Introduzione al catalogo di Aldo Volpini
Ho un ricordo ben nitido, vivo di mio zio, Aldo Volpini, nonostante
i tanti anni ormai trascorsi dalla sua tragica e precoce scomparsa:
i diversi momenti passati in casa sua, in Contrada delle Mura,
quando ero giovane, che rievoco
immensa e tetra, piena delle opere da lui realizzate, più simile a
un museo che a un’abitazione; le chiacchiere sulla fotografia, di
cui mi sapeva appassionato, e su San Marino, altra passione comune;
l’ammirazione per un uomo dalla cui maestria uscivano
miracolosamente manufatti che anche io avrei voluto saper creare, se
ne avessi avuto le competenze, me lo rendono ancora molto presente.
Era un uomo alto e corpulento, non a caso chiamato affettuosamente
Ciccio dagli amici.
Una persona dal volto affabile, dai lineamenti quieti e bonari,
sebbene velati da una sfumatura malinconica che rammento sempre
presente, anche nei suoi occasionali momenti di maggiore buonumore.
Mi torna alla memoria imponente e massiccio, sempre ben vestito,
all’interno della rivendita di generi turistici che gestiva insieme
alla moglie, Olga Boschi, sorella di mia madre, negozio ricavato
dentro un androne della cinta muraria a ridosso della Cava Antica.
Non era la sua professione quella. Non gli piaceva, né si sentiva
adatto al costante contatto col pubblico che all’epoca, come oggi,
costituiva la multiforme e chiassosa massa turistica che saliva
d’estate sul Titano.
Era una persona tendenzialmente schiva e introversa, per cui
contrattare un prezzo, prestare attenzione a eventuali furti,
richiamare potenziali clienti, non rappresentava certo la sua
aspirazione di vita.
Tuttavia doveva farlo, perché con la sola sua arte di maestro della
pietra non sarebbe stato possibile sostentarsi.
Nei miseri anni ‘50 aveva dovuto adattarsi a svolgere tale attività
perché il lavoro per gli scalpellini, categoria di cui era valente
rappresentante, era divenuto molto scarso rispetto all’epoca
fascista, quando le tante infrastrutture edificate nel paese, con lo
scopo di renderlo turisticamente più allettante, l’avevano invece
reso abbondante.
Gli scalpellini erano stati così posti di fronte a due possibilità:
emigrare, come ha scelto di fare mio padre, scalpellino pure lui,
amicissimo di Aldo fin da bambino, o intraprendere altre occupazioni
in loco, opzione preferita da mio zio.
Gli anni ’40 e ’50, periodo di guerra fredda nel mondo, sono stati
per San Marino particolarmente disagiati a causa della situazione
politica in cui permaneva. Era l’unico Stato occidentale, infatti,
ad essere retto da un governo social-comunista, amministrazione
assai sgradita all’Italia e agli Stati che, dopo la fine della
guerra, la tenevano sotto controllo.
La crisi economica di quel momento storico, da cui i Sammarinesi non
riuscivano ad uscire, ne fu una diretta conseguenza, e la
generazione di Volpini ha dovuto purtroppo assaggiare tutta la sua
durezza nonché la precarietà esistenziale a cui dava origine.
Aldo era nato a San Marino nel 1920 da una coppia di operai, Augusto
e Bianca. Aveva avuto una sorella, Irma, morta da bambina e
perpetuata nel nome dell’unica figlia che egli aveva messo al mondo
nel 1948, Irma Volpini appunto.
Fatti gli studi minimi che all’epoca le famiglie operaie si potevano
permettere per i loro figli, in genere al massimo fino alla quinta
elementare, nel 1934 intraprese la strada per imparare la nobile
professione di scalpellino, che sul monte Titano ha tradizioni
antichissime, legate addirittura al leggendario santo fondatore
della repubblica, giunto da Arbe nella penisola italiana in epoca
altomedievale, poi sul monte stesso, per sfamarsi col suo lavoro di
tagliapietre.
In quell’anno suo padre lo portò nella cava di pietra di Luigi Reffi,
in cui lavoravano alcune decine di operai, per affidarlo ad uno
scalpellino anziano, soprannominato Sarafa, affinché gl’insegnasse
pazientemente il mestiere.
