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La bandiera sammarinese

 N.B.

Si legga dopo questo brano il testo “Un errore del Malagola”, scritto successivamente, che lo integra

  

La Repubblica di San Marino è stata per secoli soggetta ad estrema povertà e bisogno, tanto che, fino a non molto tempo fa, un aggettivo come “spartano”, avvertito comunque in maniera positiva e nobilitante, era spesso usato nei documenti, ma sicuramente anche nella quotidianità, per descrivere il paese e lo stile di vita dei suoi cittadini.

Era inoltre caratterizzata da grande desiderio di essere poco appariscente per paura di divenire facile preda di qualche potente (“noti a noi, ignoti agli altri” è un altro concetto tipico del pensiero sammarinese del passato), nonché da fede cieca nella tutela dell’unico vessillo ufficialmente riconosciuto e venerato da tutti: Marino, il santo fondatore, che, soprattutto dal XVII secolo in avanti, quando venne a meno la protezione del ducato di Urbino per l’estinzione dei Della Rovere, suoi signori, rappresentò una fondamentale barriera culturale contro le mire annessionistiche dello Stato Pontificio.

E’ chiaro, quindi, che all’interno di una mentalità simile, e in assenza di un esercito regolare da tenere costantemente in armi e da schierare all’ombra di uno stendardo, in quanto San Marino disponeva di una milizia cittadina non professionale, composta da tutti i residenti maschi compresi tra i 14 e i 60 anni, che agiva solo in caso di necessità interna, o con funzioni meramente poliziesche (a volte con grandi difficoltà anche semplicemente a radunarsi[1]), non si poteva sviluppare attaccamento a una bandiera o a colori particolari simboleggianti lo Stato sammarinese.

Anzi, è anche probabile che nei secoli precedenti l’arrivo delle armate napoleoniche attorno a San Marino, momento in cui la Repubblica ricevette per la prima volta un qualche riconoscimento ufficiale della sua indipendenza, essa non volesse ostentare inutilmente o più di tanto davanti a Roma la propria dimensione di Stato autonomo, in quanto il papato la considerava, così come la considererà fino al suo tramonto, sempre e soltanto un feudo a cui aveva concesso generosamente alcuni benefici nel corso dei secoli, ma nulla più[2].

Vi sono comunque alcune rarissime tracce che ci consentono di capire che anche prima dell’epoca contemporanea, quando il bianco e l’azzurro diverranno in maniera esplicita i colori ufficiali sammarinesi, la Repubblica disponeva di una propria bandiera, con colori peculiari, riconosciuta come emblema della sua dimensione politica.

E’ documentato, infatti, che nel 1503 Francesco di Marino Giangi, comandante di una compagnia di militi sammarinesi schierata in quel momento contro l’esercito di Cesare Borgia al campo di Longiano, un paese a non molti chilometri di distanza dai confini della Repubblica, dando notizia, in data 16 settembre, ai Capitani Reggenti della presa di quel castello, chiedeva che gli venisse inviata con urgenza la bandiera sammarinese affinché i soldati della Repubblica non dovessero marciare e combattere sotto vessilli estranei, potendosi così distinguere senza ambiguità dagli altri raggruppamenti militari impegnati in quella guerra[3].

Si sa, inoltre, che il 26 maggio 1517 il sammarinese Cristoforo Martelli, dovendo assumere il 1° giugno possesso della pretura di Forlì, chiedeva lo stendardo di San Marino per spiegarlo in quell’occasione in onore suo e della sua patria d’origine, affermando che anche altre volte le autorità sammarinesi avevano concesso la bandiera per situazioni simili sia a cittadini della Repubblica che a forestieri[4].

