti di Sorel, Labriola, e agli originali di Engels, Vassalle, e degli altri, e mi misi a fare propaganda spicciola da quel soldato volontario e volenteroso che sono sempre stato, ci dice lui stesso all’interno delle sue inedite memorie autobiografiche.[14] Poi aveva frequentato i circoli socialisti del circondario, in particolare quello di Rimini, quando aveva fatto l’apprendista barbiere, e quello di Urbino, quando negli ultimi anni dell’Ottocento era tornato agli studi, svolgendo continua opera di propaganda e arringando le folle coi suoi primi comizi.

I socialisti, pur avendo al loro interno più tendenze fin dal principio, che comunque in questi anni non determinarono spaccature particolari, dovevano più che altro dibattersi tra la loro volontà riformistica totale e, per i tempi, ultra avveniristica, e l'indole serafica e reazionaria del Paese che, è bene sottolinearlo ancora, quasi per intero li vedeva come potenziali distruttori della patria, della religione, della famiglia e della tradizione, ovvero dei cardini su cui, secondo la mentalità dei più, si reggeva da sempre la vetusta e sacra Repubblica, scaturita dalla costola di un santo che non avrebbe di certo ben digerito e aiutato una ciurma così sacrilega e blasfema, almeno secondo l’opinione dei tanti conservatori che così andavano dicendo soprattutto tra gli abitanti del contado.

Lo scontro ad un certo punto da politico divenne personale, infiammandosi soprattutto tra i Giacomini (Remo e Gino) e i Gozi (Gemino e Federico) che, per le discussioni fomentate e le offese vicendevoli profuse sia in Consiglio che fuori, in varie occasioni quasi giunsero alle mani ed ebbero per anni pendenze in tribunale per denunce reciproche. La piccolezza del Paese portava ieri come oggi a tramutare gli antagonismi ideologici in livori individuali, in vendette più o meno sottili, in faide familiari dal sapore provincialotto. Occorre costantemente tener conto di questa peculiarità, quando si studia la realtà sammarinese, altrimenti molti passaggi della sua evoluzione storica non sono sempre ben comprensibili e spiegabili.

Con questo clima surriscaldato dagli scandali, dalle polemiche ideologiche e dalla crisi finanziaria incombente, si giunse al 1905. Fu l'anno della svolta della lotta politica intrapresa, quello in cui le tante controversie sfociarono nella costituzione di un consistente Comitato pro-arengo che costrinse il Consiglio a convocare l'assemblea dei capifamiglia del 25 marzo 1906. L'iniziativa di questa nuova forma di battaglia politica fu senza dubbio presa da Gino Giacomini e dal gruppo socialista, di cui era ormai l'indiscusso capo carismatico, ispirati dal discorso di Franciosi di cui si è detto.

Nel mese di marzo del 1905 il Titano, per incalzare maggiormente la cittadinanza e accelerare la battaglia antioligarchica, da mensile divenne quindicinale. In luglio il giornale istigò i consiglieri di indole democratica a dimettersi in blocco, così da indebolire il Consiglio e costringerlo a convocare il tanto desiderato arengo. Il suggerimento però non venne colto perché vi furono da parte di alcuni non poche perplessità a mettere in atto un gesto così drastico.

Per buona sorte del gruppo riformista, tuttavia, il 12 agosto la fazione oligarchica del Consiglio fece un errore madornale che causò il rapido precipitare degli eventi: elesse Gemino Gozi Segretario degli Interni al posto del defunto Giuliano Belluzzi. Tale nomina venne presa dai consiglieri democratici come un'arrogante sfida nei loro confronti, perché proprio nei riguardi del neo-segretario essi avevano sollevato non pochi sospetti e accuse in passato. Lo si considerava, infatti, personaggio dall'onestà dubbia, dunque indegno di ricoprire incarico tanto prestigioso e delicato per la gestione dello Stato. Tra l'altro i riformisti lo ritenevano anche una sorte di traditore della loro causa, avendo egli da giovane, come molti di loro, aderito al mazzinianesimo di fine Ottocento e collaborato alla redazione dei primi giornali sammarinesi, estremamente critici nei confronti del locale regime patriarcale. In seguito, però, era diventato uno dei membri più influenti della ristretta oligarchia che gestiva la Repubblica, dimenticandosi in fretta dei suoi ideali riformisti giovanili. Questa nomina fu in sintesi la goccia che fece traboccare il vaso: nei primi giorni del mese di settembre sette consiglieri progressisti diedero perciò le dimissioni e uscirono dal Consiglio.

Negli stessi giorni, inoltre, vi fu la rifondazione della sezione socialista di Borgo, che per problemi interni, legati a scarsa partecipazione alla sua vita e attività, nonché per carenze di natura economica ed organizzativa, era venuta ad un certo punto a disgregarsi. Per iniziativa di qualcuno venne ricostituita il 2 settembre del 1905 con la presenza di diciassette sostenitori,[15] che si accrebbero in seguito di altri elementi.[16]

Il 17 settembre, all'interno di un’altra riunione della nuova sezione socialista, Giacomini affermò che l'ora era finalmente matura per iniziare l'agitazione a favore della rapida convocazione dell'arengo, e per  consolidare al massimo l'alleanza con i progressisti delle altre tendenze. Così fu fatto: venne infatti creata una commissione esecutiva composta da Antonio Cesarini, Alfredo Casali, Gino Giacomini e Giuseppe Giovannarini che, in data 20, scrisse a tutti i gruppi politici ed operai di San Marino, invitandoli a ritrovarsi per giungere ad un accordo di tutte le frazioni della democrazia sopra un comune programma di riforme costituzionali.

I socialisti, consapevoli di non potersi mettere direttamente a capo del movimento innovatore, perché avrebbero creato troppo allarme nel Paese, essendo considerati dai più soggetti estremisti, avversi al cattolicesimo e perturbatori dell'ordine pubblico, all’interno di una nuova riunione del 20 settembre decisero di dare solo il primo input al moto riformista, lasciandone la direzione ai progressisti moderati.[17]

Il Partito Socialista - si legge sul Titano del 1° ottobre 1905 - si assume così un semplice compito d'iniziativa e di spinta, non di direzione, giacché per quanto le riforme costituzionali reclamate possono essere, per esso più che per altri, una condizione indispensabile di sviluppo, esse formano il sostanziale e principale, se non unico, obiettivo di quelle frazioni della democrazia che hanno un programma esclusivamente politico e come tale più vicino alla realizzazione, ed è quindi al partito democratico che spetta il posto di capitano nella presente battaglia, mentre il partito socialista combatterà vigorosamente e con slancio giovanile in qualità di semplice soldato fermamente deciso di guadagnarsi il diritto a non lontane promozioni.

Nel mese di ottobre ci si preoccupò di verificare il reale interesse della popolazione alla contestazione politica che stava montando. Il 29 in Borgo venne tenuta un'assemblea aperta a tutti, a cui presenziarono più di 600 cittadini, dove si capì che l'agitazione pro-arengo avrebbe goduto di un certo appoggio popolare. Fu stabilito quindi di continuarla. In questa occasione vennero nominati i dirigenti del movimento: il giovane avvocato Gustavo Babboni, riformista moderato, venne eletto presidente; Pietro Franciosi, evidentemente non ancora troppo compromesso con il partito socialista, vice presidente; Moro Morri segretario. Questa carica inizialmente era stata offerta a Gino Giacomini che, rimanendo coerente con la linea già manifestata, la rifiutò affermando che egli ed i suoi compagni socialisti dopo aver dato il moto di propulsione al movimento intendono, perché la loro qualità di sovversivi non impauri alcuno, di mettersi alla coda.[18]

In realtà nei mesi successivi la natura battagliera ed estremista dei socialisti emergerà con frequenza, determinando scontri a non finire sia con i capi del Consiglio oligarchico, sia pure con Babboni, Morri e gli altri riformisti moderati, che in genere venivano accusati di essere troppo accomodanti con i detentori del potere, e poco convinti delle riforme politiche da propugnare, soprattutto di quelle più innovative e meno legate alla plurisecolare tradizione culturale e costituzionale sammarinese.

Tra l'altro nelle campagne i conservatori, in stretto connubio con i sacerdoti, iniziarono a svolgere una sistematica opera di persuasione verso i contadini per convincerli che i socialisti, una volta ribaltato il governo, avrebbero abolito subito la religione cattolica, depredato le chiese ed eliminato il clero. Per questi motivi già dal 18 novembre del 1905 emersero all'interno del gruppo dirigente socialista seri dubbi sul da farsi, se cioè continuare l'agitazione o ritirarsi per il grande malanimo che stava montando nei loro confronti, soprattutto all'interno dei Castelli rurali. Giacomini, comunque, risolse il problema sostenendo che era doveroso proseguire nella propaganda e dare aiuto alla democrazia pur intervenendo nella lotta con criteri socialisti.[19]

Così venne fatto e, pur mordendo il freno, il gruppo socialista si adoperò per smorzare l'impeto, a volte fin troppo esagerato, che lo animava. Continuò quindi a combattere fianco a fianco con i riformisti più moderati con l’obiettivo di abbattere una volta per tutte l'odiatissimo governo oligarchico sammarinese.

La massiccia partecipazione registrata dall'assemblea del 29 ottobre 1905 indusse il Consiglio a rendersi conto che non erano solo quattro giovani a spingere per la convocazione dell'arengo, come fin lì aveva pensato. Il 16 novembre, dunque, si decise a convocarlo, con tempi e modalità tutte da definire, però.