Non era però facile per un ragazzino crescere in mezzo a uomini rudi
e temprati come quelli attivi all’interno di una cava di pietra. Gli
episodi di nonnismo, gli sfottò, le burle a danno dei più giovani
erano ricorrenti e imbarazzanti, il desiderio di mollare tutto quasi
quotidiano.
La pazienza dell’insegnante, inoltre, non era una dote così comune
tra gli scalpellini, per cui la fase dell’apprendistato risultava
particolarmente impegnativa e poteva durare vari anni, perché tutti
si dimostravano molto severi nei confronti dei giovani, così
com’erano insofferenti verso gli errori che inevitabilmente
commettevano a causa della loro inesperienza.
In una cava di pietra bisognava maturare in fretta, insomma, e
sapersi guadagnare il rispetto dei veterani con abnegazione e
tangibile perizia.
Aldo voleva però fare proprio quella professione, vi era portato,
gli piaceva. Non era solo un lavoro tra i tanti che avrebbe potuto
imparare a svolgere, perché la sua naturale creatività trovava il
giusto sfogo nella cava di pietra, la sua realizzazione più
appropriata.
La creatività non sempre però viene considerata una dote, in
particolare nei giovani: spesso origina invidia, anche se poi nel
tempo è quasi sempre destinata a suscitare ammirazione. Non a caso
il secondo maestro di Volpini, colui che ne fu il vero mentore,
Romeo Balsimelli, gli rimproverava di essere troppo estroso,
addirittura “presuntuoso”, mentre avrebbe dovuto limitarsi a
eseguire i progetti affidatigli senza rimaneggiarli con
interpretazioni personali.
I primi lavori su cui Volpini si formò furono quelli più comuni per
gli scalpellini, quelli in cui bastava un po’ di pratica e una
perizia minima per sagomare la pietra: sassi da selciato e da
costruzione, banchine, davanzali, gradini, ripiani e altro ancora.
Fu la fase dello “scultore senza arte”, come si tende a definire fin
dall’antichità lo scalpellino comune, quello abile solo a produrre
lavori in serie e ordinari.
I più esperti erano invece in grado di modellare caminetti, colonne,
balaustre, cornici per porte e finestre, tombe, stemmi e altri
manufatti di grande qualità.
Per arrivare a questo grado di competenza erano richiesti anni di
apprendistato, insieme ad una buona dose di maestria personale e di
passione per il mestiere.
Volpini fu in grado di arrivare ad un livello addirittura superiore,
raggiungibile solo da pochi scalpellini: quello dello
scalpellino/scultore, artista capace di concepire non solo i tipici
prodotti artigianali per cui il committente usualmente si rivolge a
questa categoria, ma opere scultoree e anche pittoriche.
Aldo, infatti, aveva la passione per l’arte, per cui, da
autodidatta, si era impegnato a studiare le opere dei geni del
passato, soprattutto rinascimentali, allenandosi periodicamente
nella riproduzione delle loro opere per acquisire le abilità
necessarie ad oltrepassare la semplice mansione di scalpellino
generico e di pittore dilettante.
Apprese quindi la tecnica della modellazione, studiando il lavoro
del decoratore Giris mentre stava ornando il Teatro Titano, e i
fondamenti del disegno, grazie alla collaborazione col pittore
sammarinese Torquato Mariotti.
Sicuro ormai nella sua produzione in pietra, nel 1948 partecipò in
coppia col suo maestro Balsimelli alla prima Mostra dell’artigianato
e dell’industria sammarinese, allestita nelle sale del Palazzo
Valloni, in cui i due artigiani presentarono alcuni altorilievi in
pietra. Aldo espose anche vari suoi disegni e dipinti.
Vi partecipò pure la Cooperativa degli Scalpellini esibendo un
artistico camino lavorato con meticolosità e competenza.