Ma quali colori contraddistinguevano tale bandiera? Erano già il bianco e azzurro attuali o altri? Con certezza è impossibile rispondere. Da un documento del 1465, una ricevuta reperibile presso l’archivio pubblico sammarinese con cui “Antonio del Giochondi et frategli setaiuolj”, insieme a “giovanni di ser giovanni dipintore”, chiedevano ai Reggenti di San Marino il compenso per aver fornito alcune stoffe “per fare uno stendardo per la vostra comunanza”, pare che i colori dell’epoca fossero altri, precisamente il bianco, il giallo e il paonazzo, perché le stoffe fornite avevano tali tinte. Venne inoltre consegnata anche una tela più piccola di “taffetta de Grana”, che era una stoffa di seta cotta di colore rosso cremisino.

“Considerando la quantità delle varie sorta di drappi usate, e l’uso seguito nel comporre stendardi alla metà del secolo XV – si apprende sempre da Malagola – può dedursi che il taffettà di grana, o cremisino, fosse impiegato per la parte posteriore, mentre l’anteriore, o il diritto, doveva probabilmente essere formato a tre bande, la gialla e la paonazza ai due lati, e nel mezzo quella di taffettà bianco, sul quale, perché più atto a ricevere la pittura, sarà stato dipinto lo stemma della repubblica da Giovanni pittore, se pure egli non vi dipinse l’effigie di S. Marino”[5].

E’ noto, poi, che certamente fin dalla prima metà del Cinquecento all’interno delle milizie sammarinesi esisteva la figura del “bandirario”, ovvero l’addetto a portare la bandiera del locale raggruppamento militare, ma altre notizie per i secoli successivi, quando San Marino non ebbe più i gravi problemi militari che dovette affrontare nel XV e XVI secolo, non ne abbiamo, per cui, salvo il ritrovamento di documenti ancora ignoti, è impossibile sapere quando si è passati da un eventuale tricolore, formato dalle tinte di cui si è detto, al bicolore odierno, sempre che il bicolore non fosse già in auge in precedenza e lo stendardo tricolore del XV secolo, di cui esiste l’unica traccia riferita, avesse scopi precipui non definibili.

Purtroppo non conosciamo con sicurezza nemmeno se i colori in questione avessero un significato peculiare, o simboleggiassero qualcosa di preciso, sebbene sia stato asserito che il bianco raffiguri le “torri coronanti le cime del Titano”, e il turchino “il cielo nel quale elle si specchiano”[6]. La spiegazione, però, sembra forzata in quanto la bandiera sammarinese è bianca nella sua parte superiore, e azzurra in quella inferiore.

Nella documentazione del ‘600 e del ‘700 non si dà nessuna importanza al problema in esame, tanto che non vi è più alcuna traccia di bandiere o colori sammarinesi: neppure negli statuti secenteschi, pur così precisi e dettagliati su tutti gli aspetti della vita politica e sociale sammarinese[7].

Solo nella seduta del Consiglio Principe e Sovrano (massimo organo politico locale) del 12 febbraio 1797 venne improvvisamente verbalizzato “che la coccarda nostra nazionale debba essere bianca e turchina, usata da queste Milizie”[8].

Probabilmente simile deliberazione scaturì dal fatto che un mese prima era stato adottato con atto formale dalla Repubblica Cispadana il tricolore, ovvero il vessillo che in seguito diventerà la bandiera ufficiale italiana, e San Marino sentiva l’esigenza di ribadire anche a questi nuovi confinanti, così come aveva fatto ripetutamente nei secoli precedenti con Roma (utilizzando però non uno stendardo, ma soprattutto la figura del suo santo fondatore), di essere una realtà politica indipendente a cui il tricolore non interessava in quanto possedeva già colori suoi.

Da questo momento in poi il bianco e l’azzurro diventeranno colori meno celati e sempre più sbandierati dai sammarinesi: già con lettera del 3 maggio dello stesso anno le autorità del Titano chiedevano il permesso a quelle delle armate francesi schierate ai loro confini di poter portare la loro coccarda bianca e turchina anche all’esterno del loro Stato, per farsi riconoscere come cittadini di San Marino ovunque transitassero[9].