I riformisti ovviamente esultarono e s'impegnarono ancor più per organizzare e proseguire la battaglia. Tra le iniziative degne di nota merita senz'altro citare la nascita, nel mese di ottobre, di un nuovo "Circolo di studi sociali", promosso da Annibale Francisci, fondato per divulgare tra i lavoratori sammarinesi informazioni di natura politico/culturale e sollevare la modesta o addirittura inesistente dimensione intellettuale del locale mondo operaio. D’altra parte questo fu sempre un chiodo fisso dei socialisti, che imputavano all’ignoranza e all’analfabetismo grosse colpe per l’arcaica situazione politica e sociale sammarinese.

Come si è già detto poco fa, dopo la convocazione dell'arengo sorse nella sezione socialista grande discussione sull'apporto da dare al movimento, perché c'era chi voleva affrontare una battaglia con aspirazioni prettamente socialiste, ovvero di riformismo radicale e di sinistra, e chi invece era convinto che bisognasse per il momento accontentarsi delle aspirazioni più temperate dei democratici moderati, quindi starsene quanto più possibile calmi.

La sezione per ben due sere di seguito (21 e 22 novembre) si adunò per discutere sulla questione. Alla fine prevalse l'opinione di evitare assolutamente spaccature all'interno del Comitato pro - arengo: Preoccupato della fitta rete di viltà e di arti subdole - si legge all'interno del libro dei verbali della sezione - con cui gli uomini più nefasti di nostra terra tentano di riafferrarsi al potere che loro va mancando sotto i piedi, accaparrandosi l'incosciente appoggio di elementi campagnoli formanti anche oggidì, per il loro analfabetismo e attaccamento al prete, la Vandea locale, e non volendo correre l'alea con un atteggiamento troppo deciso di perdere sia pure momentaneamente l'intero frutto del suo operato, delibera di tener saldo il suo programma di riforme da ottenersi a mezzo dell'Arringo, di sostenerlo in seno al Comitato pro - Arringo, di inserirlo nel Titano, di comunicarlo nell'assemblea dei capifamiglia, ed all'ultimo momento, con un manifesto, renderlo di nuovo pubblico unito ad una preventiva risposta e disanima al programma sia politico che finanziario, il quale probabilmente potrà essere redatto dalla Reggenza, ma non di farne una assoluta questione capitale che provocando scissione e indebolimento del Comitato suddetto venga a compromettere financo l'accettazione del programma minimo di quest'ultimo; e tutto ciò in linea di eccezionale, momentaneo esperimento, deliberando fin d'oggi, e solennemente che, qualora i risultati definitivi d'Arringo, malgrado tanta buona volontà e abnegazione, non fossero soddisfacenti, disporrà perché tutte le sue forze di partito e quelle dei singoli suoi componenti siano coordinate al più fiero combattimento, di maggiori sacrifici, pur personali, magari scendendo in piazza, perché finalmente in questa Terra, indegno simulacro di Repubblica, in mano a volgari e disonesti tirannelli, trionfi almeno il diritto costituzionale, primo passo a ben più importanti e sostanziali conquiste dell'evoluzione economica - sociale.[20] 

I mesi successivi furono piuttosto tranquilli. Anche il Titano, sempre così caustico e battagliero, dopo le deliberazioni del 22 smorzò di molto i suoi toni e attese l'evoluzione degli eventi. Il Comitato pro - Arringo, ovvero il gruppo riformista che in nome del ritorno all'arengo era riuscito a trovare una qualche forma di precaria coesione, si prodigò per divulgare tra tutta la cittadinanza i suoi scopi ed i motivi per cui occorreva accantonare l'antico Consiglio nominato per cooptazione sostituendolo con uno elettivo. Inoltre organizzò un gruppo di studio per redigere un progetto di legge elettorale, che venne portato a termine e divulgato tra la cittadinanza nel mese di gennaio dell'anno nuovo.

Questo documento, che poi in parte diventerà realmente la prima legge elettorale sammarinese, in alcuni suoi aspetti era alquanto all'avanguardia. Considerava, per esempio, l'arengo alla stregua del corpo elettorale della Repubblica, assegnandogli il compito di rinnovare il Consiglio per intero ogni cinque anni. Prevedeva inoltre l'istituzione del referendum facoltativo.

Il governo sammarinese, invece, non aveva le stesse preoccupazioni dei riformisti, soprattutto di quelli più oltranzisti. Costoro, infatti, davano per scontato che il Consiglio andasse ormai rinnovato, e che il convocando arengo dovesse servire in particolare a questo. I governanti, al contrario, non erano affatto convinti che la popolazione volesse i mutamenti promossi dai socialisti e dagli altri progressisti più arrabbiati, per cui avevano intenzione di utilizzare l'arengo con una veste nuova rispetto a quelle del suo remoto passato, in cui era stato o governo tout - court della Repubblica, soprattutto quando occorreva assumere deliberazioni particolarmente pesanti, o assemblea elettorale in cui modificare i connotati del Consiglio, come era accaduto per l'ultima volta nella lontana seconda metà del XVI secolo.

Essi erano dell'idea solo di interrogare i capifamiglia tramite una sorta di referendum una tantum per sapere se davvero vi fosse la volontà di apportare cambiamenti alla costituzione sammarinese, oppure no. Da qui il nuovo esacerbarsi della situazione a partire dal mese di febbraio, quando iniziarono a conoscersi le norme del regolamento a cui sarebbe dovuto sottostare l'arengo.[21] Franciosi sul Titano del 18 febbraio parlò senza mezzi termini di progetto capestro, di regolamento carcerario, di popolo imbavagliato, di forche caudine sotto cui si costringeva a transitare il massimo organo politico dello Stato. L'arringo sovrano è convocato con mani e piedi legati; non può parlare, non può discutere, non può scegliere. Un vero assurdo costituzionale, poi, veniva giudicato l'articolo 19 del regolamento, perché prevedeva che, per essere valide, le deliberazioni dell'arengo dovessero essere approvate almeno dai due/terzi dei capifamiglia. L'articolo si concludeva con precise critiche ai tre membri riformisti che componevano la commissione che aveva elaborato il regolamento, tra cui il presidente Gustavo Babboni.[22]

Sul Titano successivo, uscito il 25 febbraio, fu Gino Giacomini ad urlare al tradimento e a sferzare le forze democratiche che si erano accontentate della convocazione dell'assemblea dei capifamiglia, dimostrandosi altresì troppo pronte ai placidi riposi. Egli pensava che l'arengo dovesse essere concepito come assemblea costituente di fronte a cui avrebbe dovuto cessare ogni potere. In altre parole, Giacomini sosteneva che, una volta convocato l'arengo, spettasse solo a questa assemblea qualunque decisione di natura politica, quindi anche la sua stessa autoregolamentazione. Il Consiglio, insomma, avrebbe dovuto limitarsi a starsene in disparte.

Ovviamente queste bordate ferirono diversi progressisti moderati che non avevano mai pensato ad un arengo come quello ipotizzato dai socialisti. Il più offeso fu proprio Gustavo Babboni, che da questo momento in poi tenderà a prendere le distanze dai riformisti più radicali, e a cavalcare quel riformismo mitigato e conservatore che si dimostrerà alla lunga il vero trionfatore dell'arengo del 1906. Tra l'altro le tensioni emerse iniziarono a incrinare l'alleanza democratica che si era appena formata: non a caso sarà destinata a frantumarsi completamente ad appena un anno dall'arengo.

Comunque nei mesi successivi si fece di tutto per tenere sotto la cenere il focolaio che si era acceso, perché fondamentale era abbattere il Consiglio oligarchico: non si doveva assolutamente fornire alla cittadinanza l'impressione che le forze progressiste fossero tra loro in attrito, né impaurirla più di tanto, perché a farlo già ci pensavano le forze conservatrici.

Molti temono che trionfando il programma del Comitato Pro - Arringo le cose cambino al punto di dare la repubblica in mano ai socialisti, in mano ai liberali, i quali dovrebbero mettere tutto a soqquadro, venne scritto sul Titano del 25 marzo, uscito nello stesso giorno in cui si stava svolgendo l'arengo. Prima di tutto bisognerebbe che questi tali si convincessero che i socialisti, i liberali, hanno combattuto sempre per l'ordine, non per il disordine, e che se molte cose ora camminano meglio, in gran parte si deve a loro. Secondariamente dovrebbero pensare che quello che vogliono i socialisti e i liberali lo vuole pure una grande categoria di persone che è religiosissima. Basta leggere l'elenco dei cittadini facenti parte del Comitato Pro - Arringo per convincersene. (…) Noi vogliamo che il popolo si assuma il dovere di scegliere, di eleggere ogni tanti anni i suoi rappresentanti. Li scelga fra le persone di principi ultra conservatori o clericali addirittura, ma si prenda il disturbo, a garanzia di tutti, di rinnovarli a determinati periodi, e non una volta per sempre come taluni desiderano!

Come sia andato a finire l'arengo del 25 marzo 1906 tutti lo sanno: la stragrande maggioranza degli 805 capifamiglia votanti optò per il Consiglio elettivo, abolendo di fatto il Consiglio Principe e Sovrano che dalla fine del Cinquecento dominava la Repubblica nominandosi tramite cooptazione. Il Titano del 15 aprile uscì in un tripudio di retorica e di forti speranze per il futuro, certo che ormai la Repubblica di San Marino avesse imboccato la strada maestra della contemporaneità. Non impiegherà molto, in realtà, ad accorgersi che non era proprio così. 