Sempre del 1948 è un grifo in rilievo su un fondo in pietra
martellata fatto da Volpini, la cui difficoltà di esecuzione
manifestava già una mano sicura e una bravura acquisita. In quest’opera
egli riuscì a mostrare uno stile originale e personale,
distaccandosi in parte dallo stile tradizionale dei lapicidi
sammarinesi, con cui nel periodo continuò a lavorare all’interno del
Teatro Titano, alle Cripte di San Pietro e di Sant’Agata, a Palazzo
Valloni.
Nel 1951, ammalatosi il suo maestro Balsimelli, terminò i due stemmi
da questi iniziati, collocati poi sul Ponte di Dogana. Già in
precedenza Aldo aveva realizzato il gesso dell’aquila che in seguito
Balsimelli scolpì in pietra, e che venne collocata sul palazzo dell’INFAIL.
Il rapporto lavorativo tra Volpini e Balsimelli fu dunque alquanto
intenso, tanto che Aldo ne ereditò la piccola capanna attaccata alla
roccia in un angolo della Cava Antica, qui eretta chissà da quanto,
poi smantellata nei primi anni ’70.
La sua antica collocazione è ancora oggi individuabile perché
Volpini sagomò nella roccia a cui era attaccata, che ne costituiva
la parete di fondo, un volto simile a quello che in seguito diede
alla grandiosa statua di San Marino, da lui scolpita nel 1958.
Ormai ben conosciuto, Volpini tra gli anni ’50 e ’60 realizzò la sua
produzione maggiore, alternandosi tra il pesante lavoro estivo di
commerciante, e quello paradossalmente ben più leggero, perché era
la sua grande passione, di artista della pietra, a cui si dedicava
nei mesi invernali, ma anche in ogni momento in cui poteva evadere
dal negozio.
Nei primi anni ’50 realizzò svariati stemmi in pietra e altri lavori
ancora per committenti interni ed esterni a San Marino. Si dimostrò
così abile nel realizzare i suoi manufatti da ricevere anche negli
anni seguenti molte commissioni da acquirenti che desideravano
possedere nella propria abitazione una sua opera.
Numerosi furono gli ordini che ebbe sia da committenti italiani,
residenti non solo nel circondario sammarinese, sia da avventori
esteri. Le sue opere andarono a finire perciò anche in Brasile,
Svizzera, Belgio, America.
Nel 1953 San Marino organizzò un’altra mostra dell’artigianato e
Volpini, “dilettante di naturale talento”, come lo definì per
l’occasione Francesco Balsimelli, vi espose vari piatti in ceramica
da lui dipinti, di cui quattro riportavano la figura del santo
fondatore, vero pallino di Aldo, che lo dipinse e scolpì in decine
delle sue opere. Espose altre pitture ancora, tra cui un’erinni e un
nudo di donna distesa su un divano d’ispirazione botticelliana.
Sempre Balsimelli per l’occasione scrisse: “Più di ogni altra, ferma
la considerazione del visitatore la mostra di Aldo Volpini, il quale
mentre in un reparto presenta lavori in pietra che sembrano opera di
bulino più che di scalpello, in un altro presenta quadretti e piatti
di legno che sembrano cuoi bulinati e sbalzati e sono invece dipinti
a olio e tempera. Non sono opere creative, d’accordo, ma vi si
ammira la perfetta riproduzione di quadri di autore. E chi sappia
che Aldo ha fatto la terza elementare e non ha mai studiato disegno,
chi sappia che il suo mestiere è lo scalpellino, si meraviglierà non
poco pensando come con la sola passione, col solo talento naturale,
possa alternare il pesante mazzuolo al leggero pennello e riesca a
fare sì pregevoli cose”.
In queste poche righe è egregiamente riassunto chi era e sarà anche
in seguito Aldo Volpini, un artista fattosi da sé, una persona
talentuosa, ma anche un “omo sanza lettere”, come si definì secoli
prima lo stesso immenso Leonardo da Vinci.
L’essere “sanza lettere” peserà non poco nella vita di Aldo, e gli
verrà anche fatto pesare da qualche politico autorevole che, da buon
statista di provincia, reputava meglio spendere cifre elevate in
artisti dal nome altisonante provenienti da fuori confine, che
favorire a basso costo, anzi addirittura a costo zero, l’arte
locale, senz’altro inferiore come livello, ma almeno tutta
sammarinese.