Nel mese di agosto, invece, è un gruppo di giovani “insorgenti” locali che, ispirandosi a quanto stava avvenendo in Francia, e in aperta contestazione nei confronti del governo oligarchico che gestiva lo Stato sammarinese, decisero di contraddistinguersi e di manifestare tutto il loro patriottismo indossando una coccarda con i colori ufficiali della Repubblica, ma con al centro un disegno di tre monti sormontati da tre penne ai cui piedi stava la scritta “Governo Democratico”.

Il progetto però non riuscì ad andare in porto perché chi era stato incaricato, tramite biglietto datato 18 agosto, di “raccogliere tutti i strassi bianchi e turchini” che aveva in bottega per fare le coccarde, venne arrestato e incarcerato il giorno dopo[10].

Passato il momento napoleonico, passò anche l’entusiasmo patriottico per il bianco e il turchino, che comunque da quella fase storica in poi divennero sempre più palesati come colori ufficiali dello Stato sammarinese.

Pur essendo scarse le tracce documentali in merito anche per il 1800, non sono però del tutto inesistenti come nei secoli precedenti. Sappiamo così che nel 1829 venne innalzata sulla prima torre una bandiera coi colori sammarinesi donata alla Repubblica da Adaucto Diotallevj, che verosimilmente fu il primo vessillo bianco e azzurro a sventolare sul picco più alto del monte Titano[11].

Nel 1854, invece, venne predisposta una formula di giuramento per i militi sammarinesi in cui si doveva assicurare “di non avere altri colori che i due soltanto della Bandiera della nostra Repubblica”[12].

Nel 1860 il bianco e l’azzurro vennero utilizzati come colori ufficiali del nuovo ordine equestre sammarinese istituito il 22 marzo[13].

Per gli anni seguenti siamo a conoscenza che una bandiera, puntualmente rabberciata o rifatta del tutto quando non era più rammendabile, continuava a sventolare sulla prima torre, ed un’altra sul Palazzo Pubblico[14], e che vi era la consuetudine da parte di molti sammarinesi di esporre alle proprie finestre un drappo bianco e azzurro in occasione del 21 giugno, all’epoca festa patria[15].

Una curiosa richiesta da parte del Castello di Faetano nel 1877 ci fa comunque intuire che non dovevano essere proprio tante le bandiere disponibili lungo il territorio, in quanto fu domandato in maniera ufficiale alle autorità governative che venisse concessa gratis la bandiera usualmente esposta sul Palazzo delle Udienze della Reggenza, in quanto la si stava per rifare nuova, perchè anche gli abitanti di Faetano volevano innalzarla “sulle Mura Castellane la Bandiera della Repubblica in occasione di Feste Patrie”[16].

Nel 1892 venne invece varata una “Legge pel Corpo Consolare” in cui, tra le altre cose, era prevista l’esposizione della bandiera sammarinese da parte di ogni ufficio consolare in giorni precisi[17].

In definitiva si può affermare che i sammarinesi divennero sempre più attaccati al bianco/azzurro e alla loro bandiera nazionale dalla seconda metà del XIX secolo in poi, epoca in cui la stipula, nel 1862, della prima convenzione tra la piccola Repubblica il nuovo Regno italiano permise a San Marino di acquisire una fisionomia statale più definita e meno confutabile di quella posseduta nei secoli precedenti[18].


 

[1] V. Casali, La milizia sammarinese nei secoli, San Marino 2005.

[2] C. Fea, Il diritto Sovrano della Santa Sede sopra le valli di Comacchio e sopra la Repubblica di S. Marino, Roma 1834.

[3] C. Malagola, L’archivio governativo della Repubblica di San Marino, Bologna 1891, ripubblicato da Aiep editore, San Marino 1981, pp. 154 - 156.

[4] Ibidem

[5] Ibidem

[6] O. Brizi, Quadro storico-statistico della Serenissima Repubblica di S. Marino, Firenze 1842, p. 38.