IV. Il dopo arengo e la rottura dell’alleanza democratica

 

 

Il problema ora era quello di organizzare le prime elezioni politiche della Repubblica. Anche in questo caso si giunse in fretta alla redazione di una legge idonea a regolamentarle, utilizzando in gran parte una proposta già elaborata nei mesi precedenti dai riformisti del Comitato pro-arengo, con l'aggiunta tuttavia di qualche sostanziale mutamento. Sul Titano del 27 maggio Franciosi si lamentò che le imminenti elezioni non avrebbero avuto disposizioni troppo nitide e troppo chiare, come sarebbe stato desiderabile, non avendo contribuito a definire la lotta neanche la democrazia, la quale nella scelta dei candidati doveva attenersi ad una maggiore omogeneità, e doveva forse fissare le linee larghe ma precise di un programma di presentazione. In pratica deplorava il fatto che il gruppo riformista non fosse stato capace di trarre dal mosaico della propria composizione un colore di carattere, e perché non si presentava al battesimo elettorale né con un nome né con un disegno, ma come un gruppo di sessanta candidati troppo variopinto e disomogeneo.

Inoltre tra loro, in particolare tra i candidati presenti nelle liste dei Castelli rurali, vi erano addirittura elementi stranieri e, diciamolo pur francamente, nemici della causa riformista. Nonostante questi appunti, Franciosi era comunque ottimista per il futuro: L'opera di selezione e di orientamento verrà in seguito, quando, passato questo momento caotico, i vari problemi, da quello costituzionale, diciamo così, oggi informe, che deve essere integrato con altri postulati politici ed ampliato da nuove forme, al problema tecnico che involge tutto l'organamento amministrativo dello Stato, al problema operaio, scolastico e di tutti i pubblici servizi, determineranno vari criteri e varie correnti che ci auguriamo almeno in un punto concordi: nell'intesa cioè di studiare, di lavorare, di escogitare nuovi impulsi di vitalità, di riparare cioè al danno fatto dal cessato governo malamente prodigo e allegramente vagabondo.

La maggior parte delle aspettative esplicitate da Franciosi, che erano poi le stesse del gruppo socialista, saranno in realtà destinate a non realizzarsi, o a farlo tra mille intoppi e colpi bassi, che naturalmente provocheranno e manterranno a lungo nel Paese un clima assai teso e un forte immobilismo. Ma il 1906 fu anno di grandi sogni e di enorme ottimismo, per cui i socialisti rimasero ben lontani dal capire fino in fondo quanto fosse tortuosa e in salita la strada delle riforme da loro agognate, e quanto fosse difficile, in un paese prevalentemente rurale e ultraconservatore come San Marino, del tutto privo di cultura politica e di organizzazioni partitiche, perché fino al 1908-1909 non si consoliderà un altro gruppo organizzato oltre a quello socialista, modificare anche una virgola della sua perenne e sacra tradizione socio/culturale.

Le prime elezioni politiche della Repubblica di San Marino durarono in pratica tutta l'estate del 1906, avendo inizio il 10 giugno e conclusione il 2 settembre, perché in alcuni seggi vi erano stati problemi e irregolarità varie, per cui si erano dovute rifare. I socialisti in tale periodo ebbero altre polemiche coi loro alleati democratici a causa di alcuni candidati non concordati insieme, tuttavia anche in questo caso preferirono non sollevare polveroni in nome di una effettiva svolta democratica del paese. Il nuovo Consiglio alla fine risultò composto da 38 membri il cui nome era presente nella lista dei sessanta candidati proposti dal gruppo riformista, e da 22 conservatori.[23]

Apparentemente era "La fine dell'oligarchia", come titolò il Titano del 1° luglio, in realtà era solo un nuovo Consiglio dalla fisionomia ancora ineffabile, e dai proponimenti tutti da definire, dove l’unico gruppo che aveva una embrionale forma di partito politico, mantenuta tra mille difficoltà perché la sua attività era costantemente rallentata dalla carenza di mezzi economici e di iscritti pronti a darsi da fare, era quello socialista, e dove i cosiddetti riformisti provenivano da tutti i ceti sociali e quindi non erano spesso concordi sulle strategie politiche da mettere in opera, non avendo ideologie comuni.

Il gruppo democratico, comunque, l'otto luglio diffuse tra la gente un suo programma politico in quattordici punti con cui esplicitava i suoi proponimenti, ovvero:

 

1.       Soluzione del problema finanziario economico del Paese sulla base delle maggiori possibili economie e, occorrendo, di una più equa ripartizione di tributi da sottoporsi a referendum ai Capi famiglia e ai Maggiorenni.

2.       Miglioramento d’ordine finanziario e politico da recarsi nella prossima rinnovazione del Trattato col Regno d’Italia.

3.       Istituzione di un Ispettorato generale ad honorem o retribuito, per il controllo del regolare funzionamento di tutti gli uffici amministrativi, civili e scolastici e di tutti i pubblici servizi.

4.       Organico per gl’Impiegati.

5.       Impianto dell’Ufficio Tecnico. Sistemazione del Cimitero della Pieve. Costruzione dei Camposanti Rurali. Miglioramenti delle strade consolari e rurali. Costruzione di edifici scolastici e di case operaie.

6.       Studio per migliorare il servizio postale, di comunicazione e di trasporto.

7.       Riordinamenti scolastici. Istruzione obbligatoria fino alla 3a Elementare. Esperimenti di patronati e refezioni scolastiche nei centri più popolosi. Miglioramento del Collegio Convitto Governativo.

8.       Riforma delle Leggi sulla igiene, sulla sanità e sulla sicurezza pubblica. Progetto per la conduttura dell’acqua potabile.

9.       Studio per eliminare o correggere il problema dell’emigrazione.

10.   Istituzione di una Cattedra ambulante e di premi per incoraggiare l’agricoltura e l’impianto e lo sviluppo delle industrie.

11.   Legge elettorale. Estensione del diritto di voto.

12.   Riforma della legislazione civile, penale e giudiziale.

13.   Legge sulla cittadinanza e sulla immigrazione dei forensi.

14.   Abrogazione della Legge 22 Marzo 1860 sul conferimento dei titoli equestri e nobiliari.[24]

Questo programma era sottoscritto da 29 consiglieri, tra cui i cinque socialisti eletti,[25] numero che rappresentava l'effettiva consistenza del gruppo democratico riformista. Leggendolo risulta evidente che anche in questo caso i socialisti preferirono non calcare la mano per inserire al suo interno rivendicazioni troppo forti, accontentandosi di quelle più urgenti e su cui poteva avvenire un'ampia convergenza.

Così ebbe termine questa prima fase di lotta politica. Il Titano, esaurito il suo scopo pro - arengo e pro - elezioni, dal 3 settembre interruppe le sue pubblicazioni. Nel frattempo il gruppo socialista si rinforzò creando, in data 12 ottobre, un'altra sezione in Città. Subito Gino Giacomini propose di fondare una Federazione Socialista Sammarinese per dare più forza al movimento, pur nella garanzia delle autonomie dei due gruppi. La sezione di Borgo, inoltre, delegò Alfredo Casali a presenziare (a sue spese però) al congresso socialista di Roma. L'undici novembre avvenne la prima adunanza generale della Federazione, presenti 33 membri su una settantina di iscritti (cfr. appendici n° 3 e 4). In questa occasione si decise di ridare alle stampe il Titano, come organo del partito questa volta, e si votò lo statuto in cui, tra le altre cose, si proponeva di favorire lo sviluppo di altre sezioni e di armonizzare l'attività delle esistenti, di fare una assidua propaganda ed un insistente lavoro di organizzazione per promuovere la potenza del proletariato, ed altro ancora. La prima Commissione Esecutiva della Federazione risultò composta da: Gino Giacomini, Annibale Francisci, Pietro Franciosi, Girolamo Capicchioni, Nullo Belloni.[26]

Il 1° dicembre uscì il primo numero del Titano con la nuova veste di "Organo quindicinale della Federazione Socialista Sammarinese", da cui venne divulgato il "Programma minimo" dei socialisti. Essi si ripromettevano di essere fedeli al "programma massimo" del Partito Socialista Italiano, ma di volersi prodigare anche per i bisogni contingenti sammarinesi. Da qui questo programma minimo che prevedeva le presenti rivendicazioni:

 

In ordine ai pubblici poteri

 

1.            Estensione del diritto di voto ai maggiorenni ed ai cittadini della Repubblica residenti all’estero.

2.            Nuovo sistema di votazione alla sede del seggio. Costituzione di un segretariato elettorale formato da tre alunni delle scuole elementari per redigerele schede degli analfabeti. Metodo di scrutinio a sezioni divise.

3.            Unificazione delle due circoscrizioni elettorali di Fiorentino e S. Giovanni.

4.            Elezione dei Capitani Reggenti a voto consigliare diretto.

5.            Trasformazione del Congresso di Stato in Corpo esecutivo diviso in dicasteri.

6.            Applicazione del Referendum.

7.            Riforma civile del cerimoniale e abolizione delle onorificenze.

8.            Avviamento alla legislazione sociale. Riconoscimento giuridico della Società di Mutuo Soccorso e della Cooperative di lavoro. Contribuzione annuale governativa al fondo pensioni istituito dalla Società Operaia Unione e Mutuo Soccorso.

9.            Ufficio governativo d’emigrazione.

10.        Codice commerciale.

11.        Codice civile. Personalità giuridica dello Stato di fronte alla chiesa. Funzioni dello Stato civile distinte dalle pratiche del culto. Denunzia diretta delle nascite e decessi. Matrimonio civile. Trasformazione a beneficio di Istituti di assistenza dei beni delle confraternite religiose.

12.        Obbligatorietà scolastica fino alla terza elementare. Miglioramento e riforma didattica generale delle scuole elementari, specie di campagna, refezione gratuita, facilitata dalle cucine economiche, agli alunni poveri delle scuole dei centri maggiori. Ricreatori festivi, Edifici scolastici. Istituzione nel capoluogo di una scuola serale di disegno applicato all’industria.