Negli anni successivi Volpini continuò a produrre opere per svariati
committenti, ma anche solo per sé, per il suo piacere personale.
Molte di queste opere, gelosamente custodite dagli eredi di Aldo,
sono assolutamente sconosciute, perché solo oggi per la prima volta
vengono mostrate al pubblico ed entrano a far parte di un
catalogo.
Altre sue opere, in particolare tombe monumentali, sono invece
visibili nei cimiteri, o in giro per il paese. Famosa è la grande
statua a tutto tondo del santo fondatore scolpita nel 1958 e
collocata fino a pochi anni fa in una nicchia sopraelevata nella
zona del “Cantone”, dove approda la funivia.
Oggi è stata sostituita da una copia per preservarla dalla
consunzione da parte degli agenti atmosferici, mentre l’originale è
stato posto al coperto, all’interno della Parva Domus.
Altra opera importante, visibile sotto l’arco che collega la Cassa
di Risparmio a via Omerelli, è “La costruzione del tempio”, un
bassorilievo in pietra del 1962 che si rifà direttamente a quanto
raccontato nella leggenda del santo fondatore.
Negli anni successivi, Volpini lavorò continuamente e le sue opere,
soprattutto in pietra, finirono in molte case sammarinesi e non. Si
mise ad inseguire anche un grande sogno: scolpire una storia di San
Marino di dimensioni gigantesche sull’enorme parete liscia presente
in fondo alla Cava degli Umbri, l’attuale parcheggio 7.
Lavorò all’ideazione del progetto per diversi anni, ma senza alcun
incoraggiamento da parte delle autorità politiche che, al contrario,
si dimostrarono sempre reticenti verso il proposito.
L’idea prevedeva che sulla superficie di centinaia di metri quadrati
della parete in questione dovesse essere scolpita una grandiosa
immagine di San Marino, contornata da ulteriori sei quadri, che
dovevano illustrare le fasi più salienti della vita del santo,
ricavate sempre dalla leggenda medievale. Sarebbe stata alla fine
un’opera monumentale, visibile da grande distanza.
Il progetto, tuttavia, non giunse mai alla sua concretizzazione.
Ostacoli burocratici, politici, finanziari, culturali rimpallarono
Volpini da un ufficio all’altro, da un’autorità all’altra senza
esito, facendo naufragare questo suo grande sogno, e rattristandolo
non poco.
Non fu solo questo insuccesso ad amareggiarlo nei suoi ultimi anni
di vita. Si sentiva infatti poco apprezzato, sottovalutato e
sminuito rispetto alle sue concezioni e alla maestria che possedeva.
Un artista, si sa, è persona più sensibile degli altri, pronto ad
esaltarsi oltremisura per un modesto apprezzamento, ma anche a
cadere in depressione profonda per la minimizzazione delle sue idee
e l’indifferenza verso le sue chimere.
E’ ciò che accadde a Aldo Volpini che, deluso e stanco della vita,
si tolse la vita nel 1976, all’interno della sua casa/museo, ai
piedi del quadro in cui aveva ritratto la madre.
Un artista, però, non muore mai davvero, perché lascia ai posteri
tracce tangibili della sua vita, delle capacità di cui era dotato,
del percorso esistenziale seguito nell’arco più o meno lungo del
destino vissuto.
Così è anche per Volpini, che ha tramandato a noi centinaia di
opere, di cui le migliori oggi visibili all’interno della mostra e
del catalogo che gli vengono finalmente dedicati, da cui emerge
l’uomo, lo scalpellino, l’artista.
Ognuno potrà soppesarle secondo il proprio gusto ed il proprio metro
di giudizio: non ha grande importanza.
Importante, però, è che anche la piccola Repubblica di San Marino
ogni tanto sia in grado di partorire uomini e donne d’ingegno, in
grado di amarla ed esaltarla come ha saputo fare Aldo Volpini, e di
trasmettere la sua bella immagine, la sua storia, la sua anima nel
mondo e ai posteri.
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