[7] Leges Statutae Reipublicae Sancti Marini, A.T.E., San Marino, stampa anastatica del 1981 dell’edizione ristampata in precedenza a Firenze nel 1895. L’unica traccia che vi si trova è nella rubrica XIV del libro 1 (Dell’ingresso e del giuramento dei Signori Capitani) in cui si dice che all’epoca il passaggio del potere dalla vecchia alla nuova Reggenza avveniva simbolicamente con un rito preciso in cui  la coppia uscente consegnava a quella entrante i sigilli statali e la bandiera. Oggi tale passaggio avviene invece con la consegna del collare, che riporta i colori dello Stato, istituito con l’Ordine Equestre di San Marino del 1859 e decreto aggiuntivo del 27 settembre 1868.

[8] Archivio di Stato della RSM, Atti del Consiglio Principe, vol. II-33, c. 18 v.

[9] P. Franciosi, La Repubblica di S. Marino durante il periodo napoleonico, Imola 1912, p. 37.

[10] Archivio di Stato della RSM, Atti Criminali, b. 703. Sull’episodio si veda V. Casali, Pane, vino e ribellione, nuovi apporti storiografici sull’insurrezione del 1797, in Annuario della Scuola Secondaria Superiore, n. XXIV, anno scolastico 1996/97, e n. XXV, anno scolastico 1997/98, Litografia Studiostampa, RSM.

[11] Archivio di Stato della RSM, Atti del Consiglio Principe, vol. kk, n. 34, seduta del 21/7/1829.

[12] Archivio di Stato della RSM, Atti del Consiglio Principe, vol. nn, n. 37, seduta del 18/6/1854.

“Formola di giuramento da prestarsi dagli Ufficiali, e bassi Ufficiali delle Milizie.

Io N. N. giuro nel Nome di Dio, e sopra i Santi Evangelj di conservare l’ordine, e la pubblica tranquillità, di assicurare l’obbedienza alle Leggi, di prestarla fedelmente ai Capitani Reggenti, e al Generale Comandante Superiore di queste Milizie, di osservare, e di tenere per mio assoluto e legittimo Principe il solo Generale Consiglio dei Sessanta, diffenderlo con tutte le mie forze, e con esso l’indipendenza, e la libertà della Patria; di non conoscere, e di non avere altri colori che i due soltanto della Bandiera della nostra Repubblica. Se operassi contro il presente mio giuramento, ed offendessi nel mio servizio la disciplina, e la subordinazione militare, non dovrò essere ubbidito da miei subalterni, ed ogni mia operazione sarà nulla, e di niun efetto. Così facendo Iddio mi ajuti, e mi premj, altrimenti mi abbandoni, e mi punisca”.  

[13] Cfr. Statuti dell’Ordine equestre di San Marino, in T. Giannini, M. Bonelli (a cura di), Raccolta delle leggi e decreti della RSM, Città di Castello 1900, pp. 631-634.

[14] Con regolamento del 2/12/1897 fu sancito ufficialmente che il custode del Palazzo Pubblico dovesse “innalzare la bandiera sulla  Torre del Palazzo all’alba e levarla al tramonto” quando la Reggenza si trovava a palazzo, e nei giorni dedicati a San Marino (3 settembre), Sant’Agata (5 febbraio) e San Luigi (21 giugno). Cfr. T. Giannini, M. Bonelli (a cura di), Raccolta delle leggi e decreti della RSM, Città di Castello 1900, p. 60.

[15] Archivio di Stato della RSM, Atti del Consiglio Principe, vol. ss, n. 42, seduta del 17/3/1877.

[16] Ibidem, seduta del 22/8/1877.

[17] Legge pel Corpo Consolare del 12/1/1892, in T. Giannini, M. Bonelli (a cura di), Raccolta delle leggi e decreti della RSM, Città di Castello 1900, pp. 599 – 605.

[18] Sul periodo si veda: V. Casali, I tempi di Palamede Malpeli, la RSM nell’età della Destra Storica, Pazzini editore, Verucchio 1994.

 

 

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