13.        Sistemazione delle finanze dello Stato senza ricorso a nuovi oneri pubblici; e in caso di assoluta necessità applicazione della tassa unica progressiva sul reddito con esenzione dei redditi minimi, in confronto di qualunque soluzione finanziaria a base di nuovi tributi o rimaneggiamento dei già esistenti.

14.        Appoggio al progetto di Stazione Climatica che non impegni il governo se non per ciò che possa riguardare disposizioni di esclusiva indole amministrativa.

15.        Case operaie.

16.        Organico degli impiegati.

17.        Istituzione della Cattedra ambulante d’Agricoltura.

18.        Miglioramento dei pubblici servizi. Uffici governativi disciplinati secondo un criterio di unità direttiva e soggetti al controllo di un Ispettorato extra consigliare.

19.        Soluzione del problema dell’acqua potabile.

20.        Nuovo ordinamento della pubblica armonia.

21.        Applicazione del sistema metrico decimale da iniziarsi negli esercizii pertinenti all’azienda pubblica.

22.        Nuovo orientamento delle opere ie. Trasformazione ella beneficenza a domicilio. Servizi di assistenza.

 

In ordine all’organizzazione proletaria

 

-          Miglioramento del patto colonico.

- Modernizzazione del Mutuo Soccorso e nuovo impulso alle Cooperative di lavoro.

- Istituzione di Cooperative di resistenza e di consumo.

- Casa del Popolo e Casa del Lavoro.

 

Un programma, dunque, che era tutto fuorché minimo, visti i gravissimi ritardi della Repubblica su tutti i fronti, nonché la diffidenza e la paura che i socialisti continuavano a suscitare tra la cittadinanza e tra i loro stessi alleati democratici. Non a caso fin dal mese di novembre al loro interno  sorsero dubbi e discussioni sul comportamento che avrebbero dovuto tenere in Consiglio, soprattutto nei confronti dei loro alleati democratici. Venne deciso di stare a vedere l'evolversi degli eventi per capire che piega avrebbe preso il riformismo per il momento solo promesso alla gente, ma anche per essere di controllo e d’iniziativa e di protesta per ciò che loro riguarda.[27]

Nel gennaio del 1907, però, scoppiò subito un'altra tumultuosa grana: nel Consiglio del giorno 3 si cominciò a discutere sul come festeggiare il primo anniversario dell'arengo. Dopo litigi e scontri vari, si giunse a deliberare di celebrarlo anche con una funzione religiosa. Franciosi aveva protestato  risolutamente, così come Giovanni Vincenti; nel Consiglio del 10 gennaio si erano poi aggiunte le proteste anche di altri. Nonostante le contestazioni, alla fine era prevalso il partito favorevole alla commemorazione con funzione religiosa, e ciò aveva suscitato il malumore di chi pensava che tale ricorrenza non avesse nulla da spartire con preti e chiesa, in primis dei socialisti più radicali di cui Gino Giacomini era il riconosciuto capo carismatico.

Durante un'adunanza della Federazione, svoltasi il 12, Giacomini propose il distacco dei consiglieri socialisti dal gruppo democratico, reo, a suo giudizio, di non aver fatto nulla fin lì. Franciosi gli rispose che era impossibile far tutto in una volta, e che meritava distaccarsi dai democratici solo dopo aver percorso un po’ di strada insieme e dopo aver dato tempo ancora per compiere qualcosa.[28]

Il problema di fondo non era solo legato allo scarso attivismo dimostrato dal nuovo Consiglio nei suoi primi, pochi mesi di vita, ma soprattutto alla grossa difficoltà che molti democratici avevano di seguire i socialisti lungo la loro idea forte di laicizzare perentoriamente la Repubblica. San Marino era uno Stato confessionale, da sempre legato anima e corpo al sapere cattolico, fondato, secondo la tradizione assunta da tutti per vera, addirittura da un santo. I più, dunque, avevano concreti ostacoli di natura culturale e mentale ad ipotizzare l'abbandono di questa cultura che permeava di sé scuola, istituzioni e tutta la vita sammarinese, per abbracciarne un'altra che era in fondo ai suoi primi, impacciati passi.

La riunione del 12 gennaio terminò con l'idea di temporeggiare ancora sia per andar cauti e guardinghi nelle prime avvisaglie di battaglia contro tutte le vecchie istituzioni, specie quella della Chiesa che ha troppi fautori e proseliti, sia per non perdere terreno. Ci si limitò a chiedere a Franciosi le dimissioni dal comitato organizzatore della ricorrenza, cosa che egli fece senza problemi.

Cinque giorni dopo, però, la Federazione tornò a riunirsi per approvare un ordine del giorno proposto da Giacomini sulla questione. In tale documento si ribadivano le accuse di scarso attivismo nei confronti del Gruppo Democratico, di non impegnarsi più di tanto per attuare le riforme promesse nel suo programma dell'otto luglio, di boicottare sistematicamente la nomina di socialisti all'interno di commissioni di un certo peso, di permettere la celebrazione dell'arengo con riti chiesastici. Si invitavano perciò i consiglieri socialisti a richiamare il Gruppo Consigliare Democratico al rispetto del proprio nome e all'attuazione del proprio programma, prevedendo inoltre una celebrazione prettamente laica dell'importante ricorrenza.[29]

Sul Titano del 20 gennaio Franciosi volle una volta per tutte precisare la posizione dei socialisti in materia, stigmatizzando la religione di Stato come un indubbio avanzo di oscurantismo. Non può più esistere una Chiesa di Stato - aggiunse. Ogni uomo se la fa da sé la Chiesa, ogni uomo ha diritto alla sua religione senza urtare a quella degli altri. (...) Noi vogliamo l'indipendenza dello Stato contro ogni chiesa e contro ogni setta; vogliamo insomma uno Stato estraneo ad ogni confessione e professione di fede. (...) Abbia la chiesa nelle cose puramente spirituali assoluta ed inviolata libertà; e nelle miste e civili quella sola che le leggi consentono ad ogni altro cittadino od ente dello Stato. La maschera ormai era stata gettata: i socialisti, anticlericali ed iconoclasti per antonomasia, erano pronti a combattere l’oscurantismo della nostra religione, istillato nella mente dei gonzi, in particolare dei contadini e delle donne.

La religione è nemica del progresso e della civiltà, ed è mezzo e strumento d’ignoranza e di corruzione, ribadì in altro articolo del 5 febbraio. Il problema dell’anticlericalismo e della laicizzazione dello Stato era dunque una grossa barriera da superare nei rapporti con buona parte degli altri democratici, e sarà proprio su questo fronte, insieme a quello della riforma tributaria di cui parleremo, che i socialisti e i riformisti meno moderati perderanno le loro battaglie più grosse, attirandosi ingenuamente sempre più addosso gli strali del vasto e ultraconservatore mondo cattolico locale.

Nonostante le polemiche, non fu comunque possibile eliminare l’aspetto religioso dalle celebrazioni del 25 marzo, per cui vi furono due manifestazioni commemorative: una ufficiale con funzione religiosa (che prevedeva l’esposizione della teca di San Marino ed un te deum alle 10.00 di mattino), e una laica voluta fortemente dai socialisti e dagli altri pochi anticlericali che vi erano, aderenti in particolare al "Fascio Giovanile Repubblicano Sammarinese". Gino Giacomini nell’occasione pronunciò un discorso in cui risultava chiaro che l’alleanza che aveva permesso la costituzione del comitato pro - arengo stava scricchiolando ed era ormai al termine della sua breve e inquieta esistenza: Più fausta per il popolo e per la Repubblica è questa modesta e semplice e schietta nostra dimostrazione - disse - che non la cerimonia pia ed ufficiale che riuniva, in festoso corteo, riformatori e reazionari, democratici e conservatori, dei quali il fiero dissidio doveva essere oggi sedato all’ombra di quella chiesa che vide aiutò e concluse ben altri tradimenti. (...) La festa d’oggi doveva essere festa civile e neutrale, ed è per questo che noi, che vogliamo rispettate le nostre idealità civili ed anticlericali, ci allontaniamo sdegnosi dal connubio che sa di tradimento.[30]

La cerimonia anticlericale si concluse con la tumulazione di una lapide evocativa dell’evento, lapide che dopo un mese sarà fatta asportare dal governo. I socialisti, in segno di disprezzo per tale decisione, pubblicheranno provocatoriamente a lungo sulla prima pagina del Titano il testo della lapide.[31]

Chi sfogliasse le pagine del giornale socialista di questi anni si stupirebbe non poco della velenosa asprezza con cui venivano portati attacchi al clero locale ed alla cultura che promuoveva. D’altronde il problema era proprio nel dominio culturale delle masse che gli uni non volevano perdere, mentre i socialisti, i repubblicani (che si richiamavano prevalentemente alla dottrina mazziniana, ma non avevano un partito vero e proprio) ed i laici oltranzisti volevano acquisire. I preti venivano etichettati come superstiziosi, come padroni delle campagne, come maiali religiosi eternamente soggetti a profonda degenerazione sessuale e altro ancora. Ogni pretesto era buono per metterli in cattiva luce e per sottolineare la loro spregevolezza.

Le pretese che venivano avanzate per ridimensionare il loro peso sociale erano: una netta divisione tra Stato e Chiesa, una drastica riduzione dei privilegi che il clero ancora deteneva, lo sviluppo di istituti laici di beneficenza, l’evoluzione della scuola, che veniva considerata lo strumento principale per togliere il potere ai sacerdoti. La scuola moderna deve mirare anche da noi all’unico scopo di accrescere le generazioni indipendenti d’intelletto e di carattere, deve curare razionalmente lo sviluppo mentale col far apprendere al fanciullo e all’alunno tutto ciò che è conquista ed affermazione di scienza positiva, e non l’empirismo dogmatico e partigiano, venne dichiarato in un  articolo pubblicato il 18 agosto sul Titano. Inoltre bisognava smettere di favorire solo il Liceo per potenziare le scuole elementari e creare scuole tecniche di specializzazione, come esigono gl’interessi degli uomini e le condizioni dei tempi, per favorire gli operai, che erano invece lasciati in uno stato di abbrutimento e di totale ignoranza.

Con le troppe libertà che lo Stato ha dato da qualche anno alla Chiesa notiamo che il Clero sammarinese alza sempre più il capo e si fa sempre più reazionario, mentre il livello di coltura dei fedeli cade sempre più in basso. (...) Nel suo piccolo il nostro Clero mette in pratica anche fra noi il segreto delle tradizionali abilità del Vaticano di saper sfruttare la moltitudine, tenendone vivo in essa il fanatismo a proprio vantaggio. Così ancora Franciosi in un articolo dal titolo assai esplicito: "La Chiesa soggetta allo Stato" del tre settembre 1907, in cui si auspicava la promulgazione di una legge sulla Mani Morte e altro ancora per fissare le condizioni di vita della Chiesa e tenerne il controllo permanente. Interessante rilevare come questa battaglia verrà combattuta dalle forze laiche anche con le armi dei tanto vituperati avversari, adottando a volte i loro stessi registri linguistici, e sfruttando la figura del Santo patrono come personaggio carismatico cui inchinarsi non tanto per le sue virtù sacrali, quanto per la sua dimensione di operaio e lavoratore. Ovviamente lo scopo era quello di sostenere nuove posizioni senza spaventare troppo il popolino, che era abituato a leggere l’esistenza tramite punti di riferimento rigidi, stereotipati e ripetitivi, ovvero in maniera semplicistica, utilizzando i suoi stessi paradigmi interpretativi per comunicargli messaggi diversi da quelli cui era assuefatto.[32]

Negli stessi mesi di queste crepitanti polemiche, la Federazione Socialista discusse la possibilità di organizzare una manifestazione per sollecitare l'apertura della Stazione Climatica su cui il Consiglio stava trattando con alcune ditte italiane. Sebbene tale stabilimento fosse un'aspirazione importante dei socialisti, per creare opportunità di lavoro per i tanti disoccupati locali favorendo l'ascesa sul Titano dei turisti, cioè fondando l'unica industria che in questo momento pensavano potesse avere San Marino, emersero varie perplessità, perché la stazione doveva essere in realtà, nelle intenzioni dei suoi finanziatori italiani, una sorta di casinò, per cui si aveva timore che potesse compromettere le sorti morali della Repubblica.[33] A lungo si parlerà di questa Stazione Climatica negli anni successivi, senza tuttavia approdare a nulla di tangibile per la paura che si aveva, anche tra diversi socialisti, di creare problemi di ordine morale e pubblico tra la cittadinanza. Come è risaputo, un casinò, dalla vita piuttosto breve e travagliata, potrà essere impiantato dal governo delle Sinistre solo sul finire degli anni '40.

Un altro problema sentito come prioritario in questo 1907 dalle infinite utopie fu quello del consolidamento del bilancio che riuscì a trovare anche una qualche soluzione, almeno per alcuni anni. Sulla pubblica finanza i riformisti avevano combattuto le loro battaglie più aspre imputando al vecchio governo incapacità e approssimazione proprio in questo vitale aspetto della vita politica della piccola comunità. Le accuse erano state ulteriormente avvelenate da una riforma fiscale fatta elaborare a Lorenzo Gostoli, consulente governativo, che il vecchio Consiglio stava per varare agli inizi del 1906, e dalla vendita di onorificenze, gli obbrobriosi ciondoli come venivano costantemente definiti dal Titano, che continuava imperterrita, anche se in maniera meno massiccia degli anni precedenti, per rimediare tutti i soldi possibili per le esauste casse statali.

Sulle tasse si combatterà una lunga e articolata battaglia negli anni successivi, ma in sintesi si può dire che le posizioni che si consolideranno saranno prevalentemente due: quella dei socialisti, che auspicavano già da tempo, fin dal 1899, come si è visto, un fisco capace di colpire progressivamente i redditi e di gravare prevalentemente sui benestanti, e quella dei loro avversari che o non volevano alcuna riforma fiscale, o la volevano poco incisiva soprattutto nei confronti di chi deteneva maggiore ricchezza. Poiché molti dei loro alleati democratici erano proprietari terrieri e benestanti, si capisce subito perché il fisco era l’altro grande problema, oltre al ridimensionamento della cultura cattolica, su cui era pressoché impossibile trovare accordi e compromessi.

Nel 1907 i socialisti di tanto in tanto torneranno timidamente sul problema della riforma fiscale; ma è chiaro che il nuovo Consiglio non poteva permettersi di varare subito leggi politicamente troppo impopolari, che avrebbero intimorito la popolazione ed offerto il fianco ad attacchi e strumentalizzazioni di tutti i tipi. Nel paese perciò fiorì un fitto dibattito sulle varie possibilità che vi potevano essere per incrementare gl’introiti statali. Protogene Belloni, per esempio, in dicembre divulgò una sua lettera in cui si dichiarava contrario alla riforma fiscale, mentre avrebbe preferito che si fosse discusso con l’Italia per migliorare la convenzione e soprattutto per ottenere l’esenzione fiscale di tutti i prodotti tassati alla fonte importati da San Marino, non solo del sale, dei tabacchi e della polvere da sparo com’era stato fin lì. Ovviamente la Repubblica avrebbe poi per proprio conto provveduto a gravarli di tributi.[34]

Altri negli stessi mesi parteciparono con le opinioni più svariate al dibattito che si aprì. Alla fine comunque si preferì soprassedere all’idea della riforma fiscale, rimandandola a tempi indefiniti, per battere altre strade. La prima era figlia di una vecchia idea suggerita già una ventina d'anni prima dal console sammarinese a Vienna Coloman Koenig, che la Società Unione Mutuo Soccorso aveva dimostrato di appoggiare tramite lettera alla Reggenza fin dal dicembre del 1900, ovvero la creazione di un Prestito a premi, una sorta di lotteria internazionale patrocinata dalla Repubblica e finanziata da qualche banchiere. La seconda prevedeva un tangibile miglioramento della convenzione con l’Italia, cioè un innalzamento della quota di denaro che veniva fornito a San Marino come canone doganale. Ad entrambe queste innovazioni finanziarie mise mano subito Olinto Amati, mente economica dei riformisti, che per anni verrà da costoro esaltato come genio della finanza locale, almeno fino a quando non si troverà coinvolto in un brutto affare proprio legato al prestito a premi.

Tra l’altro Amati già in passato aveva rivolto appelli al Consiglio per intraprendere la strada della lotteria internazionale, appelli che però erano sempre caduti nel vuoto per quella tipica paura che avvinghiava i prudenti e conservatori governanti locali quando all’orizzonte si affacciava una qualche novità di cui non si riusciva bene a capire la portata. Prima di istituire il prestito a premi fu però necessario discutere con le autorità italiane per verificare se avessero obiezioni in merito. A tale scopo, ma anche per parlare della nuova convenzione, nel mese di febbraio del 1907 vennero inviati a Roma l’avvocato Babboni ed Amati, il ragazzo ed il mediatore, come vennero sprezzantemente etichettati dai conservatori, loro avversari politici, per intavolare trattative con i governanti del Regno e verificare come fossero disposti ad aiutare la Repubblica per i suoi impellenti bisogni finanziari. Qui dovettero rimanere per diversi mesi e discutere a destra e a manca dei problemi in cui versava il loro paese, fin quando in giugno la nuova convenzione addizionale poté essere firmata.

La lunga permanenza, tuttavia, venne adeguatamente compensata perché Babboni ed Amati riuscirono ad ottenere ciò che volevano, in particolare la possibilità di avviare il prestito a premi ed un concreto rialzo del canone doganale. Franciosi sul Titano del 21 luglio esaltò non poco l’operato dei due inviati sammarinesi, sottolineando i vantaggi economici che la Repubblica avrebbe ricevuto grazie alle meravigliose novità contenute nella nuova convenzione: per esse nel nostro Bilancio scomparirà per sempre la tetra cifra del disavanzo per dar luogo ad annui risparmi e costituire un fondo di riserva che renderà sempre più sicuro l’avvenire della Repubblica, sottolineò con eccessivo ottimismo.

D’altra parte che con la convenzione addizionale interessasse esclusivamente migliorare il più possibile i cespiti d’entrata è ben chiaro anche da una lettera di quei giorni dell’onorevole Luigi Luzzatti, consulente ed amico sammarinese, che dopo essersi congratulato per quanto ottenuto, quasi arrivò a sgridare i politici sammarinesi per l’approssimazione con cui fin lì avevano gestito le loro finanze, e per i pericoli che vi erano in una politica di bilancio incauta e troppo facilona. Il prestito che hanno l’intendimento di emettere deve essere davvero l’ultimo debito della Repubblica e insieme con quello del 1906 inaugurare l’era di un bilancio equilibrato e forte, senza il quale la Repubblica comincerebbe ad assaggiare anch’essa il frutto avvelenato dei disavanzi cronici, che la condurrebbero a sicura ruina. (...) Il dilemma si impone così : o parsimonia nelle spese o nuovi balzelli. Questi ultimi essendo difficili in un paese relativamente povero, è indispensabile porre sovra ogni altro compito quello della vigilanza austera sulla finanza dello Stato, disse.[35]

I vantaggi economici ottenuti dalla Repubblica erano legati ad una nuova quota annuale e proporzionale che l’Italia si era dichiarata disponibile a dare anche sulle tasse indirette ricavate su alcuni prodotti, che avrebbe fornito per quell’anno alle casse sammarinesi tra le 30 e le 40.000 lire, e il prestito a premi. Per quest’ultimo, tra l’altro, l’Amati si era già dato molto da fare ed aveva individuato nel banchiere Casareto di Genova il finanziatore dell’intera operazione. La Repubblica fin da subito avrebbe incassato come compenso una grossa cifra, negli anni a venire avrebbe continuato a ricevere altri utili di una certa consistenza.

Il prestito a premi tuttavia non durò fino al 1969 come stipulato, ma solo fino al 1917 perché per irregolarità nella sua gestione dovute all’Amati, che in quell’anno verrà arrestato ed in seguito si suiciderà, e per precise responsabilità anche del Casareto, si dovettero sospendere le estrazioni. Si faranno vari tentativi prima e durante il periodo fascista per ripristinare pienamente l’iniziativa, ma con risultati assai scarsi. La seconda guerra mondiale provvederà ad affossare definitivamente il prestito a premi.

Nel 1907, comunque, non erano per nulla prevedibili i guai che sarebbero stati provocati dall’Amati, che fino alla sua tragica fine beneficerà di fiducia illimitata da parte dei progressisti, socialisti compresi, e delle forze che dominavano il Consiglio. Inoltre il prestito rappresentava l’espediente con cui allontanare l’aborrita riforma fiscale, aborrita soprattutto dai proprietari terrieri e dal ceto economicamente più abbiente, che, è bene ribadirlo, aveva parecchi rappresentanti anche all'interno del gruppo democratico, e mostrare alla cittadinanza che l’arengo del ‘906 era stato una reale necessità della Repubblica, visto che gli uomini nuovi al potere in quattro e quattr’otto avevano saputo risolvere gli eterni problemi finanziari che la soffocavano.

Accanto alla questione economica sussistevano comunque tanti altri problemi da risolvere. Tra le istanze che cominciarono ad emergere con insistenza in quell’anno, il gruppo socialista appoggiò soprattutto quelle relative al miglioramento del mondo operaio ed all’istituzione di una camera del lavoro. In questo primo periodo del Novecento la società sammarinese era ancora prevalentemente rurale, anche se in rapida trasformazione, con uno stuolo di contadini che dal loro mestiere non riuscivano a trarre spesso neppure di che sfamarsi, e con più del 70% della popolazione lavoratrice che sopravviveva con l’agricoltura.

Gl’ingenti lavori pubblici degli ultimi decenni dell’Ottocento avevano però indotto tantissimi contadini a cessare il loro mestiere di sempre per lavorare tra i muratori, i braccianti e gli altri operai impegnati alla realizzazione delle nuove infrastrutture. Franciosi alla fine dell’Ottocento si era anche lamentato di tale fatto in uno dei suoi discorsi, perché con tale trend si stava rapidamente modificando la plurisecolare struttura della società sammarinese Il lavoro del contadino e la squallida vita a cui dava accesso non erano comunque più ambiti dai giovani e da chi non si accontentava più semplicemente di sopravvivere a fatica. La società si stava mutando culturalmente e morfologicamente e l’aumento degli operai ne era una ineluttabile conseguenza.

Questi lavoratori, meno chiusi e meno emarginati dalla vita sociale, ebbero la possibilità di evolversi maggiormente dei contadini tramite l’opera della Mutuo Soccorso e l’indefessa attività del professor Franciosi, amico e consigliere di tutti gli operai e loro strenuo difensore. I contadini non subirono le stesse attenzioni da parte dei riformisti sammarinesi, almeno negli anni a cavallo tra i due secoli, probabilmente per la loro disperata arretratezza culturale, ma forse anche per quella mentalità tipicamente locale, erede della secolare divisione tra città e contado, che vedeva nei lavoratori dei campi degli esseri inferiori indegni di frequentare i rari ambienti o circoli progressisti e all’avanguardia del paese.

Nei primi anni del nuovo secolo i contadini furono una grossa incognita per i riformisti perché non si sapeva con precisione quale sarebbe stata la loro risposta alle istanze che stavano portando all’arengo. Non a caso molti progressisti pensavano che il mondo rurale avrebbe evitato qualunque trasformazione politica del paese votando a favore del Consiglio chiuso ed oligarchico.

Inoltre i socialisti in genere dal ceto rurale erano guardati con grave sospetto, come se fossero dei senzadio pronti a demolire tutte le sicurezze legate alla fede ed agli stereotipi ereditati dal passato. Nonostante l’arengo avesse dimostrato che anche i contadini non erano così refrattari come si pensava tra i progressisti, la situazione non era cambiata gran che, per cui ora si doveva risolvere il grave conflitto che aveva sempre contrapposto gli uni agli altri.

Dal Titano del 1907 e degli anni successivi si evince chiaramente quanto il mondo riformista sammarinese avesse ormai a cuore il problema e come capisse che disdegnare il ceto contadino, come aveva praticamente fatto fin lì, non cercare di sensibilizzarlo più di tanto alle innovazioni che si stavano propugnando, sarebbe stato senz’altro molto pericoloso, perché avrebbe lasciato la classe numericamente più consistente della società sammarinese, quella economicamente più importante, in balia dei loro avversari, ovvero degli odiati preti e dei vituperati padroni, che approfittavano di ogni occasione per alimentare l’odio contro i socialisti, e che esercitavano sul ceto rurale un fortissimo controllo economico e culturale.

Nella "Lettera aperta ai lavoratori dei campi", scritta da Franciosi per il Titano del 10 marzo 1907, questo problema balza agli occhi in maniera lampante: Voi giacete ancora sotto una doppia servitù morale e materiale - venne scritto -. Siete troppo ligi ai preti ed ai padroni, i quali vi sfruttano di santa ragione e nello spirito e nel corpo. La lettera era stata indotta dalle celebrazioni del primo anniversario dell’arengo che, come si è detto, era stato festeggiato dai socialisti con cerimonia prettamente laica. Quell’evento era stato usato per istigare i contadini contro Giacomini e compagni, in quanto il testo della lapide era stato considerato dai cattolici un insulto alla fede, per cui ora si cercava di correre ai ripari. Non portateci il broncio se abbiamo murato da noi una lapide, continuava l'articolo, ognuno doveva essere libero di professare la fede che voleva e non subire le intolleranze degli altri. Laicismo vuol dire libertà per tutti e da per tutto, per gli amici e per gli avversari. (...) Unitevi adunque a noi che vi esponiamo delle verità intangibili, che impieghiamo le nostre forze per liberarvi dal doppio giogo, che col nuovo patto colonico e con altre riforme a vostro riguardo aiuteremo a redimervi.

Il patto colonico era in realtà la risposta progressista che i socialisti avrebbero voluto dare ai contadini, ancora regolati dalle norme del vecchio Statuto Agrario del 1813. Prima di tutto però sapevano essere  indispensabile abbattere i pregiudizi che il ceto rurale aveva nei confronti del mondo laico - riformista, ed a quest’opera, che si dimostrerà lunga e problematica, più caratterizzata da fallimenti che da vittorie, ci si iniziò ad impegnare proprio dal 1907 con passeggiate di propaganda, come venivano allora definite, presso i Castelli di campagna per far opera di divulgazione degli ideali socialisti e di proselitismo. Nel mese di aprile si organizzò una di queste passeggiate, probabilmente la prima in assoluto, a Ca’ Berlone, dove si riuscì a far balbettare ad uno sparuto gruppo di contadini  le prime strofe dell’Inno dei lavoratori. Quel balbettio diventerà in breve linguaggio e forte linguaggio, e ben lo intenderanno i nostri avversari che ora giuocano sull’equivoco!, annunciò con enfasi il Titano del 17 maggio.

Simile opera di sensibilizzazione proseguì nei mesi successivi e venne attuata ogni volta che ve n'era la possibilità anche negli anni dopo, soprattutto per opera di Giacomini e Franciosi, oratori e camminatori instancabili, pronti ad accorrere ovunque vi fosse bisogno di divulgare il loro credo politico. Già moltissimi contadini - dice Il Titano del 23 giugno - di Acquaviva, Fiorentino, Chiesanuova chiedono con insistenza che i socialisti vadano nelle loro campagne per agitarvi un nuovo migliore patto colonico.

Se coi contadini era praticamente ancora tutto da organizzare, non così succedeva per il mondo operaio dove già da tempo Franciosi in particolare, ma anche Giuliano Belluzzi, Giacomini e altri progressisti ancora avevano iniziato ad incidere. Oltre alla Società Mutuo Soccorso, a cui va riconosciuto il merito di essere stata la prima organizzazione operaia locale, agli inizi del secolo erano stati fondati nuovi gruppi operai. I primi a riunirsi in cooperativa, o meglio in "Lega", come si diceva all’epoca, erano stati gli scalpellini nel 1903, da sempre i lavoratori culturalmente più evoluti e anche meglio pagati. Poi si erano aggregati i manovali e i picconisti. Nel maggio del 1907 erano stati i falegnami a gettare le basi per una loro Lega di cui sarà chiesto il riconoscimento nel Consiglio del 25 giugno. In autunno saranno i calzolai ed i fabbri a raggrupparsi.[36]

Alla fine del 1907, insomma, buona parte del mondo operaio sammarinese aveva una propria organizzazione disposta a dialogare con le altre perché tutte erano sotto l’influenza del professor Franciosi, che di diverse fu pure presidente, e di Giacomini, il cui carisma era leggermente inferiore per la sua più giovane età e forse per il titolo di studio meno altisonante, essendo maestro elementare. Nel 1908 l’opera continuò perché ci si diede da fare per creare anche una Lega dei braccianti agricoli, con il chiaro scopo di portare il verbo socialista all’interno del ceto rurale e di aumentare la propaganda nei Castelli di campagna, come venne stabilito nella riunione della Federazione in data 27 maggio, e un’altra degli impiegati statali, un’ottantina di persone in tutto, che stavano spingendo per creare una loro legge organica.

La vita di queste leghe era mantenuta attiva tramite banchetti conviviali che di tanto in tanto ognuna organizzava, dove oltre a mangiare si ascoltavano gli oratori di turno; tramite passeggiate domenicali o partecipazione a manifestazioni, come ricorrenze (di Garibaldi, di Mazzini, ecc.); tramite serate danzanti, come quella organizzata il 9 gennaio 1908 presso il teatro Titano.

Durante questa festa, organizzata da tutte le Leghe, gli oratori furono Franciosi, che sostenne la necessità da parte governativa di creare un premio per stimolare l’impianto di qualche industria in loco per abbassare l’alto tasso di disoccupazione che vi era, Giacomini, che evidenziò il bisogno di creare una Camera del Lavoro, l’avvocato Babboni, che parlò sui diritti e i doveri degli operai, Olinto Amati, che sostenne la necessità di essere compatti nelle elezioni per impedire il dominio politico dei conservatori e degli oligarchi, il ragionier Reffi, che esaltò il lavoro, Giuliano Belluzzi, organizzatore della festa insieme a due rappresentanti di ogni Lega, che parlò dell’unione e della solidarietà fra operai, augurandosi che anche gli impiegati creassero al più presto una loro organizzazione. Dopo aver ballato, mangiato ed ascoltato chi parlò, la festa terminò con la raccolta di 55 lire che andarono in parte a colmare un piccolo debito creatosi per i festeggiamenti di Garibaldi avvenuti poco tempo prima, in parte ad alcuni operai che si erano infortunati e si trovavano in stato di bisogno.[37]

Il meticoloso attivismo dei socialisti, che indubbiamente stava riscotendo graduali ma crescenti successi in tutti i settori, mise piano piano in allarme i loro avversari politici. Costoro, pur non appartenendo ancora a nessun partito costituito, erano uniti dal tradizionalismo, dal cattolicesimo e dalla paura di stravolgere più di tanto la sacra dimensione socio - politica della loro vetusta Repubblica. Erano cioè o conservatori tout – court, o riformisti molto, molto guardinghi e temperati, poco disposti cioè ad appoggiare innovazioni, spesso considerate estremiste, come quelle propugnate dal socialismo di questo inizio ‘900, o propensi ad appoggiarne qualcuna, magari in termini meno radicali di quelli pretesi dagli innovatori più convinti, e sempre nel nome della salvaguardia della sacra tradizione locale.

Nei primi mesi del 1907 il gruppo socialista era ancora speranzoso di poter avviare riforme in profondità, pur avendo già notato ripetutamente che l’alleanza coi democratici non stava dando i frutti sperati, e che occorreva di frequente scendere a compromessi mal tollerati. Tuttavia alla fine dell’anno ormai all’interno del partito si era fatta strada l'idea che nei suoi presunti alleati la mentalità conservatrice fosse assai più radicata di quella riformista, almeno rispetto alle aspirazioni all'avanguardia cui mirava il gruppo socialista, e che la strada fin lì sostenuta dell’alleanza con gli altri democratici non avrebbe portato a quei benefici auspicati e perseguiti con tenacia.

Fu chiaro, in altre parole, che l’Alleanza Democratica nata per reclamare l’arengo si era ormai esaurita tutta in quella richiesta e non aveva più la forza e la volontà necessarie per mettere in opera le altre innovazioni programmate nei mesi addietro, riforme che dai socialisti erano state sempre reputate assai più importanti dell’arengo stesso, da loro considerato solo il primo inevitabile passo per modernizzare lo stato sammarinese, ma niente più.

Agli inizi dell’anno vi erano già stati sporadici attriti con gli alleati, come in occasione del primo anniversario dell’arengo, insieme a critiche anche pesanti all’operato del Consiglio; ma il momento in cui si consumò la rottura totale furono i mesi di novembre e dicembre del 1907, quando vennero esaminate e bocciate nell’aula consigliare diverse istanze presentate dal gruppo socialista per ottenere alcune di quelle riforme da tempo agognate. Le richieste avanzate, messe a punto nell'adunanza della Federazione del 3 ottobre, miravano a far revisionare il vecchio e logoro statuto, ad istituire ufficialmente il referendum, a trasformare l’istituto della Reggenza da sorteggiato in elettivo, a riordinare il sistema scolastico, a rendere obbligatoria la scuola elementare nei suoi primi anni, a creare un contributo governativo per il fondo pensioni e un organico per gli impiegati, ad adottare un codice civile, a riformare, laicizzandoli completamente, i cerimoniali statali ed altro ancora.

Quasi tutte le richieste, sebbene contenessero qualche cosa di comune col manifesto - programma del gruppo consiliare democratico, fu evidenziato sul Titano del 19 gennaio del 1908, furono sonoramente bocciate: ciò mostrava in maniera indubbia che l’alleanza democratica non le aveva ben appoggiate, ed ormai era da considerarsi colata a picco. Il mosaico democratico consiliare sta disgregandosi dopo un anno di simulata fusione, proclamò il Titano del 1° dicembre 1907, perché gli elementi di destra erano riusciti a trovare un’unità d’intenti nella salvaguardia della sacra tradizione, mentre dopo l’arengo, che aveva dato origine a strane e non sempre comprensibili alleanze, tra i democratici non vi era stato più un grande accordo. L’articolo prosegue dicendo che i socialisti si erano attenuti al programma elaborato di comune accordo, pur rinunciando a pretese più ampie e più consone ai loro ideali, mentre una parte della democrazia ha dimenticato di assolvere a molti suoi obblighi. (...) All’alba della nuova repubblica un ordine nuovo doveva stabilirsi sulle macerie. Bisognava rompere i ponti col vecchio sistema, estirpare il vecchio tronco dalle radici, (...) rifare ab ovo la compagine dello Stato, disciplinare gli uffici, rinvigorire ed allargare le pubbliche funzioni amministrative e politiche, ossigenare e disinfettare l’ambiente viziato.

Insomma ci si aspettava un’opera radicale di riordinamento, invece  il Consiglio aveva smarrito in fretta le sue mete ripiombando nei vecchi vizi del passato: Il consueto e vieto sistema guadagnò gli uomini che erano partiti in guerra contro di esso. Durante l’anno appena trascorso vi erano state alcune buone iniziative e conquiste, ma l’opera riformatrice era stata assai parziale, frammentaria e casuale, interrotta tra l’altro da lunghe pause e tentennamenti. Inoltre molti democratici non si erano dimostrati tali: alcuni avevano cercato di collocare la loro persona al di sopra del gruppo, non lavorando in comunione con gli altri per una corretta gestione politica dello stato. Quel groviglio caotico di uomini e di cose non aveva quindi più ragione di sopravvivere : L’ibridismo, le alleanze innaturali, gli accoppiamenti bastardi abbiano fine e ciascuno assuma il posto, l’atteggiamento, il nome che i propri istinti, i propri interessi, le proprie idealità gli impongono e gli consentono.

In realtà se si sfoglia la raccolta delle leggi di questo periodo[38] ci si può rendere conto che qualcosa, non molto per la verità, già si era fatto in rispetto al programma dell’otto luglio, e altre innovazioni, sempre fedeli a quelle linee di condotta, si realizzeranno negli anni successivi. Evidentemente però a Giacomini e ai socialisti più oltranzisti non bastava, e soprattutto non soddisfaceva la lentezza con cui si procedeva nell’esecuzione delle riforme, in particolare di quelle ritenute più importanti. Simile pigrizia la imputavano al sistema politico sammarinese, privo ancora di partiti, a parte quello socialista, quindi di solide alleanze governative, nonché alla tradizionalista mentalità dominante, che doveva ancora abituarsi ad una logica riformista assolutamente inusuale per i costumi locali.

Come conseguenza delle gravi polemiche contro i consiglieri democratici, il 17 dicembre il Comitato Esecutivo della Federazione socialista inviò una lettera al presidente del Gruppo Democratico per comunicargli che i consiglieri socialisti erano stati sempre contrariati nelle loro proposte, e ciò aveva provocato dannoso ritardo nel mettersi con giusta lena a concretizzare il programma comune in 14 punti dell’8 luglio. Per cui i consiglieri socialisti (ora quattro perché nel mese di settembre era morto Domenico Forcellini) si ritiravano dallo stesso gruppo ripromettendosi di appoggiare unicamente le innovazioni gradite alla Federazione, e di trovare forme di alleanza solo con i consiglieri affini, cioè disposti a seguirli lungo i percorsi consoni alla loro ideologia e ai bisogni ritenuti prioritari per la Repubblica.

Il Gruppo Democratico rispose subito affermando che le ragioni prodotte dai socialisti per avallare le loro dimissioni erano pretestuose ed infondate. La Federazione socialista si riunì quindi un’altra volta il 17 gennaio dell’anno nuovo per ribadire che il gruppo democratico non stava dando prova d’interessamento e di solerzia per l’attuazione del proprio programma amministrativo e politico, che stava infirmando le riforme promesse, che aveva permesso la distribuzione di ulteriori onorificenze venendo così a meno ad uno dei capisaldi del programma, che in diverse occasioni di voto all’interno del Consiglio non aveva votato compatto, che non si riusciva a raggiungere accordi preventivi su nulla, che a volte aveva votato insieme ai conservatori confondendosi col gruppo oligarchico per differenziarsi dai socialisti ed affini, che aveva permesso riti chiesastici nella solenne cerimonia governativa del primo anniversario dell’Arringo.[39]

Alla fine la Federazione rimase dunque ferma sulle posizioni assunte, rifiutandosi di ritornare sui suoi passi e di ritirare le dimissioni dei suoi consiglieri, posizione confermata ancora una volta tramite lettera del 21 gennaio 1908 in cui si ribadivano sempre le stesse critiche e accuse.

Il nuovo ordine non è stato instaurato, sparò anche il Titano del 31 dicembre, perché non vi era stato il coraggio di abbandonare i vecchi sistemi e di dar continuità operativa alla democrazia, spesso indecisa di fronte ai conservatori ed ostile verso i socialisti. A che cosa miravamo con le nostre istanze? Di ricostruire, dopo la rivoluzione dell’Arringo, il nostro piccolo Stato su basi nuove ed omogenee ai moderni tempi. Tuttavia i governanti o per ignoranza o per opportunismo non avevano voluto capire il bisogno impellente di evolversi. Che i conservatori, siedano a destra o a sinistra o nel centro, tentano sempre di contrastare ogni riforma e di voler far credere ad occhio e croce che le nostre istituzioni e le nostre consuetudini, siano pur vecchie come il brodetto, debbonsi sempre mantenere, anche se inutili e nocive, e dichiararle invulnerabili

Non era stata solo la bocciatura delle istanze l’unica causa della rottura dell’alleanza: infatti per tutto l’anno, a partire dalle polemiche di gennaio sul primo anniversario dell’arengo, i socialisti dichiaravano di aver notato costante ostruzionismo nei loro confronti, nonché il manifesto desiderio da parte della maggioranza dei suoi 29 sottoscrittori di non volersi realmente e pienamente assoggettare al programma accettato da tutti l’8 luglio 1906.

L'anno si chiuse dunque con queste polemiche e la drastica scissione all’interno del gruppo democratico,  frattura che peserà non poco sulla gestione del paese negli anni successivi. Il 1908 si aprì perciò tra immense polemiche, anche perché i socialisti ritenevano che molti dei loro ex alleati facessero ormai comunella fissa con gli elementi più retrivi della parte reazionaria del Consiglio.

I più dei nostri governanti o non concepiscono per ignoranza questo potente bisogno di muoversi, o per opportunismo vi si oppongono – evidenziò pure Franciosi sul Titano del 19 gennaio. Essi sono inconsciamente invasi dal terrore di un pericolo ignoto; per la loro inettezza non sanno pensare astrattamente, non hanno concezioni concrete, non sentono il bisogno di migliorare sé e il paese. Nonostante l’incessante progresso che li circonda, la pusillanimità naturale li assale ad ogni pié sospinto. Non assurgono a nuove concezioni di vita e s’aggrappano alla cieca fede religiosa come unico conforto.

Il gruppo socialista si ripropose di favorire caso per caso le iniziative consiliari di suo gradimento, di mantenersi in pieno accordo coi consiglieri disposti a cooperare con loro, ma di opporsi a tutto ciò che non avrebbe condiviso, a prescindere da chi l’avesse proposto.

Finalmente il Gruppetto Consigliare Socialista si è sciolto dai legami che l’avvincevano ai Democratici – venne scritto sul Titano del 23 febbraio da Alfredo Casali – Ed era tempo! Le aure nel seno di questo sedicente Gruppo Democratico, s’erano già rese irrespirabili per coloro che volevano fare qualche cosa per il bene della Repubblica. Bisognava darsi dunque da fare per ricreare un altro gruppo composto solo da veri democratici, liberato dalle molte scorrie ereditate dal vecchio governo oligarchico. Secondo l'articolista, infatti, il gruppo democratico da cui i socialisti erano usciti aveva due anime: l’una, quella più numerosa, era formata dai reietti dell’antica oligarchia, dagli ignavi, dai conservatori arrivati alla democrazia per preoccupazioni elettorali, tutti imbevuti di vecchi pregiudizii, delle antiche usanze, e attaccati al logoro Statuto; l’altra, formata dagli entusiasti della democrazia, dagli assetati di nuove riforme, dai veramente amanti della Repubblica era però più esigua e stentava quindi ad imporre le sue idee nel Consiglio. Da qui il bisogno di por termine all’alleanza per poter combattere battaglie più robuste e radicali, senza troppi vincoli, proibizioni o compromessi, e sensibilizzare sempre più la cittadinanza sammarinese alle teorie socialiste, così da aumentare di peso all'interno del locale panorama politico e sociale.

 

 

[1] Biblioteca di Stato, Fondo Franciosi.

[2] Venne fatta una lunga relazione reperibile in ASRSM, Atti del Consiglio, seduta del 24/9/01, vol. YY, n° 47.

[3] Ibid.

[4] Tutte queste informazioni sono desunte dagli Atti del Consiglio e dagli Atti del Congresso Economico del periodo.

[5] Ai nostri concittadini, nella serie Stampe della Biblioteca di Stato della RSM.

[6] Agli onesti d’ogni classe e partito, Biblioteca di Stato, Stampe.

[7] Biblioteca di Stato, Stampe.

[8] Biblioteca di Stato, Fondo Franciosi.

[9] 1° maggio in Repubblica, edito a cura della Sezione Socialista Sammarinese, numero unico, 1902.

[10] Per una proposta di Referendum nella R.S.M., San Marino 1903. Sul periodo si veda: G. Dordoni, L’Arringo conquistato, Edizioni del Titano 1993.

[11] Tutte queste notizie sono desunte dai Titano dell’epoca, pieni d’informazioni anche spicciole sulla vita del paese.

[12] Ritorniamo all’Arringo, in cui si auspicava il ripristino dell’arengo come forma di regime a democrazia diretta. L’articolo era firmato Rerum Scriptor.

[13] P. Franciosi, La Restaurazione dell’Arengo nella Repubblica di San Marino. Saggio di Regime e democrazia diretta a base di Costituzione Comunale, Jesi 1905.

[14] Sono conservate presso l’archivio di famiglia, e mi sono state messe gentilmente a disposizione dal figlio di Gino, il compianto ingegnere Remy Giacomini.

[15] Camerani Giulio, Casali Alfredo, Cesarini Antonio, Giacomini Angelo, Giacomini Giannetto, Giacomini Gino, Giacomini Pio, Calisesi Giovanni, Giovannarini Giuseppe, Graziosi Enrico, Molinari Cafiero, Montemaggi Raffaele, Ugolini Francesco, Ugolini Vito, Zani Giuseppe, Francisci Annibali, Girardenghi Federico.

[16] Rufo Reffi, Zani Lorenzo, Reffi Alberto, Lombardi Luigi, Balsimelli Giovanni, Tamagnini Giovanni vennero accettati il 14 settembre. Balsimelli Alessandro, Foschi Augusto, Ravezzi Arturo, Reffi Marco, Bombini Augusto, Bellagamba Luigi, Volpini Giuseppe, Simoncini Lorenzo, Della Balda Luigi, Bruschi Luigi nei mesi successivi.

[17] Archivio Privato Giacomini (APGIAC), Verbali adunanze generali 1905/1916.

[18] Su questi particolari oltre ai Titano del periodo cfr. G. Dordoni, op. cit., e anche ASRSM, Atti del Comitato pro – Arringo, Libro dei verbali del Comitato pro – arringo, serie Documenti privati dell’Archivio, busta 26.

[19] APGIAC, Verbali adunanze generali, cit.

[20] APGIAC, Verbali adunanze generali, cit.

 

[21] G. Ramoino – M. Bonelli, Supplemento alla raccolta delle leggi e decreti della RSM, Città di Castello 1915, pp 6 – 8.

[22] Gli articoli di Franciosi sono anche reperibili in Pietro Franciosi Opere – Scritti giornalistici, tomo 1 (1904 – 1911), tomo 2 (1912 – 1922), Aiep editore 1986 e 1988.

[23] Cfr. V. Casali, Le prime elezioni politiche della RSM giugno – agosto 1906, tesi di perfezionamento in storia, Università di Urbino, a.a. 1985 – 1986.

[24] L’originale è reperibile nella serie Stampe della Biblioteca di Stato della RSM.

[25] Giuliano Belluzzi, Antonio Cesarini, Pietro Franciosi, Domenico Forcellini, Giovanni Vincenti.

[26] APGIAC, Atti della Federazione Socialista Sammarinese.

[27] APGIAC, Atti della Federazione Socialista, riunione del 25/11/06.

[28] Ibid., riunione del 12/1/07.

[29] APGIAC, Atti della Federazione Socialista, riunione del 17/1/07.

[30] Il discorso integrale, insieme ad altri documenti del periodo, è pubblicato a pagina 86 del volume Immagini dell’arengo, Verucchio 1996.

[31] Che è il seguente: Il XXV Marzo MCMVI – Dopo un letargo di IV secoli – Sorgeva la forza del popolo novo – A rivendicare – Con l’Arengo dei Padri – Il diritto sovrano – Indarno ripugnante la vecchia oligarchia – Che oggi – Auspice il Governo – Benedice nel rito della chiesa – Alla conquista non sua.

[32] V. Casali, Propaganda dialettale, religiosa, maccheronica del primo socialismo sammarinese, in Annuario della Scuola secondaria Superiore, n° XXVI, a.s. 1998/1999.

[33] APGIAC, Atti della Federazione Socialista, riunione del 3/2/07.

[34] Si veda Il Titano del 1/1/1907, anno V, n°1. La lettera è datata 10/12/06.

[35] Cfr. ASRSM, Carteggio della Reggenza.

[36] Tutte queste notizie sono desunte dai vari numeri del Titano  del periodo.

[37] La cronaca della festa è nel Titano  del 23/2/08.

[38] G. Ramoino – M. Bonelli. Supplemento alla raccolta delle leggi e decreti della RSM, Città di Castello 1915.

[39] APGIAC, Atti della Federazione Socialista, cit.

 

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